Ahte45business people agosto 2015

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PEOPLE ECONOMIA • SOCIETÀ • MANAGEMENT • PASSIONI

MULTIMEDIA EDITION N. 8 - AGOSTO 2015 - MENSILE

L’ANIMA L’ANIMA

DELLE IMPRESE DOPO ANNI ANNI DI UN CONTESTO DOPO CONTESTO ECONOMICO COMPLESSO, SIAMO ECONOMICO SIAMO ANDATI ALLA ALLA SCOPERTA DI CIÒ ANDATI CIÒ CHE CHE COSTITUISCE OGGI LO SPIRITO COSTITUISCE SPIRITO DI QUELLE QUELLE AZIENDE CHE MEGLIO DI MEGLIO DIALTRE ALTRE HANNO HANNO SAPUTO AFFRONTARE DI AFFRONTARE LE DIFFICOLTÀ DIFFICOLTÀ CONGIUNTURALI, CONGIUNTURALI, LE SUPERANDOLE. AA RACCONTARCELO SUPERANDOLE. RACCONTARCELO SONO SONO LE ESPERIENZE E LE RIFLESSIONI LE ESPERIENZE E LE DEGLI IMPRENDITORI CHE LE HANNO RIFLESSIONI DEGLI IMPRENDITORI E DEICREATE MANAGER CHECREATE LE HANNO E DEI CHE LE LE DIRIGONO MANAGER CHE HANNO DIRETTE


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Editoriale

LO SPIRITO CHE ANIMA IL BUSINESS

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enti interviste a imprenditori e manager. Venti modi di intendere la propria personale concezione di fare impresa e di gestirla. Venti tra uomini e donne che raccontano in cosa consiste lo spirito del proprio lavoro, a tratti considerandolo alla stregua di una vera e propria “missione”. Li abbiamo scelti e selezionati per questo numero specialissimo di

Business People in base alle loro performance professionali e aziendali, conseguite in un periodo difficile come quello che ha attraversato (e sta purtroppo ancora attraversando) l’economia mondiale e nazionale negli ultimi sette anni. Ci siamo chiesti e abbiamo chiesto loro in cosa consista oggi – che il raggiungimento degli obiettivi strategici si è fatto sempre più difficile a fronte di una competizione sempre più serrata e globalizzata – l’anima delle imprese. E ognuno ha risposto a suo modo, in base alla proprie esperienze, indole, passato, formazione, cultura e intelligenza emotiva. Ne sono venute fuori altrettante storie, piene di curiosità e di spunti, ricche di riflessioni e di aneddoti nonché cariche di vita vissuta nel senso più ampio (a tratti anche straordinario) del termine. Tutti o quasi hanno

Manager e imprenditori raccontano in cosa consiste l’essenza del proprio lavoro, a tratti considerandolo alla stregua di una vera e propria “missione”.

indicato nelle persone che ci lavorano l’elemento più nobile di qualsiasi azienda, sia essa multinazionale piuttosto che una pregiata eccellenza del made in Italy, ponendo nella componente umana (le relazioni e il gioco di squadra, per intenderci) quel segreto e impalpabile quid che trasforma di fatto ciò che sulla carta è una buona strategia industriale in un successo economico. Ma cosa fa in modo che tale alchimia si avveri negli uffici, come negli stabilimenti, nei punti vendita e in qualsiasi altro luogo si esplichino le attività? La capacità di chi intraprende e dirige di avere una chiara visione di dove andare e come arrivarci, con i mezzi a sua disposizione e nel contesto in cui si trova a operare. È una responsabilità di non poco conto, che imprenditori e manager vivono ora come un dovere ora come un privilegio. Basta scorrere le interviste per accorgersi della portata di tale elemento che accomuna questa piccola rappresentanza del meglio della classe dirigenziale del nostro Paese. Si scopriranno altrettanti modi di interpretare la leadership, così come gli assetti valoriali e la responsabilità sociale, nonché di intendere e di impostare la gestione e la motivazione delle risorse e la valorizzazione delle marche. A dimostrazione del fatto che non è certo la qualità imprenditoriale e manageriale a latitare nel nostro Paese, quanto le occasioni generali e di contesto per valorizzarla.

Vito Sinopoli

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SOMMARIO

agosto 2015

30 SPECIALE L’ANIMA DELLE IMPRESE

Business People ha incontrato i protagonisti dell’economia italiana per scoprire i segreti delle aziende che hanno battuto la crisi

64 Laura GERVASONI

96 Marina SALAMON

L’erede della celebre casa vinicola racconta il legame con la tradizione e la passione per il territorio

Da segretaria a d.g. di Patek Philippe: la manager ci insegna a non perdere tempo

La poliedrica imprenditrice illustra qual è la vera ricchezza di un gruppo: il capitale umano

36 Carlo BARLOCCO

68 Eusebio GUALINO

100 Fabio SBIANCHI

Il numero 1 in Italia di Samsung Electronics svela come l’azienda coreana ha anticipato la recessione

A lezione di leadership dall’a.d. di Gessi, l’azienda che ha inventato il Private Wellness

Cinque anni a fatturato zero prima di rivoluzionare il mondo delle assicurazioni: la storia di Octo Telematics

40 Marco BOGLIONE

72 Marco ICARDI

104 Cristina SCOCCHIA

Il network di BasicNet si basa sulla tecnologia. E sul genio di un patron che voleva essere Steve Jobs

Intervista all’amministratore delegato di Sas Italia tra analytics e valorizzazione del fattore umano

Il Ceo di L’Oréal Italia svela le qualità imprescindibili per un vero leader

44 Giovanni BOSSI

76 Andrea ILLY

SOLDI 108 Marinella Il cambiamento come motore della crescita:

Banca Ifis è il primo istituto nato per dare credito. Descrive questa vocazione l’a.d. da 20 anni al timone

Un secolo a caccia del caffè più buono al mondo. Produrlo in modo sostenibile è la sfida dell’attuale n.1

48 Niccolò BRANCA

80 LINUS

Se la ricetta del Fernet è un segreto da custodire, quella del successo ce la rivela il conte-guru

Gestire un gruppo di prime donne: la missione “impossibile” del direttore artistico di Radio Deejay

52 Giovanni CASTIGLIONI

84 Claudio LUTI

Mv Agusta ha ripreso a correre con uno spirito italiano e le intuizioni di un figlio d’arte

56 Giancarlo CHIMENTO

Il sogno del lusso coniugato all’arte è diventato realtà grazie all’ingresso dell’imprenditore in Venini

60 Bruno FANTECHI

La lunga strada dello stile italiano nei prodotti A.Testoni che hanno conquistato il mondo

Infondere la bellezza nella fredda plastica: mr. Kartell racconta l’identità dei suoi capolavori

88 Nicola MACCANICO

è questo il segreto di Discovery Networks

84 40

Il gioco di squadra è alla base del successo, non solo di un buon film: garantisce Warner Bros. Pictures

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92 Renzo ROSSO

Alcune imprese riflettono i valori di chi le ha create: è il caso di Diesel e del suo fondatore mecenate

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© Sandro Michahelles (1), Dario Dinocca (1), Ugo Zamborlini (1), Wolfango e Milagro (1), S. Scarpiello/Imagoeconomica (1), Valerio Pardi (1), Uli Weber (1), Daniele Cruciani (1), Martin Schoeller (1), Armando Rotoletti (1),

32 Albiera ANTINORI


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INSIDER e idee dal mondo che cambia 11 Fatti Eating - Senza rete - Expo 2015 - Progetto manager - Lavoro

112

- People - Eventi - Luxury - Office life - Social Planet - Verba (non) volant

Direttore responsabile Vito Sinopoli Direttore editoriale Linda Parrinello

MOTORI 112 La guida sicura? È un benefit

Direttore creativo Elisa Lasagni Redazione Cecilia Lulli (clulli@e-duesse.it) Matteo T. Mombelli (mmombelli@e-duesse.it) Francesco Perugini (fperugini@e-duesse.it)

Sempre più aziende decidono di investire in corsi specifici: un extra per i dipendenti con ritorno economico assicurato

per tutti i gusti 115 Bavarese Il restyling aggressivo della Bmw R 1200 R, anche in versione Rs

Redazione grafica Alda Pedrazzini (caposervizio) Luca Negri

per chi cerca emozioni sportive

Hanno collaborato a questo numero Alessio Artemi, Nicole Berti di Carimate, Giovanni Bucchi, Guido Carella, Marco Cobianchi, Eliana Corti, Francesca D'Angelo, Pietro Della Lucia, Dario Donadoni, Stefano Franceschi, Andrea Gori, Emidia Melideo, Andrea Nicoletti, Cristina Penco, Andrea Salvadori, Marcel Vulpis

HI TECH the beach 118 On Tutti i dispositivi più innovativi per divertirsi sotto l’ombrellone, tra bisogno di relax e voglia di adrenalina

GOLF Rotta sull’Algarve 120 Viaggio in Portogallo, terra promessa dei green europei,

Coordinamento tecnico Alessandra Bernocchi Mariella Pagliari Il responsabile del trattamento dei dati raccolti in banche dati di uso redazionale è il direttore responsabile a cui, presso il Servizio Abbonamenti, Via Donatello 5/b - 20131 Milano, Tel. 02.277961, fax 02.27796300 ci si può rivolgere per i diritti previsti dal D.Lgs 196/03

dove i campioni hanno dato sfogo al loro estro creativo

GUSTO nel piatto 124 Leggerezza Roberto Franceschini apre le porte del ristorante di famiglia,

Traffico Antonella Barisone - Tel. 02.27796408 (abarisone@e-duesse.it) Paola Lorusso - Tel. 02.27796401 (plorusso@e-duesse.it)

Romano a Viareggio

Pubblicazione mensile 12 numeri l’anno. Prezzo di una copia 4,50 euro. Arretrati 10,00 euro + spese postali. Reg.Trib. di Milano n. 238 del 10/04/2006. Iscrizione nel Registro Nazionale della Stampa n. 9380 del 11/04/2001 ROC n.6794

126 Cosa vuoi di più? Un lucano

Alla scoperta delle mille sfaccettature dell’Aglianico, il vino che dalle pendici del Vulture ha conquistato premi e celebrità

LEGGERE In vacanza con un libro 128 I titoli più interessanti per rilassarsi in vacanza. Dal giallo svedese

Fotolito: Target Color, Via Cassano d’Adda 13, 20139 Milano Stampa: NIIAG, Bergamo Per l’Italia: distribuzione SO.DI.P. ”Angelo Patuzzi” SpA, Via Bettola 18, 20092 Cinisello Balsamo(MI) - Tel.02660301 Fax 0266030320

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a quello siciliano, e non solo

Informativa ex D. Lgs. n. 196/03 - Editoriale Duesse S.p.A. Titolare del trattamento tratta i dati personali liberamente conferiti per fornire i servizi indicati. Per i diritti di cui all’art. 7 del D.Lgs. n. 196/03 e per l’elenco di tutti i Responsabili del trattamento rivolgersi al Responsabile del trattamento, che è il Responsabile Abbonamenti presso Editoriale Duesse S.p.A. Via Donatello 5/b - 20131 Milano. I dati potranno essere trattati da incaricati preposti agli abbonamenti, al marketing, all’amministrazione e potranno essere comunicati e a società esterne per le spedizione della rivista e per l’invio di materiale promozionale. Copyright Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte della rivista può essere riprodotta in qualsiasi forma o rielaborata con l’uso di sistemi elettronici, o riprodotta, o diffusa, senza l’autorizzazione scritta dell’editore. Manoscritti e foto, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. La redazione si è curata di ottenere il copyright delle immagini pubblicate, nel caso in cui ciò non sia stato possibile, l’editore è a disposizione degli aventi diritto per regolare eventuali spettanze.

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EXTRA

EDITORIALE DUESSE S.p.A. Via Donatello 5/B - 20131 Milano Tel. 02.277961 Fax 02.27796300 www.e-duesse.it Presidente Vito Sinopoli Amministratore Delegato Massimo Salmini

CI SONO TANTI MODI PER LEGGERE BUSINESS PEOPLE. SCEGLI IL TUO

Marketing Director Rita Giussani Numero chiuso in redazione il 17/07/2015

Business People è anche in versione digitale. Si può scaricare per leggerlo comodamente su Pc o Mac oppure avere il piacere di sfogliarlo in versione multimediale sui device Apple, Android e Windows. La lettura diventa così un viaggio interattivo tra clip, video, photogallery e link. E per essere sempre puntualmente informati basta andare sul sito www.businesspeople.it FREE SU APP STORE, GOOGLE PLAY E WINDOWS STORE

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INSIDER FATTI E IDEE DAL MONDO CHE CAMBIA

VIAGGIO TRA LE MERAVIGLIE

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© Stephen Alvarez

FASCINO DI LAVA Il vulcano messicano di Parícutin (il più “giovane” al mondo), visto da Stephen Alvarez attraverso il suo device Microsoft Lumia

e Cascate Vittoria, il Gran Canyon e la colorata Rio de Janeiro. Sono alcune delle sette meraviglie del mondo raccontate dall’obiettivo del pluripremiato fotografo Stephen Alvarez, noto per la sua capacità di raccontare storie e avventure attraverso immagini uniche e affascinanti. Ma questa volta i suoi scatti sono contraddistinti anche da un’altra particolarità: non sono stati realizzati utilizzando macchine fotografiche professionali, ma uno smartphone! Le fotografie fanno, infatti, parte del progetto Seven Natural Wonders of the Worlds Series realizzato con National Geographic e Microsoft Lumia. Per due anni Alvarez ha girato il mondo immortalando luoghi incantevoli con la fotocamera dei device Lumia (di cui è ambasciatore), ma il suo viaggio non è ancora compiuto: all’appello mancano ancora la Grande Barriera Corallina e l’Aurora Boreale. Per seguire il percorso fatto e quello che seguirà basta visitare il sito nationalgeographic.com/ microsoft/sevenwonders

CONCENTRATO DI GUSTO

PRONTI PER IL MEETING

IL LUSSO REGNA SUL WEB

ADDIO STRESS

LE ULTIME TENDENZE PER GLI APPASSIONATI DELLA BUONA CUCINA: DALL’HOME RESTAURANT ALLE PROPOSTE PIÙ PRATICHE E APPETITOSE PER LA PAUSA PRANZO IN UFFICIO, SENZA DIMENTICARE LE OFFERTE TURISTICHE CHE UNISCONO AL RELAX INTERESSANTI LEZIONI AI FORNELLI

«DI CHI È QUESTA MANCANZA, CUORE, CHE A UN TRATTO NE SEI PIENO?» È QUESTO VERSO DI MARIO LUZI CHE DÀ IL TITOLO ALL’EDIZIONE 2015 DEL TRADIZIONALE APPUNTAMENTO RIMINESE, CUI PRENDERANNO PARTE NUMEROSI PROTAGONISTI DELLA POLITICA E DELL’ECONOMIA TRICOLORE

IN RETE, NEGLI ULTIMI CINQUE ANNI, IL SETTORE È CRESCIUTO DEL 27%, CONTRO IL 7% REGISTRATO NEGLI ALTRI CANALI. COSÌ LE VENDITE ON LINE SONO DIVENTATE SEMPRE PIÙ IMPORTANTI PER L’ALTO DI GAMMA E LO SARANNO SEMPRE DI PIÙ NEI PROSSIMI ANNI

IN UFFICIO, INUTILE NEGARLO, SPESSO NON MANCANO INSIDIE PER LA NOSTRA PACE INTERIORE. A PARTIRE DAI RUMORI MOLESTI, CAUSA DI RABBIA E FRUSTRAZIONE. PERCHÉ? ECCO LA SPIEGAZIONE SCIENTIFICA, INSIEME A QUALCHE CONSIGLIO PER COMBATTERLE

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Eating

A CENA DA UNO SCONOSCIUTO

L’ULTIMA TENDENZA SI CHIAMA HOME RESTAURANT E VEDE CUOCHI DILETTANTI APRIRE LA PROPRIA SALA DA PRANZO A CLIENTI PAGANTI

C

onoscere persone nuove, guadagnare qualche soldo in modo semplice, ma soprattutto dare sfogo alla propria passione per la cucina. Sono sempre di più gli italiani che si danno all’home restaurant, trasformando la propria casa in piccoli ristoranti amatoriali. Nata tra New York e Londra ormai diversi anni fa, oggi il fenomeno sembra aver raggiunto il suo picco, con offerte per tutti i gusti e in tutte le regioni. Persino Airbnb amplierà presto l’offerta all’home restaurant: lo sta già sperimentando in California. Come funziona? I cuochi casalinghi scelgono temi, menù, date e quant’altro. Per farsi conoscere, naturalmente, sfruttano la Rete. Alcuni creano il proprio sito Internet, molti si iscrivono alle piattaforme di social eating o a reti nate per far riscoprire le tradizioni gastronomiche locali. Se l’idea vi stuzzica, ecco alcuni indirizzi utili.

GNAMMO

PEOPLE COOKS

Nato nel 2012, è il frutto della fusione tra due start up, Cookhunter e Cookous, con sedi rispettivamente a Bari e a Torino. Vanta più di 3 mila cuochi in oltre mille città

Se siete in cerca di un pasto economico è l’indirizzo che fa per voi. Qui il conto della cena non va oltre i 6 euro

KITCHEN PARTY

Attivo in tutta Italia, esiste dal 2011

NEW GUSTO

Idea tutta abruzzese, si rivolge principalmente ai turisti. L’intenzione è quella di favorire gli scambi culturali attraverso il cibo

EATWITH

Circuito internazionale, ha anche una piccola quota di mercato in Italia

CENEROMANE

LE CESARINE

Lanciata nel 2012, è la piattaforma social di riferimento per chi cerca una cena domestica nella Capitale. La scelta è tra una quarantina di affiliati. Costo medio di una cena? Quaranta euro

Questo progetto di home food mira a valorizzare e diffondere la conoscenza del cibo tradizionale e dei prodotti tipici del territorio emiliano

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LE REGOLE DA SEGUIRE SE SVOLTA TRA LE MURA DOMESTICHE, QUESTA PRATICA NON È CONSIDERATA UN’ATTIVITÀ COMMERCIALE, NON SONO QUINDI RICHIESTE AUTORIZZAZIONI SANITARIE. È PREFERIBILE PERÒ DOTARSI DI UN ATTESTATO DI SICUREZZA ALIMENTARE. FINO A UN MASSIMO DI 5 MILA EURO LORDI L’ANNO, VIENE CONSIDERATA ATTIVITÀ LAVORATIVA OCCASIONALE, SUPERATA QUESTA SOGLIA, VA INVECE APERTA UNA PARTITA IVA.

© iStockphoto.com/keithpix (1)

DAL MONDO ANGLOSASSONE Nati tra Londra e New York, i ristoranti amatoriali si sono ormai affermati anche in Italia, dove l’amore per la buona tavola e le tradizioni gastronomiche non mancano


LA PAUSA PRANZO È A DOMICILIO

ADDIO AI SOLITI PANINI. OGGI ANCHE CHI HA NECESSITÀ DI MANGIARE QUALCOSA DI VELOCE ALLA SCRIVANIA HA L’IMBARAZZO DELLA SCELTA

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ino a qualche tempo fa, chi non poteva (o voleva) portarsi il pranzo da casa, aveva due alternative: andare al ristorante o accontentarsi di un panino alla scrivania. Per fortuna, oggi le opportunità si sono moltiplicate e anche chi non ha molto tempo per allontanarsi dallo schermo del computer può concedersi una pausa sana e gustosa in tutta comodità. Sono sempre più numerosi, infatti, i servizi a domicilio pensati proprio a questo scopo. È il caso di ZeroBriciole e delle sue lunchbox, contenenti solo cibi che non sporcano e non ungono, fatti apposta per chi trascorre la pausa pranzo alla scrivania, dai mini-sandwich di pastrami alle fascette di verdure, passando per lo stecco salato, brevettato nel 2012: assomiglia in tutto e per tutto

UN SORSO DI STORIA Da sinistra, il particolare di una lunch box di This is not a sushi bar, una consegna firmata Tramé (attivo anche per l’aperitivo) e la presentazione di Diet to go

al classico cremino, ma al posto del Roma e Palermo. In entrambi i casi gelato troverete risotto alla milanese, l’idea è quella di fornire piatti con un pollo o polenta. Per chi punta sul natural apporto calorico personalizzato per food o è in cerca di proposte vegan, non ingrassare o, nel secondo caso, c’è poi Lattughino, mentre se vi viene per perdere peso. Entrambi hanno proprio voglia di un tramezzino è nato l’opportunità di ricevere un pratico ZEROBRICIOLE da poco Tramé, che propone 30 diverse pacchetto contenente il cibo per l’intera combinazioni di gusto. E se in questo giornata, mentre Food a porter permette campo Milano detta la tendenza, non di scegliere anche solo la pratica lunch mancano proposte nelle altre città. box. Infine, i grandi amanti del sushi Per esempio, Tramezzino.it consegna possono goderselo anche a pranzo. anche a Torino, Bologna, Monza, INNOVATIVO, VEGANO, ETNICO O IPOCALORICO: Roma, Verona, PER OGNI ESIGENZA C’È UN SERVIZIO SU MISURA Londra e Shanghai. Per chi vuole tenersi in forma con gusto ci sono poi Food In mancanza di un ristorante vicino a porter e Diet to go. Il primo ha base all’ufficio si può provare This is not a a Milano, mentre il secondo vi segue sushi bar. Partito da Milano, non esclude anche a Genova, La Spezia, Modena, future aperture nel resto d’Italia.

VIAGGI DI PIACERE

PROPOSTE AD ALTO TASSO GOURMET PER AMANTI DELLA CUCINA

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tanchi delle solite ferie? Se il buon cibo è tra le vostre passioni, provate a unire qualche lezione di cucina alle ore di relax. Le proposte non mancano. Per esempio, in Sicilia, potete unire il piacere del mare a quelli della tavola. A Catania, nel Monastero dei Benedettini di San Nicolò Arena, viene proposto un corso sulla cucina dei monaci, mentre gli amanti del pesce possono scoprire tante informazioni utili su come si pesca e lavora presso il mercato della città (sicilying.com). Viaggiando verso Nord, anche la Toscana riserva proposte interessanti. Vicino a Cortona, nella villa Il Falconiere, lo chef Silvia Regi Baracchi (una stella Michelin), svela i segreti dei piatti tipici della regione, mentre a Tavernelle Val di Pesa è un altro “stellato”, Giovanni Luca Di Pirro, a organizzare interessanti lezioni ai fornelli (castellodelnero.com, in foto). Proseguendo lungo la penisola raggiungiamo il Trentino Alto Adige. Qui, al Brauhotel Martinerhof, il mastro birraio Martin Stadlöder vi svelerà i segreti della Martinsbräu. Per chi intende varcare i confini nazionali, a Londra si possono seguire i workshop di Rubies in the Rubble e nella cooperativa inglese Wye Community Farm vi insegneranno tutto sulle marmellate. Se amate le erbe aromatiche, meglio invece fare tappa in Provenza, allo Chateau La Dorgonne, mentre nei Paesi Bassi, una volta al mese si tiene uno stuzzicante workshop sulle ostriche (marcelschouwenaar.nl).

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Senza rete

MARCO COBIANCHI

EUROPA: L’UNICA LINEA POLITICA POSSIBILE

Giornalista economico, Cobianchi è autore dei libri Bluff, Mani bucate e Nati corrotti. È stato autore e conduttore su Rai 2 del programma Num3r1

© GettyImages

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i può (si deve) criticare Matteo Renzi per mille motivi tranne per quello di essere stato “servo” della Germania nella vicenda del salvataggio della Grecia. Anzi “salvataggio” (con le virgolette) perché in realtà la Grecia è stata spogliata di 50 miliardi di patrimonio pubblico che, in caso di mancato rispetto delle condizioni poste dalla Germania, sarà venduto al maggior offerente: ci vuole coraggio a chiamarlo “salvataggio”. Ma, dicevamo: Renzi non può essere criticato per aver sposato la linea del rigore tedesco semplicemente perché quella è l’unica linea che può esistere in Europa. Non è possibile ve ne siano altre. E l’umiliazione alla quale è stato sottoposto l’unico Paese che ha provato a infrangerla, la Grecia, sta lì a dimostrarlo. Renzi è un politico non molto accorto, ma decisamente opportunista e sa perfettamente che per un Paese come l’Italia sposare una linea anti-rigorista sarebbe stato un suicidio non solo perché i mercati, le cui reazioni spesso isteriche hanno riflessi politici, l’avrebbero punito, ma anche perché la prossima legge di stabilità, della quale si inizierà a discutere dopo l’estate, potrà stare in piedi solo se conterrà quella flessibilità che Bruxelles, cioè la Germania, ci concederà. Difficile mettersi, ora, contro chi, domani, ci dovrà graziare. Per questo Renzi ha fatto bene ad assumere in Europa un ruolo defilato, se non addirittura del tutto assente. Per rendersi conto della sua (nostra) irrilevanza basta leggere qualche giornale straniero. L’unica linea politica europea può essere quella del rigore di bilancio semplicemente perché un capo di governo non può chiedere, oltre un certo limite, ai propri cittadini di finanziare, attraverso le tasse, i consumi dei cittadini di un altro Paese. Di fronte a questa contraddizione insanabile di solito

RENZI NON POTEVA FARE ALTRO CHE SPOSARE LA STRATEGIA DEL RIGORE TEDESCO la ricetta che si propone è quella di accelerare l’integrazione europea per arrivare agli “Stati Uniti d’Europa” credendo, illudendosi e illudendo, che a quel punto, e solo a quel punto, l’Europa arcigna di oggi si trasformerà nell’Europa «dei popoli e delle nazioni» finalmente libera da interessi nazionali. Questo è profondamente falso: gli Stati Uniti d’Europa non potranno essere che ancora più rigorosi di quanto non sia l’Europa di oggi perché, aumentando l’interdipendenza, aumentano i controlli, le verifiche, le punizioni. Certo, esiste l’esempio americano, dove la California insolvente

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semplicemente fallisce senza mettere a rischio la solvibilità degli Usa, ma quel modello presuppone l’assunzione del principio di responsabilità come faro della vita civile (se sbagli, fallisci), mentre il principio guida europeo è quello della solidarietà (se sbagli, ti salvo) assai più ipocrita (se sbagli ti salvo, ma alle mie condizioni). Quello che viene prospettato ai popoli europei è, quindi, di perdere totalmente la propria sovranità in nome di una presunta superiorità morale dell’Europa rispetto ai biechi interessi nazionali che oggi condizionano la vita politica europea. Illusi.


Expo 2015 IL MIO PIANETA DALLO SPAZIO

DALLO SPAZIO AL MUSEO

È IN PROGRAMMA FINO AL 10 GENNAIO 2016, AL MUSEO NAZIONALE DI SCIENZA E TECNOLOGIA DI MILANO LA MOSTRA DAL TITOLO IL MIO PIANETA DALLO SPAZIO, FRAGILITÀ E BELLEZZA, CHE PORTERÀ I VISITATORI IN UN VIAGGIO IN ALCUNI DEI POSTI PIÙ BELLI E REMOTI DELLA TERRA, MA PERMETTERÀ ANCHE DI VEDERE UNO SCATTO DAVVERO ESCLUSIVO: L’EXPO DI MILANO VISTO DALLO SPAZIO. GLI OCCHI DEI SATELLITI FORNISCONO NUMEROSE IMMAGINI DI UNA TERRA IN CONTINUA EVOLUZIONE: GHIACCIAI CHE SI SCIOLGONO, LIVELLI DEL MARE CHE SI ALZANO, FORESTE PLUVIALI MINACCIATE DALLA DEFORESTAZIONE, DESERTIFICAZIONE IN AUMENTO CON CONSEGUENZE NEGATIVE SULLE COLTURE E LA CRESCITA URBANA INCONTROLLATA. LA MOSTRA È STATA ORGANIZZATA PER COINCIDERE CON EXPO, ED È FOCALIZZATA IN PARTICOLARE SULL’AGRICOLTURA PER METTERE IN RISALTO IL TEMA “NUTRIRE IL PIANETA, ENERGIA PER LA VITA”.

DIECI START UP PER NUTRIRE IL PIANETA CON IL PROGRAMMA FEEDING THE ACCELERATOR DEL PADIGLIONE USA, PARTE LA SFIDA PER NUOVI MODELLI DI BUSINESS NEL SETTORE ALIMENTARE. SELEZIONATE QUATTRO REALTÀ DEL NOSTRO PAESE

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a Ignitia, che via sms fornisce previsioni del tempo altamente accurate e mirate per migliorare le scelte giornaliere degli agricoltori dell’Africa occidentale, a Mintscraps, piattaforma on line in grado di far risparmiare milioni di dollari alle imprese ottimizzando la gestione dei rifiuti. Sono solo due delle dieci idee di business appena selezionate da Feeding the Accelerator, programma del Padiglione Usa a Expo Milano 2015 che si pone l’obiettivo ambizioso di rivoluzionare il modo in cui il cibo è prodotto, distribuito,

consumato e rappresentato. «Crediamo che i team selezionati», ha affermato l’ambasciatore americano Douglas T. Hickey, commissario generale del padiglione, «avranno un ruolo essenziale nello sviluppo di nuove idee e che saranno in grado di vincere la sfida globale di nutrire 9 miliardi di persone nel 2050». Nel progetto, curato da AtelierSlice e Microsoft, rientrano anche quattro start up italiane, tra cui Ice Dreams, che

Info e orari: www.museoscienza.org

punta a introdurre una vera e propria rivoluzione nella produzione del gelato artigianale. Info: feedingtheaccelerator.com

PNAT

MICROVITA

ICE DREAMS

KALULU

L’obiettivo è creare nuovi modelli di agricoltura attraverso piattaforme galleggianti, che permettono la coltivazione intensiva e la purificazione dell’acqua grazie all’energia solare.

Trovare un’alimentazione animale alternativa e sostenibile che non competa con quella umana. Si punta a realizzare un sistema industriale che converta prodotti organici (le mosche) in cibo per animali domestici.

Un progetto per realizzare il gelato artigianale italiano utilizzando solo l’acqua ed eliminando ingredienti come latte, uova e, soprattutto, additivi artificiali.

Sviluppa catene di fornitura brevi che collegano gli agricoltori ai consumatori, riducendo le emissioni di carbonio e stimolando il coinvolgimento dei coltivatori nella comunità.

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© Expo 2015/Daniele Mascolo (1), Usgs/Esa (1)

I PROGETTI ITALIANI


Progetto manager

GUIDO CARELLA

NON POSSIAMO FARE A MENO DELL’UNIONE

M

a l’Europa oggi c’è o non c’è? A guardare certi aspetti, quelli economici e della business community, direi di sì. Sicuramente migliorabile, ma c’è eccome ed è sotto gli occhi di tutti. Tanta della nostra economia, anche il turismo, si basa sull’Europa. Tantissimi di noi, magari quelli come i manager nelle professioni più alte, per lavoro ormai non fanno differenza nel partire per qualche città italiana o europea o a viverci per prolungati periodi di tempo. Ancora di più sono quelli che con l’Europa ci lavorano da remoto, dall’Italia, ma quotidianamente hanno a che fare con colleghi, clienti e aziende continentali. Pensiamo che gli scambi commerciali, import ed export, dell’Italia sono pari a circa 410 mila milioni con i Paesi Ue, contro i 340 mila di quelli extra Ue. Che dei quattro milioni di italiani che hanno la cittadinanza e vivono all’Oltreconfine, due milioni sono in Europa. Da un’indagine Manageritalia di qualche anno fa risulta che il 95% dei dirigenti va all’estero per lavoro annualmente e il 40% ci va almeno

Carella è presidente di Manageritalia, la federazione nazionale dei dirigenti, quadri e professional di commercio, trasporti, turismo, servizi e terziario avanzato. L’associazione rappresenta in tutto il Paese circa 35.500 professionisti

una volta al mese, il 72% di questi in Europa. E potremmo continuare così... C’è di più. Quando quotidianamente parlo con i nostri manager, l’Europa è sempre ben presente. Perché ormai è il loro mercato locale, il luogo dove tessere alleanze, il riferimento per trovare appoggio, non solo normativo, per entrare e stare con pari diritto sui mercati più lontani. Imprenditori e manager e tantissimi, se non tutti, di quelli che fanno parte dell’Italia produttiva non ci chiedono sicuramente meno Europa. Ne chiedono di più, con poche, chiare e comuni regole che permettano uno sviluppo ancora maggiore del mercato, della concorrenza e della crescita. Che creino, insomma, l’ecosistema che serve per competere sui mercati globali, perché è li che si gioca la partita. Una partita che sottende anche e soprattutto la crescita sociale. Né meno Europa ci chiedono i giovani. Tanti sono ormai usi viverla alla fine degli studi con l’Erasmus, andandoci a lavorare per trovare quello che qui non trovano,

© GettyImages

SPESSO NE CONOSCIAMO SOLO I RISVOLTI NEGATIVI E NON QUELLI POSITIVI, CHE SONO MOLTI DI PIÙ

RIUNITI Un’immagine del Parlamento europeo di Strasburgo (Francia)

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le opportunità, e/o nelle loro vacanze. Si sentono e si vivono europei e lì vedono il loro futuro. Ecco perché non possiamo più fare a meno dell’Europa, perché l’Europa siamo noi e soprattutto sarà il nostro futuro, nel bene o nel male. Tanto vale che cerchiamo di costruirla meglio. Ma dobbiamo metterci del nostro (non delegare come sempre “al buio” tutto agli altri), facendoci un’idea di quello che ci serve davvero e lottare perché chi può e deve lo faccia. E chissà che questo non serva a rimettere in sesto anche l’Italia e il nostro futuro. Perché, ricordiamoci, da quando abbiamo posto le basi per creare l’Europa ne è passata di acqua sotto i ponti, soprattutto sono passati anni di prosperità e di crescita. In linea con gli ideali che mossero i padri fondatori: pace, unità e prosperità. Forse non ce ne rendiamo conto, ma ci ha dato democrazia, diritti e libertà e anche il mercato unico e la libera circolazione di merci, servizi e persone. Sino ad arrivare all’euro e ai giorni nostri. Certo, tante sono le cose non fatte o carenti. Non c’è una vera politica comune, neppure leggi e norme, e forse proprio questa carenza politica, spesso voluta per non perdere potere, ha fatto vivere a tutti i cittadini l’Europa come lontana e “contro” il loro interesse. E a volte lo è stata e lo è davvero. Spesso conosciamo solo i risvolti negativi (per esempio le frodi sui fondi europei) che ci sono e non quelli positivi che sono molti di più. Ma qualcuno pensa che in un mondo ormai globale possiamo prenderci la nostra fetta di crescita e sviluppo economico e sociale soli e in ordine sparso? No, saremmo spazzati via e privi di ogni possibilità reale di incidere sul futuro del pianeta. Allora stare insieme serve ed è indispensabile. Dobbiamo solo decidere come. E per farlo serve che tutti o tanti italiani ed europei sappiano di più di quello che è e potrebbe, dovrebbe essere la nostra “Unione”. Serve più informazione e condivisione del nostro stare insieme. Serve imporre alla politica di tornare alta e darci quello che occorre per farla davvero l’Europa, una volta per tutte.



© Gettyimages (1)

Lavoro

CONSIGLI PRATICI I candidati non amano essere contattati né al di fuori dell’orario di lavoro, né durante il weekend.

81%

Gli intervistati maggiormente disponibili alla comunicazione diretta con le aziende che già segue nei siti di professional networking.

Essere ricontattati al termine della selezione è considerato una priorità dal

94%

degli intervistati.

73%

I professionisti che preferirebbero ricevere conferma al telefono in caso di esito positivo della selezione, mentre il

65%

sceglierebbe una email in caso di esito negativo.

IL BON TON DELLE AZIENDE PER ATTIRARE I TALENTI DA LINKEDIN UNA RICERCA PER AIUTARE LE IMPRESE A RECLUTARE I MIGLIORI

C

ome convincere un talento ad accettare un’offerta retributiva pesa maggiormente rispetto sia alla possibilità per cambiare posizione? Prova a rispondere di carriera professionale (38%) che all’opportunità di LinkedIn con il suo Talent Trends 2015, uno studio un lavoro più stimolante (37%). Quest’ultimo però è un cui hanno preso parte 20 mila professionisti da tutto il aspetto sempre più rilevante. mondo, di cui 700 dall’Italia, incentrato sulle esperienze Se il colloquio non è soddisfacente, la gran parte dei e le impressioni dei professionisti che stanno cercando professionisti (83%) scarterebbe l’offerta di un potenziale un lavoro e sui fattori che possono determinare il loro datore di lavoro, anche nel caso di un’azienda considerata maggiore o minore interesse per una nuova posizione. interessante. Al contrario, un’esperienza positiva in fase Innanzitutto emerge che la ricerca del lavoro avviene di colloquio potrebbe far cambiare idea all’87% dei sempre più on line: per individuare le nuove opportunità professionisti. il 63% degli intervistati utilizza i siti di professional networking e il 78% si dichiara interessato a ricevere proposte. L’OFFERTA RETRIBUTIVA RESTA LA MOTIVAZIONE Sul fronte delle motivazioni che spingono al PRINCIPALE CHE SPINGE AL CAMBIAMENTO cambiamento, per il 54% del campione l’offerta

I MANAGER ITALIANI EMIGRANO IN SVIZZERA EMERGE DA UN RAPPORTO DELLA SOCIETÀ DI HEAD HUNTING ELAN INTERNATIONAL. A FAVORIRE LO SPOSTAMENTO LA STABILITÀ ECONOMICA E LA VICINANZA CON LA PENISOLA

S

empre più manager italiani scelgono la Svizzera per lavoro. Solo nel primo semestre del 2015 la percentuale di dirigenti del nostro Paese trasferitasi in territorio elvetico è cresciuta del 21%. Il dato emerge da una ricerca effettuata dalla società di head hunting Elan International, che ha rilevato spostamenti soprattutto verso imprese attive nei comparti impiantistico e farmaceutico, con

quartier generale a Basilea e Ginevra. A puntare sulla Svizzera sarebbero soprattutto direttori risorse umane o manager del marketing (diretti perlopiù nella zona di Ginevra), ma ci sono anche profili commerciali nel settore chimico e farmaceutico. C’è richiesta pure per gli ingegneri chimici con una discreta esperienza lavorativa alle spalle, soprattutto se in multinazionali.«Gli stipendi per queste

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figure», spiega Giuseppe Cristoferi, partner di Elan International, «sono più elevati, anche del 15-20% rispetto a quelli italiani, e possono partire da 40-45 mila euro lordi l’anno e arrivare a 100 mila euro». La Svizzera è tra le mete preferite non solo perché viene considerata uno Stato sano e solido, ma anche per la vicinanza geografica con l’Italia e il prelievo fiscale inferiore al nostro.


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People

MANTOVANI AL VERTICE DI ANFIMA MONICA MANTOVANI È IL NUOVO PRESIDENTE DI ANFIMA, L’ASSOCIAZIONE NAZIONALE DEI FABBRICANTI DI IMBALLAGGI METALLI E AFFINI. NATA A QUISTELLO (MN), 43 ANNI, LA MANAGER È DIRETTORE COMMERCIALE DI REXAM BEVERAGE CAN ITALIA SRL, LEADER NELLA PRODUZIONE DI LATTINE PER BEVANDE.

TWIN SET

ALESSANDRO VARISCO Amministratore delegato Twin Set-Simona Barbieri comunica che Alessandro Varisco è stato nominato amministratore delegato della società, mentre Simona Barbieri è stata riconfermata direttore creativo e amministratore. Con una consolidata conoscenza del settore, il manager ha rivestito la carica di a.d. di Moschino dal 2009 dopo gli incarichi in Gianfranco Ferrè, Versace e Valentino.

QVC ITALIA

LG

NISSAN

PAOLO PENATI Amministratore delegato

DAVID DRAGHI Mc Business Unit Director

DANIELE SCHILLACI Executive Vice President

Paolo Penati assume la guida di Qvc Italia in qualità di amministratore delegato. Il retailer multimediale, parte di Liberty Interactive Corporation, è attivo in Italia dal 2010, anno di ingresso in azienda del manager. Prima di passare a Qvc, Penati è stato Ceo della catena di cosmetici La Gardenia, dopo 11 anni in Blockbuster Italia con diversi incarichi fino a quelli di direttore generale e Ceo.

Lg Electronics Italia nomina David Draghi Mc Business Unit Director. Il manager, laureato in Economia e commercio alla Sapienza di Roma e con una lunga esperienza professionale nei settori healthcare, beverage e technology, è entrato a far parte del team Lg nell’ottobre del 2014 e in pochi mesi ha conseguito risultati di rilievo che lo hanno portato a ricoprire il nuovo incarico e a guidare il team mobile.

Nissan annuncia che Daniele Schillaci, a oggi Top Executive vendite e marketing per l’Europa di Toyota, assumerà il ruolo di direttore globale delle vendite e del marketing. In veste di Executive Vice President, lavorerà nella sede centrale di Yokohama, in Giappone. La sua carriera ha avuto inizio nel 1993 in Renault e dal 2001 in Fiat Auto (Alfa Romeo), prima dell’approdo in azienda nel 2011. Parla francese, inglese e spagnolo.

ENEL GREEN POWER CAMBIA IL CDA IL CDA ENEL GREEN POWER HA NOMINATO PER COOPTAZIONE FRANCESCA ROMANA NAPOLITANO QUALE AMMINISTRATORE NON ESECUTIVO DELLA SOCIETÀ AL POSTO DELL’USCENTE ANDREA BRENTAN. RESPONSABILE LEGAL AFFAIRS GLOBAL INFRASTRUCTURE AND NETWORKS, È LAUREATA IN GIURISPRUDENZA ED È ENTRATA A FAR PARTE DEL GRUPPO NEL 2005.

LAMPARELLI PASSA A SALCOM MAURO LAMPARELLI DOPO OLTRE 10 ANNI IN TRADELAB – SOCIETÀ SPECIALIZZATA IN RELAZIONI DI SCAMBIO FRA IMPRESE E FRA IMPRESE E CONSUMATORE – HA ASSUNTO LA DIREZIONE SVILUPPO DI SALCOM SERVIZI. IL SUO RUOLO SARÀ NEL PROCESSO DI CRESCITA DI UNA SOCIETÀ GIÀ LEADER NEI SERVIZI A VALORE AGGIUNTO A SUPPORTO DELLE ATTIVITÀ DI SELL OUT E COMUNICAZIONE.

FREMANTLEMEDIA

POLTI

BNP PARIBAS

FILIPPO MADELLA B. Entertainment Director

MONICA CEPPI Corporate Marketing Director

FEDERICO TRIANNI Senior Sales Manager

Filippo Madella entra in FremantleMedia Italia nel ruolo di Branded Entertainment Director. Milanese, 37 anni, il manager ha iniziato la propria carriera nel gruppo Carat. Passato nel mondo delle concessionarie (Sport Network e Advergreen) e dei centri media (Gruppo Comedi/Edisport), dal 2009 entra in Viacom/Mtv, dove lascia la posizione di responsabile commerciale Centro/Nord Italia.

Nuovo Corporate Marketing Director di Polti: si tratta di Monica Ceppi, da vent’anni nel marketing e nelle vendite sviluppando e gestendo strategie di branding sia in contesti B2B che in ambito retail. Inizia il proprio percorso professionale in Bosch, prosegue la carriera entrando nel mondo dell’abbigliamento con Lovable fino all’esperienza nel gaming con la spagnola Codere.

Nuovo ingresso in Bnp Paribas Investment Partners Sgr: Federico Trianni entra a far parte del team External Distribution in qualità di Senior Sales Manager. Proviene da Schroders dove ha ricoperto il ruolo di Sales Manager Retail e Wholesale dal 2008 a oggi. Precedentemente ha avuto per sette anni esperienze lavorative di gestione e analisi in Italia e all’estero.

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L’ORÉAL

NICOLA SMERAGLIUOLO Chief Financial Officer Nicola Smeragliuolo è il nuovo Chief Financial Officer di L’Oréal Italia. ll manager, 44 anni, è laureato in Economia e commercio all’Università Cattolica di Milano. Dopo cinque anni di consulenza in Avon, ha iniziato nel 2000 la carriera in azienda nella divisione Lusso, con diversi ruoli fino alla direzione controllo e finanza di questo settore, per poi iniziare un percorso interrnazionale.


SANOFI

LAURA BRUNO Vicepresidente risorse umane G.O. Laura Bruno, direttore risorse umane Sanofi Italia, assume il ruolo di vicepresidente risorse umane Global Operations con responsabilità a livello mondiale. Laureata in Economia alla Bocconi con specializzazione in Organizzazione aziendale, Bruno ha conseguito un Master esecutivo presso la Fondazione Istud e un master in Executive Coaching. Ha lavorato in Bracco, Amgen e Hp.

GARMIN

CARLO MACALUSO B2B Manager Carlo Macaluso entra in Garmin Italia nel ruolo di B2B Manager per l’Italia e i Balcani. Quarantasette anni, originario di Marsala (Tp), vanta una profonda esperienza nel settore automotive: interrotti gli studi universitari, entra in Avis Autonoleggio per poi approdare nel 1998 in Savarent (azienda del Gruppo Fiat) in qualità di District Sales Manager. Nel 2002 arriva in Leasys che lascia otto anni dopo per Tom Tom.

MARZOTTO SIM

JACOPO CECCATELLI Co-amministratore delegato Nuovo ingresso in Marzotto Sim: è Jacopo Ceccatelli che, in qualità di co-amministratore delegato, guiderà il piano di sviluppo della società in team con Antonio Chiarello, già a.d. e direttore generale. Il manager ha fondato e guidato Jc Associati Sim, una delle principali società di consulenza indipendente in Italia, e Jci Capital Ltd, attiva nell’asset management e nel capital market.

SAP

ANDREA CARDANO Field Services Director Sap annuncia la nomina di Andrea Cardano a Field Services Director Sap Italia. Nato nel 1972 a Piacenza e laureato in Ingegneria gestionale all’Università di Milano, il manager conta oltre 16 anni di esperienza nel settore It: in Sap dal 2002, ha ricoperto diversi ruoli strategici di crescente importanza all’interno della divisione. Aveva iniziato la sua esperienza professionale nel 1998 in Elsag (oggi Selex Elsag).

PILOTTI NUMERO 1 DEI CALZATURIERI ANNARITA PILOTTI, A.D. DI LORIBLU (FERMO), È STATA ELETTA PRESIDENTE DI ASSOCALZATURIFICI. NATA NEL 1958, È LA PRIMA DONNA A RICOPRIRE IL RUOLO. NEL 1995 LASCIA L’INCARICO IN POLIZIA PER ENTRARE NELL’AZIENDA FONDATA DAL MARITO GRAZIANO CUCCÙ, CONDUCENDOLA NEL SETTORE DELLE CALZATURE DI LUSSO.

TASCA PRESIDENTE DI ESD ITALIA MANIELE TASCA È IL NUOVO PRESIDENTE DI ESD ITALIA. ELETTO DALL’ASSEMBLEA GENERALE, INSIEME AI DUE VICE SERGIO REALE DI ACQUA&SAPONE E MAURO CARBONETTI DI SUN, SOSTITUISCE MARCELLO POLI, PRESIDENTE NELL’ULTIMO BIENNIO. TASCA, 46 ANNI, DAL 2009 DIRETTORE GENERALE DI SELEX GRUPPO COMMERCIALE, PARTECIPA DA SETTE ANNI ALL’ATTIVITÀ DI ESD.

JAGUAR LAND ROVER

20TH CENTURY FOX HE

SKY

LEMANIK

ARTURO FRIXA D.g. sviluppo rete e training

ALESSANDRO CACCAMO Country Manager

PAOLO LORENZONI Head of Ott & New Media

Jaguar Land Rover Italia istituisce una nuova strategica figura che lavorerà per portare gli standard qualitativi della rete a livelli di eccellenza: il ruolo viene affidato ad Arturo Frixa, che assume la carica di direttore generale sviluppo rete e training. Marco Santucci, già direttore generale Sales Operations, assume di conseguenza la carica di direttore generale Sales & Marketing.

Gian Maria Donà dalle Rose, presidente e amministratore delegato di Twentieth Century Fox Home Entertainment Italia e Spagna, lascerà I suoi attuali incarichi a fine dicembre 2015 per insegnare nelle università e aiutare enti non profit, ma rimarrà come presidente onorario. Al suo posto verrà promosso Alessandro Caccamo come Country Manager per l’Italia (a José Iriondo andrà la responsabilità della Spagna).

Sky Italia annuncia la nomina di Paolo Lorenzoni a nuovo Head of Ott & New Media, responsabile della struttura e delle attività di Sky Online. Come partner di Lab Next, si era occupato di progetti di marketing. Trasferitosi a Londra per Current Tv, Lorenzoni è poi approdato in Sky Italia per lanciare le attività sui Social Media. Dopo una parentesi di un anno in Discovery Italia come Vp Marketing & Digital, è tornato in Sky.

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ALESSANDRO CAMERONI Responsabile Selected Bond Lemanik, società attiva nel settore dell’asset management, si rafforza con Alessandro Cameroni che, già parte del team di gestione del comparto Lemanik Selected Bond, ne acquisisce ora la responsabilità. Il manager 49 anni, è laureato in Economia e commercio all’Università Cattolica di Milano e ha lavorato in Cariplo, Intesa Sanpaolo e Vegagest.

MILLWARD SCEGLIE TAVOLARO MILLWARD BROWN NOMINA EUGENIO TAVOLARO MANAGING DIRECTOR PER L’ITALIA. ARRIVA DA FORRESTER RESEARCH DOVE ERA SALES COUNTRY MANAGER PER ITALIA E SVIZZERA. HA LAVORATO IN NIELSEN, CPGMARKET E PWC CONSULTING. HA CONSEGUITO UN MBA ALLA SDA BOCCONI E UNA LAUREA IN INGEGNERIA GESTIONALE.


Eventi

LA MANCANZA NEL CUORE IL VUOTO CHE IMPOVERISCE LA PERSONA SARÀ IL TEMA CENTRALE DEL MEETING DI QUEST’ANNO, CHE SI SVOLGERÀ DAL 20 AL 26 AGOSTO ALLA FIERA DI RIMINI. TANTI GLI OSPITI DEL MONDO DELL’ECONOMIA E DELLA POLITICA, E CI SARÀ ANCHE IL DEBUTTO DEL PREMIER MATTEO RENZI

100

CONVEGNI

14

ESPOSIZIONI

10

SPETTACOLI

15

MANIFESTAZIONI SPORTIVE

IL PROGRAMMA DEL MEETING DI RIMINI

«D

i che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?»: sono queste parole di Mario Luzi a dare il titolo dalla XXXVI edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli, che si terrà tra il 20 e il 26 agosto alla Fiera di Rimini. Fittissimo come sempre il calendario degli appuntamenti, che prevede 100 convegni e 14 esposizioni, oltre a 10 spettacoli e più di 15 manifestazioni sportive. Sarà dunque il tema della mancanza al centro della riflessione insieme con l’origine di questo vuoto che impoverisce la persona, riduce il desiderio e porta «l’incurante superficialità o la confusione senza speranza o la ripetizione compiacente di “verità” diventate vuote e trite», prendendo spunto dalle parole di Hannah Arendt. Arte, musica, poesia – ancor più centrali in questa edizione – rappresentano la scintilla di nostalgia capace di suscitare il desiderio dell’eterno. L’Italia e la sfida del mondo, previsto per martedì 25 alle 13, sarà l’evento che vedrà la partecipazione, per la prima volta, del presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Il premier sarà il capofila dei grandi ospiti istituzionali: oltre al presidente dell’Anci, Piero Fassino, e al governatore della Lombardia, Roberto Maroni, è prevista anche la presenza dell’ex presidente della Camera, Fausto Bertinotti, e dei ministri Martina, Delrio, Gentiloni, Padoan e Poletti. Tante le adesioni anche dai protagonisti dell’economia italiana come Brunello Cucinelli, Michele Mario Elia (Ferrovie dello Stato), Stefano Colli-Lanzi (Gi Group), Cristina Scocchia (L’Oréal Italia), Nerio Alessandri (Technogym), Maximo Ibarra (Wind) e Andrea Zappia (Sky). Si affronteranno, infatti, diversi temi economici: dalle prospettive

CENTRALI SARANNO MUSICA, ARTE E POESIA, CAPACI DI SUSCITARE IL DESIDERIO DELL’ETERNO

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Alcune immagini dei tanti giovani che hanno affollato, da visitatori o da volontari, lo scorso anno la Fiera di Rimini per il Meeting sul tema delle periferie. Quest’anno per la prima volta sarà presente anche il presidente del Consiglio

dell’Eurozona (21) alla sfida dei mercati globali (23) fino alla flexicurity, la nuova frontiera del mondo del lavoro (25). Da seguire anche l’appuntamento quotidiano Un caffè con... FederlegnoArredo. Ad aprire i lavori sarà un incontro sul dialogo interreligioso con il cardinale Jean Louis Tauran, un veterano del Meeting. «Di fronte alla spaventosa violenza di cui siamo testimoni», ha detto nel corso della presentazione dell’evento, «i cristiani non devono avere paura, devono cercare soluzioni perché anche i non cristiani si aspettano questo». Qualcosa nel mondo può cambiare «se osiamo».

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© GettyImages (1), Meeting Rimini (4)

I NUMERI



Luxury

IL LUSSO CORRE ON LINE

NEL 2014 LE VENDITE IN RETE HANNO RAGGIUNTO I 14 MILIARDI DI EURO ED ENTRO IL 2025 SALIRANNO A 70 MILIARDI

I CINQUE TOUCHPOINT PIÙ INFLUENTI

degli smartphone). E a vantare le migliori performance sono beauty e ready-to-wear. Cifre rilevanti, soprattutto se si considera che su base quinquennale hanno fatto registrare una crescita del 27% contro un +7% degli altri canali. Insomma, il digitale si configura sempre più come un vero e proprio canale retail, cui anche i grandi marchi del lusso dovranno prestare sempre più attenzione. Anche perché pure il 68% delle vendite off line è in realtà influenzato dalle informazioni raccolte in Rete, in special modo sui siti ufficiali dei vari brand. Lo studio ha inoltre preso in considerazione i 21 touchpoint che contribuiscono alle decisioni di acquisto, evidenziando che dei cinque più influenti due rimandano al mondo digitale (v. box). Infine, da segnalare che, quando si parla di lusso, under 35 e baby boomer (over 65) hanno comportamenti simili sia in termini di uso dei dispositivi, sia per quanto concerne il tempo trascorso su Internet e social media.

NEL GIRO DI DIECI ANNI, IL COMPARTO RAPPRESENTERÀ IL TERZO SETTORE DELL’ALTO DI GAMMA DOPO CINA E USA

1

NEGOZI NEI CENTRI CITTÀ

2

PASSAPAROLA

3

RICERCA ON LINE NEI MOTORI DI RICERCA

4

ADDETTI ALLA VENDITA

5

SITI WEB DEI BRAND

PERCENTUALI DI ACQUISTI VIA WEB GRAN BRETAGNA

11%

GIAPPONE

7%

CINA

6%

COREA DEL SUD

6%

24

FRANCIA

6%

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STATI UNITI

6%

ITALIA

5%

BRASILE

2%

© iStockphoto/mangpor_2004 (1)

I

l terzo mercato del lusso mondiale? Entro il 2025 dietro a Cina e Stati Uniti si piazzerà il Web, con vendite per 70 miliardi di euro, pari a una quota di circa il 18% dei 390 complessivi previsti per il settore. È quanto emerge dallo studio Fondazione Altagamma-McKinsey Digital Luxury Experience 2015, condotta su un panel di 6.400 core luxury consumer intervistati in otto mercati: Brasile, Cina, Corea del Sud, Francia, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti. Secondo la ricerca, l’ecommerce dell’alto di gamma nel 2015 ha già raggiunto 14 miliardi di euro, che attualmente valgono il 6% del totale di 224 miliardi macinati dal comparto (merito anche della diffusione


“Sono sempre alla ricerca della bellezza... E delle sfide.” Clark Little

I AM DIFFERENT Questa immagine è stata scattata da Clark Little e raffigura le onde delle Hawaii North Shore.

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© iStockphoto.com/DragonImages

Office life

SILENZIO, PREGO!

BISBIGLI, SUSSURRI O RUMORI MOLESTI: C’È UNA RAGIONE SCIENTIFICA SE NON SI RIESCE A MANDARE GIÙ IL CAOS DA UFFICIO. SI CHIAMA MISOFONIA E CAUSA RABBIA E FRUSTRAZIONE. ECCO COME COMBATTERLA uello lì ha una voce che proprio mi fa imbestialire». Quante volte avete sentito – o pronunciato – una frase del genere? Troppe probabilmente, soprattutto se lavorate in un open space rumoroso e ricco di suoni fastidiosi che possono scatenare la vostra misofonia. Sì, perché non è colpa vostra se non riuscite a sopportare il collega che mastica un chewing gum, quello che apre e chiude ossessivamente la penna o quell’altro che tamburella sulla scrivania con la mano mentre fa una telefonata: appartenete semplicemente a quel 20% di popolazione affetta da questa sindrome, definita circa vent’anni fa ma ignorata a lungo dalla medicina ufficiale. L’ha riscoperta di recente il New York Times che ha scovato uno studio dell’università di Amsterdam e della California del 2013

(pubblicato su Frontiers in Human Neuroscience): alla base del disturbo c’è una connessione molto stretta tra l’apparato uditivo e la corteccia limbica, che provoca l’ipersensibilità ad alcuni suoni e quindi rabbia e frustrazione. Le armi più pericolose sono viso e mani, più molesti della gola e persino di un naso che cola. La furia aumenta con la vicinanza alla fonte del disturbo e l’unica medicina sembra quella di provare a imitare il rumore per esorcizzarlo. Lo studio definisce anche le cause – più psico che fisiche – della “malattia” rivelando quanto questa sia selettiva: nel 91% emerge durante l’infanzia o l’adolescenza, è attivata solo da alcune persone (82%) e nella maggioranza dei casi è ereditaria (55%). Tutta colpa delle ramanzine petulanti di mamma? Probabilmente sì, ma non diteglielo. Altrimenti riattacca con la predica…

QUALCHE TRUCCO PER RILASSARSI Se l’ufficio può nascondere tante insidie per la nostra pace interiore, non mancano i consigli per aumentare la mindfulness, la “consapevolezza” sul posto di lavoro. Non è una filosofia new age né una strategia di self-help, bensì una semplice serie di tecniche che riescono ad aumentare la produttività riducendo lo stress. Il segreto per

ottenere dei risultati è riuscire a focalizzarsi su se stessi, eliminando le distrazioni negative. A dare il via a queste pratiche è stato il biologo Jon Kabat-Zinn negli anni ’70, prendendo spunto dallo hatha yoga e dalla meditazione. In Italia la promuovono diverse società di consulenza, ma esistono anche alcuni testi di riferimento per un approccio

fai-da-te. Tra questi c’è Mindfulness: An Eight-Week Plan for Finding Peace in a Frantic World, in cui gli autori Mark Williams e Danny Penman promettono, come dice il titolo, di insegnarvi a ritrovare la serenità in meno di due mesi con alcuni semplici accorgimenti. Per tentare di eliminare il rumore di fondo e ritrovare così la massima concentrazione.

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Tieni in ordine la scrivania

Concentrati su una cosa alla volta: niente multitasking

Sfrutta bene la pausa pranzo: focalizzati su quello che stai mangiando e stacca dal lavoro

Parla lentamente. E ascolta davvero chi ti sta parlando

Prendi pause regolari, almeno due minuti ogni ora

Scansiona mentalmente il tuo corpo e “senti” l’ambiente che ti circonda

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Social planet

MARCEL VULPIS, DIRETTORE AGENZIA SPORTECONOMY.IT ED ESPERTO DI NEW MEDIA E SOCIAL NETWORK

DALLA FINANZA AI SOGNI IL BELLO DEL MONDO DIGITAL È LA SUA VERSATILITÀ, CHE GLI CONSENTE DI ADATTARSI A OGNI SETTORE E MERCATO. COSÌ NASCONO QUOTIDIANAMENTE APP PER TUTTI I GUSTI E LE ESIGENZE DI MANAGER E PROFESSIONISTI DEL BUSINESS

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© Istockphoto.com/BartekSzewczyk

e start up strizzano sempre più l’occhio al mondo digital. In questo numero abbiamo selezionato tre idee innovative. La prima è S-Peek, che ha sviluppato la possibilità di fare credit scoring o richiedere informazioni finanziarie e fidi commerciali su migliaia di aziende europee, con un semplice click. Bircle consente di muoversi per la città con meno fatica ed è rivolta in special modo alle persone anziane e ai disabili. Una guida turistica accessibile a tutti per abbattere le barriere architettoniche e informative. Tuttavia le applicazioni servono anche per gestire la propria salute e conoscere meglio se stessi. Con Dreamboard, per esempio, i sogni degli utenti diventano un’opportunità (soprattutto per psicologi e medici) per studiare le attività oniriche di ciascuno di noi.

SI PASSA DALLE INFORMAZIONI SULLE IMPRESE EUROPEE ALLE FANTASIE NOTTURNE S-PEEK.COM

BIRCLE.CO

DREAMBOARD.COM

LAVORARE SENZA SORPRESE

SUPERARE LA DISABILITÀ IN CITTÀ

DIARIO ONIRICO

Un’applicazione in grado di monitorare e visualizzare, in tempo reale, lo stato di salute di oltre 20 milioni di aziende in ben 43 Paesi europei. È l’idea guida di S-Peek, destinata a rivoluzionare questo specifico segmento di analisi aziendale. Un credit rating scoring, creato da due ingegneri triestini (Valentino Pediroda e Mattia Ciprian) completamente gratuito sul Web (con la formula Rating free), oltre che sulle piattaforme iOs e Android. Il tutto fruibile in modo intuitivo: il colore verde contraddistingue le aziende sane, il giallo quelle equilibrate e il rosso per quelle più a rischio di insolvenza. A pagamento gli ulteriori approfondimenti, con monitoraggi Basic (79 centesimi) e Full (14,99 euro). www.s-peek.com

Il tema della disabilità è da tempo al centro di una serie di iniziative sostenibili all’interno delle aree metropolitane. Una risposta arriva dal mondo digitale, con la nascita dell’applicazione Bircle, per dare informazioni puntuali agli utenti disabili che si muovono in città, incontrando spesso molte difficoltà. In versione Web e mobile suggerisce percorsi alternativi per superare ogni barriera architettonica. In sintesi, uno strumento per semplificare la vita di chi ha problemi motori, fornendo informazioni puntuali, soprattutto, sull’accessibilità dei luoghi pubblici. Per il momento operativa (in versione beta) sulla città di Milano, nei prossimi mesi verrà utilizzata per mappare le principali aree urbane italiane ed europee. www.bircle.co

Scoprire il significato dei sogni, potendo contare su un database sempre più vasto di attività oniriche. Dreambord, app sviluppata da un pool di ricercatori e medici specializzati, può contare su un’intensa attività di self-tracking (300 mila sogni e 140 mila utenti registrati in tutto il mondo). È una sorta di diario virtuale 2.0, dove dati strutturati ed elementi narrativi aiutano i fruitori a comprendere meglio ciò che sta dietro i sogni. Tra gli utilizzatori più frequenti gli psicologi e i ricercatori, che hanno a disposizione materiale di lavoro inserito autonomamente dagli utenti. Dreamboard è disponibile gratuitamente su iOs e Android, in sette diverse lingue (inclusi il rumeno e il russo). www.dreamboard.com

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Verba (non) volant a cura di Matteo T. Mombelli

SHAKIRA ISABEL MEBARAK RIPOLL (Non ama definirsi femminista, ndr) Preferisco femmina, senza nulla togliere al fatto che le donne sono il seme dell’umanità, le colonne su cui si fonda la nostra società, le persone che ogni giorno rendono questo mondo un posto migliore. Cantautrice colombiana

RICCARDO COTARELLA

JOHN SCULLEY

Sul vino, siamo di gran lunga il Paese più importante del pianeta, per le nostre biodiversità, per la storia, per la capacità di rinnovarci e per la professionalità. Inoltre, in tanti Paesi stranieri, portiamo la nostra tecnologia, nonché il sapere e l’esperienza degli enologi italiani Enologo e presidente dell’Union internationale des oenologues

Ancora oggi, almeno negli Usa, la vera innovazione viene soprattutto dalla nuova generazione di imprenditori ventenni e trentenni. Sono loro a fare la differenza con le loro aziende piccole, innovative, agili. Le aziende medie e grandi faticano ancora, frenate da un middle management con troppo potere per dire no e troppo poco per dire sì. Soffocate da processi decisionali ancora troppo lenti. Manager ed esperto di marketing, ex Ceo di Pepsi e Apple

LUCA ZINGARETTI Il pudore. Non esiste più e per me è fondamentale. Oggi impazza la logica della condivisione. Ma ci sono certe cose che puoi condividere e altre che invece vanno custodite gelosamente. Non voglio fare il bacchettone, ma il mondo è cambiato, chi era legato a certi valori tradizionali, perché li aveva scelti e messi in ordine, ora si trova un po’ spiazzato. Attore e regista teatrale

ANGELO PANEBIANCO

ARMI IN USA PRO

CONTRO

Ho un sacco di armi a casa, vado regolarmente al poligono, anche se non sono stato educato alla caccia e non mi piace uccidere animali. Per quanto riguarda la legge di cui si parla, io sono un libertario e quindi non penso proprio che si debba impedire a un uomo di avere un’arma. CLINT EASTWOOD, attore e regista

Sono costretto a usarle nella finzione, ma le detesto. In America ci sono 320 milioni di abitanti e 300 milioni di armi. Assurdo. LIAM NEESON, attore di film d’azione, tra cui il recente Taken 3 – L’ora della verità

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© GettyImages (5), Edoardo Croci (1), Web Summit(1)

Alla fine ciò che conta è la qualità dell’istruzione. È questo il “segreto” (non poi così segreto) per avere buone élite. Ecco anche spiegato perché sia così difficile disporne in Italia. Occorrerebbe un’istruzione di qualità. Ma da noi importa a ben pochi. È un cane che si morde la coda. Élite scadenti non sono interessate a favorire un’istruzione di qualità e l’assenza di un’istruzione di qualità non migliora la qualità delle élite. Saggista e politologo, docente all’Alma Mater Studiorum Università di Bologna


Speciale

L’ANIMA

delle IMPRESE Albiera Antinori

In collaborazione con

Carlo Barlocco

MARCO BOGLIONE Giovanni Bossi NICCOLÒ BRANCA Giovanni Castiglioni Giancarlo Chimento BRUNO FANTECHI LAURA GERVASONI Eusebio Gualino MARCO ICARDI Andrea Illy Linus CLAUDIO LUTI Nicola Maccanico Renzo Rosso MARINA SALAMON FABIO SBIANCHI CRISTINA SCOCCHIA Marinella Soldi

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DOPO ANNI DI

UN CONTESTO ECONOMICO

COMPLESSO, SIAMO ANDATI ALLA

SCOPERTA DI CIÒ

CHE COSTITUISCE

OGGI LO SPIRITO DI

QUELLE AZIENDE CHE

MEGLIO DI ALTRE HANNO SAPUTO

AFFRONTARE

LE DIFFICOLTÀ

CONGIUNTURALI, SUPERANDOLE. A

RACCONTARCELO

SONO LE ESPERIENZE

E LE RIFLESSIONI

DEGLI IMPRENDITORI

CHE LE HANNO CREATE E DEI

MANAGER CHE LE DIRIGONO 31

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Marchesi Antinori

ALBIERA ANTINORI

SEMINARE per il DOMANI CRESCERE A PICCOLI PASSI, TENENDO BEN SALDI VALORI QUALI TRADIZIONE, PASSIONE, INTUIZIONE E RISPETTO DEL TERRITORIO. ECCO COME UNA DELLE AZIENDE PIÙ LONGEVE E IMPORTANTI DELL’ENOLOGIA MONDIALE HA COSTRUITO IL SUO BUSINESS. DA BEN 26 GENERAZIONI

© Sandro Michahelles

DI MATTEO T. MOMBELLI

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vrebbero avere responsabilità in azienda. Lei cosa ne pensa? Probabilmente, visto che Luxottica è stata fondata da lui, sente meno la necessità di consegnare le redini alla generazione successiva. Per noi, invece, il passaggio generazionale è qualcosa di naturale: non saremmo qui se non fossimo stati in grado di coinvolgere e preparare al meglio la generazione successiva nel corso dei secoli. Certo, può succedere che i figli non siano adatti al ruolo o non siano interessati, ma noi abbiamo sempre cercato di coinvolgerli e appassionarli fin da piccoli. È anche un po’ nella natura del nostro business. Nel settore agricolo, viticolo, si lavora su uno spazio temporale molto lento e tutto quello che facciamo viene fatto in funzione delle generazioni future, in caso contrario non avrebbe senso: la velocità con cui si ha un ritorno economico nel costruire un nuovo stabilimento non è la stessa del costruire una cantina. State già preparando il terreno per i vostri figli, quindi? Per noi si tratta di un “inserimento” continuo: non è ancora terminato il nostro e non c’è un momento in cui inizia per la generazione successiva. È un processo molto più fluido. Al momento ci sono tre generazioni che si aiutano vicendevolmente, in questo consiste la linfa vitale di un mestiere come il nostro. Anche per quanto mi riguarda non c’è stato un vero e proprio momento in cui mi sono detta “oggi inizio a lavorare” o “tra dieci mi occuperò dell’azienda di famiglia”. on è un’esagerazione affermare che buona parte della fama che La terra e le vigne sono qualcosa che vivi fin da piccolo, ti entrano nel sangue. il vino made in Italy ha a livello internazionale è merito della E mi auguro che sia così anche per i nostri figli. È un ciclo continuo, un lavoMarchesi Antinori. In più di 600 anni e in una storia lunga ben ro di apprendimento che, a un certo momento, diventa anche di insegnamento 26 generazioni, la famiglia ha sempre gestito direttamente la alla generazione successiva. propria azienda – che oggi conta oltre 1.900 ettari in Italia e alNon è mai stata attratta da un altro mestiere? tri 600 sparsi fra Stati Uniti, Ungheria, Cile, Malta e Romania – attraverso scelte No, in realtà no. Anche perché nelle aziende familiari, se c’è qualcuno che ha innovative e coraggiose. Come quella che, negli anni ‘70, ha portato il marcheuna particolare passione, si può specializzare in certi settori in modo da mettese Piero Antinori alla produzione del Tignanello, considerato ormai il precursore a frutto gli interessi personali in seno al meccanismo aziendale. Io, per esemre del Rinascimento del vino italiano, inaugurando quella categoria di vini prepio, da appassionata di architettura, ho avuto modo di curare la parte immobistigiosi a cui si sono poi aggiunte altre eccellenze come il Solaia, l’Ornellaia e liare di Marchesi Antinori, occupandomi della costruzione delle nuove cantine il Sassicaia. Tradizione, passione, intuizione, ma soprattutto il rispetto per la ter(dieci nel periodo 2006-2011, ndr). ra e i suoi frutti. Gli Antinori custodiscono e tramandano la preziosa arte del Ha iniziato a lavorare in azienda nel 1986, a soli vent’anni. C’è qualcosa della vino, che segue le logiche del mercato, ma non si piega a esse. Lo hanno capisua gestione di cui va particolarmente fiera? to a loro spese gli inglesi della Whitbread, allora multinazionale della birra, che Una delle ultime è l’elaborazione e la costruzione della cantina nel Chianpuntava a investire nel settore del vino in cerca di nuove occasioni di business. ti Classico (dove oggi si trova la nuova sede della Marchesi Antinori, a San CaEntrò in società nel 1984 con una quota di minoranza, ma dopo otto anni se ne sciano Val di Pesa - Firenze, ndr). Ho seguito personalmente i lavori ed è statirò fuori, anche per iniziativa di Piero Antinori, che, con un investimento non to un progetto molto impegnativo sia dal punto di vista dei tempi che dei cosenza rischi, decise di ricomprare le quote per tornare a gestire l’azienda in austi, ma devo dire con un ottimo risultato, funzionale ed estetico. Anche alla Prutonomia, affiancato dalle figlie Albiera, Allegra e Alessia, ormai coinvolte in prinotto mi sono tolta diverse soddisfazioni. Era una delle mie prime esperienma persona nelle attività. «Uscirono dopo qualche anno dalla società perché il ze, un’azienda piccola dove avevo la responsabilità di tutte le divisioni e potemondo del vino non è quello della birra o dei liquori, dove si ha un rapido rivo rendermi conto delle conseguenze di ogni scelta. Sono felice di aver avuto torno sull’investimento», spiega Albiera Antinori. «Nel nostro settore bisogna la possibilità di acquistare preziosi vigneti per la Prunotto e di aver posto le basi aspettare almeno 15 anni... Loro alla fine si sono resi conto di non essere inteper una realtà sana e ben equilibrata. ressati a un investimento di questo tipo». L’essere figlia del marchese Piero Antinori, portare un nome così importante, Prima foglia del ventiseiesimo ramo dell’albero genealogico di famiglia, come nel corso della sua carriera è stato più un vantaggio o uno svantaggio? tutti gli Antinori, Albiera è entrata in punta di piedi in azienda, acquisendo Come sempre, si hanno sia vantaggi che svantaggi, ma direi più vantaggi. È sisempre maggiori responsabilità. Dopo la maturità classica a Firenze e un Macuramente più facile – e fa anche piacere – quando si va all’estero e ci si prester Ipsoa in Comunicazione d’impresa, la primogenita del marchese Piero senta con un nome che tutti conoscono, ma si ha anche la sensazione che la inizia a esplorare i settori produttivi, commerciali e di gente si aspetti di più da qualcuno che ha una lunga stomarketing. Nel 1995 le viene affidata la responsabilità ria alle spalle. Bisogna essere sempre all’altezza del della Prunotto, azienda storica piemontese di cui mannome. tiene la carica di presidente dal 1998. Oggi è vicepreOltre che vini di qualità, Marchesi Antinori è celebre ansidente della Marchesi Antinori, consigliere in altre soche per essere l’azienda del settore più redditizia del cietà del gruppo e, con le sorelle e il padre, prepara la mercato italiano. Quali sono le vostre peculiarità, che strada per la 27esima generazione. possono essere prese a modello anti-crisi? Oltre alla qualità della produzione, che ci viene riconoGestire il passaggio generazionale non è sempre faci(Motto di Marchesi Antinori) sciuta da sempre, direi una buona dose di innovazione le, soprattutto quando avviene in famiglia. Recentemenin tutti i settori, dalla distribuzione alla logistica. Punte Leonardo Del Vecchio ha affermato che i figli non doARTISTA DEL VINO Classe ‘66, è la primogenita del marchese Piero. In “cantina” dall’età di 20 anni, oggi è vicepresidente dell’azienda e consigliere in altre società del gruppo, oltre che membro del Consiglio di Federvini

N

«Te duce

PROFICIO»

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SION S A P LE ERA ALBIINORI ANT

I DI IMMAGINO LE PIACCIA BERE IL VINO…

Sì, quello sì (ride).

HO LETTO CHE PREFERISCE NON BERE IL SUO.

No, non è che non beva il mio, ma preferisco bere quello degli altri. Avere la possibilità di sentire i sapori di altre zone, di altri produttori è sempre affascinante. Certo, è anche un modo per conoscere la concorrenza, ma è soprattutto un interesse verso diverse culture e sapori.

ALTRI INTERESSI?

Monto a cavallo e sono sempre, comunque, molto legata alla natura.

COLTIVA IN QUALCHE MODO IL SUO AMORE PER L’ARCHITETTURA?

Quello sì, anche perché seguendo le cantine, piuttosto che le residenze, la vivo tutti i giorni. Siamo al limite tra lavoro e interessi personali.

RIESCE A TROVARE QUALCOSA CHE NON COINCIDA PROPRIO CON IL LAVORO? LA TECNOLOGIA?

Faccio fatica a far funzionare un iPad! Mi piace molto viaggiare, ma anche lì spesso gli impegni lavorativi si incrociano con le vacanze!

PASSO DOPO PASSO

© Mauro Puccini

FAMIGLIA AL COMPLETO Da sinistra, Albiera Antinori con il padre, il marchese Piero, e le sorelle Allegra e Alessia. Tutta la famiglia è coinvolta in prima persona nelle attività aziendali. Le decisioni strategiche? In genere si prendono a tavola

1180

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1506

1971

Tutto inizia con Rinuccio di Antinoro, che si dà alla produzione del vino al Castello di Combiate, nella campagna fiorentina. La storia di famiglia subisce una svolta quando il castello viene distrutto durante un assedio. Gli Antinori si trasferiscono a Firenze.

Il 19 maggio Giovanni di Piero Antinori si unisce alla Corporazione dei Vinattieri. La famiglia entra ufficialmente nel business del vino.

Su consiglio di Lorenzo de’ Medici, Niccolò Antinori acquista nel centro di Firenze, per 4 mila fiorini d’oro, la residenza che diventerà Palazzo Antinori. È oggi di proprietà della famiglia.

Niccolò Antinori e suo figlio Piero, con il supporto dell’enologo Giacomo Tachis, avviano la “revisione critica del Chianti” che porta alla nascita del Tignanello. È il primo a essere ribattezzato dagli americani “Super Tuscan”.

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LE PERSONE

tiamo a un miglioramento continuo in tutti gli stadi dell’azienda affinché questa sia competitiva non solo dal punto di vista dei costi, ma anche del prezzo finale del prodotto, in modo da avere un margine sempre sotto controllo. In realtà, non bisogna rincorrere solo il fatturato – abbiamo avuto anche anni con ricavi inferiori – ma un buon Ebitda. Quello del vino è un mondo abbastanza ciclico, bisogna quindi non pensare solo ai periodi di vacche grasse, ma prepararsi anche agli anni in cui le cose non andranno sempre al meglio. Parlando di crisi, come l’avete affrontata? Ci sono momenti in cui la crisi in certi mercati si fa sentire di più e in altri meno. L’essere quindi presenti in tanti Paesi, aver intrapreso in passato la strada dell’esportazione, ci ha aiutato ad affrontare la recessione italiana ed europea. E soprattutto, negli anni abbiamo sempre puntato sull’immagine e la qualità dei prodotti, che ci hanno permesso di non dover combattere la battaglia del prezzo ponendoci al riparo da problematiche più pressanti. Avete dovuto affrontare tagli del personale? Per fortuna non abbiamo mai avuto – e speriamo di non avere – necessità di licenziare qualcuno perché l’azienda andava male. Diciamo che siamo stati attenti nelle assunzioni: meglio una in meno che una di più. È una cosa da cui da sempre siamo molto attenti, anche quando in alcuni anni abbiamo un carico di lavoro un po’ più elevato. Meglio muoversi a piccoli passi, senza mai esagerare e premunirsi quando i conti vanno bene. Tornando indietro di 10 anni ci sono scelte che non farebbe? Le scelte possono essere sempre migliorate. Ma quella di continuare a insistere sulla qualità è stata premiante. Se poi entriamo nel dettaglio, ci possono essere state joint venture su cui si sarebbe potuto lavorare di più, sia dal punto di vista dei risultati che delle funzionalità. Entriamo nel tema della globalizzazione e dell’avvento delle nuove tecnologie. Che effetto hanno avuto su Antinori? Per quanto riguarda la globalizzazione, vista come apertura verso nuovi mercati e l’esportazione dei nostri prodotti all’estero, ha portato molti aspetti positivi. Dal punto di vista delle nuove tecnologie, invece, certamente il Web ha provocato cambiamenti, forse più per i clienti che per noi. Oggi su Internet si hanno a disposizione informazioni su ciascun prodotto che 30 anni fa erano irreperibili e questo ha sviluppato nei consumatori la volontà di venire a vedere dove nascono i nostri vini. Per noi è un’opportunità in più, perché alla fine riusciamo a incontrare direttamente chi li gusta. C’è anche un rovescio della medaglia: l’avvento di Internet ha influito sull’autorevolezza della stampa specializzata che, per diversi motivi – tra cui la crisi della carta stampata e l’avvento dei nuovi blogger – fatica a raggiungere il pubblico finale. Certamente si è generata un po’ di confusione: è cambiata la percezione dei consumatori nei confronti dei prodotti di qualità, non tanto di quelli storici, ma di quelli nuovi. Su questo possiamo e dobbiamo lavorare. Pensate di puntare sull’ecommerce?

Non vendere direttamente è stata una scelta ponderata. Per noi è molto importante che i nostri prodotti più conosciuti siano presenti nella ristorazione e in posti dove godano di una certa visibilità. Inoltre, siccome le quantità dei vini storici non sono elevatissime, non abbiamo bottiglie in più da poter vendere on line. Per quanto riguarda gli altri vini, quelli di minor prezzo, c’è la difficoltà legata ai costi di spedizione: comprare bottiglie di Santa Cristina via Internet non è interessante per il consumatore. Non è detto, però, che nel momento in cui si evolverà la catena logistica, ci sarà un rinnovato interesse da parte nostra. All’estero ci sono Paesi in cui Antinori è più apprezzato? Stati Uniti e Germania sono i mercati di riferimento per l’export, lì i vini italiani sono molto apprezzati. Anche il mercato asiatico si sta sviluppando, anche se la Cina, almeno nel vino, è molto più indietro di quanto si possa pensare. C’è poi la Russia, che per noi non è più una novità – a parte la crisi che ora sta vivendo a causa dell’embargo –, l’Azerbaijan, il Kazakhstan… Purtroppo l’interesse sul vino va di pari passo allo sviluppo economico di un Paese, che va di pari passo a quello del petrolio. Dopo trent’anni di esperienza, oggi è diventata vicepresidente della società. Quali sono, secondo lei, le caratteristiche che un imprenditore dovrebbe avere? Sono le stesse che doveva avere una o due generazioni fa, salvo essere un po’ più reattivo, visto che il mondo gira molto più veloce. Nel nostro caso abbiamo doveri di responsabilità verso la terra che gestiamo e verso le persone che lavorano con noi, senza dimenticare la responsabilità di tramandare una serie di valori alla generazione successiva. Sembrano poche cose, ma non lo sono. Sono basilari. Bisogna stare attenti affinché l’azienda cresca sostenibilmente e coltivare la terra nel rispetto dell’ambiente. Noi lo facciamo, ma dobbiamo anche insegnarlo ai giovani. Servono serietà, onestà, impegno. Quanto conta per voi l’attaccamento dei dipendenti all’azienda? È fondamentale perché, oltre alla mission, le persone sono l’anima stessa dell’azienda. E quando sono coinvolte, ne condividono i valori, diventa tutto più facile. Molti dei nostri dipendenti sono entrati quando erano molto giovani e ci sono rimasti per tutta la loro vita lavorativa. Non è necessario che arrivino qui conoscendo la nostra storia e i nostri valori: lavorando qui “si imbevono” della cultura aziendale. Dopo più di 600 anni, 26 generazioni, crede che i valori di Marchesi Antinori siano gli stessi di sempre? Difficile dire se nel 1300 fossero esattamente gli stessi, perché la società è cambiata. Ma i valori di fondo, l’attaccamento alla terra e il rispetto dei suoi frutti ritengo siano ancora gli stessi. Sono quelli che ci hanno permesso di arrivare fino a oggi. Si dice che il vostro successo sia dovuto a scelte innovative e coraggiose. Quali sono state secondo lei? La prima è stata quella sul Tignanello, che negli anni ‘70 è uscito dagli schemi della denominazione e, attraverso varietà non autoctone, un cambio di impostazione della vinificazione e nell’affinamento, è diventato uno dei simboli del rinascimento qualitativo del vino della zona del Chianti. Della sua produzione non ha beneficiato solo Marchesi Antinori, il suo successo si è riflettuto anche sugli altri produttori: è stato in quel momento che stampa e consumatori stranieri si sono resi conto che potevano essere prodotti vini di qualità anche nelle nostre zone. Fu un’innovazione tecnologica, filosofica e di processo, che tra gli anni ‘70 e ‘90, prima con il Tignanello e poi con il Cervaro della Sala, ha attirato l’attenzione sulla Toscana, l’Umbria e su di noi. Le scelte di mio padre sono state decisive per il cambiamento della nostra cultura. Ha ereditato una azienda P molto piccola, che è cresciuta nel tempo.

sono l’anima stessa DELL’AZIENDA. Quando vengono COINVOLTE e ne condividono i valori, è tutto PIÙ FACILE

1984

2012

Il marchese Piero Antinori apre la porta a un socio esterno alla famiglia: la Whitbread. Pochi anni più tardi lo stesso marchese impegnerà i suoi fondi e Palazzo Antinori per riprendersi le quote e gestirle in autonomia con le figlie Albiera, Allegra e Alessia.

Inaugurazione della cantina Antinori nel Chianti Classico. Aperta al pubblico, è visitabile su prenotazione.

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Samsung Electronics Italia

CARLO BARLOCCO FEDELISSIMO Dopo la laurea in Giurisprudenza con una tesi in diritto commerciale, è entrato in azienda nel 2001, quando c’erano appena 70 dipendenti. Oggi la forza-lavoro della sede italiana della multinazionale è di 550 persone

GIOCARE D’ANTICIPO

I CAMBIAMENTI NON VANNO FATTI IN TEMPO DI CRISI, MA PRIMA. SAPENDO PREVEDERE GLI SCENARI, SCOMMETTENDO NEL BREVE E NEL MEDIO TERMINE. IL NUMERO UNO ITALIANO SVELA LA RICETTA ANTI-RECESSIONE DI UNA DELLE PIÙ GRANDI AZIENDE DI ELETTRONICA. E AI MANAGER CONSIGLIA: «LA PRIMA QUALITÀ È SAPER ASCOLTARE» DI MATTEO T. MOMBELLI

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U

n manager prestato alla tecnologia. Ama definirsi così Carlo Barlocco, a 44 anni al vertice di Samsung Electronics Italia e con un percorso di studi (laurea in Giurisprudenza, tesi sul diritto commerciale) che ha davvero poco a che fare con il mondo hi tech. «Quando guardo una nuova tecnologia non lo faccio con gli occhi dell’ingegnere, ma con quelli del consumatore: mi avvicino con curiosità ma anche con un po’ di sospetto», spiega il manager. Prima di mettere sul mercato un prodotto mi chiedo “ma perché le persone dovrebbero comprarlo? Qual è la sua utilità?”». In altre parole la tecnologia non fine a se stessa, ma al servizio della quotidianità di ogni individuo. Una concezione che coincide in tutto e per tutto con la filosofia della multinazionale sudcoreana, un’azienda praticamente sconosciuta al suo arrivo in Italia (1991), ma che ha saputo conquistare la leadership nel mercato Tv e smartphone e un ruolo da protagonista in tutti i settori dell’elettronica di consumo. «Quando sono arrivato eravamo circa 70 dipendenti (erano, invece, appena 13 i lavoratori al momento dell’apertura della sede italiana nel 1991, ndr) e il compito era creare attenzione sul nostro brand», ricorda Barlocco. «Oggi a valore, secondo Interbrand, siamo il settimo marchio al mondo e dobbiamo quasi affrontare un problema di sovraesposizione! Attualmente siamo 550 dipendenti con un senso di appartenenza molto forte; se 15 anni fa si andava a cercare talenti fuori, oggi sono le altre grandi aziende che vogliono portarceli via». Il manager è stato protagonista di questo cambiamento: entrato in azienda nel 2001 come Marketing Manager IT and B2B Division, la sua carriera è stata un crescendo di successi e riconoscimenti che lo hanno portato, nel 2013, al ruolo più prestigioso, quello di Senior Vice President, Head of Sales & Marketing di Samsung Electronics Italia. Nessuno meglio di lui può svelare i segreti e la filosofia che hanno permesso all’azienda di prevedere i trend futuri, cambiando più volte la propria strategia per cavalcare la crisi. Partiamo da un dato di fatto: la tecnologia è diventata fondamentale, nel lavoro e nel tempo libero. Voi, tra le aziende che più di tutte stanno portando innovazione nel settore, avvertite una certa responsabilità? Certo. Non sembra, ma con il nostro lavoro si contribuisce a cambiare la vita delle persone; non mi piace la parola “condizionare”, ma a volte capita anche questo. Si creano nuovi lavori e nuovi approcci al business. Basti pensare a come Uber stia rivoluzionando la gestione degli spostamenti. Sicuramente bisogna essere consapevoli delle responsabilità nel momento in cui si creano nuove tecnologie, che devono migliorare la qualità della vita delle persone, la loro quotidianità e non solo accelerarla. Questo per noi è molto importante e ci facciamo molta attenzione. C’è anche una funzione sociale. Assolutamente sì. È importante che da leader di mercato della tecnologia si contribuisca a sensibilizzare non solo i cittadini, ma anche il network Paese sull’importanza della digitalizzazione. Noi lo stiamo facendo con tanti progetti, che poi attuiamo sul territorio, da soli o con i nostri partner. Quando si parla di Samsung, spesso è citato il competitor Apple. Al di là della guerra tra prodotti, come vivete questo dualismo in azienda? Apple è un’azienda che aiuta a migliorare perché ha portato, soprattutto nel campo della mobile communication, tanta innovazione e ha stimolato il settore a fare dei cambiamenti importanti, sia dal punto di vista del design, dell’usabilità e dei contenuti. Avere un concorrente come Apple – per noi lo è solo nella parte mobile – è sicuramente uno stimolo. Vi sentite portatori di due filosofie diverse? Non conosco bene i principi di Apple, mi sembra che alla base di entrambi ci sia

un’attenzione verso il consumatore finale, la qualità non solo del prodotto, ma anche dell’esperienza d’uso. Per entrambi l’obiettivo non è sempre la riduzione del prezzo e l’accessibilità del device, ma l’interesse a spiegare perché il dispositivo che costa un po’ di più, magari ha più ragione di essere acquistato per le sue prestazioni e l’esperienza d’uso. Noi, però, abbiamo una peculiarità unica: stiamo lavorando all’Internet delle Cose, abbiamo un obiettivo importante sulla connessione dei nostri dispositivi, sull’ecosistema dei nostri elettrodomestici (il concetto di Smart Home, ndr). Magari in casa Apple sono focalizzati su qualcosa che per noi è solo una parte del nostro portafoglio. Qual è, secondo lei, l’anima di un’impresa? È lo scopo per cui esiste. Non può essere solo l’idea di un profitto, ma è lo scopo sociale che l’azienda stessa si propone. Quello di Samsung è di destinare le nostre risorse umane e la nostra tecnologia per creare prodotti che possano contribuire al miglioramento della società. Vogliamo che le persone assolvano bene alle loro funzioni quotidiane grazie ai dispositivi che mettiamo a loro disposizione. Cosa contribuisce a creare l’anima di Samsung? Il primo valore per noi sono le persone, cuore e motore della nostra azienda: è con la loro intelligenza che nasce il prodotto, piuttosto che la strategia di marketing. A un’impresa serve quindi uno scopo, che solitamente è quello del fondatore, servono le persone giuste e, ovviamente, una strategia di lungo termine supportata da una Ricerca & Sviluppo importante, che sia alla base della sostenibilità del business futuro. Ma in una multinazionale come la vostra, che opera in molti mercati e settori, ci possono essere più anime, più sfaccettature? No, la nostra forza è proprio quella. Ovviamente quello che chiamano human touch varia da Paese a Paese: il contributo che un italiano o un francese possono dare rispetto a un americano o a un asiatico non è né peggiore né migliore, sicuramente è diverso per una questione culturale. Tra colleghi di New York, Seul e Johannesburg non cambia il modo di lavorare, bensì il modo di interpretare la vita. Ma i principi di base – l’organizzazione, i processi, i flussi – così come l’orgoglio di essere parte di un gruppo e il senso di appartenenza, restano gli stessi. Riusciamo a coinvolgere i dipendenti in un cammino, una sfida continua di aggiornamento e innovazione, a creare un team unico, unito e forte. Questo è lo spirito comune di Samsung: la persona non è vista solo come individuo, ma anche come parte di un team. Da alcuni la crisi viene considerata un’opportunità. Voi come l’avete affrontata? Più che affrontarla, l’abbiamo prevenuta: nei momenti di crisi la domanda si stabilizza o diminuisce. Bisogna essere pronti a dare al consumatore una ragione in più per cambiare televisore, frigorifero o telefono. Se non c’è innovazione, non c’è stimolo ad acquistare. Noi abbiamo giocato d’anticipo, prevenendo la crisi e investendo tanti soldi e risorse nell’innovazione. In questi anni mai un momento di difficoltà? Non abbiamo avuto problemi di calo del business o difficoltà nell’incontrare la domanda dei consumatori. Abbiamo, però, cambiato tante volte la nostra strategia. Quando si parte, l’obiettivo di un’azienda che deve crescere va focalizzato sui volumi e sul market share, quando poi si diventa leader di mercato le priorità diventano altre. Abbiamo raggiunto risultati molto importanti nel consumer, ma stiamo spingendo su segmenti del business dove non siamo ancora forti, come il B2B. Abbiamo cambiato la nostra struttura italiana, europea e internazionale proprio nell’ottica di avere una proposta e un’offerta anche nel B2B. Come ricorda spesso il nostro Ceo, la cosa importante è il cambiamento e i cambiamenti vanno fatti quando le cose vanno bene, sapendo prevedere, scommettendo su cosa succederà nel breve e nel medio termine. Cambiare quando le cose non vanno bene e quando le risorse non sono sufficienti diventa difficile. Samsung è stata sem-

«Never

GIVE UP»

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I SION S A P LE

DI

LO O CARC C O L BAR

È VERO CHE IN PASSATO È STATO ASSESSORE E DIRETTORE DI UN GIORNALE?

Sì, assessore alla Cultura e allo Sport del mio Comune, Dairago (Mi). Forse avevo appena iniziato in Samsung e alcuni amici mi avevano chiesto di partecipare a una lista civica. È stato bello e utile al mio bagaglio professionale: lì si impara ad ascoltare, soprattutto i giovani. Durante il mio mandato da assessore ho avuto modo di dirigere anche il quotidiano del Paese, Dairago Oggi.

E OGGI COSA FA NEL SUO TEMPO LIBERO?

Cerco qualcosa che mi aiuti a “staccare” dal mio lavoro. Abitando fuori Milano, amo molto stare a contatto con la natura, pratico il giardinaggio. Ogni tanto mi piace anche cucinare, in particolare i piatti della nostra tradizione. Con il mio amico chef Davide Oldani sto imparando a fare il risotto allo zafferano; però non mi riesce, devo dire la verità. Quantomeno non viene bene quanto il suo (ride)! Poi c’è lo sport, sono molto appassionato della Juventus!

DI CUI SIETE OFFICIAL PARTNER. AVRÀ MODO DI ANDARE ALLO STADIO.

Sì, con la scusa di portare i clienti vado anche a vedere qualche partita (ride).

PRATICA IL CALCIO O LO SEGUE SOLTANTO?

Ho giocato tanto a tennis da ragazzo, anche a calcio, come tutti. Però adesso la passione per la cucina ha limitato quella per il calcio.

pre capace di prevedere i trend per gli anni successivi e di cambiare in tempo la propria strategia. A dimostrazione del sempre più rilevante ruolo dell’azienda in Italia, lo scorso aprile avete inaugurato la vostra nuova sede, il Samsung District di Milano. Quali sono, secondo lei, i pregi e i difetti del nostro Paese nei confronti delle aziende? Non ci sono pregi e difetti. Quello che il nostro Paese ha avuto per tanti anni è la capacità (o l’incapacità) di piangersi addosso piuttosto che reagire. Per fare un

PASSO DOPO PASSO

esempio, la Corea del Sud, dove si trova il nostro headquarter, è il Paese con la più alta concentrazione digitale. Ci sono reti Lte, si parla già di 5G e i ragazzi studiano nelle scuole sui tablet. In Italia per tanto tempo ci si è invece fermati a soffrire la nostra incapacità di innovare e programmare nel medio-lungo termine. Oggi però sembra che tanti progetti stiano ripartendo, c’è voglia di innovare, di fare digitale. Il problem solving degli italiani è un valore aggiunto: la nostra capacità di reagire ci ha permesso di essere uno dei Paesi più forti al mondo, indipendente da quello che si dica e si legga sui giornali.

1938

1969

1980

Byung-Chull Lee avvia l’azienda a Taegu (Corea). Inizialmente si occupa soprattutto di esportazione di prodotti alimentari essiccati, come pesce, frutta e verdura, nella Manciuria e a Pechino. Dieci anni più tardi Samsung - “tre stelle” in coreano - acquisisce mulini e macchine, proprie strutture produttive e di vendita, gettando le basi per la moderna multinazionale che porta il suo nome.

Nasce Samsung-Sanyo Electronics (ridenominata nel marzo 1975 Samsung ElectroMechanics e fusa nel marzo 1977 con Samsung Electronics). In quegli anni l’azienda avvia la produzione di Tv, lavatrici, frigoriferi e, a fine anni ‘70, di forni a microonde. L’elettronica di consumo dà un grande impulso alla crescita dell’azienda, che inizia a esportare i propri prodotti per la prima volta.

Avviene la fusione tra Samsung Electronics e Samsung Semiconductor. La crescente attenzione dell’azienda nei confronti della tecnologia porta alla creazione di due istituti di Ricerca & Sviluppo (R&S) che hanno aiutato a crescere in settori quali elettronica, telecomunicazioni ottiche e nuovi campi di innovazione tecnologica dalla nanotecnologia alle architetture di rete avanzate.

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NON È FACILE lavorare in un’azienda con una CULTURA DIVERSA dalla nostra.Ci si scontra ANCHE SUGLI ORARI: è sempre giusto prolungare una riunione fino a tardi O È MEGLIO FISSARE UN LIMITE e tornare dalla famiglia? Quali sono le caratteristiche che un manager dovrebbe avere? Personalmente non sono per le decisioni dall’alto, punto molto sul team building. Sono convinto che fenomeni nel mondo ce ne siano stati, ma anche che non siano così frequenti. Per questo la prima capacità di un manager, oltre alla curiosità, deve essere quella di saper ascoltare, a 360°: le persone al tuo fianco, i clienti, il mercato, i consumatori. Ascoltare e rielaborare il messaggio è fondamentale e tante volte permette di prevenire i momenti di crisi. Poi c’è la fiducia: non si può lavorare con un team di cui non ci si fida. Le persone devono sapere che possono esprimere la propria opinione e manifestare contrarietà al proprio capo; poi anche in un sistema democratico c’è qualcuno che deve prendere le decisioni. Terzo, ma non meno importante, è la velocità: un buon manager, soprattutto in momenti di crisi, deve essere capace di correre dei rischi e scegliere. E farlo rapidamente. Senza cadere nell’errore di dire “bisogna fare in fretta, faccio io”. Il manager deve credere nelle opinioni degli altri, poi prendere una decisione. Oggi chi non decide è spacciato, non può fare questo lavoro. Con l’innovazione tecnologica è cambiato anche il modo di lavorare. Certamente, soprattutto in Samsung, dove siamo portati a sperimentare soluzioni prima degli altri. Quindici anni fa lavoravo per otto ore al giorno davanti al Pc, oggi forse passo intere giornate lontano dal computer, ma controllo qualsiasi dato aziendale dallo smartphone: mando mail, valuto progetti, layout... C’è una ricetta per mantenere l’attaccamento dei propri dipendenti, anche quando si è costretti a prendere decisioni difficili? Per fortuna in questi anni non siamo stati costretti a prendere questo tipo di decisioni, perché le cose sono andate e stanno andando bene. Penso, però, sia importante instaurare un buon rapporto di fiducia e trasparenza con il datore di lavoro; se il dipendente viene messo a conoscenza del suo percorso all’interno dell’azienda - e sa cosa può succedere di positivo o negativo in questo percorso - si instaura un rapporto di fiducia tale per cui si può lavorare serenamente. Che bilancio può fare dei suoi primi 15 anni in Samsung? Diciamo che quello che nella carriera di un manager può essere un limite - l’aver legato per 15 anni la propria esperienza a una sola azienda - dà davvero tanto dal punto di vista umano: il poter condividere i momenti più belli della tua vita, dal matrimonio alla nascita dei figli, con tanti dipendenti e colleghi, che ti aiutano anche nei momenti di difficoltà, ti fa sentire a casa. Sapere che puoi contare

1991 Nell’anno in cui debutta sul mercato italiano, Samsung è già al lavoro nello sviluppo del suo primo telefono cellulare. Nel primo anno nel nostro Paese il gruppo, che conta solo 13 dipendenti, fattura oltre 10 milioni di euro. Vent’anni più tardi i dipendenti sono 380 e i ricavi della società passano a 2,1 miliardi di euro; la quota di mercato nell’elettronica di consumo è pari al 28%.

su persone che ti sostengono è molto importante. Un momento che ricorda con piacere e uno negativo che si è rivelato, invece, positivo nella sua carriera? Di certo il passaggio più importante, e che ha coronato il lavoro svolto nei dieci anni precedenti, è stato il riconoscimento del Chairman Award nel 2012 (premio di casa Samsung, dedicato al miglior manager a livello mondiale, ndr). Essere selezionato tra quattro-cinque su 300 mila dipendenti è qualcosa di straordinario. Ricordo con piacere la cerimonia, che si è svolta a Seul con tutta la mia famiglia. L’invito nell’headquarter, infatti, viene rivolto anche a moglie e figli -– chi vuole porta pure i genitori –, è un modo di sentirsi parte di Samsung, come in una famiglia allargata. Sono attestati di stima che superano qualunque successo o traguardo, ti lasciano qualcosa dentro e ti rafforzano per le esperienze successive. E un momento negativo che si è rilevato utile per la carriera? Non è facile lavorare in un’azienda con una cultura completamente diversa dalla nostra. Tante volte ci si è scontrati sugli orari di lavoro: è sempre giusto allungare le riunioni fino a notte oppure ogni tanto è meglio fissare un limite e tornare dalla propria famiglia? Su questo, ad esempio, le culture Sud europee come quella italiana sono in conflitto rispetto a quella asiatica e coreana in particolare. Si può anche arrivare a quello che sembra uno scontro – culturale e generazionale oserei dire –, ma nella collaborazione continua si arriva anche ad apprezzare i valori di un altro Paese, che magari non conoscevi nemmeno. Quando poi il team è quello giusto e si ha un obiettivo comune – perché poi i “pasticci” nelle aziende avvengono quando i manager non lo condividono – i problemi si aggiustano. In Samsung la nostra forza è proprio questa: saranno diverse le interpretazioni, ma puntiamo tutti nella stessa direzione. Le sue ambizioni future? A dir la verità non sono alla ricerca del cambiamento fine a se stesso, mi piace molto la fedeltà e la continuità. Spero di rimanere in Samsung, il che vorrà dire che sarò stato in grado di continuare a migliorare la produttività di questo team. Come dicevo prima, è fondamentale il rapporto di fiducia: finché la mie capacità saranno apprezzate dall’azienda, sicuramente il mio obiettivo sarà quello di continuare a lavorare per Samsung e migliorarla. Anche perché – ce ne accorgiamo dai curricula che riceviamo – oggi sono in un posto dove tanti vorrebbero stare. Perché pensare ad altro? P

2011 Al Mobile World Congress di Barcellona viene presentato il Galaxy S II. Nominato come miglior smartphone dell’anno, è il primo Android a fare concorrenza all’iPhone. Inizia la “guerra” tra Samsung e Apple.

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2015 Ad aprile viene inaugurato il Samsung District, un edificio di ultima generazione nel quartiere di Milano Porta Nuova. I nuovi uffici, dove oggi lavorano 550 dipendenti, ospitano non solo Samsung Electronics, ma anche le sedi italiane di altre società del gruppo: Samsung Engineering, Samsung C&T Corporation, Cheil Worldwide, Samsung Heavy Industries, Samsung SDI e Samsung Design Milano.


BasicNet

MARCO BOGLIONE

Non PENSARE ( solo ) al PROFITTO OFFRIRE OPPORTUNITÀ DI AFFARI AD ALTRI: È QUESTA

LA MISSION COVATA SIN DALL’INFANZIA DAL PATRON DEL NETWORK DI AZIENDE INDIPENDENTI CHE LAVORANO PER I MARCHI KAPPA, SUPERGA E K-WAY. E CHE NEL MITO DI STEVE JOBS DICE: «FARE IMPRESA È UN’OPZIONE CREATIVA DI VITA» DI ANDREA SALVADORI FOTO DI DARIO DINOCCA/BASICSTUDIOS

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I

mprenditori si nasce o si diventa? La storia di Marco Boglione, il patron di BasicNet, il colosso italiano dell’abbigliamento sportivo, farebbe propendere per la prima delle due opzioni. Torinese, classe 1956, segno del toro, Boglione nasce nel seno di una famiglia della medio-alta borghesia piemontese, ultimo di tre fratelli: il padre, Lorenzo, è dirigente di una compagnia di assicurazioni, la madre, Anna, ha avviato con successo nella città della Mole un’attività commerciale di arredamento di interni. Lo spirito imprenditoriale, dunque, non manca nel suo dna. Boglione lo fa capire fin da piccolo alla famiglia. «Volevo fare il presidente degli Stati Uniti, poi il pilota di Formula 1», racconta. «Un giorno però decisi che da grande avrei fatto l’imprenditore». Poi lo vengono a scoprire anche amici e coetanei. All’età di 16 anni, ai tempi del collegio all’Istituto Filippin di Paderno del Grappa, nel Trevigiano, dove si diploma nel 1974, decide di fare della sua passione, la fotografia, un business. I Fratelli dell’istituto religioso gli concedono il permesso di allestire una camera oscura nel ripostiglio dell’aula di fisica. «Mi impegnai a organizzare una scuola di fotografia per gli altri allievi, il cui ricavato delle iscrizioni sarebbe finito delle casse dell’istituto. Io invece ottenni il permesso di vendere gli scatti a chi fosse interessato. Stabilii un prezzo molto più basso rispetto ai costi standard delle foto-ricordo, 1.500 lire contro 5 mila. In questo modo i miei acquirenti avrebbero potuto “ri-

venderle” a genitori o parenti al prezzo ufficiale, tenere la differenza e guadagnare anche loro». Dopo il primo anno di attività, Boglione riesce a mettere in cassa più di un milione e mezzo di lire, un gruzzoletto più che discreto a quei tempi. «Quello che realizzai in collegio dal punto di vista imprenditoriale rappresenta la vera pietra miliare della mia vita professionale: offrire opportunità di affari ad altri. Non molto in fondo è cambiato da allora, se non le dimensioni del business che gestisco». Marco Boglione guida oggi un gruppo, BasicNet, che raggruppa oltre 400 imprenditori nel mondo, dà lavoro a oltre 500 persone, fattura 170 milioni di euro l’anno, con quasi 500 milioni di vendite aggregate, vede crescere i propri utili (nel 2014 arrivati a oltre 12 milioni, contro i 4,5 milioni del 2013) ed è presente in 120 mercati. Ogni anno le vendite aggregate a livello mondiale per il solo brand Kappa superano i 60 milioni di pezzi. Al gruppo fanno poi capo marchi che sono impressi nell’immaginario collettivo, come Robe di Kappa, Superga e K-Way. Boglione ha quattro figli, Lorenzo e Alessandro dalla prima moglie, Daniela Ovazza, Maria e Rocco dalla seconda, Stella Lin Hung. Lorenzo e Alessandro sono da tempo entrati in BasicNet. Dovrebbe spettare a loro prenderne le redini quando il patron deciderà di lasciare e dedicarsi ad altro. «Mi piacerebbe rimanere il principale azionista e veder crescere l’azienda senza doverla gestire. Prima o poi arriverà il momento giusto». Qual è stato l’incontro che le ha cambiato la vita? Nel 1976, a 20 anni, sulle piste da sci del Sestriere, ho avuto la fortuna di conoscere Maurizio Vitale. Fu lui, l’imprenditore che tra il 1968 e il 1971 aveva salvato dal fallimento l’azienda di famiglia, il Maglificio Calzificio Torinese, inventando prima il brand di abbigliamento casual Robe di Kappa e poi quello di jeanseria Jesus Jeans, a propormi di iniziare a lavorare. Ai tempi frequentavo la facoltà di Ingegneria, anche se la mia vera passione rimaneva la fotografia. Decisi di lasciare l’università e, dopo aver fatto uno stage in una società di comunicazione, fui assunto al Maglificio Calzificio Torinese, dove prima lavorai di notte al reparto tessitura, e in seguito all’Ufficio depositi esterni. A 25 anni ero direttore commerciale e marketing. Vitale mi insegnò tutto. Poi, quando si ammalò, mi disse: vattene e fai l’imprenditore. Questa azienda non sopravvivrà a me. E lei che cosa fece? Fondai la Football Sport Merchandise, tra le prime realtà in Europa a occuparsi di merchandising sportivo. Partimmo da un garage. E quando, come aveva previsto Vitale, il Maglificio Calzificio Torinese fallì, nel 1994 la mia società lo acquisì per 21 miliardi di lire. Nacque così il gruppo BasicNet. Una realtà assolutamente inedita ai quei tempi sotto il profilo dell’organizzazione del lavoro. BasicNet è un network di imprenditori indipendenti a cui spetta il compito di produrre e commercializzare su licenza nel mondo le collezioni disegnate e industrializzate dalla capogruppo, proprietaria dei marchi. La particolarità sta nel fatto che già allora tutti i processi aziendali erano gestiti attraverso Internet. Nei suoi primi anni da imprenditore si occupò solamente di abbigliamento sportivo? Assolutamente no. Fondai una quindicina di società in settori diversi l’uno dall’altro. Mi occupai di musica, vendetti kit per le signore che lavorano a maglia per realizzare capi firmati ma fai-da-te, entrai nel comparto dei prodotti alimentari di alta qualità, così come della consegna a domicilio, in 24 ore, di ostriche, aragoste e bistecche americane. Nel 1988 diedi vita alla BasicMerchandise e produssi magliette, felpe e cappellini per le tifoserie con un marchio di proprietà, Basic. Un nome che mi avrebbe da allora accompagnato lungo il mio percorso imprenditoriale.

«PIANO piano che ho FRETTA»

BUSINESSMAN NATO Classe 1956, Boglione avvia la sua prima attività a 16 anni nel collegio dove studiava, organizzando corsi di fotografia e vendendo gli scatti ai suoi coetanei. Da lì, e dopo l’incontro decisivo con Maurizio Vitale del Maglificio Calzificio Torinese, è cominciata la sua scalata imprenditoriale fino alla guida del gruppo BasicNet, un network di 400 imprenditori indipendenti nel mondo che producono su licenza le collezioni disegnate e industrializzate dalla capogruppo

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SSIO A P E L

NI DI LA PASSIONE PER LE NUOVE TECNOLOGIE HA CAMBIATO LA SUA VITA. COME È NATA?

CO E MAR ON I L BOG

La scoprii al liceo, quando il mio insegnante di fisica, fratel Roberto, mi mostrò la copertina del periodico statunitense Popular Electronics, che immortalava un computer Altair 8800, dicendo: «Questo oggetto cambierà il mondo».

OLTRE CHE UNA PARTE FONDANTE DELLA SUA AZIENDA, IL COMPUTER È DIVENTATO ANCHE UNA MANIA DA COLLEZIONARE…

Oggi BasicGallery, archivio storico del gruppo, possiede la più grande e completa collezione al mondo di “retrò computer”. Si tratta di circa 500 pezzi tra pc, software e altri cimeli, che raccontano la storia della rivoluzione informatica: quella intrapresa – tra il 1975 e il 1985 – da giovani visionari della Silicon Valley come Steve Jobs e Bill Gates.

E LA PROSSIMA FRONTIERA?

Da qualche anno sto esplorando una nuova passione: quella per i droni. Adoro farli volare per realizzare inusuali riprese aeree.

PASSO DOPO PASSO

1976

1985

1994

1999

2004

2007

Conosce Maurizio Vitale e inizia a lavorare per il Maglificio Calzificio Torinese.

Marco Boglione esce dal Maglificio e fonda la Football Sport Merchandise.

La Football Sport Merchandise vince l’asta per il Maglificio Calzificio Torinese e si trasforma nel gruppo BasicNet.

BasicNet è quotata alla Borsa italiana.

BasicNet acquisisce il marchio K-Way.

BasicNet acquisisce il marchio Superga, dopo esserne diventato, tre anni prima, unico licenziatario mondiale.

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Le caratteristiche del buon imprenditore si riassumono nelle “tre P”:

PAZIENZA, PASSIONE, PERSUASIONE

Lei è sempre stato un grande appassionato di tecnologia. A un anno esatto dalla morte di Steve Jobs, comprò una pagina pubblicitaria sui principali quotidiani nazionali per ricordare e celebrare il fondatore dell’Apple… La mia passione per le nuove tecnologie mi spinse a comprare nel 2010, a un’asta di Christie’s, l’Apple 1, la prima creatura nata dal genio di Jobs e Steve Wozniak: me ne ero invaghito a 20 anni, ma allora non avevo i soldi. Steve Jobs deve essere preso a esempio da chiunque voglia dedicare la sua vita al mestiere dell’imprenditore. Jobs ci ha insegnato che fare impresa deve essere considerata come un’opzione creativa di vita, lo si può fare bene solo con amore, sensibilità, un po’ di trasgressione. Pensare solo al profitto non è soltanto sbagliato, ma porta anche all’inaridimento delle idee, alla negazione in fondo del ruolo etico che è proprio dell’imprenditore. Le aziende nascono sulla base di un’ambizione e di una passione dell’imprenditore. Perché per lei l’informatica è così importante? Perché permette di gestire un flusso enorme di informazioni in tempo reale e senza errori. Un computer si può rompere, può restare senza corrente; però non può sbagliare. Senza il Web e le nuove tecnologie, sarebbe impossibile mettere in comunicazione ordinatamente un network di imprenditori nel mondo che – senza mai toccare un pezzo di carta, e qui includo fax e mail – hanno a disposizione sulle nostre piattaforme ogni passaggio dell’intera catena della domanda e dell’offerta. È quello che chiamo il “sistema nervoso digitale” di BasicNet. Vent’anni fa, quando iniziai a investire milioni – a quei tempi miliardi – in Information Technology, mi diedero del pazzo. Oggi tutte le aziende si sono adeguate. Chi non lo ha fatto, non esiste più. Il suo business, almeno negli ultimi 20 anni, è acquisire marchi storici, ormai fuori dal mercato o quasi, e rilanciarli. Quale altro tratto comune hanno i suoi marchi? Nessuno, sennò mi farei concorrenza in casa. Ogni marchio copre un segmento di mercato diverso. È vero che mi trovo meglio a lavorare con marchi che hanno una storia, ed è vero che sono posizionati tutti in un settore – quello dell’informale – che conosco bene. Ma si tratta di un settore immenso. I marchi del Gruppo BasicNet hanno target diversi, prodotti diversi e prezzi diversi. L’unica cosa che hanno in comune è BasicNet: o meglio, il suo modello di business. Cosa pensa del ruolo sociale dell’impresa, in un contesto che vede lo Stato sempre più indietreggiare e lasciare ad altri soggetti la gestione del welfare? L’impresa deve essere considerata al centro della nostra società, non può essere altrimenti. Se vogliamo alimentare un welfare che funzioni, il sistema economico deve essere florido e poggiare su basi forti. Dunque, gli sforzi della politica, di tutto noi, devono guardare a questo obiettivo. Senza crescita, senza sviluppo, le imprese italiane perdono competitività e la società è destinata all’impoverimento. Purtroppo, questo è stato lo scenario dominante negli ultimi anni, a cui bisogna porre un argine, per evitare conseguenze ancora peggiori. Se l’economia riprendesse a volare, a beneficiarne sarebbe in primo luogo lo stato sociale, a cui le imprese forniscono un contributo finanziario determinante. Dal momento che il circolo è virtuoso, se il welfare funzionasse meglio, a guadagnarci sarebbero cittadini, imprese e lo Stato stesso. La crescita inoltre permetterebbe di ridurre quel debito verso l’estero che da anni, sempre di più negli ultimi tempi, paralizza il Paese. Raddoppiando il fatturato dell’Italia, il debito scenderebbe del 50%. La crescita è l’unica strada.

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Eppure s’ingrossa il partito di chi dice che oggi, nel Belpaese, è ormai impossibile fare impresa. Lei come la pensa? Dico che è difficile, ma dico anche che l’Italia è il migliore showroom del mondo. “Italia” è un brand fortissimo: tutto il mondo vuole ciò che è italiano. E, per nostra fortuna, il nostro mercato è il mondo. Grazie a Internet, BasicNet è nata 20 anni fa già come azienda globale. Disegniamo in Italia, produciamo e vendiamo in 120 Paesi. Con la Rete siamo veloci, flessibili, affidabili. Siamo glocal: locali e globali insieme, con la testa e il cuore in Italia. Quali sono le qualità che deve avere oggi un imprenditore? Una sua collega, qualche tempo fa, mi disse che aveva scoperto “le tre P del signor Boglione”: pazienza, passione, persuasione. Credo che siano caratteristiche comuni agli imprenditori. Serve avere pazienza, perché i risultati non si contano in mesi, ma in anni, se non decenni. Poi ci vuole la passione per quanto si fa: “amore”, come diceva Jobs. Infine, occorre la capacità di coinvolgere gli altri: i tuoi colleghi per primi. Per iniziare un’impresa è necessario che almeno un altro ci creda: un socio, una moglie. Qualcuno che sia persuaso quanto lo sei tu. Noi italiani abbiamo la mentalità delle “tre P”? In generale, sì: ne abbiamo la capacità. Il guaio è che in Italia c’è un problema culturale. Il mestiere dell’imprenditore è il più etico che esista, ma la scuola e la società non lo dicono. Anzi: sovente accade il contrario. Nessuno dice ai giovani che non c’è nulla di male nel diventare ricchi. In Italia viviamo in una cultura che demonizza ancora il denaro. A meno che non arrivi sotto forma di eccezione, come diventare un super calciatore di serie A. Dati Istat alla mano, i ragazzi sotto i 18 anni da grandi vogliono fare i “personaggi televisivi” oppure i calciatori. Alcuni, più realisti, sognano di diventare avvocati o giornalisti; un po’ meno medici. Tra le ragazze, va forte il mestiere di “veline”. Meno dell’1% dei nostri ragazzi vuole diventare imprenditore. In America, gli under 18 che sognano di fare impresa sono il 25%. Infatti all’università inventano Facebook. Qui, imparano a usare Excel. Eppure lei è italiano ed è un imprenditore. Da dove le arriva la cultura d’impresa? Di certo dalla mia famiglia. Molto da mia madre, che fin da piccoli diceva a me e ai miei fratelli che dovevamo lavorare sodo, farci una posizione e non lamentarci mai. Non credo sia un caso se tutti e tre – in modi diversi – siamo diventati imprenditori. Sono cresciuto con questa ambizione. Dicevo che sarei diventato ricco. Non è andata esattamente così, perché a me piace più il viaggio della meta. Però un’azienda è nata – più di una in realtà – e ormai sono più di 30 anni che navigo in questo mestiere. A proposito di problema culturale, come si sta comportando la politica italiana? A mio giudizio il governo Renzi sta facendo bene, sta mettendo in atto delle riforme condivise. Ne apprezzo il coraggio e la determinazione. E soprattutto la volontà di valorizzare il percepito del Paese sul fronte internazionale. La nostra politica deve per prima cosa capitalizzare quell’immagine unica che l’Italia può vantare all’estero. Il nostro brand è forte, apprezzato, riconosciuto ovunque. Non parlo solo della storia, della cultura, dell’arte, di una lingua che in tanti amano. Penso anche alla serietà con cui i nostri imprenditori operano sui mercati esteri. La passione del mercato globale per l’Italia P è la leva da cui ripartire.

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Banca Ifis

GIOVANNI BOSSI EX CATHEDRA A.d. di Banca Ifis dal 1995, il manager dopo la laurea in Economia e commercio aveva iniziato la carriera di docente di Scienza della finanze alla Luiss

La TRASPARENZA come VALORE TECNOLOGIA, ORGANIZZAZIONE LEGGERA E SPORTELLI 2.0,

È IL NUOVO MODELLO CHE STRAVOLGE L’IMMAGINE TRADIZIONALE DEGLI ISTITUTI DI CREDITO: «LA NOSTRA VOCAZIONE È SERVIRE LA SOCIETÀ COSTANDO IL MENO POSSIBILE», SOSTIENE L’A.D. DEL GRUPPO VENETO. «IL SEGRETO PER CRESCERE? TRASFERIRE INFORMAZIONI» DI FRANCESCO PERUGINI

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T

radizione recente e innovazione continua. Struttura leggera e dedisenza però chiudere i rubinetti. zione alla clientela. È difficile riscontrare i valori tradizionali di un Una banca che si chiude in un momento di crisi non tradisce se stessa? Esiste istituto di credito in Banca Ifis. E non solo perché parliamo dell’uniuna responsabilità sociale del mondo creditizio? co gruppo indipendente in Italia che ha scelto di specializzarsi nel Le banche operano su licenza e devono rispettare delle regole. Mentre la pocredito: commerciale, fiscale, difficile. Non c’è un ambito che non litica nazionale chiede di aiutare l’economia reale, dall’altra parte le normatisia stato finanziato proprio mentre la concorrenza chiudeva i rubinetti a prive internazionali obbligano le banche ad avere sempre più liquidità per evitare vati e imprese. La scommessa di dare soldi mentre tutti serravano la cassaforte rischi di default. Dopo che il Nord Europa ha pagato un prezzo enorme per i si è presto rivelata vincente: lo raccontano non solo i dati di bilancio in contifallimenti bancari, si vuole evitare di esporre nuovamente i contribuenti a quenua crescita, ma soprattutto l’incredibile percentuale di assunzioni in un periosto pericolo chiedendo alle banche più solidità dal punto di vista patrimoniado in cui il mondo creditizio taglia filiali e personale: +20% nel 2014. Il segrele. Quindi, per continuare a operare o si deve trovare nuovo capitale oppure si to? La volontà di essere al passo con i tempi presentandosi come un’eccellendevono ridurre i rischi. È possibile trovare nuovo capitale dopo aver chiesto saza digitale. Che twitta le proprie proposte e chatta con i propri clienti. Ma che crifici agli azionisti? Difficile in questo momento, in cui le banche non guadaha anche un punto di vista radicalmente differente sul ruolo delle banche nella gnano. E non riescono a farlo perché il loro attuale business model non è redsocietà. Una prospettiva che solo Giovanni Bossi, amministratore delegato da ditizio. vent’anni esatti, può raccontare. Il punto di partenza è un diverso approccio nei confronti del cliente? Lei si definisce un “naturale maker del nuovo modo di fare banca”. Che vuol L’innovazione è cruciale per aprirsi alle richieste del cliente e anche di chi dire? non lo è e vuole semplicemente conoscerti. Le aziende possono contattarLe banche sono animali strani, perché operano su licenza amministrativa delci via chat e WhatsApp, senza perdere tempo per incontrare qualcuno che poi la Banca d’Italia. Poi però ogni banca è fatta a suo modo e noi come Banca Ifis non riesce magari ad aiutarle a pieno. A questo servono i nuovi media, i social siamo diversi da tutti. Innanzitutto, perché non siamo focalizzati sugli sportelli: network e gli strumenti digitali, tanto che da poco abbiamo sperimentato anil modello tradizionale vede in essi lo snodo centrale per la distribuzione dei che la realtà aumentata. prodotti. Quarant’anni fa non lo si poteva fare, mentre oggi “liberarsi” delle fiIl virtuale non basta, anzi. L’aspetto umano è fondamentale quando si parla di liali è possibile grazie alla tecnologia. Ed è un grande vantaggio. soldi: che ruolo hanno gli sportelli nella vostra organizzazione? Perché serve un nuovo modo di fare banca? Non abbiamo sportelli tradizionali, ma uffici di rifeL’intermediazione creditizia nella società moderna rimento in tutte le regioni, che solitamente si trovadeve costare meno. Secondo il Testo unico bancario no al terzo piano di edifici direzionali con vista su(Tub), la banca deve esercitare il credito e raccogliegli svincoli autostradali. Perché le aziende ci devore risparmio: se questo processo costa tanto, chi è no raggiungere con facilità e soprattutto noi dobbiache ne paga il prezzo? L’economia reale. Se riduciamo fare altrettanto con esse. C’è bisogno di conomo questo costo, tutti ne traggono beneficio. Il noscere bene le persone con cui lavoriamo: il digitale stro nuovo modo di fare banca, di contattare i clienci consente di presentare e affinare l’offerta, ma poi ti, di raccogliere risparmio e di fare credito ci perabbiamo bisogno di “toccare” il cliente in senso fimette di ridurre al minimo la zavorra. sico. E ne ha bisogno anche l’utente. Ci sono degli Qual è lo spirito che ha portato alla fondazione aspetti di rischio che nel contatto personale posso(Carlo M. Cipolla) dell’istituto? no venire arrotondati: quando vedo un’azienda, coIl presidente Sebastien Egon Fürstenberg ebbe l’idea nosco l’imprenditore, ne respiro l’atmosfera, capisco molte cose in più, e così l’imprenditore verso la di fondare un istituto bancario per semplificare il ribanca. La valutazione della performance dipende corso al credito mentre era la mente finanziaria di anche dal numero di visite mensili che i nostri commerciali effettuano. Americanino. Nel 1985 uscì dall’azienda per dedicarsi solo alla banca con cui Come si fa gioco di squadra in un sistema organizzativo così complesso? sostenere le pmi, quella categoria di imprese che compongono il sistema porLa tecnologia permette il dialogo tra persone distanti con continuità. Noi factante dell’economia del Paese, ma che tutt’oggi trovano grandi difficoltà, ad ciamo tante videoconferenze, ma non solo quelle con le tecnologie P2P. La esempio, nel rapportarsi con la pubblica amministrazione quando magari derete commerciale è gestita via Skype. Alcuni settori hanno dei gruppi su Whavono aspettare 6-12 mesi per i pagamenti dopo aver fornito servizi allo Stato. tsApp e si scambiano le notizie sui successi reciproci. È un entusiasmo contaNel 2002 abbiamo iniziato a esercitare l’attività bancaria e due anni dopo ci gioso. Tutti i dipendenti hanno uno smartphone aziendale con accesso alla Insiamo quotati allo Star di Milano, crescendo ogni anno negli obiettivi e nel satranet aziendale e gli agenti sono dotati anche di un tablet con applicativi specrificio, in un’evoluzione che ci vedrà protagonisti del settore anche nei proscifici. Solo per convenzione e forma mentale ormai abbiamo una sede e una simi anni. scrivania. Il credito è, dunque, il nucleo principale dell’attività di Banca Ifis: una mosca L’ultimo passaggio è il ritorno all’esterno, con un sito in cui presentate i dati bianca nell’era del credit crunch… di bilancio. Perché questa voglia di trasparenza? Di solito è il cliente quello Se tutto un sistema limita i finanziamenti all’economia, la banca che ha modo che viene “denudato” in banca… di incrementarli trova terreno fertile, un mercato aperto. Abbiamo studiato una Sarebbe facile rispondere perché non abbiamo nulla da nascondere (ride). In strategia vincente per sostenere le pmi, che per noi – va sottolineato – sono realtà trasparenza vuol dire farsi vedere ed è una sorta di habitus mentale che le piccole e “micro” imprese, attraverso lo strumento del factoring. Si tratta di si declina nel rapporto con i collaboratori e gli stakeholders. Così ciascuno un sistema tradizionalmente riservato a medie e grandi imprese, noi abbiamo dei nostri dipendenti, anche quelli che non si occupano di aspetti commerciaaperto una nuova via dirottandolo sulle pmi. Erogare liquidità ai piccoli è rili, sono in grado di comunicare tante cose sul nostro lavoro. La trasparenza dischioso, perché il tasso di default è alto e tanti rischiano di non ripagarti. Il noventa così un modo di trasferire informazioni. E più riusciamo a darne ai stro compito è stato trovare un modo per ridurre al minimo il rischio di credito

«MAI SOTTOVALUTARE il potere distruttivo della STUPIDITÀ»

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I SION S A P LE VANI N GIOO B SS

I

DI DAI NUMERI DEI BILANCI A QUELLI DI UN CRONOMETRO. IL RUNNING È LA SUA PASSIONE PRINCIPALE?

Sono sempre stato sportivo: corro, scio, nuoto (da giovane anche con buoni risultati a livello agonistico, ndr). Ho fatto la maratona di New York qualche anno fa.

TEMPO FINALE?

Non lo svelerò mai. Diciamo che ho concluso prima del camioncino di fine corsa…

E OGGI QUAL È LA SUA PASSIONE?

Se ho un po’ di tempo libero adoro andare in montagna: trekking e sci, d’estate e d’inverno. A patto però che ci sia la copertura wi-fi per essere raggiungibile.

CHE COSA CERCA IN MONTAGNA?

Calma, distacco, purezza, aria. Ma soprattutto l’assenza di limiti: nelle belle giornate lo sguardo si perde e si può pensare liberamente.

IL SUO LIBRO PREFERITO?

Allegro ma non troppo, di Carlo M. Cipolla.

MA HA ANCHE UN LATO ARTISTICO. VUOLE SVELARCELO? Ho la passione per la fotografia. In una delle mie molte “vite precedenti” sono stato un fotoreporter.

PASSO DOPO PASSO

1983

2002

2003

2008

Banca Ifis è fondata a Genova da Sebastien Egon Fürstenberg, attuale presidente. Nel 1997 viene iscritta nell’elenco speciale degli Intermediari finanziari.

Inizia l’esercizio dell’attività bancaria. Aderisce a Factor Chain International, assumendo da subito un ruolo primario nel contesto europeo.

Ammissione al Mercato telematico azionario (Mta): l’anno successivo entra nel segmento Star di Borsa Italiana.

Avvia il programma di diversificazione delle fonti di raccolta, anche attraverso rendimax, il conto deposito on line ad alto rendimento. Seguirà nel 2013 contomax, il conto corrente crowd online.

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IL MANAGER non si valuta più dall’intuito, ma dalla FORTE CAPACITÀ ANALITICA che gli consente di discernere i dati

nostri collaboratori e alle persone che ci guardano – per interesse o anche solo per curiosità – maggiore sarà la conoscenza della cultura aziendale che riusciremo a trasmettere all’ambiente attorno a noi. L’informazione è potere? In realtà la forza di un’azienda è la capacità di discernere e gestire la mole enorme di dati che arrivano dalla società e dall’interno dell’organizzazione. Una volta la competenza di un manager si misurava sulla capacità di prendere decisioni su poche basi. L’intuito, insomma. Oggi ogni decisione viene presa su informazioni copiose e a basso costo: quindi i dirigenti devono essere fortemente analitici. Nel 2015 avete toccato un miliardo di capitalizzazione per la prima volta. Come si fa a crescere in tempi di crisi?

2011

2015

Esito positivo dell’opa su Toscana Finanza. Inizia la presenza di Banca Ifis nel settore dei crediti di difficile esigibilità.

A marzo supera il miliardo di capitalizzazione e il prezzo per azione tocca il massimo storico di 20 euro.

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Vent’anni fa quando cominciai eravamo in 18, oggi siamo 650 e cresciamo al ritmo di cento all’anno. Il primo trimestre 2015 è andato bene con 26 milioni di utile e soprattutto un aumento del patrimonio netto fino a quasi 600 milioni di euro. Senza dimenticare la qualità del credito, fondamentale per essere sostenibili: in Banca Ifis questo aspetto è classificato “eccellente” grazie al nostro modello di business. Così anziché preoccuparci delle sofferenze nostre, alleggeriamo quelle altrui comprando portafogli di crediti difficili. Qual è il trucco? Uno dei segreti è lavorare tantissimo, ma questo non basta perché lo fanno anche altri. Si deve provare, sbagliare e riprovare pensando sempre alle esigenze del mercato al quale ci si rivolge. Un’azienda non può essere un ectoplasma alieno alla società, lo sappiamo, e questo vale a nche per le banche che storicamente si sono comportate un po’ così. Noi puntiamo a dare sempre risposte al mercato con cattiveria, innanzitutto verso noi stessi. Nel mondo liquido di oggi la dinamicità è strutturale, non si può vivere di rendita: bisogna sempre sottoporre a vaglio critico il proprio posizionamento. Che non vuol dire cambiare sempre, ma essere costantemente pronti a farlo. Lei sostiene che l’obiettivo dell’azienda deve essere “crescere sempre”. Ma espandersi vuol dire anche mutare: come si gestisce il cambiamento? Crescere fa parte del nostro dna, lo abbiamo sempre fatto. E così il livello di complessità è esploso. L’aspetto più difficile per me è gestire la relazione tra le persone. Il modo più indicato per farlo è far sì che tutti i componenti dell’organizzazione lascino sull’altare della crescita qualche area di competenza. Quello che una volta faceva una persona, oggi la fanno in due o in cinque: la fatica è proprio nel gestire e facilitare il distacco e il passaggio delle responsabilità. E poi c’è il tema del reperimento delle risorse umane: noi stiamo assumendo un sacco di giovani, ma non è semplice trovare persone di qualità da portare al progetto. Forse perché siamo molto esigenti («Cerchi il solito lavoro in banca? Allora sei nel posto sbagliato, Banca Ifis non fa per te!», è il claim del sito che la banca ha appena lanciato per il recruiting Lavorareinbanca.it, ndr). Uno dei problemi è la strutturazione del lavoro: dipendesse da me, ci muoveremmo tutti in maniera dematerializzata. Un’azienda come la nostra non può caratterizzarsi perché compra il tempo dei suoi collaboratori, deve invece pagare la migliore intelligenza delle nostre persone. In definitiva, qual è l’anima di una banca? La banca è un’impresa che ha a che fare con un bene immateriale e ricercatissimo: il denaro. Custodisce un’intermediazione da vivere non in modo passivo, ma nuovo: si devono servire più clienti possibili costando il meno possibile, alla società e ai clienti. La banca migliore è quindi quella superleggera, quella che garantisce i servizi richiesti nel modo meno invasivo, che agevola un sistema piuttosto che complicarlo. C’è qualcosa che non va se viene percepita come un rapace. Anche lei è cambiato in questi vent’anni. Come? Applicando l’economia al running (ride, vedi box sulle passioni). Chi lavora in Banca Ifis non può dire che l’amministratore delegato sia distante o non abbia le maniche rimboccate a lavorare con gli altri. Ma un leader deve dare degli input precisi per far sentire tutti parte di un progetto, deve saper coinvolgere le persone sempre e comunque. P

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Fratelli Branca Distillerie

NICCOLÒ BRANCA ECLETTICO Dal 1999 presidente e amministratore delegato dell’azienda di famiglia, in precedenza ha partecipato alla fondazione di quella che oggi è Banca Ifigest ed è stato a.d. di una società di Mergers&Acquisition

DOSARE i SINGOLI ELEMENTI SECONDO L’IMPRENDITORE, ALLA GUIDA DELLO STORICO GRUPPO MILANESE DAL 1999, ESISTE UNA REGOLA EFFICACE PER PORTARE AVANTI UN’AZIENDA SANA E IN CONTINUA CRESCITA, RIMANENDO FEDELI ALLA TRADIZIONE. I FATTORI CHE LA COMPONGONO SONO I PRINCIPI DI QUELLA CHE DEFINISCE “ECONOMIA DELLA CONSAPEVOLEZZA”, IN CUI IL CONSEGUIMENTO DEGLI UTILI NON PUÒ PRESCINDERE DAL RISPETTO DELLE © Ugo Zamborlini

PERSONE E DELL’AMBIENTE ED È FINALIZZATO A UNA PROSPERITÀ COLLETTIVA DI CRISTINA PENCO

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pirito pionieristico. Vocazione internazionale. Sensibilità comunicativa. Sguardo da una parte ancorato agli insegnamenti del passato, dall’altra rivolto alle novità del futuro, con intervento diretto sul presente. Centosettant’anni separano Bernardino Branca, fondatore delle omonime Distillerie, dal suo discendente Niccolò, che rappresenta la quinta generazione della famiglia al timone dell’impero economico attivo nel settore degli spirits. Eppure, certe caratteristiche di fondo del dna devono essere rimaste immutate, esattamente come è stata mantenuta cristallizzata la formula segreta del Fernet-Branca, il celebre digestivo che ha fatto il giro del mondo: ancora adesso, la pesatura degli ingredienti dell’elisir composto da 27 erbe, spezie e radici provenienti da quattro continenti – e tramandata scrupolosamente di padre in figlio – viene eseguita allo stesso modo dal direttore dello storico stabilimento milanese; e per cinque di essi è il presidente stesso, quindi uno dei Branca, a eseguire l’operazione, da solo, in un locale chiuso, coi vetri oscurati e nel riserbo più assoluto. Non è cambiato nemmeno il cuore produttivo dell’azienda, rigorosamente made in Italy, che dalla metà dell’800 continua a pulsare nelle cantine di via Resegone, nel capoluogo lombardo, a testimonianza del forte legame con la città che diede i natali all’amaro divenuto famoso a livello internazionale. Dopo aver ampliato il proprio portfolio prodotti, attuato una politica di acquisizioni di brand, portato avanti una strategia di extension lines ed essere entrate nel mercato dei vini e degli spumanti, attualmente le Distillerie meneghine sfiorano i 300 milioni di fatturato annuo, contano 250 dipendenti, sono presenti in più di 160 Paesi, in particolare in Argentina, dove hanno il loro secondo polo produttivo, l’unico al di fuori della Penisola (nello Stato sudamericano, il Fernandito, “Branca y Cola”, è la seconda bevanda nazionale). Dal 1999, a capo dell’impresa c’è Niccolò Branca, nato nel 1957 in Francia, cresciuto nei dintorni di Firenze e da tempo impegnato professionalmente a Milano; sposato, con due figli. Il presidente e amministratore delegato dei Fratelli Branca spiega che, in fondo, il suo ruolo non è poi così lontano dai compiti e dalle doti di un antico speziale, come fu il suo antenato Bernardino: si tratta pur sempre di dosare sapientemente vari ingredienti, anche molto differenti tra loro, riuscendo a ottenere un mix armonico. La sua è una visione della leadership molto personale, che punta a superare le dicotomie e le dualità dettate da rigidi schemi convenzionali, per approdare a un’idea olistica di azienda come organismo vivente che funziona bene quando ogni sua parte è in salute e in stretta relazione con il tutto, secondo un circolo virtuoso in cui le differenze arricchiscono e non dividono. Conte Branca, come si resiste sul mercato per oltre un secolo e mezzo, mantenendo continuità nella proprietà di famiglia, senza decentrare e delocalizzare la produzione? Fin dagli inizi del nostro gruppo, il leit motiv novare serbando, “innovare nel solco della tradizione”, ha inciso profondamente sulle nostre scelte strategiche, sulla lavorazione del prodotto e sul genere di relazioni che abbiamo sempre intessuto con clienti e fornitori. Un motto scelto nel 1845 dal fondatore Bernardino Branca, come emblema del suo modo d’intendere l’imprenditorialità e di portarla avanti, e rinverdito ogni volta, nella teoria e nella pratica, anche dai suoi discendenti, me compreso. Oggi come a metà dell’800, ciò che conta è, da un lato, l’importanza di essere ancorati al presente – alla città di Milano, che ci ha visto nascere, e al momento storico contingente che stiamo vivendo – dall’altro la volontà di avere uno sguardo proteso verso il mondo, secondo una visione internazionale, e di cavalcare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie sia in campo produttivo sia in quello del marketing e della comunicazione, mostrando un costante interesse per il nuovo. Lei è salito al vertice nel 1999. Da allora ai nostri giorni, che tipo di innova-

zioni sono state apportate sotto la sua guida? È stato introdotto, innanzitutto, un Codice etico, che stabilisce la necessità di una condotta interna all’azienda improntata al rispetto della dignità e della personalità di qualsiasi soggetto, evitando possibili comportamenti discriminatori e segmentazioni spiacevoli, quanto inutili: se un individuo è un professionista competente, onesto e valido, non devono interessare il colore della pelle, il genere di riferimento, il suo orientamento politico o religioso... E questo vale per tutti i Paesi in cui operiamo, in cui monitoriamo anche il modo di agire dei nostri partner commerciali e di eventuali terze parti. Abbiamo poi varato il Bilancio ambientale e creato un organismo di vigilanza e di controllo interno, un sistema di gestione della qualità e della sicurezza ambientale, grazie a cui abbiamo ottenuto la certificazione in conformità con gli standard British Retail Consortium e International Food Standard, e un sistema di gestione per la sicurezza e la salute del lavoro. Ultimamente un aspetto importante a livello di innovazione tecnologica è costituito dai sistemi informatici integrati, per permettere la circolazione e condivisione delle informazioni a ogni livello: è fondamentale che tutti – dall’operaio addetto all’imbottigliamento al Product Manager, fino al responsabile della comunicazione – si sentano parte attiva nel perseguimento del fine comune – portare l’eccellenza italiana in giro per il mondo – e diano il loro contributo per raggiungere la meta prefissata. Deontologia, responsabilità sociale, security: sono anche alcuni dei pilastri su cui si fonda quella che, nel suo libro Per fare un manager ci vuole un fiore, definisce “economia della consapevolezza”. In che cosa consiste? Parliamo di un modus cogitandi atque operandi che in realtà è stato attuato dal gruppo fin da subito, grazie all’attenzione per l’essere umano che hanno sempre mostrato i miei predecessori e lo spirito pionieristico che ha contraddistinto le varie generazioni della mia famiglia. Quando, nel 1999, il passaggio di timone delle Distillerie mi ha visto coinvolto, ho voluto introdurre quella visione olistica che nel frattempo avevo sviluppato altrove e testarne i principi, applicandoli a un modello di business. La mia teoria è che certamente le imprese devono cercare di ottenere un ritorno economico dalle loro attività, ma questo non deve essere fine a se stesso. Mi viene in mente un personaggio del calibro di Walter Rathenau, politico e imprenditore tedesco dei primi del ‘900: agli azionisti di una compagnia armatrice che si lamentavano di non aver conseguito i risultati sperati, replicò che «la società non esisteva per distribuire dividendi a lor signori, ma per poter fare andare i battelli sul Reno». Ecco, per una realtà economica, gli utili sono importanti perché sono di interesse sociale, innescano un meccanismo virtuoso per cui creano prosperità collettiva – si pensi, per esempio, che ogni anno paghiamo circa 70 milioni di euro di tasse – ma tutto ciò deve essere conseguito sempre nel rispetto delle persone e dell’ambiente. Com’è approdato a una simile visione? Fin da giovane ho sempre cercato ispirazioni nuove per sviluppare un’imprenditorialità diversa, sostenibile. Dopo avere lavorato nel gruppo per un po’, negli anni ‘80 ho sentito il bisogno di uscire: avevo necessità di capire chi realmente fossi, comprendere se le persone mi davano ragione o torto davvero in base alle mie competenze o perché mi stavano assecondando o, viceversa, creando difficoltà in quanto “figlio di”. Per caso “inciampai” su un manifesto della Psicosintesi, branca della psicologia umanistica, e decisi di iscrivermi a un master come allievo di Roberto Assagioli, noto nel settore. Ho studiato anche psicoterapia e approfondito gli studi su Krishnamurti. Filo conduttore di tutte queste esperienze è sempre stata la meditazione, che ho praticato per diversi anni con un monaco zen, per proseguire poi con quella Vipassana del Buddismo Theravada con i monaci della Foresta in Birmania. Negli anni ‘90 poi ho fatto un incontro davvero importante: ho conosciuto Luh Ketut Suryani, psichiatra balinese di cui ho appreso il metodo

«Non ducor, DUCO»

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SION S A P LE OLÒ NICACNCA BR

I DI ACCANTO ALLA MEDITAZIONE, A COS’ALTRO SI DEDICA NEL TEMPO LIBERO?

Mi piacciono le letture e le passeggiate in mezzo al verde. Il mio posto ideale, da questo punto di vista, sono i colli toscani, che mi riportano alla mia infanzia. In ogni caso basta poco – nemmeno un’ora d’auto da Milano – per ritrovarsi a contatto con l’ambiente e potersi distaccare per un po’ dai problemi, togliendosi dall’energia frenetica e caotica che ha in sé la metropoli.

AMA LO SPORT?

Sono cavaliere di concorsi ippici nazionali e internazionali, ho rappresentato spesso il nostro Paese all’estero. Ho partecipato, inoltre, a tre spedizioni di discese fluviali in acque mosse, una in Zaire, una in Zambia, percorrendo lo Zambesi, e una in Indonesia attraverso l’Alas (queste ultime erano due prime mondiali). Di questa esperienza stupenda e unica ho scritto in un libro, Sumatra, l’avventura sulle acque che corrono, nel 1985.

NELLA SUA CARRIERA HA COLLEZIONATO DIVERSI RICONOSCIMENTI IMPORTANTI PER IL SUO RUOLO E I SUOI RISULTATI IMPRENDITORIALI. CE N’È UNO CUI SI SENTE PARTICOLARMENTE LEGATO?

Premetto che, come per i principali piaceri della vita, anche nel caso di targhe e medaglie il mio atteggiamento di fondo è quello che ho sviluppato grazie al mio percorso interiore, ovvero, è bene goderne, senza esserne morbosamente attaccati. Certi onori lusingano, ma non bisogna esserne o diventarne schiavi. Detto questo, mi ha fatto particolarmente piacere vincere l’edizione 2013 di Di padre in figlio (vincitore assoluto per il miglior passaggio generazionale e nella categoria Performance Finanziaria, ndr). Spesso, quando percorro i corridoi dell’azienda e vedo i quadri dei miei antenati alle pareti, mi domando mentalmente: «Starò facendo bene? ». Ecco, quel premio è valso, ai miei occhi, un po’ come una risposta positiva, un piccolo incoraggiamento da parte loro.

PASSO DOPO PASSO

1845

1893

1907

1965

Bernardino Branca inventa l’amaro Fernet-Branca e fonda la società Fratelli Branca. Debutta il primo stabilimento in Corso di Porta Nuova, in collaborazione con i figli: Giuseppe, Luigi e Stefano.

Nasce, a opera dell’artista Leopoldo Metlicovitz, il “Mondo” Branca, famoso logo con l’aquila che sovrasta il globo terracqueo e che, ancora oggi, contraddistingue le Distillerie meneghine.

Dino Branca assume la direzione dell’azienda e la porta a un livello internazionale. Il polo produttivo si trasferisce nell’attuale sede, in via Resegone, nel capoluogo lombardo.

È lanciato il liquore Brancamenta, che unisce qualità benefiche e digestive al piacere del gusto rinfrescante. Pare che l’intuizione sia arrivata scoprendo un’abitudine della soprano Maria Callas, che prima di esibirsi chiedeva un bicchierino di Fernet-Branca con l’aggiunta di foglioline di menta.

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Quando arrivano i momenti bui, possiamo AGGIUNGERE DOLORE AL DOLORE, oppure viverli come UN’OPPORTUNITÀ DI CRESCITA originale che mi accompagna da oltre vent’anni, e che ora trasmetto io stesso guidando alcuni gruppi di persone. Quali scoperte ha fatto con la Suryani Meditation? È una via particolare in cui torniamo alla nostra centralità, ci riconnettiamo con l’Energia o Spirito Universale, fonte della nostra autoconsapevolezza. Quando il corpo è rilassato e la mente è aperta e vigile, creiamo una maggiore spazialità, permettiamo che si accenda l’insight, l’intuizione improvvisa, e che la creatività fluisca liberamente. Così possono arrivare idee e soluzioni... Anche Einstein lo sosteneva: «I problemi non possono essere risolti allo stesso livello di conoscenza che li ha creati». Suryani, inoltre, mi ripeteva spesso: «Niccolò, remember: life is happiness and challenge», («Niccolò, ricorda: la vita è felicità e sfida»). E questo concetto come si traduce nella pratica, soprattutto nella vita professionale di tutti i giorni? Con la meditazione s’impara a capire che tutto è cambiamento e che l’esistenza è fatta di momenti luminosi e momenti bui: quando arrivano i primi, è bene goderne pienamente senza però sviluppare attaccamento, perché si è consci che possono finire da un momento all’altro. E quando sopraggiungono i secondi, non ci disperiamo, ma reagiamo in modo propositivo. Molto dipende dal nostro atteggiamento di fronte a quanto può accadere: possiamo scegliere di aggiungere dolore al dolore, oppure coglierlo come un’opportunità di crescita. Esattamente come si verifica nel caso di una forte crisi economica e valoriale, come quella in corso da anni nella nostra società. A essa, per esempio, noi abbiamo risposto continuando a investire in ricerca, sviluppo e nuove tecnologie. Faceva prima riferimento ad altre esperienze professionali che andava maturando, parallelamente a questi studi. Si sono rivelate utili per affrontare la guida della Fratelli Branca Distillerie? Indubbiamente. Sono stato fondatore, insieme ad altri soci, di una società finanziaria divenuta poi Banca Ifigest, di cui ero presidente, e ho ricoperto la carica di amministratore delegato di una società di Mergers&Acquisition. Ho svolto alcuni incarichi per varie associazioni culturali e scientifiche e ho anche diretto una collana, Saggezza, scienza e tecnica, per una casa editrice. Una volta rientrato nell’azienda di famiglia, ho voluto dedicarmi completamente a essa per svolgere il mio compito al meglio, ma quelle attività precedenti sono state molto importanti per integrare diversi approcci e conoscenze in una leadership di tipo umanistico e sistemico. Pensando al suo percorso, ritiene necessario che gli imprenditori diventi-

1982

1999

2015

Viene acquisito il 50% della società Carpano di Torino, produttrice dell’originale formula del vermut: vino bianco secco, acqua, zucchero e una speciale infusione di erbe.

Muore Pierluigi Branca. Il figlio Niccolò prende il timone del gruppo.

L’azienda festeggia i 170 anni di attività. In concomitanza con Expo, il Museo della Collezione Branca, inaugurato nel 2009, rimane aperto e visitabile sette giorni su sette.

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no anche un po’ manager e viceversa, o crede che sia meglio tenere distinte queste figure? Ovviamente non ci sono regole assolute, mi baso sulla mia esperienza diretta. Personalmente, mi sento soprattutto imprenditore: mi piace creare, costruire, dare vita a qualcosa di nuovo, stabilendo le linee guida e attuando un controllo strategico. Un manager è differente per formazione, ruolo e obiettivi: deve coordinare e dirigere un team a seconda della sua area di competenza. Quando i due procedono in parallelo e, magari, tra loro scatta una scintilla, un’affinità – come nel caso delle coppie sentimentali – allora è un beneficio per tutti. Il problema, invece, avviene qualora un imprenditore abbia la pretesa di fare tutto da solo e/o il manager si creda più bravo e competente di chi è a capo di un’impresa. Si tratta di un equilibrio difficilissimo: entrano in campo aspetti molto personali, frutto di inquinamenti mentali, schemi granitici, stereotipi, metodi di lavoro differenti... Goethe suggeriva, saggiamente, di trattare le persone «per quello che dovrebbero essere, non per quello che sono»: in questo modo, non c’è giudizio, non si arriva allo scontro frontale, ma si manifestano per l’altro gentilezza e compassione, due traguardi della stessa meditazione. Sia chiaro, non è un atteggiamento buonista: sono del parere che, se un elemento non funziona, dopo aver fatto alcuni richiami e avergli detto chiaramente cosa non va, è giusto prendere altre decisioni, anche nel suo interesse, dandogli così modo di lavorare su se stesso e migliorare. L’azienda è un grande organismo vivente: funziona bene quando tutte le sue parti sono sane e funzionano nella loro interrelazione. Quali doti, dal suo punto di vista, sono prerogativa di un valido imprenditore e quali, invece, appannaggio di un buon manager? Nel primo caso considero atti di bravura quello di trattare l’azienda come un bene prezioso e non di natura personale, bensì collettiva, e l’essere perfettamente ancorato al presente, pur avendo lungimiranza in vista del futuro. Il benessere del gruppo deve venire sempre prima dei vantaggi personali. Nel secondo, invece, trovo apprezzabile chi, nell’assunzione del suo ruolo, sa passare da una logica di potere a una di responsabilità, ha capacità di execution, riuscendo a ottenere i risultati richiesti anche a fronte di contingenze non sempre fortunate; è abile a favorire la circolazione delle informazioni e sa lavorare in squadra, una vera sfida per noi italiani, così individualisti! Lei ha due figli, uno che lavora nel gruppo e l’altra impegnata nella moda, a Parigi. Quali insegnamenti importanti ha voluto trasmettere loro per il raggiungimento del successo? Ho sempre cercato di comunicare e spiegare la mia personale visione, ma senza imporre alcunché. Oggi, quando li guardo, noto con soddisfazione una base comune, costituita da un forte senso di rispetto per gli altri e per l’ambiente che ci circonda. Inoltre, il mio obiettivo finale è sempre stato quello di creare prima di tutto un’azienda di valore e basata sui valori: quando ci sono queste componenti, il successo arriva. Come in una famiglia o in una comunità, credo che non si possa essere felici se chi ci sta accanto non lo è: è fondamentale sentirsi parte di un’umanità più grande del singolo e tenerne conto in ogni istante. Un mio suggerimento, infine, è sempre stato quello di depositare “la mente nel cuore” prima di agire. Certo, è tutt’altro che facile: è un lavoro interiore che non ha mai fine e che richiede grande perseveranza. Proprio la stessa che presuppone la pratica della meditazione. P

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Mv Agusta

GIOVANNI CASTIGLIONI SU STRADA Dopo aver raccolto l’eredità del padre Claudio, scomparso nel 2011, il manager sta vincendo la sfida di rilanciare le moto della Casa dopo i passaggi di proprietà a Proton e poi ad Harley-Davidson. Oggi l’unico partner è Mercedes Amg, con il 25% delle quote

Far TESORO del MARCHIO DALLA CESSIONE ALL’ESTERO ALLA RINASCITA TUTTA ITALIANA DI UN BRAND STORICO CHE CORRE SU NUMERI MAI VISTI. MERITO DI UN FIGLIO D’ARTE CON UN PIANO BEN PRECISO: «AMPLIARE L’OFFERTA E INVADERE I MERCATI INTERNAZIONALI CON L’ORGOGLIO DELLA NOSTRA STORIA» DI A.P. ARTEMI - FOTO DI WOLFANGO E MILAGRO

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S

e chiedete a Giovanni Castiglioni di descriversi in un tweet lui risponscita nel mondo della fama di Mv Agusta. Mercedes Amg, infatti, ha vetrine e de: «Sono un uomo di 35 anni, sposato con Stephanie e padre di due showroom che un’azienda motociclistica non potrebbe mai permettersi. E anche figli, con un terzo in arrivo, al comando di un’azienda che produce se il target del cliente Mercedes è diverso dal nostro, associando i marchi il bicon passione e orgoglio motociclette di culto come le Mv Agusta». nomio diventa vincente. Cosa portiamo noi a loro? Un marchio cool, dinamico, Ma se ponete la stessa domanda a un esperto del mercato delle due moderno che interessa e vende a imprenditori e manager tra i 30 e i 45 anni. Un ruote la musica cambia, e a parlare stavolta sono i numeri: circa 10 mila moto marchio che consente a Mercedes Amg un ingresso del tutto diverso nel club dei prodotte all’anno, contro le 2 mila del 2010, quando il fatturato era di circa 40 costruttori tedeschi impegnati sulle due e quattro ruote, come Audi e Bmw. milioni di euro, confrontati con i 90 dell’anno scorso e i 120 abbondanti previEssere partner di un colosso come Mercedes Amg potrebbe diluire l’italianità sti per fine 2015. del marchio? Insomma: un’azienda che viaggia a tutto gas in un periodo come questo, reNo. Al cento per cento. Al contrario l’acquisizione di una quota da parte di uno stando saldamente in mani italiane, dopo le poco esaltanti esperienze di partstraniero rafforza la nostra identità e italianità. nership con la malese Proton e la statunitense Harley-Davidson, attirando oltreLa quota tedesca potrebbe crescere? tutto investimenti stranieri come quelli della tedesca Amg, braccio ultratecnoloLa risposta è nei numeri: Mercedes Amg ha il 25% delle quote e non esiste alcun gico della Mercedes, che di recente ha acquisito il 25% della Mv. In più, Castiaccordo che preveda di far crescere o diminuire la partecipazione. Non sono un glioni sta riportando le sue moto nel gotha delle corse, prova ne sono le vittorie fondo di investimento né una finanziaria. A me piace costruire le moto e non inottenute dal francese Jules Cluzel, che ha riportato la Casa in lizza per la contendo vendere la “mia moto”. quista del titolo iridato Supersport. Lo slogan della Mv dei tempi di Giacomo Agostini era: «L’esperienza delle corse Risultati eccellenti, ottenuti applicando una formula i cui componenti principaal servizio della produzione di serie». È ancora così? li sono la capacità di cambiare l’approccio ai mercati e quella di capire come si La Mv di Giacomo e quella di oggi sono realtà molto diverse. Secondo me, oggi evolvono i gusti dei potenziali clienti. Ma anche il coraggio di investire in un setvalgono entrambe le teorie. L’esperienza delle corse è preziosa per lo sviluppo tore che, almeno in Italia, veniva dato da molti cosiddetti guru dell’economia per della moto di serie, così come i nuovi modelli ricevono sempre qualche affinadecotto. «Dieci anni fa avevamo in listino due modelli, una naked e una sportimento dalle soluzioni sperimentate con successo in gara. va», dice Castiglioni, «mentre oggi la gamma è composta da 20 modelli, a tre e A proposito di affinamenti, prima di dare il via alla produzione di una nuova quattro cilindri, con cilindrate comprese tra i 675 e i 1.090 centimetri cubi». Così moto la prova personalmente? la Mv Agusta è presente in tutti i segmenti di mercato, incluso quello delle TouCerto. Ho sempre pronta una borsa con jeans, felpa e maglietta, abbigliamento ring, un fatto mai avvenuto nella storia del marchio. che completo con tutti i dispositivi di sicurezza dal paraschiena al corpetto, dal Essere imprenditore in Italia quanto è difficile? E perché? casco ai guanti, dalla tuta agli stivali. Provare le moto fa parte delle mie compeI mali sono noti a tutti: troppa burocrazia, accesso al credito difficoltoso, mantenze, mi considero il giusto target e devo dire che è una delle cose che amo di canza di una visione strategica di sviluppo economico… Fare impresa oggi in Itapiù. Del resto, già a quattro anni ne avevo una da cross, ovviamente Cagiva… lia è un atto che richiede un coraggio spropositato. La Cagiva è stata l’azienda creata da suo padre Claudio. Quanto conta essere fiSecondo lei, si comincia davvero a vedere la luce in fondo al tunnel? glio d’arte? Noi non possiamo che essere contenti. In cinque anni abbiamo aumentato il giro Conta parecchio. Nel bilancio ci sono più pro che contro. Il nostro rapporto and’affari di tre volte e mezzo e del 35 per cento i volumi. Che cosa ci fa crescere? dava al di là dei classici ruoli di padre e figlio. Ecco perché ho pensato che seguiLa formula del nostro successo sta nell’aver puntato sui mercati internazionali e re le sue orme fosse la cosa più giusta da fare. Il business della moto non è certo investito in quell’area geografica gran parte delle nostre risorse. Non vedo ancouno dei più profittevoli, ma è un mondo ricco di sfide. Per questo, dopo la Scuora, invece, una gran luce brillare sull’Italia. Una parte dei nostri fornitori, sopratla Europea mi sono trasferito a Londra, dove ho conseguito il master in Business tutto le aziende medio-piccole con cui facciamo affari, stanno maledettamenAdministration, nel 2005. Ma sono stato sfortunato, perché mio padre è mancate soffrendo, nonostante siano imprese con un eccellente background e alti stanto nel momento più difficile. Quando sono salito al posto di comando, il mercato dard di qualità produttivi. Alcune sono costrette a chiudere e il problema, sovendelle due ruote non esisteva quasi più. Mi sono trovato a dover reggere una grande pressione, da solo, con una strada in salita. Peggio di così non potevo partire e te, è la liquidità, la mancanza di finanziamenti, la miopia di un sistema economisono convinto che in molti pensavano che non sarei durato più di due mesi. Inveco che non è organizzato per aiutarli. ce, grazie a un mix di qualche dote e di fortuna, l’azienda non ha mai fatto questi La globalizzazione è un’opportunità o un rischio? numeri, neanche quando vendeva tre marchi: Mv, Cagiva e Ducati. Dipende da quale prodotto o servizio produci. Il lusso è globale, ma le nostre Per i vecchi appassionati il vostro è “Il marchio di Cascina Costa”. Il trasloco a moto sono qualcosa di diverso dal lusso tout court: siamo un marchio super preSchiranna (Va) non profana la storia? mium che non si riconosce in una semplice segmentazione del mercato. In ogni Niente affatto. Con tutto il rispetto, dal punto di vinostro prodotto, a dominare non è il lusso bensta storico e industriale Schiranna è ben più imsì la tecnologia al livello più elevato, la massima portante di Cascina Costa. E la nuova Mv Agusta espressione del design. Globalizzare queste ecè nata qui. Un grande successo, perché in molti cellenze significherebbe far perdere valore al nohanno provato a rilanciare un marchio storico, ma stro brand. parecchi risultati sono stati deludenti. Inoltre, lo La Mercedes ha acquisito il 25% dell’azienda. stabilimento di Schiranna ha una grande storia: la Che cosa hanno da guadagnare i tedeschi da queproduzione iniziò nel 1955 con la divisione moto sta collaborazione e che cosa ci guadagnate voi? della Aermacchi. Nel 1978 la mia famiglia acquiUn accordo per essere tale deve prevedere vanstò la fabbrica dalla Harley-Davidson, proprietataggi reciproci. Quando ho incontrato gli uomiria della Aermacchi, per lanciare il marchio Cagini Amg ho pensato a una sola cosa: un’alleanza va che diventò un gruppo industriale di primiscon Mercedes avrebbe potuto accelerare la cre(Michael Jordan)

«Posso accettare DI SBAGLIARE ma non posso accettare DI NON

AVERCI PROVATO» 53

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ONI I S S LE PA I ANN GIOIVGLIONI CAST

DI DISTOGLIERE L’ATTENZIONE DI GIOVANNI CASTIGLIONI DALLA MV AGUSTA NON È FACILE. ALLA DOMANDA SULL’ULTIMO LIBRO CHE HA LETTO, PER ESEMPIO, RISPONDE: «QUELLO PER I 70 ANNI DELL’AZIENDA, CHE DEVE ANCORA USCIRE». SOLO E SEMPRE MOTO, ALLORA?

No. Sono super appassionato di sport. Sei volte alla settimana mi alleno con il mio maestro di pugilato e pratico la thai boxe. Inoltre corro e faccio pesi anche in casa.

CHE RAPPORTO HA CON IL CIBO?

Mi piace mangiare, ma sono attento. Non esagero. Anche con il vino, al massimo un paio di bicchieri. Mi piace anche cucinare. A volte vado dall’amico chef Davide Oldani a prendere lezioni di cucina pop che, sono parole sue, «Nasce dal desiderio di amalgamare l’essenziale con il ben fatto, il buono con l’accessibile, l’innovazione con la tradizione». Quando cucino prediligo preparare il crudo di pesce oppure il barbecue.

PER GLI APPASSIONATI, IL ROMBO DEI MOTORI MV È MUSICA. OLTRE A QUELLA DEI PISTONI, LEI QUALE ASCOLTA?

Non sono un grande appassionato, anche se scarico ogni tanto da iTunes la classifica dei dischi più ascoltati. Da adolescente ho amato il rock. I Metallica erano il mio mito e durante una vacanza in Grecia riconobbi nel mio albergo James Heitfeld, il loro leader. Grande e grosso, con i tattoo e i tre figli, abbiamo fatto colazione insieme tutte le mattine, con mia moglie che mi diceva “Parlagli, presentati”. Non mi sono mai avvicinato».

UN’ULTIMA DOMANDA: PERCHÉ PORTA LA BARBA?

Nessun motivo particolare o ideologico. La porto da più di un anno. Mi piace e piace ai miei figli e a mia moglie. Forse perché non perdo tempo a rasarmi. Uno shampoo sotto la doccia e via.

simo piano con Ducati, Morini e Husqvarna. Dai nostri hangar è partita la rinascita dell’industria italiana della moto. Dagli anni ‘80 sono uscite le moto italiane di maggior successo: Elefant, Mito, Monster, 916, F4 e Brutale. Il rapporto con i fan del marchio è fondamentale? Importantissimo perché crea la fedeltà. Ma il nostro legame è diverso da quello che hanno i biker di altri marchi. Non si tratta solo di far parte di una community, di mostrare le moto storiche. Abbiamo anche noi le nostre radici, ma il cliente è cambiato. La nostra identità è “l’orgoglio di possedere una Mv”. Ti fermi al semaforo e tutti ti guardano e “approvano”: questo è il top. Nelle statistiche i nostri clienti sono tra i più fedeli perché averne una è come posteggiare in garage una supercar, che so un’Amg Gt, una Ferrari. Ma ora con la Turismo veloce i nostri clienti potranno usarne una tutti i giorni. E parcheggiarne due in garage. Quanto è popolare Mv all’estero e perché? Dai miei dati Mv Augusta oggi è più popolare all’estero di quanto non lo sia in Italia. La ragione è semplice: abbiamo investito tante risorse nella rete di vendita negli Stati Uniti, in Germania, Inghilterra, Francia, Estremo Oriente. Non è un caso se il nostro marchio è il preferito dalle celebrities delo spettacolo e dello sport. Ora con la brand awareness di Mercedes Amg la platea si allargherà. Ha accennato alla rete vendita. Come l’avete organizzata nel mondo? Puntate a showroom monomarca? Ora abbiamo filiali in Francia, Svizzera, Germania, Usa, Gran Bretagna, Estremo Oriente e quadruplicato gli addetti alla vendita. Ma la strategia varia a secon-

PASSO DOPO PASSO

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1945

1956-1975

Viene costruita la prima moto Mv Agusta, la 98 in versione Turismo.

In circa vent’anni le quattro e le tre cilindri della Casa, pilotate tra gli altri da John Surtees, Mike Hailwood e Giacomo Agostini, vincono tra titoli piloti e costruttori 75 mondiali.


re, anche in chiave collezionistica è indiscutibilmente elevato. Tra l’altro, è la prima moto nata dalla cooperazione con Amg Mercedes, e questo fatto è ben visibile grazie al badge sulla carena. Quanto è importante il palmares sportivo per un marchio di eccellenza? È fondamentale perché rappresenta la continuità della storia del nostro marchio ed è per questo che continuiamo a correre e vincere. Quest’anno siamo a quota tre successi con Cluzel a Phillip Island, a Portimao e a Misano. Quali sono i campioni di ieri cui è più legato? Ne ho conosciuti tantissimi. Anche campionissimi della Formula 1. Ayrton Senna era un grande amico di papà e appassionatissimo di moto. Con Alexandre Barros, quando aveva 17 anni, un paio più di me, ci sfidavamo in moto, ma con i videogiochi di allora. Il mito delle due ruote rimane Giacomo Agostini. Lui è un super eroe, non lo vedo invecchiare, è incredibile. Ora ci sono i miei piloti. Pensi, a Misano, a tifare Camier, Cluzel e Zanetti c’erano più di 100 dipendenti, circa la metà della nostra forza lavoro. In Superbike il primo anno non è andato benissimo, ma era prevedibile. Quanto deve investire un’azienda nel reparto corse per aumentare la competitività? Le corse costano, si sa, ma per vincere occorrono anche risorse umane e ricerca & sviluppo. Non basta uno solo di questi tre ingredienti per migliorare la competitività, anche se si tratta del denaro. A quando il titolo iridato numero 38? Risponderò tra qualche mese… Ora preferisco essere scaramantico. Pensa che sia credibile un futuro approdo in MotoGp? Attualmente non è nei nostri programmi, e non solo per una questione di costi: gli stessi organizzatori mi sembrano un po’ confusi su quelle che saranno le future regolamentazioni tecniche, e in un contesto simile una corretta programmazione è impossibile. Stiamo parlando di corse. Ma la velocità è ancora un efficace strumento di marketing nell’epoca in cui nella guida di tutti i giorni si deve andare sempre più piano? Il problema è reale. La velocità serve per soddisfare l’ego del motociclista e cambia da prodotto a prodotto. Per esempio, se si tratta di una touring, i cavalli non sono fondamentali a patto che siano più di quelli necessari. Diverso è l’approccio con una sportiva: su questa moto i cavalli devono salire, sempre. Ecco perché passeremo dalla storica focalizzazione sulle prestazioni a quella sul cliente. E le motocicliste? Non tralasciamo nei nostri progetti l’altra metà del cielo, e ci sono già donne tra i nostri clienti. È un segmento piccolo, ma incrementabile. Con modelli ad hoc, come la 675 o la Turismo veloce, apriamo anche a loro il nostro mondo. Di cosa va particolarmente fiero? In questo momento di una mail, che mi è giunta poco fa. È di un cliente che ha accompagnato il figlioletto in palestra a una gara di karate di fine anno e quando è uscito ha trovato altri cinque papà intorno alla sua F4 per fargli i complimenti. E si è sentito in paradiso. Orgoglio Mv Agusta… P

da dei mercati. Su quelli emergenti abbiamo aperto dei monomarca, mentre su quelli più maturi questo approccio è molto più difficile. L’accordo Amg ci darà la possibilità di esporre le nostre moto nei loro punti vendita più esclusivi. Da qualche mese siamo presenti nelle Mercedes Gallery di Stoccarda e Parigi. Nel 1997 al Salone di Milano la F4 divenne l’oggetto del desiderio dei motociclisti duri e puri. La Serie Oro, tirata in 300 esemplari, andò a ruba al prezzo di 68 milioni di lire. Le edizioni limitate sono ancora una scelta di successo? Le tirature limitate hanno senso soltanto se propongono davvero dei contenuti inediti. Faccio l’esempio della nostra F4 Rc, prodotta in 250 esemplari: ha un motore speciale, una grafica identica a quella della moto da Wsbk di Leon Camier ed è un trionfo di carbonio, titanio e magnesio. Malgrado il prezzo di 36.900 euro, le abbiamo vendute subito tutte. Ma è evidente che il controvalo-

Il rapporto con i fan è fondamentale. La nostra identità è “L’ORGOGLIO

DI POSSEDERE UNA MV”

(Ha collaborato Nicole Berti di Carimate)

1992

2004

2008

2010

2011

La famiglia Castiglioni acquista il marchio Mv Agusta, che entra a far parte del gruppo Cagiva.

Accordo con la malese Proton, che porta in dote un aumento di capitale da 70 milioni di euro. Dopo un anno torna a Castiglioni per il costo simbolico di un euro.

L’Harley-Davidson acquista l’intero pacchetto azionario del gruppo Cagiva.

Claudio Castiglioni torna al timone di Mv Agusta ancora una volta al prezzo di un euro, rinunciando però ai crediti vantati nei confronti di HarleyDavidson. Nel 2014 Amg rileva il 25% delle quote.

Muore Claudio Castiglioni e alla guida del Gruppo sale il figlio Giovanni.

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Venini

GIANCARLO CHIMENTO SCOMMESSA DI SUCCESSO Già fondatore dell’omonimo marchio di gioielleria, Chimento, è alla guida di Venini dal 2001, quando ha rilevato la società tramite il gruppo vicentino Italian Luxury Industries (di cui non fa più parte dal 2009)

PERSEGUIRE i SOGNI

POSSEDERE UN’AZIENDA DI LUSSO E ARTE: ERA QUESTO IL DESIDERIO D’INFANZIA CHE L’IMPRENDITORE VICENTINO È RIUSCITO A REALIZZARE 15 ANNI FA CON TENACIA, IMPEGNO E FEDE. LA STORICA VETRERIA DI MURANO È SOPRAVVISSUTA ALLA CRISI APRENDOSI A NUOVI MERCATI E GRAZIE A UNO STILE DIRETTIVO «POCO DEMOCRATICO» DI CRISTINA PENCO

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C’

è un sottile fil rouge che lega tra loro l’Hotel Vendôme noti e altri emergenti. Una prassi cominciata negli anni ‘20 con Napoleone e la Société Générale di Parigi, il Plaza di Manhattan, Martinuzzi, proseguita poi con nomi del calibro di Carlo Scarpa, Gio Ponl’Harry’s Bar di Venezia, i Corporate Office di Dubai e il ti e Fulvio Bianconi, fino ad arrivare ad architetti e designer contemporanei ministero degli Affari esteri a Roma. O meglio, più che come Alessandro Mendini, Fabio Novembre, i fratelli Campana, Tadao Ando di un filo rosso si dovrebbe parlare di schegge di vetro, e Matteo Thun, solo per citarne alcuni. Per non dimenticare giovani e pronel segno del lusso più raffinato: creazioni preziose e ricercate – complemettenti designer quali Alberto Biagetti. menti d’arredo, sculture e diffusori di luce, solo per citarne alcune – tutte riUn connubio felice, che ha consentito di tenere alta la brand reputation e cavate da una comune materia trasparente, tanto fragile quanto versatile, e, attirare anche una vasta clientela dall’estero. Eppure la crisi ha colpito ansoprattutto, uscite dalla stessa fornace di Murano. che la vostra azienda... A cosa avete dovuto rinunciare e su quali aspetti, È quella che porta il nome di Venini: oltre 40 mila articoli realizzati all’aninvece, avete fatto leva per risollevare il business? no, grazie alla lavorazione di 500 tonnellate di sabbia silicea, 15 forni acceIl primo supporto che è venuto a mancare – come sempre avviene in periosi 24 ore al giorno, 800 rivenditori a livello globale, esclusive boutique modi di crisi – è stata la liquidità, per minore disponibilità da parte dei soci innomarca (Murano, Venezia, Milano e uno spazio al Gate Mall di Doha). A vestitori e scarso sostegno degli istituti di credito. Ma non ci siamo arredistanza di oltre novant’anni dalla sua fondazione, il marchio è ancora oggi si e abbiamo cambiato le nostre strategie sul mercato. Innanzitutto abbiarinomato in Italia e all’estero per la produzione di un artistic glass talmenmo puntato sull’internazionalizzazione: se prima il giro d’affari era concente di pregio che alcuni pezzi altamente selezionati trato per il 70% in Italia, adesso il 55-60% del fatturato sono stati esposti nelle sale del Met, del MoMa e del è realizzato sulle piazze straniere. In passato, inoltre, la Guggenheim di New York, all’Art Institute di Chicago, maggior parte della produzione era focalizzata sull’ogal Victoria and Albert Museum di Londra, al Centre gettistica in vetro; è stato utile e lungimirante espanderPompidou e al Musée des Arts Décoratifs della capisi in nuove aree come quella dell’illuminazione delutale francese, per non dimenticare il National Art Muxe – questa primavera, al Salone del mobile di Milano, seum of China di Pechino. abbiamo presentato con successo luci in vetro soffiato Del resto, fin dalla sua nascita, il brand è stato indise installazioni di grande effetto – così come quella dei solubilmente legato all’arte e al design, a partire dal progetti contract, per l’arredo in contesti d’alta gamma grande interesse per questi mondi mostrato, fin dai (hotel, navi, musei, club, negozi...) di cui si occupano (Proverbio latino) lontani anni ‘20 del ‘900, dal fondatore Paolo Venispecifiche divisioni interne. Prevediamo una chiusura ni. Un amore ricambiato pienamente, anche ai nostri d’anno positiva. giorni, da Giancarlo Chimento che nel 2001, a capo Sempre in tale frangente critico, in vista di tagli al perdel gruppo vicentino Italian Luxury Industries, ha riportato in Laguna il marsonale, ha dichiarato: «Non cerco la rottura col sindacato (...). Preferisco la chio dopo alterne vicende e diversi cambi di proprietà, tra cui il passaggio collaborazione». Quanta importanza riveste, per lei, il confronto con main mani straniere per circa un triennio. Chimento, nato a Grisignano di Zocnager e dipendenti? co (Vi) nel 1943, sposato, con tre figlie, amministratore delegato della ceLe rotture non aiutano mai. Un’azienda ha bisogno di un clima disteso, di lebre vetreria muranese, vanta alle spalle un’altra storia imprenditoriale di “pace sociale”, proprio come quello che si è creato in quel momento e che successo, quella dell’omonima azienda di oreficeria e gioielleria. La produha permesso di andare avanti. Era necessario arrivare a un accordo. Rispetzione e commercializzazione di vetro deluxe è stata per lui una scommesto il ruolo dei sindacati, lo ritengo importante purché sia esercitato in modo sa rischiosa quanto appassionata, non solo perché si trattava di aggiungere costruttivo. Siamo tutti consci che mercati e società sono cambiati: occorun’altra pepita a quel luxury che già faceva parte del suo business familiare, re di volta in volta trovare la quadra tra le parti, e proseguire insieme lungo il cammino. ma soprattutto significava dare vita a un suo sogno d’infanzia. Secondo quali linee guida ha impostato la sua leadership? Che cosa l’ha spinta ad affrontare nel 2001, con un’importante operazioPosso affermare, non senza autoironia, di essere molto poco democratine, la sfida di restituire Venini alla sua terra d’origine? co! Mi spiego meglio: è fondamentale che sia il vertice dell’organizzazioL’acquisizione dell’azienda dalla multinazionale danese Royal Scandinavia ne, autonomamente, a prendere le decisioni. Io ho solo tre persone di riintendeva ricondurre a Venezia e in Italia una delle realtà più prestigiose del ferimento con cui condivido le mie scelte: il direttore finanziario, quello nostro territorio. All’epoca Italian Luxury Industries, che aveva in pancia alcommerciale e quello della produzione. Con questi miei bracci destri ritri brand come Barakà e Koesia, mirava a costituire un polo made in Italy atcerco un’interazione basata su ascolto e dialogo proficui: ben inteso, non tivo nel mondo dei preziosi e dell’oggettistica di lusso (dal 2009, invece, Vevoglio dei meri yes men, desidero uno scambio fecondo e vivace. Certanini non fa più parte del gruppo vicentino, ndr). C’è poi una motivazione mente, invece, per quanto riguarda gli altri livelli aziendali, questi devopiù personale, che risale alla mia infanzia: alle elementari la maestra porno recepire ed eseguire le direttive provenienti dall’alto. Che, proprio a tal tò la mia classe in gita scolastica sull’isola di Murano. Davanti a una vetrina fine, devono essere lineari, coerenti, ben definite. Mi riconosco un po’ nel che esponeva creazioni firmate Venini, rimasi folgorato. Un giorno – giurai a modello di leadership di Steve Jobs, padre di Apple: un visionario, in grame stesso – quel negozio sarebbe stato mio. do di trasmettere forza e motivazione, ma nello stesso tempo, all’occorAncora adesso, le vostre creazioni artigianali in vetro sono vendute in tutto renza, duro e severo. il mondo. Qual è, secondo lei, il segreto che vi ha permesso di restare dal Cosa apprezza maggiormente nei suoi collaboratori? Sono equamente di1921 un punto di riferimento per il settore? visi tra donne e uomini? Credo che la chiave vincente sia rappresentata da un’intuizione fondamenC’è una certa rappresentanza femminile in azienda – circa il 35% dell’ortale avuta dal fondatore, Paolo Venini, poi ripresa e assecondata anche dalganico complessivo – presente soprattutto nei negozi. Penso, in particolala nostra gestione e tuttora portata avanti con grandi soddisfazioni: quelre, alla direttrice della boutique di Milano, una donna unica per le sue la, cioè, di stabilire una liason tra l’impresa e vari talenti artistici, alcuni già

«FABER est

suae quisque

FORTUNAE»

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I SION S A P LE

DI

O CARTLO N GIAN E CHIM

COME AMA TRASCORRERE IL SUO TEMPO LIBERO?

Ancora oggi, quando posso, mi dedico alla lettura dei grandi pensatori. Citavo Kant, ma trovo sempre illuminanti anche i grandi maestri di fede come San Paolo e Sant’Agostino: i loro testi mi danno una carica interiore formidabile. In particolare, di Sant’Agostino, il mio preferito, amo ricordare sempre una locuzione: «Si isti et ille, cur non ego?», «Se ce la fanno gli altri, perché non posso farcela anche io?». Inoltre mi piace suonare il pianoforte (ne abbiamo ben quattro in casa nostra). Ascolto molto Beethoven e Mozart, ma il compositore che prediligo è Igor Stravinskij. Bellissima la sua Petruska.

VIAGGIA SPESSO?

Sì, mi muovo parecchio. Venezia è la città di cui sono innamorato, ma se dovessi scegliere un altro posto in cui vivere, direi Hong Kong, metropoli dinamica, ricca di stimoli, dove si respirano grande libertà e possibilità di sperimentare.

UN OGGETTO PREZIOSO NEI SUOI CASSETTI...?

Conservo un archivio di 15 mila fotografie da me realizzate. Mi piace immortalare paesaggi e scorci non comuni.Qualche volta mi alzo alle tre del mattino per andare a vedere l’alba. Le aurore più belle? Quelle sul mare a Liscia di Vacca, vicino a Porto Cervo, in Sardegna.

PER CONQUISTARLA PRENDENDOLA PER LA GOLA, COSA NON DOVREBBE MANCARE IN UN BANCHETTO?

Un buon piatto di pastasciutta condita alla mediterranea, con olio extravergine d’oliva, aglio, peperoncino: perfetta nella sua semplicità. E un calice di Cabernet Sauvignon.

DA COSA O DA CHI NON SI SEPAREREBBE MAI?

Mac e iPad sono diventati ormai parte della mia routine lavorativa quotidiana. Difficile rinunciarvi, sebbene la tecnologia non debba mai prendere il sopravvento sul resto. Sicuramente, però, non potrei fare a meno di avere accanto mia moglie Gabriella e le mie tre figlie, Giulia, Claudia e Marta. Ho una bellissima famiglia, mi sento molto fortunato e grato per questo dono.

PASSO DOPO PASSO

1921

1925

L’antiquario veneziano Giacomo Cappellin e l’avvocato milanese Paolo Venini fondano una nuova vetreria artigianale a Murano. Direttore artistico è il pittore Vittorio Zecchin.

Cappellin e Venini si separano. Il secondo resta a capo dell’azienda, che, sotto la direzione artistica dello scultore Napoleone Martinuzzi, introduce materiali inediti e lavorazioni sperimentali.


È fondamentale che sia IL VERTICE DELL’ORGANIZZAZIONE, autonomamente, a PRENDERE LE DECISIONI conoscenze, le sue doti relazionali e, non da ultimo, una grande dose di pazienza! È difficile trovare persone simili oggigiorno. Ma abbiamo anche eccellenti professionisti sul versante maschile: ad esempio, l’area manager che si occupa di Medio Oriente e Sud-Est Asiatico è un “rullo compressore” formidabile, ammirevole per determinazione e costanza nelle strategie che portano a risultati eccellenti. Come valuta, invece, le nuove leve che si affacciano sul mondo del lavoro? Le è capitato di fare personalmente dei colloqui? Sì, mi piace occuparmene direttamente quando posso. I ragazzi d’oggi – e me ne rammarico – non sono proiettati verso il futuro, non mostrano particolare slancio. Faber est suae quisque fortunae, dicevano i latini. Peccato che gli insegnanti, nelle scuole, non lo ricordino abbastanza e non spronino sufficientemente gli alunni a impegnarsi per costruire la propria sorte. In generale, nelle persone, apprezzo molto la passione che riesco a intravedere nei loro occhi, quando colgo l’innamoramento per un’azienda, un lavoro, una mansione. È il motore che permette di superare tutti i momenti più bui, quelli del singolo come quelli di un gruppo. Vuole sapere come me ne accorgo? Rivolgo sempre due domande chiave: «Mi dici i sogni della tua vita?» e «Quali sono il pregio e il difetto più grandi che hai?». Dalle risposte che mi vengono date, capisco le potenzialità di chi ho di fronte, e dove questi vuole arrivare. E se gli stessi quesiti fossero rivolti a lei...? Il mio obiettivo più grande è sempre stato quello di dirigere un’azienda che facesse dell’arte un business; con Venini ciò è stato possibile. Quanto a virtù e limiti, so di essere un grande sognatore. E riconosco di avere troppa sicurezza in me stesso. Malgrado quest’ultima caratteristica, ammetterebbe di aver commesso, in passato, qualche passo falso che oggi non rifarebbe? Certo, di errori lungo il percorso ce ne sono stati diversi. Uno è aver atteso troppo a lungo prima di dare il via alla ristrutturazione interna dell’azienda, che, alla fine, è stata attuata concretamente solo a partire dallo scorso anno, seppur con esiti positivi. Tornassi indietro, l’avvierei ben prima, all’indomani del crack finanziario del 2008. Allora si sperava che la crisi fosse passeggera... Prima che nel vetro deluxe, ha lavorato per anni nella gioielleria. A parte il fatto che entrambi rientrano nel comparto del lusso made in Italy, sono due settori più affini o più differenti? E perché? Sono diversissimi. Nella gioielleria abbiamo una materia prima ad alto costo e una parte manifatturiera più limitata. Viceversa, nella produzione ar-

tistica del vetro, partiamo da una base molto povera – sali minerali, silicio, sabbia – lavorata poi magistralmente da artigiani che “giocano” in modo sapiente con acqua, fuoco, aria... Preferisco questo secondo ambito: trovo che ci siano maggiori possibilità di espressione, anche con risvolti innovativi e sperimentali. Se non avesse seguito queste strade lavorative, le sarebbe piaciuto intraprendere un altro mestiere? Sono laureato in Filosofia e teologia. All’età di 29 anni, però, dopo la scomparsa di mio padre, era giusto che dessi una mano in famiglia e non mi facessi mantenere. E così ho iniziato a lavorare. Altrimenti mi sarebbe interessato proseguire approfondendo la psicologia e diventare uno psicoterapeuta. La sua formazione universitaria e i suoi studi l’hanno comunque aiutata nelle vesti di imprenditore e top manager? Moltissimo. Devo proprio a quel percorso la sicurezza in me stesso e la capacità di relazionarmi agli altri. Oltre a essere un appassionato di teologia, sono anche un credente praticante: nella preghiera ho sempre trovato la forza e l’illuminazione per superare le difficoltà professionali accanto a quelle quotidiane della vita. Ricordava prima i suoi genitori. Suo padre era un ferroviere, sua madre casalinga. Quali sono gli insegnamenti più importanti che ha ricevuto da loro? E quale lezione ha voluto trasmettere lei alle sue figlie? Da mio padre Mario ho imparato la massima dedizione al lavoro. Di mia madre Silvia ammiro la grandissima bravura e resistenza che ha mostrato per aver allevato ben nove figli... Alle mie ragazze ho sempre ripetuto quello che ricordo ancora oggi ai giovani che si presentano in azienda per un colloquio: dovete avere un sogno ed essere costanti nel perseguirlo. Ha presente come conclude Kant – per ricordare uno dei pensatori che maggiormente amo – la sua Critica della ragion pratica, spiegando cosa susciti in lui massima ammirazione e venerazione? «(...) Il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me»... Esatto, ma, io scherzosamente, alle volte, rivisito quella massima invertendo i termini e parlando di “stelle interiori”: sono le nostre aspirazioni, le passioni di ciascuno di noi. Da far brillare sempre nei nostri animi. A proposito di figure evocative, a quale immagine o suggestione assocerebbe la sua azienda? Sicuramente a una città a me molto cara e a cui il marchio è fortemente legato, Venezia. Venini è un preciso riflesso della sua arte, della sua storia, P del suo fascino senza tempo.

1932

1959

1985

1998

2002

Sono strette importanti collaborazioni con architetti, scultori e designer dell’epoca come Tomaso Buzzi e Carlo Scarpa e, nel secondo Dopoguerra, Gio Ponti e Fulvio Bianconi.

Scomparso Venini, il timone dell’azienda passa all’architetto Ludovico Diaz de Santillana, che introduce una forte innovazione stilistica e produttiva.

L’impresa è rilevata dalle famiglie Gardini e Ferruzzi; prosegue la partnership con esponenti di spicco della scena artistica.

La società è acquistata dal gruppo Royal Scandinavia. Tornerà in Italia dopo tre anni con Italian Luxury Industries, che fa capo agli imprenditori Giancarlo e Gabriella Chimento, da un lato, e Giuliano e Guglielmo Tabacchi, dall’altro.

Il brand compie 90 anni. Si separa dal gruppo vicentino.

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A. Testoni

BRUNO FANTECHI SGUARDO SUL MONDO La spiccata vocazione internazionale dell’azienda si riflette nei numeri: l’85% del fatturato arriva dai mercati esteri. Con la gestione dell’attuale a.d., in carica dal 2007, la società è arrivata a contare 70 monomarca nel mondo

«CUSTODIRE LA TRADIZIONE APRENDOSI AI GUSTI DEL MERCATO PER DARE PRODOTTI UNICI»: È QUESTA LA FILOSOFIA PORTATA AVANTI DALL’AMMINISTRATORE DELEGATO DELLO STORICO MARCHIO CALZATURIERO BOLOGNESE. «VENDIAMO IL FASCINO DELLO STILE ITALIANO, MA AI MIEI COLLABORATORI CHIEDO INNANZITUTTO DI GUARDARE I NUMERI» DI FRANCESCO PERUGINI

PERCORRERE la STRADA dell’ECCELLENZA 60

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N

el 1980 c’era la Guerra fredda, il personal computer era anun universo chiuso non soddisfa più la domanda. La contaminazione può cora un progetto nella mente di pochi visionari e in Cina era avvenire dall’esterno o anche dall’interno. Da una parte infatti si incameappena salito al potere Den Xiaoping. Ebbene in quell’anno, rano informazioni che vanno elaborate e interpretate per rendere i prodotquando l’Estremo Oriente sembrava lontano dall’Italia come ti sempre più contemporanei. Dall’altra si può lavorare sull’organizzazione, ai tempi di Marco Polo, A.Testoni sbarcava a Singapore con dando forza a una serie di modalità di lavoro in cui si favorisce il fluire delil suo monomarca. Il secondo, dopo quello aperto a Tolosa. Ma l’internaziole idee: dando spazio ai giovani, condividendo le progettualità tra i reparti, nalizzazione fa parte del Dna dell’azienda di calzature sin dalla sua nascicreando team di lavoro misti estero-Italia. Tutto questo genera punti di vista ta. Già nel 1955 il fondatore Amedeo, colui che 26 anni prima aveva aperto nuovi che arricchiscono. la sua prima bottega a Bologna, attraversava l’Atlantico per partecipare alla Per molte aziende la soluzione per uscire dalla crisi è stata l’internazionaFiera italo-americana di Chicago. E promuovere il suo marchio che ha attralizzazione. Per voi che all’estero ci siete da oltre un quarto di secolo, qual versato quasi un secolo di storia italiana, guardando però sempre al gusto è stata? straniero e alle grandi rivoluzioni, dalla psichedelia degli anni ’60 all’edoniAbbiamo fatto un processo inverso. A lungo l’estero ha trascinato l’aziensmo degli anni ’80. da: Asia, Usa, Russia sono stati trainanti e noi abbiamo cercato di interpretaNon sorprende dunque che oggi le scarpe emiliane siano vendute in 70 more l’eccellenza in relazione agli input di questi Paesi. Oggi l’Est Europa sofnomarca nel mondo e siano distribuite in tre continenti (Europa, America e fre, il Giappone tiene e vedo segni di vitalità in Corea del Sud. In generaAsia) da sette società commerciali interamente controllate dal gruppo. Eple, però, le carte si sono mescolate. La globalizzazione e l‘interconnessiopure, nonostante abbiano conquistato il mondo incontrando il gusto di pone profonda tra le aree più lontane del mondo, insieme con i viaggi sempre poli lontani e diversissimi per stile e abitudini, i prodotpiù frequenti, hanno fatto sì che l’Italia assumesse un ruoti A.Testoni rimangono inconfondibili per la caratteristica lo sempre più importante per quanto riguarda la moda. Il lavorazione a filettone e nel fondo “a sacchetto”: «Se donostro Paese ha oggi legittimamente un ruolo di leader nel vessi sintetizzare in una parola l’anima dell’azienda dilifestyle e nel modo di vestirsi. E lo diventa ogni giorno di rei che è “unicità”», dice l’amministratore delegato Bruno più grazie al Web. La sfida di Testoni per il futuro dunque Fantechi, 52 anni, al timone dal 2007. è non lasciare più il testimone ai clienti esteri, ma andaQualità, alto di gamma, made in Italy: sono questi i sere fuori dall’Italia facendosi rappresentante del gusto del greti del successo di A.Testoni? Belpaese. Testoni basa il suo percorso su uno spirito che fa combaEssere italiani è un valore fondamentale. Basta questo ciare la vocazione all’eccellenza – nella cura dei dettaper esportare? gli, nell’attenzione ai particolari – con la spinta innata alNoi ci siamo sempre concentrati sul made in Italy come (J. Willard Marriott) l’innovazione e la voglia di esplorare altre aree geografieccellenza costruttiva del prodotto, vendendo finora in che rispetto all’Italia. Non a caso l’85% del nostro fatturamodo relativo lo stile di vita italiano. Abbiamo seguito to viene realizzato oltreconfine. piuttosto le indicazioni di Paesi che avevano le loro speciSiete una piccola multinazionale che vende l’eccellenza ficità, erano più disomogenei. Oggi i Paesi sono più legati italiana: come si gestisce questa ambivalenza? tra loro e trovano un riferimento nel nostro lifestyle. Ecco perché non ci baDa una parte c’è la necessità di mantenere le caratteristiche del prodotsta più vendere prodotti perfetti, ma dobbiamo anche imprimere un’impronta tutta italiana alle collezioni. to, conservando inalterati alcuni passaggi specifici. D’altra parte ci si deve Il concetto di lusso sembra ormai abusato: bisogna ripensare questa adattare a soluzioni produttive che siano efficienti: la bravura sta nell’eliparola? minare i passaggi che non aggiungono valore al prodotto, salvaguardando L’idea di lusso cambia molto a seconda dei momenti storici e dalla tipoloquelli fondamentali. Per quanto riguarda l’aspetto distributivo, invece, è imgia di azienda che la sposa. Il modo originale di rappresentare il lusso è staportante che ci sia una forte managerialità dell’azienda: lavorando su merto quello di una forma di ostentazione, di sofisticatezza, di esclusività che cati internazionali, c’è bisogno di un approccio che tenga conto degli aspetportava con sé una componente aspirazionale che aveva presa anche sulla ti di marketing, commerciali, retail. Il connubio tra l’approccio manageriale classe media. Questo concetto di leadership nel dettare i codici della moda e il cuore produttivo è la formula del successo. è cambiato grazie alla Rete, che genera nuove tendenze una dopo l’altra. Lei sostiene che per restare sulla cresta dell’onda bisogna farsi “contaminaLa declinazione di lusso che più si avvicina alla nostra è piuttosto quella di re”. Che cosa significa? “amore”, l’attitudine ad avere come valore l’eccellenza del prodotto. Il lusso È importante dare forza ai reparti rivolti al mercato, non solo a quelli proè un concedersi un piacere, sapersi gustare un prodotto di qualità. duttivi. Bisogna trasferire internamente gli impulsi che vengono dall’esterno. Come si comunica questo valore intrinseco, le caratteristiche che conferiE questo è più difficile di quanto sembri. Molte aziende partono dal prodotscono pregio e, quindi, comportano un prezzo alto? to e poi cercano di collocarlo, guardano solo dentro se stesse. Da un certo Puntiamo molto sul concetto di “unicità”. L’azienda genera contenuti e propunto di vista questa è una forza, ma quando il gusto dei consumatori camdotti riconoscibili: che siano scarpe, pelletteria, abbigliamento, tutti i nostri bia all’improvviso può diventare pericoloso. Da parte mia, invece, c’è semmanufatti riportano degli elementi iconici inconfondibili. pre stata la volontà di ascoltare i clienti e accogliere le loro istanze, cerCome si fa a custodire una sapienza secolare e una tradizione lunga 80 cando di mettere l’artigianalità al servizio di una richiesta ben precisa. È un anni? Quanto investite nella formazione? processo che si può compiere tranquillamente senza snaturare se stessi. Molto. Di recente abbiamo internalizzato delle lavorazioni che sono un noE come ci si apre al mondo senza perdere la propria identità? stro patrimonio. Cerchiamo di portare dentro all’azienda tutto quello che È una delle sfide di questi tempi. Molti brand si chiudono per la paura di dirappresenta un valore, tutte le lavorazioni ad alta specializzazione. Ciò vuol sperdere valori e tradizioni. E questa reazione difensiva diventa una debodire investire in formazione, su processi che durano anche anni. C’è una lezza. L’impresa invece deve aprirsi, leggere il mondo circostante: se resta

«PIÙ FORTE è il vento,

PIÙ ROBUSTO è l’albero»

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LE

ION PASS O BRUENCHI FANT

I DI L’AMMINISTRATORE DELEGATO DI UNA PICCOLA MULTINAZIONALE RIESCE A RITAGLIARSI DEL TEMPO LIBERO?

Fino a poco tempo fa andavo a Madonna di Campiglio a sciare, ultimamente faccio fatica a trovare il tempo per la presentazione delle collezioni. D’estate amo la Toscana e mi concedo un viaggio all’estero con la famiglia. Il mare e qualche partita a tennis non me li toglie nessuno.

È VERO CHE AMA MOLTO GLI SCACCHI?

Gioco da quando ero piccolo, mi piaceva giocare con mio padre sin da quando avevo cinque anni. La scacchiera unisce il pensiero strategico alla logica per conseguire un risultato. Se trovo l’occasione, approfitto sempre per fare una partita.

IN VIAGGIO FORSE HA PIÙ TEMPO PER LEGGERE. CHE COSA SCEGLIE IN LIBRERIA?

Leggo molti testi manageriali e di economia, li trovo una fonte di aggiornamento. Mi dedico anche a letture più leggere, ma nel periodo di lavoro preferisco prendere libri stimolanti che esplorano punti di vista sempre nuovi e originali. Ultimamente mi sto interessando ai saggi di marketing che esplorano le neuroscienze: mi incuriosisce il comportamento del consumatore e le reazioni indotte da stimoli sensoriali all’interno di un negozio o del Web. Sul comodino tuttavia ho The Zero Marginal Cost Society di Jeremy Rifkin: è un bel tomo, lo affronto a dosi…

PASSO DOPO PASSO

1929

Il giovane artigiano Amedeo Testoni apre una piccola bottega a Bologna.

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1955

1957

Il fondatore inizia a viaggiare per il mondo e partecipa alla Fiera italoamericana di Chicago.

Prendono le redini dell’azienda la figlia Marisa, che si dedica alla creazione dei modelli, e il marito Enzo Fini, che si concentra sulla parte commerciale.


spiccata attenzione su questo: mettiamo i giovani a contatto con maestranze più esperte e invitiamo poi dei maestri per illustrare alcuni processi – magari anche piccoli – che creano del know how importantissimo. C’è inoltre un sistema di monitoraggio delle capacità delle persone, elaborato attraverso la codificazione di microlavorazioni. Ognuno in un processo artigianale è titolare di molti passaggi: per questo cerchiamo di produrre un sapere cumulato attraverso le rotazioni di incarico per far arrivare gli apprendisti a uno stadio di maturità nel giro di due-tre anni. Qual è il “trucco” per difendere e motivare una manodopera così specializzata? Puntiamo molto sul legame col territorio per creare una relazione con l’azienda. Ma ovviamente non escludiamo persone che vengono da fuori. A proposito, lei ripete spesso che «un prodotto esprime il legame col territorio». Come si estrinseca questo rapporto? Vogliamo da una parte accrescere il legame con la città di Bologna, dall’altro quello con l’Italia nel suo complesso. Abbiamo legami con una serie di laboratori e piccoli artigiani che costituiscono con noi una specie di azienda allargata, che poi si ricollega ad altri distretti nel Nord e nel Sud Italia. Dovunque c’è un’eccellenza, abbiamo persone che lavorano per noi in una sinergia molto stretta. Il nostro metodo è “invasivo”, perché abbiamo sempre l’obiettivo che chi lavora con noi arrivi a un certo livello di eccellenza: inviamo dei tecnici che forniscono un gran supporto per la messa a punto degli standard. E questo devo dire che è molto apprezzato, rappresenta un valore aggiunto. La delocalizzazione, insomma, non è un’opzione percorribile per noi. Anche se per un certo periodo abbiamo valutato i pro e i contro. Quanto conta la struttura dei distretti per il made in Italy? Sono fondamentali. Generano competenze a cui appoggiarsi quando fai produzioni che non sono esattamente il tuo core business. Per abbigliamento e pelletteria – che sono una bella fetta del nostro fatturato (la calzatura uomo si ferma attorno al 50%, ndr) – noi forniamo solo design e ingegnerizzazione del prodotto: abbiamo bisogno di chi dà una mano, altrimenti dovremmo costruire una fabbrica per ogni linea. Nei distretti troviamo un humus che esprime l’eccellenza italiana. Qual è la responsabilità delle grandi aziende in un mondo fatto di pmi? I grandi gruppi, quelli quotati in Borsa o con oltre un miliardo di fatturato, stanno promuovendo queste eccellenze. C’è una tendenza al ritorno della produzione in Italia e i distretti ne beneficiano. D’altro canto, però, penso sia importante che ci sia una media-grande azienda che faccia da collante sul territorio, un tessuto imprenditoriale che sfidi i mercati. L’artigiano deve avere consapevolezza del consumatore, altrimenti resta solo un “lavorante”. E quando magari la multinazionale sposta la produzione in un altro Paese, si ritrova senza nulla in mano. Gli imprenditori hanno bisogno però di bravi manager. Lei come ha impostato il suo stile di leadership? Sono qui dall’aprile 2004 e amministratore delegato da oltre otto anni. Ho

1976

1978

2014

La produzione si sposta in provincia, dove viene realizzato uno stabilimento all’avanguardia.

Apre il primo monomarca a Tolosa. Due anni dopo si replica a Singapore.

Riceve il Cathay Pacific Hong Kong Special Award e il Time-honored Panda Award per l’attività in Cina.

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i MANAGER devono avere

LA POSSIBILITÀ di fare i manager

studiato la storia dell’azienda per capirne l’evoluzione e identificarne i valori-chiave da tutelare, poi ho impostato uno stile manageriale improntato al concetto dell’autosufficienza. Ho sempre cercato di fare in modo che le strategie e i percorsi fossero compatibili con le nostre dimensioni e trovassero le basi nelle forze dell’azienda. Il mio percorso è dunque volto a custodire la tradizione, ma dandole una chiave moderna e al passo con i tempi dal punto di vista gestionale. Ho spinto per l’introduzione di tecnologie, di strumenti di analisi massiccia dei dati, ma anche sull’uso frequente di riunioni e di strumenti di formazione per i quadri, sugli aspetti tecnici così come sulle strategie di guida e di motivazione del personale. E ho cercato di dare uno stile omogeneo con il management internazionale, utilizzando tutte le opportunità – campagne vendite, momenti di ritrovo – per cercare di fondere le nostre culture, per amalgamare tutti i punti di vista da Hong Kong agli Stati Uniti per un arricchimento reciproco. Alla base di tutto c’è però molta pragmaticità: mi baso molto su budget, obiettivi misurabili, sistemi di reporting. Quali qualità ricerca nei suoi collaboratori? Apprezzo molto l’orientamento ai risultati, quindi anche alla verifica numerica, all’avvicinamento all’obiettivo. E poi voglio che ci sia la consapevolezza che il successo è frutto del lavoro di squadra: difficilmente si arriva a un buon traguardo da soli, è fondamentale l’aiuto dei propri collaboratori e interagire con gli altri gruppi di lavoro. Un’azienda come la nostra deve avere nella flessibilità un punto di forza rispetto alle grandi aziende. E saper lavorare in team ti abbrevia molto i tempi di reazione. Ci sono stati momenti delicati? Come li ha affrontati? Ce ne sono stati molti, ma la via d’uscita è sempre stata la progettualità. Penso, per esempio, al rilancio del nostro lavoro in Cina, quando siamo passati a un processo più diretto dall’Italia, riorganizzando tutta l’area e accorciando la catena distributiva. La difficoltà rappresenta solo la necessità di evolvere, un segnale che è necessario passare a un altro stadio. In quel momento è importante la definizione di un progetto, con un certo tipo di tempistica, che rappresenti un cambiamento. Quali sono le caratteristiche di un buon leader? Ne indico due. La prima è la capacità di mobilitare le risorse di cui dispone. E quelle più importanti sono le risorse umane: le persone vanno focalizzate verso obiettivi specifici. Si riesce a farlo se si ha la capacità “evocativa” di trasferire ai dipendenti la visione di un traguardo e del percorso per arrivarci. Un piano che deve essere talmente stimolante da smuoverle. La seconda è la concretezza: i percorsi che si descrivono devono essere anche realizzabili e devono essere percepiti come possibili da chi dovrà implementarli. La famiglia Fini, erede del fondatore, resta al vertice dell’azienda con il presidente Enzo e il vicepresidente Marco. Come va declinato il rapporto tra l’imprenditore e i manager? Il mio caso lo ritengo molto positivo. La famiglia è portatrice di valori, di una storia che mette al servizio dei manager e gioca il proprio ruolo in spazi ben definiti, che fanno nascere un corretto gioco di squadra. Una parte definisce le linee strategiche – approvate dal cda o dall’assemblea – in sinergia con gli azionisti. Mi sembra la formula più azzeccata per essere vincenti sui P mercati. I manager devono avere la possibilità di fare i manager.

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Patek Philippe

LAURA GERVASONI

CARRIERA ESEMPLARE Entrata in azienda nel 1999, quando nel nostro Paese c’erano solo un centro assistenza e l’ufficio stampa, Laura Gervasoni è divenuta direttore generale della sede italiana di Patek Philippe nel 2006

MANTENERE le PROMESSE DA SEGRETARIA ALLA SCRIVANIA DI DIRETTORE GENERALE: LA SIGNORA DEGLI OROLOGI RACCONTA LA RICETTA DELLA SUA SCALATA: «NON ESSERE AMBIZIOSI, MA FARE SEMPRE QUELLO CHE È GIUSTO». COSÌ COME I SEGNATEMPI MECCANICI DELLA CASA DI GINEVRA DEVONO GARANTIRE ESCLUSIVITÀ A CHI LI INDOSSA, AL DI LÀ DEL PREZZO DI ANDREA NICOLETTI

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C

he cosa rende un marchio forte? Risposta: sai cos’è, sai che cosa fa e sai cosa significa. Senza nessuna inutile spiegazione. Un esempio? Patek Philippe: fanno orologi, li fanno bene, sono simbolo di prestigio. E lo sanno tutti. Siamo nella fascia più alta del mercato dell’orologeria mondiale, una nicchia per collezionisti e facoltosi appassionati. Di quelli che, paradossalmente, temono più il redditometro che la crisi, perché questa per definizione non li tocca, mentre avere un simile cronografo al polso significa sfoggiare un livello di benessere che, anche se minimizzato con grande discrezione, non passa certo inosservato. Vale per il segnatempo più prestigioso, un Gran Master Chime nato dopo sette anni di progettazione e due di realizzazione, in soli sette esemplari, a 1.3 milioni di euro l’uno. Vale per tutti gli altri gioielli di precisione che i fortunati possessori si tramandano di generazione in generazione al pari di una eredità pregna di valore e di significato. L’azienda ha appena tagliato il traguardo dei 175 anni con un fatturato in continua crescita (+4%) e vendite per oltre 1,15 miliardi di franchi svizzeri. Il segreto? Lo chiediamo a Laura Gervasoni, la Signora degli orologi, dal 2006 direttore generale della sede italiana. «Mi piace pensare che l’anima di Patek Philippe sia come il suo nome: tutti sanno di cosa stiamo parlando. E nonostante questo c’è molto di più. Lo sa bene chi lavora qui: tutto, dagli ambienti di lavoro allo stile manageriale, ha un’anima, un valore che si traduce in serietà. Userei una parola: importanza. Importanza dello stile ma anche della tecnica, della storia e dell’innovazione. Questo si riflette sul prodotto finale, sull’immagine che trasmette. ma anche, più banalmente, nell’arredamento degli uffici italiani, nell’aria che si respira qui. Vero. C’è quasi un silenzio ovattato qui nel quartier generale e ti aspetti da un momento all’altro di sentire tic-tac… Non è un’illusione. Dietro questa porta c’è l’unico laboratorio Patek Philippe, oltre quello di Ginevra. È questo uno dei nostri punti di forza e ne vedremo altri in seguito. Ma questo ci rende unici. Qualunque cosa succeda al vostro orologio, c’è un solo posto in Italia dove è permesso metterci le mani sopra. Qui. E si tratta delle migliori mani nel mondo della meccanica di precisione. Come si diventa il numero uno di Patek Philippe in Italia? La mia è una carriera partita da molto lontano. Ero una delle tante segretarie in una grande azienda petrolifera, poi sono passata a una concessionaria di pubblicità, Manzoni, con un portafoglio di clienti molto importanti, fra i quali, caso vuole, anche Patek. È così che conosco il responsabile della comunicazione dell’azienda, con il quale lavoro a stretto contatto nella pianificazione delle campagne. Il mio lavoro gli piace e nel 1999, grazie al pr di allora, Angelo Pennella, e a

«È PIÙ SEMPLICE dirigere un’azienda

CHE EDUCARE UN FIGLIO»

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Riccardo Valente, entro anche io in Patek. All’epoca non c’era una sede in Italia, solo il centro assistenza e l’ufficio stampa. È cominciato tutto così. Al polso ho ancora il Patek che comprai appena assunta. Non avete l’orologio come benefit aziendale? Non da noi. Da assistente a direttore generale. Quali sono le skills che hanno fatto la differenza? Dovrei chiederlo a Thierry Stern, l’erede della famiglia che non ha mai smesso di tenere in mano le redini della società. A me piace pensare che sia la franchezza. Perché è quella che ho respirato qui dentro fin dall’inizio, quando ho dovuto fare un tuffo nella cultura aziendale, respirarne l’anima appunto. Ed è un’anima sincera. La serietà della famiglia Stern è un buon termine di paragone, soprattutto per me: ne ho fatto il mio stile, sul lavoro e a casa. E chi è il cliente tipo? Fino a 15 anni fa erano solo i collezionisti. Grazie a loro, la notorietà è aumentata e il pubblico si è allargato. Oggi si compra un Patek Philippe ancora per collezione o come forma di investimento. Anche per una sorta di estrema auto-gratificazione. Abbiamo anche due modelli più accessibili in acciaio, che per noi rappresenta solo il 20% della produzione, per strizzare l’occhio a una clientela nuova. Ma senza rinunciare alle grandi complicazioni introdotte negli ultimi anni. In assoluto, i nostri migliori clienti sono quelli abituali, imprenditori e uomini d’azione, colti ed eleganti, nella vita e professionalmente, che in comune hanno una cosa: la passione per gli orologi. Fra le novità che avete presentato quest’anno a Baselworld, circa la metà erano orologi da donna. Questa proporzione vale anche nella produzione? Ci si sta avvicinando, ma non è proprio così. Tradizionalmente il rapporto è sempre stato di 70 a 30 a favore della clientela maschile, che pian piano è diventata 65-35. Uno spostamento dovuto al fatto che anche l’universo femminile si sta avvicinando al mondo dell’esclusività. Per contro, noi ci stiamo avvicinando a loro, anche con modelli al quarzo. Mentre la Svizzera mette a segno un +1,9% nell’export degli orologi, con 1,2 miliardi di pezzi per un valore vicino ai 20 miliardi di euro, nello stesso periodo voi crescete addirittura del 4%. Come fate? Siamo stati favoriti dal fatto di essere poco presenti in mercati in calo come Cina e Hong Kong e molto forti in quelli più in salute. Il 45% del nostro fatturato è in Europa, mentre l’Asia pesa per il 33% e il Medio Oriente arriva all’8%. Su quale mercato credete si possa fare meglio? Abbiamo ancora ampie potenzialità di crescita negli Stati Uniti, per esempio, che per noi valgono il 14% dell’export. E l’Italia? La peculiarità del mercato interno è curiosa: vendiamo molto… ai turisti stranieri. Sono stati gli acquisti dei visitatori, infatti, a consolidare anche quest’anno il risultato positivo registrato anche lo scorso anno. Naturalmente, uno dei nostri obiettivi è quello recuperare la clientela nostrana. Avete paura di Apple e degli smartwatch? No, e per tre motivi. Primo, la mossa di Apple potrebbe far bene all’intero mercato, spingendo i giovani a indossare un orologio che fino a oggi non hanno mai posseduto. Gli stessi giovani che, crescendo, ne compreranno altri. Secondo: per quanto ben fatti, oggi gli orologi Apple hanno ancora una durata limitata nel tempo, per batteria, schermo e soprattutto perché la tecnologia avanza e brucia i vecchi modelli. Questo con noi non accade, anzi. Terzo: forse non lo sapete, ma anche un Patek è smart. Dentro un cronografo da polso ci sono fino a 20 complicazioni, un’intelligenza meccanica e raffinata ma facilissima da usare. Qual è l’atteggiamento di Patek Philippe nei confronti dell’ecommerce? Molti brand di lusso vendono on line. Ma noi che siamo oltre il lusso non lo facciamo e non abbiamo intenzione di farlo. Non è nei nostri piani strategici: preferiamo una relazione diretta con i no-

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LE

ION S S A P

I DI

A LAURSONI A GERV

COSA FA NEL TEMPO LIBERO?

Premessa: non ne ho molto. Ma appena riesco mi dedico allo sport: acquagym, oppure un’oretta di running e d’inverno, nei fine settimana, lo sci. Non è facile ma credo di aver trovato un buon equilibrio fra la vita professionale e quella privata. E sono convinta che questo aiuti a dare il meglio di se stessi, sia in ufficio che a casa. Una buona parte di quello che si definisce successo nella vita, infatti, è quando si è in salute fisicamente, sentimentalmente e intellettualmente. Cioè in equilibrio.

UNA PASSIONE RIMASTA NEL CASSETTO?

Quella per il golf. Giocavo spesso e non me la cavavo male. Dovrei riprendere.

LIBRI PREFERITI?

I libri gialli, i polizieschi ben costruiti che non ti lasciano un attimo di pausa, dalla trama solida e mozzafiato. E da qualche anno a questa parte anche i libri per bimbi: ho una figlia piccola e non esagero quando dico che alla sera spesso trascorro più tempo a leggere la Pimpa per farla addormentare che non Camilleri. Ma non è affatto un rimpianto: fa parte del bello di essere mamma.

OROLOGIO PREFERITO? Non sto neppure a dirlo.

CHE COSA LE PIACEREBBE FARE MA NON PROPRIO CI RIESCE?

Una volta avevo l’abitudine di fare vacanze avventurose. Organizzavo viaggi all’aria aperta: in tenda nel deserto libico per esempio, oppure con la Jeep nei sentieri più impervi dell’Asia. Sono una ex viaggiatrice d’avventura, mi piaceva andare alla scoperta di luoghi inesplorati e selvaggi, avevo meno timori e più risorse di oggi. Ma non ho perso la speranza: prima o poi lo farà ancora, promesso.

PASSO DOPO PASSO

1839

1868

1956

1989

2000

2001

2008

Antoine Norbert de Patek, immigrato dalla Polonia, e l’orologiaio François Czapek fondano a Ginevra la Patek, Czapek & Cie.

Invenzione del primo orologio da polso per la contessa ungherese Koscowicz.

La manifattura realizza il primo orologio completamente elettronico.

Per celebrare i 150 anni viene prodotto il Calibro 89, l’orologio da tasca con più complicazioni sino ad oggi.

Lo Star Caliber 2000 è un altro celebre orologio da tasca con 21 complicazioni.

Viene realizzato l’orologio da polso più complicato che sia mai stato prodotto: Sky Moon Tourbillon, contraddistinto dalla celebre cassa a due quadranti.

Viene battuto all’asta un Patek Philippe per la cifra record di 5,5 milioni di euro.

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La FLESSIBILITÀ È IMPORTANTE, ma alcune cose non possono cambiare: sono la QUALITÀ DELLA PRODUZIONE e i valori etico-morali ALLA BASE DELLA STRATEGIA stri clienti e di conseguenza con i retailer. E poi spesso per comprare un Patek bisogna mettersi in fila, e questo contrasta con il click sul Web. Quali sono i pilastri sui quali l’azienda è riuscita a crescere? Sono diversi. Innanzitutto una strategia costante, che non si lascia influenzare da fugaci trend di mercato. Poi la proprietà, rimasta nelle mani della stessa famiglia da sempre. Questo significa indipendenza e autonomia, che ci permette di seguire la nostra strada e non quella di altri o del mercato. Anzi, di aprirne delle nuove, con una visione a lungo termine, slegata dai dettami della moda o dai trend passeggeri. E infine innovazione, con oltre cento brevetti, accanto alla tradizione. Un binomio da tenere sempre in equilibrio: da un lato il nostro patrimonio è fatto da esperienza e passione, perpetrate da maestri artigiani e orologiai che ripetono oggi gli stessi gesti di un tempo, dall’altro da brevetti e tecnologie più recenti, utili per migliorare il funzionamento e rendere i nostri prodotti sempre più “complicati”, affidabili e precisi. Come ha impostato il suo stile di management? Su un aggettivo: sincero. Ho cercato di essere sempre aperta, chiara, onesta. E credo di esserci riuscita. Se faccio promesse, le mantengo. Se dico una cosa, è quella. Senza compromessi. Quali sono i segreti per diventare un leader? Stranamente io non ho mai pianificato la mia carriera con l’obiettivo di arrivare qui o altrove. C’è una parola per questo: serendipity, cioè trovare una cosa non cercata e imprevista, per puro caso. Vero. Io non sono una carrierista, ho sempre fatto quello che credevo più giusto, cogliendo le opportunità senza cercarle a tutti i costi. Non ho mai detto “voglio arrivare”. Però eccomi qui. Quale è il peccato (veniale) da cui bisogna stare più lontani? L’ambizione. Quella sfrenata. Credo di essere agli antipodi del manager arrivista che sa esattamente quello che vuole e fa di tutto per ottenerlo, senza guardare in faccia a nessuno. Anche perché qui da noi questo atteggiamento non funzionerebbe. Siamo una piccola squadra in Italia, ci conosciamo tutti e ci guardiamo negli occhi. Una sua piccola ossessione? L’ordine. A casa e in ufficio. Basta guardare la mia scrivania. Cosa serve per guidare una azienda come Patek Philippe? Conoscerne l’anima, averne respirato il clima. Condividerne i valori. Se dovessimo paragonare Patek Philippe ad un altro brand del lusso, quale sarebbe? Nessuno, perché noi non ci sentiamo parte del mercato della moda o del lusso, una parola ormai abusata anche da chi oggi fa produzioni su larga scala. A noi piace pensare di essere un gradino più sopra, in una nicchia di mercato che potremmo definire di prestigio e di esclusività. Il lusso spesso è definito solo dal prezzo - più è alto e più un prodotto viene percepito come unico - o dai trend del momento. Il prestigio invece è un valore duraturo che si esprime nel tempo. Non vale per voi il mantra di tanti altri business, ovvero flessibilità e propensione al cambiamento? Alcune cose non si possono cambiare. La qualità, per esempio, costante negli

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anni e identica su tutte le linee di prodotto. Una qualità eccellente che rende i nostri segnatempo unici e dalla personalità di spicco. Un’altra cosa che non cambierà mai, per fortuna, sono i valori, etici e morali alla base della strategia aziendale e del management interno: valgono per il prodotto e in ambito lavorativo. Non si tratta di una strategia a tavolino, ma di valori portanti. E l’innovazione? La facciamo da quando nel 1932 la famiglia Stern prese la decisione di creare un segnatempo con specifiche caratteristiche tecniche ed estetiche. Sono passati 175 anni e non abbiamo mai smesso di innovare, col risultato di produrre orologi “intelligenti”. Ma di classe. Come l’ultimo Pilot, che ripropone un modello degli aviatori degli anni ‘30, conservato nel museo Patek Philippe, in oro bianco ma diverso da tutti i nostri orologi (e da quelli dei competitor), perché riprende il design dei primi del ‘900. Che cosa vi differenzia da Rolex e dal resto della concorrenza? Abbiamo 200 modelli in catalogo, fabbricati in piccole serie che possono andare da una decina a poche centinaia di pezzi, e li vendiamo tutti. Non credo che altri possano dire la stessa cosa. È vero che avete fatto della “scarcity” una leva di marketing? Dicono che dal 1839 ad oggi siano stati prodotti poco più di un milione di Patek Philippe, meno di quanto una qualsiasi altra azienda produce in un anno... Più una cosa è rara e maggiore sarà il suo valore. Di alcuni modelli, per esempio, ne esistono in commercio poche decine di esemplari, e questo li rende difficili da reperire, di conseguenza di maggior prestigio. L’ultimo Gran Master Chime, per fare un caso estremo, esiste solo in sette pezzi, già tutti venduti a 1,3 milioni di euro l’uno. In generale, la piccola quantità è segno di qualità. Nessuno dei nostri segnatempo è prodotto in massa, anzi. Stiamo attenti a farne pochi: per questo, quando si parla di collezionismo e investimento, il primo nome che viene in mente è Patek. Per quali altri motivi i collezionisti scelgono un vostro prodotto? Oltre alla rarità, per il design: ogni volta che esce un nuovo modello, suscita subito stupore, critiche o entusiasmo. Poi però diventa un classico, inevitabilmente. Un altro motivo è l’investimento: alcuni cronografi che negli anni ‘80 erano in vendita a 20 mila euro, oggi ne valgono 400 mila. Alcuni orologi presentati, e venduti, in occasione del nostro 175esimo anniversario, sono già tornati sul mercato a prezzi strabilianti. Infine, i dettagli: per esempio, mentre quasi tutti gli orologiai usano macchinari per la lavorazione della cassa oppure lo fanno fare a terzi, noi facciamo tutto in house e a mano, utilizzando tecniche di fabbricazione che risalgono agli albori dell’800 e che in pochi conoscono nell’industria della moderna orologeria. Alcune casse sono addirittura forgiate partendo da un blocco d’oro unico e solido. Quale è la sfida finale quindi? L’orologio perfetto? La perfezionè assoluta è sempre e solo un obiettivo a cui puntare, se la raggiungessimo, non potremmo fare altro che fermarci. La vera sfida, per noi e per chi lavora nell’industria dell’orologeria top di gamma, è riuscire a mantenere una qualità costante negli anni e in ogni singola realizzazione, senza mai cedere alle mode e a i trend, senza mai scendere al prêt-à-porter. E quale è la sfida della Signora dell’orologeria? P Non ci crederà mai: arrivare puntuale in ufficio. Sgarro sempre di un minuto.

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Gessi

EUSEBIO GUALINO FORMATORE All’interno dell’impresa è nata un’Academy, di cui il manager è animatore e relatore, che tratta temi di strategia, sistemi economici e organizzazione aziendale,e offre corsi di leadership tenuti anche all’aria aperta e a ritmo di musica

SAPERSI DISTINGUERE LA FORZA DI UN’AZIENDA NON DIPENDE DALLE

DIMENSIONI O DAI LISTINI BASSI, MA DAL TALENTO DEI PROPRI UOMINI. LA LEZIONE DELL’AMMINISTRATORE DELEGATO DEL GRUPPO DI PRIVATE WELLNESS È DIVENTATA UNA SCUOLA DI LEADERSHIP. E HA TRASFORMATO LA SOCIETÀ IN UN “FACTORY SHOW” DI FRANCESCA D’ANGELO FOTO DI S. SCARPIELLO/IMAGOECONOMICA

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D

istinguersi: è sempre stato questo il pallino di Gessi, azienda leader nel settore dell’arredobagno e del Private Wellness. E tra i più ferventi promotori di questa vision milita, in prima linea, il suo amministratore delegato: Eusebio Gualino. Un uomo appassionato del mondo, ma soprattutto degli uomini, che considera la vera scintilla dell’innovazione e del successo. Non a caso uno dei suoi mantra è: «Pesce veloce e intelligente mangia pesce grande». Per Gualino, infatti, il vero valore aggiunto di un’azienda non nasce dalle dimensioni o dal vantaggio comparativo sui prezzi dei prodotti, bensì dal vantaggio competitivo. Tradotto: dal talento delle proprie risorse umane. Sono perciò gli uomini a fare la differenza, soprattutto quando riescono a dare vita a una rete di relazioni e business. Ma il suo non è un pio credo, confinato nella stanza dei bottoni in quel di Serravalle Sesia (Vercelli), dove sorge l’azienda. La sua vision si è subito concretizzata in una vera realtà, dal nome ben preciso: Gessi Academy. Una scuola di formazione e aggiornamento a tutti gli effetti, dove lo stesso Gualino interviene come relatore insieme ad altri esperti, come il professore Dipak R. Pant, docente di Antropologia e Sistemi economici comparati. Dove si discetta di strategie, sistemi economici, organizzazione aziendale: l’affluenza è notevole (circa 3 mila persone l’anno, provenienti da tutto il mondo) e le lezioni sono seguite anche in rete su YouTube. Tra le sue frasi ormai cult ci sono: «O ti distingui, o ti estingui» e «Stare vicino ai grandi per diventare grandi». All’appello, naturalmente, non mancano i corsi di leadership, spesso tenuti fuori dalle aule dell’Academy, all’aria aperta, con tanto di annessa gita organizzata sui monti. Un’impostazione insomma fuori dagli schemi, la cui efficacia viene però dimostrata dal successo riscosso da Gessi in un settore competitivo quale quello del design. E c’è addirittura chi, dall’estero, arriva in Italia e si concede una visita guidata all’interno dello stabilimento. Perché avete deciso di aprire le porte della vostra azienda manifatturiera agli esterni? Siamo convinti che il luogo dove si produce diventerà un elemento sempre più importante. Il consumatore del futuro non si accontenterà di sapere cosa compra: vorrà sapere come, da chi e dove viene realizzato l’oggetto e sarà sempre più interessato alla storia dell’esperienza di acquisto (altrimenti detta “storytelling”). I prodotti che hanno una storia vantano, quindi, un maggior valore. Si sta inoltre sviluppando sempre più la consapevolezza che gli oggetti abbiano un’anima e riflettano i luoghi in cui vengono realizzati, lo stato d’animo dei lavoratori, le loro

«Dimenticati

DI MANGIARE,

ma non dimenticarti

MAI DI LEGGERE»

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condizioni di vita. Una volta entrati nelle case dei consumatori, possono comunicare o sottrarre energia all’ambiente in cui vengono posti. Ciò che viene realizzato attraverso lo sfruttamento dei bambini, degli operai, del pianeta, certamente costa meno, ma a mio avviso è dannoso per l’habitat in cui viene inserito perché sottrae energia, portando in sé le lacrime di tristezza delle persone che sono state sfruttate. Per questo ci teniamo molto che il posto di lavoro sia un luogo accogliente. Da qui, l’idea di trasformare l’azienda manifatturiera in un “factory show”: un posto affascinante, da visitare, realizzato con dei principi di sostenibilità molto elevati. Per esempio, in Gessi usiamo il 100% di energia rinnovabile. Di riflesso, la qualità del lavoro all’interno è molto alta. So che normalmente a nessun esterno vengono fatti visitare i luoghi produttivi: spesso sono brutti, sporchi. Noi invece mostriamo la fabbrica e chi ci viene a trovare esce dall’azienda così entusiasta da diventare il nostro migliore ambasciatore. Neppure la crisi ha intaccato il vostro rapporto d’elezione con i lavoratori? Più di un’azienda è stata costretta a tagliare sul personale, per cause di forza maggiore. A oggi non siamo ancora ricorsi né alla cassa integrazione né alla solidarietà. Verso i nostri dipendenti e collaboratori sentiamo un carico di responsabilità importante, sicuramente diverso da quello che potrebbe percepire una multinazionale. Quest’ultima ha un legame debole con il territorio e può prendere delle decisioni anche forti, con leggerezza. Per noi non è così: ci conosciamo tutti, ci vediamo, ci incrociamo in paese. Siamo radicati sul territorio e al contempo rappresentiamo una variabile decisiva in termini occupazionali, per via dell’elevato numero di persone che lavorano da noi. Per questo abbiamo deciso di dimensionare tutte le altre voci, dando invece più valore possibile al capitale umano. Che è da sempre il vostro elemento distintivo... Siamo conosciuti proprio per questa nostra attenzione verso le persone e verso la loro crescita. D’altronde parlare dell’azienda vuol dire parlare delle persone. Esiste solo un elemento che produce valore nel mondo: l’uomo. E il valore è generato dalle idee che uno o più individui riescono a realizzare. A proposito di formazione, quale modello di leadership proponete nei vostri corsi? Molti pensano che ci sia solo un modello: quello americano. In realtà i fattori della leadership esistono da quando ci sono gli esseri viventi. Per questo non sposiamo un modello preciso, ma proponiamo un corso che si chiama Outdoor leadership. È tenuto da Dipak Pant, antropologo nepalese e docente di Economia sostenibile. In questo incontro si fa un’ analisi antropologica dei vari tipi di leadership esistenti nella storia. Immagino però che, al di là dell’excursus storico-antropologico, darete delle indicazioni in merito… Un approccio antropologico alla leadership è molto affascinante e permette di avere più spunti su cui riflettere. E questo è un aspetto oggi vitale. Se infatti le aziende sono diventate tutte uguali, è anche per un problema culturale: i Paesi si stanno uniformando negli usi e nelle abitudini. Basta guardarsi intorno per accorgersene: vestiamo tutti allo stesso modo, leggiamo i medesimi cult, produciamo tutti le stesse cose di uguale qualità e allo stesso prezzo. La crisi è una conseguenza anche di questo modello produttivo. L’unico modo per crescere in un mercato asfittico è farsi riconoscere. Come amo ripetere: «O ti distingui o ti estingui». Quindi, per fare la differenza come azienda, non bisogna lavorare sull’ultimo miglio, ossia solo sul consumatore, ma sul primo, cioè la cultura d’impresa. Come spiega Pant: «La cultura non è la ciliegina sulla torta, è la torta stessa». Dunque, come dovrebbero strutturarsi, internamente, le imprese? Viviamo in un mondo iperveloce, dove sembra che tutto sia già stato inventato (ma in realtà tutto è ancora da migliorare) e il singolo da solo non può più fare la differenza in termini di innovazione. Servono, semmai, team liquidi, coesi e collegati tra loro, in grado di diventare dei moltiplicatori di idee. Da qui, la necessità di creare all’interno delle aziende un volano di

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PASSO DOPO PASSO

1992

1999

2004

2006

Umberto Gessi sfida i grandi nomi dell’arredobagno e fonda Gessi: una piccola officina che, già dall’anno seguente, si allarga trasferendosi a Serravalle Sesia (Vc).

Debutta sul mercato il primo rubinetto al mondo con un corpo a base quadrata: un modello targato Gessi, che rivoluzionerà il design del bagno.

Inizia a sorgere il moderno polo produttivo che renderà famoso Gessi: uno stabilimento di oltre 58 mila mq, raddoppiati nel 2010, all’interno di un parco polifunzionale a Serravalle.

I continui successi confermano il talento di Gessi e l’azienda diventa una multinazionale.

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I DI N O I SS LE PA COME IMPIEGA IL SUO TEMPO LIBERO? BIO EUSELINO GUA

Mi piace molto praticare sport. In particolare vado a sciare d’inverno, mentre prediligo la bicicletta durante la bella stagione. Una volta a casa, leggo molto: trovo che la lettura sia il più grande strumento evolutivo e di conoscenza a disposizione dell’uomo.

QUALI ARGOMENTI PREDILIGE?

Sono onnivoro: spazio dai testi di filosofia ai saggi di management, fino a libri più commerciali destinati al grande pubblico. Sebbene questi ultimi non siano una lettura strettamente aziendale, raccontano comunque l’umanità, i suoi desideri e le sue esigenze. Un aspetto decisivo per chiunque voglia elaborare un pensiero creativo: un’azienda può avere successo solo quando riesce a soddisfare le esigenze dei suoi clienti. Per esempio, adesso sto leggendo L’intestino felice di Giulia Enders. Non ci crederà, ma ho trovato degli spunti interessanti per la vita e per il lavoro.

AMA ANCHE IL CINEMA E LA TV?

Il cinema molto, anzi moltissimo. La Tv no, penso sia il manipolatore più potente nonché il più grande ladro di emozioni. Per tenermi aggiornato preferisco dei canali meno emotivi, come per esempio Internet.

la recessione sarà passeggera. Imparare a nuotare significa invece iniziare ad agire in maniera nuova rispetto al passato: questo momento non può essere affrontato con gli stessi strumenti che ci avevano portato al successo nel passato. Il vero problema però non è la recessione in sé, ma la sua durata: stiamo assistendo a un enorme cambiamento del mercato e alla fine sarà tutto diverso. Come vi state armando? Una regola, che abbiamo sempre seguito, è «stare vicino ai grandi per diventare grandi». Abbiamo partecipato, per dire, al World Business Forum di Milano: una vetrina sul futuro molto interessante, i cui concetti cerchiamo di trasmettere, semplificati, ai nostri clienti e stakeholder. Questo ci ha permesso di giocare in anticipo rispetto alla crisi e capire per tempo che non sarebbe stata passeggera. Abbiamo compreso che non potevamo rimanere fermi, a capo chino, ripetendo sempre i medesimi comportamenti. Inoltre abbiamo sviluppato molto l’estero. Non è stato facile: fino a qualche anno fa, l’Europa era il principale consumatore di design. Oggi invece non è più così: il sistema produttivo del design è rimasto qui in Italia o nel continente, mentre il mercato si è spostato lontano, in America e in Asia. È un cambiamento violento per il settore. Oggi cosa chiede il mercato alle aziende che prima non chiedeva? Molta efficienza e, soprattutto, flessibilità. Lo stesso modo di produrre è cambiato: banalmente, se prima i clienti facevano magazzino, con l’attuale situazione finanziaria non ordinano più niente finché non hanno venduto. Questo vuol dire che bisogna essere rapidissimi a fornire, su richiesta, quel dato prodotto in quella specifica forma e colore. Noi abbiamo realizzato un sistema produttivo just in time, che permette di consegnare in ogni parte del mondo in tempi rapidissimi. Non tutte le aziende sono riuscite a tenere il passo. Cosa è venuto meno? Il coraggio o la capacità di innovazione? Le aziende italiane hanno moltissima capacità di innovazione, così come di coraggio. Basta partecipare al Salone del mobile per toccare con mano la straripante creatività di noi italiani. Siamo fantasiosi, realizziamo tantissimi nuovi prodotti. Quello che manca è, semmai, la grande organizzazione e il supporto tipici, per esempio, delle realtà tedesche. Non è un caso se in Italia esistono tantissime piccole e medie imprese e poche grandi aziende. In questo scenario, qual è il ruolo del sogno, concetto che lei non si stanca mai di promuovere? Il sogno ha un’importanza enorme per l’individuo e per le aziende, perché è il fattore in grado di condizionare il nostro modo di pensare. Se abbiamo un obiettivo, pur di raggiungerlo, modifichiamo il nostro modo di agire. In ultima istanza, accettiamo di cambiare il nostro carattere e la nostra stessa vita. Certo, oggi è molto più difficile fare sognare le persone perché il contesto non aiuta. Tuttavia è su questo fronte che si gioca la possibilità di crescita dei clienti e delle aziende. Esiste un mercato che studia il consumatore, dove l’obiettivo è capire le sue esigenze. Un risultato che oggi si può raggiungere quasi scientificamente: indici, rapporti, ricerche, rilevazioni ci consentono di avere degli strumenti analitici molto puntuali. Ma c’è anche un’altra via per arrivare al consumatore: quella, semplificando, di Steve Jobs, che non ha cercato di migliorare il modo in cui telefonavano le persone, ma ha sognato un modello diverso. È la strada che abbiamo seguito, per esempio, quando abbiamo lanciato Private Wellness Gessi, immaginando uno spazio diverso, che portasse la spa nelle case degli italiani. Progettato in collaborazione con Donatella Caprioglio, docente di Psicologia infantile all’università di Parigi, e l’antropologo Dipak Pant, Private Wellness Gessi è uno spazio rigenerante, prima inesistente. E ancora oggi, quando un cliente arriva nel nostro showroom ha ben presente la propria idea di bagno. Eppure, una volta che è entrato, sposa le soluzioni innovative che gli proponiamo perché in realtà contribuiscono al miglioramento della qualità della sua vita. P

Si deve stare vicino ai grandi

PER DIVENTARE GRANDI

progetti, che creino valore aggiunto. Mi tolga una curiosità: è vero che in alcuni vostri corsi usate la musica? Certo, perché la musica permette di comunicare messaggi e concetti in modo rapido, imprimendoli nella mente delle persone. In Italia abbiamo artisti come Ligabue, Jovanotti, Edoardo Bennato, Vasco Rossi, Pierangelo Bertoli che hanno trasmesso concetti straordinari con canzoni fantastiche. Oltre alla musica, usiamo anche i film, che assumono una grande importanza per la comunicazione emotiva. Lo stesso concetto, spiegato verbalmente, non avrebbe la stessa forza e suggestione. Lei ha dichiarato: «Quando l’acqua sale e arriva alla gola, rimangono solo due alternative: o cercare di abbassare il livello o imparare a nuotare». Quindi, come si sopravvive nel mare (parecchio agitato) della recessione, una volta esclusa l’opzione di tagliare sul personale? Tentare di abbassare il livello delle acque vorrebbe dire perseverare nell’idea che

2008

2010

Doppio riconoscimento: l’impresa vince sia il premio Superbrand of Italy sia il prestigioso Red Dot DesignAward per il design nella comunicazione.

Debutta sul mercato Goccia: il primo rubinetto da salotto.

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Sas

MARCO ICARDI PIONIERE Appassionato di matematica e statistica, il suo legame con Sas inizia dalla tesi di laurea, elaborata sfruttando proprio un programma dell’azienda

CONOSCERE è POTERE CONTINUA RICERCA E INNOVAZIONE. È QUESTO IL GENE CHE HA SPINTO LA MULTINAZIONALE STATUNITENSE A DIVENIRE LEADER DELLA BUSINESS ANALYTICS E CHE, SECONDO L’AMMINISTRATORE DELEGATO DELLA FILIALE ITALIANA, HA CONSENTITO A TANTE ECCELLENZE TRICOLORI DI DISTINGUERSI A LIVELLO GLOBALE. L’IMPORTANTE È NON DIMENTICARSI MAI DI ASCOLTARE E DI VALORIZZARE LA COMPONENTE UMANA DI CECILIA LULLI - FOTO DI VALERIO PARDI

SAS THE POWER TO KNOW

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T

he power to know. Il potere della conoscenza. È sul valore inestimabile che le informazioni (e la loro elaborazione) costituiscono per le imprese e le pubbliche amministrazioni, che Sas opera dal lontano 1976 a livello globale e, dal 1987, anche in Italia. Una lunga esperienza che le ha permesso di diventare la maggiore società di software e servizi di business analytics e la più grande società a capitale privato nel mercato della business intelligence. Un settore in cui è stata pioniera, oggi divenuto imprescindibile per qualsiasi impresa, pmi incluse. Perché nell’era della ipercomunicazione digitale conoscere se stessi, il mercato e i propri competitor non è più un optional e allo stesso tempo richiede gli strumenti adeguati. Così, in piena crisi economica, mentre molte realtà chiudevano i battenti, il numero dei suoi clienti è cresciuto esponenzialmente, portandola a conoscere e lavorare con il meglio dell’imprenditoria: di questo abbiamo parlato con Marco Icardi, amministratore delegato della filiale italiana dal 2009. Quando si parla di aziende, di solito, si fa riferimento a qualcosa di prosaico e tangibile, prodotti e ricavi per esempio. Ma si può in qualche modo affermare che le imprese abbiano anche un’anima? Sono certo che ce l’abbiano e quella di Sas è variegata, riunisce diverse componenti. Tra queste, mi ha sempre attratto lo spirito di ricerca e di innovazione che la caratterizza, e che da un lato si concretizza in una spinta verso il futuro, dall’altro nell’immagine della scoperta: due aspetti profondi della natura umana che ritrovo in azienda. Pensare che il cuore del vostro lavoro sono i dati, comunemente ritenuti freddi, anonimi, in contrapposizione alle attività creative e umanistiche. Possiamo, quindi, dire che anche i numeri hanno un’anima? Sicuramente hanno un loro fascino, che si scopre non appena si approfondisce la conoscenza della matematica. Oggi esplorare e rielaborare i numeri significa anche scoprire tante nuove informazioni, che di “freddo” non hanno nulla. Basti pensare all’analisi del genoma, e quindi di noi stessi in quanto esseri umani, o all’evoluzione del nostro pianeta. Ogni volta che affrontiamo queste elaborazioni riescono a stupirci oltre che ad affascinarci, e credo che siamo in possesso di tutte le tecniche e le conoscenze necessarie per andare a fondo in questa esplorazione. Insomma, attraverso i numeri aiutate le aziende a conoscere se stesse? Questo è proprio uno dei supporti che offriamo alle imprese. E al giorno d’oggi, in cui è sempre più difficile conoscere se stessi a causa della velocità del cambiamento cui tutte le aziende sono sottoposte, avere la capacità di tenere monitorate quotidianamente le performance è un fattore molto rilevante. Nell’era della ipercomunicazione digitale, è decisivo conoscere se stessi e gli altri, come persone e come aziende, per essere vincenti sul mercato? La comunicazione diretta, facilitata da strumenti come app e social network, così come dalla mobilità, ci porta a essere sempre interconnessi e a modificare le nostre aspettative, i nostri comportamenti, sulla base delle informazioni puntuali che riceviamo. Intervenire a questo livello suggerendo o semplificando la messa a punto di strategie e la presa di decisioni sulla base dei dati a disposizione è allora divenuto fondamentale. Ma alla interconnessione deve necessariamente accompagnarsi la capacità di elaborare le numerosissime informazioni da cui siamo bombardati. Per fare un esempio, risulta molto più stimolante ed efficace un suggerimento puntuale in seguito alla

visione di un determinato film o la lettura di un certo libro, piuttosto che una pubblicità generica. Ecco, io credo che questa capacità di contestualizzare e rendere personali le interazioni sia la frontiera futura verso cui evolveranno anche i sistemi sempre più automatizzati di elaborazione dell’informatica. Però, l’enorme mole di informazioni a disposizione rende ancora più difficile l’elaborazione dei dati. Il punto è riuscire a eliminare il rumore di fondo e individuare gli elementi distintivi. Far emergere le idee e le notizie particolari che il Web ci offre diventa un elemento differenziante per tante aziende. Proseguendo sul piano metaforico, se l’aspirazione all’innovazione e alla conoscenza è l’anima di Sas, quale potrebbe essere il suo corpo? Penso che siano le persone a fare la differenza, anche sul mercato, non solo in termini relazionali ma anche di competenze. Poi, certo, lo scheletro che ci sostiene è la qualità dei prodotti e le soluzioni solide che abbiamo costruito in più di 38 anni di lavoro nel campo del business analytics. Lei è entrato in azienda per la prima volta nel 1998, come è cambiata Sas da allora? Quando ho fatto il mio ingresso in Sas, eravamo leader in mondi analitici che venivano considerati di nicchia; con il tempo invece questa conoscenza si è diffusa, inoltre c’è stato un salto tecnologico importante che permette di accedere a certe piattaforme e soluzioni anche a imprese che in passato non avevano nemmeno l’ambizione o la necessità farlo. Globalizzazione, digitalizzazione delle informazioni e mobilità creano oggi i presupposti per cui tutte le aziende hanno la necessità di muoversi in questa direzione, con il vantaggio di un costo economico di ingresso decisamente più basso rispetto al passato. Anche in considerazione del fatto che il settore era di nicchia, cosa l’ha spinta a scegliere proprio Sas? Sono sempre stato appassionato di matematica e statistica, in più sono un ingegnere e proprio per elaborare la mia tesi di laurea ho sfruttato un linguaggio di programmazione Sas. È in quel momento che ho stabilito un primo legame con quest’azienda. Dopodiché per dieci anni ho seguito un percorso professionale differente, ma non appena si è presentata l’occasione, non me la sono lasciata sfuggire. Forse da fuori è difficile da cogliere, ma si tratta di un mondo davvero affascinante: siamo la più grande azienda privata al mondo di software avanzati in questo campo, e dà grandissima soddisfazione lavorare su tanti processi che, anche se non ce ne rendiamo sempre conto, fanno parte della nostra vita quotidiana. C’è un aspetto di questa impresa che non conosceva e l’ha impressionata positivamente dopo aver iniziato a lavorarci? Fin dall’inizio mi ha colpito il fatto di essere parte di una rete, e quindi di essere immediatamente messo a conoscenza di quello che man mano Sas va facendo nel mondo, ma anche di avere l’opportunità di vivere un continuo scambio di esperienze. La rete nostra interna è molto forte e penso che questo sia ancora un elemento che ci differenzia da tante multinazionali del settore. Ci racconta una delle cose più importanti che ha imparato nel corso della carriera? Ho imparato ad ascoltare sia quanto i clienti e i colleghi sanno, sia quanto vorrebbero fare, solo così nascono progettualità nuove. È un processo di apprendimento che nel tempo, interagendo con settori e competenze diver-

«UN COINVOLGIMENTO PERSONALE di tutti

per orchestrare al meglio i progetti di crescita aziendale. Con un pizzico di PASSIONE

ED ENTUSIASMO»

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SSIO A P E L

NI DI

CO MARRDI ICA

SO CHE AMA DARSI DA FARE IN CUCINA, È VERO?

È un mio svago, un modo per staccare un po’ la spina cui mi dedico nel week end. Ma ho anche diversi altri passatempi. Amo quelle attività che mi portano a trascorrere del tempo con la mia famiglia e gli amici.

PER ESEMPIO?

Di recente ho riscoperto il gioco degli scacchi, cui mi ero dedicato da giovane. Merito dei miei figli.

E POI?

La lettura, anche in condivisione. E poi i viaggi mi hanno sempre affascinato. Anche se non è sempre facile trovare il tempo necessario, credo sia importante imparare a conoscere culture diverse. Sono aspetti che con il passare degli anni diventano sempre più importanti, probabilmente la mancanza di tempo li fa anche apprezzare di più.

PASSO DOPO PASSO

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1976

1987

Fondazione di Sas negli Usa. Il nome nasce come acronimo di “statistical analysis system” e all’inizio si concentra sulle ricerche agricole.

Sas sbarca nella penisola: è l’anno in cui apre la sua sede tricolore.

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1993 Sas investe la quota più alta nella storia (34%) del proprio ricavato in Ricerca & Sviluppo.


se, ti permette di portare valore e innovazione nell’azienda in cui lavori. C’è un’innovazione portata da lei di cui è particolarmente fiero? Essere sempre all’avanguardia, magari in pochi settori, ma rilevanti: è questo lo spirito che mi ha guidato. Per esempio, è stata la filiale italiana ad aprire il discorso sul risk management e ancora oggi in quest’area deteniamo la leadership funzionale. Negli anni abbiamo inaugurato anche altre attività, come una forte apertura alla rete dei nostri partner: siamo leader nel modo in cui comunichiamo la complessità della nostra azienda e il Sas forum ha avuto grande risonanza proprio perché siamo riusciti a trasmettere informazioni anche su materie molto complesse. Abbiamo creato un innovation hub, in cui piattaforma e tecnologia si coniugano a esperienze e casi reali e pensiamo di portare innovazione anche in quest’area. Trovo interessanti questi primati italiani, perché si pensa sempre che in campo tecnologico il mondo anglosassone sia più avanti di noi…. Noi europei possiamo insegnare molto, perché abbiamo sicuramente una cultura più aperta, una maggiore capacità di essere innovativi. Dopodiché è importante portare le novità nel mondo americano, perché loro sono poi molto bravi, più di noi, nella messa a punto della produzione. Quali sono secondo lei i vostri punti di forza? Su cosa dovete invece migliorare? La nostra forza è dare risposte concrete ai clienti su progetti che poi vanno effettivamente in porto con successo. Sembrerebbe un elemento scontato eppure è ancora quello che ci differenzia. Riusciamo a farlo perché abbiamo tenuto al nostro interno le competenze e le tecnologie necessarie, e perché sappiamo sfruttare la rete dei partner nel modo giusto. Il mio cruccio, invece, è che ci sarebbe molto di più da fare. Potremmo essere molto più visibili a livello Paese, servendo le istituzioni pubbliche in modo più rilevante di quanto accade ora, ma anche partecipando ai progetti di trasformazione dei nostri clienti in modo più strategico. Su questo stiamo lavorando e, se da un lato rappresenta una mancanza, dall’altro apre prospettive interessanti per il futuro. Insistete spesso sull’importanza della condivisione e della collaborazione tra aziende – credo che il Sas forum ne sia una delle prove più evidenti – perché la ritenete prioritaria? Non rappresenta un rischio condividere il proprio sapere e le proprie competenze? Oggi la domanda di data scientist è enorme, e noi stiamo lavorando con diverse università affinché questa cultura dell’informazione sia sempre più diffusa. Non solo i manager del futuro, ma anche quelli di oggi, dovrebbero essere in grado di governare i processi tecnologici attivi all’interno delle loro aziende oltre a comprendere le problematiche di business, eppure siamo di fronte a un importantissimo gap di formazione. Basti sapere che già da uno studio di un paio di anni fa risultavano mancanti, solo a livello europeo, ben 4 milioni di persone con queste caratteristiche. E in assenza di persone con queste conoscenze, il settore rimarrà nella nicchia che occupava in passato

2003

2012

2013

Sas sviluppa Iem (Information Evolution Model), un modello per supportare le aziende nel valutare l’utilizzo delle informazioni e ottimizzare i ritorni di business.

Esce la soluzione Sas Visual Analytics, dopo 35 anni di R&S e continui confronti con clienti provenienti da tutto il mondo.

Idc identifica Sas come leader di mercato, con una quota del 35,4% negli Advanced and predictive analytics.

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Bisogna essere SEMPRE ALL’AVANGUARDIA, magari in pochi settori,MA RILEVANTI e che dovrebbe già aver superato. L’obiettivo è quindi colmare questo gap ed è possibile farlo solo parlando il più possibile di certi temi, aprendosi anche a livello di competitor e diffondendo le conoscenze in nostro possesso. Oggi il potere non è tenere per sé le informazioni, la conoscenza è diffusa. Quello che cerchiamo invece di tenere per noi, come valore aggiunto, è piuttosto come sfruttare questa conoscenza. Per la natura stessa della vostra attività, lavorate a stretto contatto con molte imprese, dalle pmi alle multinazionali. Cosa accomuna, secondo lei, le aziende di successo? Non posso che tornare a parlare di persone, sono quei dipendenti che sanno applicare in azienda veri processi di trasformazione che permettono di fare la differenza. Per fortuna a livello italiano vi sono veramente tantissime eccellenze, anche perché da anni abbiamo scuole di alta formazione in grado di creare una cultura manageriale forte e molto avanzata, e di fare la differenza sul mercato internazionale. Oggi un approccio di questo tipo è indispensabile, e di conseguenza lo è avere una competenza global, che si costruisce anche attraverso una conoscenza molto puntuale dei vari mercati. È qui che entra in gioco il nostro lavoro. Dunque, la spinta all’innovazione è un po’ lo spirito che accomuna tutte le aziende di successo, grandi o piccole che siano? Certo. Poi ovviamente ci si differenzia nei mondi e nei modi in cui si va ad applicare l’innovazione, che non sempre coincide con quella che vive nel nostro immaginario. Anche l’attenzione ai costi e all’ottimizzazione interna delle risorse aziendali è un elemento di trasformazione che ha colpito tutte le aziende e ha rappresentato una spinta al rinnovamento. Ogni azienda vincente, però, ha anche un leader vincente: quali sono le qualità chiave che non possono mai mancare a un buon leader? In primis, la visione di dove vuole portare l’azienda. E poi il coinvolgimento delle persone nel progetto da realizzare: nessuno, da solo, è in grado di innescare il processo di trasformazione di un’intera impresa, specie se grande. E nessuno, ai tempi dell’evoluzione ultrarapida, deve pensare di avere tutte le capacità necessarie per essere l’unico elemento di evoluzione. Occorrono competenze molto variegate e in rapida trasformazione, e queste si ottengono solo costruendo team che sappiano lavorare molto bene insieme e siano coinvolti in un progetto visionario. Il tutto ovviamente senza scordare di tenere i piedi per terra, affinché l’azienda sia anche sostenibile. Non bisogna mai sottovalutare l’importanza dell’attenzione alle risorse e ai costi, di ottimizzazione ed efficienza. C’è un manager o un imprenditore cui si ispira nel suo lavoro? A dire il vero ci sono tanti aspetti diversi che mi affascinano in diverse personalità, da Steve Jobs ad Andrea Guerra fino al nostro stesso Ceo, Jim Goodnight, che ha una visione affascinante di come modellare l’ambiente di business. Insomma, ci sono una serie di stimoli che ricevo dall’esterno e cerco poi di adattare alla mia personalità e all’azienda che guido, perché naturalmente ciascuno di questi personaggi ha degli aspetti estremamente positivi e altri meno. Penso per esempio a Steve Jobs e al suo modo di “comandare”, è un aspetto del suo modo di essere che non sento mio e spero sinceramente di impersonare in maniera diversa. P

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Illycaffè

ANDREA ILLY MISSIONE GLOBALE Al timone da oltre vent’anni, dopo una laurea in Chimica e un Mba, l’erede della famiglia di origine ungherese ha guidato la globalizzazione del marchio che oggi è presente in 140 mercati

SODDISFARE i BISOGNI SENZA COMPROMETTERE il FUTURO SOSTENIBILITÀ: È QUESTO IL REQUISITO

INDISPENSABILE DELL’AZIENDA TRIESTINA NATA CON IL SOGNO DI PRODURRE LA TAZZINA PIÙ

BUONA DEL MONDO. LA FORMULA DEL SUCCESSO? UNA FAMIGLIA DI IMPRENDITORI CON IL PIGLIO DA MANAGER: «PERCHÉ PER PRENDERE LE DECISIONI GIUSTE DEVI AVER FATTO ESPERIENZA» DI FRANCESCA D’ANGELO

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I

l profitto è solo una delle (tante) priorità di Andrea Illy. Per il presicompetitiva e la complessità crescente mi hanno portato a specializzardente di Illycaffè, il successo è una partita che si vince sulla distanmi sul marketing, in particolare quello dell’alto di gamma, andando al za. Non è un rush finale, dove ci si gioca tutto, alla cieca. Semmai, di là del semplicemente prodotto. Diciamo che, se mio padre era più è una sfida a scacchi, un gioco d’intelligenza e responsabilità soimprenditore, io cerco di essere un imprenditore-manager. ciale, scandito da strategie di lungo periodo: quelle basate sul «soUna doppia anima imposta dall’attuale scenario di mercato? gno di offrire il caffè più buono al mondo», sullo «sviluppo sostenibile», Se un imprenditore vuole capire l’azienda, i processi, quale impostaziosulla continuità generazionale e sulla funzione culturale dell’imprendine organizzativa dare, che scelte operare sugli uomini, deve essere pritoria. Una vision impegnativa, sicuramente più difficile da realizzare rima di tutto un manager: per delegare efficacemente bisogna aver prima spetto al “mordi e fuggi” del semplice guadagno, ma che ha trovato in maturato un’esperienza. Certo, non si può essere tuttologi, ma si può questo «imprenditore-manager», come ama lui stesso definirsi, un sosteessere interdisciplinari: come imprenditori, bisogna sapere coprire tutte nitore convinto. Subentrato al padre alla guida di Illycaffè nel 1994, Anle principali aree della catena del valore. Oggi, tra l’altro, viviamo neldrea ha alle spalle una laurea in Chimica presso l’università di Trieste, un l’era dell’ipercompetizione: questa non deriva necessariamente dall’ecMaster Executive alla School of management dell’università Bocconi di cesso dell’offerta, ma anche dal continuo rinnovamento dei modelli di Milano, nonché svariati pomeriggi trascorsi con il padre a discettare di fibusiness e dalla costante entrata di nuovi player provenienti da tutto il losofia di impresa: una materia che ha appassionato da sempre entrambi, mondo. Con la globalizzazione sono caduti i confini e si compete ad diventando il fil rouge di questo passaggio di testimone aziendale. Quaarmi pari con una rivale dello stesso settore, a prescindere dal Paese di drato, idealista quanto basta perché i valori si possano tradurre anche in provenienza. Questa maggior competizione e la complessità del businumeri, Andrea Illy è diventato anche il numero uno dell’Associazione ness necessitano indubbiamente di una maggior preparazione. Altagamma nonché un verace scrittore: suoi sono i libri Il sogno del caffè Recentemente, ha anche abbracciato il Lh Forum: il movimento che e Il caffè espresso–La scelta della qualità. promuove l’economia positiva di Attali, fondata su valori quali solidaLe chiacchierate con suo padre sembrano averla ispirata particolarmenrietà, altruismo, fiducia, partecipazione, amore per la natura. Tale apte. Quali concetti ha voluto trattenere più di alproccio non rischia di rivelarsi idealista, soprattri, trasformandoli nell’elemento di continuità tra tutto di questi tempi? le vostre due presidenze? Al contrario: è molto sensato. Uno dei pilaPer me, come per mio padre, l’impresa ha una stri dell’economia positiva, oltre alla sostenibilifunzione sociale fondamentale perché è il cardità, è il lavoro per le future generazioni: consiste ne tra le famiglie e la società. Metaforicamente, nel soddisfare i propri bisogni senza comprometle famiglie sono i mattoni con cui si fanno i muri, tere quelli delle generazioni future. Questo vuol ossia le imprese. A loro volta, i muri costruiscodire lavorare per lasciare un mondo migliore rino la società, gli Stati. Gli stessi numeri dimostraspetto a quello che abbiamo trovato. Esattamenno il ruolo sociale delle aziende: il 90% dell’octe l’opposto dello short business, figlio a sua volcupazione è generata dall’impresa privata. Questo ta della dottrina della shareholder company, dove (Walt Disney) vuol dire che migliori saranno le imprese, migliol’azionista è il re dell’azienda e l’unico obiettivo ri saranno le società che andremo a costruire. Al è creare profitto. Una visione chiaramente di brepari di mio padre, sono convinto che non si posve termine e che, in nome della massimizzazione del profitto, compromette il futuro finendo per risa prescindere da questa funzione culturale delvelarsi molto speculativa. Ora, la speculazione non può certo essere del’imprenditoria. bellata, ma la si può moderare. I principi dell’economia positiva invitaCrede che la continuità di guida e di vision siano determinanti per il no a non esasperare la speculazione, ma a perseguirla entro i limiti di successo di un brand? quelli che sono gli interesse del lungo termine. Sicuramente la coerenza nel lungo termine ha rappresentato per noi un A differenza di suo padre, a lei sono anche toccati in sorte gli anni horfattore di successo. Illy nasce dal sogno del fondatore di offrire il miglior ribiles – tuttora in corso – della recessione. Com’è riuscito a tenere la caffè che esista al mondo, e tutta l’azienda è stata letteralmente costruibarra dritta e a traghettare la sua azienda nel mare della crisi? ta attorno a questa vision: dal posizionamento della marca all’organizzaNon mi è toccata in sorte solo la recessione: contestualmente, nelzione interna, fino alla scelta delle stesse tecnologie. È da oltre 80 anni lo stesso periodo, abbiamo dovuto fronteggiare anche la più alta volache non facciamo altro che continuare a perseguire, ossessivamente, tilità dei prezzi della materia mai vista finora. Inoltre lo scenario, in tertale sogno. E questo lo si può fare solo con una coerenza di lungo termimini di concorrenza, è stato il più virulento degli ultimi dieci anni delne. Senza contare che lo stesso messaggio di marca ha bisogno di temla storia del caffè. Abbiamo insomma dovuto fare i conti con una crisi po per sedimentarsi sul mercato e qualsiasi discontinuità, sia essa di stranella crisi. Per venirne fuori abbiamo scelto di tirare dritto, senza cercategia piuttosto che di cambiamenti degli asset azionari, non fa bene alle re alibi, facendo un fine tuning accurato dell’organizzazione. Abbiamo aziende. sviluppati nuovi prodotti, ci siamo molto concentrati sulla sostenibilità Qual è invece l’imprinting personale che lei ha dato all’azienda? dei modelli di business, abbiamo rafforzato la marca anche con progetti Rispetto al passato sono cambiate le dimensioni di Illy: adesso è una somolto ambiziosi l’ultimo dei quali è legato all’Expo. Abbiamo inoltre cietà globale, presente in altri 140 mercati. La differente dimensione

«If you can

DREAM IT, you can

DO IT»

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ONI I S S LE PA Y A ILL

DI COME TRASCORRE IL SUO TEMPO LIBERO?

In mezzo alla natura. Non riesco a vivere in città: devo avere il verde. Quindi pratico tutti gli sport legati ai principali elementi della natura (fuoco escluso…): vela, sci, moto, corsa, bici. Amo tutto ciò che mi porta all’aria aperta, ma non lo vivo con impegno agonistico: di competizione ce ne è già abbastanza nel mondo del lavoro.

RE AND

AMA ANCHE LEGGERE?

Leggo il più possibile, prevalentemente saggistica. Spazio dalla scienza alla filosofia, senza dimenticare naturalmente l’economia. Amo invece meno la narrativa.

PASSO DOPO PASSO

1933 Dopo la I Guerra mondiale, l’ungherese Francesco Illy lascia la propria patria per venire a vivere in Italia. Qui trova l’amore e fonda Illycaffè.

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L’IMPRESA ha una FUNZIONE SOCIALE FONDAMENTALE, è il cardine tra le famiglie e la società: LE PERSONE SONO I MATTONI con cui si fanno i muri, ossia le AZIENDE puntato molto sull’estero, ed è lì che siamo cresciuti particolarmente: ormai il mercato straniero pesa quasi 2/3 sul nostro fatturato. In qualche modo, crede che la recessione abbia restituito il pallino del gioco all’imprenditore, sottolineandone la funzione strategica? Sì, perché di fronte alla recessione le possibilità sono solo due: attendere tempi migliori, oppure sfruttare le opportunità esistenti per investire ancora di più. Ed è dimostrato che le aziende che, in tempi di crisi, investono, non solo escono molto meglio dalle difficoltà ma, quando inizierà la ripresa, si troveranno in una posizione competitiva più proficua. Io ho preferito percorrere questa seconda strada, indubbiamente più rischiosa e difficile, ma di cui iniziamo già a vedere i primi frutti. Addirittura, secondo alcune recenti ricerche, oggi il peso dell’imprenditore sarebbe tale che la sua reputation influenzerebbe per il 50% l’immagine del brand e dunque, di riflesso, le vendite. Si riconosce questo onore (e onere)? Immagine e reputation sono interdipendenti, anche se trovo che quest’ultima sia la più importante. Se infatti l’immagine è legata al posizionamento della marca, la reputazione è più corporate e rappresenta il capitale di fiducia che un’azienda ha saputo conquistarsi. Si esprime, naturalmente, nella marca, ma nasce dall’impegno sociale e dai comportamenti: è la value proposition, ossia la promessa che una marca fa al consumatore e va ben oltre la promessa del prodotto, coinvolgendo l’esperienza d’acquisto, la personalità della marca, l’affinità elettiva che si instaura con il consumatore. Di questa reputation, noi imprenditori siamo i frontman: la maschera, i porta parola dell’azienda. Ci tengo però a precisare che la reputazione si costruisce in decenni: io ho l’onore di rappresentare una marca e un’azienda storica, con un lungo passato di successi, di cui io ho contribuito solo negli ultimi 20 anni. Che cosa ha imparato dalla crisi? Prima di tutto, il tema della massa critica. Mi spiego meglio. Nei periodi di recessione, vengono meno le risorse economiche per poter investire e i grandi player tendono ad approfittarne. La massa critica diventa quindi un problema da gestire. Occorre pertanto evitare il confronto con i grandi player e, contestualmente, operare un’allocazione delle risorse particolarmente oculata. Il secondo grande insegnamento è che quando le organizzazioni, per effetto della crisi, sono messe sotto stress, tendono a esacerbare la complessità presente al loro interno. I conflitti generati sono pertanto più complessi da gestire. Ma da questa lunga recessione – che a mio avviso è in realtà una depressione – ho soprattutto imparato che è possibile raggiungere risultati anche in tempi difficili.

Tuttavia nel 2012, in piena recessione, è stato sedotto dall’idea di fare armi e bagagli e uscire fuori dall’Italia. Che cosa l’ha trattenuta? Se anche c’è stata questa tentazione, si è subito rivelata un’idea poco praticabile per un marchio di alta gamma come il nostro, il cui fattore critico di successo sono proprio le radici che vengono date dal territorio, dalla storia, dalla famiglia… Abbiamo quindi optato per il modello della world class organisation che prevede di spostare, laddove è opportuno, alcuni asset fuori dall’Italia, a eccezione dell’headquarter che rimane in patria. Da grande conoscitore del mercato estero, cosa dovrebbero imparare gli imprenditori italiani dai loro colleghi? Noi italiani siamo, dal punto di vista antropologico, individualisti: giochiamo da battitori liberi. Questo ci porta a essere più creativi, forse persino più scattanti perché siamo in perenne concorrenza gli uni contro altri. Al contempo però non abbiamo il vantaggio di far squadra e, quindi, di poter raggiungere attraverso un sistema una massa critica, che in alcuni casi è necessaria. Inoltre, essendo un battitore libero, l’imprenditore-accentratore italiano riesce a gestire la complessità solo entro certi limiti. Complice il mito di Steve Jobs, oggi va molto di moda parlare dell’importanza del sogno. Un concetto sul quale voi avete addirittura costruito un’intera società, la Illycaffè, nonché le vostre ultime campagne… Credo che non smetterò mai di sognare perché il desiderio crea una tensione interna verso il futuro, che ti permette di raggiungere traguardi che magari neanche sospettavi. Da solo però il sogno non basta: come ha spiegato Jeffrey E. Garten: «Vision without execution is just hallucination». Lei ha dichiarato: «Per crescere è fondamentale condividere la cultura del prodotto». Perché bisogna far approfondire al cliente anche questo aspetto? Non è sufficiente che il prodotto sia aspirazionale e assolva alla propria funzione? Dipende dal prodotto. Nel caso del caffè, si tratta di una bevanda ad alto di contenuto di tradizione e conoscenza: dal ‘600 in avanti, è sempre stato al centro della cultura, delle arti, della letteratura e della scienza in generale. Amo ripetere che consumare caffè è un piacere socio-sensoriale, che va al di là del concedersi una dose di caffeina. Ecco, più si riesce a interpretare questa cultura in senso allargato, più si saprà deliziare il consumatore. Da qui, il nostro impegno a diffondere la cultura del caffè, che ci ha spinto a fondare, nel 1999, l’Università del caffè. Prevede 3 dipartimenti: uno per gli agricoltori; un altro per gli esercenti, che saranno così in grado di dare al consumatore finale un’esperienza più arricchita, e il terzo dedicato proprio ai consumatori che P desiderano diventare degli intenditori di caffè.

1934/1935

1974

1988

1994

1996

2011

Francesco Illy inventa il rivoluzionario metodo della pressurizzazione e lancia la “nonna” di tutte le macchine per l’espresso: Illetta.

Debuttano sul mercato le cialde da caffè: le Illy Serving Espresso.

Si brevetta il sistema di selezione digitale dei chicchi, che permette di scegliere solo quelli perfetti.

Andrea Illy diventa amministratore delegato, promuovendo ulteriormente l’internazionalizzazione dell’azienda.

Cambio di logo per Illy: a forgiarlo, su sfondo rosso, è l’artista pop James Rosenquist.

Illy riceve, prima azienda al mondo, la certificazione di Responsible Supply Chain Process.

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Radio Deejay

LINUS STORIA IN MUSICA L’anno prossimo il dj festeggerà 40 anni di carriera radiofonica: iniziò nel 1976 per approdare solo nel 1984 all’emittente che è diventata la sua casa e di cui è anche direttore artistico

L’EMPATIA INNANZITUTTO GESTIRE UN’AZIENDA IN CUI I COLLABORATORI SONO TUTTE PRIME DONNE: UNA MISSIONE IMPOSSIBILE MA NON PER PASQUALE DI MOLFETTA: «BISOGNA IMMEDESIMARSI NEGLI ATTEGGIAMENTI DELLE PERSONE. SOLO COSÌ SI MANTIENE IL GRUPPO UNITO NONOSTANTE I CONFLITTI» DI GIOVANNI BUCCHI - FOTO DI ULI WEBER

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C’

è una domanda che ogni giorno lo stuzzica. Tre paPer fortuna il Web non è stata l’alternativa alla radio, ma un mezzo di role e un punto interrogativo che non gli danno mai diffusione attraverso il quale arriviamo in posti fino a ora impensabili, tregua: fino a quando? Fino a quando continuerà a come l’altra parte del mondo. La Rete ci permette di attingere informaguidare una delle più importanti radio italiane? Fino zioni in ogni momento ed è un modo efficace, forse anche troppo, per a quando potrà condurre il suo programma di succesinteragire con il pubblico. so? «Sicuramente fino a quando mi divertirò», risponde lui. Perché troppo? D’altronde, Linus è un tipo fatto così; vuole gustarsi la vita adesso, senTramite i social network il pubblico lo senti molto più vicino, come se za doversi preoccupare troppo di quel che succederà domani. «Sono avessimo tolto la pista d’atletica dallo stadio e gli spalti fossero a riuna persona molto precisa e organizzata, ma se qualcuno mi chiede dosso del campo. A volte questa pressione può essere controproducencosa c’è nel mio futuro non so cosa dirgli». Cinquantasette anni, da 40 te perché tende a influenzarti un po’ troppo; rischi di ascoltare solo chi in radio e da 25 alla conduzione di Deejay chiama Italia con l’insepagrida e si vuole fare sentire privilegiando i suoi gusti, mentre magari la rabile Nicola Savino che lo affianca fin dal 1997, Linus – al secolo Pastragrande maggioranza degli ascoltatori è una massa silenziosa. Il Web squale Di Molfetta – è uno dei personaggi più poliedrici e amati del è molto utile nell’interazione col pubblico, ma anche pericoloso. mondo dello spettacolo. Lei sente molto la pressione del pubblico? Direttore artistico di Radio Deejay, conduttore e dj radiofonico, manaSì, e la cosa non mi piace perché credo che nel mondo dello spettacoger, autore, scrittore, personaggio televisivo, blogger, maratoneta. lo i ruoli debbano rimanere sempre ben distinti: chi fa l’artista sta sul Linus, davvero non si è ancora stancato di palco, il pubblico guarda dalla platea. Invefare tutte queste cose? ce c’è un po’ di ipocrisia secondo la quale Onestamente no. Anche se il fatto di doanche il pubblico deve diventare protagoniver prima o poi dire addio a tutto questo è sta come l’artista, ma questo è un boomerang un pensiero ricorrente, il concetto di “fino pericoloso. a quando” in me è molto presente. Ho semQual è il compito del dj radiofonico? pre pensato: fino a quando mi divertirò. PosEssere come lo stilista che spiega cosa si usa so dire di essere un ragazzo fortunato, nella e cosa no, cosa va e cosa no, per questo mi vita ho raggiunto più o meno quel che spedispiace quando sento dj che non hanno una ravo, adesso posso permettermi di dire basta grande cultura musicale. Tuttavia, nell’essere quando voglio. propositiva, la radio fa i suoi interessi perché (Sun Tzu) Dagli anni ‘70, quando lei ha iniziato, il monovviamente cerca di proporre ciò che piace do della radio è completamente cambiato. al suo pubblico e ciò che si sposa con il suo Certamente, però io ritrovo oggi nelle pictipo di fruizione. cole start up del settore e nelle realtà che laDa direttore artistico di Radio Deejay, cosa vorano con il Web, quel tipo di curiosità ed energia creativa che erale permette di tenere ben saldo il timone? no caratteristiche delle prime radio tra il 1975 e il 1977. Era un perioLa testardaggine e la coerenza. Non siamo la radio con il maggior nudo molto naif, la mancanza della Rete non ci permetteva di avere tante mero di ascoltatori in assoluto, in questo Rtl ci sopravanza e anche in informazioni, eravamo a digiuno di approfondimenti e di inglese, non maniera decisa, ma siamo la radio con il miglior fatturato, in modo alc’era nessuno che ci insegnasse il mestiere. trettanto netto a guardare i bilanci. E questo accade perché abbiamo C’è qualcosa di quegli anni che però andrebbe recuperato? una griffe che è rimasta fedele a se stessa mantenendo una sua linearità L’attenzione verso la musica. Il dj radiofonico di oggi è molto più aunel corso degli anni. Sarebbe facile fare scelte più “popolari”, ma ci fatoriferito, centrato sulla parola, sul personaggio e sull’intrattenimento rebbero diventare una cosa diversa rispetto a quel che siamo: è proprio ma magari senza grandi basi musicali. Spesso non gli interessa nemmequesta coerenza il risultato più importante dei miei vent’anni di direno di averne. zione artistica. I primi slogan di Radio Deejay dicevano invece ben altro... Come avete affrontato la crisi economica? Adeguandosi al mercato che cambia continuamente. Noi viviamo solo Esatto. Uno dei più noti e ricordati era: “Poche parole, tanta musica”. La di pubblicità, non abbiamo sovvenzioni, canoni o abbonamenti, quinmusica all’epoca era il 90% del prodotto radiofonico, noi dj eravamo soldi la prima cosa che abbiamo dovuto fare è stato cambiare strategia tanto dei vigili urbani, dei semafori che smistavano canzoni. Quarant’anni per continuare a intercettare il mercato pubblicitario sempre più risicadopo la musica è diventata la colonna sonora di quel che noi speaker dito. Rispetto a qualche anno fa, ci siamo inventati dei nuovi meccaniciamo. Per me però rimane molto importante il modo in cui un dj entra ed smi per creare visibilità. Penso, per esempio, alla Deejay Ten o alla noesce nei dischi e la conoscenza di cosa abbia appena suonato. stra estate a Riccione: sono tutti modelli promozionali di diffusione del Dove la radio ha fatto passi da gigante? marchio e del prodotto legati a grandi eventi all’interno dei quali coOggi c’è più consapevolezza di cosa vuole il pubblico; le radio sono struire percorsi commerciali molto efficaci. La Deejay Ten è un esemstrutturate in modo da rivolgersi ognuna al suo pubblico di riferimenpio che andrebbe studiato nelle università, riesce a fare contenti tutto e hanno un’identità ben precisa. Ascoltando una radio ora la posti: quelli che ci vanno a correre, la radio che viene promossa e i clienti so riconoscere in pochi minuti senza che lo speaker nemmeno la nomiche hanno una visibilità importante. ni: lo capisci dalla selezione musicale, dal modo in cui i dj sono impoDa direttore di una radio come valorizza i suoi collaboratori? stati, dalla confezione generale. Una volta poi in radio andava in onda Io mi sento come un allenatore che fa ancora il giocatore in prima lichiunque, mentre oggi la soglia di ingresso si è molto innalzata. nea, cosa che mi permette di dare l’esempio: il fatto che il mio proTutto merito, o colpa, del Web?

«Comandare POCHI è come comandare MOLTI, è solo QUESTIONE DI ORGANIZZAZIONE»

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LE

ION PASS LINU

I DI

S

QUAL È IL LIBRO CHE CONSIGLIEREBBE?

Tra quelli letti negli ultimi tempi, dico Stoner dello scrittore statunitense John Edward Williams, pubblicato nel 1965 ma edito in Italia nel 2012 da Fazi editore.

TUTTI CONOSCONO LA SUA PASSIONE PER IL RUNNING. MA DA RAGAZZO CHE SPORT PRATICAVA?

L’atletica leggera, oltre al calcio naturalmente. Sono un grande tifoso della Juve.

ALTRE FEDI SPORTIVE?

Mi piace molto la Formula 1, la seguo fin da ragazzo, ma non sono un tifoso solo della Ferrari.

COLTIVA ALTRI HOBBY?

Da piccolo collezionavo francobolli, come tutti quelli della mia generazione. Poi i fumetti, da cui proviene anche il soprannome Linus e infine il cinema, che continua tuttora e trasmetto ai miei figli.

FILM PREFERITO?

The Big Kahuna con Kevin Spacey mi ha segnato tanto. Poi mi piacciono molto i film dei fratelli Coen.

LA MUSICA CON CUI È CRESCIUTO?

Se devo fare degli scaglioni direi: De Gregori, Pink Floyd, Police e Prince. Dopodiché la musica è diventata un lavoro, quindi tutta e nessuna.

DOVE VA IN VACANZA PER RILASSARSI?

Riccione più che una vacanza per me è un momento di riposo, un lungo fine settimana. Se voglio proprio andare in vacanza, vado nel posto più lontano possibile. Mi piacerebbe andare in Australia, non ci sono mai stato. In Italia invece sono innamorato delle Dolomiti: l’Alta Val Badia e le zone vicine sono posti meravigliosi. Mi piace anche il profondo Sud, la Sicilia e le isolette attorno.

PASSO DOPO PASSO

1957

1976

Pasquale Di Molfetta nasce a Foligno (Pg).

Inizia il lavoro in radio con la prima esperienza a Radio Hinterland Milano Due di Cinisello Balsamo.

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Non siamo la radio più ascoltata ma quella COL MIGLIOR FATTURATO, grazie alla TESTARDAGGINE e alla coerenza della nostra linea: FARE SCELTE “POPOLARI” sarebbe facile ma CI SNATUREREBBE gramma sia uno di quelli di maggior successo della radio mi rafforza molto. In questo modo posso anche capire la logica che sta dietro agli atteggiamenti di un artista, la cui personalità è di difficile gestione, e io lo so bene perché sono come loro. In questo modo riesco a sintonizzarmi meglio, a capire su quali tasti spingere e quando magari è il momento di mordersi la lingua. Non nascondo però una cosa: avere tanti artisti dentro una radio è infinitamente stressante, più che l’allenatore spesso devo fare lo psicologo. Questa però è la cosa che mi è riuscita meglio: aver mantenuto saldo un gruppo fatto di gente con grande personalità, spesso in conflitto tra loro, ma in un clima molto positivo; anche se mentirei se dicessi che siamo tutti grandi amici. A proposito di sport, è vero che il running le ha cambiato la vita? Ho scoperto la corsa, poi la bicicletta e il triathlon a 40 anni abbondantemente passati, e come tutte le passioni adulte mi è venuta addosso in maniera travolgente. Credo mi abbia cambiato molto anche dal punto di vista caratteriale, addestrandomi alla tenacia, al non rinunciare, al tenere la testa bassa e pedalare e ad avere un atteggiamento più aperto e morbido nei confronti delle altre persone che incontro. La cosa più bella della corsa è quel clima un po’ democratico; non importa chi sei, perché si è tutti in pantaloncini e maglietta e si corre sulla stessa strada. A inizio anno suo figlio ha avuto un grave incidente, dal quale poi si è fortunatamente ripreso. Cosa ha imparato da quella vicenda? Il momento più buio è durato cinque giorni, da quando ha avuto l’incidente domestico fino a quando ha ripreso a camminare. Dovrei averne un ricordo terribile e invece ho solo immagini bellissime: sono stati giorni in cui con la mia famiglia abbiamo costruito una grotta affettiva nella quale c’erano soltanto amore e positività. Anche da un’esperienza così negativa possono nascere momenti straordinari. Cosa significa per Linus essere padre? È la cosa più bella del mondo, la più grande fortu-

na che un uomo possa avere perché quel che c’è tra un genitore e un figlio è l’unica vera grande forma di amore disinteressato. Nel rapporto tra uomo e donna c’è sempre uno scambio, un conguaglio. Verso i figli invece l’amore è verticale, soltanto in direzione loro. Perché ha raccontato sul blog l’incidente di suo figlio? Mi è scappato. Da oltre dieci anni scrivo tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, sul mio blog: sono molto rigoroso in questo. L’incidente c’è stato di domenica pomeriggio, il lunedì mattina non riuscivo a non scrivere niente, quindi ho fatto un post in cui ne accennavo tra le righe, e ovviamente si è scatenata una tale curiosità che mi ha indotto a spiegare meglio l’accaduto. Ho capito quanto sia impressionante la forza di strumenti come Facebook; il feedback che ricevi dal pubblico è infinitamente più grande di quello che puoi avere dopo un’intervista a un’importante rivista. Che cosa c’è nel futuro di Linus? Nonostante sia una persona molto organizzata, non ho mai guardato al futuro e quindi non ne ho la minima idea. È chiaro che è una domanda che mi faccio sempre più spesso, perché diventando grande quel famoso “fino a quando” ce l’ho ben presente davanti a me. Per ora dico fino a quando mi divertirò, ma non so fino a quando sarà. Ha dei rimpianti? Rifarei tutto quel che ho fatto. Di sicuro mi sarebbe piaciuto avere avuto qualche altra occasione di vita. Invidio molto chi, per esempio, ha avuto una vita molto più internazionale della mia. Sono cresciuto in un piccolo paese della provincia di Milano e lì sono rimasto fino a 30 anni. A volte, mi chiedo se a 18 anni avessi avuto la forza e l’occasione per andare a vivere dall’altra parte del mondo, oggi che cosa mi ritroverei a fare. Cosa si sente di dire a un giovane che aspira a lavorare in radio? Che serve tanta pazienza. Io penso di essere diventato bravo in radio molto dopo i 30 anni, prima ero uno come tanti davanti a un microfono. Poi occorre essere curiosi, che penso sia la mia caratteristica principale. Sono uno che sempre e comunque legge, guarda, si informa, ascolta, ricorda. La radio è sempre fatta in diretta, in qualunque momento occorre attingere a un proprio serbatoio di informazioni, bisogna conoscere di tutto. Un buon dj radiofonico potrebbe essere un campione della Settimana Enigmistica. P

1984

1991

1992

1996

2005

Fa il suo primo ingresso a Radio Deejay, emittente nazionale con sede a Milano nata due anni prima per volontà di Claudio Cecchetto dalle ceneri di Radio Music 100.

Debutta col suo programma Deejay chiama Italia che conduce tuttora ogni mattina dal lunedì al venerdì (dal 1997 lo affianca Nicola Savino). Quattro anni dopo diventerà direttore artistico dell’emittente.

Esordio in Tv con Italia 1 per la rubrica sul mondo del cinema Mitico! insieme a Vanessa Rossi. Dal 1995 al 2002 conduce sulla stessa rete Pim (Premio italiano della musica), serata evento in onda una volta all’anno.

Esce il suo primo libro Linus chiama Italia.

Si tiene la prima Deejay Ten a Milano, gara podistica competitiva di 10 km abbinata a una non competitiva di 5 km.

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Kartell

CLAUDIO LUTI

APRIRSI al MONDO DESIGN E VOCAZIONE

INDUSTRIALE MA GUIDATI SEMPRE DALL’INNOVAZIONE TECNOLOGICA E DI PRODOTTO, IL NEO CAVALIERE DEL LAVORO RACCONTA IL TRIONFO DELLA PLASTICA FATTA ARTE: «PRODUCIAMO TANTI OGGETTI MA CON UNA SOLA IDENTITÀ, CHE CI PERMETTE DI CONQUISTARE I CLIENTI DI TUTTE LE ETÀ E CULTURE» DI STEFANO FRANCESCHI

VISIONE, STRATEGIA E CONCRETEZZA Da 1988 al timone di Kartell, Luti è presidente della società fondata nel 1949 dai suoceri, Giulio e Anna Castelli. Sotto la sua guida è divenuta uno dei riferimenti mondiali del design d’interni

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U

na storia di famiglia, acquisita. Di bellezza, insospettabile. Di successo, mondiale. È quella di Claudio Luti con Kartell, azienda fondata nel 1949 dai suoi futuri suoceri Giulio e Anna Castelli: lui ingegnere chimico innamorato della plastica che ha lavorato con un premio Nobel; lei architetto che ha vissuto la ricostruzione nel Dopoguerra di Milano accanto alle più grandi firme dell’epoca. Nel 1988 l’azienda è in crisi e Luti decide la svolta della vita: lascia la maison Gianni Versace dopo 11 anni di gestione e si butta nel “mondo della plastica” con i fondi ricavati dalla cessione delle quote. Con innovazione e vocazione industriale, trasforma questo materiale nell’anima di una collezione di design d’interni leader a livello planetario. Mentre i suoi prodotti affascinanti, trasparenti e «democraticamente» lussuosi conquistano il mondo, Luti colleziona cariche di prestigio al vertice dell’economia italiana. Luti, lei è stato appena nominato Cavaliere del lavoro dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. È un riconoscimento come un altro o per lei ha significato qualcosa in particolare? Sono molto lusingato e ringrazio il presidente della Repubblica per questa onorificenza che mi spinge a rafforzare il mio impegno verso la continua valorizzazione dell’eccellenza italiana. Ho voluto dedicare questo titolo alla mia famiglia e a tutti i dipendenti, designer e collaboratori di Kartell, perché tutti insieme, con idee, progetti, visioni e passione, mi hanno permesso di arrivare a questo risultato e contribuiscono ogni giorno a realizzare quell’eccellenza per cui l’azienda è universalmente riconosciuta e, di conseguenza, a creare quel valore del made in Italy apprezzato nel mondo. Ha dichiarato che uno dei risvolti dell’anima di Kartell è la coerenza. Come si esplica questa coerenza e in cosa consiste nello specifico l’anima del brand così come lei l’ha pensato e voluto? La prerogativa di Kartell è quella di trovare sempre nuove idee e nuovi prodotti, ma che corrispondano all’identità del brand. Il consumatore compra Kartell, perché sa di poter acquistare non solo un prodotto affidabile ma uno stile di vita. La capacità di tutti i nostri prodotti è la loro estrema versatilità, così i nostri clienti sanno di poter combinare un prodotto icona in plastica con qualsiasi arredo dal classico al contemporaneo, che si adatta in città, nella casa al mare e nel cottage di montagna. È un prodotto per ogni età e per ogni cultura. Proseguendo su questa metafora, se dovesse indicare il corpo di Kartell, di cosa parlerebbe? Kartell è un progetto che si fonda sulla continua innovazione tecnologica, sulla combinazione dell’idea creativa dei designer e la sua trasformazione in prodotto industriale. Fin dalla sua nascita è sempre stata un’azienda che ha precorso i tempi, ha innovato nel processo industriale e nel prodotto. Ha investito nella collaborazione con tanti designer che sono cresciuti in notorietà accanto al brand Kartell e ha portato nel mondo prodotti che sono diventati icone del design. Per alimentare la creatività, lei ha dichiarato che occorre avere tanto coraggio mixato al cuore e alla curiosità. L’imprenditorialità, l’essenza di un buon imprenditore, di cosa si alimenta invece? Bisogna sempre puntare sull’innovazione, di processo e di prodotto. Kartell ha coraggiosamente aperto un nuovo capitolo della storia del desi-

gn quando negli anni ‘50 ha dato per prima alla plastica dignità e anima, così come è stata innovatrice 15 anni fa quando ancora una volta per prima ha inventato la plastica trasparente definendo un percorso che ha portato in catalogo, attraverso un’evoluzione tecnologica continua, alcuni dei pezzi icona più famosi al mondo come la sedia La Marie. È stata frutto di una scelta innovatrice la linea Precious, fondata sulla metallizzazione dei prodotti attraverso un sofisticato procedimento di finitura. E per finire quest’anno il divano Uncle Jack, il più grande prodotto mai realizzato in policarbonato trasparente. Denominatore comune di questo lungo percorso è alimentarsi di una continua ricerca della bellezza, del prodotto, della sua manifattura e del suo valore intrinseco. Da sempre il brand è sinonimo di innovazione, che può essere ormai solo limitatamente formale perché soprattutto funzionale. Qual è la formula dell’innovazione targata Kartell che, in tutto o in parte, può valere anche per altre tipologie di produzioni? Kartell è stata da sempre un’azienda innovatrice, dai suoi esordi quando ha iniziato a rendere nobile un materiale come la plastica, di uso comune. Al mio arrivo, il mio impegno è stato quello di fare un ulteriore passo, cioè rafforzare prima di tutto il brand, circondandomi di creativi che fossero in sintonia con me e che portassero sempre nuove idee, nuovi prodotti industrializzabili. Si è creata una squadra di designer che hanno lavorato e continuano a lavorare per Kartell come Piero Lissoni, Antonio Citterio, Philippe Starck, Ferruccio Laviani, Patricia Urquiola, Ron Arad e tantissimi altri. Lavorando in stretta sinergia, sono nati con loro prodotti che sono diventati icone, come La Marie di Starck, la lampada Bourgie di Laviani, o i carrelli di Citterio, le sedie di Lissoni e la libreria Bookworm di Arad. Quando si vuole fare innovazione che ruolo deve giocare, ammesso che debba farlo, la tradizione? E che ruolo gioca la storia stessa dell’azienda? Innovazione e tradizione sono due termini fortemente connessi. Ogni innovazione creativa e produttiva rappresenta un’evoluzione del capitale intellettuale dell’azienda. Tutti i nostri prodotti hanno una loro storia, a partire dalla quale si gettano le basi per la realizzazione di nuovi prodotti che rappresentino l’attualità dei tempi nel rispetto del percorso aziendale. Quello di Kartell è un design alto di gamma a prezzi accessibili: in breve avete fatto tesoro della lezione del lusso, una fascia di produzione che in questi anni di crisi ha tenuto rispetto al resto. Cos’è la qualità secondo Kartell? Non amo particolarmente la parola lusso, credo che vada collegata oggi a una sfera più psicologica e personale. Lusso è essere liberi di organizzare il proprio tempo e i propri spazi, esercitare le proprie passioni e vivere con emozione la famiglia, la casa, le amicizie, il tempo libero e ovviamente il lavoro. In questa libertà ci sta anche la possibilità di circondarsi di cose belle, ma soprattutto di cose di qualità. Kartell è quello che molti definiscono un lusso accessibile, ovvero un brand per sua natura democratico, che trasferisce con i suoi prodotti di altissima qualità un alto valore aggiunto, derivante dallo studio della creatività e dalla unicità del design, sempre accomunati dalla garanzia di prodotto ben fatto. Produciamo in serie migliaia di pezzi che sono controllati con minuziosità, non esiste pezzo che esca dalla fabbrica se non perfetto. Il

BISOGNA

continuamente

EVOLVERSI

tenendo sempre salda

LA PROPRIA IDENTITÀ

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I SION S A P LE

DI

LEI È NOTORIAMENTE UNO SPORTIVO. LE PIACCIONO DIO CLAUUTI ANCORA L GLI SPORT ESTREMI O HA COMINCIATO A “METTERE LA TESTA A POSTO”?

Restano la mia passione! D’inverno mi piace affrontare le piste da sci ad alta quota, mentre d’estate prediligo la barca a vela.

DICE DI AMARE LO SPORT IN QUANTO RISCHIO, E IN QUANTO SFIDA VERSO SE STESSI E VERSO GLI ALTRI. È COMPETITIVO?

Mi piace la competizione e cerco sempre di ottenere il massimo in tutto quello che faccio per riuscire a trovare sempre nuovi spunti per migliorare.

C’È UN AUTORE/ARTISTA DALLA CUI OPERA DA SEMPRE SI È SENTITO ISPIRATO E PERCHÉ? Non ce n’è uno in particolare, leggo per passione opere che trattano figure storiche di grande levatura di cui mi piace ripercorrere la vita e le gesta.

PASSO DOPO PASSO

1949

1964

1988

1999

2002

Nasce Kartell a Noviglio, in provincia di Milano. A fondarla è l’ingegnere chimico Giulio Castelli.

Kartell produce la prima sedia al mondo in materiale plastico, la seggiolina 4999 Sapper-Zanuso.

Claudio Luti rileva l’azienda. Il primo prodotto Dr. Glob, firmato da Philippe Starck, segna la grande svolta di Kartell nel proporre un prodotto in materiale plastico ad altissimo contenuto tecnologico ed estetico.

Viene messa in produzione La Marie (Philippe Starck), la prima sedia in policarbonato trasparente.

Viene messa in produzione Louis Ghost, la sedia tuttora più venduta di Kartell, divenuta un’icona (dal 2002 ad oggi più di 2 milioni di pezzi venduti).

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In un mercato SEMPRE PIÙ SATURO, un brand che voglia essere COMPETITIVO deve sviluppare LA PROPRIA STRATEGIA scommettendo sull’ARTICOLAZIONE DI GAMMA nostro controllo qualità è la garanzia del nostro prodotto, la nostra forza che ci distingue dalla tante copie con cui purtroppo dobbiamo fare i conti su tutti i mercati. Rilevando e rilanciando Kartell nel 1988, lei ha applicato qualche lezione appresa negli 11 anni di gestione della Gianni Versace. Oppure ogni azienda fa storia a sé e quindi ha dovuto ricominciare tutto da capo? La mia esperienza in Versace è stata direi fondamentale per costruire la nuova avventura in Kartell, anche se volumi e modalità sono diversi. Ho lavorato però nella logica di affermazione del marchio e nella espansione della rete vendita con una politica retail molto specifica in tutto il mondo. Dal 2008, anno dell’insorgere della crisi, a oggi come si sono dovute evolvere le strategie di Kartell per competere? Innanzitutto internazionalizzazione e apertura ai nuovi mercati. Da sempre stiamo portando avanti una continua espansione in aree internazionali strategiche e vogliamo continuare su questa strada per arrivare anche in altri Paesi per noi interessanti. Un altro elemento competitivo è stato senza dubbio l’allargamento della gamma di prodotti – penso a Kartell à la mode – con la realizzazione di accessori moda sempre in materiale plastico ma anche più recentemente alle fragranze per la casa che abbiamo lanciato a gennaio e alla collaborazione con Collistar per una linea di cosmesi. E com’è dovuto cambiare il concetto di rischio d’impresa? E in che direzione si va stabilizzando? In un mercato sempre più saturo di proposte, di marchi, di prodotti, oggi un brand che voglia essere competitivo deve articolare la propria strategia puntando su diversi fattori. Senza mai rinunciare a ricerca, innovazione e qualità del prodotto, occorre scommettere sull’articolazione di gamma (inserendo nuove categorie merceologiche compatibili con il core business e nel rispetto dell’identità del brand), la differenziazione dei canali di vendita oltre che l’internazionalizzazione. Il che comporta assumersi rischi su più fronti. Tuttavia è questo approccio sfaccettato e dinamico a premiare le aziende con importanti risultati. Con Kartell stiamo appunto seguendo questo percorso: oggi l’azienda ha quattro divisioni (Kartell Habitat, Kartell à la Mode, Kartell fragrances, Kartell in Tavola) e una joint venture dedicata all’arredo bagno: Kartell by Laufen. Distribuisce su più canali: retail, contract, shopping mall di lusso, on line. Esporta in 140 Paesi. Ecco per me in sintesi come interpreto il rischio di impresa oggi.

2008

2014

Kartell inizia a produrre i primi accessori moda Kartell à la Mode.

Viene messo in produzione il divano Uncle Jack, il più grande prodotto mai realizzato in policarbonato trasparente, che testimonia 15 anni di ricerca e innovazione nella tecnologia a iniezione.

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«Per salvare un’azienda in crisi occorrono (oltre ovviamente ai capitali) visione, strategia e concretezza», sono parole sue. E per fare uscire dall’impasse l’economia di un Paese? È d’accordo con chi ritiene che basterebbe applicare i principi della buona gestione aziendale, oppure la pensa come chi ritiene che un Paese non sia un’azienda e che insieme alla strategia occorra avere visione? E, se sì, quale? Sicuramente è necessaria una buona gestione, ma al di là di questo occorre anche una strategia che porti alla creazione di strumenti e metodi per snellire l’apparato e le procedure burocratiche, che nel nostro Paese sono penalizzanti. È necessario individuare percorsi virtuosi per velocizzare l’operato della Pubblica amministrazione, operando in maniera concreta con una visione orientata a semplificare quella selva di norme e procedure che limitano la crescita e l’appetibilità nei confronti degli investitori stranieri. È necessario inoltre trovare misure adeguate di incentivazione e di sostegno rivolte alle imprese e al mondo produttivo che consentano una ripresa forte e duratura. Kartell esporta ormai circa 80% della sua produzione. C’è un’Italia descritta dall’export dell’eccellenze del made in Italy, molto diversa da quella che vediamo – perennemente scontenta di sé – dall’interno dei confini. C’è qualcosa che si possa fare a livello istituzionale, culturale, imprenditoriale, sociale, per fare diventare l’Italia quella che in definitiva è vista dall’estero? Dobbiamo smettere di piangerci addosso ed essere distruttivi, ma attivare uno sforzo di convergenza e sinergia che investa tutti i soggetti, dalle aziende ai sistemi associativi, al sistema creditizio e assicurativo, oltre ovviamente al sistema politico presentandoci come un Sistema Paese forte. È quindi necessario individuare delle strategie efficaci per tutto il made in Italy, in una logica di sistema che sarà l’arma vincente per affermare la nostra competitività. I suoi figli, Federico e Lorenza, lavorano insieme a lei in Kartell. Come vive e pensa di risolvere il passaggio generazionale che, per le imprese italiane, mediamente costituisce spesso un momento difficile nella storia aziendale? I miei figli lavorano in Kartell già da tempo con ruoli di responsabilità, affiancandomi anche nei processi decisionali strategici e portando idee e progetti che in questi anni hanno permesso al brand di crescere sviluppando, ciascuno nel proprio ambito di riferimento, opportunità e nuove strategie di crescita, per esempio legate alla diversificazione dell’immagine del brand o all’allargamento dei mercati di riferimento. Kartell ha dimostrato di essere non solo un’azienda di design, ma un vero e proprio brand di lifestyle: che cosa vorrebbe che diventasse da qui ai prossimi cinque anni? Nei progetti futuri c’è certamente un allargamento e un consolidamento su alcuni mercati esteri. Negli scorsi mesi sono stato in Asia, a Tokyo e negli Emirati, dove stiamo portando avanti una continua espansione, ma ci sono tanti mercati su cui rafforzare la nostra posizione. E ci sono anche nuovi progetti su nuovi segmenti produttivi: abbiamo ripreso il lavoro sul tema tavola, stiamo lavorando sulla moda, sulla bellezza e sulle fragranze per la casa. Andremo sempre più nella direzione di globalizzare al massimo il marchio. P

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Warner Bros. Pictures Italia

NICOLA MACCANICO MULTINAZIONALE Quest’anno il manager festeggia i suoi primi 11 anni in WB Italia, dove ha fatto il suo ingresso nel 2004 come direttore marketing. Nel frattempo, oltre ad aver scalato ruoli e responsabilità all’interno della società, è diventato anche vice presidente di Civita e a.d. di Anica Servizi

ANCHE COSÌ - SECONDO IL MANAGING DIRECTOR THEATRICAL & STRATEGIC MARKETING DELLA MAJOR USA - SI PRESERVA L’ANIMA DELLE IMPRESE. ALMENO DI QUELLE SANE, CHE FUNZIONANO COME UN ORGANISMO VIVENTE IN CONTINUA EVOLUZIONE, E PER LE QUALI LA SOMMA DEI SINGOLI FA PIÙ DEL TOTALE. A CONDIZIONE CHE CHI LE DIRIGE… DI LINDA PARRINELLO FOTO DI DANIELE CRUCIANI

ORCHESTRARE il GIOCO di SQUADRA 88

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È

la più italiana delle multinazionali Usa del cinema. Sembra un padi leadership. Il primo è più “centralizzato” e tende strutturalmente ad affermare radosso, ma non lo è, perché dell’italianità delle sue attività ha fatla propria indispensabilità, circondandosi di persone fidate, ma che non possato una leva importante del proprio business, fino a decretarne la leano fare ombra. Il secondo ha un approccio più coinvolgente, e tende a rappredership incontrastata sul mercato tricolore. Merito di un management sentare il manager come primus inter pares, una figura che lavora molto in terche oltre a conoscere bene la sua offerta, si è immerso nello stumini motivazionali innescando meccanismi di crescita tra chi lavora insieme a dio delle opportunità presenti nel nostro particolare contesto. Nicola Maccanilui. Nell’epoca complessa in cui viviamo sarebbe più funzionale il secondo apco, 43enne romano, una laurea in Giurisprudenza, è attualmente Managing Diproccio, ma purtroppo continua a essere il meno adottato per ovvi motivi». rector Theatrical & Strategic Marketing di Warner Bros. Italia, nonché vice preEsercitare la leadership è diventato più difficile? sidente di Civita (associazione che si occupa di tutela e valorizzazione del paIn assoluto oggi esercitare la leadership è un esercizio più complesso, perché trimonio culturale e ambientale del nostro Paese) e a.d. di Anica Servizi (società bisogna districarsi all’interno di un mondo che ha delle pressanti richieste quandi servizi dell’Associazione nazionale dell’audiovisivo); entrato in azienda a soli titative. Ma non è diventato più difficile lavorare, bensì offrire qualità nel lavo32 anni, ha ricoperto vari ruoli dirigenziali all’interno della major hollywooro. Ecco che allora la vera sfida è individuare le priorità, la propria mission prodiana che distribuisce property come, tanto per citarne alcuni, Batman piuttofessionale, e perseguirla; altrimenti si rischia di essere travolti dalla mole delle sto che Superman, e per conto di Sony, Spiderman e la serie di 007. Così come cose da fare. Un bravo manager deve saper mettere ordine nella vita delle perha prodotto vari film firmati da Verdone, Soldini, Castellitto, Lucchetti e Vanzisone che lavorano per lui, perciò deve essere il primo ad avere le idee chiare rena, solo per fare degli esempi. Si tratta quindi di una realtà piuttosto composita, lativamente alle proprie priorità. Ed è sempre più complicato: personalmente 10 una multinazionale che – in virtù del proprio core anni fa non lavoravo meno, approfondivo di più le business – sa anche parlare locale, facendo evolvere cose che facevo, perché avevo più tempo a disposistrutture, approcci e leadership. Come? Ce lo spiega zione per pensarle. il suo Managing Director. Come vi siete mossi in Warner per reagire a questa Secondo un certo punto di vista, ogni azienda va “emergenza competitiva”? Ho letto di una riorgaconsiderata come un organismo vivente, composto nizzazione aziendale… Bisogna distinguere: Warner si è integrata, passanda più parti che svolgono ognuna una funzione difdo da un modello divisionale nel quale c’era – come ferente, il cui dato di insieme è ben più alto della dire – un rapporto di vicinanza, ma non di collaloro semplice somma. Condivide? borazione continuativa tra cinema, home entertainL’impresa è un organismo vivente in quanto formament, televisione e licensing, a un modello integrato, ta da una collettività di persone. Che un’impresa abche principalmente è rappresentato da un marketing bia un valore superiore alla somma dei singoli che unico, ma anche da una nuova struttura organizzatila compongono non è invece scontato, in quanva che ci fa competere sul mercato in maniera unitato ciò costituisce di fatto la differenza tra un’azienria. E questo però non è un effetto della crisi, ma delda che funziona e una che non funziona. Sono d’acl’evoluzione del business dell’audiovisivo. cordo, quindi, nell’affermare che le imprese virtuose (Detto Samurai) Quindi, ci sarebbe stata a prescindere? sono degli organismi viventi la cui somma dei singoSì, perché meglio si adatta all’universo digitale nel li fa più del totale, ma in quelle che lavorano meno quale ci stiamo immergendo, in cui servono velocibene capita invece esattamente l’opposto. tà decisionale e flessibilità. La crisi è intervenuta su E cosa fa in modo che il totale sia superiore alla questa riorganizzazione esclusivamente stressando il rapporto tra obiettivi attesomma delle singole unità? si e disponibilità di risorse. Ma sono due aspetti che non vanno sovrapposti, in Per accrescere la performance di un gruppo di lavoro occorre un impegno strutquanto l’evoluzione organizzativa è servita a Warner per essere pronta a coglieturato del management, che deve saper mettere insieme le persone per attivare re le sfide future con una struttura coerente. Poi, come tutte le imprese nel monun modello di collaborazione solido. La condivisione professionale non è un rido, non solo nell’audiovisivo, abbiamo imparato a ridurre gli sprechi e a cercare flesso automatico, ma frutto di un lavoro costante che parte dalla comunicaziodi massimizzare la nostra capacità di produrre fatturato con un numero di risorne degli obiettivi che l’azienda si pone e di come intende perseguirli. Sono prose inferiori rispetto al passato. E per risorse intendo soldi e in qualche caso, purprio i modelli di comunicazione e interazione a fare la differenza tra un’azientroppo, persone». da capace di moltiplicare il valore delle unità che la compongono e un’altra Avete, insomma, dovuto fare di necessità virtù. che piuttosto sottrae a esse valore. Nello sport esistono molti riferimenti utili al Appartenere a un mercato maturo come quello italiano, implica il tentativo di riguardo: le squadre organizzate che si aiutano e trovano un modello di collatrovare diverse marginalità non solo attraverso la costruzione di nuove linee di borazione virtuoso sono vincenti spesso oltre i naturali rapporti di forza. Si tratta ricavi, ma anche ricorrendo alla razionalizzazione delle strutture e delle spese. di un lavoro e una responsabilità a sé stanti principalmente in capo ai dirigenti, Coerentemente con questo principio abbiamo puntato sulla local production e e il manager che li trascura non fa appieno il suo dovere». sul cercare di massimizzare la potenzialità dei nostri film, mentre da un punto Quindi, la capacità di un manager di saper far lavorare in sintonia la propria di vista di costi fissi e variabili siamo intervenuti per ridurli dove possibile sensquadra costituisce la conditio sine qua non. Ma come è dovuto evolvere queza compromettere le potenzialità della nostra struttura. Sul marketing si è aperto sto approccio alla luce dei cambiamenti imposti alle imprese dalla crisi econoun grande tema, connesso al superamento del duopolio televisivo e alla crescimica, che ha creato mercati sempre più competitivi ma meno performanti? ta del web, che sta implicando una continua evoluzione del media mix che ci «In un contesto in cui bisogna creare valore e ottenere di più spendendo meno, muove nella direzione di un rapporto tra investimenti e ricavi più vantaggioso. questo concetto diventa ancora più centrale. È talmente essenziale da diventare Con quali risultati? a volte la discriminante tra un’azienda che ce la fa e una che deve invece arrenDa tre anni siamo il primo distributore cinematografico in Italia, e sotto la dersi. Inoltre è sempre utile ricordare che esistono sostanzialmente due modelli

«LE QUESTIONI IMPORTANTI devono essere gestite CON LEGGEREZZA, le questioni di MINORE IMPORTANZA con la massima SERIETÀ»

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ONI I S S LE PA M

OLACO NICA NI ACC

DI COME TRASCORRE IL TEMPO LIBERO? NON È CHE LAVORANDO NEL CINEMA SI PORTA, COME DIRE, A CASA IL LAVORO?

Un po’ è vero, quando ho iniziato in Warner non mi sembrava di lavorare. Avevo la sensazione di aver portato il mio tempo libero in ufficio. Dopo 11 anni la situazione si è quasi ribaltata e vedere i film è diventato soprattutto un lavoro, che mi porto anche a casa.

PRATICA SPORT?

È una mia grande passione, gioco a tennis appena posso, anche se non quanto vorrei. Mi piace viaggiare, stare con gli amici, creare occasioni in cui interagire con gli altri. Vorrei poter dedicare più tempo alla famiglia e alle persone care, ma il lavoro spesso mi limita anche se devo ammettere che, quando posso, recupero con gli interessi. Amo molto leggere, e desidererei farlo con maggiore continuità.

AUTORI E GENERI PREFERITI?

Citazione obbligata per La prova del potere di Giuliano da Empoli, un amico e un intellettuale di grande valore che si interroga sull’evoluzione del potere nella società nel nostro tempo. Ma sono anche un appassionato di gialli e Jo Nesbo è uno dei miei autori preferiti. Solo che, dovendo leggere molte sceneggiature, ho già un’ampia componente entertainment collegata al mio lavoro. Quindi, ogni tanto mi concedo qualcosa di più sofisticato per mettermi a confronto con pensieri, punti di vista e opinioni di vita differenti. Quel che non leggerei mai e poi mai è un libro di management, su questo fronte preferisco l’esperienza diretta.

PASSO DOPO PASSO

2009

2010

2011

2011

A dicembre Maccanico viene nominato direttore generale di WB Pictures, diventando responsabile di tutto il comparto cinematografico della major sul territorio nazionale. La sua carriera in Warner Bros. comincia nel 2004 con il ruolo prima di direttore marketing e poi di vice direttore generale.

Il 5 gennaio esce Io, loro e Lara di Carlo Verdone. Il film ha avuto uno straordinario successo di pubblico (17 milioni al BO) ed è il primo titolo prodotto interamente da WB in Italia.

A partire da luglio WB distribuisce i titoli targati Sony in Italia: dalla saga di 007 a Spiderman. Viene sottoscritto, infatti, un accordo strategico tra le due major a seguito della chiusura degli uffici Sony nel nostro Paese.

A novembre, al vertice della major arriva Barbara Salabè, che assume la carica di presidente. Avrà la responsabilità di sovraintendere tutto il business WB sul territorio nazionale.

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Presidenza di Barbara Salabè abbiamo consolidato la leadership di mercato in tutte le nostre linee di business. I nostri risultati sono il frutto della distribuzione cinematografica di Warner e Sony, della possibilità di aggiungere Medusa e Lucky Red al nostro prodotto Home Entertainment, della forza del nostro prodotto televisivo, ma anche e tengo a sottolinearlo del nostro crescente impegno sul cinema italiano. Come si struttura tale impegno? Warner ha iniziato a occuparsi di cinema italiano dodici anni fa, d’allora in poi abbiamo sviluppato know-how, stretto rapporti con produttori e artisti e alimentato le nostre competenze, tant’è che oggi lavoriamo una media di 4/5 film ogni anno. Strada facendo, abbiamo imparato a essere più attenti nella costruzione dei budget, e ci siamo evoluti nella scelta dei progetti, imponendoci una linea editoriale caratterizzante, che non insegue necessariamente il genere in voga al momento, bensì predilige storie con una struttura più solida e contemporanea. Per questo, Warner viene considerata la più italiana tra quelle cinematografiche? In cosa consiste la vostra italianità? Nell’esserci dati un gruppo dirigente molto italiano, che ha un senso profondo dell’azienda in cui lavora e dell’economia in cui opera. Certamente, anche il fatto di non esserci limitati a proporci come un semplice operatore degli interessi di Warner nel Paese, ma l’aver portato le istanze della produzione e della creatività italiane negli Stati Uniti, ha potenziato il nostro rapporto con il mercato nazionale. Consideri che Warner non fa local production in tutti i mercati in cui opera, ma solo in quelli in cui individua opportunità e pensa di avere un management in grado di saperle cogliere. Occupandosi di cinema, lei è un operatore culturale a tutti gli effetti. Come vive questa responsabilità? «Sento questa responsabilità soprattutto quando lavoriamo alla costruzione di progetti di cinema italiano, dove il nostro ruolo nella costruzione creativa del film è più strutturato. Al riguardo la nostra linea editoriale è quella di cercare sempre il grande pubblico attraverso l’individuazione di storie interessanti e con diversi piani di lettura. Vogliamo far divertire il nostro pubblico, ma anche dargli spunti di discussione. Nel mio ruolo di vice presidente di Civita, associazione non profit che si occupa della valorizzazione della cultura nel nostro Paese, questa responsabilità è ancora più diretta. Credo che gli operatori culturali debbano avere come stella polare la crescita e lo sviluppo, superando la fase della conservazione fine a se stessa del nostro patrimonio artistico e culturale. L’Oscar a “La grande bellezza” di Sorrentino ha aiutato la produzione tricolore? Certamente, stiamo cominciando ad avere un maggiore respiro internaziona-

le. Ormai alcuni nostri autori/produttori costruiscono strutturalmente prodotti che guardano all’estero e che nascono come coproduzioni internazionali. Stiamo tornando a essere “attraenti” per la comunità internazionale, ed è una buona notizia. Per fortuna, negli ultimi anni lo Stato si è mosso per ridurre i sostegni discrezionali a supporto della cinematografia, orientandosi invece verso provvedimenti continuativi e automatici – vedi la legge Urbani e il tax credit – a supporto all’industria vera e propria, l’unica in grado di creare posti di lavoro e sostenere quest’arte. E i risultati si vedono. Finora abbiamo parlato di persone e di prodotti, ma in cosa consiste l’anima di un’azienda? Tornerei al concetto di azienda intesa come essere vivente, quindi un soggetto dinamico in perenne evoluzione. Un’azienda è sempre figlia della sua storia e delle persone che la guidano, che spesso sono poi proprio quelle che hanno contribuito e contribuiscono a scriverne la storia. Lo stile, il modo di porsi sul mercato, il suo brand, dipendono da chi la guida. Se chi la dirige sviluppa un management by fear, basato sulla paura, in quell’azienda si troveranno persone mediamente spaventate. Al contrario una guida illuminata e visionaria consentirà al corpo aziendale di apprendere la cultura del cambiamento e del mettersi in gioco. C’è un meccanismo inevitabile di osmosi dall’alto verso il basso: il modus operandi dei vertici detta il modello da seguire nel lavoro di squadra. Per questo dico che l’anima di un’azienda è un combinato disposto di storia e management contemporaneo, mentre il corpo è quello che si fa nell’esercizio quotidiano del lavoro. Se guidi per un certo periodo un’azienda, alla fine essa - nel bene o nel male - ti somiglierà. Quanto la crisi ha inciso sul rapporto di fiducia tra dirigenti e dipendenti, imprese e fornitori, banche e clienti? Winston Churchill sosteneva che l’educazione delle persone si vede quando sono sotto pressione. È chiaro che in un momento in cui ci sono meno risorse, si creano più frizioni. Ma è anche vero che la crisi è un’opportunità, perché implica cambiamenti. Ogni crisi è come la febbre, segnala che c’è qualcosa che non funziona. E noi in Italia che cosa non funziona lo sappiamo da tempo. Senza considerare che quelli che si lamentano della congiuntura spesso non sono quelli che la patiscono. La verità è che il nostro Paese ha vissuto a lungo al di sopra delle sue possibilità, concedendo garanzie e rendite di posizione, in più abbiamo una macchina statale più pesante che efficiente. Il tempo è passato e noi abbiamo continuato a far finta di nulla. Adesso si tratta di riformare tutto e di prendere la rincorsa per dare a questo Paese la possibilità di sfruttare le enormi possibilità che ha. Il cambiamento sembra avviato, è fondamentale non interromperlo. Einstein diceva che ci vuole un nuovo modo di pensare per risolvere i problemi creati da quello vecchio. C’è stato un nuovo modo di ragionare che l’ha aiutata nel fare business? Come detto, negli ultimi anni ho imparato che l’individuazione delle priorità è un elemento fondamentale nella vita come nel lavoro. Prima di agire, bisogna darsi un piano, e per farlo occorre innanzitutto difendersi da tutta una serie di distrazioni costanti che minacciano di farci perdere l’ordine che ci siamo imposti. Perché alla fine è proprio la scelta delle battaglie da combattere a fare la differenza tra un manager che porta l’azienda al successo e P un altro che si perde lungo la strada.

LA CRISI è come LA FEBBRE: segnala che nell’organismo c’è qualcosa che

NON FUNZIONA e che bisogna

INTERVENIRE PER CURARLO

2012

2014

Warner Bros. Entertainment si aggiudica l’intero pacchetto Medusa Home Video, ramo di Medusa Film. Si tratta di 3 mila titoli, a cui si aggiungeranno le nuove uscite, che includono classici come La dolce vita piuttosto che Il signore degli anelli e Lo hobbit.

Per la prima volta in assoluto a WB Italia viene assegnato per il terzo anno consecutivo il Biglietto d’Oro dall’Anec, associazione esercenti cinema, essendosi posizionata al primo posto per numero di spettatori.

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Only The Brave

RENZO ROSSO

ESSERE D’ESEMPIO

CI SONO AZIENDE LA CUI ANIMA S’INCARNA IN CHI LE HA CREATE. È IL CASO DEL PATRON DI DIESEL & CO. CHE, DOPO UN PERIODO DI RIFLESSIONE PERSONALE, NE HA RIPRESO IN MANO LA GESTIONE DIVENTANDO ALLO STESSO TEMPO UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER LE PMI ITALIANE IN CRISI DI ANDREA SALVADORI

U

n vero self-made man. Di quelli che in Italia se ne vedono pochi. Soprattutto se in regola con il fisco. Renzo Rosso nasce dieci anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, a Brugine, nella provincia di Padova, nel cuore di quel Veneto da dove un tempo, a cavallo tra l’800 e il ‘900, i contadini fuggivano per cercare fortuna nelle Americhe. Anche Renzo Rosso è figlio di contadini. Non siamo più però nel periodo buio della grande emigrazione. Siamo negli anni del boom economico, il lavoro non manca, possi-

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bilità ce ne sono per tutti. L’importante è darsi da fare. E in casa Rosso, per sua fortuna, i valori sono importanti: la terra insegna che se si vuole avere successo nella vita, bisogna svegliarsi molto prima che il sole sorga, perché il tempo è prezioso, meglio non perderne troppo. E così lui fa. A 15 anni, narra la leggenda, il giovane Rosso crea il suo primo paio di jeans, capo che ne avrebbe fatto le fortune imprenditoriali, utilizzando la macchina da cucire della mamma, una Singer: a scuola la vita bassa e la zampa di elefante hanno talmente tanto successo tra i compagni, da far pensare a Ros-

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MECENATE Nato a Brugine nel 1955, ha fondato Diesel nel 1978, a soli 23 anni. Quest’anno Forbes l’ha ritenuto l’11esimo uomo più ricco d’Italia, grazie a un patrimonio stimato di 3,2 miliardi di dollari. Nel 2008 ha dato vita alla Only The Brave Foundation

ter che gestisce licenze come Dsquared, Just Cavalli, Marc Jacobs Men e Vivienne Westwood – e a Brave Kid, stesso ruolo di Staff International ma nel comparto bambino. I suoi marchi sono distribuiti in 80 mercati attraverso 5 mila punti vendita, di cui 400 monomarca. Ma il nome di Renzo Rosso non può che rimanere associato a Diesel, il brand che vale oggi il 65% del fatturato del gruppo. Tutto nasce in fondo da lì, da quel marchio a cui dà vita quando, poco più che ventenne e ottenuto il diploma all’istituto tecnico tessile, inizia a lavorare dentro il Genius Group di Adriano Goldschmied, ai tempi la società più importante in Italia nel ramo dell’abbigliamento casual. Goldschmied non ci impiega molto a convincere Rosso a lasciare l’università Ca’ Foscari di Venezia, dove ha iniziato a frequentare la facoltà di Economia aziendale. Alla Moltex, società controllata dal Genius Group, Rosso fonda il 6 ottobre 1978, a 23 anni, il marchio Diesel in società con Goldschmied (nel 1985 ne avrebbe poi acquisito il controllo completo). Il cinque è un numero che deve rivestire un significato particolare per Rosso: nel 2005, all’età di 50 anni, inizia a pensare che è arrivato il momento di staccare, il lavoro inizia a pesargli, forse è giunta l’ora di passare il testimone ai figli e di dedicarsi ad altro, al sociale in primo luogo, come tanti self-made man americani hanno dimostrato di saper fare. Oggi, invece, mi pare che Renzo Rosso sia ancora ben insediato al comando delle sue imprese… Nel pieno di un periodo di riflessione personale, nel luglio del 2005, un dialogo con il Dalai Lama, un mito per me, uno dei grandi personaggi della nostra storia al pari di Nelson Mandela e di papa Francesco, cambiò la mia vita. Eravamo su un volo aereo, seduti fianco a fianco. Dinanzi alle mie perplessità, ai miei dubbi, non ebbe remore a dirmi di non mollare, di andare avanti, di usare il mio talento per continuare a dare lavoro alla gente e, allo stesso tempo, aiutare i più sfortunati con attività sociali finanziate da una parte dei margini delle mie aziende. E così in effetti feci. Sino ad allora avevo tenuto riservato il mio impegno nel sociale, quasi me ne vergognassi, temendo di dare l’idea dell’uomo di successo che vuole farsi pubblicità aiutando gli altri. Il Dalai Lama mi fece capire che quell’atteggiamento era sbagliato, che avrei dovuto continuare a seguire la mia strada e avere il coraggio di essere ancora di più me stesso, ma essere anche da esempio per gli altri. Quale fu il passo successivo? Tre anni dopo, nel 2008, diedi vita alla Only The Brave Foundation. Da allora ad oggi sono stati più di 170 i progetti che abbiamo portato a termine con un finanziamento complessivo di oltre 11 milioni di euro. La fondazione vive dei contributi di ognuna delle aziende che fanno parte della galassia Otb e di qualche donazione esterna. Il 100% di quanto viene raccolto viene poi speso sul campo, a differenza di tanti altri analoghi organismi, dove i costi di amministrazione arrivano a toccare anche il 40% del bilancio. A Dioro, in Mali, grazie al progetto Only The Brave Millennium Village, realizzato insieme alla Millenium Promise di Jeffrey Sachs, stiamo contribuendo allo sviluppo sostenibile di un villaggio per 20 mila persone, inclusa, al suo interno, una scuola superiore per 600 studenti, con dormitorio, mensa e laboratori. Il progetto Apopo ha permesso l’addestramento di 200 topi capaci di sminare 45 mila ettari, tra Tanzania, Mozambico e Angola, rendendo la terra nuovamente coltivabile e a disposizione delle popolazioni locali. Sempre in Africa ci piace investire in attività sociali, ma anche ecosostenibili: abbiamo finanziato, per esempio, un’impresa che produce assorbenti intimi in fibra naturale, realizzati attraverso la lavorazione di foglie di banana. Quanto è importante per lei la responsabilità sociale dell’imprenditore? Un tema di cui si dibatte molto oggi, alla luce dell’impossibilità eco-

«Only THE BRAVE»

so che forse i jeans può anche venderli. Da un’intuizione nasce un impero. Oggi, parola di Forbes, è l’undicesimo uomo più ricco d’Italia (e il 557° nel ranking mondiale) con un patrimonio stimato di 3,2 miliardi di dollari. La holding di cui è unico azionista, la Only The Brave, meglio nota come la Otb, ha chiuso il 2014 con un fatturato di quasi 1,6 miliardi di euro e un utile di 5,5 milioni in crescita rispetto agli 1,2 milioni del 2013. A essa fanno capo le maison Marni (acquisita a fine 2012), Margiela, Viktor&Rolf, oltre a Staff International – la cellula produttiva e distributiva del prêt-à-por-

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© Martin Schoeller

I SION S A P LE SS O RO RENZ

O

DI CIBO BIOLOGICO, BENESSERE E SPORT. È VERO CHE LA SUA GIORNATA INIZIA CON L’ATTIVITÀ FISICA?

La sveglia è puntata sempre alle 5.55. Faccio yoga, pilates o palestra con l’aiuto di un personal trainer.

QUALI DISCIPLINE PREDILIGE?

Amo andare in barca, praticare sci d’acqua e kitesurf. E non rinuncio a un giro in mountain bike lungo il Brenta, il fiume che taglia in due Bassano del Grappa, la città dove vivo da parecchi anni.

LÌ HA ANCHE INCROCIATO IL CALCIO, PIÙ PER RICONOSCENZA CHE PER PASSIONE FORSE…

Ho comprato la Bassano Virtus come gesto di amore verso la mia città. Abbiamo rischiato di andare in Serie B quest’anno, ci ha fermato solo il Como nella finalissima dei playoff di Lega Pro. Ma sono un grande appassionato di calcio, da tifoso (Milan) e da giocatore: la partita della domenica mattina è un appuntamento a cui difficilmente rinuncio.

QUANDO VUOLE RILASSARSI INVECE?

Colleziono opere d’arte, prediligo soprattutto quadri e sculture del secondo ‘900, così come opere contemporanee. Nella mia collezione ho lavori di Jean-Michel Basquiat, Andy Warhol, Lucio Fontana, solo per citarne alcuni, ma anche di tanti artisti coevi, come l’inglese Tracey Emin.

UN’ANIMA PACIFICA E RIFLESSIVA CHE NASCONDE UN ANIMO ROCK, GIUSTO? La musica è la colonna sonora della mia vita. Ascolto di tutto, ma i miei preferiti rimangono i classici degli anni’70, Deep Purple e Led Zeppelin in testa. Alla musica devo anche due grandi amicizie, quelle con Bono e Jovanotti.

PASSO DOPO PASSO

1978

1985

2000

2002

2008

2012

2013

Rosso dà vita al marchio Diesel con Adriano Goldschmied.

Acquisisce il controllo completo di Diesel.

Mette a segno la prima acquisizione sul mercato, la Staff International.

Acquisisce la maison Martin Margiela e fa il suo ingresso nel mercato del lusso.

Dopo aver incontrato il Dalai Lama, fonda la Only The Brave Foundation.

L’ultima operazione di peso sul mercato, la maison Marni.

Rosso affida a Nicola Formichetti la direzione artistica di Diesel.

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L’IMPRENDITORE deve avvertire l’importanza del SUO RUOLO NELLA SOCIETÀ, in primis impegnandosi a garantire ai PROPRI DIPENDENTI le migliori CONDIZIONI DI LAVORO nomica, ma non solo, dello Stato di mettere in atto politiche di welfare che diano risposte ai tanti bisogni della società. È un tema centrale nell’Italia del ventunesimo secolo. L’imprenditore ha il dovere di avvertire l’importanza del suo ruolo nella società. Innanzitutto, impegnandosi a garantire ai propri dipendenti le migliori condizioni di lavoro e ambientali possibili. Nel nostro headquarter di Breganze, nel vicentino, cerchiamo di non far mancare niente a nessuno: dall’asilo alla palestra, dai ristoranti al salone estetico. E poi è fondamentale investire nel proprio territorio, sostenendolo con attività a vantaggio dei più sfortunati, che purtroppo sono sempre di più anche da noi. Il 90% dei progetti finanziati dalla Only The Brave Foundation riguarda l’Africa, il rimanente 10% invece il Veneto, la mia terra. Dal 2012, in questo caso tramite il gruppo Otb, stiamo anche contribuendo come sponsor al restauro del ponte di Rialto di Venezia, uno dei simboli dell’italianità nel mondo. Nello sport invece siamo proprietari del Bassano Virtus 55 Soccer team, la squadra di calcio della città di Bassano del Grappa. Il tessuto imprenditoriale italiano, costituito in larga maggioranza da microimprese o aziende di piccola e media dimensione, fatica a uscire dal periodo più buio che la storia dell’Italia repubblicana ricordi. Un grande imprenditore italiano come si relaziona con una situazione così drammatica? Sono anni di grandi difficoltà per il Paese. Come imprenditore ho cercato di sostenere i miei colleghi dando il via ad alcuni progetti di supporto finanziario. La mancanza di liquidità e di fornitura del credito, come sappiamo, è il stato vero tallone d’Achille del nostro sistema economico nel corso della crisi. Nel 2012, dopo il terremoto in Emilia Romagna, ho deciso di creare, attingendo dal mio patrimonio personale, un fondo di garanzia di 5 milioni di euro per aiutare, grazie all’erogazione di microcrediti bancari, imprenditori e commercianti a riavviare le loro attività. Mentre, per permettere agli operatori della filiera di Staff International di lavorare con maggiore tranquillità dal punto di vista finanziario, abbiamo sottoscritto un accordo da 50 milioni con Bnp Paribas per il credito agevolato. Grazie all’operazione denominata C.A.S.H. (Credito Agevolato Suppliers Help), tanti piccoli imprenditori, in grado di garantire standard qualitativi sempre migliori, possono così finanziarsi con tassi del 2-2,5%, mentre in genere devono accollarsi interessi che vanno dal 12 al 18%. Diesel è un marchio che ha creato il suo successo soprattutto tra i giovani. Qual è il suo giudizio sulle nuove generazioni? Oggi tanti giovani pretendono di avere tutto e subito, hanno fretta e poco rispetto per gli altri. L’altruismo è un valore sempre meno diffuso. Inoltre, manca la fame, la voglia di conquistare il mondo. È vero, il sistema italiano oggi non li aiuta. I genitori però dovrebbero mandarli fuori di casa il prima possibile, insegnando loro ad assumersi le giuste responsabilità. Con i miei figli, nonostante siano dei privilegiati, ho fatto così, cercando di trasmettere loro quel sistema di valori con cui sono cresciuto. Anche se non è facile: Internet è un mondo dove ormai gira di tutto, pieno di pericoli, il controllo da parte dei genitori il più delle volte è impossibile. Qual è il suo rapporto con la religione? Sono cresciuto in una famiglia di credenti, di fede cattolica. Oggi coltivo

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la religione a modo mio: il mio credo è soprattutto nella dignità delle persone e nel rispetto degli altri. Il suo giudizio sulla politica italiana? Potrei definirlo ostico. La politica, così come è stata vissuta in Italia fino a oggi, mi fa venire i brividi. Anche quei politici che hanno idee valide finiscono per non riuscire a renderle concrete, perché alla fine devono fare i conti con qualcuno che cerca di mettere i bastoni fra le ruote. In Italia manca la capacità di fare sistema, un brutto vizio che riguarda la politica ma anche, e qui parlo del mio lavoro quotidiano, il mondo imprenditoriale. Ci lamentiamo perché i francesi vengono a comprare i nostri marchi: bisognerebbe ricordarsi che loro sì che sanno fare squadra e lavorare insieme. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Tanti suoi colleghi hanno deciso di fare il salto e, su loro iniziativa o perché invitati, hanno deciso di far parte di compagini governative o di entrare in Parlamento. E lei? No, è una carriera che non mi ha mai interessato. Tanti presidenti del Consiglio mi hanno chiesto di dare il mio contributo in forme differenti, ma no, non è proprio un mestiere che fa per me. Molti marchi della moda italiani sono finiti al centro delle polemiche per le delocalizzazioni e il mancato controllo delle condizioni di lavoro all’estero… Il nostro obiettivo è produrre il più possibile all’interno dei confini nazionali. Anche perché il made in Italy garantisce la conquista di nuovi consumatori e mercati. Però, operando in un contesto globale dove la concorrenza è molto agguerrita, per alcune linee siamo costretti a investire nella produzione in altri Paesi. Di recente ha dichiarato di aver speso, negli ultimi tre anni, sei milioni di euro per condurre battaglie legali contro chi copia i suoi jeans. La contraffazione è impossibile da sconfiggere? I jeans Diesel contraffatti spopolano nel mondo, dalla Cina agli Stati Uniti, dal Marocco al Portogallo. Se sei un pesce piccolo, purtroppo, puoi fare ben poco. Noi abbiamo i mezzi finanziari e li abbiamo messi in campo per combattere una piaga che danneggia, non solo i conti economici del gruppo, ma anche l’immagine del brand a livello internazionale. In parallelo alle azioni legali, ho deciso di mettere sotto i raggi X tutta la rete distributiva del brand. È stato un lavoro molto oneroso che, sono certo, darà i suoi frutti. Non di solo moda si vive, però. Da tempo Red Circle Investments, la società di investimenti della famiglia Rosso, ha puntato sulla diversificazione del portafoglio. Sì, l’intenzione è di puntare su settori emergenti, in particolare nell’ambito delle nuove tecnologie, di sostenere l’imprenditoria italiana e quei mercati affini alla mia visione della società. A inizio 2014 siamo entrati nel capitale di EcorNaturaSì, la società cui fanno capo le catene di prodotti biologici a marchio NaturaSì e Cuorebio. Un’operazione di cui sono molto orgoglioso, perché, dal momento che siamo quello che mangiamo, la diffusione del cibo biologico non può che essere una priorità per l’umanità. O ancora, tra le altre, deteniamo quote del capitale di H-Farm, l’incubatore di start up in ambito tecnologico. P

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Alchimia Holding

MARINA SALAMON

GIRAMONDO Tra affari, studi e famiglia, la vita della poliedrica padrona di casa di Doxa,Altana e Connexia si divide tra Verona, Milano, gli Stati Uniti e Birmingham

Il CORAGGIO della VERITÀ LE COMPETENZE, DA SOLE, NON BASTANO PER GARANTIRE

UN FUTURO SOLIDO A UN’AZIENDA, CHE SI TRATTI DI ABBIGLIAMENTO, RICERCHE DI MERCATO O COMUNICAZIONE DIGITALE. PERCHÉ OGNUNA RAPPRESENTA UN ECOSISTEMA DELICATISSIMO DOVE LE PERSONE SONO IL VERO CAPITALE SOCIALE. PAROLA DELLA NOTA IMPRENDITRICE LOMBARDO-VENETA DI EMIDIA MELIDEO


D

a Doxa (ricerche di mercato) ad Altana (abbigliamento di lusde dove i bilanci sono mensili, se non settimanali, dove le persone vengono miso per bambini) passando per Connexia (digital marketing) e surate in base a un numero scritto sulla riga finale di un report. Da noi invece ci la casa madre di tutte, la holding Alchimia (azionista anche di siamo ritrovati con gente che ci diceva: «Voglio venire a lavorare con voi perché Banca Ifis), Marina Salamon è un’imprenditrice che ha tenuto mi sento a casa»; chi lavora qui ha libertà di entrata per quanto riguarda l’orario, poche cariche per sé («giusto qualcuna per poter scrivere qualabbiamo abolito del tutto i cartellini, c’è una grande cucina dove la gente ovviacosa su LinkedIn»), non ha alcun ufficio (si fa ospitare di volta in volta da questa mente mangia, ma può decidere anche di organizzarci le riunioni. o quella scrivania nelle sue aziende), tuttavia è una figura molto presente e imLa sua sembrerebbe una vision che non contempla la mediocrità… Più che di mediocrità, dico che la vita è fatta di una quantità variabile di inpegnativa. Quasi ingombrante, nel senso alto e positivo del termine, perché stiatelligenze e di attitudini. Anch’io all’inizio credevo che contassero le commo parlando di una donna vulcanica e complessa, anche sotto il profilo interiopetenze e l’eccellenza ed ero molto indietro sull’analisi. Poi ho imparato re, con una laurea in Storia e in procinto di prenderne un’altra in Teologia, e che che, a differenza di quanto la scuola italiana insegni – e su questo la scuoha fatto della sua filosofia imprenditoriale una fortunata occasione di sviluppo la è colpevole, perché i voti, i giudizi sono sempre individuali e non si provisto che le sue società hanno continuato a crescere in termini di fatturato (tutmuove il lavoro di squadra – la cooperazione è fondamentale. Questo non ti gli utili vengono reinvestiti) e di occupazione. Un tocco, il suo, non semplicispuò essere un mondo fatto di individualisti che corrono da soli verso la simo da descrivere – così com’è lei, a capo di una famiglia allargata con quattro meta. È una lezione che ho appreso dal rugby, sport praticato dai miei figli, figli di cui una in affido e una nutrita muta di cani e gatti, perennemente in viagdove chi corre in avanti con la palla in mano solitamente viene placcato, gio tra Verona, Milano, gli Usa dove vivono e lavorano tre dei figli e Birmingham ecco perché la regola è passarla all’indietro. È l’unico modo di far avanzadove si è trasferita la figlia sposata – che richiederebbe una visita nelle sue azienre il gioco. La vita è così: l’obiettivo non deve essere quello di acquisire un de, vedi la sede della milanese Doxa, dove visivamente predominano il legno, cliente, ma di dare continuità a un progetto, a un rapporto. Per questo nel i tessuti etnici, i colori caldi, gli oggetti normalmente destinati agli scaffali della tempo ho smesso di cercare profili ultra-intelligenti che però puntualmente vita privata di ognuno (conchiglie raccolte in spiaggia, valigie, libri e mobili tra il sono poco amati, come accade a scuola con i primi della classe. vecchio e l’antico)che qui fanno parte dell’arredo “corporate”. Tutto scelto perHa la sensazione che la percezione dell’anima di un’azienda sia diversa tra chi sonalmente, acquistato e “voluto” dalla padrona di casa. la gestisce, il manager, e chi la crea, l’imprenditore? So che è un azzardo in un momento storico in cui Secondo i tradizionali schemi – anche un po’ sula crisi ha costretto tutti a rifugiarsi nella “sostanza” perati – sembrerebbe di sì, perché il manager guardelle cose, ma vien da chiedersi e da chiederle: le da solitamente al suo bene, alla sua remunerazioaziende hanno un’anima? Certo che le aziende hanno un’anima, tutte le ne, alla sua carriera, mentre l’imprenditore costruiaziende ce l’hanno, così come le scuole, perché sce valore in orizzonti più ampi. Personalmente risono luoghi in cui si vive e, di fatto, delle comutengo che col tempo i due ruoli si mescoleranno, nità. Quello di comunità è un concetto che intenanche se non sarà sempre possibile. Perché ho vido nel senso più alto e completo del termine, alla sto intorno a me manager molto bravi non trovaAdriano Olivetti. Le aziende sono realtà che purre più un senso in una carriera fine a se stessa, altroppo hanno sostituito altri tipi di aggregatori pertri che hanno abbandonato impieghi prestigioché la società è cambiata e ritrovarsi nelle strasi per giocarsi tutto dentro un progetto nuovo che de, nelle piazze, non è più possibile. Ormai si vive non era quello di avere più soldi, bensì una qualità (Mahatma Gandhi) di vita e di valori più alti. Il lusso, il vero lusso per molto all’interno dei luoghi di lavoro. queste persone è sentirsi bene all’interno della proCi descrive l’anima delle sue imprese? Come l’ha pria vita, senza scissioni con il lavoro. I manager forgiata? Secondo me, l’anima è figlia dell’imprinting che i tisono prima di tutto delle persone, con aspirazioni tolari, gli azionisti e i manager sono capaci di dare. Ad esempio, io potrei aver ed emozioni, per questo nelle mie aziende abbiamo adottato lo schema delarredato questo posto (si riferisce agli uffici di Doxa, Connexia e delle altre sol’imprenditoria diffusa dove i dirigenti sono anche azionisti. È l’unico modo cietà con sede a Milano, ndr) in modo apparentemente accogliente, ma se il per far crescere nuovi progetti, creare delle startup, ed è questa la ragione capo (Vilma Scarpino, ndr) non fosse una persona che viene a lavorare in bici, per cui qui anche negli anni più brutti, quando calavano gli investimenti in ma con l’autista, non tornerebbe niente. Sarebbe tutto un bluff e la gente è tropcomunicazione, ricerca e pubblicità, non abbiamo sofferto. Questo approccio si adatta meglio alle pmi o alle multinazionali? po intelligente per non accorgersene. Lo stesso accade in famiglia, dove ciò che Ovunque, perché è un atteggiamento che si basa essenzialmente sul coragsi predica non conta: bisogna testimoniare con la propria vita. Ma in ogni gesto, gio della verità. Questo non vuol dire essere buonisti a tutti i costi. Anzi, a dalle cose più piccole, come magari nel recupero dello yogurt scaduto, alle più me è capitato di essere intervenuta in maniera molto dura, fortunatamente grandi... Il lavoro riveste un ruolo fondamentale, non solo per le ore che vi si dedi rado, su alcuni manager. dicano, ma perché la nostra è una società fatta di individui soli, dove i rapporti In quali circostanze? affettivi non sono fonte di certezza come lo erano per le generazioni precedenti. Dove c’era disonestà, quando qualcuno ha provato a “fare il furbo” o si è comA maggior ragione quello professionale deve essere un luogo di giustizia, dove portato in modo arrogante, trattando male i collaboratori. Lì sono intervenuta non si deve aver paura, né sentirsi soli, o un numero. Al lavoro bisogna dare e ricon la forza di un panzer, perché ho il dovere primario di proteggere in basso, cevere come un essere umano nella sua globalità. Io stessa in ciascuna delle mie non in alto. Il motivo è che dai capi dipende il lavoro di tanta gente. E, se serve, aziende ho portato anche pezzi della mia vita, come la credenza di mia nonna ha senso “farne fuori” uno per salvarne cento, su questo mi sento molto amerio una valigia di mio nonno. Questo per dire che, a mio modo di vedere, il reacana. Un ambiente di lavoro è un ecosistema delicatissimo e se un manager, anle patrimonio delle aziende sono le persone prima ancora che i capitali, e sono che se estremamente dotato, ha poca intelligenza emotiva, le conseguenze certa che questo punto di vista diventerà sempre più centrale. Esistono azien-

«I do not draw a SHARP DISTINCTION between ECONOMICS AND ETHICS»

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LE

ION PASS INA MARMON SALA

I DI COSA FA QUANDO NON È IN GIRO PER IL MONDO? COME SI RILASSA?

In assoluto, la cosa che amo fare di più è leggere sdraiata all’ombra di una grande quercia. È una cosa che mi rilassa tantissimo, ma che per problemi di tempo faccio poco.

COSA LEGGE IN PARTICOLARE?

Adesso sto studiando per gli esami (studia – insieme al neo-marito – Teologia al seminario di Verona, con frequenza dei corsi il venerdì sera e il sabato pomeriggio, ndr). Il prossimo è Esegesi dell’Antico Testamento. In questo momento sto leggendo Vite dei santi, mi sono appassionata a quella di Santa Caterina da Siena, anche se il mio “preferito” rimane sempre San Francesco.

ALTRE PASSIONI?

Gli animali, li amo profondamente. Ma non quelli da concorso di bellezza, quanto i randagi, raccolgo quelli che gli altri abbandonano. Al momento, nella mia casa di Verona ho un nugolo di gatti e quattro cani tutti molto anziani e “scassati”, ma confido, appena possibile, di accrescere quest’allegra famigliola.

PASSO DOPO PASSO

1982

1991

2009

Marina Salamon fonda Altana, azienda con sede a Treviso che muove i primi passi nel tessile producendo camicie di seta, per poi diventare leader in Italia nell’abbigliamento luxury kids. L’organico è di 150 persone che gestiscono tutta la filiera produttiva, dal design alla distribuzione.

È l’anno dell’acquisizione di Doxa, fondata nel 1946 da Pierpaolo Luzzatto Fegiz e diretta dal 1956 da Ennio Salamon, padre di Marina che acquista l’azienda dagli eredi del fondatore.

Connexia è la prima società che opera nel digitale a entrare nell’orbita della Salamon. Fondata nel 1997 da Paolo D’Ammassa, che ne è l’a.d., Connexia è una full service engagement agency che si occupa di Web, social e public relations.

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Nelle aziende MANCA LA CAPACITÀ DI RACCONTARSI, i capi devono comunicare se stessi. Non bastano le email: CI VUOLE LA FACCIA, la testimonianza del proprio modo di vivere possono essere disastrose. Infatti, nello scegliere le figure apicali, do molta importanza ai valori, all’umanità. Essere buoni, essere umani, non significa essere vigliacchi, far finta di niente e girare la testa dall’altra parte. In questo senso quello che sta mancando nelle aziende grandi o piccole è la capacità o il coraggio di raccontarsi, di spiegare. I capi devono comunicare e, se non possono incontrare tutti i colleghi personalmente, devono fare come i ragazzini che interagiscono tra loro magari attraverso un video: la comunicazione non è fatta di mail, ci vuole la faccia, la testimonianza del proprio modo di vivere. E questo non vale soltanto nelle aziende. Sta contando molto anche in politica. Penso a Obama: è bravissimo o meno? Non abbiamo modo di verificarlo. Però conosciamo il suo sguardo, il suo modo di parlare alla gente, che è estremamente efficace. In cosa consiste l’orgoglio di creare un’azienda? Lo vive più come una responsabilità o piuttosto come un privilegio? Rispondo con una frase di Papa Francesco, «Il vero potere è il servizio», e con la parabola dei talenti: ognuno di noi ha ricevuto dei talenti e il suo compito è farli fruttare e restituire in quantità maggiorata. Per me fare impresa significa costruire posti di lavoro, ma non posti da contare, bensì progetti. E soprattutto essere imprenditore in un’Italia come questa vuol dire costruire opportunità di vita e di lavoro, non esercitare un potere o un ruolo. Per questo ho conservato pochissime cariche su di me, il minimo indispensabile per poter scrivere qualcosa sul mio profilo LinkedIn (ride). Per il resto, spesso non sto neanche nei consigli di amministrazione. Ormai, sono fuori dalla gestione operativa di tutte le aziende: sto dietro le quinte e faccio l’azionista utile. Mi sono accorta che altrimenti la mia figura di governo rischierebbe di schiacciare e soffocare le altre individualità. Per me è molto più importante accorgermi di come si lavora in un contesto, di come un capo si pone rispetto alla sua squadra. È importante avere uno sguardo lungo perché mi è molto chiaro che se l’orizzonte italiano è per forza di cose difficile, per quanto mi riguarda devo riuscire a costruire progetti che reggano nel tempo. Non mi interessa fare qualcosa e poi tra tre anni chissà. Il mio scopo è dare una prospettiva buona, seria e vera alla gente. La responsabilità è un privilegio, e lo è in ogni gesto. Come con un amico: il privilegio è sì ricevere affetto da lui, ma soprattutto sentirsi responsabili nei suoi riguardi, accorgersi se sta bene, ascoltarlo, fargli una carezza quando ne ha bisogno. Sta dicendo che l’imprenditore può, anzi deve, assumere le decisioni col cuore? Credo che il pensiero imprenditoriale sia un’intuizione e che come tale muova necessariamente dal cuore. Ma non bisogna esaltare il cuore a prescindere. Per

2010

2013

La famiglia delle ricerche di mercato si allarga con Duepuntozero Research (oltre che con altre realtà come Doxapharma, Doxa Marketing Advice, Doxa Crm e Doxa Digital), nata per supportare i clienti nello studio degli ambienti digitali e della comunicazione di brand.

iCorporate è l’ultima nata in Alchimia, la holding che controlla le società di Marina Salamon. Si occupa di comunicazione strategica, corporate e finanziaria per la gestione di rapporti con i media tradizionali e digitali.

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quanto mi riguarda so anche essere molto razionale: un minuto dopo aver avuto un’idea, mi metto a studiare e uso la logica. Che vivo come uno strumento al servizio di una decisione istintiva. Per esempio, mi arrivano molte offerte di startup, di acquisizioni, alcune sono anche molto creative, ma se appartengono a un settore che non è il mio, che non è sinergico alle attività già avviate, rispondo di no perché non sono competente: non saprei rendermi utile. Una volta passato questo filtro, se ho un’intuizione positiva, comincio ad analizzare i competitor, a vedere cosa c’è sul mercato e a scandagliare tutti i canali distributivi cercando di capire quali sarebbero le risorse umane da poter integrare. Ecco, in questa fase divento tremendamente lucida e razionale. Nelle sue aziende l’età media è molto bassa. Le nuove generazioni sono a volte criticate, a volte stigmatizzate, altre compatite. Come sono i giovani nel mondo del lavoro? Come li vede? Quando li guardo, più che giudicarli, li vedo come se fossero i miei figli, li capisco, e penso che questo non sia un Paese giusto per i giovani né per le donne. E quindi non c’è altro da fare se non dare testimonianza diversa, più che teorizzare. Non è un caso che nelle mie aziende abbia messo insieme soprattutto giovani e donne, per me rappresentano entrambi le facce di una stessa medaglia, quella di un contesto che è passato troppo velocemente da un’economia immobile nei secoli a una postindustriale. A proposito di donne, hanno senso le quote rosa? Non le amo a prescindere, perché il rischio è quello di ghettizzare la presenza femminile nelle aziende come si è fatto con gli indiani d’America, confinati nelle riserve senza che fosse sostenuta la crescita economica e sociale delle loro terre. In Italia le leggi sulle quote rosa hanno inciso poco, sono simboliche perché riguardano i consigli di amministrazione delle società quotate. Certo, è una cosa positiva che ci sia una percentuale di donne ai vertici aziendali, ma non è una disposizione che impatta sull’economia reale e sulla vita di ogni donna. Si tratta più che altro di attuare un cambiamento in ogni realtà, in ogni storia. Ma sono fiduciosa perché vedo sempre più donne laurearsi in materie scientifiche, e spero che saranno presto le leader di un futuro sempre più tecnologico. Accadrà anche qui, magari non con la stessa facilità con cui è accaduto in Nord Europa e negli Stati Uniti. La situazione odierna deriva dalla condizione delle nostre madri che lavoravano poco. Però credo che l’equalizzazione di opportunità sul lavoro sarà un processo molto veloce che arriverà nel giro di una generazione. Basta guardare quanto sono brave a scuola le bambine! Il problema vero, a mio parere sarà un altro: mettere insieme il lavoro con una vita affettiva e famigliare. C’è molta paura di impegnarsi. Ma non sarà che pretendere di vivere appieno il lavoro e la famiglia sia troppo? Troppo? Non è troppo, è basico! Stiamo parlando dei fondamentali della vita. Il problema vero è che in questo mondo, dove metà delle coppie scoppia, c’è un clima di paura diffusa che rallenta la positività. Si tratta di un fenomeno generalizzato, che prescinde dalle possibilità economiche delle singole persone. Perché le donne francesi fanno il 50% di più di figli di noi e lavorano di più? Dire semplicemente che lo Stato non aiuta è diventato uno slogan demagogico. Credo che il cambiamento debba anche partire da dentro le persone. Si può ancora credere in un futuro governato dal merito? Ci sono mondi dove già adesso vince il merito. Io l’ho visto accadere e cerco di P farlo succedere intorno a me.

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Octo Telematics

FABIO SBIANCHI DA MANAGER A IMPRENDITORE Era direttore tecnico e operativo di Viasat quando ha avuto l’idea alla base di Octo Telematics. È stato il mancato sostegno dei suoi superiori di allora a spingerlo ad avviare la propria azienda con pochi fedelissimi collaboratori

ANDARE CONTROCORRENTE CAPACITÀ DI ANTICIPARE IL MERCATO E TANTA

PERSEVERANZA: COSÌ IL SOGNO DELL’ASSICURAZIONE SU MISURA È DIVENTATO UNA REALTÀ CHE AMBISCE AL NASDAQ DI WALL STREET DOPO CINQUE ANNI A FATTURATO ZERO: «NON IMPORTA SE ALL’INIZIO NON VI CAPIRÀ NESSUNO, PERSEGUITE UN BUSINESS ANCHE SE LO VEDETE SOLO VOI» DI ANDREA NICOLETTI

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F

abio Sbianchi è l’uomo che ha rivoluzionato i modelli assicurativi per l’auto: grazie alla sua Clear Box, un apparato di bordo con Gps e sensori che registrano percorso e tempi d’uso, le compagnie di assicurazione possono ritagliare prodotti innovativi e su misura, i clienti invece pagare di meno l’Rc auto. Geniale. Non lo diciamo noi: Octo Telematics controlla il 45% del mercato mondiale, lavora con tutte le principali case automobilistiche e compagnie assicurative registrando 7 mila nuovi clienti ogni giorno. Eppure Fabio Sbianchi non è quello che ci si aspetta. Non lo è per come appare - abiti, auto, orologi - e non lo è per quello che dice. Ai giovani imprenditori per esempio: «Non innamoratevi del valore della vostra azienda, ma del successo nella vita». A se stesso: «Meglio possedere una frazione di un’azienda grande che il cento per cento di una piccola». Questo è Sbianchi: ha inventato un business che prima non c’era e trasformato una bella idea in un prodotto che gli altri nel mondo possono solo copiare. Questa è Octo Telematics: una multinazionale presente in 26 Paesi, con 130 aziendeclienti nel mondo, di cui oltre 20 sono attive solo in Italia e coprono la gran parte dell’offerta assicurativa. Con un obiettivo ambizioso: la quotazione al Nasdaq di New York. Che cosa è il successo per Fabio Sbianchi? Innanzitutto è il successo nella vita intesa nel suo complesso: il lavoro, le relazioni fra colleghi e amici, la famiglia, le passioni e i sogni da realizzare. In una parola: equilibrio. Come lo si raggiunge? Non lo so, è una ricerca che non può mai concludersi. La felicità sta tutta nella ricerca della felicità. Anche da un punto di vista professionale: il successo è già qui, sulla strada che si percorre, prima ancora che nella meta finale. Sembra uno spot per la sua azienda. È anche una filosofia di vita? E pensare che invece tutto è nato da un motivo molto pratico, direi di portafoglio. Mentre mia moglie lavorava ormai da mesi all’estero spostandosi

avanti e indietro con l’aereo - eravamo negli anni ‘90 - ho ricevuto una telefonata del nostro assicuratore che mi chiedeva 800 mila lire di premio, nonostante l’auto di mia moglie non si muovesse mai dal box. Sei mesi dopo, stessa richiesta. Allora mi son domandato: perché non esiste un’assicurazione auto personalizzata, ritagliata sulle abitudini di chi guida, sulla distanza percorsa e il reale utilizzo? Il giorno dopo sono andato in ufficio e ho detto ai miei: inventiamoci qualcosa. Da impiegato a imprenditore. Immagino la solita trafila: l’idea geniale ma pochi soldi per realizzarla, i tempi duri poi il successo… Invece no. Non nel mio caso. Ero da qualche anno il direttore tecnico e operativo di Viasat, e facevamo antifurti satellitari, quindi ho provato a vendere la mia idea al management interno. Mi sembrava la cosa più logica e naturale da fare. E loro? Hanno fatto la cosa più logica e naturale: mi hanno detto di no. Forse è stata quella la mia fortuna. Un no. Dal loro punto di vista il rifiuto aveva una sua ragione: hanno saputo valutare il ritorno sugli investimenti, che è stato zero tondo per i primi cinque anni. Per me è stato un “no” importante. Sono i famosi “no” che insegnano a crescere? Detto altrimenti: sono quei momenti di difficoltà e di crisi che ci fanno fare il salto, che ci impongono di scavare e scoprire risorse fino a prima insospettabili. Anche risorse economiche? I soldi per partire arrivarono da un Business Angel che nel 2001 mi firmò un assegno da 50 milioni di lire, a dimostrazione che credeva nella mia idea. Ma la risorsa più importante sono le persone. Così nel 2002 mi dimetto e assieme a sei colleghi, il mio team di fedelissimi, apriamo Octo Telematics: l’idea è di sviluppare un primo prototipo di strumento in grado di monitorare le abitudini del guidatore e di consentire ai clienti e alle compagnie di assicurazione di risparmiare e prevenire i rischi. Eravamo convinti che una Clear Box di questo tipo, rispetto al mercato di nicchia degli antifurti satellitari, potesse avere un bacino più ampio: c’erano 35 milioni di potenziali clienti in Italia e 200 milioni in Europa. Ma nessuno cliente vostro… No. Per cinque anni fatturato zero. Eravamo in anticipo sui tempi? Forse. Possiamo trarne una prima lezione di management, tipo “non correte troppo avanti”? Al contrario. Fatelo! Non importa se all’inizio non vi capirà nessuno. Non importa se vedete un business dove tutti gli altri temono invece una inutile complicazione, se non addirittura uno svantaggio. Credeteci. Il mio caso è esemplare: andavamo dalle assicurazioni per vendere un prodotto capace di certificare l’utilizzo o meno dell’auto. Il nostro “contatore” andava intuitivamente contro il business model di un assicurazione, che guadagna anche se il veicolo non corre rischi. Capito? Sembrava che facessimo solo gli interessi dei clienti finali. In realtà stavamo introducendo il pay-per-use prima ancora che esistesse questa espressione. Oggi è entrato nelle abitudini di tutti: si pagano a consumo musica e film, Internet e applicazioni. Anche l’Rc auto, e grazie a noi. Ma all’epoca eravamo in anticipo. Qual è l’idea vincente che ha fatto il successo di Octo? La Clear Box consente non solo alla compagnia di assicurazione di capire il comportamento e lo stile di guida del conducente per offrigli una tariffa personalizzata, ma anche al cliente finale di poter usufruire di servizi a valore aggiunto, per esempio sotto il profilo dell’assistenza o in caso di furto. Senza contare che l’automobilista vede premiati i propri com-

«Meglio possedere poco

DI UN’AZIENDA SANA che il 100% di UN’IDEA MAI REALIZZATA»

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I SION S A P LE O I FABIC H N SBIA

DI L’ABBIAMO VISTA SULLA COPERTINA DEL MENSILE DEL FINANCIAL TIMES, E NON ERA PER MERITI PROFESSIONALI…

Ho avuto la prima pagina per la mia collezione di arte contemporanea cruda e spietata. Questa è una delle mie due passioni: acquistare capolavorischiaffo, opere contemporanee che presentano il lato oscuro dell’umanità, spesso il più difficile da digerire.

PERCHÉ LO FA?

La vivo come un perenne monito per tenere gli occhi aperti su una realtà problematica, che va osservata con spirito critico, di denuncia e di testimonianza. In questo senso va vista la mia collezione.

QUANTO VALE?

Molto, e non solo dal punto di vista economico ma artistico. Possiedo opere di Andres Serrano, Marina Abramovic, Vanessa Beecroft e Jacob Ashimoto, capaci di rappresentare un’umanità che nessuno vorrebbe avere in casa per cena, immagini crude sulle quali lo sguardo non trova pace.

LA SUA SECONDA PASSIONE INVECE?

È l’agricoltura, strano vero? Una propensione che ho ereditato da mio papà, apicoltore a Gubbio, che oggi porto avanti con una micro produzione di olio e formaggio a Castel Romano, nella campagna fuori Roma, e in un fazzoletto di terra a Villasimius in Sardegna.

PASSO DOPO PASSO

2002

2005

2010

2011

2014

Fabio Sbianchi fonda Octo Telematics e avvia la collaborazione con Unipol Assicurazioni, il primo grande cliente. Comincia la sperimentazione di soluzioni telematiche su 2.500 veicoli e mezzi pesanti in tutta Italia.

Prima polizza Rc auto con tariffa specifica basata sui servizi telematici (Unipol) e prima assicurazione pay-per-use (Axa). In seguito anche Bmw e Fiat scelgono Octo Telematics.

La proprietà passa nelle mani di tre fondi di private equity internazionali (Charme II, Amadeus Capital, R Capital Partners). Una quota va anche al management.

Viene raggiunto il primo milione di clienti attivi.

Renova Group, importante gruppo di investimento privato russo, acquista la maggioranza della partecipazione in Octo Telematics.

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IL LEADER tira fuori dagli altri IL LORO MEGLIO, valorizza quanto c’è di buono nel suo team, porta alla luce IDEE ORIGINALI che i collaboratori non sapevano NEPPURE DI AVERE portamenti corretti di guida con tariffe più convenienti. Com’è il suo stile di leadership? Ma soprattutto: funziona? Mi hanno assunto in Viasat perché mi ritenevano un ottimo “fluidificatore”. Oggi si usa una parola diversa: facilitatore. E forse è quello che so fare meglio: so come ottimizzare il lavoro mio e degli altri, come renderlo più fluido portandolo dritto all’obiettivo. Un leader “maieutico”, per usare un concetto preso in prestito dalla filosofia di Socrate? Come una levatrice aiuta le partorienti a far nascere i bimbi, così il leader “facilitatore” tira fuori dagli altri il loro meglio, valorizza quanto c’è di buono nel suo team, porta alla luce idee originali che i suoi collaboratori non pensavano neppure di avere in testa. Poi però nel biglietto da visita c’era scritta una più prosaica e sintetica job description: “Program Manager”. Già, torniamo con i piedi per terra. Parliamo di denaro. Quanto conta nella carriera di un manager? Forse più all’inizio che alla fine. Il denaro può spingere ad agire in due maniere: a cercarne perché non c’è affatto o, se c’è, a volerne di più. Quando nel 1997 lasciai la mia piccola ditta - lavoravamo bene e molto installando parabole per conto di Telespazio sui tetti di Inps, Inail e catasto - lo feci anche per un ottimo stipendio da Program Manager. Poi invece, quando cambiai lavoro per seguire il mio sogno di imprenditore, fu un salto nel buio: per cinque anni non ho percepito stipendio. Ma era quella la spinta giusta per andare avanti. Più recentemente, quando abbiamo venduto le prime quote di Octo Telematics a tre fondi stranieri e anche oggi che la maggioranza è passata interamente in mano a Renova Group, importante gruppo di investimento privato russo, la motivazione ad agire è stata sempre la medesima e coerente: potevamo restare padroni assoluti di una piccola azienda, oppure avere una quota parte di una azienda più grande. La seconda opzione è, a dispetto delle apparenze, la più razionale. In molti avrebbero preferito tenere saldo il timone della società e non vendere… Lo so. Eppure pensiamoci: è meglio avere una piccola frazione di un grande tesoro o il 100% di un forziere quasi vuoto? Oggi Octo Telematics, con 260 dipendenti, è tra le aziende al mondo che fatturano di più pro capite. Qual è il suo consiglio a chi si mette oggi in impresa? Innamoratevi della vita, non delle azioni della vostra Spa. Che cosa non ha prezzo? Accompagnare i miei figli quando fanno sport e seguirli nelle gare. Che macchina guida? Una Smart. Il vecchio stereotipo del businessman di successo, tutto macchina di lusso, segretaria e mega ufficio non funziona più: è superato. Oggi contano di più altri valori, per esempio la misura, il sapersi accontentare. Che non significa rinuncia, anzi. Significa trovare e dare il vero valore alle cose. Non esistono più status symbol. Guardi la mia giacca: mi ci siedo sopra, la stropiccio e lei non fa una piega. Non sarà alta sartoria ma è altamente funzionale. Elegante e sempre in ordine: non è quello che si chiede a una giacca? E allora va bene così, non serve di più. Altri valori che la guidano?

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Essere un uomo giusto, fare del bene. Ma il bene si deve fare, non raccontare. Torniamo all’azienda: ci descrive il vostro modello di business? Tutto ruota attorno le nostre Octo Box, una struttura diffusa sul territorio e un asset strategico. Noi gestiamo il traffico dati fra le scatole e il centro servizi, attraverso un rapporto con i migliori carrier, e forniamo ai clienti le Octo Box in comodato d’uso, complete di attivazione, abbonamento Gsm e installazione delle stesse sul veicolo, con una fee annuale sui canoni di servizio attivati. Come siete venuti fuori dalla crisi che ha colpito l’economia globale? Con numeri da capogiro: 3,1 milioni di clienti attivi in Italia e 400 mila all’estero, 7 mila nuovi ogni giorno e oltre 35 mila installazioni alla settimana. Lavoriamo con 130 aziende in 26 Paesi del mondo, tra Europa, Usa, America del Sud, Asia e Australia. E possiamo contare su 3.500 installatori. In che modo ci siete riusciti? Abbiamo tenuto la barra dritta, avendo ben chiaro la nostra mission: svolgere un ruolo guida per l’intero settore dei servizi telematici per assicurazioni, autonoleggio, flotte e case produttrici, declinando la telematica come soluzione integrata e non come prodotto. È così che abbiamo convinto i big come Bmw, Fiat, Honda, Mercedes, Toyota, Opel e Volkswagen fra i produttori e Unipol Sai, Generali, Intesa Sanpaolo, Sara, Ina Assitalia, Axa e Groupama fra le assicurazioni. E adesso? Vogliamo continuare ad aprire al mercato nuovi segmenti e modelli di business. E ce la faremo perché abbiamo le spalle più larghe oggi di quando siamo nati, grazie anche alle successive iniezioni di capitale ottenute vendendo quote di partecipazione. Oggi la struttura societaria è composta da Renova Group, che possiede il 72% delle quote, e Pamplona Capital Management, fondo anglo-americano titolare del restante 28%. A lei non rimane nulla della “sua” Octo. Al contrario: a me rimane una piccola parte di un grande impero, che è meglio della sovranità su un’isoletta. Poi la soddisfazione di aver creato qualcosa che prima non c’era. Infine, l’ambizione di portarla alla Borsa di New York. È questo il prossimo obiettivo? Sì, il mio sogno è quotarla al Nasdaq di Wall Street e suonare la campanella che indica l’apertura delle contrattazioni. So che prima o poi succederà. Quella campanella suonerà anche per me e sarà il segnale di addio. Lascerò il mio posto. Anche di Sbianchi si può fare a meno? Si può e si deve. Chi o che cosa, oggi, fa il successo di una azienda? Le persone che ci lavorano. Tutte e ciascuna, ma nessuna in particolare. Mi spiego: un’azienda ha raggiunto il successo quando va avanti anche a prescindere dalle singole figure, a qualunque livello. Vale anche per i numeri uno: quando ci si accorge di non essere più un volano di crescita, meglio farsi da parte. Per questo credo che Octo Telematics possa andare nelle mani di un giovane condottiero, capace di farla crescere ancora di più. Non voglio essere io il limite. Il limite, posto che ci sia, bisogna spostarlo sempre in avanti. P

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L’Oréal Italia

CRISTINA SCOCCHIA CARRIERA INTERNAZIONALE Al vertice di L’Oréal Italia da gennaio 2014, ha vissuto una lunga esperienza in Procter & Gamble, dove dal 1997 ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità, in Italia e all’estero. Sanremese, ha un figlio ed è da sempre attiva nel settore del volontariato

AVERE una VISION CHIARA

OLTRE ALLA CAPACITÀ DI FARSI CARICO DI DECISIONI DIFFICILI E DI MOTIVARE LE PROPRIE RISORSE. SONO QUESTE LE QUALITÀ IMPRESCINDIBILI PER UN LEADER SECONDO IL CEO ITALIANO DEL GIGANTE DELLA BELLEZZA. MA PER ESSERE UN BUON MANAGER È NECESSARIO ANCHE UN ASSETTO VALORIALE FORTE DI CECILIA LULLI - FOTO DI ARMANDO ROTOLETTI

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A

ttivo da oltre 100 anni nel mondo della bellezza, il gruppo sia rappresentata dalle persone che ci lavorano. In L’Oréal abbiamo una cultuL’Oréal è un vero e proprio colosso del settore e vanta una prera aziendale molto forte, della quale andiamo fieri, che si basa su valori quali senza storica in Italia, che è stata nel tempo il primo mercalo spirito imprenditoriale, la passione, il coraggio, l’innovazione. Sono elementi to estero di esportazione per i suoi prodotti e oggi rappresenta il cardine del nostro dna da più di un secolo e in ogni momento cerchiamo di rafsuo quinto Paese al mondo per fatturato. Leader del mercato coforzarli, perché rappresentano i punti di forza attorno ai quali è cresciuta quesmetico nazionale, la società è, infatti, presente in tutti i canali della distribusta azienda. zione con un’offerta di marchi capofila in molti segmenti. Non solo. Lo stabiCi sarà anche qualche aspetto su cui state lavorando per migliorarvi… limento di Settimo Torinese, che opera da 52 anni, è per il gruppo uno dei più Per quanto riguarda la filiale italiana, è in corso un’evoluzione da uno stile di importanti, il primo in assoluto per unità prodotte dal 2011 (circa 320 milioleadership gerarchico a uno più condiviso e responsabile. Cosa vuol dire? Pasni/anno), che vengono distribuite in 39 territori. Eppure la recessione economisare da una cultura manageriale basata sul controllo a una fondata sulla fiducia. ca ha colpito anche questa realtà d’eccellenza, almeno fino a quando, nel genSono convinta che quando tra aziende e collaboratori prevale la fiducia, questi naio 2014, a guidare la filiale tricolore non è arrivata Cristina Scocchia, 40 anni ultimi diano il meglio di sé: la fiducia aumenta la soddisfazione, se i dipendenti (di cui 16 trascorsi in Procter & Gamble) promotrice di un processo di rinnovasono più soddisfatti cresce l’engagement e, di conseguenza, la produttività, così mento che ha già riportato il segno più nei bilanci. Le sue strategie? Lavoro di il cerchio si chiude con un incremento della competitività dell’impresa. squadra, semplificazione, comunicazione e fiducia nei confronti dei collaboraNel suo curriculum non mancano esperienze manageriali all’estero. Alla luce tori. Perché anche e soprattutto nei momenti difficili si può vincere, l’importandi quanto ha vissuto, quali sono i pregi e i difetti dell’Italia quando si parla te è non lasciarsi scoraggiare e dare sempre il meglio, senza pretendere di essed’impresa? re sempre perfetti. Sul lavoro come in famiglia. Sono molto ottimista. Come italiana e come investitore straniero (in quanto rapOrmai è alla guida dell’azienda da un anno e mezzo, come sta andando quepresentante di L’Oréal), credo che la Penisola offra tantissime opportunità. Non sta esperienza? lo ricordiamo mai, ma siamo l’ottavo Paese al mondo per Pil, il decimo per ricIl 2014 per noi è stato un anno positivo, perché – dopo anni di decrescita e chezza pro capite, e ancora il secondo in Europa nel settore manifatturiero, il a fronte di un settore ancora in contrazione – in tutti i nostri canali distribuquarto nella chimica e poi abbiamo 1.022 nicchie di eccellenza di prodotto che tivi siamo riusciti a stabilizzare il fatturato, a guadagnare un milione di nuoil mondo ci invidia. I francesi ci riconoscono grande capacità d’innovazione e di vi consumatori, aumentando la nostra quota di mercato sia a volume che a lavorare in filiera, know-how tecnologico, creatività, attenzione alla qualità, senvalore, e a ritornare a crescere. Tutti risultati che ci riempiono di soddisfaza contare che, nonostante la crisi, il sistema bancario italiano è solido. zione e ci infondono nuova energia. Nessuna nota dolente? Come avete ottenuto questo successo? È innegabile che l’apparato burocratico-normativo in Italia sia pesante, incerCon un grande lavoro di squadra e cinque strategie fondamentali. La prima è to e intricato; e poi non sono la prima a dire che la fiscalità è eccessiva e comun maggiore focus sul consumatore italiano, cui abbiamo cercato di adattare il plessa; così come bisogna ammettere che le infrastrutture sono carenti, anche rapporto qualità/prezzo e il messaggio dei nostri prodotti. In secondo luogo ci a livello digitale. Quindi, è chiaro che esistono ampi margini di miglioramensiamo concentrati sui marchi chiave e, al loro interno, sui prodotti più importo. Un altro aspetto da rivedere è il rapporto tra scuola e mondo del lavoro. Netanti. Ne sono conseguite alcune scelte difficili, come quella di delistare cinque gli anni che ho trascorso all’estero ho potuto vedere da vicino il sistema duale brand (due nella gdo, due in farmacia e una nel settore degli acconciatori proalla tedesca e devo dire che, anche se non è perfetto, offre però spunti interesfessionali), perché non si adeguavano a sufficienza alle esigenze del mercato santi. Integrando meglio università e aziende, si otterrebbero tre benefici: offerta italiano. In terzo luogo, abbiamo investito molto nella costruzione e nel potendi un percorso formativo più internazionale, attrazione di un maggior numero ziamento della relazione con i nostri partner commerciali. Essendo leader, per di “cervelli” stranieri, incremento delle possibilità di trovare lavoro tramite l’uninoi è fondamentale riportare traffico nei canali in cui siamo presenti. La quarta versità. Basti pensare che se in Europa trova lavoro grazie all’università in media il 33% degli studenti, questa percentuale in Italia si dimezza. strategia è stata quella della semplificazione – delle strutture, dei processi, del Perché un’impresa sia vincente, deve avere una guida vincente. Guardando a business model – per liberare risorse da reinvestire nella crescita. In ultimo, abcome sta cambiando il mondo del business, quali sono oggi le qualità più imbiamo modernizzato il modo in cui parliamo con il consumatore, puntando di portanti per un leader? più sul digitale, ma anche il modo con cui gestiamo le nostre risorse umane. Innanzitutto una visione a 360° di lungo termine. E poi la capacità di farsi cariQuesti interventi ci hanno permesso, nel 2014, di decollare controvento. Ovco delle situazioni e delle decisioni difficili, e ancora quella di motivare e gestiviamente adesso dobbiamo rimanere concentrati e umili, perché una volta che re le proprie risorse. Bisogna saper creare un contesto lavorativo in cui le persosi prende quota bisogna volare alto e mantenere la rotta. Questo è l’obiettivo ne sono portate a dare il meglio di sé per raggiungere un obiettivo comune, non del 2015 e siamo fiduciosi: alcuni segnali ci fanno pensare a un anno contrasper protagonismo individuale. segnato dal segno più. Per essere un manager basta essere un leader o serve anche altro? Quale obiettivo vi siete posti a lungo termine? Non può mancare un assetto valoriale forte. Anche perché le aziende leader, per Vogliamo che L’Oréal cresca nel suo ruolo di azienda leader, diventando ancoessere tali, non devono vantare solo il fatturato maggiore, ma anche un comporra più vincente e moderna. Ci piacerebbe essere rispettati per i risultati di busitamento esemplare dal punto di vista etico e sociale. ness e apprezzati per il nostro stile di leadership, per il Aspetti che una volta erano meno considerati, ma cui modo responsabile con cui raggiungiamo i nostri obiettioggi il consumatore presta sempre più attenzione. vi. Questa è la nostra visione. Il pubblico sta diventando in generale più esigente nei In genere, quando si parla di aziende, ci si concentra su confronti delle marche. Vuole naturalmente che un provendite, bilanci, fatturati… Non si finisce per perdere di dotto mantenga le promesse fatte, ma anche un’espevista il fatto che anche le imprese hanno un’anima? rienza d’acquisto sempre più gratificante e pretende che Credo che le aziende abbiano tutte un’anima e che, in(Henry Ford) il brand sia portatore di un sistema di valori declinadipendentemente dal settore e dall’impresa, quest’anima

«Gli aerei decollano

CONTROVENTO» 105

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LE

ION PASS

I DI

A STIN CRIC HIA C SCO

DA A.D. RIESCE ANCORA A PRENDERSI DEL TEMPO LIBERO?

Assolutamente sì, ogni tanto bisogna staccare dal lavoro e ricaricare le batterie.

COSA LE PIACE FARE IN QUESTI CASI?

Mi è sempre piaciuto sciare, mi aiuta a rilassarmi. Ma amo anche passare del tempo con gli amici, magari per una bella cena, o concedermi un massaggio.

NON MI DICA CHE, DA SANREMESE, NON AMA IL MARE? Anzi! Ho un rapporto molto forte con il mare, in estate non me lo faccio mai mancare, e naturalmente sono affezionata in modo particolare al Mar Ligure, soprattutto quello di Paraggi.

to in azioni concrete. In alcuni Paesi più avanzati del nostro su queste tematiche, è anche disposto a pagare un premium pur di avere una marca che risponda a queste caratteristiche. Da noi no, ma questo non significa che non dobbiamo inseguire questo obiettivo, perché comunque è la cosa giusta da fare. Annovera, tra le qualità indispensabili di un leader, la capacità di motivare e gestire le proprie risorse. Come si agisce affinché un gruppo di singoli con capacità e caratteri diversi lavori veramente come un team? È importante spiegare che in un contesto difficile come quello attuale non si possono conseguire risultati importanti basandosi sulla performance del singolo e, quindi, solo attraverso il lavoro di squadra ognuno può raggiungere il proprio obiettivo. Tutto passa dalla comunicazione, dalla motivazione e dall’esem-

PASSO DOPO PASSO

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1909

1939

1986

Il chimico francese Eugène Schueller fonda la Société Française de Teintures Inoffensives pour Cheveux.

La società prende il nome di L’Oréal.

Inizia la collaborazione con Andie MacDowell, storica testimonial ancora sotto contratto con l’azienda.

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pio. In ogni azienda ci devono essere dei role model che contribuiscano a creare il desiderio di raggiungere il traguardo collettivo. Come si fa a mantenere vive motivazione e voglia di fare anche in concomitanza con inevitabili decisioni difficili? In caso di change management, l’aspetto fondamentale è creare consenso intorno agli obiettivi di lungo termine, perché solo in questo modo i collaboratori comprenderanno anche le decisioni più difficili invece di subirle. Così i dipendenti saranno essi stessi agenti del cambiamento, capiranno che la decisione difficile è necessaria in un percorso per evolvere dallo status quo alle opportunità del futuro. È per questa ragione che dal mio arrivo ho cercato di intensificare molto i momenti di colloquio e scambio con i collaboratori. Possiamo dire che siamo di fronte a un cambiamento culturale che sta portando verso un’organizzazione più orizzontale e orientata alla comunicazione? Resta importante che il capo abbia una visione chiara di dove vuole portare l’azienda e ci “metta la faccia”, soprattutto quando ci sono da prendere decisioni pesanti. Si può delegare e condividere i successi, ma nei momenti difficili chi è al vertice deve assumersi le sue responsabilità, anche quelle indirette, perché altrimenti non adempirebbe al suo ruolo di leader. Però non deve essere una leadership gerarchica, il modo in cui vengono realizzati i cambiamenti deve esprimere un processo orizzontale e condiviso, in cui tutti i collaboratori giocano un ruolo chiave. L’introduzione del telelavoro e di una maggiore flessibilità rientra in quest’ottica? Come dicevo, sono convinta che sia necessario passare da una cultura manageriale basata sul controllo a una fondata sulla fiducia. Visto, però, che parlarne è facile, ma farlo succedere molto meno, ho pensato che lanciare lo smart working fosse un segno concreto di questo mio desiderio. Per questo dal 2014 l’87% dei dipendenti di L’Oréal Italia (per ovvie ragioni abbiamo dovuto escludere chi si occupa di logistica o dei negozi), può lavorare dove preferisce per due giorni al mese, senza nessun controllo. È un segnale forte del fatto che per i collaboratori quello che conta sono i risultati e le performance, non le ore passate in ufficio, mentre per i dirigenti si va a misurare la capacità di motivare i propri team, non quella di controllarli. Certo, come tutti i processi di cambiamento non è facile da affrontare. Per questo, prima di accedere allo smart working, è obbligatorio seguire un corso apposito che dedica un ampio modulo centrale alla leadership. A proposito di formazione, insieme alla ricerca e all’impegno sociale è una delle voci che nei momenti di recessione finisce per subire i tagli di budget più rilevanti. Da voi non è successo, perché? Questi tre elementi sono dei veri e propri cardini per L’Oréal. Il settore Ricerca & Sviluppo è parte integrante del nostro dna, l’anno scorso abbiamo speso oltre 760 milioni di euro in questo ambito a livello internazionale, perché un valore distintivo e un vantaggio competitivo è proprio la capacità di innovare. Sempre

per questa ragione, uno degli impegni che prendiamo nei confronti di coloro che lavorano con noi è offrire il meglio della formazione disponibile. E questo impegno vale anche per i nostri partner commerciali. E poi c’è l’impegno sociale, il tema che più mi sta a cuore. Come state lavorando in questo campo? A fine 2013 è stato lanciato un progetto ambizioso a livello mondiale, che ci impegna in quattro aree. In primis, entro la fine del decennio vogliamo che a tutti i nostri prodotti corrisponda un beneficio sociale o ambientale; secondo, intendiamo ridurre del 60% l’impatto industriale delle nostre produzioni; terzo, spenderemo una parte del nostro budget per educare il consumatore a fare scelte di uso e consumo più rispettose dell’ambiente; infine, ci stiamo impegnando per sviluppare le comunità in cui operiamo. In Italia, per esempio, collaboriamo con Piazza dei mestieri, con l’Arte nel cuore e dall’anno scorso con San Patrignano. E poi per noi è molto importante For Women in Science, programma attraverso il quale mettiamo cinque borse di studio a disposizione di altrettante promettenti scienziate under 35. Insomma, non solo non abbiamo disinvestito, ma incrementato molto il nostro impegno in questo campo. Inutile nascondersi, in Italia gli amministratori delegati sono per lo più uomini. Quanto ha influito sulla sua carriera il fatto di essere donna? Per una donna fare carriera è oggettivamente più difficile, soprattutto se al contempo vuole costruirsi una famiglia e occuparsene. I pregiudizi ci sono ancora, inoltre la conciliazione di vita famigliare e lavorativa è indubbiamente più complicata, perché ancora oggi dei figli si occupano soprattutto le mamme. Io ho avuto la fortuna di lavorare in due multinazionali che credono nel talento, senza discriminazioni di genere né di altro tipo. È ovvio che ho dovuto fare delle rinunce, credo però che si possano conciliare i diversi ruoli, purché non si pretenda di essere perfette e ci si diano delle priorità: in ogni campo ci sono momenti fondamentali e non delegabili, lì bisogna essere presenti al 100% dell’energia, mentre in altri casi si può e si deve delegare. Alla luce di queste difficoltà, come la pensa sulle quote rosa? In Italia sono state una medicina amara, ma necessaria, per dare uno scossone al sistema e permettere alle donne di iniziare a mostrare il proprio valore. Ci hanno permesso di recuperare un paio di generazioni di ritardo rispetto ad altri Paesi. Nel lungo termine, però, la carriera non si può fare per legge, deve prevalere il merito. Le donne non hanno bisogno di aiutini, sono brave tanto quanto gli uomini. Quale esperienza è stata fondamentale per raggiungere il ruolo che ricopre oggi? Trascorrere oltre 13 anni all’estero, in un ambiente multiculturale, aiuta molto a crescere, come persona e come manager, a comprendere che il contesto in cui ci muoviamo oggi è realmente globale. Ecco perché ritengo che il punto di svolta nella mia carriera sia stato il momento in cui in Procter & Gamble ho assunto il ruolo di leader delle Cosmetics International Operations. In quel momento, avevo la responsabilità delle marche di mia competenza in 70 Paesi e ho vissuto appieno cosa significa la diversità da tutti i punti di vista. Per concludere, qual è l’aspetto che apprezza di più L’Oréal? Di questa azienda amo lo spirito imprenditoriale e il fatto che le filiali abbiano veramente la possibilità di essere artefici del proprio destino. Credo che sia una delle ragioni del successo di L’Oréal nel mondo. Poi, lavorando qui, ho potuto constatare che ci sono davvero tante persone con una capacità unica sul merP cato di capire e vivere la bellezza e la cosmetica.

Si possono CONDIVIDERE I SUCCESSI, ma nei momenti difficili chi è al vertice deve assumersi LE SUE

RESPONSABILITÀ

1998

2008

2014

Nascono i L’Oréal/Unesco Awards for Women in Science che assegnano 5 premi e 15 borse di studio a giovani ricercatrici. Alcuni Paesi, come l’Italia, assegnano altre cinque borse di studio nazionali.

Nasce L’Oréal Italia.

Cristina Scocchia assume il ruolo di amministratore delegato.

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Discovery Networks

MARINELLA SOLDI TRA DUE MONDI In Discovery Communications dal 2009, la manager gestisce sia le attività italiane che quelle spagnole, portoghesi e francesi del gruppo Usa

CONTINUARE a EVOLVERSI PER POTER OPERARE AL MEGLIO, UN’AZIENDA DEVE CAMBIARE SPESSO I SUOI OBIETTIVI ANTICIPANDO I MUTAMENTI DEL PROPRIO MERCATO DI RIFERIMENTO. NON A CASO AGILITÀ, PASSIONE E CREATIVITÀ SONO PILASTRI SUI QUALI LA PRESIDENT AND MANAGING DIRECTOR DELLA MEDIA COMPANY NELL’EUROPA DEL SUD, NONCHÉ A.D. DELLA SEDE ITALIANA, HA ISPIRATO LA SUA CARRIERA DI ELIANA CORTI

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S

aper cogliere le opportunità in un mondo in continua evoluzioscere, non aver paura di mettersi in gioco fa parte del mio dna. Poi subenne, mettendo in gioco se stessi e motivando con l’esempio i protrano anche cause esterne. Per esempio, quando sono diventata madre mi pri collaboratori. Senza mai smettere di puntare sul faro della cresono fermata per un po’: da lì è nata l’idea del coaching, che poi ha portato scita. È certamente il dinamismo a contraddistinguere l’approccio ad altre opportunità. di Marinella Soldi, President and Managing Director Discovery Avendo sempre lavorato in contesti internazionali, il suo essere italiana è Networks Southern Europe e amministratore delegato di Discovery Italia, al stato un elemento differenziante? management. Real Time, Discovery Channel, DMax, Travel&Living, Focus, Intanto, devo dire che ho sempre lavorato in contesti internazionali perché Giallo, Discovery World, Discovery Science, K2, Frisbee, Animal Planet, ma sono cresciuta all’estero; probabilmente mi troverei in difficoltà a lavorare anche Eurosport e Deejay Tv: Soldi è alla guida del terzo editore televisivo in un’azienda solo italiana o solo inglese, proprio perché da sempre spazio nazionale italiano per ascolti. Classe 1966, entrata in Discovery Communiin almeno due culture e ho sempre dato il meglio in contesti multiculturali. cations nel 2009, gestisce sia le attività italiane che quelle in Spagna, PorEsiste una leadership al femminile che si contraddistingue da quella togallo e Francia del gruppo a stelle e strisce. Con lei, Discovery Italia (che maschile? esordisce nel 1997 con Discovery Channel) passa nel giro di una decina Non penso, credo piuttosto che ci sia una serie di strumenti e attitudini che d’anni dall’essere un satellite del colosso multinazionale Usa a un interlocuappartengono a entrambi. Sinceramente ritengo poi che esistano molte più tore di forza per il mondo tricolore della produzione di contenuti e degli indonne leader di quante siano visibili in Italia, a causa della nostra disabituvestimenti pubblicitari, diventando di fatto una case history per tutto il grupdine ad avere (e favorire) una donna al potere. Ecco perché, quando ciò acpo, che proprio grazie all’Italia è entrato – dopo una solida e proficua attivicade, viene guardata come se fosse una mosca bianca. Detto questo, ritentà nella televisione a pagamento – nel mercato della televisione gratuita in go che i bravi manager, come quelli che non lo sono, si misurino per i risulun contesto, come il nostro, che non brilla certo per dinamicità. tati che riescono a raggiungere, non certo in base al sesso … Che ci siano «Non sono i più forti a sopravvivere, ma chi risponde meglio al cambiaforse più difficoltà per le donne a emergere è vero, ma è più un fatto cultumento», è una frase di Charles Darwin che lei riporta nel suo profilo Linkerale, relativo al nostro modello di lavoro, che non include periodi di assenza din. È un concetto applicabile alla vita professionale o a quella in generale? (vedi l’anno sabbatico previsto altrove) dai quali si può rientrare senza difÈ una filosofia applicabile ai tempi in cui viviamo, sia da un punto di vificoltà. Il che è dovuto a un’organizzazione lineare, che impone la presensta professionale che aziendale e personale. La velociza sul posto di lavoro piuttosto che il presidio costante tà di cambiamento nel mondo – e i tempi di reazione di determinate attività. Bisognerebbe partire dal modia questo cambiamento – è un tema che riguarda tutto ficare questi aspetti per cominciare a cambiare le cose, il management, non soltanto il settore tv e media. Da al fine di premiare il merito anziché il numero di monun punto di vista professionale, quello che cerco semte ore trascorse in ufficio. pre nelle persone – e che ho avuto la fortuna di attrarCos’è che fa di un manager un buon manager? re in Discovery – è proprio questa agilità di applicarsi Oltre a una certa agilità, come dicevo prima, a fare la in toto al ruolo specifico, ma al tempo stesso di essedifferenza è la capacità di motivare il proprio team, di re capaci di vedere il mutamento e di conseguenza di scegliere persone competenti, senza dimenticare la disaper modificare le priorità, di mettersi in gioco in masponibilità a trascorrere del tempo insieme per costruire e condividere una comune visione del futuro che niera diversa. È un asset fondamentale. Oggi puoi es(Nelson Mandela) non sia mai statica, ma in continua evoluzione. Insomsere responsabile del marketing, domani avrai più rema, bisogna essere in grado di attrarre in azienda persponsabilità in un’altra area; oggi sei focalizzata sulsone ipermotivate e ricche di immaginazione, dispola Spagna, domani sulla Francia: questo richiede anste sempre a rilanciare, intorno alle quali occorre saper che una grande velocità personale e di saper affrontacostruire una struttura non ingessata dalle gerarchie. Parliamo – anche se re le situazioni senza spaventarsi. Nella storia di Discovery lo abbiamo visè una parola un po’ abusata – di empowerment, ovvero un buon manager suto innanzitutto quando abbiamo colto l’opportunità di allargare il nodeve essere proattivo: fare in modo che i collaboratori si sentano responsastro portfolio prima dalla pay tv di Sky – dove eravamo in esclusiva – a quelbili dei propri risultati e co-investitori del proprio destino. Ovviamente, ci la di Mediaset Premium (con Discovery World) e in seguito al digitale terresono anche i momenti in cui bisogna prendere decisioni difficili, che in gestre free, con Real Time prima e DMax poi, e con tutto quello che è avvenunere vanno assunte in solitudine, ma avendo sempre e comunque la traspato dopo. renza come obiettivo principe. È stata una decisione assunta in piena crisi, nel 2010: è stato in qualche E come si traduce tutto questo in Discovery? modo un rischio calcolato o un azzardo? Sono la prima a dire “ci provo”, “ci credo”... In dieci anni siamo passati da Avendo una casa madre americana estremamente razionale, nelle nostre 25 a oltre 240 dipendenti e per molti la crescita è stata esponenziale. Col azioni di azzardato c’è veramente poco. Se vogliamo, si può parlare di azzartempo ho imparato anche che non esistono manager intrinsecamente brado imprenditoriale, inteso nel senso buono del termine, ovvero osare, che sivi o meno bravi, quanto piuttosto professionisti giusti messi al posto giusto e gnifica provare qualcosa che non è mai stata fatta. Per noi è stato cogliere viceversa. Anche perché il futuro va sempre di più verso una gestione di sé, l’opportunità del digital in un momento in cui tutti ne parlavano, ma nessuno verso una capacità di collaborazione e condivisione che responsabilizzi ciaci aveva ancora provato. Abbiamo anche la fortuna di avere un azionista, un scuno sui risultati. Un altro tema importante per noi in Discovery è la consenior management, che ha sempre creduto in noi e ci ha sostenuti. taminazione tra le diverse aree. Ogni tanto facciamo degli esercizi di role Il concetto di osare ha caratterizzato anche il suo percorso professionale? play, in cui i commerciali devono inventarsi un canale e i creativi pensare Certo, anche se ovviamente non è stato pianificato! Come diceva Steve a come migliorare la parte vendite. Queste attività aiutano a rendersi conto Jobs, quando si guarda indietro è facile “collegare i puntini”, ma è più difdi quanto sia difficile il lavoro degli altri e allo stesso tempo consente di ficile farlo mentre vivi il momento. Però, in effetti, questo voler sempre cre-

«It always

SEEMS IMPOSSIBLE until IT’S DONE»

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PASSO DOPO PASSO

2010

2011

2012

2013

A circa cinque anni dal suo esordio sulla pay tv di Sky, Real Time viene lanciato anche sul digitale terrestre gratuito al canale 31. È la prima volta che il colosso Usa Discovery Communications entra nel mercato della televisione free.

Dopo il femminile Real Time, il gruppo rilancia sul digitale terrestre gratuito con DMax, destinato a un pubblico maschile (tra i programmi, Lavori sporchi, Unti e bisunti, Milano City Tattoo), disponibile alla posizione 52. Dal 2014 la rete trasmette il 6 Nazioni di rugby.

Il gruppo si dota di una concessionaria interna, Discovery Media, che si occupa di promuovere soluzioni pubblicitarie in linea con i contenuti dei canali e i valori dei brand.

La società annuncia l’acquisto del 100% di Switchover Media, editore dei canali free Giallo, Focus, K2, Frisbee e del pay Gxt. Con questa operazione, Discovery diventa il terzo editore tv italiano in termini di audience share complessiva con sei canali free e sei a pagamento.

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LE

ION PASS

Non puoi ASPETTARTI che gli altri facciano COSE DIVERSE da ciò CHE FAI TU

I DI

A INELI L R A M OLD S

LEI È UNA PERSONA PROFESSIONALMENTE MOLTO DINAMICA, IMMAGINO CHE QUESTO SI RIFLETTA ANCHE NEL SUO TEMPO LIBERO.

Devo dire di sì. Adoro la natura, vivere in città mi piace moltissimo, ma ho bisogno di uscire e di fare cose molto vicino alla natura, specialmente al mare. Pratico diverse attività sportive, da quelle più “zen”, come lo yoga, ad altre più dinamiche, come la corsa. Come vede, cerco sempre il movimento!

DALLO SCORSO ANNO FA PARTE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DI RCS LIBRI. QUAL È IL SUO RAPPORTO CON LA LETTURA? È un’altra mia grandissima passione. Una delle mie più grandi soddisfazioni è arrivare a casa il venerdì sera, stravolta dalla settimana di lavoro, e sedermi sul divano con il mio libro.

COSA STA LEGGENDO IN QUESTO MOMENTO?

Anche in questo frangente sono interculturale, passo da testi in italiano a quelli inglesi. Le mie ultime scelte sono cadute su L’esercito delle cose inutili di Paola Mastrocola e Changing My Mind: Occasional Essays, una collection di saggi di Zadie Smith.

trovare punti di vista inediti. Come si fa a far emergere le qualità di ognuno e allo stesso tempo del team? Dando per primi l’esempio… Mi spiego meglio: non puoi aspettarti che altri facciano cose diverse da ciò che fai tu. Ecco perché coinvolgo sempre la mia prima linea, dedico tempo a ciascuno nel one to one. Allo stesso tempo, ci confrontiamo molto: se non lo facessi con i miei, non potrei pretendere che loro lo facciano con i rispettivi team. Solo così tutti riescono ad avere chiari gli obiettivi: personalmente condivido con i miei riporti diretti

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Discovery Communications sale al 51% di Eurosport International, acquisendo il controllo del network sportivo. Dall’anno successivo la raccolta delle reti presenti in Italia (Eurosport ed Eurosport 2, on air su Sky, Mediaset Premium, Web e mobile) viene affidata a Discovery Media.

Discovery Italia acquista per 17 milioni di euro DeejayTv, di proprietà del gruppo Espresso e on air al canale 9 del digitale terrestre free. Il portfolio raggiunge quota 14 canali, distribuiti su Sky, digitale terrestre free, Mediaset Premium e TivùSat.

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i target sui quali sono misurata ogni anno; in questo modo mi possono aiutare. Mi aspetto che loro facciano altrettanto coi loro. Quindi, il lavoro del manager è quello di riuscire da un lato a creare un team molto forte, sia con i propri pari, sia con il proprio reparto e allo stesso tempo lavorare bene con gli individui per assicurare che abbiano successo. Inoltre, cerco sempre di assumere persone che siano più in gamba di me. Indra Nooyi, a.d. di PepsiCo., una volta ha detto che la distanza tra te e i tuoi riporti diretti deve rimanere costante, nel senso che se sotto di te hai delle persone ambiziose devi crescere tu stessa. È uno stimolo. Un altro tema, che ho imparato dalla cultura inglese e che invece è meno presente in quella italiana, è che la crescita non è soltanto verticale, ma deriva anche dal mettersi in gioco in sfide più trasversali. Con la vostra crescita esponenziale, com’è dovuto cambiare il suo modo di gestire l’azienda e il rapporto con i vostri partner esterni? Devo dire che oggi, con l’incremento delle mie mansioni e responsabilità, all’interno “tocco palla” su poche cose rispetto a prima. Se da un lato mi dispiace, dall’altro è una grande soddisfazione; il mio ruolo è diventato quello di allocare le persone giuste nella posizione giusta e con le giuste risorse e di assicurarmi che il business in generale si stia focalizzando su quelle che sono le priorità. Guardando all’esterno, in un mercato relativamente stabile come quello della televisione italiana – comunque meno movimentato rispetto, per esempio, a internet – ci vuole tempo ad abituarsi a un player che fino a tre anni prima era molto piccolo: la cosa che dà più soddisfazione è che se prima eravamo noi a dover andare dai produttori a chiedere delle idee, ora è il contrario. Da un punto di vista pubblicitario, che è un mondo ancora più chiuso, siamo sempre il Davide rispetto a Golia e in questo dobbiamo essere davvero molto bravi, smart, tenaci e cercare tutta una serie di soluzioni diverse. Se dovesse riassumere in due aggettivi l’anima dell’azienda Discovery, cosa direbbe? Coraggiosa e fiera. Ci piace pensare di aver contribuito a una svolta, a un nuovo Rinascimento televisivo italiano. E poi Discovery ha un’anima molto passionale, in costante cambiamento. Un po’ irrequieta, senza dubbio. Abbiamo una grandissima capacità di valorizzare le vittorie, ma allo stesso tempo di imparare dagli errori. Fino a oggi di clamorosi non ne abbiamo ancora fatti, per fortuna! Continuo a dire al mio capo: guarda che prima o poi prenderemo una di quelle cantonate! (ride). Infine, un’anima assolutamente creativa. Dalla vostra posizione privilegiata avete la possibilità di osservare il Paese e di riprodurne l’immagine in video, cosa vedete? Con i nostri canali abbiamo sempre cercato di essere il più possibile uno specchio vero, contemporaneo di come cambia l’Italia. Vogliamo riflettere e far riflettere sulle diversità che, per esempio, spesso non vengono rappresentate in tv. Vediamo un Paese che cambia e che potrebbe cogliere un’enorme opportunità per quanto riguarda per esempio l’immigrazione, tema che abbiamo trattato con titoli come I colori dell’amore e Italiani made in China, sui cinesi italiani di seconda generazione. Vediamo un Paese che spesso ha la tendenza emozionale, o forse culturale, ad autocommiserarsi, ma che noP nostante tutto trova le occasioni per guardare avanti.

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Motori

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GUIDA SICURA? È UN BENEFIT AUMENTANO LE PROPOSTE DI CORSI PER IMPARARE AD AFFRONTARE I RISCHI PIÙ COMUNI AL VOLANTE: UN UTILE DIVERTIMENTO PER CHI LAVORA PERCORRENDO TANTI CHILOMETRI. E UN INVESTIMENTO (A COSTO ZERO) PER L’AZIENDA, CHE GARANTISCE UN RITORNO PER QUANTO RIGUARDA INCIDENTI, MANUTENZIONE E SALUTE DEI DIPENDENTI DI A.P. ARTEMI

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ratificare i propri collaboratori con un fringe benefit da leccarsi i baffi e, allo stesso tempo, risparmiare fior di quattrini è il sogno di qualsiasi top manager. E farlo diventare realtà è molto facile: basta iscrivere i dipendenti a un corso di guida sicura, abbinando il divertimento a miglioramenti clamorosi del comportamento in strada. Un risultato che si traduce in una drastica discesa del tasso di incidenti che vanno a gravare, per esempio, sui

costi delle assicurazioni e della manutenzione di una flotta aziendale. «I nostri sono a tutti gli effetti corsi di formazione», dice Carlo Rossi, ex pilota di Formula 2 che da quasi trent’anni organizza i Driving Camp, «e quindi possono essere rimborsati al 100% dai fondi interprofessionali cui aderiscono le aziende». La base di Rossi è l’autodromo di Monza, ma può organizzare lezioni (la durata parte da mezza giornata per arrivare a un week end) in tutti gli impianti italiani e stranieri. A seconda del corso scelto e degli esercizi, si gui-

LA RIDUZIONE DEI SINISTRI FAVORISCE IL FLEET MANAGER AL MOMENTO DI RIDISCUTERE I CONTRATTI CON LA COMPAGNIA ASSICURATIVA

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dano Volvo, Nissan, Porsche, Jaguar e Ariel Atom, le uniche monoposto con un secondo sedile per l’istruttore. E a chi a questo punto sentisse prudere il piede destro, Rossi manda a dire: «Da noi si punta sulla guida attiva, cioè sulla piena consapevolezza dei limiti propri e di quelli dell’automobile, imparando a individuare e prevenire anche gli errori degli altri utenti della strada». Niente aspiranti piloti, insomma. A ribadire il concetto è Siegfried Stohr, che dal 1982 gestisce la scuola GuidarePilotare, che utilizza come strumenti didattici vari modelli di casa Bmw. «Le aziende ci mandano i dipendenti per risparmiare sui danni alle vetture e, soprattutto, alle persone», sottolinea l’ex driver di Formula 1. Ovve-

«L’IMPORTANTE È ARRIVARE» Intervista a SIEGFRIED STOHR, fondatore della scuola di Misano Adriatico

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l 67% degli automobilisti che frequenta un corso di guida sicura migliora la capacità di affrontare situazioni di emergenza e, soprattutto, quella di prevenirle. «A sancirlo è un’indagine dell’università La Sapienza svolta per conto del ministero dei Trasporti», dice Siegfried Stohr, ideatore di GuidarePilotare, la scuola che ha come campo base l’autodromo di Misano Adriatico (Rn). Chi guida per mestiere, come gli agenti di commercio, gli autisti, i dipendenti di grandi aziende che cosa ha ancora da imparare? Molto, a partire dalla capacità di regolare la velocità in base alle condizioni “esterne”, cioè a quelle del traffico, piuttosto che su quelle “interne”, rappresentate dalla fretta di arrivare e dagli obblighi di consegna. Quello che devono capire è che l’importante è solo e sempre arrivare, questo è ciò che chiede l’azienda. Così si fanno prendere meno dalle loro ansie e hanno meno stress alla guida. Molti credono che l’Abs e l’Esp tolgano tutte (o quasi) le castagne dal fuoco. È vero? Assolutamente no. Aiutano molto nelle situazioni difficili, ma non c’è sistema che tenga se la velocità è eccessiva rispetto alle condizioni della strada. Come insegnate a prevenire i pericoli? Attraverso un attento uso della vista, sia del “focus” sia della visione periferica. Nelle brochure parlate di equilibrio mentale come fattore chiave per la guida sicura. Può spiegarci questo concetto? Si tratta di mettere in sintonia le nostre esigenze di mobilità e quelle che la strada ci propone al momento. Un bravo guidatore non fa mai affidamento sulla propria bravura per arrivare prima. Non c’è il rischio che dopo il corso l’allievo si senta così bravo da strafare contando sulle tecniche apprese? I dati dell’università La Sapienza dimostrano che la crescita della percezione dei pericoli è nettamente superiore alla crescita della percezione delle proprie abilità.

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Motori

IN PISTA Alcune immagini dei corsi più celebri in Italia. Da sinistra: GuidattivaDriving Camp (anche in apertura), Asc, scuola di Quattroruote e Amg Driving Academy

ro, passando al freddo lessico aziendale, si ottiene una drastica diminuzione dei sinistri, che mette il manico del coltello nelle mani del Fleet Manager quando arriva il momento di ridiscutere i contratti con la compagnia

di assicurazioni, per non parlare della deduzione fiscale dei corsi. Lasciamo le aride (ma assai concrete) considerazioni finanziarie e passiamo a quello che si apprende in un corso di guida. «L’automobilista impara

CONOSCI IL TUO MEZZO

Intervista ad AGOSTINO CASTAGNARO, direttore della Driving Academy di Amg

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e avete sempre sognato di impugnare il volante di una supercar come una Amg, segnate in agenda la data dell’1 ottobre, prossimo appuntamento con la Driving Academy della casa tedesca. L’indirizzo è quello dell’Autodromo di Modena, dove si potranno cercare le traiettorie ideali in curva, simulare frenate al limite, evitare ostacoli improvvisi e capire una volta per tutte la differenza che passa tra un sottosterzo e un sovrasterzo. «Il piacere di guidare vetture come la Sls Roadster, la Slk o la Cls 63 è inimitabile», dice Agostino Castagnaro, d.g. di questo master, «un’esperienza per pochi che qui tutti possono vivere in piena sicurezza». In percentuale, quanto migliorano i guidatori dopo il corso sotto il profilo della capacità di affrontare in sicurezza il traffico di tutti i giorni? Dopo un corso di guida professionale gli ospiti imparano sicuramente a riconoscere i propri limiti e a prevedere situazioni critiche. Bisogna tenere presente che la cosa più importante è capire che una macchina si guida soprattutto con lo sguardo. Piedi e mani, allora, sono inutili…

BMW DRIVING CON EXPERIENCE GUIDAREPILOTARE

No, naturalmente, ma è il cervello a farci compiere le operazioni manuali. In ogni caso, è fondamentale guardare sempre il più possibile in avanti: in autostrada, per esempio, è fondamentale per prevenire i tamponamenti. Oppure guardano le luci d’ingombro di un camion riesci a capire in quale carreggiata si trova e che tipo di curva sta percorrendo... E se l’insidia sbuca all’improvviso? Se un animale o qualsiasi altra cosa si materializza a un metro da noi non c’è scuola che tenga. Meglio quindi concentrarsi su quello che abbiamo di fronte. Chi guida per mestiere che cosa impara al volante delle vostre Amg? Può sembrare paradossale, ma la maggior parte delle persone non conosce neanche la tipologia di mezzo che guida. Mi spiego meglio: molti non sanno spiegare la differenza di comportamento di una trazione anteriore rispetto a una posteriore o a un’integrale. È decisamente imbarazzante e il nostro intento è quello di insegnare come vanno gestite le situazioni di pericolo a seconda del mezzo che si guida.

SCHIENALE VERTICALE, GIUSTA DISTANZA DAL VOLANTE E MANI IN POSIZIONE CORRETTA: SONO LE CONDIZIONI BASE PER GUIDARE BENE

a portare la macchina in modo fluido, corretto e sicuro», è la fulminante sintesi di Andrea de Adamich, un palmarès nelle corse da riempire un intero volume dell’enciclopedia, che dal 1991 lavora in collaborazione con Alfa Romeo all’interno dell’autodromo di Varano de’ Melegari, in provincia di Parma. Come dire che anche gli Alonso da bar, quelli che ancora oggi si ostinano a vantare record da casello a casello, si ritrovano a partire da zero, ovvero dalla posizione di guida. Alla scuola Asc di guida sicura di Quattroruote, basata nel circuito di Vairano di Vidigulfo (Pavia) e gemellata con Citroën, hanno perso il conto di quelli che credono che guidare in strada significhi gettare il sedile all’indietro e avere le braccia tese sul volante. «Scimmiottano Vettel e si mettono nei guai», conferma Marcello Tomaselli, direttore di Asc, «perché solo con lo schienale del sedile verticale, la giusta distanza del volante e le mani in posizione corretta si creano le condizioni per guidare bene». Sulla stessa lunghezza d’onda è Siegfried Stohr, che dice: «Una corretta posizione del corpo è indice del giusto approccio mentale, perché indica concentrazione e attenzione. Una posizione disinvolta, al contrario, indica sempre sottovalutazione dei possibili pericoli». Capito? Quasi tutti noi sbagliamo prima ancora di girare la chiave di ac-

CONTATTI AMG DRIVING ACADEMY Presidente: Massimo Arduini Direttore generale: Agostino Castagnaro Via della Liberazione 71 20068 Peschiera Borromeo (Mi) Tel. 02 55308400 www.amgacademy.it Il corso base costa 1.100 euro, quello neve 2.000 euro, Iva esclusa

ASC - GUIDASICURA QUATTRORUOTE Direttore Operations: Marcello Tomaselli Cascina di Vairano 41 27018 Vairano di Vidigulfo (PV) Tel. 0382 6992200 www.pista-asc.it Costi: da 450 a 700 euro al giorno in funzione del tipo di corso, periodo, numero di persone

GUIDAREPILOTARE

GUIDATTIVA (DRIVING CAMP)

Fondatore: Siegfried Stohr V.le Daijiro Kato 10 47843 Misano Adriatico (Rn) Tel. 0541 612540 www.guidarepilotare.com I corsi di guida sicura costano da 325 a 2.434 euro (ghiaccio e neve), Iva esclusa

Fondatore: Carlo Rossi Viale Marconi 2 28021 Borgomanero (No) Tel. 0322 846222 www.drivingcamp.it I corsi hanno prezzi che variano da 600 euro (mezza giornata) a 2.700 euro (tre giorni neve e ghiaccio)

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CENTRO INTERNAZIONALE GUIDA SICURA Fondatore: Andrea de Adamich Loc. Autodromo - 43040 Varano de’ Melegari (Pr) Tel. 0525/5510 www.guidasicura.it Prezzi a partire da 650 euro


censione. «Per non parlare del dopo», chiosa Tomaselli, «basti pensare alle distrazioni di navigatore, smartphone e tecnologia varia che oggi sono un tema davvero caldo…». Questione di inesperienza? «Non sono esenti da errori neanche le persone che per lavoro percorrono decine di migliaia di chilometri all’anno», sottolinea Massimo Arduini, presidente di Amg Driving Academy. «Ecco perché lo scopo principale dei corsi è simulare in totale sicurezza ciò che potrebbe accadere in emergenza per strada: panic brake, scarto ostacolo, controsterzo per bassa aderenza. Da noi l’allievo diventa il miglior istruttore di se stesso…». Anche quando si tratta di risparmiare carburante: alla scuola di Quattroruote, per esempio, si possono seguire corsi specifici di eco-drive che, a loro volta, portano grandi vantaggi nella riduzione dei costi legati alle vetture aziendali. E se siete così importanti da aver bisogno delle guardie del corpo non ci sono problemi: sempre a Vairano di Vidigulfo c’è il corso che mira a fornire la completa padronanza del mezzo nella fase di guida veloce, rivolto in particolare a forze dell’ordine, scorte di sicurezza e autisti di veicoli blindati. Resta il problema del top management. Come premiare in modo congruo chi è abituato ad avere sempre e solo il massimo? Semplice: scegliendo la scuola più esclusiva di tutte, quella di Gleneagles, in Scozia, dove ha sede la Bocconi delle quattro ruote motrici. Il campo base, per rendere l’idea, è l’hotel che nel 2005 ha ospitato un G8. Qui si guidano delle Land Rover Discovery e delle Range Rover seguiti da un team di istruttori ultraprofessionale, che insegna a destreggiarsi tra canaloni, fossi, discese mozzafiato e creste. Spesso piove e i due percorsi di addestramento sono al limite della praticabilità, ma per chi indossa la giacca Barbour in dotazione agli ospiti non è un problema. Anzi, si tratta di un’ulteriore sfida da vincere per prepararsi a combattere, una volta tornati alla scrivania, la guerra P del mercato… (ha collaborato Nicole Berti di Carimate)

BAVARESE PER TUTTI I GUSTI LA BMW R 1200 R ABBANDONA IL SUO ASPETTO RASSICURANTE CON UN RIVOLUZIONARIO RESTYLING, DAL SAPORE GIAPPONESE MA DALLA SOSTANZA TUTTA TEDESCA. E NON SERVE NEMMENO LA CHIAVE PER ACCENDERLA… DI PIETRO DELLA LUCIA

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e la ricordate la rassicurante, paciosa e sobria Bmw R 1200 R? Quella che per anni ha attratto un pubblico maturo ed elegante che cercava un mezzo di classe, sicuro e affidabile? Ecco, diciamo che quella nuova è come se fosse ringiovanita di dieci anni. Completamente rimodellata, tanto che più che disegnata sembra scolpita, si presenta ricca di novità tecniche e con uno spirito fresco come non mai. Dal punto di vista estetico, le si potrà pure imputare un eccesso di tocchi dal gusto “giapponese”, ma la nuova bavarese farà girare la testa a più di qualche trentenne o quarantenne. Spigoli decisi come quelli del serbatoio, del puntale o dello scarico si sposano con il codino sfuggente e le sue maniglie mini-

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mal-futuristiche. Il nuovo telaio in acciaio rosso acceso (nella versione con sovrastrutture bianche) domina la vista laterale e si infila ad abbracciare l’amatissimo bicilindrico boxer. La cura nei dettagli costruttivi e non è quella a cui ci abituati il marchio dell’elica, e il faro posteriore, o alcune chicche come il sistema keyless (potete tenere le chiavi in tasca, la moto si accende con un tasto), ne sono la dimostrazione. Il carattere cambia nelle apparenze, ma forse ancor più nella sostanza. La nuova ciclistica che può vantare questa nuda è, per Bmw, rivoluzionaria. Abbandonato il tradizionale telelever in favore di una classica forcella a steli rovesciati da 45 mm (soluzione certamente più sportiveggiante), sfrutta il motore come elemento stressato e lo fa accompagnare da un nuovo telaio

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Motori

BMW R 1200 R E RS Motore: bicilindrico boxer da 1.170 cc Potenza massima: 125 CV a 7.750 giri Coppia massima: 125 Nm a 6.500 giri Lunghezza: 2.165 mm (R) - 2.202 mm (RS) Larghezza: 880 mm (R - 925 mm (RS) Interasse: 1.515 mm (R - 1.527 mm (RS) Avancorsa: 125,6 mm (R) - 114,8 mm (RS) Altezza sella: 790 con possibilità di avere 760 mm o 820 mm Peso: 231 kg (R) - 236 kg (RS) in ordine di marcia Capacità Serbatoio: 18 l Prezzo: a partire da 13.950 euro (R) - 14.650 euro (RS) c.i.m. con primo tagliando incluso

a doppio trave in acciaio. Incastonato nel telaio, fa bella mostra di sé il boxer raffreddato a liquido che la R eredita dall’icona e regina delle due ruote R 1200 GS. Un bicilindrico dall’erogazione ancor più vellutata e con un brio di tutto rispetto. Con 125 cavalli si può giocare indipendentemente dalle condizioni dell’asfalto e, se si esagera, ci pensano le due pinze ad attacco radiale a fermare la moto in spazi davvero ridotti, in considerazione del peso ben sopra i 200 chili. Accompagna la ciclistica equilibrata una gestione elettronica di ultimo grido: dal Ride by Wire con doppia mappatura (rain e normal) all’Abs, passando per il controllo di trazione “semplice” Asc di serie. E ancora gli optional come il Riding Mode Pro, che aggiunge due mappature, il più intelligente controllo Dtc e il consigliatissimo sistema di sospensioni semiattive Dynamic Esa. Nota a parte merita il cambio elettronico che, funzionando anche in scalata, vi farà dimenticare la scocciatura della frizione. Nell’inseguire un pubblico che guarda più alle emozioni, la R però non dimentica la sua vocazione di moto per tutti e per tutte le occasioni. Ancora prima di guidarla, basta notare che si possono scegliere quattro altezze diverse

della sella, che per il passeggero c’è anche la versione comfort e, dettaglio non da poco, la cura con cui è studiato il pacchetto con le borse da viaggio. A fronte di dimensioni generose – avancorsa e interasse (1.515 mm) hanno misure non propriamente da naked agile e divertente – e di una posizione in sella un po’ infossata, la Bmw R 1200 R si lascia condurre con una facilità sorprendente. Merito sia della nuova forcella a steli rovesciati, che consente di sentire bene la ruota davanti, sia, e soprattutto, del motore che con i cilindri “sdraiati” tiene il baricentro della moto molto vicino al suolo. Nella guida si apprezza davvero il nuovo propulsore, che rispetto alla precedente versione è più grintoso e meno spigoloso quando si riprende in mano il gas. Da 2 mila giri a 9 mila, dove la zona rossa segna un netto calo di potenza, c’è sempre tanta, tanta sostanza. Ad andatura tranquilla è la R che conosciamo: ubbidiente, rilassante e rassicurante. Se però la strada lo consente e ci si fa prendere la mano, questa 2015 appaga anche i più esperti dallo spirito corsaiolo. Rapida nello scendere in piega, vanta un ottimo cambio di direzione e, se si sbaglia traiettoria, perdona e si fa correggere anche solo con il freno

NELL’INSEGUIRE UN PUBBLICO CHE PUNTA SULLE EMOZIONI, NON DIMENTICA LA SUA VOCAZIONE DI DUE RUOTE PER OGNI OCCASIONE

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posteriore. Mentre con le versioni precedenti ogni tanto si aveva la sensazione che a comandare fosse la moto, in questa nuova edizione ci si sente sempre padroni e la si guida più con gli occhi che lavorando di braccia. I vecchi affezionati ne apprezzeranno ancora la versatilità e l’essenzialità, che sono forse al top sul mercato, ma i cambiamenti potranno certo conquistare una nuova fetta di clienti, che sino ad oggi aveva necessariamente optato per altri marchi. Se poi i vostri bollenti spiriti cercano qualcosa di ancora più pepato, state tranquilli c’è la versione Rs. Derivata direttamente dalla appena descritta R, ne sposta il terreno di gioco sui percorsi misto-veloci e sui viaggi a medie elevate. La mezza carenatura protegge molto meglio dall’aria e le nuove geometrie spostano i pesi maggiormente sull’avantreno. Con il carico spostato in avanti, l’invito a danzare tra le curve è prepotente ed è soprattutto ripagato da una precisione nel seguire le traiettorie sconosciuta alla versione naked pura. Se la R è versatile e divertente, la Rs inverte i fattori; è anzitutto entusiasmante e dinamicamente tra le moto più belle sul mercato, e a questo aggiunge un buona dose di trasformismo. Dotata di valigie, vi permetterà così di macinare centinaia di chilometri anche in coppia in velocità e sicurezza, per poi accompagnarvi nella scampagnata domenicale con lo stesso passo degli amici più aggressivi. P


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ON the BEACH

MENTRE DUE ITALIANI PROVANO A RIVOLUZIONARE LA VITA DA SPIAGGIA CON GLI OMBRELLONI INTELLIGENTI (SMARTBEACH.IT), SONO GIÀ NUMEROSI I DISPOSITIVI PRONTI A INTRATTENERVI IN RIVA AL MARE. SIA CHE SIATE IN CERCA DI RELAX O DI UN PO’ DI ADRENALINA

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Golf

ALCUNI DEI CAMPI DELL’ALGARVE

Rotta sull’ALGARVE CLIMA FAVOREVOLE, TERRITORIO UNICO E SOPRATTUTTO UN’ATTENZIONE MANIACALE PER IL TURISTA-GIOCATORE: VIAGGIO IN PORTOGALLO SULLE ORME DEI CAMPIONI CHE HANNO SFOGATO LA LORO FANTASIA NEL DISEGNARE ALCUNI DEI PERCORSI PIÙ AFFASCINANTI DEL MONDO, BATTUTI DAL VENTO DELL’OCEANO DI DARIO DONADONI

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er alcuni, e non sono pochi, è una delle regioni (se non “la” regione) golfisticamente migliori al mondo. Un’area che ha fatto del turismo, non solo golfistico, una risorsa centrale della propria economia. Ci troviamo nella punta meridionale del Portogallo: l’Algarve, un nome che evoca,

per chi abbia qualche reminiscenza storica e geografica, una combinazione decisamente varia di eventi e luoghi, stili e sapori che ha pochi eguali. Albufeira, Loulé, Portimao, Quarteira, Silves, Tavira, Villamoura sono alcune delle città che, con Faro (il capoluogo), oltre che punteggiare il territorio, rappresentano una sorta di naturale itinerario per addentrarsi in questa terra e conoscerne le vicende che, attraverso i secoli, hanno caratterizzato la

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storia del mondo che, dal XIV secolo e per i due successivi, ha visto il Paese lusitano dominarlo in parte, certamente influenzarlo. È infatti da questi luoghi che hanno preso il mare alcuni dei più importanti personaggi che non solo hanno contribuito a scoprire nuovi mondi, ma anche a favorire la conoscenza di popoli, usanze, culture con tutto ciò che ne è conseguito. Non a caso, questa fu la sede di una delle più importanti espressioni della conoscen-


za e dello studio della geografia e delle tecniche della navigazione.

Le perle dell’Atlantico

SOLE, SABBIA E SPIEDO

U

na caratteristica che amplia la stagione turistica è il clima, mite anche nei mesi meno centrali dell’anno, che fa di primavere e autunni periodi ideali per momenti di altrettanto gradevole tempo libero. A volte sono i numeri a dare, più delle parole, il senso e il significato di alcuni concetti. In Algarve si segnalano più di 3 mila ore di sole all’anno (circa 300 giorni), 200 chilometri di costa e una quantità incredibile di spiagge (il Portogallo ha ottenuto nel 2015 ben 299 bandiere blu, superando anche il nostro Paese) che meritano decisamente una visita: dalle più classiche di sabbia fine e morbida alle falesie più impervie, fino alle calette raggiungibili solo via mare o via terra, ma mettendo a dura prova le capacità da arrampicatori. Una sorta di paradiso per il clima e le opportunità che, non solo nella stagione estiva, ha veramente pochi concorrenti. La ventilazione, sempre presente e a volte impetuosa, mitigando le temperature anche nei mesi più caldi, favorisce la pratica di molti sport acquatici facendo di questa zona una meta tra le preferite per gli amanti del surf e della vela. Un mix di natura e occasioni di svago capace di soddisfare i palati più diversi. E parlare di palato non è per nulla fuori luogo pensando alla gustosa cucina locale, che spazia dalle pietanze marinare alle prelibatezze dell’entroterra, basate su ottime carni per chi intenda alternare piatti di diversa intensità. Senza dimenticare alcune specialità, come dolci e liquori, in cui mandorle e fichi giocano il ruolo principale.

IL PRIMO A INTUIRE IL POTENZIALE DELL’AREA FU HENRY COTTON

EDEN DELLE BUCHE

ROTOLANDO VERSO SUD Spiagge, campi e tanto sole, per 300 giorni all’anno: ecco perché l’Algarve è divenuto un paradiso per i golfisti

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n tutto questo scenario il golf è indubbio protagonista, avendo trovato da molti anni in Algarve una delle sue patrie d’elezione con

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OLD COURSE (6.254 m)

Un classico parkland di grande impatto, visivo e tecnico, per una visita a uno dei più storici campi dell’Algarve (1969), molto rinnovato a metà anni ’90.

VICTORIA (6.651 m)

Sede da anni del Portugal Masters, in cui ulivi, carrubi e mandorli accompagnano i giocatori in un percorso in cui gli ostacoli d’acqua non mancano.

PINHAL

(6.353 m) Con molti pini e bunker a delineare e indicare la strada giusta da percorrere e i punti da evitare.

LAGUNA

(6.121 m) Sulla costa, con ostacoli d’acqua (riserve naturali, residenza o punto di passaggio di molte specie animali e di uccelli), pochi alberi ed una impostazione molto links.

MILLENNIUM (6.176 m)

Più aperto e che invita al gioco, in cui sono i pini a caratterizzare un disegno non troppo impegnativo.


Golf

circa 40 percorsi, disegnati dalle firme più prestigiose e incastonati nelle zone costiere come nell’entroterra. Eppure, fino alla metà degli anni ’60, da queste parti non sapevano neanche cosa fosse il golf, almeno in termini di campi e di opportunità che la combinazione turismo-golf è capace di produrre. Senza insistere su un tasto (dolente) già più volte ricordato, siamo di fronte a uno dei più vincenti esempi di progetto pensato e realizzato a partire dalle caratteristiche di una terra, bella ma non così ricca di altri valori, trasformate in successo e in eccellente risorsa di sviluppo per l’intera regione. Se il primo fu il Penina, ideato da uno dei personaggi più rappresentativi del mondo del golf, Henry Cotton, i 40 e oltre campi attuali fanno dell’Algarve una “golf destination” ideale, da gustare grazie al clima favorevole, con un’offerta che è in grado di incontrare le disponibilità, le attese e la curiosità di giocatori di ogni tipo. Prova ne è la presenza di molti campi disegnati da alcuni dei più importanti architetti e/o ex giocatori di fama mondiale (come Palmer, Nicklaus, Faldo, Roquemore, Pennink solo per citare alcuni dei più conosciuti) che, oltre al ricordato Cotton, hanno prestato la loro esperienza regalando occasioni impareggiabili di divertimento. In cui il vento, oltre alla morfologia del territorio sapientemente sfruttata a uso del disegno dei percorsi, diventa una vera e propria componente dei campi stessi.

PER TUTTI I GUSTI E LE TASCHE

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acendo base a Villamoura (il centro turistico più conosciuto dell’Algarve) le destinazioni più naturali sono i campi dell’Oceanico Golf, quella che viene considerata la più importante organizzazione portoghese in ambito golfistico, con ben sette campi da 18 buche e uno da 9. Cinque sono i più vi-

OFFERTA INCREDIBILE Sono ben 40 i percorsi oggi, eppure fino agli anni ‘60 questo sport era sconosciuto nella zona

cini e di più immediata accessibilità. Stiamo parlando di Old Course, Victoria, Laguna, Pinhal e Millennium che alternano le tipiche ondulazioni del paesaggio, con vegetazione prevalente di pini, mandorli, fiori e carrubi, a layout più impegnativi in cui ostacoli d’acqua e varianti “links” mettono una differente pressione sui giocatori. Ma non bisogna lasciarsi ingannare: anche i percorsi apparentemente più “ariosi” trovano nei dogleg e nelle ampie e folte chiome degli alberi una

IL PERCORSO NORTH DEL GC QUINTA DO LAGO È STATO ELETTO MIGLIOR NUOVO CAMPO EUROPEO 2014

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varietà di ostacoli naturali che richiede grande attenzione e precisione. Da notare che la manutenzione è sempre orientata alle migliori tecniche e filosofie “eco”, con l’obiettivo di salvaguardare la più naturale integrazione di questi impianti nelle splendide aree in cui sono inseriti.

TRE AL PREZZO DI UNO

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llontanandosi di una mezz’oretta da Villamoura, verso Sud, ecco il Golf Club Quinta do Lago, una tappa da non perdere, sia dal punto di vista del contesto che da quello tecnico capace di soddisfare il gusto di molti amanti del golf, con i suoi tre percorsi di livello internazionale. Se il North (par 72 di 6.193 m, disegnato


TRANSFER

© Thinkstock/iStock/marlanu (3), Istockphoto.com/ptxgarfield (2)

UN ASPETTO CHE RAPPRESENTA UN VERO BENEFIT, DI GRANDE EFFICIENZA, È IL SERVIZIO DI TRASPORTO DA E PER I VARI CAMPI. SIA QUELLI PIÙ VICINI CHE QUELLI IN ZONE PIÙ DISTANTI DALLA PROPRIA SEDE: TUTTI SONO FACILMENTE RAGGIUNGIBILI GRAZIE AI VAN MESSI A DISPOSIZIONE DAI CLUB, DALLE ORGANIZZAZIONI CHE GESTISCONO I TEE TIME O DAGLI HOTEL, FRUIBILI A TUTTE LE ORE E SU RICHIESTA. UN VERO VALORE CHE RENDE SEMPLICE E MOLTO COMODA LA GIORNATA DI GOLF ANCHE NELLA PARTE LOGISTICA.

da B. Welling con la stretta supervisione di Paul McGinley, già capitano vittorioso di Ryder Cup), è stato valutato migliore nuovo campo europeo nel 2014, il South (par 72 di 6.500 m, disegnato nel 1974 da W. Mitchell), che ha ospitato ben otto volte l’Open portoghese, merita decisamente di essere conosciuto. L’ondulazione del terreno, piuttosto accentuata, seppur senza passaggi scoscesi, la presenza di pini marittimi e di una vegetazione bassa ma densa ad accentuare le curve dei dogleg, gli ostacoli d’acqua nonché la vicinanza delle sponde del lago in alcune delle ultime buche, chiedono l’utilizzo di tutti i bastoni della sacca unitamente a una buona dose di sagacia nelle scelte tattiche. Completa l’offerta il percorso Laranjal (par 72 di

6.480 m, a circa due chilometri dal resort nella valle di Ludo), anche questo con notevoli riconoscimenti fin dalla sua nascita nel 2009.

MONTE REI, UN GIOIELLO

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ifficile non pensare a un gioiello parlando del Monte Rei Golf & Country Club. Un’esperienza da non lasciarsi sfuggire per la qualità assoluta, un servizio di eccellenza e un campo da golf con pochi eguali. La location è la parte Sud-orientale dell’Algarve, non lontano dal confine con la Spagna, leggermente all’interno del litorale oceanico (e del Golfo di Cadice). Una combinazione di panorama e clima, con vista su alcuni scorci di oceano, rappresenta una ricompensa

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che supera le aspettative di chi decide di spingersi fino a questo lembo della regione per giocare (e non solo, date le notevoli altre bellezze che i paesini della zona sono in grado di regalare). Il percorso è firmato da Jack Nicklaus e già questo basterebbe come garanzia, ma la sapienza del grande Orso d’Oro in questo capolavoro ha realmente raggiunto uno dei suoi vertici, rendendo unica ogni singola buca, ogni colpo una vera scelta, ogni minuto trascorso in campo un ricordo difficilmente confondibile. La notevole ondulazione del terreno, nonché alcuni trasferimenti, impongono l’utilizzo del cart (compreso nel green fee), ma non ci si può lasciar scappare il piacere, nelle varie buche, di gustare la qualità dei fairway riservandosi qualche bella camminata sulla bermuda grass. Un altro opportuno accorgimento (suggerito dagli stessi marshall) è di non osare eccessivamente nella scelta del tee da cui partire: le caratteristiche dei 6.567 m di questo par 72 (i dislivelli, i bunker anche di dimensioni e profondità notevoli e, non ultima, la diversa tipologia di erba che rende rough e green tutt’altro che facili da gestire), nonché la presenza del vento, sono elementi molto più che sufficienti per rendere il gioco impegnativo e divertente. A completare la giornata sono l’accoglienza (personale di livello e di impostazione internazionale), la qualità del ristorante (a pranzo, nel pacchetto con il green fee, vengono offerte tapas e una selezione di antipasti, primi e dolci) e il servizio offerto rendono la visita a Monte Rei un’esperienza unica. P

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Cucina

a cura di Andrea Gori

I N O I RTCH E B ES O R NC A FR

Leggerezza nel piatto LA TRATTORIA CON UNA STELLA MICHELIN: PESCE FRESCO E ATMOSFERA FAMILIARE SONO IL CONNUBIO PERFETTO CHE SI RITROVA DA ROMANO A VIAREGGIO

PASSIONE DI FAMIGLIA Roberto Franceschini, sommelier pluripremiato, nella ricchissima cantina del ristorante Romano a Viareggio, aperto nel 1966 dai genitori

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omano è un’istituzione a Viareggio e per la Toscana tutta, e sta vivendo la sua 50esima estate con il piglio e la spensieratezza di un ragazzino e l’esperienza di chi ha visto mezzo secolo di Italia. Parlare con i proprietari è rivivere parte della nostra storia: ascoltiamo cosa ci racconta di Romano Franceschini e Franca Checchi (che aprirono il locale nel 1966) il figlio Roberto, sommelier pluripremiato. Mangiare pesce oggi: cosa significa e cosa chiedono i vostri clienti. È sempre più difficile trovare grande qualità? Per il momento non è difficile, basta cercare, cercare e ancora cercare: ogni mattina mio padre Romano quan-

do esce di casa per andare ai mercati ha in tasca i “pizzini” della spesa di mamma Franca: è tutto un girare dietro ai pescatori, ai magazzini, alle pescherie, finché non torna a casa con quello che lo ripaga in qualità. Non manca mai un salto nei pressi del canale “Burlamacca”, dove approdano le barchette che hanno gettato le reti durante la notte. Si fa la spesa quindi più volte al giorno, al rientro delle barche al mattino e al tramonto. È così per tutta la settimana, anche il sabato e la domenica, quando le barche grandi non escono, ma le piccole sì. Il rituale della spesa si conclude solo in cucina, dove il pesce viene subito pulito e preparato, anche se poi viene cucinato al momento dell’ordinazione. Il nostro menù cambia spesso: abbiamo sempre alcune proposte di base, ma, quando si trova del pe-

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scato che sarebbe un peccato non cucinare, arricchiamo l’offerta. Non vorrei essere campanilista, ma il pesce dei nostri mari non ha rivali. Vive in fondali ricchi, con acqua ancora pulita, si muove in forti correnti: insomma è unico! Il vostro è un ristorante stellato dove ci si rilassa come in trattoria, com’è possibile un incantesimo del genere? «Una bella famiglia, uno staff affettuoso e non affettato, una cantina da sballo e soprattutto una cucina gustosissima…»: con queste parole, Marco Bolasco ha iniziato una recensione del ristorante Romano sul suo blog In punta di forchetta, riempiendoci di soddisfazione e orgoglio. Queste poche parole sono l’esatta fotografia della storia del nostro ristorante. Mescoliamo cortesia e un po’ di sana informalità.


LA RICETTA DEI CALAMARETTI RIPIENI DI VERDURE E CROSTACEI

GUSTO DA RE In alto, Roberto con i genitori, la chef Franca Checchi e papà Romano. Sotto due creazioni del ristorante toscano: Fritto di fiori di zucca ripieni di sparnocchi e rondelle di cipolla rossa di Certaldo, e Straccetti di pasta fresca con scampi, calamaretti e zucchine

Che cosa significa eleganza, leggerezza ed equilibrio in un piatto? Le persone sempre di più chiedono di mangiare in modo naturale e salutare. Il pasto deve essere come una sinfonia composta da eleganza, leggerezza e qualità, ingredienti che vanno uniti tra loro con grande equilibrio. Un pranzo pesante non permette di ritornare bene a lavorare. Oggi dobbiamo anche curare la nostra professionalità, intesa come attenzione al servizio, agli ingredienti utilizzati, alla preparazione dei piatti – magari anche avvalendosi di tecniche nuove e sofisticate – ma per migliorare, non solo per stupire. Un classico piatto viareggino è il totano ripieno, da servire tagliato a fette. Ma il totano è duretto, il pane raffermo spadroneggia nella farcia. Sicché un giorno la mamma, scrutando pen-

sosa dei calamaretti, ha avuto un’idea: sono più teneri, più facilmente porzionabili, basta solo addolcire la natura del ripieno. Ecco come sono nati i Calamaretti ripieni di verdure e crostacei, divenuti la bandiera del nostro ristorante. Ha un rapporto viscerale e coinvolgente con il vino e in particolare con lo Champagne: da dove nasce questa passione? I vini della Champagne sono quelli della festa e della gioia per eccellenza, con tutte le loro sfaccettature e interpretazioni, capaci di toccare vertici di sublime finezza. Mi piace molto riuscire a proporre prodotti considerati di minor pregio, ma solo perché meno noti. Quando scopro qualcosa che reputo interessante, la mia soddisfazione è farla conoscere anche agli altri. Il livello di proposta vinicola oggi è molto più ampia, la curiosità di assaggiare cose nuove è in crescita. I vini “commerciali” hanno un ottimo successo, sarebbe stupido rinunciare a qualcosa che si vende da sé solo perché sarebbe troppo facile. Il prossimo anno saranno 50 anni dalla fondazione del locale: un piatto per ogni decennio e un vino da abbinare… Partiamo dai ruggenti anni ‘60 e dico Muscoli ripieni con il Berlucchi Max Rose. Per gli anni ‘70 scelgo il Burlamacco (scampi, sparnocchi, seppie e calamaretti alla griglia, Oscar per la cucina Marinara nel 1972) con il Titulus Verdicchio dei castelli di Jesi, classico di Fazi Battaglia. Agli anni ‘80 dedico gli Scampi in salsa rosa e il Collio Tocai Friulano Mario Schiopetto. Dagli anni ‘90 riprendo il Trancio di branzino al vapore con salsa tricolore (pomodoro fresco, radicchio e una leggera maionese) con accanto il Collio Sauvignon di Gravner. Per i recenti anni 2000 scelgo la nostra storia, ovvero i Calamaretti ripieni di verdure e crostacei. E nel calice il bianco di nostra produzione a Montecarlo, Il pagliaio. Cosa è cambiato in questi 50 anni? Abbiamo aperto nell’aprile del 1966. Romano aveva appena 22 anni e Franca 16. L’ambiente era costituito da una sala e una veranda. All’inizio lei, essendo molto

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giovane, lavorò per un periodo in parallelo con un cuoco. Quando, dopo un paio d’anni, il primo cuoco lasciò, dopo diversi tentativi con altri chef, decise di prendere in mano la situazione. Scelse una cucina semplice, viareggina: Spaghetti alle vongole, Fritto misto, Polpo lessato, Muscoli ripieni. Da allora abbiamo cercato maggiore leggerezza nei piatti, senza alterare i sapori. Mai fatto studi o stage presso altri ristoranti, ma tanto confronto con i colleghi di allora. Sono poi arrivate le prime guide, l’incontro con personalità del calibro di Luigi Veronelli e Luigi Carnacina, i premi ai concorsi di cucina. E ancora La cucina italiana di Anna Gosetti, poi L’Espresso, la Michelin. A metà degli anni ’90 io e mia sorella siamo andati a gestire l’enoteca con cucina, Ilpuntodivino. Ma nel 2001, venduta l’enoteca, abbiamo deciso di rinnovare il look del Romano con una ristrutturazione totale. Nel corso della vostra storia avrete visto passare tanti vip e personaggi famosi… Come appassionato di calcio non potrò mai dimenticare quando arrivò un idolo della mia gioventù: Paulo Roberto Falcao. Ma maggiore fu la gioia quando 15 giorni dopo arrivò la sua maglia autografata. Un consiglio per scegliere e cucinare al meglio il pesce a casa? Comprate il pesce sempre dal vivo. Tra gli accorgimenti da tenere a mente, il primo è la rigidità: il pesce fresco è contraddistinto da una tipica rigidità, verificabile mantenendo il pesce orizzontale. Secondo, l’odore: un pesce non più fresco ha un’aroma forte, rancido o dolciastro. L’occhio deve essere trasparente, brillante e prominente; tenderà invece a incavarsi e opacizzarsi mano a mano che passano le ore. La consistenza delle carni deve essere sempre soda, opponendo il pollice sulla pelle del pesce non dovreste vedere la persistenza dell’impronta. Le branchie sono inizialmente di un rosso molto vivo, sino a sfumare in un rosso più tenue mano a mano che passano le ore. Non stressatelo con cotture eccessive, rispettate la stagionalità come per frutta e verdura, ricercate anche pesci meno nobili ma non per questo meno gustosi. P Romano Via Mazzini 120, 55049 Viareggio Tel. 0584 31382 www.romanoristorante.it

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VIAGGIO IN VERSILIA Non solo Romano, questa zona della Toscana offre molte occasioni per soddisfare il palato

EMILIO E BONA Via Nuova 1641 Camaiore (Lu) Tel. 0584 989289 ristoranteemilioebona.com A pochi chilometri dal mare, nella verde vallata di Camaiore (in località Lombrici), in un antico frantoio si possono gustare carni, tartufi, funghi e primizie in ogni stagione. Cucina casereccia a rigor di tradizione e una cantina ricca di vini Doc.

TRINCHETTO Via Fratti 86 Viareggio Tel. 0584 433007 www.ristorantetrinchetto.it In pieno centro a Viareggio, due sale interne, ma anche la possibilità di gustare sotto le stelle le prelibatezze preparate con pochi fronzoli e tanta sostanza. La carta del menù di pesce non è lunga, ma cambia ogni due o tre giorni.

ARGINVECCHIO Via Arginvecchio 45/a Capezzano Pianore (Lu) Tel. 0584 914130 Facebook/RistoranteArginvecchio Parola d’ordine genuinità in questa villa nel verde al confine con Pietrasanta. La gestione famigliare è garanzia di eccellenza carnivora: fatevi guidare dai consigli “fuori menù”.


Enomania

a cura di Andrea Gori

Cosa vuoi di più?

un LUCANO DALLA GRECIA ALLA BASILICATA CON GLI ANTICHI COLONI: LA STORIA MILLENARIA DELL’AGLIANICO HA TROVATO NUOVA LINFA NELLE COLTIVAZIONI SELVAGGE SULLE PENDICI VULCANICHE DEL VULTURE. UN VINO NON PER TUTTI, MA CHE AFFASCINA CHIUNQUE, A PATTO DI AVERE PAZIENZA

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a nostra splendida Penisola nasconde un passato anche non troppo remoto molto turbolento e unico dal punto di vista geologico: ovvero la sua storia vulcanica con effetti unici sul territorio e sulla nostra cultura. Dal Soave fino all’Etna passando per Gambellara, i Colli Euganei, i Monti Lessini, Pitigliano, Montefiascone, Orvieto, i Campi Flegrei, Ischia e, ovviamente, il Vulture in Basilicata: esiste davvero un filo conduttore che attraversa il Paese e unisce territori diversi tra loro per latitudine e microclimi, ma capaci di esprimere vini di grande carattere e dalla marcata mineralità. Se da un lato è innegabile il valore evocativo attribuito dall’icona del vulcano – ovvero forza, fertilità, mito e storia – dall’altro è evidente che esiste una relazione tra suoli composti da basalti, tufi, pomici e la ricchezza gustativa e l’equilibrio nei vini ivi prodotti. In Basilicata, terra mai troppo celebrata e tra le poche a vantare due mari e monti che sfidano gli orizzonti, sorge il Vulture, vulcano spento su cui dimora l’Aglianico, l’antico “Ellenico”. Un luogo che evoca immagini un po’ cupe, maestose ma arcigne, tanto affascinanti quanto difficili da afferrare e un vitigno dalla personalità non facile, da accudire con pazienza e devozione. L’Aglianico è una delle tre grandi uve italiane per tradizione, storia e importanza commerciale, subito dietro Sangiovese e Nebbiolo, da sempre eterna promessa. Rappresenta l’alfiere rosso della viticoltura del Sud Italia e non manca mai in nessuna collezione o elenco di premi. Vitigno dalla complessa struttura polifenolica (che significa tanto colore, ma anche corpo del vino e tannino) necessita di tempo e pazienza per essere goduto appieno. In genere lo si cita parlando della zona di eccellenza più famosa e storica, ovvero l’Irpinia, dove ha la denominazione più importante, ovvero Taurasi. Lo stesso viti-

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SERRA DEL PRETE Musto Carmelitano BASILISCO Basilisco

Da Venosa A RIONERO regnano le donne CONTADINE E RAFFINATE

la padrona di casa Elisabetta è riuscita a produrre un vino fresco e intenso che sa di ribes nero, mirtilli con note squillanti di ciliegia durone e un finale esotico con tannino pulsante e piacevolissimo. Mentre la celeberrima Elena Fucci, con il suo Titolo, ha dimostrato come da sette ettari nella contrada omonima dalle parti di Barile, si possa tirar fuori un vino di classe internazionale, forse il più premiato di sempre in terra lucana. Ma è anche la terra di Sara Carbone e il suo Stupor Mundi con note di carrube e pepe, profumi di sottobosco resina e mallo di noce, piccante e sempre sveglio con un’astiosità e una grandeur sempre controllata. Sempre di donne si tratta anche a Basilisco, di recente acquisita da Feudi San Gregorio, ma sempre indipendente per scelte in vigna e in cantina, con Viviana Malafarina che lavora sotto la guida esperta di Pierpaolo Sirch. Basilisco è una cantina con vigneti bellissimi tra 450 e 600 metri di altitudine e si mostra molto austero e maschile con una bocca fittissima e ricca di rimandi scuri e potenti, con una succulenza notevole e bisognosa di vetro e pazienza. La storia, però, di questa Doc nasce e si afferma con il Sigillo di Cantine del Notaio con Gerardo Giuratrabocchetti. Se capitate dalle parti di Rionero in Vulture,

IL SIGILLO Cantine del Notaio

non perdetevi la visita alla cantina di affinamento scavata nella roccia vulcanica dove nasce anche questo Sigillo, che mostra come l’uso di uve passite in versione secca possa cambiare la percezione di questo vino. Escono note dolci di crostata con confettura di frutti di bosco, alloro, menta e caffè giamaicano, amarena e ciliegia cotta, vaniglia in bacche, bocca dotata di estrema eleganza e saporosità, tannino piacevole, dissetante, da arancia amara. Il finale è dolce per via del residuo che crea un equilibrio particolare. Altra cantina storica, con bottiglie che sfidano i decenni, è Paternoster, sempre a Barile, che produce il Rotondo con note di menta e anice, balsamico e spezia fine, cardamomo e bergamotto, pepe nero, affumicato e tostato, approcciabile ai più... Mentre con il Don Anselmo si torna all’Aglianico fitto di mirtilli, prugne e confettura di ciliegie, balsamico, dopobarba maschile, bocca con tannino garbato e concentrato, sandalo e tabacco, finale lunghissimo e ricco di sfumatura dal fumée al tostato e sempre ricco di frutto scuro e pepe. Non mancano le cantine biologiche e biodinamiche, tra le più interessanti Camerlengo di Antonio Cascarano, architetto per hobby e vignaiolo di mestiere, Casa Vinicola D’Angelo e il Vigna Caselle, Grifalco e il Damaschito Aglianico del Vulture doc. Anche il più grande gruppo vinicolo italiano, Giv, ha un’azienda in zona, ovvero Terre degli Svevi, che produce un bellissimo Re Manfredi rosso e un bianco sorprendente da uve Gewuerztraminer che mostra come i legami tra la sommità del Vulture e il resto d’Europa siano sempre saldi, come ai tempi di Federico II di Svevia. P

DON ANSELMO Paternoster

ROTONDO Paternoster STUPOR MUNDI Carbone Vini

INIZIATIVE D’ESTATE

IL CINEMA VA IN CANTINA Cinemadivino è la rassegna itinerante eno-gastrocinematografica che fino a settembre porterà i migliori film della stagione (e alcuni migliori film di sempre) nelle cantine di 15 regioni d’Italia, per accompagnare la visione con la degustazione di un buon calice di vino e di un piatto tipico locale. Cinemadivino.net

CALICI IN FESTIVAL Dal 12 al 14 settembre torna a Milano Bottiglie aperte, wine festival meneghino che quest’anno si terrà nella splendida sede del Museo della scienza e della tecnica Leonardo da Vinci. L’evento prevede la presenza di 100 espositori selezionati tra le cantine più rappresentative del territorio italiano. Bottiglieaperte.it

© iStockphoto/Nuno André Ferreira

gno ha trovato stabile dimora e un terroir d’elezione sulle pendici del Vulture, regalando alla Basilicata un’eccellenza enoica tra le più grandi della Penisola. Zona di viticoltura bellissima e un po’ selvaggia, ha avuto un boom recente con parecchi produttori di dimensioni molto diverse tra loro. In tutti c’è la sensazione di avere tra le mani un potenziale grandissimo, ma nascosto e da estrarre dal monte. Non tutti i vigneti e le aziende hanno posizioni simili, anzi si individuano almeno due zone, una sulle pendici e una più in basso nella zona di Venosa, dai vini più caldi e rotondi e meno sfaccettati. Non è un vino adatto a tutti ma capace di affascinare chiunque per le note ombrose di ferro e macchia mediterranea, le note balsamiche intense ma anche la dolcezza del gusto rotondo, sferzato da tannini e da acidità spesso impetuose. Difficile trovare vini banali da queste parti, così come è difficile trovare molte persone che abbiano la pazienza di aspettarlo. Quindi nel bicchiere non stupitevi di trovare note ombrose, laviche e altre inconsuete come corteccia di china, rabarbaro, tabacco, note tostate di caffè e una sottesa nota come di pietra vulcanica calda, come quelle delle saune. Effetto del vulcano e della sensibilità dei produttori più “illuminati” che resistono alle tentazioni di usarlo per avere vini morbidi, rotondi, concentrati e d’impatto che rappresentano solo la superficie e non l’anima del vulcano. Il Vulture è insospettabilmente terra di donne contadine e raffinate, che producono vini splendidi, riflesso spesso del carattere forte delle loro creatrici come dimostra il Serra del Prete di Musto Carmelitano 2011, dove


Libri

a cura di Cecilia Lulli

In VACANZA con un LIBRO FINALMENTE AGOSTO È ARRIVATO, PORTANDO CON SÉ – PER MOLTI SE NON PER TUTTI – ALMENO QUALCHE GIORNO DI MERITATO RELAX. PERCHÉ NON APPROFITTARNE PER DISTRARSI LEGGENDO UNA STORIA INTERESSANTE? L’EDITORIA NE OFFRE DAVVERO PER TUTTI I GUSTI, AL PUNTO CHE RISULTA SEMPRE PIÙ DIFFICILE SCEGLIERE. BUSINESS PEOPLE HA FATTO UNA PICCOLA SELEZIONE PER VOI.

MILANO LEGGE DI PIÙ Per il terzo anno consecutivo, Milano si attesta campionessa di lettura di libri cartacei e digitali nella classifica Amazon. Trieste conferma il secondo posto già conquistato nel 2014, seguita da Trento e Padova. A cambiare sono le posizioni dalla quinta in poi: Firenze scende dal 5° al 7°, per fare spazio a Cagliari e Bologna. Roma (8°) guadagna una posizione, mentre esce di scena Udine. A chiudere la top ten Bolzano e Bergamo. PAGINE IMPERMEABILI A quanti di voi è capitato di rovinare irrimediabilmente un libro con l’acqua? Magari perché amate leggere in spiaggia o nella vasca da bagno? Per ovviare al problema, su Kickstarter è stato lanciato il progetto Bibliobath, per pubblicare tutta una serie di classici su una carta resistente all’acqua che, assicurano gli ideatori, è molto simile a quella tradizionale. DA QUARTIERI A BIBLIOTECHE Trasformare i quartieri delle città in biblioteche diffuse. È l’idea alla base di BiblioShare.it, i cui iscritti possono mettere a disposizione per il prestito i loro libri e riceverne altri in cambio. Il tutto a km 0, quindi con grande facilità nel ritiro, e gratuitamente. Per ora il progetto è partito a Milano, nel quartiere Santa Giulia e a San Donato Milanese, ma il modello, ovviamente, è facilmente applicabile in ogni città.

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Giorgio Faletti

Achilleugenio Lauro

LA PIUMA

IL NAVIGATORE. ACHILLE LAURO, UNA VITA PER MARE

Baldini & Castoldi

SCARICA IL LIBRO Camilla Läckberg

IL SEGRETO DEGLI ANGELI Marsilio «Decisa a cominciare una nuova vita, Ebba fa ritorno a Valö, la splendida isola della sua infanzia. Vuole rimettere a posto la colonia che le appartiene e che non ha più visto dal giorno in cui, una vigilia di Pasqua di molti anni prima, la sua famiglia scomparve nel nulla. Nessuno fu mai in grado di stabilire cosa fosse accaduto. Un mistero che da sempre stuzzica la curiosità di Erika Falck, ora entusiasta di poter riprendere in mano la sua personale indagine su quella oscura storia. Ma sembra che per Ebba non ci sia pace».

«Seguiamo una piuma mentre traccia il suo percorso invisibile nel cielo, la vediamo posarsi sul tavolo dove il Re e il Generale definiscono i piani di battaglia per la conquista del Mondo; ascoltiamo insieme a lei i tentativi del Curato di intercedere a favore dei contadini con il Cardinale privo di fede; volteggiamo dentro al Teatro, per assistere allo spettacolo meraviglioso e crudele della Ballerina dal cuore spezzato: il suo volo ci porterà a conoscere altri sventurati personaggi, finché la piuma non incontrerà lo sguardo dell’unico che saprà capire quello che nessuno prima aveva compreso».

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Mondadori Electa

SCARICA IL LIBRO Andrea Camilleri

LA GIOSTRA DEGLI SCAMBI Sellerio «Una ragazza è stata aggredita in una strada solitaria, narcotizzata e rilasciata illesa. La cosa si ripete dopo qualche giorno; questa volta la vittima è la nipote del proprietario della migliore trattoria di Vigàta. Ancora un terzo sequestro lampo e ancora una volta una ragazza. Il commissario Montalbano indaga, e grazie alla sua logica stringente, al suo agire fuori dagli schemi e alla sua capacità di comprendere moventi e sentimenti, supera la soluzione a portata di mano e giunge alla verità».

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«Attraverso i ricordi e le memorie del nipote Achilleugenio, Achille Lauro racconta in prima persona la sua storia: una narrazione romanzata, un dialogo tra nonno e nipote che fa rivivere i momenti cruciali della vita del notissimo armatore e fondatore della flotta Lauro, una delle più potenti di tutti i tempi in Italia,ma anche politico, editore e dirigente sportivo italiano, il cosiddetto “Comandante”».

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