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La presenza italiana in Venezuela

LA PRESENZA ITALIANA IN VENEZUELA

“Italia e Venezuela, anche se sono divise dall’Oceano, anche se l’una è un Paese antico, carico di gloria e tradizioni, e l’altro un Paese giovane e nuovo, hanno ogni sorta di motivi per stringere una buona amicizia e cementare una fratellanza che la comune origine latina tende più che mai a rinsaldare”1 .

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Introduzione

Gli italiani non sono un dettaglio nella storia del Venezuela. Con circa due milioni di discendenti accertati e fino a tre milioni di eredi misti, essi costituiscono almeno il 10% della popolazione. Il mero dato demografico, tuttavia, non basta a quantificarne la rilevanza. Gli italiani hanno infatti rappresentato la comunità più capace, la spina dorsale imprenditoriale e una delle sorgenti più importanti d’innovazione e sviluppo del Paese, portandoli ad occupare in ogni ambito della società venezuelana una posizione di spicco e preminenza. Negli anni “los “La presenza italiana in italianos” hanno industrializzato la terra d’adozione, contribuendone a caratterizVenezuela”, di Pedro Cunill Grau. zare il costume, la lingua e perfino le abitudini alimentari (il Venezuela è il secondo consumatore di pasta al mondo, ovviamente dopo l’Italia, e il panettone è il dolce nazionale). I nostri emigranti, si può dire, hanno reso il Paese di Bolívar “più latino che ispanico”2 .

La presenza italiana alle radici della storia e del mito del Venezuela

In Venezuela si rintraccia presenza di italiani fin dall’alba della nazione. Una presenza che a ben vedere si colloca alla radice stessa dell’identità venezuelana. Fu infatti Cristoforo Colombo a raggiungere per primo le sue coste, nel 1498. E fu il fiorentino Amerigo Vespucci a battezzare la zona occidentale del Paese con il nome di Venezuela, in ricordo di Venezia (nome che nei secoli

2 Cfr. Pedro Cunill Grau, La presenza italiana in Venezuela, Edizioni della

Fondazione Agnelli, 1996 Torino. Vedi anche Dario Fabbri, in Venezuela, la notte dell’alba, LIMES, 3/2019.

si estese all’intero territorio nazionale). E fu infine grazie all’opera dell’umanista milanese Pietro Martire d’Anghiera, unitamente a quella di diplomatici e commercianti veneziani e fiorentini, che si diffusero in Europa le prime notizie concernenti la scoperta del Venezuela e delle sue immense risorse. Nel lungo periodo in cui il Venezuela fu una colonia spagnola (1498-1810) una peculiare presenza italiana, in prevalenza maschile e numericamente ridotta, è legata alla costruzione delle più antiche strutture di carattere difensivo sul suolo venezuelano, come la fortezza edificata da Jacopo Castiglione a Cumaná, o la spettacolare Fortezza di Araya, una delle più antiche e maestose fortificazioni militari del Nuovo Mondo, progettata e costruita da Cristoforo e Gian Battista Antonelli.

Il contributo degli italiani alla nascita del Venezuela indipendente

Nella fase di gestazione della nazione venezuelana, sparuti avventurieri e patrioti provenienti dalla Penisola combatterono e (in molti casi) morirono nella guerra di indipendenza (18131821) a fianco del “Libertador” Simon Bolívar: tra questi Luigi Santinelli, Bartolomeo Gandulfo, Carlo Cavalli e, uno dei più illustri, il generale torinese Carlo Luigi Castelli, che in seguito divenne anche Ministro della Guerra e della Marina, le cui spoglie sono inumate nel Pantheon della Nazione. La presenza degli italiani continuò ad essere ben percepibile in ogni fase della vicenda storica del Venezuela indipendente L’avvocato Juan Germán Roscio, di origini milanesi, fu il primo Ministro degli Esteri della neonata Repubblica, nonché uno dei principali ispiratori della dichiarazione di indipendenza (1811). Fu il geografo emiliano Agostino Codazzi a realizzare, inoltre, la prima mappatura esaustiva dello Stato caraibico (1838), impresa che gli valse l’inserimento nel Pantheon di Caracas. I circa cinquemila italiani presenti alla metà del XIX secolo in Venezuela (in gran parte originari dell’Isola d’Elba) proliferarono, contribuendo tra l’altro all’incremento della commercializzazione del caffè,

dando vita a importanti imprese commerciali che integrarono ulteriormente l’economia venezuelana con quella europea. Data l’importante posizione raggiunta negli ambienti della cultura, dell’economia e della politica dai figli più illustri degli immigrati italiani, questa prima generazione contribuì in modo decisivo a orientare la classe dirigente del Paese, che avrebbe in seguito riservato una benevola accoglienza ai nuovi, massicci, flussi di popolazione d’origine italiana. Risale infatti a questi anni, all’alba dell’epoca petrolifera, la prima riformulazione della politica nazionale sull’immigrazione, avviata nei primi decenni del XX secolo, che sarebbe culminata con l’apertura delle porte del Venezuela agli immigrati italiani. E’ infatti nella cornice di questo orientamento di preferenza per gli italiani – ritenuti più affidabili dei francesi e più laboriosi degli spagnoli o dei portoghesi - che si avrà, nei decenni seguenti l’arrivo in Venezuela di migliaia di immigrati italiani, a cui vanno sommati i rispettivi nuclei familiari. Primo atto di un’epopea destinata a durare nel tempo.

L’epoca delle grandi ondate d’immigrazione italiana (1947-1961)

Con la comparsa in Venezuela di nuove opportunità lavorative, e il decollo dell’esuberante crescita del Paese (anche in seguito all’avvio dello sfruttamento dei pozzi petroliferi), unitamente alla pesante situazione sociale ed economica esistente nell’Italia del dopoguerra, a partire dal 1947-48 giunsero nel Paese le prime ondate di immigra-

zione di massa. Con Rómulo Gallegos alla Presidenza della Repubblica, nel 1947, inizia una vera e propria politica di Stato orientata a favorire l’ingresso massiccio di italiani e di altri immigrati europei: “Abbiamo bisogno di sangue straniero… che venga a rafforzare il deficiente materiale umano su cui oggi contiamo per la grande impresa dell’accrescimento nazionale” (Gallegos)3 . In tale contesto, si strinsero altresì relazioni più salde fra Italia e Venezuela: proprio durante l’epoca di Romulo Gallegos i due Governi decisero di elevare al grado di Ambasciate le rispettive legazioni di Caracas e Roma, come sancito nella Gazzetta Ufficiale del Venezuela del 2 aprile 1948. Per tutta la fase iniziale dell’immigrazione di massa proveniente dall’Europa, gli italiani godettero di grande reputazione e stima da parte dei settori chiave della cultura e della politica venezuelana, anche per la grande facilità di adattamento al conteso locale e il contributo effettivo che essi davano allo sviluppo nazionale. Con la salita al potere del Generale Marcos Pérez Jiménez (1953) l’orientamento di apertura della politica immigratoria nazionale accelera, con l’obiettivo di aumentare cospicuamente “il capitale fisico, morale e intellettuale della popolazione”. In questo contesto, i programmi governativi concernenti lo sviluppo della rete viaria e dell’edilizia pubblica si affiancarono a una politica immigratoria di grande apertura, che intendeva incoraggiare soprattutto gli arrivi da Italia, ma anche Spagna e Portogallo, allo scopo di accelerare l’evoluzione urbana della società venezuelana degli anni Cinquanta (fornendo in particolare manodopera e supervisione tecnica nell’edilizia pubblica, nella siderurgia, nella petrolchimica, nello sviluppo delle infrastrutture delle comunicazioni, nella costruzione di opere idroelettriche come argini e dighe).

Alcuni numeri

Fu così che tra il 1950 e il 1970 sbarcarono in Venezuela circa 300.000 italiani (solo nel 1955, anno record di afflusso migratorio, entrarono nel Paese 29.541 italiani). Provenienti soprattutto dalle regioni centro-meridionali (Abruzzo, Campania, Sicilia), si stabilirono sulla costa, nelle Ande e nelle principali città. In larga parte uomini – con una proporzione per alcuni anni addirittura di 5 a 1 – si assimilarono velocemente, dando vita a nuclei familiari misti. Nel 1961 los italianos divennero il primo gruppo etnico europeo, superiori a spagnoli e portoghesi.

Come immaginato da Pérez Jiménez, il loro apporto si rivelò impareggiabile per lo sviluppo del territorio. Benché di estrazione prevalentemente contadina, essi si tramutarono presto in imprenditori e professionisti, si fecero popolazione urbana e istruita. Creando pressoché unilateralmente l’industria edile e siderurgica del Paese, sfruttando parimenti l’eccezionale potenziale delle riserve petrolifere.

La distribuzione della popolazione d’origine italiana in Venezuela secondo i censimenti nazionali, 1941-81 (valori assoluti).

Stati e Territori Censimenti

1941 1950 1961 1971 1981 Distretto federale Caracas 1.735 22.542 47.463 29.084 20.762 Anzoàtegui 44 1.266 4.028 2.814 2.669 Apure 36 114 364 254 215 Aragua 96 2.098 7.542 6.684 6.629 Barinas 13 265 1.120 957 753 Bolivar 75 670 3.597 2.674 2.810 Carabobo 403 2.705 8.615 6.939 6.967 Cojedes 14 286 370 275 253 Falcon 20 884 2.009 1.295 977 Guàrico 47 558 2.279 1.443 1.272 Lara 81 1.438 3.532 3.165 3.058 Mérida 90 405 1.105 1.084 1.028 Miranda 140 4.406 20.677 19.283 20.856 Monagas 30 353 1.241 891 870 Nueva Esparta 2 194 193 211 675 Portuguesa 15 958 2.814 2.348 2.179 Sucre 33 358 1.031 639 766 Tàchira 40 167 748 569 658 Trujillo 100 753 1.640 984 824 Yaracuy 61 553 1.271 834 765 Zulia 52 2.972 9.970 5.739 4.896 Territorio federale Amazonas 7 19 57 49 72 Territorio federale Delta Amacuro 3 33 67 54 48

Totale 3.137 43.997 121.733 88.249 80.002

Fonte: censimenti nazionali, anni indicati.

Gli ingegneri Enrique Delfino e Mario Paparoni costruirono le Torri Gemelle di Caracas, fino al 2003 i più alti edifici dell’America Latina; la famiglia Petricca, di origini abruzzesi, creò la più grande Università privata del Venezuela, la Universidad Santa Maria. Tra il 1964 e il 1984 furono eletti presidenti della Repubblica due cittadini di origini italiane, Jaime Lusinchi e Raul Leoni. Sono questi solo alcuni esempi dell’intraprendenza e dell’eccezionale influenza che la presenza italiana seppe esercitare, nel Dopoguerra, sullo sviluppo del Venezuela. Agli inizi degli anni Duemila è stato calcolato che circa un terzo delle industrie venezuelane (non collegate all’attività petrolifera) appartenessero a paisanos.

La caduta di Pérez Jiménez e la fine della politica delle “porte aperte”

Il calo percentuale della presenza italiana che si registra a partire dal 1958 si spiega con il cambio di rotta nella politica immigratoria del Paese e con l’elevato numero di ritorni di immigrati italiani seguiti agli scontri verificatisi a Caracas, Maracaibo, Valencia e Barinas dopo l’improvvisa caduta del governo di Pérez Jimenez, il 23 gennaio 1958. Le tensioni nascevano dalle rappresaglie per il massiccio sostegno che gli immigrati italiani avevano fornito alla nuova legge elettorale del 1957, che per la prima volta concedeva il diritto di voto agli stranieri, nonché per la partecipazione e l’appoggio che gli italiani avevano garantito a Jimenez nel plebiscito del dicembre del 1957. La reazione di alcuni settori della società venezuelana esplose il giorno stesso della caduta di Jimenez, con episodi di aggressioni, saccheggi e incendi. Per parecchi mesi serpeggiò una xenofobia latente, anche figlia di un sentimento di rivalsa della comunità indigena, accompagnata da azioni ostili dirette in particolare contro alcuni esponenti dell’immigrazione di origine italiana. Durante le prime settimane le partenze furono molte: all’inizio del febbraio 1958 già un migliaio di immigrati europei, in maggioranza italiani, aveva lasciato il Paese.

Superata la fase acuta della reazione, il ritmo dell’esodo tuttavia decrebbe: a fine mese (febbraio 1958) si calcolava che soltanto 2.400 immigrati avessero lasciato il Paese diretti in Italia. La crisi fu superata grazie all’intervento concorde di autorità, mezzi d’informazione, Partiti politici e ambienti della cultura, che si pronunciarono a favore della riconciliazione di tutte le componenti sociali. Ma la fine della “politica delle porte aperte” chiudeva comunque l’epopea della grande immigrazione dall’Italia.

Il consolidamento della presenza italiana in Venezuela

Nonostante i ritorni di immigrati italiani verificatisi nel 1958 e negli anni successivi, e l’attuazione di disposizioni più restrittive in materia di visti, la grande maggioranza degli italiani restò in Venezuela. L’importanza della presenza italiana restò salda e anzi conobbe un rafforzamento negli anni Sessanta e Settanta. L’intraprendenza degli italiani e dei loro discendenti ne comportò la solida affermazione soprattutto nel settore industriale, incoraggiando un reinvestimento di capitali su scala nazionale, favorendo così la nascita di una dinamica categoria di piccoli, medi e grandi imprenditori. Ancora oggi la presenza italiana è considerevole nel settore delle industrie base produttrici di beni di consumo (agroalimentare, calzaturifici, capi di abbigliamento, mobilifici, imprese edilizie), ma anche nel campo edilizio, in quello estrattivo, nel settore delle ceramiche e delle mattonelle, metalmeccanico, chimico e farmaceutico. Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Ottanta los italianos si stabilirono negli stessi centri urbani in cui mossero i primi passi, vale a dire Caracas, Maracay, Valencia, Barquisimeto, Maracaibo, Punto Fijo, Puerto La Cruz, Puerto Ordaz, El Tigre e Maturín. Alcuni si spostarono verso Turén, Acarigua, Araure e San Felipe dove creeranno con il tempo prestigiose aziende agricole che tutt’oggi costituiscono l’orgoglio del Paese.

Non solo contadini: artisti, letterati e musicisti d’Italia in Venezuela

Insieme ai grandi contingenti di contadini e artigiani, sin dai primi anni del XX secolo l’immigrazione italiana in Venezuela ha contribuito a far affluire nel Paese artisti, letterati, architetti e scienziati che con la loro opera hanno contribuito ad arricchire il patrimonio culturale della nazione.

Fra i letterati, il primo a giungere, nel 1927, fu Edoardo Crema, pedagogo, scrittore e critico letterario, in seguito docente presso l’Istituto Pedagogico Nazionale e l’Università Centrale del Venezuela, dove fonda la Cattedra di Estetica, di Letteratura moderna, Letteratura greca e latina e -naturalmente- di Letteratura italiana. Tra i suoi discepoli spicca Marisa Vannini, autrice, tra l’altro, di un volume di grande valore storico intitolato “Italia y los italianos en la historia y en la cultura de Venezuela“ pubblicato nel 1966.

Tra gli umanisti, ancora da ricordare Antonio Pasquali, giunto in Venezuela con i genitori nel 1956 all’età di 19 anni. Laureatosi in Filosofia presso l’Università Centrale, dove diventerà docente, fu il fautore dell’introduzione in America Latina degli studi di comunicazione sociale, nonché colui che diede l’impulso alla creazione di mezzi di comunicazione pubblici e indipendenti in Venezuela. Negli anni Cinquanta il Venezuela fu anche meta di musicisti e compositori. I primi, nel 1947, furono il pianista siciliano Corrado Galzio e il violinista romano Alberto Flamini, che insieme ad altri due virtuosi contrattati direttamente dall’Italia (il violoncellista Luigi Fusilli e il violista Guglielmo Morelli) costituiranno il primo Quartetto di musica da camera del Venezuela. L’anno seguente, su richiesta del Maestro Pedro Antonio Ríos Reyna, direttore dell’Orchestra Sinfonica di Venezuela, giungerà nel Paese anche il violinista, compositore Primo Casale, che lascerà una vasta opera di composizione, nonché arrangiamenti per orchestre ed ensemble e una importante scuola di musica. Per quanto riguarda la pittura, nella seconda metà del XX secolo due illustri artisti italiani faranno parlare di sé. Il primo è Giovanni Di

Munno, nativo di Monopoli (Puglia), che si affermerà come uno degli interpreti più rilevanti della scena artistica venezuelana negli anni ‘70. La grandezza e la magnificenza dei paesaggi naturali del Venezuela lo ispirano, diventando il soggetto principale dei suoi lavori (celebri le sue “vedute sull’Avila”): la luce e gli intensi colori sudamericani dominano le sue composizioni restituendo alle figure una forte evidenza plastica.

E poi Giorgio Gori, fiorentino d’origine, autore di un’ampia opera pittorica e scultorea che gli varrà il Premio nazionale delle Arti in entrambe le discipline. In ambito scultoreo, va ricordato anche il nome di Hugo Daini, romano di nascita che, giunto in Venezuela nel 1949, porterà con sé le tecniche della grande tradizione della scultura italiana, riuscendo a combinarle con quelle locali, caratterizzate dalla ricerca delle forme autoctone intrise di assoluta dignità plastica. Armando Scannone Tempone (Caracas, Venezuela, 22 agosto 1922) è un ingegnere e gourmet venezuelano, meglio conosciuto per Mi Cocina: A la way de Caracas, una serie di ricettari tradizionali venezuelani. Il primo libro pubblicato nel 1982, popolarmente noto come il libro rosso di Scannone, è considerato uno standard della gastronomia venezuelana e uno dei libri più venduti nella storia del Venezuela. Nel 1960, Armando Scannone iniziò un lavoro di compilazione di ricette tradizionali venezuelane con l’aiuto del suo cuoco e della sua casalinga. Trascorre circa 10 anni della sua vita a catalogare, misurare, praticare e compilare ricette tradizionali. Armando Scannone non è riuscito a pubblicare subito il suo primo libro La mia cucina in Venezuela poiché nessun editore venezuelano voleva pubblicarglielo. Alla fine ci riuscì nel 1982 utilizzando una casa editrice spagnola e portò i libri in Venezuela che divennero rapidamente un best seller. In seguito sarebbero seguiti altri libri, come il libro blu sulla cucina creola venezuelana,

il libro verde per ricette leggere, il libro arancione per le merende scolastiche e il libro giallo con un catalogo di menu. Scannone è stato vicepresidente del Collegio degli ingegneri del Venezuela ed è il presidente fondatore dell’Accademia venezuelana di gastronomia. José Antonio Abreu Anselmi (Valera, 7 maggio 1939 – Caracas, 24 marzo 2018) è stato un musicista, attivista, politico, educatore e accademico venezuelano, fondatore di El Sistema, una fondazione per la promozione sociale dell’infanzia e della gioventù attraverso un percorso innovativo di didattica musicale. Nato il 7 maggio 1939 nella città di Valera, nell’ovest del Venezuela, José Antonio Abreu è discendente da una famiglia italiana di Marciana (isola d’Elba). Suo nonno materno, Antonio Anselmi Berti, era direttore della banda musicale del Paese e nel 1897 emigrò a Monte Carmelo portando con sé 46 strumenti a fiato della propria orchestra. Nel 1975 ha fondato El Sistema, (Fundación del Estado para el Sistema Nacional de las Orquestas Juveniles e Infantiles de Venezuela, acronimo Fesnojiv). Si tratta di un innovativo e collaudato metodo di insegnamento della musica ai giovani nei quali la musica assume il significato di via primaria per la promozione sociale e intellettuale. Per il suo lavoro con El Sistema, ha ricevuto numerosissimi premi fra cui, nel 1993, il famoso IMC-UNESCO International Music Prize per la classe istituzioni e, nel 2009, il TED Price. Sotto la guida di Abreu, El Sistema partecipa a programmi di scambio e cooperazione con numerosi paesi fra cui la Spagna, alcune nazioni dell’America latina e con gli Stati Uniti e con artisti come Simon Rattle e Claudio Abbado, con il cui supporto si è cominciato anche a promuovere El Sistema in Italia (2010). La prima tournée venuzuelana in Italia risale al 2011 per volontà di Stefano Miceli con l’Orchestra Sinfonica Juventud Zuliana Rafaelel Urdaneta nei teatri di Milano, Roma e di altre cinque città.

L’eredità italiana in Venezuela

Gli italiani non hanno solo contribuito in modo decisivo allo sviluppo economico del Paese. Ne hanno anche modificato il costume, le abitudini alimentari e perfino la lingua. Oggi i venezuelani utilizzano numerosi italianismi nel gergo quotidiano: “testa” anziché “cabeza”; “piano a piano” per dire lentamente, al posto del castigliano “despacio”; “no(n)no” e “non(n)a” invece di “abuelo” e “abuela”; “ècole cua”, ovvero “eccoli qua”, per “esatto”; “paisano”, inizialmente sinonimo di italiano, per indicare genericamente un cittadino, anziché “ciudadano”. Los espaguetis si trovano ovunque. E la tradizione del cenone natalizio, con i prodotti tipici italiani come lo spumante, il torrone e il panettone (dolce nazionale), è entrata a far parte della cultura locale. Dell’apporto gastronomico italiano rimane abbondante traccia nei termini che compaiono nei menù dei ristoranti, da quelli di lusso (rigorosamente di cucina ispirata alla tradizione italiana) a quelli più tradizionali. Invitati in loco per realizzare il progresso, inevitabilmente gli italiani si sono sciolti nell’élite bianca e dominante, a scapito spesso dei meticci e degli indigeni. In un contesto ancora segnato dall’appartenenza antropologica, sono diventati il ceppo più nobile della popolazione, al pari di asturiani e canari, la provenienza più diffusa tra gli spagnoli. La presenza italiana, oltre che numerosa è stata estremamente operosa e di successo, sapendosi integrarsi più di altre nella vita economica, sociale e culturale del Paese, tanto da trasformare il volto del Venezuela così come lo conosciamo oggi.

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