Trimestrale d’informazione Ambientale - Numero 2 Giugno 2011 - www.ambientarsi.net - € 3,00 ISSN 2039-1137 ENERGIA FRANCIA A TUTTO CAMPO | LE GRANDI DIGHE SONO INSOSTENIBILI | RIFIUTI RISORSA ENERGETICA O
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PROBLEMA | LA LOBBY DEL PETROLIO DISINFORMA | BUONE PRATICHE IL LEGNO PROTAGONISTA NELL’EDILIZIA
ENERGIA IN BILICO NUCLEARE AL TRAMONTO IN ITALIA E GERMANIA. FOSSILI IN CRISI RINNOVABILI IN CRESCITA
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SOMMARIO Referendum alla prova del dopo di Terenzio Longobardi
Effetto Francia
di Simone Malacrida
Quando l’acqua non è rinnovabile di Amodio Di Luccio
Incenerire il rifiuto di Giuseppe Langella
Il petrolio che fuma di Francesco Del Conte
Il passaparola dell’ecologia di Alessandro Drago
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RUBRICHE EDITORIALE
di Amodio Di Luccio
FLASH NEWS
di Alessandra Tomeo
NEWS AZIENDE
di Alessandra Lombardi
NEWS DALL’EUROPA di Carla Gentili
IL RECENSORE
di Alessandra Tomeo
EPN Awards
28
di Sara Di Micco
Progetto legno
30
di Sara Di Micco
Una norma per l’energia
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di Luca Vecchiato, Angelo Ferlini
Il SI che vince
36
di Andrea Bianco
Ribaltare l’energia
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di Simone Malacrida
Sistri sull’orlo
40
di Luca Vecchiato, Mirko Muraro
AMBIENTARSI
Trimestrale d’Informazione Ambientale Numero 2 Giugno 2011 - www.ambientarsi.net Iscrizione al tribunale di Roma N. 95/2010 del 16/03/2010
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E D I T O R I ALE DI AMODIO DI LUCCIO
esce il nucleare e, forse, entrano le rinnovabili a pieno titolo. Ma la tentazione di andare sul fossile è forte.
L’
Italia ha detto, per la seconda volta nella sua storia, addio all’energia nucleare. L’affluenza alle urne per il terzo dei quesiti referendari è stata del 54,8%, e i SI hanno superato il 94%. Il ritorno del nostro Paese alla produzione di energia atomica, che era stato “sospeso a tempo indeterminato” dal Governo all’indomani di Fukushima, va ora definitivamente in archivio. Nelle numerose dichiarazioni post referendarie c’è da registrare la presa di posizione del Presidente dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, l’oncologo Umberto Veronesi: «Ritengo che sia grave per l’Italia rinunciare alla possibilità di far fronte alla futura insufficienza energetica anche con il nucleare. Ne sono tanto più convinto se considero che i Paesi avanzati del mondo, anche dopo l’incidente giapponese, danno priorità assoluta al prossimo scenario del dopo-petrolio e stanno studiando metodi di produzione di energia nucleare più efficienti e più sicuri». Il dibattito ora si è spostato soprattutto sulla politica energetica che dovrà adottare il Paese nei prossimi anni: «Noi eravamo per il nucleare ma quello che è successo a Fukushima ci ha messo oggi in condizione di privilegiare la sicurezza - ha affermato il Ministro dello Sviluppo Economico Romani - a questo punto un nuovo Piano energetico è obbligatorio e sarà concentrato sulle fonti rinnovabili. Adesso faremo una strategia energetica che ha bisogno di una conferenza nazionale. Sulla base di questa conferenza - ha aggiunto Romani - sarà effettuata una nuova suddivisione delle fonti. Ovviamente la parte riservata alle rinnovabili sarà molto più ampia di prima». A chi gli chiedeva se nell’immediato sarà il gas ad avere un ruolo trainante, il Ministro ha risposto: «Le fonti fossili oggi già rappresentano il 94% del totale. Il gas farà ancora la sua parte ma ci sono molte altre possibilità di fare energia, dalle biomasse alla geotermia». Secondo quanto riporta Il Sole 24 Ore, il piano del Governo dovrebbe prevedere un ulteriore potenziamento delle infrastrutture del gas (rete, rigassificatori e stoccaggi) consolidando l’apertura del mercato, un maggiore equilibrio nella promozione delle rinnovabili, non solo fotovoltaico ma anche eolico, geotermico, biomasse e un pacchetto di obblighi/incentivi per le reti elettriche intelligenti. Alla luce di ciò c’è ora bisogno di un’azione efficace e imponente verso le rinnovabili, considerato che la normativa degli ultimi mesi ha inferto duri colpi bloccando di fatto l’intero comparto delle energie verdi. La necessità più forte è quella di avere un pensiero d’insieme che coniughi rinnovabili, reti, energie di transizione e mercato. E per fare ciò occorre, come punto di partenza, la Conferenza Nazionale dell’Energia all’interno della quale si pensi l’energia con una visione unitaria che faccia in primo luogo gli interessi dell’ambiente e del sistema Paese.
flash News
di ALESSANDRA TOMEO
Germania: addio all’atomo La Germania abbandonerà il nucleare entro il 2022. Prima dell’incidente nucleare di Fukushima la cancelliera Angela Merkel aveva deciso di prolungare la vita dei reattori tedeschi, per poi rivedere questa posizione dopo il disastro giapponese. La Germania possiede 17 reattori nucleari che attualmente soddisfano il 17% del fabbisogno di elettricità, una percentuale che negli ultimi anni non ha fatto che scendere finendo con l’essere superata dalla quota di produzione delle energie rinnovabili. L’obiettivo del governo tedesco è un’accelerazione ulteriore nello sviluppo delle energie rinnovabili in grado di sostituire in pochi anni tutta la produzione nucleare. Gli esperti hanno calcolato che la riconversione energetica verso le energie rinnovabili dovrebbe costare tra i 30 e i 45 miliardi di euro. Circa 500 euro per ogni abitante della Germania.
L’energia del ghiaccio La Svizzera sta pensando a sistemi di approvvigionamento energetico per compensare l’energia nucleare che sarà dismessa entro il 2034 e i glaciologi stanno studiando come sfruttare l’acqua dei laghi che si formeranno a causa della fusione dei ghiacci. Le ricerche sono fatte dall’Institut de Géographie de l’Université de Zurich e sostenute dal Programme national de recherche (PNR) 61, che studia gli effetti positivi della fusione dei ghiacciai e l’uso dei nuovi laghi per la produzione di energia o per il turismo. I ricercatori, si attendono che una nuova serie di laghi, piccoli e grandi, appaiano nelle Alpi nel corso di questo secolo, visto che, entro il 2050, quasi la metà dei ghiacciai esistenti nel 2000 si saranno sciolti. Alla fine del secolo saranno scomparsi quasi tutti e si saranno creati molti laghi che presentano dei pericoli da prendere in considerazione, come la stabilità del terreno su cui si trovano.
La gomma ha la sua etichetta Dall 2013 il Dipartimento americano dei Trasporti e l’Agenzia per la protezione dell’Ambiente (Epa) ha deciso che tutti i mezzi su gomma, realizzati negli Stati Uniti, dovranno essere accompagnati da un’etichetta in grado di definirne la sostenibilità. Non sarà soltanto il consumo che sarà reso noto agli acquirenti ma anche l’analisi sintetica dell’impatto ambientale del veicolo con un’apposita lista tramite voti da 1 a 10 per indicarne l’impronta ecologica. L’etichetta dovrà avere tutte le informazioni relative ai consumi energetici del mezzo, alle emissioni di gas serra, alla stima della spesa annua indicativa per il mantenimento dello stesso oltre a sottolinearne l’eventuale risparmio e, nel caso di auto elettriche, i tempi di ricarica e di autonomia.
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REFERENDUM ALLA PROVA DEL DOPO di TERENZIO LONGOBARDI
DOPO LA VITTORIA SCHIACCIANTE DEI REFERENDUM SI DEVONO TROVARE LE SOLUZIONI
L
a vittoria del Sì al referendum sul nucleare è stato un evento straordinario, non solo per il nostro Paese. Soren Lisberg, l’ideatore del logo “Nucleare, no grazie.” ha scritto al Presidente di Aspoitalia Ugo Bardi: «è un grande giorno per l’Italia e per l’Europa. Sono felice se il mio piccolo segno è stata una parte della vostra lotta contro il nucleare. Ancora una volta complimenti a tutti». Archiviati con grande soddisfazione i risultati della consultazione referendaria, è ora opportuno soffermarsi sulle conseguenze del voto in materia energetica e di uso delle risorse idriche nel nostro Paese. La scelta nucleare è, a questo punto, definitivamente accantonata ma, contrariamente ai proclami annunciati, il ripensamento del governo su una scelta sbagliata industrialmente, rischiosa sul piano ambientale e sanitario e contraria agli interessi nazionali, era secondo me in atto da tempo e il referendum ha dato loro solo un comodo anche se doloroso pretesto per una strategia di uscita da un progetto impraticabile. È bene, infatti, ricordare che Berlusconi aveva promesso pomposamente di porre la prima pietra delle centrali a fine legislatura ma, in effetti, non era ancora riuscito nemmeno a individuare i possibili
siti. Inoltre, la scelta di una tecnologia obsoleta, economicamente fuori mercato, senza prospettive industriali, avrebbe inevitabilmente determinato un asservimento energetico del nostro Paese a interessi extra nazionali. Non può, infatti, sfuggire che, qualora il piano del governo avesse avuto attuazione, l’Italia sarebbe stata completamente dipendente dalla Francia non solo per quanto riguarda il know-how tecnologico ma, soprattutto, per tutta la filiera del ciclo di lavorazione del combustibile nucleare. L’assenza del Presidente francese ai festeggiamenti del 2 Giugno in Italia ha simbolicamente anticipato e chiosato la volontà popolare e l’esito referendario. Altre fonti Le centrali nucleari previste dal governo avrebbero prodotto circa il 13% del consumo lordo di energia elettrica. Questa percentuale può essere fornita sfruttando il potenziale eolico e solare italiano e di altre fonti rinnovabili come biomasse e geotermia. E con politiche di risparmio energetico già avviate in Italia con le detrazioni del 55% per le riqualificazioni energetiche degli edifici e con il mercato dei Titoli di Efficienza Energetica. Ora tutti richiedono una pianificazione stra-
tegica nazionale dimenticando che la modifica del titolo V della Costituzione ha irresponsabilmente frammentato tale competenza in capo alle Regioni e che, l’incertezza del quadro energetico, rende impraticabile una pianificazione di lungo termine. Nella navigazione che ci attende, gli strumenti di bordo sono tutti fuori uso o di difficile interpretazione, per cui dovremo viaggiare in un mare aperto e tempestoso solamente con l’ausilio di qualche stella polare. Il combustibile di transizione verso un futuro rinnovabile non potrà che essere il metano e, per questo, dovremo diversificare al massimo gli approvvigionamenti per evitare crisi nelle forniture. Per fortuna la produzione termoelettrica italiana è ormai quasi del tutto indipendente dal petrolio e il parco centrali è anche sovradimensionato rispetto alla domanda (circa 100.000 MW installati contro una domanda alla punta di circa 65.000 MW). Anzi sarebbe opportuno, dal punto di vista economico, migliorare il fattore di carico delle efficientissime centrali a ciclo combinato. Naturalmente dobbiamo eliminare ogni ostacolo alla diffusione delle nostre uniche fonti autoctone, quelle rinnovabili, nella consapevolezza che, senza l’individuazione di vettori ef-
www.ambientarsi.net ficienti che accumulino i flussi energetici incostanti di tali fonti, difficilmente si potrà risolvere il problema cruciale della connessione alla rete elettrica nazionale oltre certi limiti di potenza installata. E soprattutto, a partire dalla diffusione di un’industria nazionale delle rinnovabili, dovremo incentivare decisamente la ricerca in tecnologie innovative. L’energia elettrica rappresenta “solo” il 35% dei consumi totali lordi di energia, la restante parte proviene dagli usi termici e ai trasporti. Quando si parla di pianificazione energetica spesso si sottovaluta l’esigenza di ridurre i consumi in quest’ultimo settore, vera emergenza sanitaria oltre che energetica. Anche per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche la scelta dell’elettorato è stata chiara e schiacciante a favore della gestione
9 pubblica. Questa netta volontà dovrà essere contemperata con le direttive comunitarie che impongono l’assegnazione dei servizi di interesse pubblico attraverso gara e, forse, potrà trovare risposta nell’ampliamento delle cosiddette assegnazioni in house. A questo punto sarà meno facile il giochino dei Comuni e delle forze politiche che, attraverso la vendita di una quota delle aziende ai privati, sembravano aver ottenuto il duplice obiettivo di continuare ad occupare i posti di potere e responsabilità nei consigli di amministrazione e di addossare la colpa degli aumenti tariffari alla gestione privata. Da qualche parte, i soldi per ammodernare la rete idrica e, soprattutto, completare il sistema depurativo delle acque contro cui pende un giudizio di infrazione da parte dell’Unio-
ne Europea, dovranno essere trovati, magari cominciando a rinunciare ad alcuni privilegi politici che l’ultimo referendum, quello sul legittimo impedimento, ha chiaramente chiesto di eliminare. Alla fine e come al solito, il lascito di questa entusiasmante tornata elettorale è tutto politico. Le scelte che ci attendono saranno più complesse, difficili, faticose e richiederanno grandi capacità amministrative e di sintesi politica. L’ultimo e più forte messaggio che gli italiani hanno lasciato nelle urne elettorali è indirizzato proprio al profondo rinnovamento delle mummificate caste di ogni provenienza politica che hanno sostituito da tempo al tentativo di interpretare le sensibilità sociali, stanchi e insopportabili riti di auto – perpetuazione.
30|Giugno 2011
Effetto Francia di Simone Malacrida
La nazione d’oltralpe sfrutta ogni occasione per rafforzare la propria politica energetica�
“LA FRANCIA HA PUNTATO, QUASI SEMPRE, SU CAMPIONI NAZIONALI CHE DISPONGONO DI APPOGGI INCONDIZIONATI E IL CUI RUOLO DI MONOPOLISTI INTERNI NON DÀ ADITO A COSTI AGGIUNTIVI PER LA COMUNITÀ IN QUANTO IL RUOLO È TOTALMENTE REGOLAMENTATO DAL POTERE GOVERNATIVO”.
I
l 2011 non sarà di certo ricordato come un anno piatto e privo di eventi nel panorama energetico mondiale. Anzi, probabilmente sarà percepito come uno spartiacque fondamentale, così come lo è stato il 1973, anno della prima grande crisi petrolifera. Si potrà, a ragione, dire che vi è stato un “prima” e un “dopo” relativamente a quanto accaduto in questi primi sei mesi dell’anno. I fatti che hanno determinato questa visione di cambio epocale sono ampiamente riportati nelle cronache e nei resoconti dei mass media mondiali: l’incidente nucleare a Fukushima e
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12 la crisi dei regimi nel Nord Africa e nel Medio Oriente. Mentre l’impatto del disastro giapponese si farà sentire sul futuro dell’energia nucleare, probabilmente segnando definitivamente il tramonto di questa fonte energetica come risorsa strategica per la produzione di elettricità, le rivoluzioni socio-politiche dell’area mediterranea disegneranno un nuovo scenario geopolitico mondiale. Per comprendere appieno come questi due eventi concomitanti possono realmente modificare un’intera politica industriale ed energetica, nonché trasformare le strategie internazionali ed economiche, è forse il caso di analizzare da vicino un esempio pratico, il più eclatante e del quale tutti, in qualche modo, abbiamo avuto sentore diretto. Si tratta del cambio repentino, e per molti versi inaspettato, che in Francia è stato messo in atto con una serie di mosse tra di loro complementari. Si parla volutamente di conseguenze volute e studiate ad arte perché, e questo è bene chiarirlo fin da subito, la regia di queste operazioni è unica e supportata dall’intero sistema-paese. Il motivo di questo interventismo repentino è dato dalla peculiarità del sistema francese, sia dal punto di vista industriale ed energetico sia per quanto concerne la politica e la società. È bene dunque soffermarsi su come i cugini di Oltralpe hanno modellato la loro struttura sociale nazionale. La Francia è uno dei pochi paesi dell’Europa continentale che si è configurato come Stato nazionale da tempi immemori, più di mille anni, e che ha vissuto un’epoca molto lunga di Impero europeo, inteso come sistema di potere particolarmente influente su tutto il continente anche a livello culturale e scientifico. Inoltre, si è, quasi fin dagli albori, caratterizzato come uno Stato centralizzato con una città-capitale dominante rispetto a tutto il contesto nazionale. Storicamente, non è avvenuto così né per l’Italia né per la Spagna né per la Germania, costituitesi attorno a regioni con città di riferimento molte volte in conflitto e in competizione tra di loro. Il retaggio storico ha determinato una
tipologia ben determinata di rapporti tra politica e mondo produttivo, con un forte accentramento delle decisioni strategiche e con un indirizzo politico molto marcato nel mercato industriale. La Francia ha puntato, quasi sempre, su “campioni” nazionali che dispongono di appoggi incondizionati e il cui ruolo di monopolisti interni non dà adito a costi aggiuntivi per la comunità in quanto il ruolo è totalmente regolamentato dal potere governativo. Così troviamo EDF nel settore dell’energia elettrica, GDF per il gas, Total per i prodotti petroliferi, France Telecom per le telecomunicazioni, Areva per la produzione di reattori nucleari, Schneider per la parte elettrica ed elettronica industriale e così di seguito. L’unico caso di particolare rilevanza di concorrenza a due è dato dal settore automobilistico con Renault da un lato e PeugeotCitroen dall’altro, mentre vi sono parecchi attori, anche di peso internazionale, nel settore della grande distribuzione e dell’alimentare. Modello differente L’altro grande paese dell’Europa continentale, la Germania, ha invece adottato un modello di sviluppo diverso, puntando su un minore intervento della politica nell’economia ed un maggior peso nelle vicende sociali. Questa differente visione non ha però impedito di costituire quell’asse franco-tedesco così importante per la riuscita dell’Unione Europea e dell’euro, simbolicamente identificabile negli incontri tra Mitterand e Kohl durante gli anni Ottanta e Novanta. A livello energetico, la Francia è un paese del tutto anormale rispetto alla media. È praticamente l’unica nazione al mondo ad avere scelto, negli anni Settanta, di produrre elettricità quasi esclusivamente con il nucleare, installando una serie di centrali che soddisfano ben l’80% del fabbisogno energetico interno. Inoltre, tutto il panorama produttivo si è indirizzato in questo verso, con punte di eccellenza di assoluto riguardo. Si può dire che, per quanto concerne le tecnologie nucleari, dal re-
attore a moltissimi componenti annessi (e di conseguenza fino al sistema formativo delle professioni richieste), la Francia è il leader incontrastato. Le scelte in politica energetica sono servite come motore dello sviluppo nazionale e sono state coordinate da un’unica regia, la stessa che ha permesso un costo della bolletta meno caro e una maggiore competitività delle imprese, in buona sostanza una gestione politica concertata ed indipendente dal “colore” delle maggioranze. La totale dipendenza dal nucleare ha permesso altresì alla Francia di intrattenere pochissime relazioni con i paesi del Medio Oriente, caratterizzati da regimi non democratici e di slegarsi da un certo giogo che la Russia sta imponendo all’Europa per le forniture di gas. La politica transalpina ha potuto così coltivare solo dei rapporti con paesi appartenenti alle ex-colonie e caratterizzati da una forte francofonia. Questi fattori, rivelatisi vincenti per molto tempo, si sono però trasformati in un boomerang alla luce degli eventi esposti all’inizio. L’incidente di Fukushima ha messo in seria discussione il futuro dell’energia nucleare perché ha rivelato le falle nei sistemi di sicurezza, nonostante tutte le precauzioni a norma di legge, anche laddove vi sono simboli incontrastati di efficienza e di tecnologia, come il caso dell’industria nipponica. Questo evento ha generato due ripercussioni all’interno del sistema francese in termini di dubbi ed interrogativi sul proseguimento della scelta nucleare, ma anche sugli ordinativi delle aziende specializzate in questo settore. La Francia si è quindi trovata, di colpo, di fronte ad un dibattito che mette in discussione l’uso del nucleare e una situazione internazionale che porrebbe in crisi molte industrie nazionali, in primis Areva. In questo quadro di incertezza per il futuro, la politica francese è intervenuta in modo sostanziale per difendere quelli che sono considerati interessi strategici nazionali. E lo ha fatto tenendosi aperta una possibilità fino ad oggi del tutto marginale, puntando sul futuro del gas naturale.
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Ormai è una certezza che il gas naturale sorpasserà il petrolio come prima fonte energetica mondiale, soprattutto se consideriamo che questa risorsa è quella impiegata per produrre elettricità ad altissime efficienze, limitando l’impatto dei gas serra. Geopolitica mediterranea La Francia ha colto l’opportunità per entrare in questo settore proprio grazie alle rivoluzioni che si sono scatenate nel Nord Africa, proponendosi come guida politica della coalizione anti-Gheddafi, riconoscendo da subito gli insorti libici, facendosi portavoce in Egitto delle proteste contro Mubarak. Un interventismo in questioni mediorientali del tutto nuovo e, non di certo, senza alcun interesse. Nello stesso tempo, lo Stato ha supportato l’intera filiera industriale facendo in modo che i quasi monopolisti del nucleare (EDF) entrassero nel business del gas. È di questi mesi infatti la notizia che EDF gestirà un terminale di rigassificazione nei pressi di Dunkerque e che, entro l’anno prossimo, sono previste una o due infrastrutture di questo tipo sul suolo francese, di cui una sicuramente a Marsiglia. Inoltre, nello stesso pacchetto, è stata varata la costruzione di un nuovo gasdotto, dovendo la Francia scontare una posizione geografica non felice, un passaggio quasi costretto per la Germania sulla via dell’accesso del gas russo e una distanza sottomarina notevole dall’Algeria e dal Nord Africa. È bene capire che questa serie di investimenti programmati si aggira su cifre di 3 miliardi di euro e che, una buona parte di queste risorse, ricadrà sull’economia nazionale sotto forma di indotto per sva-
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riate realtà industriali. E non è nemmeno da escludere che, dall’anno prossimo, si possa assistere all’installazione di centrali a gas su suolo francese, chiudendo il cerchio della filiera e dando altro lavoro alla “regione delle turbine”, una valle vicino a Belfort dove General Electric e Alstom hanno importanti fabbriche per la progettazione e costruzione di turbine a gas. In definitiva, la politica francese, avendo compreso la particolarità di questo attimo, ha attuato un vero e proprio cambio di piano industriale ed energetico, dando una possibilità ulteriore di sviluppo ad un’economia e ad una società che, viceversa, si sarebbe potuta avvitare su se stessa. Anche la Germania ha deciso di agire con uno sguardo sul futuro, ma la situazione iniziale era differente e, per forza, i risultati sono stati non coincidenti. In previsione di un progressivo abbandono del nucleare nei prossimi venti anni, il modello tedesco è stato quello di un non intervento nell’area mediorientale, rivolgendo invece uno sguardo ancora maggiore verso la Russia. E in Italia? Come si è mosso il nostro Paese di fronte a questi fatti? Si potrebbe dire, sintetizzando, che purtroppo non si è mosso. Non ci siamo accorti di questo cambio epocale e, probabilmente, ci lasceremo sfuggire questa opportunità. Il motivo di ciò è molto banale e molto grave per gli interessi nazionali. Da almeno trent’anni, manca una seria politica industriale, manca un piano industriale nazionale e, come costola, un piano energetico nazionale. Questo perché l’intera società è come cristallizzata, rimirandosi allo specchio e guardando al passato, indipendentemente
dalle maggioranze governative. La politica, poi, non ha assunto quel ruolo di guida del sistema produttivo e le industrie ex-monopoliste molte volte si sentono troppo legate ad accondiscendere il sistema di potere vigente, anche perché allo stesso si devono le nomine dominate ormai dal meccanismo dello spoil system. L’esempio eclatante di questi mesi è dato dal triplice no, dopo che erano stati spesi anche dei sì e delle promesse. La moratoria sul nucleare dopo anni di proclami sulla nuova era atomica italiana, i quattri provvedimenti sugli incentivi relativi al Conto Energia in meno di nove mesi, il blocco a progetti di rigassificatori e centrali a gas, sono tre situazioni concomitanti di questi mesi nel panorama italiano. Non si può, nel medesimo istante, dire no al nucleare, tagliare gli incentivi al solare e bloccare i progetti sul gas naturale, soprattutto in una situazione come quella attuale durante la quale non si comprende nemmeno il ruolo dell’Italia nella crisi nordafricana, in particolar modo in quella libica. Mentre altri guardano al futuro e mettono le basi per una nuova fase di rilancio, noi siamo prigionieri di una politica che non decide e che, addirittura, è di ostacolo allo sviluppo, in virtù di tentennamenti e reciproci contrappesi. È forse ora di cambiare il vento, di prendere il mano il paese e disegnare quello che vorremmo che fosse l’Italia in termini di società, politica industriale, piani energetici e sviluppo economico. L’alternativa del non decidere ci porterà solamente al declino.
30|Giugno 2011
QUANDO L’ACQUA NON È RINNOVABILE di AMODIO DI LUCCIO
LE GRANDI DIGHE SONO AL CENTRO DELL’ATTENZIONE PER CIÒ CHE RIGUARDA LA LORO SOSTENIBILITÀ CHE NON POSSIEDE NULLA DI RINNOVABILE
C
hixoy, Guatemala estate 1982. Sono gli squadroni della morte, coperti dal Governo, a entrare in scena nel contenzioso che oppone gli indigeni Maya Achi della comunità di Rio Negro, all’Instituto Nacional de Eletrification (INDE) in una delle tante “guerre delle dighe” che da decenni oppone autorità centrali e popolazioni locali sulle questioni legate ai megaimpianti idroelettrici costruiti, e in fase di costruzione, in molte zone del nostro Pianeta. Il bilancio di quell’episodio fu tragico. 482 persone che si opponevano all’apertura della diga sul fiume Rio Chixoy, difendendo il territorio sul quale vivevano da secoli, furono trucidate, con l’alibi di una serie di operazioni “antiguerriglia” al fine di permettere il riempimento del bacino della diga, costruita in zona tellurica e il cui funzionamento è possibile solo al 70% proprio a causa di un terremoto che colpì il cantiere durante la fase di costruzione. I fatti accaduti nel 1982 in Guatemala non sono un episodio isolato. Sono molte, infatti, le grandi dighe che minacciano, in diversi modi, i territori sui quali insistono i fiumi, spesso distruggendo habitat naturali, territori e culture che in quelle zone trovavano posto da secoli. I numeri parlano da soli. Sono oltre 800mila le dighe funzionanti al Mondo, il 50% dei grandi fiumi ha subito alterazioni profonde e spesso irreversibili e sono 80 milioni i “profughi ambientali” scacciati dal loro territorio a causa dell’allagamento. Il tutto molto spesso per ottenere una manciata di megawatt a costi spesso proibitivi. L’esito dell’esperienza guatemalteca, sotto questo profilo è illuminante. Dei 550 MWe previsti solo 385 sono quelli effettivamente prodotti, mentre i costi sono lievitati dai 270 milioni di dollari previsti a oltre 800 e mentre la localizza-
zione è stata così sbagliata che la sedimentazione effettivamente registrata è molto più alta di quella prevista e si stima che, entro venti anni, il bacino sarà completamente pieno di sedimenti se non si provvederà a costosi dragaggi che aumenteranno i costi d’esercizio. Così l’opera che doveva liberare il Guatemala dalla dipendenza dal petrolio, per ciò che riguarda la generazione elettrica, ha diminuito la dipendenza del Paese centroamericano dall’oro nero che continua a spendere 150 milioni di euro l’anno per produrre elettricità con il petrolio, ma ha, contemporaneamente, aumentato il prezzo dell’elettricità all’utente finale, al punto che solo il 30% della popolazione può permettersi l’allaccio alla rete di distribuzione. Perché così grandi Le grandi dighe nascono per soddisfare sia l’esigenza di produzione elettrica, sia quella di irrigazione e sono figlie di modelli energetici e agricoli obsoleti, caratterizzati dal gigantismo unito allo sfruttamento intensivo delle risorse e del territorio. La maggior parte dei progetti, infatti, prevede sbarramenti sequenziali sullo stesso bacino idrico, come quelli del fiume Narmada, in India, dove sono previste 3.200 dighe, delle quali 30 grandi e 135 medie e hanno come conseguenze la riduzione massiccia del flusso idrico, come nel caso di Assuan, sul Nilo, dove la diminuzione dell’apporto di acqua dolce ha prodotto come risultato un aumento della salinità del sud Mediterraneo, oppure la delocalizzazione di intere popolazioni, come nel caso delle Tre Gole, in Cina, dove verranno spostate oltre 1.300.000 persone.
www.ambientarsi.net E il modello negativo, al centro delle critiche internazionali è proprio quelle delle Tre Gole. Il progetto, varato nel 1992 per soddisfare la fame di energia del colosso asiatico, ruota attorno alla diga principale, in tutto sono 46, un mostro di oltre due chilometri di lunghezza per 181 metri di altezza. I 26 generatori da 680 MW l’uno hanno una potenza complessiva di circa 18 GWe utilizzando i 39,3 miliardi di metri cubi d’acqua accumulati nel bacino artificiale. L’impatto ambientale della diga è pesantissimo. Oltre 800 laghi, a monte e a valle della diga, sono spariti, cosa che ha fatto diminuire del 75% le riserve ittiche, 140 città e 1.400 villaggi sono stati distrutti, cosi come 1.300 siti archeologici, mentre 1.300.000 persone sono state spostate e 350 milioni sono quelle a rischio in caso di crollo. E l’ipotesi non deve essere così remota, se lo stesso Governo cinese, dopo l’11 settembre 2001, ha inviato nella zona le truppe antiterrorismo. Un crollo potrebbe, secondo gli osservatori internazionali, avere gli stessi effetti di dieci ordigni nucleari.
15 Ma il megaprogetto cinese non ha avuto solo problemi ambientali e di sicurezza. Il quadro finanziario di questa opera è, infatti, talmente dubbio che anche la Banca Mondiale, forte sostenitrice delle grandi dighe in altre parti del Mondo, ha ritirato l’appoggio al progetto. Per la costruzione della diga, terminata nel 2009, sono stati spesi 35 miliardi di dollari, cosa che ha portato il prezzo dell’energia prodotta a livelli poco competitivi, mentre non è ancora stata trovata una soluzione per le oltre 530 milioni di tonnellate di sedimenti che scorrono ogni anno nel fiume e che potrebbero mettere a rischio sia la stabilità della diga, sia il funzionamento delle turbine. Quest’ultimo problema è uno dei fattori chiave che hanno aumentato i costi del progetto. La rimozione dei fanghi, infatti, ha aggiunto una serie di costi fissi che potrebbe portare in poco tempo il costo dell’elettricità a un prezzo tre volte maggiore rispetto a quello prodotto con centrali idroelettriche più piccole o impianti termoelettrici alimentati a gas.
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PERDITE FINANZIARIE I grandi investitori internazionali iniziano a essere critici, anche se alcune banche d’affari come Morgan Stanley continuano a finanziarle, la Cina nel 2004 ha bloccato il progetto della diga sul fiume Nu citando, per la prima volta, i costi sociali troppo alti e la mancanza della valutazione d’impatto ambientale, ma lo ha riattivato nel febbraio scorso adducendo come motivo la necessità di utilizzare fonti energetiche prive di gas serra. Come tutte le grandi opere, specialmente in Paesi dove la democrazia è a “sovranità limitata”, anche le grandi dighe sono fonti di corruzione, cosa che è anche connessa alla sicurezza. «Grandi profitti illeciti possono essere ottenuti utilizzando materiali scadenti». Recita testualmente un rapporto confidenziale della Banca Mondiale. Solo che se si parla di dighe la contabilità non è solo finanziaria. L’elenco dei crolli degli ultimi 50 anni è lungo, ma è sufficiente ricordare tre episodi. 1963 tracima la diga del Vajont in Italia: 1759 morti. 1975 crolla la diga di Banqiao in Cina: 85 mila morti per l’ondata di piena, 145 mila per fame ed epidemie. 2005 crolla la diga di Shadikor, ultimata da soli due anni, in Pakistan: 80 morti e migliaia di senza casa. Nel frattempo però si inizia a parlare di smantellamento delle dighe sia per il recupero degli ecosistemi, sia per motivi economici. All’avanguardia ci sono proprio gli Stati Uniti. Nel 1999 erano 467, di cui 28 grandi dighe, gli impianti demoliti e oggi il ritmo delle demolizioni è superiore a quello delle nuove costruzioni. Segno evidente della crisi di queste tipologie di impianti che potrebbero lasciare il posto alla tecnologia del mini e micro idroelettrico se solo si sviluppasse una logica legata alla generazione distribuita di piccola taglia, realizzata per servire le popolazioni locali e rispettando i territori e le culture dei luoghi.
GREEN CITY ENERGY 2011
grande successo a pisa per la seconda edizione del forum
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i è conclusa a Pisa la seconda edizione di “Green City Energy”, il Forum sulle nuove energie per lo sviluppo della Smart City, ospitato il 26 e 27 maggio nell’incantevole cornice del Centro Espositivo di San Michele degli Scalzi.
Forte del successo di pubblico dello scorso anno, il Forum ha riproposto il connubio tra workshop tematici e convegni che aveva caratterizzato la prima edizione e, ancora una volta, la formula è stata premiata. La città toscana, per il secondo anno consecutivo, si è dimostrata così il palcoscenico ideale per discutere modalità e strategie funzionali al successo della “città intelligente”. Infatti la Smart City è proprio il modello urbanistico sul quale Pisa sta scommettendo, mettendo in campo importanti innovazioni nell’ambito delle tecnologie ICT e dell’incentivo alle energie rinnovabili. Non a caso, il forum è stato l’occasione per illustrare l’esperienza del nuovo parco fotovoltaico realizzato a Navicelli, Sol Maggiore. Non solo, proprio durante l’apertura della due giorni, è stato presentato l’accordo siglato tra Enel e Poste Italiane per la distribuzione, con mezzi elettrici, della corrispondenza nel centro di Pisa. Tanti e partecipati i convegni e i workshop tematici, nel corso dei quali sono intervenuti docenti e ricercatori universitari, esponenti del mondo industriale, delle associazioni di settore e della pubblica amministrazione, ovvero tutti gli attori che concorrono alla realizzazione di una “città intelligente”.
Diversi e correlati sono stati gli aspetti affrontati, poiché il termine “Smart City” racchiude in sè diversi significati (Smart Economy, Smart People, Smart Living, Smart Governance, Smart Environment, Smart Mobility). Ecco perchè ognuno dei convegni ha analizzato un particolare aspetto della “città intelligente”: Il tessuto connettivo della Smart City; lo sviluppo della mobilità elettrica in Italia; l’edilizia Sostenibile e l’Intelligent Building; la diffusione di sistemi per la produzione di energie rinnovabili; i driver per la crescita delle filiere green e dell’economia verde. Infine, novità dell’edizione 2011, all’interno del Centro Espositivo, è stata allestita la Green City Energy Exhibition, una mostra animata da diversi laboratori didattici e formativi dedicati agli studenti. I laboratori ed i percorsi tematici sullo sviluppo della green city, studiati per ragazzi compresi tra i 6 e i 13 anni, hanno comunque catturato l’attenzione di un pubblico di tutte le età.
Ufficio Stampa Green City Energy Enrico Passoni tel. +39 010 86.92.648 cel. +39 338 75.89.250 mail ufficiostampa@greencityenergy.it Ufficio Stampa a cura di BoccaccioPassoni www.boccacciopassoni.com
Incenerire il rifiuto di Giuseppe Langella
L’incenerimento è ammesso dall’Europa come chiusura del ciclo dei rifiuti”
“LA SITUAZIONE NAZIONALE SI È EVOLUTA ATTRAVERSO UN LENTO MA COSTANTE AUMENTO DEGLI IMPIANTI OPERATIVI CHE HA RIGUARDATO DAPPRIMA LE REGIONI DEL NORD DEL PAESE E, SOLO NEGLI ULTIMI ANNI, ANCHE QUELLE DEL CENTRO-SUD, NELLE QUALI TUTTAVIA TALE OPZIONE RIMANE, AD OGGI, IN FORTE RITARDO”.
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ome è noto, la termovalorizzazione dei rifiuti associa al mero processo di incenerimento anche un recupero di energia ottenibile dalla combustione dei residui solidi urbani. Pertanto, un termovalorizzatore è in realtà un inceneritore, dal quale tuttavia si distingue per la fase di recupero energetico. Questo tipo di impianti sono delle vere e proprie centrali elettriche che utilizzano i rifiuti solidi urbani, o tal quali, o adeguatamente trattati (CDR: combustibile derivato dai rifiuti), come combustibile per produrre calore o energia o entrambi, nel caso dei sistemi cogenerativi. La politica dell’Unione Europea a tal riguardo prevede il supera-
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mento della discarica come principale strumento per lo smaltimento dei rifiuti, puntando molto di più sul riciclaggio e sugli inceneritori. Attualmente, infatti, in Europa sono attivi più di 350 impianti di termovalorizzazione (cui se ne aggiungeranno oltre 100 entro il 2012) distribuiti in 18 nazioni, che trattano ogni anno circa 40 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani. Questo sistema di gestione è molto diffuso anche al di fuori dell’Europa, come in Usa, Canada e Giappone. I Paesi europei più “virtuosi” sono Francia e Germania, ma anche Svezia, Danimarca e Olanda. La Francia con i suoi 123 termovalorizzatori è il Paese euro-
degli sviluppi tecnologici del settore sia, soprattutto, dell’evolversi della normativa in campo ambientale che ha riconosciuto al recupero energetico un ruolo irrinunciabile ai fini dell’attuazione di un sistema integrato di gestione dei rifiuti. La situazione nazionale si è evoluta attraverso un lento ma costante aumento degli impianti operativi che ha riguardato dapprima le regioni del Nord del Paese e, solo negli ultimi anni, anche quelle del Centro-Sud, nelle quali tuttavia tale opzione rimane, ad oggi, in forte ritardo. Contestualmente, anche i quantitativi annui di rifiuti trattati termicamente sono passati dai circa 1,57
due sottocategorie: griglia raffreddata ad aria (MG,mass grate) e griglia raffreddata ad acqua (MGWC,mass grate water cooled).Quest’ultima è per lo più presente in impianti di recente costruzione per un totale di 16 linee ed il suo sviluppo è legato al trattamento delle frazioni derivate da RU (frazione secca, CDR ecc.) aventi poteri calorifici piuttosto elevati. Dall’esame degli ultimi dati aggiornati, si rileva che, in termini di capacità di trattamento, il 73,7% (10.829 t/g) dei rifiuti viene oggi trattata in combustori a griglia raffreddata ad aria ed il restante 26,3% (3.858 t/g) in combustori a griglia
FRANCIA E GERMANIA, MA ANCHE SVEZIA, D peo con il maggior numero di impianti; la Germania è, invece, quello che brucia la maggior quantità di rifiuti (12 milioni di tonnellate ogni anno), a fronte di 58 impianti operativi. A loro volta, Svezia e Danimarca bruciano rispettivamente il 55% e il 50% dei loro rifiuti. In Olanda, invece, sorgono alcuni fra i più grandi inceneritori d’Europa. Ci sono però anche Paesi europei, come Austria, Spagna, Inghilterra, Finlandia, Irlanda e Grecia, che ne fanno un uso molto limitato o nullo. In Italia la gestione dei rifiuti mediante incenerimento si è diffusa sul territorio nazionale tra il 1960 e il 1970, subendo una marcata battuta di arresto nel corso degli anni ‘80. A partire dalla metà degli anni ‘90 si sono riscontrati lenti ma continui segni di ripresa, a seguito sia
milioni di tonnellate del 1996 ai circa 5,0 del 2008. Le apparecchiature impiegate negli impianti di combustione dei rifiuti urbani attualmente operativi sono riconducibili alle seguenti tre tipologie: a griglia, a letto fluido, a tamburo rotante. Sulla base dell’attuale capacità nominale di trattamento del parco impiantistico italiano, pari a 18.205 t/g, l’analisi dell’incidenza percentuale delle apparecchiature per tipologia, rivela come l’apparecchiatura a griglia risulta essere quella di gran lunga la più diffusa con un’incidenza dell’80,7%(14.687 t/g), seguita dal letto fluido con il 17,6% (3.199 t/g) e dal tamburo rotante con l’1,8% (319 t/g). Le apparecchiature di combustione a griglia possono essere classificate in
raffreddata ad acqua. I combustori a letto fluido possono essere classificati in due distinte tipologie: letto fluido bollente (FBB, Fluidised Bubbling Bed) e letto fluido circolante (FCB, Fluidised Circulating Bed). I dati attuali rilevano come il letto fluido bollente sia la tecnica più diffusa, coprendo il 68,3% (2.186 t/g) della capacità di trattamento ascrivibile a tale tipo di apparecchiatura (3.199 t/g). La diffusione delle apparecchiature a tamburo rotante è circoscritta a poche linee di incenerimento: due linee a Montale (PT), una linea a Melfi (PZ) e una linea a Macchiareddu (CA). Mentre per Montale si tratta di un impianto di capacità ridotta che tratta rifiuti urbani, negli altri casi si è in presenza di un tamburo rotante destinato al tratta-
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mento di rifiuti speciali, anche pericolosi, affiancata ad impianto a griglia che tratta rifiuti urbani. Per quanto riguarda invece le modalità di recupero energetico, negli anni c’è stata una forte riduzione degli impianti privi di forme di recupero energetico a favore di quelli con sistemi di produzione energetica, in prevalenza elettrica. Il Rapporto Rifiuti 2009 dell’APAT fotografa in maniera puntuale la realtà della termovalorizzazione “made in Italy”, riferita all’anno 2008. Dai dati resi noti dal Rapporto emerge che, di fronte ad una produzione nazionale di rifiuti urbani in crescita, pari a 32,5 milioni di tonnella-
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calizzato in due sole regioni, Lombardia (13) ed Emilia Romagna (8). Al Centro sono operativi 13 impianti, dei quali 8 in Toscana. Meno fortunato il Sud che conta 8 impianti: 2 in Puglia, 2 in Basilicata, 1 in Calabria, 1 in Sicilia e 2 in Sardegna. Nel numero totale è stato considerato anche l’impianto di Potenza, che risulta in fase di collaudo, nonché l’impianto di Taranto Statte che ha operato solo per un breve periodo. Tra gli impianti operativi, due non prevedono recupero energetico: sono gli impianti di Messina e Firenze, tra l’altro ormai tecnologicamente superati, che hanno smaltito nel 2006 circa 39 mila
Sempre secondo il Rapporto Apat, ammontano a circa 4,5 milioni di tonnellate i rifiuti inceneriti negli impianti dedicati al trattamento dei rifiuti urbani: di questi, 3,3 milioni di tonnellate sono rifiuti urbani, 687 mila tonnellate CDR, 500 mila tonnellate altri rifiuti speciali e 52 mila tonnellate rifiuti sanitari. I rifiuti pericolosi trattati sono oltre 72 mila tonnellate, costituiti, in gran parte, da rifiuti del settore sanitario e ospedaliero. Ricalcando la distribuzione territoriale degli impianti, la maggior quantità di rifiuti è incenerita nelle regioni del Nord: la regione Lombardia tratta quasi il 49% del totale dei RU e CDR avviati a tale
DANIMARCA E OLANDA. I PAESI PIÙ VIRTUOSI te nel 2006 (oltre il 2,7% in più rispetto al 2005) e una positiva diffusione della raccolta differenziata (30,6% della produzione totale dei rifiuti urbani, contro il 24,2% rilevato nel 2005). In Italia la discarica si conferma la modalità di gestione dei rifiuti urbani più diffusa (44,9%). Il ricorso alle altre forme di gestione appare in generale abbastanza stabile: l’incenerimento, facendo registrare un aumento dello 0,7% rispetto al 2005 (10,9% nel 2008), vede crescere la quota di rifiuti trattati, che sale a oltre il 12% dei rifiuti urbani prodotti a livello nazionale. Nel 2006, sulla base dei dati Apat, in Italia risultano operativi 50 impianti di termovalorizzazione, 48 dei quali attivi a pieno regime: quasi il 60% di questi è localizzato al Nord (29) e oltre il 70% degli impianti delle regioni settentrionali è lo-
tonnellate di rifiuti urbani. Sono invece 8 gli impianti dotati di cicli cogenerativi (Cremona, Milano, Brescia, Bolzano, Ferrara, Reggio Emilia, Granarolo dell’Emilia, Forlì), con la produzione sia di energia elettrica sia di quella termica, che hanno trattato 1,7 milioni di tonnellate di rifiuti recuperando 1,3 milioni di MWhe di energia elettrica e 689 mila MWht di energia termica. I rimanenti 38 impianti, infine, presentano sistemi per il solo recupero energetico elettrico e hanno trattato oltre 2,7 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e CDR, con un recupero di 1,6 milioni di MWhe di energia elettrica. Complessivamente, pertanto, nel 2006 sono stati recuperati circa 2,9 milioni di MWhe di energia elettrica (contro gli 809 mila MWhe del 2000) e 689 mila MWht di energia termica.
forma di gestione. A seguire: EmiliaRomagna (16,1%), Toscana (6,2%), Lazio (5,7%), Veneto (4%), Sardegna (3.9%) e Friuli-Venezia Giulia (3,4%). La Lombardia, con il 39%, è di nuovo al primo posto anche considerando la percentuale dei rifiuti inceneriti rispetto alla produzione regionale di rifiuti, seguita da Friuli-Venezia Giulia (22,7%), Emilia-Romagna (22,2%), Sardegna (18,3%), Trentino-Alto Adige (13,2%), Calabria (12,5%), Basilicata (11,6%) e Veneto (6,7%). Per concludere con uno sguardo al futuro, si auspica che, coerentemente con la tendenza europea, anche in Italia vengano realizzati altri impianti, specialmente al Sud e potenziati alcuni di quelli esistenti.
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Il Petrolio che fuma di Francesco Del Conte
La lobby del petrolio disinforma sull’effetto serra come l’industria del tabacco sui tumori”
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“EXXONMOBIL HA PRODOTTO UN CLIMA D’INCERTEZZA SULLE CAUSE UMANE DEL RISCALDAMENTO GLOBALE ESATTAMENTE COME HA FATTO L’INDUSTRIA DEL TABACCO PER CIÒ CHE RIGUARDA LA RELAZIONE TRA IL FUMO E IL CANCRO AI POLMONI. L’INVESTIMENTO IN QUESTA OPERA DI DISINFORMAZIONE È STATO OLTRETUTTO MODESTO, SOLO 16 MILIONI DI DOLLARI, MA HA AVUTO UN’INDUBBIA EFFICACIA”
icordate il film Syriana nel quale George Clooney descrive l’intreccio di relazioni, scontri, guerre più o meno sotterranee che si agita nel mondo dei combustibili fossili? Che non fosse solo fantasia lo si sapeva da tempo. E che i metodi dell’industria del petrolio fossero ampiamente discutibili – e messi in discussione da più parti – era noto, ma che la lobby del petrolio stesse sistematicamente falsificando le prove scientifiche del cambiamento climatico, con azioni di disinformazione, sia presso l’opinione pubblica, sia verso il mondo accademico, è tutt’altra cosa. Ed è successo. Ad affermarlo è un rapporto dell’Union of Concerned Scientist che non solo mette sotto accusa ExxonMobil per l’azione di disinformazione sugli effetti dei cambiamenti climatici, ma va oltre. «ExxonMobil ha prodotto un clima d’incertezza sulle cause umane del riscaldamento globale esattamente come ha fatto l’industria del tabacco per ciò che riguarda la relazione tra il fumo e il cancro ai polmoni – afferma Alden Mayer, direttore di Union of Concerned Scientist –. L’investimento in questa opera di disinformazione è stato oltretutto modesto, solo 16 milioni di dollari, ma ha avuto un’indubbia efficacia». Questa piccola cifra è stata impiegata dal 1998 per creare un network di ben 43 organizzazioni di facciata che hanno utilizzato la propria “potenza di fuoco mediatica” per creare confusione e dubbi sull’attendibilità scientifica circa le motivazioni antropiche del riscaldamento globale. Strategie parallele Finanziamenti a parte che strategia ha adottato il grande gruppo petrolifero nella sua azione di disinformazione sul clima? Il rapporto di Union of Concerned Scientist identifica ben quattro linee guida. Prima di tutto sono stati sollevati dubbi sistematici sulle prove scientifiche, comprese quelle più evidenti circa i cambiamenti climatici, mentre al tempo stesso, è stata costruita una fitta rete di rapporti per creare una piattaforma scientifica virtuale che, amplificasse la risonanza delle pochissime ricerche contrarie ai cambiamenti climatici. Molto importante, inoltre, la creazione di un’immagine razionale e scientifica
dei contenuti propri dell’industria petrolifera da utilizzare per negare l’evidenza dell’effetto serra. Ultimo, ma non in ordine d’importanza, l’accesso diretto e senza filtri alla passata amministrazione Bush, utilizzato per indirizzare a proprio favore sia le politiche, sia la comunicazione del governo statunitense in materia di clima. Solo analisi di scenario poco documentate quelle del rapporto? Non esattamente. Il documento, infatti, per oltre metà delle sessanta pagine è composto da prove difficilmente opinabili, come report riservati, memo e documenti interni che sono rigorosamente riprodotti in originale e ad alta risoluzione. Grazie a questo lavoro investigativo l’Union of Concerned Scientist ha provato che il George C. Marshall Institute, per esempio, ha ricevuto da ExxonMobil 630 mila dollari per pubblicare un libro nel quale si nega la gravità dell’effetto serra di Patrick Michaels, uno strenuo oppositore di lunga data all’evidenza dei cambiamenti climatici che è affiliato a ben undici organizzazioni fondate dal colosso petrolifero. Contemporaneamente l’azienda ha costituito una serie di gruppi d’interesse per promuovere i lavori e le pubblicazioni di diversi ricercatori contrari ai cambianti climatici come l’astrofisica Sallie Baliunas che salì alla ribalta delle cronache alcuni anni fa quando il suo lavoro, nel quale si sosteneva il fatto che il clima non fosse cambiato significativamente negli ultimi mille anni, è stato smentito nei fatti da ben tredici scienziati. «Le carte parlano chiaro – afferma Seth Shulman, uno dei giornalisti investigativi che ha redatto il rapporto –. Osservando da vicino, attraverso i documenti, la strategia di ExxonMobil è chiaro e indiscutibile il fatto che l’azienda ha utilizzato la ricerca scientifica per screditare l’evidenza del riscaldamento globale creando una camera di risonanza composta da una serie di gruppi d’opinione all’apparenza indipendenti». Certo il clima politico creato dalla passata amministrazione Bush ha contribuito non poco al successo delle strategie dell’industria petrolifera che ha attinto a piene mani alla disponibilità, sotto al profilo politico e amministrativo, di personaggi chiave legati al Presidente degli Stati Uniti anche all’interno del Congresso. 30|Giugno 2011
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Il Mondo Scientifico «Come scienziato vorrei pensare che ciò che conta siano i fatti – ha affermato dopo la pubblicazione del rapporto James McCarthy professore di biologia marina a Harvard ed ex direttore del gruppo di lavoro sull’impatto dei cambiamenti climatici dell’Ipcc –. Trovo vergognoso il fatto che ExxonMobil abbia cercato di nascondere le evidenze dei cambiamenti climatici quando il futuro di tutto il Pianeta dipende dalle scelte che faremo
nei prossimi anni». Ma la polemica nata dal rapporto non è isolata. La Royal Society britannica aveva scritto in precedenza all’azienda petrolifera affinché interrompesse l’appoggio offerto ai gruppi che rappresentano in maniera falsa e tendenziosa gli effetti dei cambiamenti climatici. La reazione al rapporto del colosso petrolifero, comunque, non si è fatta attendere. «Si tratta dell’ennesimo tentativo di infangare il nome dell’azienda e di rime-
scolare le carte nell’ambito del dibattito sui cambiamenti climatici –afferma in una nota l’industria –. Il nostro supporto alle ricerche scientifiche sul clima è pubblico e include più di 40 studi realizzati dai nostri scienziati. Ciò che bisogna capire oggi è se le emissioni di gas serra sono determinanti per ciò che riguarda il riscaldamento climatico». Per ExxonMobil il condizionale è d’obbligo e si potrebbe dire che il lupo perde il pelo, ma non il vizio.
IL PASSAPAROLA DELL’ECOLOGIA È DIFFICILE IL TRASFERIMENTO DELLE BUONE PRASSI NEL CAMPO DELLA SOSTENIBILITÀ ENERGETICA. di ALESSANDRO DRAGO
“BARRIERE CULTURALI E SOCIALI POSSONO OSTACOLARE L’AVVIO DI PRODUZIONE ENERGETICA RINNOVABILE O LO SVILUPPO DI SISTEMI DI EFFICIENZA. LA TENTAZIONE DI TRASFERIRE LE BUONE PRASSI TRA TERRITORI DIFFERENTI SENZA ADATTARLI AI DIVERSI CONTESTI È FORTE QUANTO INSIDIOSA”.
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ermanwatch è un’organizzazione non-governativa, senza scopo di lucro con base in Germania, a Bonn. Dal 1991 agisce come think-thank della politica Tedesca, cioè cerca di esercitare la sua influenza sui decisori politici nazionali, soprattutto in materia ambientale, commerciale e sui cambiamenti climatici. Tra i lavori realizzati da Germanwatch al fine di conseguire questi obiettivi vi è la pubblicazione annuale denominata “Indice
26 di performace del cambiamento climatico”, un rapporto di circa 20 pagine in cui sono riportate alcune classifiche circa le migliori politiche nazionali in materia di lotta ai cambiamenti climatici su base mondiale. Come è scritto nell’introduzione, si tratta di uno strumento innovativo volto a migliorare la trasparenza nelle politiche climatiche nazionali. L’indice ha lo scopo di comparare le performance della protezione del clima dei 57 paesi responsabili per oltre il 90% delle emissioni di CO2 globali provocate dall’uso di energia. Il consumo energetico di questi paesi è infatti l’unico dato riconosciuto attendibile a livello mondiale mentre dati relativi ad altre cause che producono CO2 come la deforestazione o l’utilizzo del suolo lo sono meno. L’indice di performance è stato quindi costruito per l’80% su indicatori oggettivi relativi allo stato attuale e al trend delle emissioni di CO2 e per il 20% da una valutazione delle politiche dei paesi interessati effettuata da 190 esperti. Emerge uno scenario che ad esempio, in Europa vede immancabilmente i paesi del Nord nelle posizioni di testa e quelli de Sud con un ranking più basso. Per questi ultimi, tra cui l’Italia, la performance negativa si deve soprattutto alla valutazione delle loro politiche. Per il nostro paese, ad esempio, ha pesato molto l’aver esercitato il ruolo di leader nel tentativo di bloccare l’obiettivo comunitario della riduzione del 30% delle emissioni di CO2 entro il 2020. Contesto importante In realtà, questo modo di analizzare le politiche nazionali su indicatori specifici senza tener conto della loro idoneità al contesto in cui si applicano è piuttosto fuorviante se si considera che ogni paese, quando non ogni regione, è portata a pianificare le proprie scelte sulla base di esigenze specifiche sfruttando le potenzialità esistenti sul proprio territorio. Differenze morfologiche, economiche, politiche, amministrative e burocratiche possono far si che un tipo di sistema energetico da fonte rinnovabile decolli in un determinato paese e non in un al-
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www.ambientarsi.net tro. Così come barriere culturali e sociali possono ostacolare l’avvio di produzione energetica rinnovabile o lo sviluppo di sistemi di efficienza. Nonostante le differenze presenti tra paesi, anche dello stesso continente come nel caso dell’Europa, la tentazione di trasferire le buone prassi tra territori differenti senza adattarli ai diversi contesti è forte quanto insidiosa. In un recente progetto finanziato dalla Commissione Europea per lo scambio di buone prassi in materia di sostenibilità energetica tra paesi dell’UE che ha visto coinvolte regioni dell’Olanda, Spagna, Italia, Grecia, Bulgaria e Romania si è avuto modo di verificare l’effettiva difficoltà ad esportare esperienze di successo da un contesto nazionale ad un altro. Senza dover tirare in ballo il trasferimento di strategie energetiche integrate da una regione ad un’altra in quanto tali politiche necessitano di un’analisi di sfondo del contesto produttivo e socioeconomico afferente a specifiche realtà territoriali, anche il trasferimento di progetti minori come l’utilizzo dei detersivi alla spina nei supermercati possono presentare difficoltà inimmaginate. Da una regione come il Lazio, dove questa iniziativa ha ormai preso piede da circa tre anni grazie alla volontà politica e amministrativa dell’ente Regionale ad una regione del Nord dell’Olanda, intenzionata a “copiare” l’iniziativa, il passo per il trasferimento della buona prassi sembrerebbe breve ed invece non è così. Posto che ci sia la volontà politica dell’isti-
27 tuzione e i fondi in cassa per attuare questa iniziativa, si presentano altri piccoli ostacoli che si frappongono alla realizzazione del trasferimento di questa iniziativa che non sono di poco conto. Anzitutto i soggetti da coinvolgere: è necessario trovare produttori e distributori pronti ad accettare la sfida. Poi è la volta dei consumatori che devono essere incoraggiati a fare un acquisto sostenibile anche se la percezione sociale nei confronti della sostenibilità ambientale sembra aumentata. E veniamo quindi al problema inerente il mercato. Un’iniziativa pilota realizzata con pochi distributori ma soprattutto con pochi produttori di macchine erogatrici e sapone biologico ha fatto emergere, in un contesto diverso da quello originario, una questione relativa alle norme sulla competizione che vorrebbero garantiti gli stessi spazi a tutti i soggetti del mercato presenti in questo settore produttivo. E questo pone un problema di natura legislativa: non tutti i paesi hanno norme che consentono di far collaborare un ente istituzionale come una regione con uno specifico partner commerciale senza incorrere in un richiamo sul trattamento paritario dei soggetti economici interessati da parte della PA. Finanza Climatica Questo esempio rende chiaro quanto sia difficile anche per un progetto semplice come quello dell’introduzione dei detersivi alla spina nei supermercati, la replicabilità in altri contesti nazionali. Eppure il trasferimento del know-how
rimane nel campo della lotta ai cambiamenti climatici un sistema altamente strategico tanto che nel Rapporto sul Cliamte Change Performance del 2011, Germanwatch ha introdotto per la prima volta l’indicatore di finanza climatica come criterio per la valutazione delle politiche dei paesi avanzati. Concepita all’interno dell’Accordo di Copenhagen, l’iniziativa riguarda il finanziamento di circa 30 miliardi di $ da parte dei paesi del nord del mondo nei paesi in via di sviluppo per avviare azioni di mitigazione, progetti di sviluppo per le tecnologie di adattamento, trasferimento e costruzione di capacità. Tale iniziativa, che chiaramente riprende il principio del CDM (Climate Development Mechanism) del Protocollo di Kyoto, mira ad incoraggiare finanziamenti mirati che siano non soltanto soddisfacenti ama anche “nuovi e complementari” rispetto al sistema ufficiale di aiuti ai paesi terzi (ODA). Anche questo tipo di iniziative si basano giustamente sul trasferimento di buone prassi che nei paesi meno sviluppati necessitano ancora di più di una capacità interpretativa delle problematiche del paese ricevente da parte del paese esportatore di know-how. Anche nel campo della lotta ai cambiamenti climatici può risultare in parte utile la celebre frase di Montesquieu sulle leggi: “le leggi devono essere adatte al popolo per il quale sono state concepite: è un caso raro che le leggi dell’uno convengano a un altro.”
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epn awards
PREMIATI I MIGLIORI LAUREATI CHE HANNO POSTO AL CENTRO DEI LORO LAVORI IL RISPARMIO ENERGETICO
di SARA DI MICCO
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i è svolta a Roma, presso la Sala delle Colonne di Palazzo Marini (sede congressuale della Camera dei Deputati), la cerimonia conclusiva della I edizione del concorso Energy Professional Network Awards, l’evento promosso dal Gruppo ADL con il fine di premiare i migliori laureati in Ingegneria e Architettura che, nel corso dei propri studi, hanno proposto soluzioni di particolare interesse rispetto alla riduzione dei consumi energetici e all’utilizzo di tecnologie innovative che incentivino le fonti di energia rinnovabili. In apertura di giornata, hanno rivolto un saluto ai presenti Ermete Realacci, Presidente del Forum Green Economy e Qualità italiana del Partito Democratico, Edo Ronchi, Presidente Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e il Prof. Gino Moncada Lo Giudice, già Senatore della Repubblica. La cerimonia di conferimento dei premi di laurea è stata preceduta da due dibattiti, entrambi moderati dal Prof. Ing. Luigi Verolino. Il primo, dal titolo “Le nuove frontiere della Ricerca sui temi del risparmio energetico”, ha visto intervenire il Prof. Ing. Angelo Milone, Preside della Facoltà di Architettura dell’Università di Palermo, il Prof. Ing Gian Vincenzo Fracastoro, Responsabile Energia del Politecnico di Torino, la Prof.ssa Ing. Claudia Bettiol, docente dell’Università di Roma Tor Vergata e il Dott. Alessio Borriello, Responsabile Unità Relazioni Istituzionali Nazionali dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas. Nel secondo momento di confronto, dal titolo “Produzione e innovazione: prodotti e tecnologie eco-orientate”, protagoniste sono state le aziende sponsor che hanno reso possibile la realizzazione di questo evento, ovvero Technel S.r.l., Ka Konstrukt S.r.l. - KLH Italia, Ansaldo Energia S.p.A., Bticino S.p.A., Scheuten Solar Italy S.r.l., Aurora S.r.l. e Modo S.r.l.
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Foto 1: On. Prof. Gino Moncada Lo Giudice Foto 2: da sinistra Prof. Ing. Angelo Milone, Prof. Ing. Luigi Verolino, Prof. Ing. Claudia Bettiol. Foto 3: Massimo Romani, Aurora Srl Foto 4: da sinistra On. Ermete Realacci, On. Edo Ronchi Foto 5: un’immagine della platea
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Foto 6: I vincitori dell’Energy Professional Network Awards - da sinistra Matteo Serraino 1° classificato Premio: 2.000,00 euro Tesi: La riqualificazione energetica degli edifici. Il caso del Collegio Einaudi a Torino Vincenzo Parascandolo 3° classificato Premio: 500,00 euro Tesi: Simulazione dinamica di impianti di climatizzazione ad energia solare Premio: 500,00 euro Nicola Fergnani 2° classificato Premio: 1.000,00 euro Tesi: M icrocogene ra z ione e fonti rinnovabili: gestione ottimizzata nello scenario delle Smart Grids
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Progetto Legno di Sara Di Micco
Il legno è un valido materiale da costruzione, ma è necessario superare dei pregiudizi”
“IL LEGNO PERMETTE UN ELEVATO RISPARMIO ENERGETICO E MANTIENE UNA TEMPERATURA DI BENESSERE COSTANTE ALL’INTERNO DELL’ABITAZIONE, VANTA UNA BUONA VELOCITÀ DI COSTRUZIONE, È ANTISISMICO E HA SUPERATO TUTTI I TEST ANTINCENDIO”.
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’ingegnere Vaclav Kadera è il presidente della Ka-Konstrukt srl e dal 1999 promuove la produzione industriale di pannelli strutturali X-lam sul mercato italiano diffondendo la cultura della costruzione in legno. La Ka-Konstrukt è una società molto attenta all’attività di promozione ed informazione, non solo attraverso la partecipazione a fiere di settore a carattere nazionale e internazionale e a seminari tecnici, ma anche con la presenza attiva a manifestazioni prestigiose come l’Energy Professional Network Awards. La prima edizione del premio per Tesi di
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32 Laurea, svoltasi lo scorso 10 maggio 2011 presso le sale congressuali della Camera dei Deputati, ha premiato tre giovani ingegneri particolarmente meritevoli per gli studi affrontati e si è caratterizzata per interventi sul tema della ricerca e della produzione in chiave eco-sostenibile di particolare interesse e valore scientifico e culturale. Ci siamo confrontati con l’ingegnere e ci siamo fatti descrivere la realtà della sua azienda.
da nord a sud. Negli anni le costruzioni in X-lam hanno preso piede soprattutto nelle regioni del nord-centro Italia, mentre al sud si comincia solo ora ad interessarsi a questa tecnica di costruzione». Il legno è il materiale che meglio si coniuga alla progettazione ecosostenibile, può descriverci i vantaggi, sia in termini energetici che ambientali, degli edifici realizzati con questo materiale? «A causa di falsi pregiudizi raramente il legno viene visto come materiale da
tutti i test antincendio». Che tipo di pannelli utilizza la sua Azienda, come vengono realizzati e quali certificazioni annoverano? «La collaborazione storica tra i nostri tecnici e la KLH Massivholz GmbH leader nel settore dei pannelli X-lam, garantisce forniture precise, sia nella qualità del prodotto che nelle tempistiche delle consegne. La produzione del pannello cominciò in Austria nel 1999. I pannelli sono composti dall’assemblaggio di ta-
Dall’ottobre 2000 a ora si può notare un fo pannello Klh fece la prima comparsa in te ra SAIE di Bologna nel 2000 Quanto è sviluppata la costruzione in legno in Italia e quali sono le Regioni dove trova maggiore diffusione? «Dall’ottobre 2000 a ora si può notare un forte sviluppo nelle costruzioni in Xlam. Il pannello Klh fece la prima comparsa in territorio italiano con l’esposizione alla fiera SAIE di Bologna nel 2000. I primi lavori si concentrarono in Trentino Alto Adige, dove è sempre stata presente la cultura della costruzione in legno. Nel febbraio del 2006 ho aperto la Ka-Kontrukt dando inizio a un vero e proprio punto di riferimento e commercializzazione del pannello in tutta Italia,
costruzione per interi edifici, è tra i nostri obiettivi smentire queste convinzioni mostrando i vantaggi offerti dalle realizzazioni in legno. Il nostro pannello ha funzione portante, viene utilizzato come parete, solaio e copertura, si combina facilmente con qualsiasi altro materiale da costruzione, come vetro e acciaio ed è un materiale rinnovabile ed ecosostenibile. Permette un elevato risparmio energetico e mantiene una temperatura di benessere costante all’interno dell’abitazione, vanta una buona velocità di costruzione, è antisismico e ha superato
vole incollate a strati incrociati. Tutte le varie lavorazioni richieste dal committente vengono fatte nella sede di produzione, così da rendere ancora più veloce il montaggio in cantiere. Per poter garantire tempi di costruzione piuttosto brevi, la struttura portante delle edificazioni a più piani viene realizzata con il sistema a piani Klh. L’intera costruzione dell’edificio si realizza con le caratteristiche di resistenza al fuoco richieste dal progetto e variano dal R 30 a R 60 fino a R 90 o R 120. Si sono ottenuti così edifici snelli, eleganti e, soprattutto, con maggiori superfici nette a
www.ambientarsi.net disposizione degli abitanti. L’utilizzo dei pannelli KLH di grande formato (lunghezza massima 16,5 m, larghezza massima 2,95 m, spessore massimo 0,6 m) consente, nonostante le molte aperture, di realizzare piattaforme per pareti relativamente lunghe per la dispersione di forze orizzontali. Un solaio è costituito per la maggior parte dei casi da 3 fino a 5 pannelli e da un numero minimo di fughe per sopportare le spinte. La costruzione semplice con il sistema a piani ricopre particolare
33 ci piani è stato costruito a Londra in soli quarantaquattro giorni lavorativi». Il legno si adatta solo per la realizzazione di edifici di piccole dimensioni o anche per edifici pluripiano? Da questo punto di vista quali sono le garanzie di sicurezza in area sismica? «Le costruzioni in x-lam rendono possibile la realizzazione di qualsiasi edificio: dalle piccole dimensioni a opere pluripiano, ad esempio palazzine fino a nove piani fuori terra. Grazie ai test
vorazione e realizzazione di costruzioni su progetto. Seguiamo i committenti sin dalla fase informativa indicando le soluzioni più valide per ogni singolo progetto». Crede che la necessità di realizzare edifici a basso consumo energetico influenzerà in modo positivo la diffusione degli edifici in legno? «Assolutamente si, in considerazione della diffusione, negli ultimi anni in Italia, di realizzazioni in legno: non solo abita-
orte sviluppo nelle costruzioni in X-lam. Il erritorio italiano con l’esposizione alla fie-
importanza soprattutto nei territori a rischio di terremoti». Può dirci, in modo esemplificativo, quali sono i costi e i tempi di costruzione di una abitazione unifamiliare? «I costi del pannello variano rispetto allo spessore e al progetto. È difficile dare un prezzo indicativo per una costruzione. Come precedentemente detto uno dei punti di forza delle costruzioni in x-lam è la velocità di costruzione; sono richiesti alcuni giorni per assemblare pareti e solai e pochi mesi per una struttura “chiavi in mano”. Per esempio un edificio di die-
fatti a Kobe (Giappone) sulla più grande piattaforma di simulazione sismica possiamo garantire la sicurezza anche in zone ad alta sismicità come ad esempio L’Aquila». Considerando che parliamo di un sistema costruttivo a secco che utilizza procedimenti industrializzati, la sua Azienda è capace di offrire una proposta personalizzata rispetto alle esigenze della committenza e del progettista o, come molti suoi competitor, vende “case su catalogo”? «La Ka-Konstrukt è specializzata nella la-
zioni ma anche edifici pubblici come scuole, asili, banche e così via». Volendo fare una previsione per il futuro, quali pensa saranno gli sviluppi di questa tipologia costruttiva nel nostro Paese e, in particolare nel Mezzogiorno? «Mediante una buona pubblicità e puntando sui molteplici vantaggi di queste costruzioni riteniamo che nei prossimi anni si potranno avere dei buoni risultati anche nel Sud del Paese, notando già da ora dei piccoli passi verso questa tipologia di costruzione». 30|Giugno 2011
UNA NORMA PER L’ENERGIA NORMARE LA GESTIONE DELL’ENERGIA CONVIENE ALLE AZIENDE E ALL’AMBIENTE. ECO Management A N G E L O F E R L I N I , SGS Italia d i L U C A V E C C H I AT O ,
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uando il premio Nobel Ilya Prigogine introdusse il concetto di “strutture dissipative” (ossia quei sistemi complessi che mantengono la propria coerenza interna a spese dell’aumento di entropia complessiva, degradando risorse ed energia) lo scienziato aveva in mente soprattutto i sistemi biologici. Ma il concetto si applica altrettanto bene a ogni organizzazione umana: un’azienda manifatturiera, un ente pubblico, uno studio professionale sono “organismi complessi” che vivono e prosperano consumando energia per perseguire i propri fini. Il paradigma di consumo indiscriminato, che ha guidato lo sviluppo industriale degli ultimi due secoli, è ora messo in discussione da un incipiente era di risorse decrescenti e di ardue sfide ambientali. Alle organizzazioni toccherà, quindi, una difficile conversione che le porti a consumi e impatti ambientali sempre minori. La “pressione ambientale” che guiderà il cambiamento sarà sociale, economica e legislativa ma il cambiamento dovrà nascere all’interno delle organizzazioni stesse. In questa ottica nasce nel 2009 la nuova norma UNI/CEI EN 16001 – requisiti e linee guida per i sistemi di gestione dell’energia. La norma nasce in ambito europeo dal comitato CEN/CENELEC TF 189 e si configura come un potente strumento operativo per perseguire gli obiettivi della Direttiva 2006/32/CE sull’efficienza degli usi finali dell’energia. Concettualmente la UNI/CEI EN 16001 ricalca norme precedenti come la ISO
14001:2004 ed è facilmente integrabile con queste. Le sue principali caratteristiche sono: • universalità: la norma si propone a ogni tipo di organizzazione che voglia controllare e gestire il suo consumo di energia in modo efficiente; • bassa prescrittività: non vengono imposti valori di performance energetica ma deve essere l’organizzazione a darsi gli obiettivi in campo energetico; • certificabilità: l’impegno dell’organizzazione sull’efficienza energetica può essere certificato da un ente terzo. Il percorso che porta un’azienda, anche medio-piccola, a certificarsi secondo UNI/CEI EN 16001 comincia sempre dalla definizione della Politica Energetica, il documento con cui la direzione dell’azienda fa proprio l’impegno al miglioramento continuo in campo energetico e si impegna a rendere disponibili le risorse necessarie. A questo deve fare seguito un audit energetico che permetta il censimento degli “aspetti energetici”, ossia degli aspetti dell’attività che comportano un consumo di energia significativo. Questi vanno messi in relazione con i “fattori energetici”, cioè con tutte quelle variabili che influenzano i consumi. Se talvolta questa correlazione è semplice da individuare (ad esempio l’aspetto energetico “riscaldamento degli uffici con metano” è ovviamente correlato con il fattore energetico “temperatura esterna”) spesso la relazione è più celata e scoprirla è l’occasione per comprendere al meglio l’utilizzo dell’energia all’interno dell’organizzazione.
www.ambientarsi.net Non solo tecnica Nell’audit va compreso anche un controllo di rispetto degli obblighi legislativi in materia. Anche se la normativa energetica è molto meno corposa e articolata di quella ambientale, nondimeno esistono obblighi ben precisi: vanno ricordati, ad esempio, gli adempimenti dettati dalla Legge 10/91 quali la nomina dell’energy manager per le aziende energy intensive o gli obblighi di isolamento degli edifici e di efficienza minima degli impianti di
35 riscaldamento. Da quanto detto risulta chiaro come, a causa dell’elevato livello delle competenze necessarie, quasi sempre sia indispensabile affidare a strutture specializzate l’esecuzione degli audit. A questo punto, sulla scorta dei risultati dell’audit, va modellato il sistema di gestione vero e proprio. Il lavoro comporta spesso l’integrazione di procedure e istruzioni operative già esistenti: a causa dell’elevato impatto economico della bolletta energetica le organizzazioni si sono già date dei metodi di controllo e monitoraggio ma questi sono pezzi dispersi e incompleti di un puzzle che va riordinato. Occorre, quindi, procedere a una gap analisys per verificare quali aspetti della norma sono attualmente ottemperati e quali vanno invece modificati o introdotti in azienda, in modo da indirizzare correttamente una futura certificazione del sistema. Le parti sulle quali è necessario intervenire sono solitamente quelle relative alla costruzione di obiettivi sull’uso dell’energia. L’organizzazione si deve dare un programma di riduzione dei consumi, in modo da innescare quel ciclo di Deming (plan / do / check / act) che sta alla base di tutti i sistemi di gestione. Particolare accento è posto dalla norma sulle procedure di manutenzione e gestione degli offset ma, soprattutto, sulla formazione e informazione in campo energetico. Anche in azienda, come nella vita domestica, sono i comportamenti più che gli investimenti a spostare la bilancia del consumo efficiente. Va, quindi, rivisto e migliorato l’“organigramma energetico” per evidenziare tutti i ruoli che hanno responsabilità rilevanti nel consumo complessivo. A capo del Sistema di Gestione andrà nominato un Responsabile del sistema. Tale figura non va confusa con l’energy manager che la legge impone di nominare alle aziende produttive che hanno un consumo superiore ai 10.000 TEP (tonnellate equivalenti di petrolio): le competenze, che la norma chiede al RSGE, quali la capacità di confrontarsi con i tecnici e gli esperti, lo fanno diventare il reale
perno della gestione efficiente dell’energia. Suo compito è, inoltre, affrontare e gestire le non conformità del sistema di gestione. Il sistema, infine, prevede audit e incontri periodici di verifica dei risultati conseguiti (riesame di direzione). Il riesame, comune a tutti i sistemi di gestione, è il momento in cui la Direzione prende in esame input e output del sistema per confermare o modificare, se ce ne fosse bisogno, gli obiettivi finali del sistema. Tale momento dovrebbe anche comprendere, per quanto possibile, un bench-marking con i risultati ottenuti da organizzazioni similari. In conclusione, le possibilità/opportunità offerte dai sistemi di gestione dell’energia consentono di governare e gestire in modo consapevole / intelligente / razionale e, quindi, efficiente / efficace / ottimizzato i vari aspetti tecnici ed economici delle modalità secondo le quali soddisfare il fabbisogno complessivo di energia di un qualsiasi ciclo produttivo industriale, con costi assai contenuti (anche in termini di impiego di risorse umane) e perciò sostenibili anche da aziende di dimensioni limitate. La concretizzazione di un siffatto approccio integrato e coordinato alla gestione dell’energia risulta prodromica all’implementazione delle registrazioni e ottimizzazioni richieste dalla nuova Norma UNI/CEI EN 16001. Per un’Azienda medio-piccola è tuttavia necessario: • che il Management sia ben consapevole della rilevanza dei costi energetici, non solo per il loro aspetto strettamente economico ma anche per i connessi risvolti socio-ambientali; • che ci si avvalga dell’assistenza di una qualificata struttura di consulenza specialistica in campo energetico, per la costruzione di un appropriato sistema di gestione dell’energia.
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IL SÌ CHE VINCE di ANDREA BIANCO
AFFLUENZA ALLE URNE AL 55%. ABROGATI NUCLEARE, LEGITTIMO IMPEDIMENTO E PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA
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N “CON IL NO ALLA PRIVATIZZAZIONE DEL SERVIZIO IDRICO SI SONO GETTATE LE BASI PER FAR USCIRE DAL MERCATO UN BENE INDISPENSABILE PER TUTTI GLI ESSERI VIVENTI E PER ATTUARE, AL CONTEMPO, NUOVE POLITICHE DI PARTECIPAZIONE BASATE SULLA CORRETTA INFORMAZIONE, SULLA CONSULTAZIONE PREVENTIVA DEI CITTADINI E SUL LORO COINVOLGIMENTO PER IL FUTURO DELL’ACQUA”
on accadeva da 16 anni che una consultazione referendaria raggiungesse il quorum. Secondo i dati del ministero dell’Interno circa il 55% degli italiani (quasi 27 milioni e 700 mila) si è recato alle urne, decretando con il 95% di preferenze per il sì, dato pressoché omogeneo per tutti e quattro i quesiti referendari, l’abrogazione delle norme su nucleare, legittimo impedimento, gestione e tariffe dell’acqua. Un risultato non certo inaspettato per i comitati referendari che, sulla spinta del richiamo dei quesiti, hanno da sempre creduto in un’ampia partecipazione popolare. Una significativa bocciatura invece per il Governo Berlusconi, chiamato ora a ripensare alcune delle sue riforme chiave. Vince l’Italia dei Beni Comuni. Vince l’Italia che non ha ceduto alla consegna del silenzio o dell’indifferenza dei media generalisti, dimostrando una voglia di partecipazione impetuosa che si è espressa attraverso canali di comunicazione non convenzionali. Al referendum popolare n.1, “Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica - abrogazione”, i votanti sono stati il 54,81%, con il 95,35% di preferenze per il sì. Il secondo quesito, “Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito - abrogazione parziale di norma”, ha richiamato al voto il 54,82% degli elettori, il 96,80% dei quali ha detto sì. Per la domanda n.3, “Abrogazione delle nuove norme che consentono la produzione nel territorio di energia elettrica nucleare”, si sono recati alle urne il 54,79% degli aventi diritto, con il 94,05% dei sì. Infine, per il quarto ed ultimo quesito, “Abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte costituzionale”, si è registrata un’affluenza del 54,78%, il sì ha raccolto il 94,62% di preferenze. Ampia soddisfazione, in merito soprattutto all’esito del quesito sul nucleare, è stata espressa da tutti colori che hanno portato avanti la campagna referendaria. “Oggi (lunedì 13 giugno) è una bellissima giornata per il Paese e per tutti gli italia-
ni – ha dichiarato il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. Dopo aver perso due anni dietro ad una infatuazione del tutto anacronistica del Governo verso una tecnologia vecchia e pericolosa, chiediamo alla maggioranza di non fare altri danni e di legittimare il risultato elettorale dando il giusto spazio e gli strumenti adeguati allo sviluppo delle tecnologie moderne, sicure e pulite, che gli italiani hanno evidentemente scelto, consci fino in fondo dei vantaggi derivanti dall’essere un Paese privo di centrali sul proprio territorio”. “A distanza di quasi venticinque anni dal Referendum del 1987, l’Italia ribadisce ancora e definitivamente il proprio rifiuto all’energia nucleare - commenta invece Salvatore Barbera, responsabile della campagna Nucleare di Greenpeace -. È giunto il momento di seguire il modello tedesco verso un sistema energetico basato su efficienza e fonti rinnovabili”. Ora, da più parti, si chiede che i 60 miliardi di euro necessari a sviluppare il piano nucleare del Governo vengano investiti nel settore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, in modo da poter creare oltre 70 mila posti di lavoro in dieci anni. Anche l’esito dei due quesiti sull’acqua ha raccolto ampi consensi favorevoli. Il WWF chiede che “si riparta dalla proposta di legge di iniziativa popolare presentata nel 2007 dal Forum dei movimenti per l’acqua che è stata sottoscritta da 400.000 italiani e che una classe politica, sorda a quanto avviene fuori dal Palazzo, ha completamente e colpevolmente ignorato per tutti questi anni. La grande vittoria ai due referendum sull’acqua è una vittoria di tutte le italiane e di tutti gli italiani che sono stati messi nelle condizioni di esprimersi sulla gestione di un bene comune grazie all’azione di un ampio movimento di associazioni, comitati, realtà locali, sindacati”. Con il no alla privatizzazione del servizio idrico si sono gettate le basi per far uscire dal mercato un bene indispensabile per tutti gli esseri viventi e per attuare, al contempo, nuove politiche di partecipazione basate sulla corretta informazione, sulla consultazione preventiva dei cittadini e sul loro coinvolgimento per il futuro dell’acqua. 30|Giugno 2011
R I B A L T A R E L’ E N E R G I A IL CAMBIAMENTO RADICALE DELL’APPROCCIO ENERGETICO È INDISPENSABILE PER LE SFIDE FUTURE di SIMONE MALACRIDA
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a questione energetica è stata affrontata miriadi di volte. Ormai c’è una letteratura sconfinata a riguardo, da semplici articoli fino a report strutturati per arrivare a libri sia divulgativi sia tagliati per un pubblico di alto livello. Basta fare una ricerca sul web per rendersi conto che i dati, le tabelle, i grafici, i trend sono facilmente reperibili, a volte anche in contrasto tra di loro in quanto molto spesso si trovano delle letture “ideologiche” di numeri che, di per sé, sono invece inanimati ed oggettivi. L’impostazione è, quasi nella totalità delle volte, sempre la stessa. Si parte da quanta energia si produce (con un parametro di merito dato dalle “tonnellate equivalenti di petrolio”, il famoso Goe), analizzando l’andamento storico e per fonte energetica, si suddivide questa produzione per aree geografiche, singoli Stati, tipologia di combustibili, differenti utilizzi e poi si passa a prendere in considerazione le singoli fonti, delineando un quadro di evoluzione per il futuro. In sostanza si usa un approccio “dall’alto”, stabilendo quanto si produce, come si produce, cosa si produce, chi produce e quanto serve produrre per il futuro. Adottando questa visione, sono redatti i principali report mondiali e nazionali e su ciò ci si basa per addurre alcune tesi o concetti, per esempio, affermando che si può prevedere un declino del nucleare o che il gas naturale supererà il petrolio come fonte energetica primaria. Sempre da quest’ottica, si trae una semplice costatazione: se si vuole cambiare il paradigma energetico, si deve, per forza di cose, agire dall’alto perché, solo se si modificano quelle cifre, si avranno delle ripercussioni sostanziali sul futuro energetico. Ma è proprio così? Questa
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visione è l’unica possibile? No, per fortuna non lo è. Non lo è per due distinti motivi che si legano a vicenda nella figura dell’utente, in definitiva, in ognuno di noi. Il primo di questi motivi è legato al fatto che, da queste cifre e da questa visione, è totalmente nascosta l’utilità dell’energia; il secondo motivo risiede nella capacità di scelta del singolo. Se non si capisce che tutta l’energia prodotta serve esclusivamente per soddisfare gli usi, le abitudini, gli agi e le necessità dell’essere umano, si attua un fuorviante cambio di prospettiva in cui le cifre e i numeri sembrano essere messi lì a caso o per volontà imposta. L’energia prodotta e consumata serve per permettere i trasporti moderni e per avere buone infrastrutture come ospedali e scuole, buon cibo, case riscaldate con una vita più confortevole, prodotti di consumo quali gli elettrodomestici e gli accessori per l’illuminazione. Similmente, l’utente finale può decidere quanta energia consumare, andando a selezionare particolari prodotti piuttosto che altri o modificando degli atteggiamenti e degli usi, tali da cambiare tutto il panorama. Una visione siffatta, se vogliamo “dal basso”, rimette l’uomo al centro del problema energetico con tutte le problematiche annesse, dall’aspettativa di vita alle primarie necessità, dallo sviluppo alla sostenibilità. Vedere tutto dall’alto non solo toglie l’anima all’energia, ma tratta gli utenti come semplici ricettori di un flusso energetico e informativo monodirezionale in cui tutto è imposto
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dall’alto tramite strategie economiche, politiche e internazionali. Fortunatamente non è così. Ognuno di noi ha una libertà intrinseca di poter decidere e, se vogliamo, di poter cambiare una questione così complessa come quella dell’energia. Possiamo pensare a due esempi concreti: la produzione locale di energia elettrica tramite pannelli fotovoltaici e l’auto elettrica. In entrambi i casi, è l’utente finale a poter decidere di cambiare il paradigma energetico, poiché l’installazione di massa di pannelli fotovoltaici sulle abitazioni modificherebbe, di colpo, l’intero scenario, con numeri e cifre che non sarebbero quelle previste dall’alto e, allo stesso modo, si può pensare all’auto elettrica e alla fine dell’era del petrolio. Tempi immaturi Si potrebbe obiettare che non vi sono ancora le condizioni adatte, soprattutto per le auto elettriche, e, in parte, è vero. Non esistono legislazioni, reti distributive adatte e via dicendo. Ma questo è un altro modo di pensare dall’alto cioè di pensare che è il mercato a plasmare gli utenti e non viceversa. A volte questa concezione è bollata come semplice utopia ma non lo è se si pensa al sistema politico e a come si è evoluto, in Occidente e in Europa, negli ultimi due secoli. Il concetto di democrazia come la intendiamo noi non era per niente diffuso nell’Ottocento, nemmeno dopo le Rivoluzioni americane e francesi. Si è dovuto agire per passi successivi fino
al suffragio universale e alla visione di potere politico dal basso. Oggi questo modello è talmente integrato che nessuno di noi è disposto a rinunciare a quelle libertà di espressione, di associazione e di pensiero tipiche di un sistema democratico e ogni regime differente, da quello aristocratico alle dittature, non è accettato dall’opinione pubblica ed è considerato anti-storico. Si tratta di estendere questo concetto dal sistema politico a quello di produzione, gestione e consumo dell’energia. Il passaggio da un modello concentrato, tipico dei combustibili fossili, nel quale la produzione e la distribuzione dell’energia è in mano a pochi attori e il flusso è totalmente unilaterale dall’alto al basso a un modello distribuito, intrinseco nella natura delle fonti rinnovabili e che contempla un differente approccio tra uomo ed energia, è il vero banco di prova per un ribaltamento della concezione dominante e per una nuova filosofia di fondo. L’assunto fondamentale da tenere a mente ha le radici nella natura stessa delle cose e parte dal presupposto che tutta l’energia prodotta serve per soddisfare i nostri bisogni. Modificando, quindi, alcuni aspetti di questi bisogni consegue sicuramente un quadro differente. È questa, in sostanza, la rivoluzione che parte dal basso, dalle esigenze di ognuno di noi. Anche per l’energia vale l’affermazione di Gandhi: «sii tu il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo». 30|Giugno 2011
Sistri sull’orlo d i L u c a Ve c c h i a t o Mirko Muraro
Avrebbe dovuto semplificare la gestione dei rifiuti ma, alla prova dei fatti, sono molti i dubbi delle aziende�
“IL SISTEMA È COMPLESSO E PREVEDE L’UTILIZZO DI DISPOSITIVI PARTICOLARI IN GRADO DI CERTIFICARE TUTTI I MOVIMENTI DEI RIFIUTI PRODOTTI E AVVIATI A RECUPERO/ SMALTIMENTO; NELLA MIGLIORE DELLE IPOTESI SI REGISTRERANNO NOTEVOLI RALLENTAMENTI NELLE NORMALI ATTIVITÀ DI GESTIONE CON PROGRESSIVO AUMENTO DEI COSTI ED INCREMENTI DI PERSONALE”.
S
ISTRI, il nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti, sarebbe dovuto partire il 1° giugno 2011. Questa data è stata vissuta con angoscia dal mondo produttivo e da tutti gli operatori del settore che hanno temuto la paralisi delle attività. Solo all’ultimo momento un provvidenziale comunicato del ministero ha spostato l’avvio del sistema al 1° settembre 2011, dando un momento di respiro a un settore produttivo che è impegnato al momento in un corpo a corpo, oltre che con la crisi economica, anche con un
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42 sistema che non funziona e che difficilmente funzionerà mai. Nelle intenzioni del Mistero dell’Ambiente SISTRI: • avrebbe permesso la semplificazione delle procedure e degli adempimenti burocratici (sostituzione del FIR, registro c/s e MUD con dispositivi elettronici); • avrebbe consentito alle Autorità di conoscere in tempo reale i dati relativi ai rifiuti gestiti dalle aziende; • avrebbe permesso un controllo più specifico e dettagliato sulle movimentazioni di rifiuti (tracciabilità) al fine di contrastare i fenomeni di illegalità.
Il sistema si impernia su “dispositivi USB” che permettono alle aziende di firmare i propri dati sui rifiuti e di caricare i dati stessi su un portale ufficiale del ministero e su “black box” che permettono la tracciatura via GPRS dei mezzi autorizzati a trasportare i rifiuti. Le intenzioni erano ottime ma, da subito, hanno cozzato contro una realizzazione opaca, approssimativa e assolutamente incurante delle necessità operative delle aziende. Anche se immediatamente sono stati riscossi dalle realtà produttive interessate (oltre 500.000 aziende tra produttori di rifiuti, trasportatori, impianti di recupero e smaltimento e altri operatori del settore) i contributi annuali, SISTRI si è
subito caratterizzato per un funzionamento deficitario e insoddisfacente: procedure arzigogolate, dispositivi non funzionanti, lunghi periodi di black-out del portale. Il click day dell’11 maggio 2011 (con cui il mondo produttivo ha effettuato uno “stress test” su SISTRI) ha fornito risultati disastrosi rispetto alla tenuta del sistema con il 30% degli accessi non riusciti in 19 ore di utilizzo del portale www.sistri.it. Ma i dati sono ben peggiori, con un blocco generalizzato del sistema nelle ore di maggior utilizzo con l’impossibilità di accesso da parte degli operatori. Le interpretazioni dei dati (quasi 122.000 collegamenti e ol-
“I problemi non possono essere risolti usando gli stessi schemi mentali che li hanno generati� (Albert Einstein)
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44 tre 37.000 accessi non riusciti) espongono uno scenario preoccupante sulle potenzialità del sistema che deve garantire continuità aziendale per 365 giorni all’anno senza interferire sulle possibilità di competere liberamente sul mercato da parte di migliaia di aziende del settore ambientale. Nonostante questo il ministero dell’Ambiente, sprezzando il ridicolo, ha definito “un pieno successo” i risultati del Click Day. Come detto il sistema è complesso e prevede l’utilizzo di dispositivi particolari (USB, black box, telecamere) in grado di certificare tutti i movimenti dei rifiuti prodotti e avviati a recupero/ smaltimento. Nella migliore delle ipotesi si registreranno notevoli rallentamenti nelle normali attività di gestione con progressivo aumento dei costi ed incrementi di personale. Nodo normativo Il quadro normativo, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.M. 18/02/2011 nr. 52, aggiunge ulteriori oneri a tutti i soggetti coinvolti da SISTRI anche in termini di obbligatorietà dell’aggiornamento normativo tramite il portale www.sistri.it che comporta un’interpretazione dinamica della norma che può evolvere nelle procedure operative tramite l’aggiornamento del portale, che non ha un tempo tecnico per l’adeguamento dei sistemi organizzativi, ma viene effettuato in tempo reale. Il D.Lgs. 205/2010, che recepisce la Direttiva 2008/98/CE, norma le sanzioni relative a SISTRI introducendo un elemento di novità che subordina le stesse al sistema informatico: art. 260
– bis, comma 3 “Chiunque omette di compilare il registro cronologico o la scheda SISTRI - AREA MOVIMENTAZIONE, secondo i tempi, le procedure e le modalità stabilite dal sistema informatico di controllo di cui al comma 1, ovvero fornisce al suddetto sistema informazioni incomplete o inesatte, altera fraudolentemente uno qualunque dei dispositivi tecnologici accessori al predetto sistema informatico di controllo o, comunque, ne impedisce in qualsiasi modo il corretto funzionamento, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da […]”. Le aziende di gestione rifiuti che fin qui si sono dotate di software gestionali che vanno oltre SISTRI, perché di fatto gestiscono i processi interni dell’impresa, avranno quindi l’ulteriore onere di vedersi garantita una perfetta interoperabilità per non incorrere in sanzioni. L’interoperabilità dei sistemi informativi aziendali con il SISTRI è ben lontana dall’essere completa e risente dei continui aggiornamenti alle procedure fornite dal Ministero alle software house, peraltro non normati, con tempi di implementazione delle nuove procedure assolutamente insufficienti rispetto alla data del 1° giugno. È facile prevedere il totale blocco delle attività con l’entrata in funzione del sistema con conseguente danno economico agli operatori e danno ambientale alla collettività. È opportuno far partire il sistema solo quando ci sarà un minimo di garanzia nella tenuta dell’infrastruttura e tutti gli operatori avranno avuto modo di testare le nuove procedure che assolutamente devono essere integrate nei software gestionali in uso. Non si
può mettere a repentaglio la libertà di impresa e di concorrenza con una procedura non sperimentata nella sua completezza. La partenza del sistema di tracciabilità informatica non può prescindere dalla perfetta integrazione dei software aziendali e quindi va indicato dal MATTM (Ministero dell’Ambiente) un termine entro cui tutte le implementazioni ed il rilascio di metodi e funzioni devono essere considerate definitive (31/12/2011). Il secondo step deve prevedere un regime di “doppio binario” nel quale viene lasciato lo spazio per la formazione e l’assistenza necessaria per poter adattare i sistemi aziendali e i processi organizzativi seguendo le nuove specifiche dei software in uso. In questo periodo, grazie all’assistenza delle software house gli operatori del settore saranno “SISTRI operative” (da gennaio 2012). Entro il termine di sei mesi dall’avvio della sperimentazione sulle procedure e al raggiungimento di una buona percentuale di soggetti in grado di lavorare con le nuove procedure, si provvederà a stabilire una data di partenza effettiva e definitiva. Una dei maggiori esperti del settore rifiuti italiano ha parlato di SISTRI come di “capolavoro dadaista” per sottolineare uno spregio della logica quasi surreale da parte dei creatori del sistema. È necessario che in questi mesi che ci separano dall’avvio del 1° settembre l’approccio “dadaista” venga rovesciato e, tramite un robusto ripensamento dei presupposti, si arrivi a ridefinire SISTRI come uno strumento realmente utile ad aziende ed enti di controllo.
News Aziende
di ALESSANDRA LOMBARDI
Tecnico in impianti di Cogenerazione e Trigenerazione La ADL Group e il Centro di Ateneo SOF.Tel, afferente all’Università di Napoli “Federico II”, offrono una nuova e unica opportunità formativa: Tecnico in impianti di Cogenerazione e Trigenerazione. Il nuovo progetto è volto alla formazione di figure altamente specializzate nella progettazione e gestione di impianti di cogenerazione e Trigenerazione. Il corso si terrà a partire dal prossimo settembre presso il Dipartimento d’Ingegneria Elettrica e vedrà l’alternarsi di docenti universitari, aziende di progettazione e gestione di grandi impianti, nonché istituzioni bancarie e di settore. Per informazioni e iscrizioni: www.adiellegroup.com
Prysmian lancia P-Laser. Il primo cavo eco-sostenibile a elevate prestazioni Si chiama P-Laser il primo cavo per reti elettriche eco-sostenibile a elevate prestazioni realizzato dalla società italiana Prysmian. Il cavo, prodotto con materie prime riciclabili, consente di sviluppare reti a minore impatto ambientale e con più elevata capacità di trasporto. Ha ottenuto in Italia la certificazione Imq ed è già stato omologato e adottato dalle utility italiane prima fra tutte Enel per la fornitura di cavi tripolari energia di media tensione per un totale di 1.200 chilometri in due anni e, nel corso del 2011, verrà proposto alle Utility europee partendo da Olanda, Gran Bretagna e Spagna. Messa a punto in Italia dai laboratori di Ricerca & Sviluppo Prysmian, la tecnologia P-Laser è ecosostenibile in quanto consente di dotare i cavi di un sistema di isolamento ad elevata prestazione (HPTE) basato su materiali riciclabili rispetto ai cavi tradizionali isolati in polietilene reticolato (XLPE). Ad essere riciclabili sono anche i metalli del conduttore e gli schermi sotto la guaina protettiva, rendendo il cavo totalmente ecologico. La nuova tecnologia consente di realizzare il cavo su un’unica linea ininterrotta riducendo i consumi di energia e le emissioni di gas serra.
SECUterm, il kit solare della Wagner SECUterm è il kit solare per acqua calda sanitaria prodotto da Wagner. Progettato per l’installazione su tetto piano o inclinato garantisce un’ottima efficienza anche in caso di ridotta radiazione solare. È progettato con assorbitore piano interamente in rame con trattamento altamente selettivo, saldato a ultrasuoni, a cui si affianca il vetro solare di sicurezza ad alta trasparenza. Massima attenzione è stata posta nella coibentazione: quella laterale assicura l’assenza di ponti termici, mentre quella posteriore ha uno spessore di 40 mm. La tubazione di ritorno è integrata nel collettore in modo da ottimizzare le operazioni di installazione e riducendo sensibilmente le dispersioni termiche. SECUterm è progettato con una protezione termostatica contro le sovratemperature, che limita la temperatura del serbatoio a 80°C migliorando l’efficienza, permettendo di raggiungere rese solari più elevate ed evitando la formazione di incrostazioni calcaree sulla valvola di sicurezza.
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news dall' Europa
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di CARLA GENTILI
IN QUESTO NUMERO AL VIA 44 NUOVI PROGETTI EUROPEI COME OTTENERE SOSTEGNO PER IL SETTIMO PROGRAMMA QUADRO IL PROGETTO “ IBPOWER” IL PROGETTO “SOLARPAT” SETTIMANA EUROPEA DELL’ENERGIA SOSTENIBILE
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Al via 44 nuovi progetti europei Sono 44 i nuovi progetti che riceveranno 58 milioni di euro grazie al programma Intelligent Energy Europe. Selezionati su un totale di 349 proposte presentate lo scorso giugno 2010 da circa 3000 organizzazioni con sede nei 27 Stati membri dell’UE, i progetti vincenti mirano a supportare un ampio utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili ed un aumento dei livelli di efficienza energetica in tutta Europa. Alcuni esempi dei progetti in partenza: 1. Il progetto EUROCEIN riunisce operatori del settore pubblico e privato provenienti da sei paesi con lo scopo di sviluppare una migliore comprensione del potenziale di mercato per l’energia oceanica. L’obiettivo del progetto è quello di affrontare le questioni chiave di integrazione di rete, gli impatti ambientali, le licenze, la pianificazione territoriale, l’economia, il finanziamento degli investimenti al fine di creare maggiore fiducia tra i potenziali interessati a questo settore emergente. 2. Il progetto CASCADE mobiliterà un nucleo di 18 grandi città, tra cui Milano, Amsterdam e Varsavia e più di 10 milioni di cittadini in 11 Stati membri dell’UE. Offrendo programmi peer-to-peer e sviluppando gli scambi tra le autorità locali. Il progetto coinvolgerà più di 300 dipendenti e funzionari locali tramite l’organizzazione di eventi di networking a livello nazionale nel settore dei trasporti, delle energie rinnovabili nella pianificazione urbana e ristrutturazione a basso consumo energetico, in modo da sfruttare il potenziale delle città come agenti di trasferimento nei loro paesi. 3. Il progetto URBANBIOGAS riunisce cinque città europee ed è finalizzato a realizzare il potenziale non sfruttato di rifiuti organici urbani mediante sistemi sostenibili di gestione dei rifiuti per la produzione di biometano. Questo carburante rinnovabile sarà poi immesso nella rete di gas naturale o utilizzato nel settore dei trasporti al fine di mantenere le città più pulite e più verdi. I cinque partner si aspettano di stimolare gli investimenti di 17 milioni di euro in progetti di waste-tobiometano ed hanno, inoltre, l’obiettivo di fornire esempi di best practice presso altre città europee. Tutti i dettagli sono disponibili sul sito ufficiale della Commissione Europea: http://ec.europa.eu/energy/intelligent/index_en.html
Come ottenere sostegno per il Settimo Programma Quadro La Rete dei Punti di contatto nazionali (PCN) è la struttura principale deputata a fornire assistenza per tutti gli aspetti della partecipazione al 7°PQ. 30|Giugno 2011
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48 I PCN sono strutture nazionali istituite e finanziate dai governi dei 27 Stati membri e dagli Stati associati al programma quadro per fornire supporto in loco ai proponenti. I sistemi PCN variano da paese a paese, possono essere reti molto centralizzate o decentralizzate e possono coinvolgere figure molto diverse fra loro: ministeri, università, centri di ricerca, agenzie specializzate o società private di consulenza. La Rete PCN contiene a sua volta 18 reti tematiche, che corrispondono ai temi del Settimo Programma Quadro e sono operative a livello europeo. L’obiettivo delle reti tematiche è di sostenere a livello regionale le parti interessate nello sviluppo basato sulla scienza e la tecnologia e di fornire servizi, formazione e informazioni a livello regionale. Ogni rete tematica è gestita e funziona in maniera autonoma, condividendo però obiettivi comuni con altre reti. Tutte le informazioni sono reperibili sul sito: http://cordis.europa.eu/fp7/get-support_it.html
Il progetto “IBPOWER” Accolte a braccia aperte come fonte di energia alternativa, ma criticate per la loro mancanza di efficienza, le celle solari ora vengono create in forme di gran lunga migliori. Le soluzioni di energia alternativa sono fondamentali per superare le sfide del surriscaldamento globale e dell’inquinamento urbano. L’energia solare è una di queste soluzioni ed esiste da alcuni decenni, ma non si tratta di una tecnologia efficiente e la comunità scientifica continua a lavorare per migliorarla. Il progetto europeo Ibpower (“Intermediate band materials and solar cells for photovoltaics with high efficiency and reduced cost”) mira a superare questa sfida ed ha riunito esperti di diverse università europee e del settore privato per perfezionare la conduttività del punto quantico e sviluppare la cella solare definitiva. L’equipe di partner ritiene che per la fine del progetto (prevista per l’inizio del 2012) le sfide saranno state affrontate e sarà stato inoltre sviluppato un materiale ideale per celle fotovoltaiche altamente efficienti. A quel punto lo sfruttamento di una “risorsa” così preziosa, e i risparmi così ottenuti, saranno solo una questione di tempo.
Il progetto “SOLARPAT” Il progetto Solarpat, incentrato sulle celle solari polimeriche con formazione spontanea di nanostrutture, sta sviluppando una nuova generazione di celle solari in cui si utilizza la tecnologia di autoaggregazione e dispersione della luce. I ricercatori sono interessati anche al ruolo delle nanostrutture nell’assorbimento della luce solare. Il lavoro è incentrato sui progressi recenti che hanno migliorato le celle solari a film sottile mediante l’utilizzo delle nanostrutture. Le innovative celle solari contengono nanostrutture che si formano per autoaggregazione sotto l’effetto della luce, una tecnologia che si riflette in tecniche di costruzione migliori e un funzionamento più efficiente. I primi risultati rivelano che le celle solari organiche contenenti un elemento fluorescente attivo sono potenzialmente più indicate per l’impiego di nanostrutture come mezzo mediante il quale impedire le emissioni spontanee. Il lavoro svolto dal consorzio Solarpat può costituire una solida base per lo studio dei cristalli autoaggreganti nei film organici sottili. I risultati del progetto possono, inoltre, essere impiegati per lo sviluppo di altre tecnologie solari a film sottile e contribuire ai nuovi processi di nanofabbricazione, consentendo all’Europa di porsi all’avanguardia nella ricerca sulle celle solari.
Settimana Europea dell’Energia Sostenibile Anche quest’anno la Settimana Europea dell’Energia Sostenibile (European Union Sustainable Energy Week) ha confermato la sua reputazione di evento di riferimento per le questioni di energia sostenibile in Europa. Infatti, tra il 9 e il 17 aprile, ben 720 eventi sono stati organizzati in molte parti d’Europa, così come in Asia e in Nord Africa. La settimana si è conclusa con la prestigiosa cerimonia “Sustainable Energy Europe Awards Ceremony”. Presentazioni, foto e video sono disponibili sul sito: http://www.eusew.eu
chi Siamo Alessandra Lombardi Direttore responsabile, biologa, giornalista dal 1995. Ha lavorato con Greenpeace, Legambiente, ministero dell’Ambiente, Cobat, Federparchi. Lavora con Ansa Eco-energia.
Domenico Coiante Fisico, ex dirigente Enea consulente e autore di testi sulle fonti rinnovabili. Di recente ha collaborato con il Dipartimento di Fisica della Sapienza.
Sergio Ferraris Capo redattore, giornalista scientifico-ambientale, direttore responsabile “QualEnergia” e di “QualEnergia.it” responsabile della sezione energia di “La Nuova Ecologia”.
Terenzio Longobardi Ingegnere civile, membro del Comitato Scientifico di Aspoitalia. È stato Assessore all’Ambiente e alle Politiche Energetiche della Provincia di Pisa.
Amodio Di Luccio Imprenditore, direttore editoriale di Ambientarsi, presidente di Unione Imprese Solari, brand manager del marchio Energy Professional Network.
Angelo Ferlini Geologo , dal 1995 è consulente tecnico-ambientale nel settore dei servizi e dell’industria. Dal 2008 è responsabile tecnico del settore ambiente-energia dei servizi di certificazione di SGS ITALIA S.p.A.
Alessandro Drago Sociologo con Master in Diritto Ambientale. Project manager nella Programmazione Comunitaria per l’inclusione sociale, l’urbanistica, l’ambiente e la sostenibilità energetica.
Claudia Bettiol Scrittrice e pensatrice nel settore del rapporto fra uomo ed energia e delle nuove tecnologie. Consulente strategico per imprese e pubbliche amministrazioni.
Carla Gentili Esperta nel settore dei programmi di finanziamento comunitari e delle attività internazionali con particolare attenzione alle tematiche dello Sviluppo Sostenibile.
Giuseppina Crisci Architetto, dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura, docente a contratto. E’ autrice di pubblicazioni scientifiche su la Bioarchitettura e la Progettazione Ambientale.
Edo Ronchi Presidente Fondazione Sviluppo Sostenibile. Ex Ministro dell’Ambiente e parlamentare. Attualmente è docente presso l’Università La Sapienza di Roma.
Luca Vecchiato Ingegnere chimico a Padova. Ha lavorato per AgipPetroli, ENI, Ekipo. Nel 2003 ha fondato l’Ethan Group, la realtà industriale più giovane e dinamica dell’ecologia veneta.
Giuseppe Langella Ricercatore, Professore aggregato di “Sistemi per l’Energia e l’Ambiente” presso la Facoltà di Ingegneria dell‘Università “Federico II” di Napoli.
Sara Di Micco Architetto, dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura. Si occupa di progettazione ecosostenibile ed è autrice di pubblicazioni scientifiche sul tema della casa ecologica prefabbricata.
Simone Malacrida Vicepresidente Associazione Italiana per la Ricerca Ingegnere elettronico da 4 anni si occupa di progettazione di impianti industriali, in particolare legati al settore energetico.
Alessandra Tomeo Esperta di comunicazione sociale e ambientale. Lavora nell’area comunicazione ed eventi di Sviluppo Lazio.
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il Recensore
DI ALESSANDRA TOMEO
LE RISPOSTE ECO-SOCIALI ALLE CRISI IN EUROPA
Futuro Sostenibile di Wuppertal Institut il mondo del lavoro A cura di Wolfgang Sachs e Marco Morosini Edizioni Ambiente 480 pp. 28 €
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uturo sostenibile. Due parole che spesso sono inflazionate perché utilizzate senza che dietro vi siano contenuti, dati e strategie atte a supportare questo, importante concetto. Non è questo il caso del volume “Futuro sostenibile” del Wuppertal Institute curato da Wolfgang Sachs e Marco Morosini che dopo il successo dell’edizione tedesca la quale ha riscosso un grande successo, arrivando a vendere oltre 30mila copie è stato portato anche in Italia da Edizioni Ambiente. Il volume in Germania è diventato lo strumento di un’intensa campagna dei committenti del libro (BUND e Chiesa evangelica), che sta suscitando un ampio dibattito nella società e nella politica tedesche, mentre nell’edizione italiana è stato contestualizzo con i riferimenti alla situazione del nostro paese e sarà oggetto di un’analoga campagna di opinione, che sarà sostenuta da molti soggetti, tra cui Caritas e organizzazioni sindacali. Grazie alla sua capacità di coniugare l’attenzione per le questioni della sostenibilità con i temi della giustizia sociale, Wolfgang Sachs è uno dei punti di riferimento del mondo ambientalista e di quello cattolico. Con “Futuro sostenibile” Sachs e il gruppo di ricerca da lui coordinato al Wuppertal Institute approfondiscono i legami e le connessioni tra ambiente ed equità sociale. In particolare vengono individuati i principali vettori della crisi ecologica ed energetica globale, crisi che evidenzia con chiarezza l’insostenibilità degli assetti economici di oggi. Sachs delinea un nuovo modello per le relazioni tra società industrializzate e società in via d’industrializzazione, e presenta una serie di esempi di concrete iniziative
locali e nazionali nei Paesi industrializzati. «La marea si è invertita. – si legge nel volume - Ai vertici della politica e dell’economia hanno cominciato a vacillare certezze di lunga data. Sono finiti i giorni d’euforia neoliberista e di trionfante globalizzazione. Una rimozione durata anni sembra terminare. L’uragano Katrina, gli iceberg che si sciolgono, le ondate di caldo ricorrenti e gli uccelli migratori disorientati sembrano suggerire ai popoli e ai loro leader: la natura restituisce i colpi che subisce». Il problema, secondo gli autori, non è se vi siano risorse sufficienti, ma decidere a chi e come vengano distribuite quando diventano scarse. Consapevoli che voler mitigare la povertà senza mitigare la ricchezza è ipocrisia, l’ecologia è l’unica opzione per garantire il diritto all’ospitalità sulla Terra a un numero crescente di esseri umani. Per la profondità delle sue analisi il volume è stato definito «un’opera di riferimento nel campo della sostenibilità» dall’ex presidente della Repubblica Federale Tedesca, Horst Köhler. In ultima analisi Sachs e l’équipe da lui coordinata al Wuppertal Institut analizzano i principali fattori della crisi ecologica e sociale globale e propongono all’Italia e all’Europa un’agenda concreta per riformare la società, l’economia e le tecnologie. Un bagaglio di osservazioni, studi, analisi ed esperienze che dovrebbero diventare una vera e propria “cassetta degli attrezzi” di tutti coloro che pensano che l’ecologia sia una chiave di volta per il nostro futuro.
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ENERGY PROFESSIONAL NETWORK LA GRANDE RETE DEI PROFESSIONISTI DELL’ENERGIA
I PROTAGONISTI DELL’ENERGIA ENTRANO IN RETE Incontri, news, focus, formazione e promozione. Energy Professional Network mette in relazione tutti gli attori della filiera energetica
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CHRISTIAN ABELLI, titolare dello studio ARCHIECO. N. EPN 97
L’autorevole appartenenza al mondo della rete energetica mi ha consentito di collaborare con il team della prestigiosa Marriott Energy di Amburgo”.
ALESSANDRA MARIA GUARIGLIA, esperta di bioarchitettura. N. EPN 38
Per noi giovani aggregarsi è un imperativo”.
ROSA SCAPPINI, architetto, esperta in ecoedilizia. N. EPN 41
GIOVANNI LOMBARDO, ricercatore presso l’Università di Pisa.
Energy Professional Network, è il punto di partenza per una nuova concezione di libera professione. La cooperazione resta l’unica e valida strategia per la competizione globale”.
GIACOMO FERRERI, ingegnere esperto di fotovoltaico e geotermia. N. EPN 121
Promuovo la realizzazione di parchi fotovoltaici. Necessito di un continuo aggiornamento e di un’affidabile guida. EPN dimostra giorno dopo giorno di rispondere a questo bisogno”.
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Energy Professional Network favorisce l’integrazione tra Università e Impresa”.
AMEDEO SIMONCELLI, ingegnere, esperto di efficienza energetica. N. EPN 40
25 anni di esperienza possono contribuire a sviluppare molto più velocemente una cultura della razionalità. EPN è un’opportunità per tutti”.
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