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Con il patrocinio e il contributo di:
Con il sostegno di:
Ricerca storica ed iconografica, testi:
Tiziana Rota Fotografie:
Eugenio Anghileri, Massimo Di Stefano, Angelo Pirovano Progetto grafico:
Cristina Valsecchi Impaginazione e stampa:
Grafiche Cola Srl Š 2009 Copyright 2009 Associazione Amici dei Musei del territorio lecchese
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Tiziana Rota
Scultura all’aperto a Lecco e provincia
Fotografie Eugenio Anghileri Massimo Di Stefano Angelo Pirovano
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Il Presidente
L’Assessore alla Cultura e ai Beni Culturali
Virginio Brivio
Chiara Bonfanti
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Gian Luigi Daccò
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Indice
Scultura all’aperto a Lecco e provincia
8
Presentazione del Professore . Introduzione
. . . . . . . . . pag.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
11
L’iconografia del cordoglio .
15
Dolenti
»
20
. . . . . . .
»
22
. . . . . . . . . .
»
24
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
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26
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27
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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31
»
32
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»
43
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
45
»
47
. . . . . . . .
La fontana di Giuseppe Bovara . Giovanni Battista Comolli . Grazioso Rusca
Francesco Confalonieri I monumenti I ritratti .
I monumenti funebri
Giulio Branca
. . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Carlo Da Nova
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Antonio Tantardini Luigi De Paoli .
Ernesto Bazzaro .
. . . . . . . . . . . . . . . . .
73
»
75
»
77
. . . .
»
82
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
84
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Soggetti religiosi
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3. Artisti di ambito lombardo nella seconda metà del 1900 . Riccardo Piter
Stefano Locatelli
. . . . . . . . . . . . . . . . .
»
88
Francesco Wildt
. . . . . . . . . . . . . . . . .
»
89
Giuseppe Enrini
. . . . . . . . . . . . . . . . .
»
90
. . . . . . . . . . . . . . . .
»
93
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
94
»
97
Francesco Messina Romano Rui
Enrico Manfrini Livio Benetti
. . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Piero Maggioni
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
4. Gli artisti lecchesi del 1900 Giuseppe Mozzanica
2. La seconda generazione tra realismo e simbolismo . Michele Vedani
Romeo Pedroli . . . . . . .
»
52
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
54
Francesco Modena
. . . . . . . . . . . . . . . .
»
58
Angelo Montegani
. . . . . . . . . . . . . . . .
»
61
. . . . . . . . . . . . . .
»
67
Franco Lombardi
. . . . . . . . . . . . . . . . .
»
71
Donato Barcaglia
. . . . . . . . . . . . . . . . .
»
72
Giannino Castiglioni
73
»
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Anima rapita
1. Gli scultori neoclassici e romantici . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . pag.
» 102 » 104
. . . . . . . . . . . . . .
» 106
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 114
Gino De Candido
. . . . . . . . . . . . . . . .
» 119
. . . . . . . . . . . . . . . . .
» 121
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 124
Fulvio Simoncini Luigi Milani
. . . . .
» 100
Franco Alquati
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
Aimone Modonesi
. . . . . . . . . . . . . . . .
Monumenti alle vittime della resistenza e del lavoro
. . . . . . . . . .
» 126 » 128 » 130
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5. Artisti contemporanei Lydia Silvestri
» 137
7. Temi iconografici
. . . . . . . . . . . . pag.
. . . . . . . . . . . . . . .
» 140
. . . . . . . . . . . . . . . .
» 142
La rappresentazione del lavoro
. . . . . . . . . . . . . . .
» 143
I bambini
. . . . . . . . . . . . . . . . .
» 144
La maternità
» 147
Il ritratto
» 148
Le architetture miniaturizzate
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 149
Tombe a cippo
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 149
Tombe a stele
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 149
Tombe orizzontali
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 151
Edicole e architetture complesse
Carmelo Cappello Giuseppe Spagnulo Pablo Atchugarry
Scultori a Morterone Mauro Staccioli Igino Legnaghi
. . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Gianni Colombo . Rusi Wach .
134
La ricostruzione del paesaggio naturale .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Arnaldo Pomodoro
Carlo Ciussi
. . . . . . . . pag.
Susumo Shingu
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
Alberto Ghinzani .
. . . . . . . . . . . . . . . .
Scultori contemporanei alla Galleria Comunale d’Arte, Villa Manzoni . . . . . . . . . . .
» 154
Un busto scomodo: l’Antonio Ghislanzoni di Antonio Bezzola . .
. . . . . . . . . . .
. . . . . . . .
» 178
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 181
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 183
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 186
. . . . . . . .
» 191
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 191
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 192
» 194
» 156 » 160
» 200
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 203
La colonna spezzata
. . . . . . . . . . . . . . .
» 207
Piante, fiori e frutti
. . . . . . . . . . . . . . .
» 208
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 213
Alfa e omega
» 163
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 216
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 217
Accessori: recinzioni e cornici, portalumini e porta fiori . . . .
. . . . . . . .
» 219
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 229
Due volte Mario Cermenati
. . . . . . . . .
» 166
L’angelo che non è tornato di Giuseppe Mozzanica . .
. . . . . . . . . .
» 168
Bibliografia
. . . . . . . . . . . . . .
» 170
Indice degli autori
La Pietà rifiutata di Pablo Actchugarry
. . . . . . . . . .
» 193
. . .
Arte muratoria . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
8. Arti decorative e simbologie .
Animali
6. Storie di migrazioni
» 176
» 152 L’angelo
. . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . .
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» 236
9 Scultura all’aperto a Lecco e provincia
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Presentazione del Professore
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zione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore.Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore. Presentazione del Professore.
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Introduzione
15 Scultura all’aperto a Lecco e provincia
L
a presenza della scultura, come arredo cittadino nelle piazze e nei giardini, nei decori di fontane, nei rilievi di facciate e portali, non è certo dominante a Lecco e nel suo territorio. Bisogna risalire al Settecento per individuare qualche facciata barocca di palazzo in cui fioriscono portali, finestre e balconi in pietra scolpita, “[..] Particolari che possono aiutare a giudicare con minore severità la granitica apatia lecchese per le cose d’arte”1 o trovare sculture da giardino come “[..]gli ometti in pietra tenera che accompagnano dall’alto chi scende lungo la via Bovara e si stagliano umoristicamente contro il cielo [..]”. Così scrive l’architetto Mario Cereghini nel 1971 prendendo in rassegna le immagini di Lecco nei secoli2. Giuseppe Bovara che ha sovrinteso al decoro cittadino ed è stato tanto prolifico nella progettazione di architetture civili e religiose a Lecco e nel territorio nei primi decenni dell’Ottocento si è limitato a recuperare una scultura settecentesca per la fontana neoclassica di Castello e a creare tempietti e cibori per ospitare sculture all’interno delle chiese da lui progettate. Anche l’architettura eclettica e liberty, a cavallo tra Ottocento e Novecento, si è espressa con sobri rilievi decorativi nelle cornici di porte e finestre, nei marcapiani, in ringhiere e cancellate in ferro battuto di cui restano ancora tracce e pochi esempi integri. Gli architetti razionalisti e modernisti, Mario Cereghini e Mino Fiocchi hanno poi evitato con cura di coniugare le linee pure ed essenziali delle loro architetture a forme di espressione scultorea. Forse questo difficile rapporto tra architettura e scultura unito ad una cultura improntata alla sobrietà, alla funzionalità, alla produttività più che alla cura estetica del paesaggio urbano, è alla base di questa scarsa attenzione alla qualificazione artistica degli esterni pubblici e privati. Solo alla fine del XIX secolo le piazze si arricchiscono di opere plastiche con i monumenti agli eroi risorgimentali, ai cittadini illustri, agli uomini di cultura. Carlo Pirovano, che alla scultura dell’Ottocento e del Novecento ha dedicato innumerevoli studi e ricerche, sintetizza il ruolo della scultura in quegli anni: “Alla scultura, arte accademica per eccellenza, è demandato in toto l’onere di questa celebrazione dovuta, che significa anche conquista d’identità unitaria da parte di
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una nazione che stenta a trovarne le motivazioni naturali, surrogandole con l’artificio della declamazione, altisonante per essere persuasiva”3. Sono le prime opere pubbliche sorte per volontà di comitati cittadini che vogliono celebrare laicamente gli ideali politici e l’identità della città e spesso scatenando una sorta di guerra delle statue come sostiene Gian Luigi Daccò. “Negli ultimi decenni dell’Ottocento a Lecco fu combattuta una incruenta, ma vivacissima, guerra delle statue. Cominciarono i radicali, facendo erigere nel 1884, nella principale piazza, una statua al nume tutelare Garibaldi, la seconda dedicatagli in Italia. Risposero i cattolici con un Manzoni in bronzo, seduto in poltrona, nella omonima piazza (1891). Replicarono nuovamente i radicali con un monumento a Cermenati, piazzato proprio davanti alla prepositurale, mentre il bronzeo abate Stoppani, doveva venire esiliato in una località allora isolata come la Malpensata. La lotta politica a Lecco, è evidente, non si limitò ai soli monumenti4. La costruzione del nuovo Cimitero nel 1882, ora Monumentale, crea un contesto adeguato perché la tradizione ottocentesca di arredo scultoreo delle tombe, così specificamente italiana, sia raccolta anche a Lecco dalla committenza privata. Le famiglie borghesi investono così nella memoria dei defunti e le sculture nel cimitero, commissionate ad artisti prestigiosi, divengono, oltre che momento di elaborazione del lutto privato ed elemento fondamentale di status sociale, anche un patrimonio d’arte collettivo. Tale tradizione ha il suo massimo sviluppo nella prima metà del 1900 grazie anche alla crescita di artisti locali che, rispondendo alla richiesta del mercato privato, trovano una visibilità pubblica per la propria ricerca plastica. Ancora la memoria dei caduti nella prima guerra mondiale è motivo di produzione scultorea e ogni quartiere, ogni paese che “ha dato i suoi figli alla patria” eleva un monumento a ricordo del sacrificio eroico a volte con accenti retorici ma più spesso con richiami al vuoto dei legami troncati. Alla fine della guerra di Liberazione gli elenchi dei caduti si sono aggiunti a
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quelli della Grande Guerra, e spesso monumenti ai partigiani hanno voluto ricordare episodi cruciali della Resistenza. Dai semplici cippi ai rilievi delle lapidi, ai complessi gruppi di figura è ancora la scultura ad arredare i giardini della memoria, a ricostruire percorsi di storia individuale e collettiva e a testimoniare attraverso il mutare del linguaggio plastico e delle iconografie il sentire di un paese5. I monumenti celebrativi e i monumenti funerari, la scultura della memoria, è, per tutto il Novecento, la sola presenza scultorea in un paesaggio naturale in cui si impongono i picchi aggettanti delle montagne, i dolci rilevi collinari, le conche lacustri e in cui la tridimensionalità è dominante con i suoi pieni e vuoti, luci ed ombre, superfici specchianti e rilievi scabri, movimento e quiete. Solamente alla fine del XX secolo e in questi primi anni del XXI qualche coraggiosa esperienza pilota propone un rapporto tra paesaggio, nelle sue valenze naturalistiche e antropologiche, e scultura contemporanea ed ecco comparire qualche scultura o installazione che suscita curiosità e perplessità. Tale patrimonio è l’oggetto di questo studio che, dopo un accurato censimento delle emergenze scultoree a Lecco, propone una lettura storico-artistica delle opere, degli autori e dei temi iconografici, nonché di alcune vicende legate ai contesti di conservazione della memoria scolpita. I limiti temporali entro cui gli
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autori sono stati ordinati cronologicamente sono il XIX e il XX secolo. Se l’ambito territoriale iniziale del censimento è stato la città di Lecco, l’indagine si è allargata alla provincia includendo le opere realizzate in ambito provinciale dagli artisti che hanno lavorato a Lecco e considerando presenze significative di artisti in alcuni comuni. L’intero territorio della provincia meriterebbe un’indagine sistematica, accurata e capillare che questo lavoro si propone di stimolare. L’urgenza della tutela si pone soprattutto nei confronti della scultura cimiteriale fortemente in pericolo per il riuso degli spazi cimiteriali e la scarsa considerazione sul piano artistico e storico di cui ha goduto negli ultimi decenni pur essendo, nel nostro territorio, il nucleo più consistente di opere scultoree. L’Associazione Amici dei Musei si è assunta l’impegno di sensibilizzare i cittadini e le istituzioni affinché anche nella provincia di Lecco si riscopra, si conservi e si valorizzi tale patrimonio, così come sta avvenendo in Italia e nel mondo6. La documentazione e l’interpretazione della scultura, un bene così scarsamente presente e per di più poco tutelato, si propone di colmare in parte una lacuna storico-critica e di indicare all’attenzione di tutti ciò che ancora è sotto gli occhi affinché lo si guardi, lo si veda, lo si legga nei suoi contenuti storici e artistici e soprattutto lo si conservi e tuteli.
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NOTE accanto ai comuni delle grandi città, anche realtà minori, come l’Associazione Amici dei Musei di Lecco, hanno partecipato ai convegni annuali, alle ricerche, alle pubblicazioni, agli eventi culturali nei cimiteri. La ricerca iniziata a Lecco nel 2002 ha prodotto come primo materiale di documentazione e di sensibilizzazione un pieghevole-guida del Cimitero Mo-
numentale di Lecco in collaborazione con i Servizi Cimiteriali del Comune di Lecco: Cimitero Monumentale di Lecco. Un museo a cielo aperto, Lecco 2005. In questo volume che considera la scultura all’aperto in provincia di Lecco, la scultura cimiteriale trova una sua collocazione che permette di leggere le valenze storico-artistiche delle opere.
19 Scultura all’aperto a Lecco e provincia
1. Cfr. Mario Cereghini, Immagini di Lecco nei secolo, Stefanoni, Lecco 1971, p 130. Cereghini si riferisce a: palazzo Secchi a Castello, della prima metà del Settecento con la facciata barocca, il balcone, il portale in pietra arenaria, la finestra. Cita anche casa Frigerio e casa Mauri a Maggianico. 2. Ibidem, p. 26. Cereghini si riferisce alle sculture ottocentesche sul muro di villa Locatelli “Questi ometti in pietra tenera che accompagnano dall’ alto chi scende lungo la via Bovara e si stagliano umoristicamente contro il cielo hanno sempre costituito la maggiore attrattiva di quando eravamo ragazzi. Ogni pupo aveva il suo nome: il noschiola, il beretta, il codega, e così via. [..].” Riproduce nel testo anche “L’Antico stemma di Azzone Visconti che era murato nel ponte ed ora trovasi su una facciata del palazzo demaniale detto ironicamente Palazzo delle paure. Marmo bianco di Musso, forse del 1338”. 3. Cfr. Carlo Pirovano Scultura italiana del Novecento, Opere tendenze protagonisti, Electa, Milano 1993“, p 34. “Il paesaggio urbano di tutta la penisola, da Trento a Napoli, da Torino a Roma, da Milano a Firenze, da Bari a Catania si è cristallizzato in “memorie” figurate che riportano costantemente ad una specie di declamazione a metà fra l’epica effusa di tono popolaresco e la forbita esercitazione forense, dove l’uso, anzi l’effluvio delle simbologie e delle personificazioni retoriche si mescola senza soluzione di continuità ad un ricchissimo repertorio di “frammenti di realtà” sforbiciati dalla cronaca del quotidiano registrata con puntigliosa meticolosità”. 4. Cfr. Gian Luigi Daccò La “guerra delle statue”, la politica, il ruolo della Chiesa in “In corsa attraverso due secoli. Lecco dal 1848 al terzo millennio” ed. Il Resegone, Lecco, 2003 5. M. Isnenghi (a cura di) I luoghi della memoria, 3 voll., Roma-Bari, Laterza, 19961997. 6. Nel 2001 un gruppo di comuni e ministeri ha creato l’ASCE (Association of Significant Cemetieres in Europe) che coordina associazioni, istituzioni europee che vogliono porre al centro dell’attenzione il patrimonio artistico, architettonico, storico dei cimiteri europei, allargando anche agli altri continenti. Si è creata una rete sempre più allargata in cui,
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SCULTORI
NEOCLASSICI E ROMANTICI La scultura neoclassica presente con eccezionali esempi nei giardini delle ville si coniuga nelle prime opere di artisti romantici con le istanze del verismo ottocentesco. Nella seconda metà del secolo il modellato mosso e pittorico di ascendenza scapigliata increspa le superfici levigate e la descrizione minuta, la somiglianza fisionomica, i tratti della contemporaneità prendono il posto dell’idealizzazione classica.
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La fontana di Giuseppe Bovara Lecco 1781 - 1873
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iuseppe Bovara1, architetto e ingegnere, l’unico ed indiscusso protagonista del neoclassicismo in Lecco e territorio, ha anche uno spiccato interesse per l’idraulica che lo induce a progettare ed attuare la costruzione dell’acquedotto di Castello. Qui la Fiumicella, canale ad uso degli opifici lungo la valle del Gerenzone, è anche utilizzata per attingere acqua ad uso domestico e al suo inquinamento viene attribuita la particolare virulenza dell’epidemia di colera del 1836, che spinge il Bovara a richiedere al Comune un acquedotto con fontana, in occasione delle celebrazioni per la venuta di re Ferdinando I in Como (25 agosto 1838). La fontana neoclassica in Piazza Dell’Oro a Castello2, (1841-42) progettata da Bovara e realizzata dall’abile lapicida comasco Alessandro Bianchi, rievoca forme barocche nelle bocche da cui sgorga l’acqua: mostri marini con pinne e squame, così simili ai tre serpenti dalle code attorcigliate della Fontana delle Tre Bocche della piazza in Rancio Castione, di Cosmo Pini, realizzata solo qualche anno dopo, nel 1846. La fontana è rimasta la più significativa di una città che non ha espresso grande interesse all’arredo scultoreo o architettonico delle fonti di approvvigionamento idrico né tanto meno a voluttuosi giochi d’acqua3. Nel fronte due lineari lesene incorniciano la testa leonina inscritta nel quadrato da cui sgorga l’acqua, sovrastata dalla lapide del 1861:
Nella pagina precedente: Francesco Confalonieri, Angelo, 1984, marmo, Cappella Bertarelli, Lecco, Cimitero Monumentale, part. Sopra: Giuseppe Bovara, Fontana, 1841-42, Lecco-Castello. Cosimo Pini, Fontana delle tre bocche, 1846, Lecco-Rancio. A destra: Alessandro Bianchi, Mostro marino, bocca della fontana neoclassica, 1841-42, Lecco-Castello.
I TERRIERI DI CASTELLO / CELEBRANO / LA PRIMA FESTA DEL / REGNO D’ITALIA / GIURANDO COMPIERLO = MANTENERLO / 2 GIUGNO 1861.
Nelle facce laterali domina la linea curva del mostro marino che, incorniciato da un arco a tutto sesto in conci di pietra, getta le sue acque in una vasca semisferica. A custodia delle acque potabili il santo protettore dei ponti, S. Giovanni Nepomuceno, corona la fontana che risulta una felice sintesi di tradizione barocca e linearismo neoclassico. La scultura settecentesca probabilmente proviene dal ponte Azzone Visconti sull’Adda, visto che l’iconografia del santo boemo (Praga 1340-1393), canonizzato
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da Benedetto XIII nel 1729, sacerdote e martire, torturato e gettato nella Moldava, è invocata a protezione dei ponti. Non è tuttavia documentata la sua collocazione originaria e gli spostamenti successivi di fronte alla Basilica di S Nicolò a Lecco4. Il santo, in abiti sacerdotali dai panneggi mossi, accenna un passo e stringe devotamente il Crocifisso come in altre sculture coeve a Chiavenna ancora sul ponte e a Vigevano ora in Piazza dei Signori.
Giovanni Nepomuceno protettore dei ponti, sulla fontana di G.Bovara, LeccoCastello.
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Giovanni Battista Comolli Valenza (Al) 1775 - Milano 1830
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l gruppo La Clemenza di Tito di G.B. Comolli5 situato nel giardino di Villa Monastero in Varenna, a sinistra del viale che dalla portineria discende verso la villa, è l’unico gruppo neoclassico nella provincia di Lecco. Raffigura la Clemenza di Tito e fu realizzato dallo scultore Giovanni Battista Comolli tra il 1823 ed il 1830. Proveniente da Villa Galbiati, poi Bagatti Valsecchi, di Cardano presso Menaggio sul Lago di Como, venne ceduto probabilmente nei primissimi anni del '900 dagli stessi Bagatti Valsecchi al penultimo proprietario di Villa Monastero, il tedesco Walter Erich Jacob Kees, che tra il 1898 ed il 1909 ristrutturò ed arredò la dimora conferendole il suo attuale aspetto6. Giovanni Battista Comolli, attivo a Roma, Torino, Grenoble, Parigi, Milano, Carrara e Londra, fu titolare della cattedra di scultura all’Accademia Albertina di Torino e godette della protezione di Francesco Melzi d’Eril, Vice Presidente della Re-
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pubblica Cisalpina e poi Cancelliere del Regno d’Italia. Il conte Melzi gli affidò l’apparato scultoreo del giardino e della cappella di famiglia della sua villa a Bellagio dove si conservano i busti-ritratto e il gruppo Beatrice che consola Dante della profezia dell’esilio indicandogli la giustizia superiore, del 18107. Comolli realizza La clemenza di Tito negli ultimi anni della sua vita con la speranza di un acquisto ufficiale, quale omaggio nei confronti dell'imperatore Francesco I d'Asburgo. Lo stesso episodio della storia romana con cui Mozart, circa trentanni prima, aveva omaggiato un imperatore, nella sua opera lirica La clemenza di Tito (K 621), diventa la fonte a cui attingere esempi di virtù che si prestino a veicolare messaggi diretti alla contemporaneità della restaurazione8. Il dramma narra della congiura ad opera di Vitellia, figlia del detronizzato Vespasiano, ai danni dell’imperatore Tito di cui è innamorata e che le ha preferito Berenice. Incaricato dell’assassinio è Sesto, suo spasimante e amico dell’imperatore, che fallisce nel piano e viene condannato a morte. Nel frattempo l’imperatore sceglie Vitellia come sua sposa che, in preda al rimorso, confessa la sua colpa nell’ anfiteatro dove i congiurati attendono l’esecuzione della condanna capitale voluta dal Senato. Tito, fra l’esultanza generale, concede a tutti il perdono preferendo essere amato piuttosto che temuto. Lo scultore Comolli sceglie di rappresentare questo momento conclusivo: l’Imperatore seduto in trono accorda il suo perdono a Vitellia, in piedi alla sua destra, e a Sesto, alla sua sinistra9. Se i volti curati ed espressivi testimoniano la grande perizia ritrattistica dell’artista, alla regia dei gesti è affidata la resa del momento culminante dell’azione, quello a più alta densità morale come vuole la poetica neoclassica: la clemenza che scioglie il dramma. La passione nostalgica per l’antichità come età d’oro, in cui individuare modelli archetipi, induce a precisare i tempi, le condizioni storiche attraverso una puntigliosa descrizione dell’abbigliamento e degli arredi ma il senso delle immagini è affidato al gesto dei personaggi: un gesto significante in modo chiaro, efficace, senza ridondanze, un preciso momento dell’azione. Coerente con i canoni del primo neoclassicismo Comolli ripropone in questa sua ultima opera di grandi dimensioni un modello etico ed estetico di conciliazione e pacificazione con il presente, chiamando in causa l’antico, inteso come arte e storia10. Le sculture in marmo bianco presentano alcune fratture e mutilazioni che andrebbero sanate con i pezzi originali conservati, ma soprattutto mostrano un avanzato e rapido degrado delle superfici annerite e corrose. La collocazione all’aperto sotto un’infittita chioma di pini e la vicinanza della strada con i relativi gas di scarico non è certo la più idonea alla conservazione e alla valorizzazione dell’opera.
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Sopra: Giovanni Battista Comolli, La Clemenza di Tito, 1823-1830, marmo, Varenna, Giardino di Villa Monastero. Nella pagina precedente, in alto: Gufo, particolare del trono. Nella pagina precedente, in basso: Testa dell’imperatore Tito, particolare.
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Grazioso Rusca Rancate (CH) 1757 - Milano 1829
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el giardino a lago di villa Appiani-Cantù a Bosisio Parini11 che fu dimora di Angelica Appiani in Banfi, sorella del pittore neoclassico Andrea Appiani (Milano 1754 - 1817), due stele commemorative ricordano l’artista e lo scrittore Giuseppe Parini (Bosisio Parini 1729 - Milano 1799) legati, nonostante la differenza d’età, d’amicizia in Milano e da controversi natali nel piccolo comune. Nell’ode di Parini, scritta in onore dell’amico Appiani e ripresa sulla stele dedicata al poeta, si ricordano le comuni origini lacustri, concordi nel servire il Bello, ciascuno con la propria arte: E NOI DALL’ONDE PURE DAL CHIARO CIELO E DA QUEST’AERE VIVO SEME PORTAMMO ATTIVO, PRONTO A LEVARNE DALLE GENTI OSCURE, TU APPIANI COL PENNELLO, ED IO COL PLETTRO SEGUITANDO IL BELLO12.
Grazioso Rusca, Ritratto di Giuseppe Parini, 1818-1829, marmo, Bosisio Parini, giardino diVilla Appiani. Grazioso Rusca, Ritratto di Andrea Appiani, 1818-1829, marmo, Bosisio Parini, giardino di Villa Appiani.
L’autore dei rilievi è lo scultore ticinese Grazioso Rusca13, attivo dal 1775 alla sua morte nella fabbrica del Duomo di Milano e, nella cerchia di Camillo Pacetti, al cantiere dell’Arco della Pace dove realizza, con il figlio Girolamo, il rilievo L’ingresso dei tre Sovrani alleati a Parigi. Secondo i dettami neoclassici il Rusca ritrae le due teste di profilo nei medaglioni a bassorilievo in marmo di Carrara. Nessun riferimento alla contemporaneità e una certa idealizzazione nella nudità classica del collo e delle spalle; i profili fedeli ai tratti individuali reali: affilato e nobile l’abate con i capelli tenuti da un nastro; mosso e sanguigno il pittore dai riccioli ribelli. Andrea Appiani, massimo esponente della pittura neoclassica italiana, ebbe importanti incarichi per la Repubblica Cisalpina e lavorò a Milano, Monza e in Brianza. Nella Provincia di Lecco Sposalizio della Vergine nella chiesa di S. Eufemia a Oggiono e Madonna con bambino nella chiesa di San Michele di Visino di Valbrona14.
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Francesco Confalonieri Costamasnaga (Lc) 1850 - 1925
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I monumenti
Francesco Confalonieri, Monumento a Garibaldi, 1894, marmo, Lecco.
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cavallo tra Ottocento e Novecento, Francesco Confalonieri15 è sicuramente il protagonista indiscusso della scultura monumentale e funebre nel territorio di Lecco. Nato a Costamasnaga16 nel 1850, sviluppa la sua formazione artistica a Milano sotto la guida di Pietro Magni, scultore di ascendenze neoclassiche e protagonista del rinnovamento romantico lombardo, ma dimostra sensibile attenzione al vigoroso realismo dello scultore ticinese Vincenzo Vela che tanta influenza ebbe sugli scultori milanesi della seconda metà dell’Ottocento. Nelle sue opere milanesi, di commissione pubblica e privata, si vedono coniugate soluzioni di carattere simbolico e una ricerca di fedeltà al vero, in un binomio che sarà la cifra dominante della sua produzione. Fin dal primo decennio di attività che segue la sua formazione artistica, Confalonieri privilegia la scultura monumentale pubblica eseguita su commissione o concorso, quel tipo di scultura celebrativa che ebbe una grande fioritura nei decenni post-unitari e che, considerata anche dagli scultori romantici più impegnati capace di trasmettere valori morali e civili, testimoniava nelle piazze la sua funzione educativa del popolo. Il Garibaldi di Lecco è la prima commissione pubblica e laica, dopo il Pio IX per
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Sopra: Monumento a G. Garibaldi, 1885, Fototeca Musei Civici-Lecco. Monumento a A. Manzoni, 1892, Fototeca Musei Civici-Lecco. Sotto: Francesco Confalonieri, Monumento ad A. Manzoni, 1891, bronzo, Lecco.
la Basilica di S. Ambrogio a Milano17, che lo stesso giorno dell’inaugurazione, il 16 novembre 1884, gli frutterà la commissione di una copia realizzata l’anno successivo per il Municipio di Gallarate. L’eroe risorgimentale, figura stante di oltre 3 metri, collocato in origine al centro della piazza della Fiera, si erge oggi a ridosso del Teatro della Società, nell’odierna piazza Garibaldi: il poncho drappeggiato sulle spalle, il fazzoletto annodato al collo, il capo scoperto, la mano in tasca, la spada. La posa solenne evita l’enfasi grazie al realismo del personaggio reso nelle sue caratteristiche fisionomiche e psicologiche; l’insieme trasmette il vigore fisico e morale quale esempio di virtù civile ed è perfettamente rispondente alle aspettative del pubblico. La vena retorica che qui non è ancora del tutto stemperata sarà poi superata nel più tardo monumento di Sondrio del 1909, in cui l’eroe dei due mondi è colto in una pausa di riflessione nel vivo dell’azione. A Sondrio inoltre un rilievo contestualizza storicamente le vicende belliche rappresentando un episodio locale della guerra contro l’Austria che ha come protagonista il tenente Pedrazzini. Se i primi committenti lecchesi di Confalonieri furono i laici che vollero esaltare l’eroe risorgimentale, i cattolici, che ne avevano contrastato la realizzazione, si organizzarono, qualche anno dopo, nel comitato Cittadino presieduto da Antonio Stoppani e commissionarono allo stesso scultore il Monumento ad Alessandro Manzoni, bronzo,1891, Lecco, Piazza Manzoni18. In questo che può essere considerato il suo capolavoro, lo scultore, svincolato dalla celebrazione altisonante, può cogliere, in linea con l’estetica romantico-realista, lo scrittore in un momento di privata riflessione, quando, nel suo studio, seduto in poltrona ripensa al manoscritto che tiene sulle ginocchia. Fedele il ritratto, naturale la posa, contemporanei gli abiti e gli arredi tutto contribuisce a trasmettere la profondità di pensiero, l’altezza morale, la verità umana oltre che letteraria del
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personaggio. Sono qui superati gli arcaismi del manto alla romana e l’esasperato verismo che riproduceva impietosamente i segni del tempo nel busto eseguito per la Biblioteca Braidense di Milano, su commissione di re Umberto I, nel 1886. Il modello iconografico del personaggio in poltrona è da rintracciarsi nelle opere di Vincenzo Vela: il dinamico statista Cavour o il drammatico Napoleone morente, pur nella diversità dell’accento. Il monumento ha come corollario tre rilievi narrativi che presentano episodi tratti dal romanzo storico manzoniano che, come spesso succede nelle predelle delle pale d’altare o nello zoccolo dei monumenti, sono caratterizzati da vivacità espressiva e da maggior libertà dell’artista. Gli episodi Il Ratto di Lucia, Renzo al Lazzaretto, Il matrimonio di Renzo e Lucia, costruiti con calibrata disposizione formale, realismo nello studio dei caratteri e nella definizione dell’ambiente, sono impaginati come uno spazio scenico dove i personaggi si muovono con vivace gestualità. Qui emerge in libertà quel pittoricismo di ascendenza scapigliata reso da un modellato mosso e vibrante che gioca sulla luce e dà colore alle superfici. Probabilmente legato agli studi per i rilievi dei Promessi Sposi è il delicato bronzo donato ai Musei Civici di Villa Manzoni dall’Inner Wheel Club di Lecco ed esposto nella prima sala del Museo Manzoniano. Una giovane dalle forme generose sotto la veste estiva si caratterizza come Lucia19 per la tipica raggiera che ferma i capelli e incornicia il capo. Chinata in avanti si sofferma ad ammirare compiaciuta l’anello che porta al mignolo della mano sinistra prima di entrare in acqua, visti i piedi scalzi negli zoccoli come nel rilievo del rapimento, i lembi della veste sollevati, le maniche rimboccate, l’ampia scollatura. È una Lucia diversa rispetto alla compunta e timida sposa al braccio di uno spavaldo Renzo nel rilievo del monumento a Manzoni. Il monumento al grande letterato che visse una parte della sua vita a Lecco dove ambientò I Promessi Sposi, capolavoro del romanzo storico italiano, inaugura una lunga serie di opere dedicate a grandi uomini della cultura italiana: Monumento ad Antonio Rosmini, bronzo, 1896, Milano, Giardini Pubblici; Monumento ad Antonio Stoppani, bronzo, 1898, Milano Giardini Pubblici; Busto a Giuseppe Zanardelli, bronzo, 1908, Breno (BS), Monumento a Luigi Villoresi, bronzo, 1913, Monza, Cortile del Collegio Villoresi.
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Sopra: Francesco Confalonieri, Il Ratto di Lucia, Renzo al Lazzaretto, Il matrimonio di Renzo e Lucia, 1892, bronzo, Lecco. Rilievi del Monumento a A. Manzoni. Sotto: Francesco Confalonieri, Lucia, bronzo, Lecco, Musei Civici
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Per Bosisio Parini Confalonieri modella il Busto di Giuseppe Parini, bronzo,1899, nell’omonima piazza. Lo stile barocco del piedistallo in marmo d’Oggiono storicamente coevo al poeta, contrasta con il realismo ritrattistico romantico ormai consolidato dallo scultore. Il Parini è colto come in un’istantanea dove gli attributi di status che nell’iconografia classica contraddistinguono i soggetti appaiono come oggetti della quotidianità: il mantello ecclesiastico che gli sta scivolando sulle spalle trattenuto con la mano sinistra e il libro aperto, con la mano destra. Belle le mani dai gesti pacati ma decisi, intensa l’espressione assorta del volto che, senza essere severa, comunica il rigore morale del pensatore illuminista.Un ritratto coerente, se non al modello, alla descrizione che ne fece il discepolo biografo Francesco Reina. Nel cimitero di Costa Masnaga, si conserva il busto ritratto in marmo bianco di Aurelio Mariani 1886-87. Negli ultimi anni della sua vita realizza diversi monumenti ai caduti tra cui il Monumento ai Caduti di Castello a Lecco, bronzo, 1920, Piazza Dell’Oro, il Monumento ai Caduti di Brivio, bronzo,1920, Brivio, Casa di Riposo, con il soldato all’assalto e il Monumento ai Caduti di Carate Urio, bronzo, 1921, Piazza della Chiesa con il l’alpino vittorioso che conquista la vetta con la bandiera. La scelta iconografica di questi monumenti commemorativi è perfettamente in linea con i modelli più diffusi in questi anni successivi alla prima Guerra Mondiale a cui lo scultore aggiunge il consueto e accurato naturalismo descrittivo.
In alto: Francesco Confalonieri, Monumento a Giuseppe Parini, 1899, bronzo, Bosisio Parini. A sinistra: Francesco Gonfalonieri, Monumento ai Caduti di Brivio, 1920, bronzo, Brivio, Casa di Riposo.
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La sua vena ritrattistica si esprime anche in medaglioni commemorativi in bronzo come nella lapidi dedicate a Tranquillo Baruffaldi sulla casa nativa a Barzio del 1908 e a Giuseppe Arrigoni a Introbio del 1913, entrambi patrioti protagonisti delle guerre risorgimentali. Del ritratto di Tranquillo Baruffaldi “CAMPIONE DELLA VIRTÚ VALSASSINESE TRA I MILLE”, le cronache dell’epoca raccontano “[...] alla bella opera del Confalonieri, che racchiude in svelte linee la vigorosa testa ben espressa nel bronzo, venne da un parente, con pio atto, appesa una ghirlanda di fiori rossi, oh! ognuno di noi presenti attese involontariamente che per l’aria prorompesse l’impeto sonoro dell’inno garibaldino, a salutare quel suo eroico soldato, che ricompariva all’improvviso, nella composta grandezza del simbolo [...]. E il limitare della casa cinquecentesca che già fu degli avi di Alessandro Manzoni, si illuminò tutto della novella gloria di quel bel fregio che parve un occhio di luce nella saldezza compatta delle muraglie. Ma l’atteso impeto di note non venne”. Poi il Dott. Antonio Arrigoni di Introbio parlò agli uomini di fede democratica, radicale, repubblicana e il Prof. Cermenati seppe destare con la parola quel brivido che la lirica garibaldina avrebbe dovuto suscitare20. Cinque anni dopo “la nobile figura dell’Arrigoni” vigorosamente modellata dal Prof. Confalonieri, appare sorridente a Introbio, in via Umberto I, sull’edificio dell’allora scuola e municipio. Il medaglione in bronzo con l’epigrafe dettata dal prof. Magni:
I ritratti
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GIUSEPPE ARRIGONI CHE ALL’ITALIA E ALLA VALSASSINA DEDICÒ L’ALTO INTELLETTO E IL CUORE GENEROSO DILIGENTE RACCOGLITORE DI MEMORIE PATRIE FU DELLA SUA VALLE STORIOGRAFO AMMIRATO FIERO PROPUGNATORE DELL’ITALICA LIBERTÀ FU ANIMA NEL 1948 DEL COMITATO RIVOLUZIONARIO LECCHESE AFFRONTÒ ESILIO E PERSECUZIONI QUANDO FU FATTA L’ITALIA SI CHIUSE MODESTAMENTE NELLA SUA VALLE PER CURARNE L’EMANCIPAZIONE MORALE, LA PROSPERITÀ ECONOMICA, 1811-186721.
Il calco in gesso del medaglione è stato donato nel 2003 dai bisnipoti alla Biblioteca di Introbio, dedicata all’Arrigoni, dove è conservato ed esposto con altri cimeli22.
Sopra: Francesco Confalonieri, Ritratto di Tranquillo Baruffaldi, 1908, bronzo, Barzio. Francesco Confalonieri, Ritratto di Giuseppe Arrigoni, 1913, bronzo, Introbio. Sopra a sinistra: Francesco Confalonieri, Ritratto di Giuseppe Arrigoni, 1913, gesso, Introbio, Biblioteca G. Arrigoni.
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I monumenti funebri
Nel cimitero Monumenale di Lecco si conservano un cospicuo numero di monumenti funebri in cappelle gentilizie e monumenti terranei in cui l’artista sviluppa prevalentemente il suo versante classicista, dove figure allegoriche o angeliche, venate di simbolismo, mantengono riferimenti veristi di impronta romantica senza mai cadere in fredde formule accademiche. Il monumento della famiglia Ongania, marmo, 1887, Cimitero Monumentale Lecco, prima cappella a destra di fondo, è composto da una figura angelica a tutto tondo campeggiante su di un basamento con decorazioni stilizzate e due rilievi, ritratti dei due coniugi Giuseppe Ongania e Luigia Osnelli, sui due angoli frontali smussati.
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Francesco Confalonieri, Angelo, 1887, marmo, Cappella Ongania Cimitero Monumentale Lecco. Assieme e particolare.
Fin da questo suo primo intervento al cimitero si evidenzia la mediazione di Confalonieri tra il classicismo del soggetto, probabile esigenza della committenza, la morbida linea liberty del modellato e il realismo nella resa psicologica dei ritratti. La rigidità della classica iconografia dell’angelo giudicante che sta scendendo dal cielo, braccio sinistro alzato, spada impugnata nel destro, è resa nelle forme morbide dei panneggi fermati con una spilla a stella sul petto e da un corpo che ha già subito quel processo di femminilizzazione del simbolo che diventerà sempre più marcato nelle successive realizzazioni al Monumentale di Lecco. D’altro canto i ritratti, indagati minuziosamente nelle loro caratteristiche fisionomiche, nelle espressioni psicologiche, nella contemporaneità dell’abbigliamento e delle acconciature sono un esempio di franco realismo ottocentesco. Purtroppo la cappella versa in uno stato di abbandono. La rivisitazione in chiave liberty della figura angelica è già ben evidente nelle lapidi delle tombe a terra Erba e Rusconi, dove soavi figure fluttuano tra ghirlande di fiori ed elaborate cornici neogotiche in linea con l’eclettismo di fine secolo. Nell’altorilievo in marmo bianco di Francesca e Paolina Erba, 1894, Monumen-
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tale, campo C 68, una figura femminile angelica preme la mano destra al petto e nella sinistra, abbandonata lungo il fianco, stringe mazzolini di rose. Le chiome mosse dal vento e i panneggi sinuosi attorno ai piedi che poggiano su un accenno di nuvole, suggeriscono soavità e leggerezza. Il cielo si chiude con un elegante arco ad ogiva. Due volute decorate raccordano la stele alla parte inferiore, sarcofago in cui una cornice scolpita racchiude la foto della defunta. L’ambientazione della tomba segue una tipologia che si ripete negli altri esempi presenti nel cimitero di Lecco. La scultura in marmo di Carrara poggia su piedistallo di pietra molera grigia ed è inserita in un giardinetto recintato in ferro battuto con motivi di fiaccole, pavimentato con mosaico geometrico a tessere bianche e nere. L’elegante bicromia data dal contrasto tra i due materiali e l’insieme organico di scultura e arti decorative fa di questa e delle altre due sepolture terranee realizzate da Confalonieri, preziosi capolavori. Nella tomba di Carlo e Carolina Rusconi, Monumentale campo E 68, un sarcofago in marmo bianco con stilizzazioni ai quattro angoli che richiamano il simbolo etrusco dell’acroterio del tempio, regge una imponente stele con altorilievo. Tre figure angeliche poggianti su nuvole esprimono: il dolore straziantefigura sinistra inginocchiata che si copre il volto con le mani-, la mestizia incredula - figura destra di profilo, ripiegata, con rose nella mano-, e la fiducia nella resurrezione, -figura centrale con volto rivolto al cielo e cartiglio in mano con la scritta “VITA NON MORTEM”- . La morbidezza dei panneggi, la resa delle piume, i capelli sciolti e mossi sono perfettamente resi nel marmo. Anche la composizione delle figure suggerisce il senso ascensionale del percorso che porta dalla disperazione alla consolazione nella fede. La parte sommitale con struttura piramidale, pinnacoli floreali e croce, incornicia architettonicamente la scena. Nella tomba Francesca Monti Cirio, Monumentale, campo E 85, ancora i due momenti: il ritratto realistico e la figura idealizzata. Il tondo con ritratto a bassorilievo della defunta nella parte inferiore presenta notazioni tratte dalla quotidianità: la camicetta ricamata, i capelli raccolti, lo sguardo assorto, mentre nella stele soprastante l’immagine della Fede inginocchiata e di profilo prega ispirata, stringendo una croce nelle mani tese. Nel realizzare la figura velata e ricoperta da una
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Sopra: Francesco Confalonieri, tomba Erba, 1894, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale. Francesco Confalonieri, tomba MontiCirio, 1893-1894, Lecco, Cimitero Monumentale. Sopra a sinistra: Francesco Confalonieri, tomba Rusconi, 1888-1896, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale.
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sottile veste, con assoluta essenzialità di linee e con l’abbandono della postura, certo Confalonieri aveva presente la fortunata serie iconografica che dalla Maddalena penitente (1795) di Antonio Canova, passa alla giovinetta ignuda della Fiducia in Dio (1835) del purista Bartolini, per giungere alla Preghiera del mattino (1846) e alla Desolazione (1850) di Vincenzo Vela. Un coronamento a doppio spiovente porta un ramo di palma, simbolo di immortalità, e i frutti del papavero, simbolo del sonno eterno. Stessa postura con accentuazione della piegatura del busto e del capo è ripresa nella splendida scultura anonima in marmo, di chiara ascendenza purista, ricollocata sulla tomba Rovagnati, Monumentale, campo A165, chiaro esempio della fortuna di questa iconografia nella scultura funeraria. Un’architettura di un liberty essenziale quella della tomba Monti Pasquale, Monumentale, campo C 87, 190023, in cui si eleva un fiore-croce, nella cui corolla trilobata trova posto un rilievo bronzeo, tondo dove è rappresentata una veglia funebre. In questa raffinata miniatura è evidente il contrasto tra il realismo della salma velata in primo piano, di profilo e debordante la cornice e il gruppo angelico che la veglia amorevolmente, quasi una visione celeste, un sogno. Come non pensare al sogno di Paradiso della giovane Casati sul suo letto di morte che Butti ha lasciato al Monumentale di Milano. Anche l’angelo della cappella Bertarelli, Monumentale, marmo 1894, cappella di fondo a destra, tradisce una sensibilità tutta romantica. Seduto informalmente e di profilo sul basamento in marmo che con la lastra rastremata di fondo assomiglia molto ad uno scranno, ha appoggiato la tromba del giudizio e, dopo aver compiuto l’ardua missione, si riposa guardando fiducioso verso l’alto in attesa della benevolenza di Dio. Splendido il volto incorniciato dalla capigliatura a cui sfugge un
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malizioso ricciolo, le labbra aperte rafforzano l’espressione, sensuale la spalla nuda lasciata scoperta dalla veste cascante, avvolgente l’abbraccio delle ali aperte dalle piume realisticamente descritte e pronte ad accogliere il suo giusto riposo. Modellato morbido, tocco leggero per rendere una figura angelica che è ormai lontana dall’allegoria e, muovendosi sul terreno ambiguo della sensibilità decadente, si avvia a diventare un’umana e sensuale custode dei sepolcri. Anche le tessere dorate inserite come motivo decorativo nella lastra di fondo accennano ai decori aurei della Secessione. Il tema dell’angelo custode ed intermediario è ripreso nella cappella Corsi, Monumentale 1920, lato sinistro, ultimo monumento realizzato per il cimitero di Lecco. Mollemente disteso su di un sarcofago in marmo scuro, un angelo bronzeo protende le mani in atto di preghiera. Morbidi e sensuali i ricci da cui sfugge una piccola ciocca sulla fronte, occhi semichiusi e assorti, sottile la veste che scende fino ai piedi con panneggi leggeri e lascia nude le braccia, ma rigida la posa che vorrebbe essere sciolta e abbandonata senza riuscirci, contraddetta dalle ali dritte sulla schiena di fronte alla croce in marmo di fondo. Una cornice architettonica in marmo nero con arco a tutto sesto simula la navata di una chiesa e porta a compimento l’ambientazione della scena.
Nella pagina precedente, dall’alto: Anonimo, Dolente, tomba Rovagnati, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale. Francesco Confalonieri, Angelo, 1894, marmo, Cappella Bertarelli, Lecco, Cimitero Monumentale. Francesco Confalonieri, Compianto,1900, bronzo, tomba Monti, Lecco, Cimitero Monumentale. A sinistra: Francesco Confalonieri, Angelo, 1920, marmo, Cappella Corsi, Lecco, Cimitero Monumentale. Sotto: Francesco Confalonieri, Dolente sulla soglia, 1892-1900, marmo, Cappella Mattarelli, 1892-900, Lecco, Cimitero Monumentale.
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Francesco Confalonieri, Resurrezione, Bronzo, Cappella Cornelio ora Parrocchia di S. Nicolò, Lecco, Cimitero Monumentale. Francesco Confalonieri, Cappella Nava e Torri Tarelli, 1907, marmo Lecco, Cimitero Monumentale.
Attento all’apparato in cui è messo in scena il cordoglio, per quanto mesto e contenuto, Confalonieri ricostruisce una scena quasi domestica con una dolente seduta sulla soglia del sepolcro nella cappella Mattarelli, Monumentale, 1892-900, marmo, cappella di fondo a destra. La figura femminile seduta sui gradini della soglia col capo reclinato, la lunga veste classica, le mani in grembo è più l’allegoria del Dolore che il ritratto di una congiunta; la porta è il misterioso passaggio verso l’Oltre divenuto così pregnante nelle realizzazioni di Canova per le tombe di papi e regine. Sono presenti tutti i simboli classici: la fiaccola in bronzo che arde, le fiaccole rovesciate in rilievo sulla porta, il timpano, ma l’insieme, grazie anche alla policromia dei materiali, rimanda ad un ingresso domestico e solenne di una casa borghese, ricostruito con fedeltà. In aderenza ai dettami del “Realismo borghese” dominante nella seconda metà dell’Ottocento, anche il compianto famigliare viene ad essere trasposto in una dimensione quotidiana. Decisamente classiche le ascendenze delle cappelle Corti-Valassi e Nava-Torri Tarelli. Il bronzeo Custode delle ceneri realizzato per la famiglia Corti ed attualmente restaurato e ricollocato per la famiglia Valassi, Monumentale, cappella lato sinistro, riprende un’iconografia classica pur nel dinamismo e nella ricerca di effetti naturalistici fortemente espressivi. Il giovane ignudo, dall’anatomia asciutta e ben modulata a rendere la bellezza e la forza perfettamente in accordo, protegge con le braccia un’urna cineraria appoggiata su di un basamento in bronzo. Il vaso con le ceneri è istoriato con un corteo di donne velate. Un panneggio svolazzante raccorda i tre elementi della composizione, l’urna, il piedistallo, le gambe del giovane, con una funzione di pudico decoro e, con la postura precaria e i riccioli scomposti, crea la sensazione di un movimento appena arrestato. La dicitura incisa: NEMO TANGERE ID AUDET ribadisce ciò che il bel volto e l’atteggiamento esprimono. La ricollocazione della scultura non ci permette di conoscere l’originaria ambientazione, che sappiamo, dalle restanti opere di Confalonieri, avere un ruolo importante anche con la semplice scelta degli intonaci. Il gruppo piramidale in marmo di Carrara, della cappella Nava-Torri Tarelli, 1907, lato sinistro, è un omaggio ai membri delle famiglie dei caduti durante le campagne risorgimentali24. I valori etici e civili per i quali i valorosi fratelli TorriTarelli hanno dato la loro vita, Patria, Famiglia, Fede sono qui rappresentati secondo gli stilemi neoclassici. Sulla sinistra, Marte, dio della guerra, eretto secondo la regola classica della ponderatio (una gamba che regge il peso del corpo e l’altra leggermente flessa), tiene lo scudo appoggiato a terra su cui campeggia la scritta “PRO ARES ET FOCIS”. Nudo con l’elmo, calza sandali greci con teste leonine sui lacci, un mantello copre le spalle e scende sull’inguine ad evitare una nudità troppo esposta, volge il capo alla madre che, seduta di profilo alla destra, stringe protettiva un bimbo. Il peplo che avvolge con ampie pieghe la donna, lascia nuda la spalla evidenziando la linea dolce e sinuosa che questa crea con il collo e il capo piegato sulla testa del bambino. Il cerchio si chiude con le braccia che avvolgono il figlioletto paffuto e vitale in una stretta vana che già è consapevole del destino del figlio, come le Madonne con Bambino della tradizione rinascimentale. Anche
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questa maternità laica sembra prevedere il destino crudele che sottrarrà i figli alla madre. Alle spalle, sovrastante e in posizione centrale, la Madonna con le braccia aperte protegge e aggiunge il valore della Fede Cristiana ai valori laici e civili esaltati. La composizione sapientemente dosata tra verticali - figure erette, orizzontali-linee delle braccia e diagonali-incrociarsi dei panneggi, risulta equilibrata. I particolari minuti sono accuratamente descritti: lacci dei calzari e dei mantelli, acconciature con nastri, piedi aggettanti. Il tema della resurrezione è celebrato nella cappella Cornelio, ora Parrocchia di S. Nicolò, seconda cappella a destra, dove campeggia un gruppo bronzeo in cui il modellato è modulato in tutte le sue varianti: dal sottile stiacciato del fondo, all’altorilievo dell’angelo, al tutto tondo del Cristo. Il Cristo, giovane, bello, intatto si sta liberando dal sudario e, seduto sulla pietra sepolcrale, guarda davanti a sé nella direzione indicata dall’angelo soprastante, inscritto in una finestra trilobata a sua volta parte centrale di una croce definita sulla parete di fondo. L’angelo, dai panneggi svolazzanti e aderenti al corpo, indica con il braccio destro alzato il cielo e reca nella mano sinistra un ramo di palma. La scena è rappresentata dall’interno del sepolcro ed è raccordata con il paesaggio esterno, la collina del calvario con le tre croci, dal lenzuolo su cui è steso il Cristo e sembra un invito ad uscire, che rafforza il gesto dell’angelo. Il bronzo è stato recentemente pulito, lasciando intatto l’intonaco originale della parete in cui è inserito.
Francesco Confalonieri, Custode delle ceneri, 1900 ca, bronzo, Cappella Corti-Valassi, Lecco, Cimitero Monumentale.
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Giulio Branca Cannobio (No) 1850 - Milano 1926
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o scultore Giulio Branca25, a Brera dal 1864 con Giovanni Strazza, segue dapprima i modelli del tardo neoclassicismo, per aderire in seguito al verismo privilegiando soggetti a sfondo sociale, fino ad abbracciare i modi scapigliati di Bazzaro e Butti con uno stile più pittorico26. Il Branca, nipote dell’Abate Antonio Stoppani (Lecco1824 - Milano1891)27, lo scienziato e scrittore che esplorò le montagne lecchesi, ne realizza il sepolcro al Monumentale, come riporta l’iscrizione sotto la firma: INTERPRETANDO L’IDEA DELLO ZIO PROFESSOR ANTONIO STOPPANI QUESTA OPERA FACEVA NEL 1893.
Sopra: Giulio Branca, Resurrezione, 1893, marmo, Cappella Antonio Stoppani, Lecco, Cimitero Monumentale. Giulio Branca, Redentore assiso, 1902, marmo, Cappella Todeschini, Lecco, Cimitero Monumentale. Nella pagina successiva, dall’alto: Giulio Branca, Dolente sulla soglia, marmo, Cappella Redaelli-Longoni, Lecco, Cimitero Monumentale. Giulio Branca, Ritratto di Antonio Stoppani, 1893, marmo, Cappella Antonio Stoppani, Lecco, Cimitero Monumentale.
La cappella è chiusa da una parete in cui si apre una porta architravata oltre la quale si sviluppa una scena complessa con sculture a tutto tondo e a bassorilievo. Superato il gradino–sarcofago sul cui fronte è scolpito il medaglione con il profilo dello Stoppani, si incontra un paesaggio roccioso reso naturalisticamente e un sepolcro tagliato nella nuda roccia. Sulla sinistra una figura angelica a tutto tondo con tunica finemente ricamata, seduta su di una roccia sagomata grossolanamente indica il sepolcro vuoto e la direzione verso il cielo del Risorto. Oltre il sepolcro, sullo sfondo le tre Marie sconsolate a bassorilievo, il profilo del Calvario con le tre croci e il Cristo risorto a stiacciato. Interessante la descrizione di particolari ambientali naturalistici: le rocce, le foglie morte a terra, i funghi, i rami di palma che collocati alle spalle dell’angelo suggeriscono le ali mancanti, certo un omaggio allo scienziato, scrittore, patriota, religioso, direttore del museo Civico di Storia Naturale di Milano. Nella vicina cappella Colombo si segnala l’imponente scultura marmorea, Cristo risorto firmata P. Beretta, 1893. Nella cappella Redaelli, attualmente famiglia Longoni, marmo, cappella lato destro, Branca ripropone il tema del passaggio con una figura femminile classicamente panneggiata benedicente la porta d’ingresso al sepolcro. La giovane donna dai lunghi capelli raccolti in morbida crocchia, sale la scalinata d’accesso in marmo bianco verso la porta in ferro battuto con vetri piombati, incorniciata da un arco a tutto sesto in marmo nero. Nella mano sinistra stringe un vaso di unguenti con la scritta “PAX”, il braccio destro alzato porge un rametto d’ulivo in bronzo. La
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classicità del marmo di Carrara della scultura a tutto tondo si inserisce in una ricostruzione di ambiente contemporanea dove i diversi materiali concorrono a rappresentare una realtà quotidiana. Nella quarta cappella sinistra di fondo della famiglia Todeschini, 1902, la figura del Redentore assiso, dal volto affilato e dolce, accoglie con il gesto delle mani aperte i BEATI MORTUI QUI IN DOMINO MORIUNTUR. La scultura in marmo di Carrara è collocata su di un altare con edicola, in una nicchia con arco a tutto sesto sorretto da due colonne e sovrastato da timpano: il fondo oro esalta la finezza dell’esecuzione e l’espressività del volto che richiama, secondo le cronache dell’epoca, il Cristo del Bistolfi28.
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Il monumento a Monsignor Luigi Vitali (Bellano 1832-1919) all’ingresso del cimitero di Bellano, come recita l’epigrafe sull’alto piedistallo, rende omaggio al:
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CANONICO DELLA BASILICA AMBROSIANA COMMENDATORE MAURIZIANO ALLA RELIGIONE E ALLA PATRIA ALLA BENEFICENZA DEDICÒ LA SUA VITA DI SACERDOTE EDUCATORE PER OTTO LUSTRI DIRESSE L’ISTITUTO DEI CIECHI IN MILANO. 1836- 1919.
L’adesione di Branca ai modi del verismo nel trattare soggetti a sfondo sociale è ben evidente nella composizione del gruppo bronzeo collocato all’altezza del primo livello del cimitero. Del religioso e uomo di cultura privilegia la sua funzione di educatore nei confronti di un’infanzia privata del dono della vista e qui rappresentata da due bambini dallo sguardo perso nel vuoto che tendono le piccole mani verso di lui alla ricerca di un contatto e un sostegno. Fragili nelle leggere e corte vestine che lasciano nude le gambe, calzano scarponcini stringati e sono accomunati da una gestualità che denota smarrimento e richiesta di aiuto alla figura colonnare ferma e protettiva che li sovrasta. La massiccia figura del sacerdote si scioglie nei gesti ancestrali di accoglienza: le braccia aperte, la mano appoggiata sul capo e sulla spalla dei fanciulli, la bella testa inclinata a sinistra, il volto serio ma dolce e benevolo. In posizione secondaria ma pur presenti e ben visibili dal primo livello del cimitero i tomi appoggiati ai suoi piedi sotto il mantello con i titoli in evidenza: VITA DEI CIECHI, PATRIA E RELIGIONE, BENEFICENZA IN MILANO29.
Giulio Branca, Il monumento a Monsignor Luigi Vitali, 1920-1926, bronzo, Bellano, Ingresso Cimitero. Assieme e particolare.
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Carlo Da Nova
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A FELICE CAVALLOTTI FARO DELLA DEMOCRAZIA, POETA DELLA LIBERTÀ ARALDO DELLA MORALE E DELLA GIUSTIZIA AMMIRATORI RICONOSCENTI POSERO S. GIOVANNI.
Lo stesso uomo politico radicale a cui è dedicato il capolavoro di Ernesto Bazzaro a Milano e che diverse vicissitudini portarono a migrare in via Senato da piazza Pio IX, davanti alla Pinacoteca Ambrosiana dove era originariamente collocato, resiste nell’omonima piazza di Lecco su di una parete rappezzata. Il bel ritratto realistico, dallo sguardo intenso e volitivo sotto l’ala dell’ampio cappello, campeggia su di una lapide marmorea sorretta da due teste leonine e fissata alla parete, proprio sopra l’intitolazione della piazza. Il ramo di palma e il mazzo di papaveri ricordano l’immortalità della gloria che trionfa sull’oblio della morte.
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o scultore Carlo Da Nova30, autore di numerose tombe al Monumentale di Milano lascia a Lecco un medaglione ritratto di Felice Cavallotti a San Giovanni e al Monumentale Il Tempo ammonitore, tomba Pozzi, 1899 campo C 77, una delle sculture più antiche del cimitero. La figura classica di vecchio barbuto, Cronos o Saturno che ingoia giorni, notti, mesi nella tradizione ottocentesca posto a guardia dei cimiteri, è qui assiso su di una semisfera immersa nelle nuvole. La scultura in marmo di Carrara poggia su di una roccia simulata con conglomerato in calcare, ed è naturalisticamente ambientata. Il vecchio pensoso abbraccia il ginocchio sinistro ripiegato e regge la falce a riposo. Con la sinistra stringe la lunga barba che incornicia il volto assorto dove tutte le pieghe delle rughe e delle folte sopraciglia contribuiscono all’espressione. I segni della decadenza fisica sono tutti presenti, descritti minuziosamente nella calvizie e nel rilassamento della muscolatura; la postura ripiegata toglie ogni aspetto terrifico alla figura che tuttavia appare solenne ed autorevole, incorniciata dalle ampie ali, così immersa nei suoi profondi pensieri. Carlo Da Nova realizza il medaglione dedicato a Felice Cavallotti nella piazza a lui dedicata, davanti alla chiesa, a S. Giovanni della Castagna:
Carlo Da Nova, Ritratto di Felice Cavallotti, primi anni del 1900, bronzo, Lecco, S. Giovanni.
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Antonio Tantardini Milano 1829 - 1879
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ntonio Tantardini31, come recita una lapide al cimitero di Bellano: PER LUNGA DIMORA E PER AFFETTO EBBE IN VITA CITTADINANZA A BELLANO MUNICIPIO E POPOLO RICEVONO OGGI 10
SETTEMBRE 1887 E CONSERVANO A PERPETUITÀ QUESTA OPERA DELL’INSIGNE ARTISTA A DECORO DEL CAMPO DI PACE.
Si tratta di una figura femminile ammantata che è posta simmetricamente ad una precedente figura di dolente realizzata dallo stesso autore per la famiglia Denti nel 1876. Le due figure poste al centro del cimitero, ai lati dell’edicola neogotica della famiglia Vitali che racchiude una pietà marmorea, pur essendo opere singole ed autonome, compongono sul terrazzo centrale il nucleo storico del cimitero stesso. Lo scultore milanese, sepolto nella cripta del Famedio al Cimitero Monumentale di Milano, realizzò numerose opere funerarie secondo l’iconografia romantica della Malinconia o Desolazione già proposte dal pittore Fancesco Haiez e dallo scultore Vincenzo Vela. Al monumentale di Milano aveva realizzato la figura femminile dai lunghi capelli sciolti seduta in posa raccolta, Monumento Prandoni, rialzato B di ponente, 1870, ora conservata alla Galleria d’Arte Moderna di Milano e la Meditazione, Monumento Tantardini, sotto il porticato, spazio M, 1879, che recupera il gusto neoclassicheggiante dei suoi nudi muliebri. Ancora a Milano l’Allegoria della Storia ai piedi del Monumento a Cavour di O. Tabacchi, una figura di donna seduta, nuda e classicamente panneggiata, scrive il nome dello statista e richiama la formazione accademica dello scultore come allievo di Pompeo Marchesi a Brera. Le dolenti di Bellano sono in piedi, maestose nei manti e veli che le ricoprono nonostante il capo chino e l’espressione mesta dei volti, nascosti tra le trine. La prima, tomba Denti, porta nella mano destra una grande fiaccola rovesciata, segno di lutto, spenta a terra e nella sinistra stringe i lembi del velo che la ricopre come un mantello dai bordi finemente ricamati e ricadente in virtuosistiche pieghe. Una corona floreale con galla scolpita nel piedistallo completa decorativamente e simbolicamente il monumento. La seconda dolente più eretta sembra incedere nell’offrire la corona di fiori che reca in mano, quale segno di omaggio e riconoscenza ai defunti, secondo un’iconografia funeraria molto diffusa alla fine dell’Ottocento. Un grande mantello dal
Sopra: Antonio Tantardini, Dolente, 1887, marmo, Bellano, Cimitero. Antonio Tantardini, Dolente, marmo, tomba Denti, Bellano, Cimitero. Nella pagina precedente: Carlo Da Nova, Il tempo ammonitore, 1899, marmo, tomba Pozzi, Lecco, Cimitero Monumentale.
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Antonio Tantardini, Monumento a Tommaso Grossi, 1876, marmo, Bellano.
raffinato bordo geometrico, fermato da un bottone gioiello la avvolge e i lembi, raccolti in gonfio mazzo sul ventre e ricadenti con sinuose volute, esaltano il dono floreale. L’ampia veste che si intravvede è arricciata sotto il seno formando fitte pieghe e un lungo velo di pizzo ricopre il capo ricadendo sulla schiena come una lunga capigliatura. Sembra che l’indulgere in virtuosistici particolari descrittivi dell’abbigliamento voglia esaltare le forme di quel corpo nascosto e pur così evidente attraverso le pieghe delle stoffe. Di Antonio Tantardini è il monumento marmoreo sul lungolago di Bellano dedicato al poeta Tommaso Grossi (Bellano, 1790 - Milano, 1853). Nato a Bellano il Grossi, dopo la laurea in legge a Pavia, visse a Milano dove si dedicò per molti anni alla letteratura prima di scegliere la carriera di notaio e dove frequentò Carlo Porta e Alessandro Manzoni. Dai primi versi dialettali e satirici, (La Prineide) proseguendo poi con novelle e poemi storici (La fuggitiva, I Lombardi alla prima crociata) approdò al romanzo storico (Marco Visconti). I bellanesi si rivolgono ad un affermato scultore milanese per ricordare solennemente il loro illustre concittadino. Posto il 10 settembre 1876, come ricorda l’epigrafe, a 34 anni dalla morte del poeta il monumento a figura intera riprende lo stile informale del ritratto realizzato nel 1858 da Vincenzo Vela per il cortile dell’Accademia di Brera. Un po’ più rigida la figura in piedi del Tantardini, rispetto a quella di Vela, appoggiata ad un basso muretto rende comunque efficacemente il ritratto del letterato preso da troppi pensieri. Gli stessi abiti borghesi, il cappotto aperto, il fazzoletto annodato al collo, il rotolo manoscritto stretto tra le mani incrociate, i capelli spettinati, lo sguardo assorto, insomma la verità di ogni dettaglio negli abiti e nell’atteggiamento secondo i dettami della statuaria verista della seconda metà dell’Ottocento.
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Luigi De Paoli Vittorio Veneto (Tv) 1857 - Pordenone 1947
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uigi De Paoli32 inizia la sua attività come scalpellino e studia Belle Arti a Trieste e Venezia. Nella sua lunga vita realizza opere religiose, monumenti funebri, ritratti e nudi simbolisti dichiaratamente erotici. Nel 1886 espone a Milano il gruppo Luna di miele che piacque molto e fu riprodotto in gesso, in marmo e bronzo. Nel museo di Pordenone è conservato il bronzo La caduta di Icaro e nella Galleria d’Arte Moderna di Udine Icaro portato dalle onde. Nel Cimitero di Mandello del Lario sono conservate tre sculture in marmo che ben esemplificano la sua vena simbolista. Nella tomba di Palamede Guzzi (1845-1906), forse il nome mitologico del defunto esige riferimenti classici che guidano la scelta dell’iconografia: un genietto alato dai tratti naturalistici alimenta con l’olio la lampada, molto più vicino ad un bambino intento nei giochi, una gamba ripiegata, l’altra ciondoloni, che a un custode del sepolcro. Sopra: Luigi De Paoli, Dolente, 1911, marmo, tomba Panizza, Mandello, Cimitero Monumentale. A sinistra: Luigi De Paoli, Genio che alimenta la lampada, 1906, marmo, tomba Guzzi, Mandello, Cimitero Monumentale.
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Nella tomba di Enrico Confalonieri (1844-1910) due giovani fanciulle accosciate si consolano in un abbraccio che esprime il tema della pietà verso il defunto. Le vesti trasparenti, i capelli raccolti in morbida crocchia, mazzi di fiori abbandonati in grembo declinano le simbologie del cordoglio nelle forme sensuali del liberty. Mesta e solitaria, chiusa in un dolore che si esprime nel volto tristissimo, la dolente della tomba Enrico Panizza (1850-1911). Inginocchiata con le mani intrecciate in preghiera è completamente avvolta nella veste e nel velo, i cui panneggi niente lasciano trasparire, e non concede nulla all’erotismo velato che si esprime altrove.
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Ernesto Bazzaro Milano 1859 - 1937
Nella pagina precedente: Luigi De Paoli, Due dolenti, 1910, marmo, tomba Confalonieri, Mandello, Cimitero Monumentale, assieme e particolare.
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nica opera nella provincia di Lecco dello scultore Ernesto Bazzaro33, tra i massimi esponenti della tarda scapigliatura milanese, il doppio altorilievo in marmo e bronzo nella cappella Malugani, 1930, Monumentale di Lecco, lato di fondo sinistra. In un’architettura di marmo che simula un tempio classico con colonne e trabeazione sui due lati e l’ apertura di lucernario nel soffitto, fondamentale per l’illuminazione del complesso scultoreo, sono collocati un altorilievo in marmo bianco e un altorilievo in bronzo. Nel marmo in basso quattro figure di fronte ad una roccia su cui è incisa una lunga citazione in latino e, nella parte superiore della parete di fondo, nel bronzo il battesimo di Cristo. Si tratta di una rara rappresentazione di soggetto religioso nelle opere dell’artista che, sia nei monumenti funerari che nei monumenti pubblici, lavora per una committenza laica: l’inizio nel bronzo della vita pubblica di Gesù e la sua fine col sepolcro nel marmo mettono a confronto due episodi di diverso accento e ambientazione e, sul piano formale, la resa in diversa materia del modellato di Bazzaro, che qui sembra voler operare una sintesi del suo percorso di scultore. Bazzaro è stato uno dei protagonisti più rappresentativi della scultura lombarda allo scorcio del XIX secolo e, se ha avuto una formazione accademica nei corsi di Antonio Borghi a Brera, ha trovato i suoi veri maestri in quegli artisti della scapigliatura milanese che tendevano al rinnovamento dell'arte in senso antiaccademico, prima di tutti lo scultore Giuseppe Grandi, ma anche i pittori Daniele Ranzoni e Tranquillo Cremona. Se i numerosi ritratti sono tra i suoi lavori più originali, nei quali si riflette una piena adesione alle ricerche impressionistiche grandiane, numerosi sono i monumenti funebri per il Cimitero Monumentale di Milano in cui il marmo o il bronzo fittamente lavorati sgranano il tessuto delle superfici per trattenere l'incidenza variabile della luce. La versatilità e la sempre altissima qualità dei suoi lavori caratterizzano la sua brillante carriera artistica e lo portano a coniugare dapprima i moduli stilistici legati al sentimentalismo intimista, di matrice scapigliata, ai temi e ai modi del realismo sociale ben rappresentati dalle opere La vedova 1888, (premio Principe Umberto, il premio più ambito all’esposizione nazionale di Belle Arti di Brera), ed Esaurimento, 1894.
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Nei primi anni del 1900 il suo linguaggio è caratterizzato da un monumentalismo simbolista in cui si evidenziano suggestioni orientaleggianti e di gusto arcaico come nella edicola Squarelli, Riparto V sp 84, 1911, e edicola Supino, Riparto IX n 448-450, 1914 al Monumentale di Milano. Il Battesimo di Cristo è una scena all’aperto sulle rive del Giordano. Le due figure, poste sulla destra che lasciano il campo alla scena campestre, fuoriescono col capo dal fondo a focalizzare il gesto di Giovanni che versa l’acqua sul capo del Cristo, chino verso il gregge. I lunghi capelli, i panneggi delle vesti raccolte sul braccio sottolineano questa piegatura. Evidente il contrasto tra la plasticità più definita e levigata dei corpi denudati e il trattamento pittorico dei panneggi e del contesto.
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Il simbolismo del gregge che attornia il pastore è reso con quella fedeltà al dato naturalistico che è stata la caratteristica della pittura di Segantini e anche di Pelizza da Volpedo. Come non pensare alle pecore accomodate sulla barca nell’Ave Maria a trasbordo ambientata da Segantini sul lago di Pusiano o messe in lunga fila nello Specchio della vita di Pelizza da Volpedo? Qui da una massa indistinta di impronte che rendono l’insieme del gregge nel paesaggio, si evidenziano con pochi tocchi sapienti di un modellato appena accennato, alcune pecorelle in diverse posture. Minimo è lo spessore, un orecchio, un muso leggermente aggettanti, fondamentale la funzione della luce per rendere vibranti le molteplici sfaccettature delle impronte. Ecco la funzione della luce zenitale prevista dal lucernario aperto nel soffitto e purtroppo richiuso dal rifacimento successivo del tetto coperto con coppi. La stratificazione della polvere rende ulteriormente difficoltosa la lettura di un rilievo tra i più significativi del territorio. Una versione in marmo degli agnelli, simbolo del sacrificio di Cristo, assieme ai pellicani e a un paesaggio montano, sono realizzati da Bazzaro nell’ Edicola Pasquale Crespi Riparto IV sp 84, 190912 Monumentale di Milano. Il più classico rilievo inferiore, in marmo, rappresenta in una scena notturna le Tre Marie al sepolcro, accompagnate dal vecchio Nicodemo. La luce delle fiaccole sembra illuminare i bei volti in cui lo scultore mette in campo la sua abilità di grande ritrattista. Raggruppate quasi in un abbraccio le tre donne si differenziano nei volti allineati, diverse le angolature, le capigliature, le fisionomie accomunate nell’espressione di dolore. Discosto il vecchio canuto dalla lunga barba, china incredulo il capo verso la torcia ancora accesa, simbolo di vita e resurrezione. Sulla roccia del sepolcro la lunga scritta in latino con versetti tratti dal Salmo 50 Della Misericordia: MISERERE MEI, DEUS, SECUNDUM MAGNAM MISERICORDIAM TUAM….ET MULTUM LAVA ME AB INIUSTITIA MEA, ET A DELICTO MEO MUNDA ME… HECCE ENIM INIQUITATIBUS CONCECPTUS SUM, ET IN DELICTIS PEPERIT ME MATER MEA….DOCEBO INIQUOS VIAS TUAS ET IMPII AD TE CONVERTENTUR... SACRIFICIUM DEO SPIRITUS CONTRIBULATUS COR CONTRITUM ET HUMILIATUM DEUS NON SPERNIT..
Se il trattamento delle superfici nei panneggi un po’ rigidi e inamidati sembra più classico, il fondo martellato, la resa delle capigliature richiama nel marmo i modi scapigliati più evidenti nel bronzo. Non è certo inusuale l’accostamento dei due modi in Bazzaro e il suo capolavoro, il monumento a Cavallotti, 1903 marmo,Milano, via Senato nasce proprio dall’accostamento tra la figura michelangiolesca di Leonida, eroe delle Termopili, e lo zoccolo narrativo di grande pittoricità e freschezza in cui narra gli episodi salienti del poeta e uomo politico radicale Felice Cavallotti, ricordato a Lecco nella piazza a lui dedicata a San Giovanni con il tondo di Carlo Da Nova, precedentemente citato.
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Sopra: Ernesto Bazzaro, Monumento a Felice Cavallotti, 1903, marmo, Milano. Nella pagina precedente: Ernesto Bazzaro, Battesimo di Cristo, 1930 ca., bronzo, Cappella Malugani Lecco, Cimitero Monumentale. Ernesto Bazzaro, Marie al sepolcro, 1930 ca, marmo, Cappella Malugani, Lecco, Cimitero Monumentale, particolare.
Gli scultori neoclassici e romantici
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NOTE
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1. G. Daccò e B. Cattaneo (a cura di) Giuseppe Bovara. Memorie di un architetto. Autobiografia e Catalogo della Raccolta di Giuseppe Bovara, Rotary Club - Banca Popolare di Lecco, Lecco, 1988. 2. A. Borghi, Guseppe Bovara architetto (1781-1873), Comune di Lecco, 1975 3. L’architetto Mario Cereghini parlando della fontana a Rancio, di fronte all’Oratorio di San Carlo così si esprime sull’attenzione nei confronti delle fontane: “Caratteristica del nostro territorio è una specie di idiosincrasia per le fontane: in Lecco città, alla Malpensata, un esemplare funziona da paravento a un pubblico lavatoio: non se ne conoscono altre”. In Immagini di Lecco nei secoli, Stefanoni, Lecco 1971 p. 118. 4. Tra le rare presenze di fontane nella sistemazione urbanistica di Lecco e dintorni, oltre alle due sopraccitate, si ricorda la fontana di Luigi Rossi 1866 a Valmadrera, poi rimossa A. Borghi, L’opera dell’architetto Bovara nel secondo centenario della nascita Archivi di Lecco, Anno VI, n. 2 aprile giugno 1983, p. 240. 5. G.B. Comolli bibliografia: Braidotti 1911; Rouches 1927 a;Vigezzi 1932; Ojetti e Adami 1934; Tarchiani 1936; Nicodemi e Bezzola 1938; Costantini 1940; Sapori 1949; Ottino Della Chiesa 1959; Dizionari biografico 1960; Lavagnino 1961; Mallè 1961; Pirovano 1968; Mallè 1974; Caramel e Pirovano 1975; Castelnuovo e Rosci 1980; De Micheli 1981b; Dalmasso, Caglia e Poli 1982; La scultura italiana 1985; Musiari 1986; Pescarmona 1986; Bergamini, Goi, Pavanello e Brussich 1988; Giani 1988; Grano e Grossi Grano 1990; L. Grano 1990; Panzetta 1990 a; De Micheli 1992; Godi 1992; Mackay 1992. 6. Per quanto riguarda la ricostruzione della storia del gruppo scultoreo attraverso le pubblicazioni conosciute e le vicende dei suoi passaggi di proprietà si veda D. Pescarmona, La clemenza di Tito di G. B. Comolli, in S. Della Torre, Villa Monastero di Varenna. Le radici antiche di una dimora fin-de-siécle, Como 1987-88, p. 101-103. 7. Cfr. M. Praz La scultura neoclassica in Italia in Gusto neoclassico, Milano 1974, p.142 e Dragone Apparati scenografici e scultura celebrativa in Pittori dell’0ttocento in Piemonte, Genova 2002. 8. Cfr. H.C. Robbins Landon 1791 L’ultimo anno di Mozart, Garzanti 1989. 9. Cfr. T. Rota La scultura neoclassica nella ville del Lario, in Lecco Economia,Lecco,
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giugno 2007; T. Rota Giovanni Battista Comolli: la “Clemenza di Tito” nel giardino di Villa Monastero, in I Quaderni di Villa Monastero, 2007, pp.54-59. Cfr. E. Bairati Dall’Illuminismo alla Rivoluzione: mutamenti dell’arte europea tra riflessione sulla storia antica impegno civile nel farsi della storia e L’attualità del mito: la pittura di storia e l’iconografia dell’epopea napoleonica in La raffigurazione della storia nella pittura italiana, UniCredit 2004. La villa Appiani, Cantù, a Bosisio Parini, di origine settecentesca ed integrata con aggiunte ottocentesche, si affaccia su un parco panoramico degradante sul lago, dove sono collocate le due stele a parete. Colgo l’occasione per ringraziare il proprietario Angelo Cantù che mi ha permesso di visitare e fotografe le stele. Cnf. Il frammento di ode senza data, in G. Fumagalli, Albo Pariniano, Bergamo, 1899, p. 44 ha dato origine ad una querelle circa il luogo di nascita dell’Appiani che riporto integralmente. “Una poesia per Andrea Appiani .Te di stirpe gentile/e un di casa popolar, cred’io/Dall’Eupil natio, Come fortuna variò lo stile,/ Guidaron gli avi nostri/ de la città fra i clamorosi chiostri,/ E noi dall’onde pure,/ dal chiaro cielo e da quell’aere vivo/Seme portammo attivo, Pronto a levarne dalle genti oscure,/Tu, Appiani, col pennello,/ Ed io col plettro seguitando il bello”. La testimonianza poetica di Parini, rafforzata dalla differenza di 8 giorni tra la fede di battesimo (31 maggio 1754 in S. Carpoforo di Milano) e il giorno della nascita (23 Maggio) di Appiani. fa ragionevolmente pensare che il pittore possa essere nato qui. Il dato certo è che il pittore ha trascorso buona parte dell’infanzia a Bosisio, dove il padre medico si era trasferito per esercitare la professione, prima di tornare a Milano per gli studi. G. Rusca Bibliografia: Corna 1930; Vigezzi 1932; Ottino Della Chiesa 1959; Mele 1960; Lavagnini 1961; Il Duomo 1973, Brivio 1982; Giani 1988; Panzetta 1990 e 1994;Mackay 1992. Per quanto riguarda le opere di A. Appiani confronta: Alessandra Zanchi Andrea Appiani, CLUEB, 1995, Simonetta Coppa I dipinti della chiesa di S Michele di Visino di Valbrona, 1998; Eleonora Bairati In Raffigurazione della storia nella pittura italiana, UniCredit 2004; Bologna; Giuseppe Beretta Le opere di Andrea Appiani, Silvana Editoriale, Monza 2005. F. Confalonieri Bibliografia: De Gubernatis 1889 e 1906; Callari 1909.Vigezzi
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1932; Nicodemi Bezzola 1938; Bessone Aurelj 1947; Dizionario biografico,1960; Lavagnino 1961; Caramel e Pirovano 1975; Massorbio 1982; Tronelli e Rossi 1986; Panzetta 1990a.; Panzetta 1994; Ginex e Selvafolta 2003. La tesi d laurea di Patrizia Colturri, Francesco Confalonieri, scultore, Cattaneo, Oggiono 1990, pubblicata a cura dell’Amministrazione comunale di Costa Masnaga ricostruisce il percorso artistico di Confalonieri analizzando le principali opere. Nel 2005 la Biblioteca di Costa Masnaga ha dedicato una mostra fotografica alle opere dell’artista nella provincia di Lecco: Francesco Confalonieri nel territorio lecchese, Percorsi d’arte, Catalogo della mostra fotografica, 2005. Altre due copie del monumento a Pio IX furono realizzate nel 1882 per la Chiesa di S. Giovanni Evangelista di Torino e nel 1887 per la Chiesa del Sacro Cuore a Roma. Per la stessa Basilica di S Ambrogio a Milano realizzò nel 1924 il Monumento a Leone XIII. Per quanto riguarda la storia del monumento cfr.: Per l’inaugurazione del monumento a Alessandro Manzoni, Tip. F.lli Grassi Lecco 1891; F. Gilardi, Un po’ di storia del Monumento a Manzoni, in “All’Ombra del Resegone”, I (1927-1928), 9, pp.179-181; A. Signorelli, Storia del monumento ad Alessandro Manzoni, in Archivi di Lecco, XVII (1994), 1. pp.77-90. M Rossetto, Una statua di F. Confalonieri per i Musei Civici, Tipografia Lecchese, Lecco 1997. a.f.. Le onoranze a Tranquillo Baruffaldi, Il Prealpino, 26 settembre 1908.9. Ibidem Il Prealpino, settembre 1913. AA.VV. In memoria di Giuseppe Arrigoni storico della Valsassina, Roma 1916, pp 149-192. Ringrazio il professor Sampietro per la preziosa segnalazione. L’opera non firmata è attribuibile a Confalonieri su basi stilistiche e per una testimonianza in un articolo del Prealpino, 13 novembre 1902: “Degno di nota nei perpetui, il monumento al signor Monti pasquale, opera del Confalonieri. Si toglie dall’ordinario, finissima l’esecuzione. L’alto rilievo in bronzo raffigura un coro di angeli che vengono a prendere un’anima per condurla in cielo. Lo spazio in cui l’artista volle operare era troppo esiguo per l’estrinsecazione del concetto, e perciò, per quanto le figurine siano ben modellate, l’effetto non corrisponde alla bellezza del lavoro.
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24. cfr la lapide dedicata ai cinque fratelli sulla casa natale, opera di Angelo Montegani, cap II 25. G.Branca-Bibliografia: Esposizione Nazionale di Belle Arti in Bologna-1888. Catalogo ufficiale, 1888; De Gubernatis 1889 e 1906; Callari 1909; Svanellini 1926; Corna 1930; Vigezzi 1932; Nicodemi e Bezzola 1938; Bessone Aurelj 1947; Sapori 1949; Dizionario biografico 1960; Lavagnino 1961; Carame, Pirovano 1975; La Ca’ Granda 1981; Pescarmona 1986; Tronelli e Rossi 1986; Panzetta 1990° e 1991b; Petrantoni 1992; Panzetta 1994; Ginex e Selvafolta 2003. 26. Fornara, Giulio Branca e la sua terra, in Rive, 5. G.L. Daccò (a cura di) Antonio Satoppani tra scienza e letteratura. Atti del Convegno Nazionale di Studi. Lecco 29-30 novembre 1991, Materiali 1991, Monografie Periodiche dei Musei Civici di Lecco, IV (1991). 27. Antonio Stoppani esplorò le Prealpi Lombarde dove trovò fossili di pesci e conchiglie di ogni specie. Le scoperte si susseguirono e egli allestì nella sua casa un vero museo di curiosità geologiche. Nel 1948 venne ordinato sacerdote e durante le cinque giornate di Milano prese parte all’insurrezione contro gli austriaci. Nominato nel 1861 professore straordinario alla cattedra di geologia dell’Università di Pavia divenne successivamente direttore del Museo Civico di Storia Naturale di Milano. Su incarico del governo italiano compose una Carta Geologica d’Italia. Grazie ai suoi studi, che si svilupparono anche all’estero, pubblicò nel 1873 un Corso di geologia e, nel 1875, Il Bel Paese, in cui elenca minuziosamente le bellezze naturali dell’Italia. 28. Opera citata nell’articolo firmato a.g.g. Fra
le tombe in Il Prealpino, Novembre 1902 dove critica la posizione e la figura che non estrinseca il concetto espresso dall’epigrafe: “Fra le opere merita il primo posto il Cristo in marmo dello scultore Branca per la cappella della famiglia di Bernardino Todeschini. La figura del Redentore, seduto su di uno zoccolo soprastante ad una tomba, è ben modellata; il volto espressivo, ben fatto-dicono gli intelligenti che assomigli a quella del Cristo del Bistolfi. Io però non mi so spiegare quella posizione, chè, nel complesso, la figura dice poco e non estrinseca il concetto dell’epigrafe: Beati mortui qui in Domino moriuntur. Prevale, a mio giudizio, la finezza dell’esecuzione, sulla espressione dell’idea”. 29. Al Monumentale di Milano di G. Branca: Apoteosi dell’anima, Monumento Giovanni Norsa, Israeliti, 1881; Ave Maria o Mietitore, Monumento Erminia Bianchi, Riparto VII, 1900; La glorificazione dei nostri prodi; Monumento Lorenzo Sicurtà, Riparto IX, 1920. A Bellano sul lungolago il busto di Sigismondo Boldoni, poeta, filosofo e medico, 1597-1630, Giulio Branca, marmo 1895 fu posto sulla fontana che IL COMUNE QUI CONDUSSE ED AGEVOL PORSE L’ACQUA CHE I FLL.VITALI FU GIOV. BATTISTA, IN MEMORIA DELLA MADRE RACHELE DONAVANO AL BORGO NATIVO APRILE 1895. 30. Di C. Da Nova al Monumentale di Milano: sepoltura di Palmira Olginati, 1897 Emiciclo n.66; Monumento Mariani Verga, Il dolore, Rialzato B di ponente n. 1316-1319, Bronzo,1922. Di questo autore, documentato a Milano e a Lecco, non si sono rintracciate notizie biografiche.
31. A. Tantardini Bibliografia Esposizione italiana 1862; Fleres 1899; Callari 1909; Corna 1930; Vigezzi 1932; Nicodemi e Bezzola 1938; Bessone Aureli 1947; Sapori 1949; Mostra del centenario 1952; Mele 1960; Lavagnino 1961; Pirovano,1968; Il Duomo 1973; Pinto 1973, Caramel e Pirovano 1975; Brivio, 1982; Ottocento 1984; La scultura italiana 1985; Tronelli e Rossi 1986; Panzetta 1990; Terraroli 1990; Pirovano 1991, De Micheli 1992; Petrantonj 1992; Melani s.d.; Panzetta 1994; Ginex e Selvafolta 2003. 32. Bibliografia De Paoli: Esposizione nazionale, 1988; De Gubernatis 1889 e 1906; Dizionario biografico 1960; Damiani 1978; Bergamini, Goi, Ravanello e Brussich 1988; Panzetta 1990 e 1994; Mackay 1992. 33. E. Bazzaro Bibliografia Fleres 1899; D’Althan 1902; De Gubernatis 1906; Callari 1909; Almanacco 1911; Post 1921; Salvaneschi 1921; Rouches 1927; Vigezzi 1932; Tarchiani 1936; Nicodemi e Bezzola 1938; Tranquillo 1938; Costantini 1940; Mostra postuma 1940; Bessone Aurelj 1949; Sapori 1949; Mostra del Centenario 1952; Lavagnino 1961; Brusio 1967; Pirovano 1968; Caramel e Pirovano 1975, Bellonzi 1978; De Micheli 1981°; Il Liberty italiano 1981; Robecchi 1981; Bossaglia e Ghio 1982, Massobrio 1982, Janson 1 984; La scultura italiana 1985; Magni 1986; Tronelli e Rossi 1986; Picone, Petrusa Pessolano e Bianco1988; Caramel 1989; Aimone e Olmo 1990; Corgnati, Mellini e Poli 1990; Panzetta 1990a; Piantoni e Venturoli 1990; Panzetta 1991b; Pirovano 1991; Terraroli 1991; De Micheli 1992; Petrantoni 1992; Sgarbi:1992; Panzetta 1994; La Galleria, 1993; Trombadori, Rivosecchi e Selvaggi 1993; Panzetta 1994; Ginex e Selvafolta 2003.
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SECONDA GENERAZIONE TRA REALISMO E SIMBOLISMO Nella prima metà del Novecento la memoria degli uomini illustri e dei caduti per la patria è affidata ad una seconda generazione di scultori di area lombarda e nazionale a cui si rivolgono anche le famiglie della borghesia lecchese per opere prestigiose sulle tombe private. Sono artisti che si muovono tra il simbolo e il racconto, tra la linea sinuosa e dinamica del liberty e il robusto realismo verista.
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Michele Vedani Milano 1874 - 1969
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Sopra e nella pagina precedente: Michele Vedani, Monumento ad Antonio Stoppani,1927, bronzo, Lecco. Sotto: Monumento ad Antonio Stoppani, Piazza dei Mille, Fototeca Musei Civici, Lecco.
ichele Vedani1, allievo di Butti all’Accademia di Brera a Milano, inizialmente risente dei modi della Scapigliatura milanese realizzando piccole sculture dal modellato pittorico (Fra’ Condutt, Milano, Galleria d’Arte Moderna), poi si accosta al gusto liberty. Nella prima metà del 1900 è uno degli artisti più richiesti nell’ambito della scultura funeraria milanese e realizza 20 monumenti al Monumentale di Milano. Nel 1938 esegue la statua di Pio XI per il Duomo di Milano. Per Lecco Michele Vedani realizza nel 1927 il monumento commemorativo dell’Abate e geologo Antonio Stoppani 2, collocato originariamente nei giardini del lungolago, in uno spazio denominato Piazzale dei Mille dove ora si trova il Monumento ai Marinai d’Italia. In seguito all’apertura della nuova strada a lago nel 1933, la statua è spostata e posta al centro di una grande esedra delimitata da due fontane, dove ancora oggi si trova. Il ritratto, a figura intera, dello studioso sempre impegnato a conciliare scienza e fede, domina dall’alto piedistallo progettato dall’architetto Mino Fiocchi, ed è incorniciato dalle creste del Resegone e dal campanile di Lecco. Molto somigliante al ritratto ad olio dipinto dal nipote di Stoppani, Gian Battista Todeschini, conservato ai Musei Civici di Lecco e attualmente esposto nella sala del Consiglio Comunale, ci presenta uno Stoppani nel pieno della sua maturità di uomo e pensatore nell’atto di riflettere sulla sua lunga esperienza. L’ufficialità del ritratto condiziona la modalità espressiva e il Vedani, che nelle piccole sculture privilegia un modellato pittorico sulle orme delle soluzioni stilistiche di Grandi, si attiene ai modelli del realismo ottocentesco. Più libera e sciolta la trattazione del busto in bronzo di Stoppani, posto al culmine di una roccia presso il rifugio Rosalba in Grignetta, che lo stesso autore propone. Qui il giovane esploratore delle montagne lecchesi sorride felice alla natura e al paesaggio che tanto ha amato: il colletto sbottonato, i capelli al vento, la superficie del bronzo scabra, mossa, vibrante all’aria e alla luce.
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Già nel 1923 il Vedani aveva realizzato il Leone di Barzio, un monumento ai caduti estremamente innovativo rispetto i monumenti bellici coevi, che ottenne il parere favorevole dello scultore Medardo Rosso (1858-1928), storico villeggiante di Barzio3. Il leone venne fuso nel 1944 e due rilievi sopravvissuti sono inseriti nel nuovo monumento commissionato a Giuseppe Mozzanica nel 1952. Le due formelle che rappresentano l’Addio struggente della donna e del bambino al soldato e il Fante vittorioso sulla vetta con il fucile e la bandiera, sono modellate con il tocco mosso e rapido di matrice scapigliata, attualmente smorzato dalla vernice protettiva dell’ultimo restauro4. Al Monumentale di Lecco una sua scultura in bronzo per la tomba Sormani, campo B111, 1947 e il bozzetto in bronzo dello stesso soggetto sulla tomba Nava, Monumentale campo E. A fianco, dello stesso autore, un tondo ritratto di bimbo incorniciato da una corona di fiori dove emerge il gusto liberty molto più marcato nei monumenti di Milano. Nel cimitero di Acquate sotto la vernice stesa impropriamente sul busto ritratto di Don G. Nava si legge la firma di M. Vedani. La Madonna ammantata, ripresa a piano americano, nella tomba Sormani, sorregge il Bambino che sembra muovere i primi passi aiutato dalla mamma che lo regge protettiva sul muretto. Le gambe nude nella leggera e strana vestina, porge due mazzolini di fiori, racchiuso nella mandorla del mantello conchiglia. Quest’opera è la versione in bronzo della scultura in marmo che si affaccia da una nicchia finestra sulla facciata della casa di vacanza dell’artista ad Esino Lario. La scultura è in realtà il ritratto dell’amatissima ed unica figlia di Vedani, Minuccia, morta di tisi in giovane età. A Esino lo scultore giunse negli anni Trenta proprio
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Michele Vedani, Busto di Antonio Stoppani, bronzo, Lecco, Rifugio Rosalba. Michele Vedani, Fante vittorioso, Monumento ai Caduti di Barzio, 1923, bronzo, Barzio.
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per curare la figlia malata con l’aria salubre di mezza montagna (900m.) Come i rilievi che restano anche su alcune case di Lecco, posti alla fine della costruzione quali discrete cappellette in cui la Madonna è invocata a protezione degli abitanti, così la scultura a Esino, con grande realismo, sporge dalla nicchia, solennemente e architettonicamente incorniciata sulla facciata in legno di casa “Minuccia”, proprio all’inizio del percorso di quella Via Crucis in cui la ragazza Minuccia avrà un ruolo fondamentale. Una targa posta all’inizio di questo percorso di cappelle in pietra che racconta la Passione del Cristo dall’Ultima Cena alla Resurrezione, così recita:
Sulla sinistra dall’alto: Michele Vedani, Madonna col Bambino, marmo, Esino Lario, Minuccia, casa di M. Vedani. Michele Vedani, Madonna col Bambino, 1947, bronzo, tomba Sormani, Lecco Cimitero Monumentale. In alto a destra: Michele Vedani, Madonna col Bambino, bronzo, tomba Nava, Lecco Cimitero Monumentale.
1831 IMPERVERSANDO IL COLERA SULLE RIVE DEL LARIO LA POPOLAZIONE DI ESINO EDIFICÒ A PROPIZIAZIONE QUESTA VIA DELLA CROCE. SBIADITI DAL TEMPO I VETUSTI AFFRESCHI IL MAESTRO MICHELE VEDANI A MEMORIA DELLA FIGLIA MINUCCIA SCOLPÌ NEL BRONZO LA PASSIONE DI CRISTO, DANDO IL SOFFIO DELL’ARTE ALL’OPERA INSIGNE 1968.
Nel silenzio della montagna, accanto alla figlia che si spegneva, Vedani cominciò a plasmare una dopo l’altra le stazioni di una grande Via Crucis, senza nessuna committenza se non il proprio dolore. L’imponente opera, giustamente indicata da un cartello turistico ma assente dalle guide, è modellata dallo scultore tra il 1939 e il 1967 ed è collocata in una splendida posizione, sul crinale della collina che fiancheggia il paese. Le varie stazioni
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presentano altorilievi dal forte accento narrativo in cui si possono notare scelte stilistiche differenti. L’Ultima Cena del 1942, rielabora plasticamente a tutto tondo il modello leonardesco di S Maria delle Grazie, già trasposto nel gruppo, grande al vero, da Giannino Castiglioni nel 1935 per la tomba Campari al Monumentale di Milano e si discosta dagli altri episodi per il suo marcato classicismo. Vivacissima la caratterizzazione espressiva e gestuale degli apostoli che fanno animata corona al Cristo in piedi. Nelle altre cappelle ad altorilievo, gruppi di figure in primo piano, con volti e anatomie ben definite, emergono plasticamente dallo sfondo con contesti paesaggistici e architettonici a bassorilievo o stiacciato, dal modellato mosso e pittorico di impronta scapigliata. Alla narrazione storica si accompagnano spesso inserti di contemporaneità a sottolineare l’universalità del dolore e l’attualità del messaggio religioso: gruppi di famiglia, splendide donne affrante, adolescenti spaventate. Il volto dolce e sofferente del Cristo contrasta con le deformazioni grottesche degli sgherri e dei soldati spesso sadicamente compiaciuti nel loro ruolo di torturatori. Ad una caduta sul Calvario assiste anche una famiglia in cui si identifica il ritratto dello scultore che abbraccia protettivo la ragazza timorosa dalle lunghe trecce e dall’abito corto: la figlia Minuccia a cui l’opera è dedicata. Di grande suggestione il gruppo del trasporto di Cristo nella XI cappella del 1939 firmato e datato da Vedani che riprende, inserendola in un cielo più alto e nuvoloso, la stessa scena e composizione del rilievo assegnato allo scultore Orazio Gussoni nella tomba Ascari, 1928 al Monumentale di Milano a cui Vedani aggiunse nel 1955 il busto di Alberto Ascari5. Di gusto simbolista l’episodio della Resurrezione Ascensione: dal seplocro si eleva, come un’accecante deflagrazione che sveglia ed abbaglia i tre soldati di guardia, un albero la cui chioma angelica sorregge ed esalta il Cristo risorto. Angeli dal corpo sinuoso come fanciulle liberty emergono dalla materia del bronzo con ghirlande di fiori e fanno corona all’esile ed etereo Risorto. Lo Scultore è sepolto al Monumentale di Milano nella tomba di famiglia, con la figura di una giovane donna in marmo di Condoglia, da lui realizzata nel 1931. Tra la casa Minuccia e il percorso delle cappelle l’Amministrazione comunale ha dedicato allo scultore una piazzola con fontana, lapide e rilievo autoritratto in bronzo di Michele Vedani.
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Michele Vedani, Via Crucis, 1939-1967, bronzo Esino Lario, particolare. Michele Vedani, Via Crucis, 1939-1967, bronzo Cappella XI, Esino Lario.
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Francesco Modena Bovolone (Vr) 1882 - Mestre (Ve) 1960
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Francesco Modena, Genio funerario,1917, marmo, tomba Bonelli, Lecco Cimitero Monumentale. Francesco Modena, Bassorilievo dedicato ai Fanti del 73° Regimento, Fanti, 1918, gesso, Lecco, Caserma Sirtori.
rancesco Modena6 autore di bronzetti femminili, che espone a Venezia dal 1907 e alle quadriennali romane nel 1938 e 1942, è già uno scultore affermato di monumenti commemorativi e funerari, quando realizza nel 1917, per la tomba di Giovanni Bonelli, una splendida figura femminile che reinterpreta in chiave liberty l’iconografia del genio funerario con fiaccola. Il trattamento vaporoso dei panneggi rende la leggerezza dei tessuti, le pieghe morbide e sinuose, la dolcezza sensuale delle posture e delle espressioni e apre la strada alla impercettibile metamorfosi che trasforma gli angeli e i geni classici in avvenenti dolenti. La scultura, dopo la rimozione della tomba, è ora collocata all’ingresso della galleria dei colombari a destra, entrando nel cimitero e, pur essendosi salvata, non gode certo della giusta luce per cui il marmo è stato fittamente lavorato. Tale modello iconografico e stilistico, ampiamente ripreso nei bassorilievi di autori anonimi ancora presenti nel cimitero monumentale, ritorna nel bassorilievo in gesso collocato nell’atrio della Caserma Sirtori in via Leonardo Da Vinci ora sede della Questura, dedicato nel 1918 dai cittadini di Lecco al ricordo dell’eroico 73° Reggimento Fanti immolatosi nell’assalto sul Monte Santo nel maggio 1917. Anche qui una leggiadra figura, stessa postura sinuosa, capo piegato, panneggi trasparenti e svolazzanti, veglia le spalle del soldato e lo sospinge, con gesto suadente più che perentorio, all’assalto. Se è un’allegoria della Patria, si discosta drasticamente dalla consueta iconografia salda e ferma e sembra più sottolineare la rinuncia al caldo abbraccio muliebre del soldato che va nudo verso la morte. È la forza di un vento impetuoso ad inarcare in modo esasperato il corpo del fante che balza all’attacco, accompagnato da volute di veli che sottolineano la piegatura del passo. Tesi i muscoli, il nudo eroico è forte e deciso come il leone che si maschera tra i festoni floreali ma, come gli altri simboli classici, si piega alla linea vorticosa del liberty che in questi anni modella la produzione dello scultore. Nel 1943 Francesco Modena ritorna a lavorare per Lecco con un soggetto religioso, una Pietà a tutto tondo in bronzo per la tomba Cocchi, Monumentale, campo A177, 1943. La drammaticità del tema, tra i più frequenti nei cimiteri, è resa dal dinamismo del corpo morto, espressionisticamente deformato del Cri-
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A sinistra: Francesco Modena, Guerriero a riposo, 1947, bronzo, tomba Bucchi, Lecco Cimitero Monumentale. Sopra: Francesco Modena, Pietà, 1943, bronzo, tomba Cocchi, Lecco Cimitero Monumentale.
sto, che scivola diagonalmente dalle ginocchia della madre, in forte contrasto con la dolcezza di lei, che lo accoglie e lo guarda. Certo molto più vicino alla Pietà Rondanini di Michelangelo che alla Pietà giovanile del grande maestro. Michelangiolesco nella plasticità possente della muscolatura il Guerriero a riposo della tomba Bucchi, Campo B35, 1947, bronzo, tutto tondo. Un ignudo assorto, seduto, la spada appoggiata a terra, dalla forza contenuta e concentrata nel pensiero quello realizzato dal Modena, che, se rivisita Michelangelo, lo fa attraverso Il Pensatore di August Rodin. Soggetto analogo l’autore aveva già proposto nel 1909 nel Monumentale di Verona per la tomba Demel.
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Francesco Modena, Monumento a Mario Cermenati, 1945, marmo, Lecco. Francesco Modena, Busto di Giuseppe Mazzini, 1957, bronzo, Lecco.
In quegli anni del dopoguerra Modena riceve l’importate commissione del Monumento a Cermenati, nell’omonima piazza di Lecco, che realizza in marmo in sostituzione del precedente in bronzo ( Mario Rutelli Palermo 1859-1943), fuso dal regime fascista durante la Seconda Guerra Mondiale per alimentare l’industria bellica (vedi cap. VI). Il radicale democratico Mario Cermenati (Lecco 18691924) sull’originario piedistallo roccioso, omaggio alla passione scientifica e alpinistica per la montagna, guarda davanti a sé e custodisce preziosi tomi che sono, tecnicamente e simbolicamente, il suo supporto. Alla fine degli anni Cinquanta ancora un’opera di Modena a ricordare Giuseppe Mazzini nella piazza a lui dedicata, donata dal signor Giuseppe Gasparotti7. Il busto in bronzo, poco distante dal Garibaldi di Confalonieri, e semi nascosto dalle fronde dei pini, rende tardivo omaggio al patriota repubblicano ed è una versione ridotta del Monumento di Mazzini a Venezia, opera della piena maturità di Francesco Modena. Noto come ottimo ritrattista ed esperto del bronzo, Modena mette in pratica entrambe le competenze per questo monumento che presenta una buona spontaneità nei tratti del volto capace di ispirare gli ideali risorgimentali. Il busto su cui si inserisce, privato del mantello sulle spalle della figura intera di Venezia, ma con la stessa fascia sulla giacca che si apre sul fazzoletto diligentemente annodato, nella prospettiva dal basso assume la solennità statica di un reliquario medioevale come in certi busti-ritratto di Arturo Martini.
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Angelo Montegani Milano 1890 - 1955
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o scultore e pittore Angelo Montegani8, allievo a Brera dei maestri Enrico Butti e Giuseppe Graziosi, realizza diversi monumenti ai caduti della guerra 1915-18 in Lombardia e Piemonte e numerosi monumenti funerari al Monumentale di Milano e nei cimiteri della Lombardia9. Ritrattista di felice vena espressiva, psicologo sottile nelle piccole cere e bronzetti ispirati alla realtà della vita, fissa tipi e caratteri dell’umanità del nostro tempo10. Con Lecco ha un rapporto privilegiato e, anche se il suo progetto per il monumento cittadino ai caduti non risulta vincitore, San Giovanni, Maggianico e Vercurago, che rivendicano una loro identità anche nel celebrare i propri caduti al fronte, gli commissionano ben tre imponenti monumenti commemorativi. Dal 1924 al 1940 numerose sono anche le opere funerarie nei cimiteri di Lecco. Monumento ai Caduti di San Giovanni. In piazza Felice Cavallotti, davanti alla chiesa, un gruppo di tre figure si compone in una diagonale svettante che culmina nel braccio alzato con la vittoria e compete con il Corno Medale che fa da sfondo. Alla base una mesta figura femminile seduta guarda il bimbo che gioca tra le sue ginocchia, bilancia la proiezione verticale del possente soldato e, come le madonne rinascimentali, sembra prefigurare il destino di morte che sconvolgerà la sua vita e di quel figlio che ignaro si copre col ramo di alloro. Nonostante gli evidenti riferimenti classici del putto ignudo con festone, la scena è di grande naturalismo e compensa, divenendo il vero fulcro del monumento, la retorica dovuta del sacrificio per la patria prepotentemente espressa dal soldato. L’eroe ben piantato sulle gambe divaricate è minutamente descritto con fasce, divisa, giberne, capelli al vento. Offre tutta la sua forza indomita e, nella diagonale delle sue braccia, racchiude i valori della patria e della famiglia. Le mani grandi esprimono il contrasto insanabile tra i due estremi: la destra sorregge a coppa la vittoria alata, la sinistra più nascosta si divarica in uno spasmo di dolore che tradisce l’impotenza di stringere la sua donna. Creano una struttura piramidale le tre figure poste su piedistalli di differente altezza nel Monumento ai Caduti di Maggianico, Il fante vittorioso, datato 1925. Al vertice il soldato con la stessa divisa che rende i singoli individui elementi ripetitivi di una serie, diversa la postura e le fattezze. L’appoggio sulla gamba destra secondo la regola classica della ponderatio, le braccia conserte in un abbraccio vuoto, il capo scoperto, lo sguardo assorto rendono un momento di concentra-
Sopra: Angelo Montegani, Monumento ai Caduti di San Giovanni, bronzo, Lecco-San Giovanni, assieme. Nella pagina successiva, in alto: Angelo Montegani, Monumento ai Caduti di San Giovanni, bronzo, Lecco-San Giovanni, particolare. Nella pagina successiva, in basso: Angelo Montegani, Monumento ai Caduti di Maggianico, 1925, bronzo, Lecco-Maggianico. Angelo Montegani, Monumento ai Caduti di Vercurago, bronzo, Vercurago.
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zione e di memoria, in cui il pensiero va alle due figure di donna poste ai lati più in basso a sottolineare realtà lontane e separate. La vecchia madre velata apre le mani in gesto di supplica, la giovane amata dalla chioma ricadente sulle spalle si racchiude chinando il capo e portando le mani al petto. Un attento studio di gesti minimi per rendere la corrente di sentimenti che lega le tre figure isolate, un contrasto marcato tra i modi romantici e dolci della giovane e il realismo che esaspera i segni del tempo e della fatica nella madre. Nel Monumento ai Caduti di Vercurago, in posizione sopraelevata ai bordi della Provinciale per Bergamo, il confronto tra due generazioni, tra padre e figlio. Il soldato ha il torso nudo ed esibisce muscoli ben modellati ma sul suo petto non si possono appuntare medaglie. La bandiera che regge e a cui si appoggia ricade sul suo braccio alzato, il capo è chino, l’espressione contratta e accigliata. Nessun trionfalismo nella sua forza evidente ma ripiegata nel pensiero dell’abbandono di quel ragazzino che si stringe ai lembi della bandiera e può solo immaginare quella mano sulla sua spalla. Invano cerca nel vuoto davanti a sé una presenza che la medaglietta al collo gli ricorda. Nelle opere di Montegani la dovuta esaltazione dell’eroe caduto per la patria si stempera nella dolorosa coscienza del dramma della morte che stronca giovani vite ed è abbandono inesorabile. È la vita negata nel momento del suo massimo vigore fisico e intensità degli affetti che è ricordata qui come nel primo monumento funebre che realizza a Lecco nel 1924 per la cappella della famiglia Rusconi, Monumentale ala sinistra. Qui una forte carica simbolica si coniuga in una rigorosa composizione simmetrica: un uomo ed una donna piegano coreograficamente il proprio corpo a formare un vaso contenitore della vita, simboleggiata dall’albero che entrambi stringono con una mano. Il braccio libero di entrambi crea un arco che rafforza la piegatura dei corpi. Asse portante l’albero della vita che sviluppa la sua chioma sopra la lapide marmorea inserita nel bassorilievo, e rinvia ai suoi frutti, i due vivaci genietti offerenti, lasciati ai piedi del rilievo che completano il quadro di perfette corrispondenze simmetriche e simboliche. Montegani ripropone un’iconografia molto amata dalla pittura simbolista di Gaetano Previati e Giovanni Segantini a cavallo del secolo, (Gaetano Previati dipinge un analogo soggetto Georgica 1905), che si avvale di riferimenti alla realtà così evidenti nei due monelli a tutto tondo, costretti nella posa compositiva a reggere il vaso e la lampada. Sembra di riconoscere nel busto muscoloso dell’uomo, che porta il martello quale attributo del lavoro, gli stessi tratti del soldato nel Monumento ai Caduti di Vercurago, figure egualmente tratte dal modello reale che era sempre il punto di partenza dello scultore. La stessa piegatura del corpo della donna è riproposta nella giovane ragazza della tomba Villa, Monumentale campo C28, 1925, bronzo, tutto tondo. Seduta sulla panchina di un giardino, stringe nella destra fiori che crescono ai suoi piedi e si aggrappa con la sinistra ad un cespuglio spinoso che non riesce a divenire albero e su cui si aprono corolle di fiori. La linea sinuosa dei panneggi e dei lunghi capelli sciolti, l’ambientazione naturalistica, mascherano il simbolismo così marcato nell’esempio precedente.
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Sopra: Angelo Montegani, cappella Rusconi, 1924, bronzo, Lecco, Cimitero Monumentale, particolare e assieme. Sotto: Angelo Montegani, Dolente, tomba Villa, 1925, bronzo, Lecco, Cimitero Monumentale.
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Sopra: Angelo Montegani, Testa, tomba Passerini-Montegani, anni Trenta, bronzo, Lecco, Cimitero Monumentale. Angelo Montegani, Busto di dolente, tomba Mauri-Cereda, 1927, bronzo, Lecco, Cimitero di Castello. A destra: Angelo Montegani, Testa, tomba Cagliani, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale.
Tra fronde e verzure, nelle quali si confonde la corona di spine, campeggia un imponente Cristo in preghiera nella tomba Gazzaniga, Monumentale, Campo D33, 1925, altorilievo in bronzo. In piedi, con le braccia alzate e gli occhi al cielo la figura grande al vero, sporge con il braccio aggettante e il volto barbuto molto vicino a un ritratto. Quasi sicuramente ritratti sono il busto di ragazza della tomba di Mariuccia Mauri Cereda, morta a 27 anni, cimitero di Castello campo A97, 1927, bronzo, e la splendida Testa in bronzo sulla tomba di Giulia Passerini Montegani, moglie dell’artista, Monumentale, campo D 215, probabilmente risalente agli anni trenta e collocata successivamente sulla tomba. Unica opera in marmo dell’artista a Lecco la bella Testa di ragazza recentemente collocata sulla tomba Cagliani, Monumentale, campo C, marmo di Carrara. Il volto ad altorilievo emerge fresco e vero dal blocco lasciato grezzo e tagliato come un leggio ad accogliere le levigate note del volto e dei capelli. Tristissimo il volto ripiegato a destra, incorniciato dai capelli appena raccolti, con una vena di dolorosa perplessità nei gesti, del busto Mauri Cereda sopracitato, dove la Dolente si appoggia alla mano sinistra piegata, mentre tiene tra l’indice e il pollice della destra un rosario non sgranato ma appoggiato sull’accenno di sepolcro. Ancora un probabile ritratto nella dolente della tomba Burdese Milani, Monumentale, campo F141, 1930, bronzo, di cui sembrasi riconoscere la pelle chiara e la capigliatura bionda pur nella monocromia del metallo. Inginocchiata stringe tra le mani un fiocco, la fede nuziale al dito, e si appoggia alla donna ammantata in piedi, più composta nel suo dolore e confortata dalla preghiera, un rosario tra le mani. Il gruppo splendido, a struttura piramidale è plasticamente fuso nella linea continua e avvolgente degli abiti delle due donne unite in un unico dolore. La stessa linea avvolgente e sinuosa racchiude in un unico abbraccio la piccola Maternità della Tomba Cereda, Cimitero di Castello, campo B24, 1940, bronzo tutto tondo. Nel 1930 il circolo dopolavoro Fratellanza Nazionale, divenuto nel 1945 Circolo Italo Casella, commissiona all’artista un tardivo riconoscimento ai fratelli Torri Tarelli con una lapide sulla facciata della casa
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Angelo Montegani, tomba Burdese Milani, 1930, bronzo Lecco, Cimitero Monumentale, assieme e particolare.
paterna e un rilievo commemorativo. I cinque fratelli garibaldini sono sepolti nella cappella Nava-Torri Tarelli del Cimitero Monumentale11. L’altorilievo di Montergani propone i cinque ritratti avvolti nell’abbraccio di due bandiere chiuse da un discreto ramo d’alloro. Un improbabile ritratto di famiglia che vede riuniti idealmente i cinque fratelli: quattro giovani volti in cui è evidente la somiglianza fraterna, ciascuno caratterizzato da minimi riferimenti nell’abbigliamento, colletti, cravatte, copricapo, fanno corona attorno alla figura centrale rappresentata in età matura, forse Giovan Battista, Tenente garibaldino, che muore nel 1901 o più probabilmente Carlo, Maggiore dei Mille, morto nel 1887 dopo aver partecipato agli episodi bellici del 48-49-59-60-66-67. Fiero e determinato il volto dalla lunga barba, esaltato dal cappello a larga tesa è il perno della composizione così come è stato nella vita l’esempio per i fratelli. Alla sua destra Giovanni, il primo dei fratelli (1822- 1849?) che scompare con il diciottenne svizzero Francesco Chiappino, nelle acque del lago agitate da un improvviso temporale, tra-
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sportando armi clandestine. Gli altri: Tomaso, ingegnere, volontario in cavalleria, Dragoni di Genova, nella campagna del 1959 e Giuseppe che lascia il seminario ed è a Palermo con Garibaldi e il fratello Carlo nel 1960 dove viene ferito ad un braccio. La ferita trascurata gli è fatale e il Tenente dei Mille muore a Catanzaro il 28 settembre 1860. Cinque fratelli hanno dedicato la vita, alcuni perdendola, alle lotte risorgimentali e solamente nel 1930, 23 anni dopo il monumento nella cappella di famiglia, quando la prima guerra mondiale ha già creato altri caduti e il fascismo è al potere, un circolo di lavoratori impone questo giusto riconoscimento ai concittadini illustri ancora esempio e monito per il futuro dell’’Italia. Se lo scultore è Montegani, il poeta che detta l’epigrafe è Giovanni Bertacchi, che vive oltre confine e non è certo compiacente col regime.
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Angelo Montegani, Lapide ai fratelli Torri-Tarelli, 1930, bronzo, Lecco, via F.lli Torri Tarelli. Cartolina Lapide Torri Tarelli, 18 maggio 1930, Fototeca Musei Civici Lecco.
SUL FOLTO DEI GARIBALDINI LECCHESI / EVOCATI DAL CUORE DEL POPOLO / BALZINO IN FACCIA AL FUTURO / I CINQUE FRATELLI MAGNANIMI TORRI TARELLI / CARLO / DAL QUARANTOTTO A MENTANA / PRESENTE A OGNI GESTA DEL DUCE/BATTISTA / CHE LO SEGUI’/ DAI COLLI DI VARESE A S. FERMO / TOMASO / CAVALCANTE A VITTORIA SUI CAMPI DEL CINQUANTANOVE / GIOVANNI / PERITO IN QUESTE ACQUE / RECANDO ARMI ALL’INSORTA MILANO / GIUSEPPE / COLPITO A PALERMO DI MICIDIALE FERITA / ONDE IL FRATERNO MANIPOLO / AGGIUNTO AI BRONZETTI E AI CAIROLI / BELLO DI GLORIA E DI MORTE / PASSA PER LA STORIA D’ITALIA. G. Bertacchi
Di Montegani il busto a Giuseppe Mazzini nel braccio sinistro del Famedio al Monumentale di Milano e il Monumento all’uomo politico repubblicano a Magenta inaugurato nel 1959. Montegani è sepolto a Milano al Monumentale dove ha realizzato: nel 1925 un gruppo in bronzo per i due gloriosi aviatori Umberto Guarnieri e Ludovico Montegani; nel 1945 un bronzo per il pittore illustratore Riccardo Galli che rappresenta “la pittura e la poesia sull’ala della fantasia”, oltre a numerose sculture funerarie.
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Giannino Castiglioni Milano 1884 - Lierna (Lc) 1971
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iannino Castiglioni12 è fin dagli anni Venti apprezzato scultore milanese e per il capoluogo lombardo realizza importanti opere destinate alle piazze, ai cimiteri, fino alla realizzazione della seconda porta sinistra del Duomo nel 1950, in cui sviluppa il racconto della vita del patrono di Milano S. Ambrogio. Numerose le fontane: San Francesco in piazza S. Angelo, La Primavera per Rizzoli, Testa di Medusa, oggi nel cortile della biblioteca Ambrosiana; moltissimi i monumenti funerari per le più note famiglie milanesi al Monumentale di Milano. Le più famose: la babelica Edicola Bernocchi, 1931 dove la Via Crucis si snoda, in un percorso ascensionale spiraliforme, la monumentale Ultima Cena della tomba Campari, 1935, o la Pietà con l’Angelo dell’Annunciazione che fronteggia l’Edicola Falk realizzata dall’architetto lecchese Mino Fiocchi. Tra il 192l e il 1926 realizza i Monumenti ai Caduti di Lecco, di Magenta, di Mandello. Nutrita la presenza di sue opere nel nostro territorio tra Lecco, Mandello, Varenna, Bellano e soprattutto a Lierna, dove l’artista ha soggiornato a lungo nella villa di vacanza. Per la città di Lecco realizza, nel 1926, il Monumento ai Caduti di Lecco sul Lungolago nei giardinetti dove sorgevano le baracche dei prigionieri di guerra croati. Una ieratica figura femminile colonnare, con ali ripiegate, guarda avanti. Ai suoi piedi, sui 4 lati una fascia in bronzo con figure a tuttotondo racconta la passione del combattente che lascia la sua terra, la sua donna e il suo bimbo per combattere, balzare all’attacco e cadere vittorioso. Il vigoroso realismo del bronzo che propone la determinazione e la durezza di un eroe contadino, si coniuga ad un austero simbolismo liberty della figura stele, che non rinuncia tuttavia alla bella decorazione delle ali. Come negli esempi del suo maestro a Brera, Enrico Butti, (tomba Casati, tomba Besenzanica al Monumentale di Milano) l’eredità del migliore verismo lombardo, il soldato contadino con i suoi legami sociali, famiglia, lavoro, si giustappone alle esigenze del dominante gusto simbolista senza essere negato.
Monumento ai Caduti di Lecco, Fototeca Musei Civici Lecco.
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Sopra e a destra: Giannino Castiglioni, Monumento ai Caduti di Lecco, 1926, marmo e bronzo, assieme e particolare, Lecco. Nella pagina successiva, sulla sinistra: Giannino Castiglioni, Madonna col bambino, 1944, bronzo, Cappella Costa, Lierna, Cimitero. Nella pagina successiva, sulla destra: Giannino Castiglioni, Monumento ai Caduti di Mandello, 1922, bronzo, Mandello del Lario, particolare e assieme. Giannino Castiglioni, Figura femminile, bronzo, Cappella Corsi, Lecco, Cimitero Monumentale.
Anche nel Monumento ai Caduti di Mandello, 1922, ora ai giardini pubblici in piazza Garibaldi13, Castiglioni fa ricorso ai due piani di racconto: realistico nel bronzo tuttotondo e simbolico nello stiacciato. Il soldato riverso sulla bandiera si immola sull’altare nel suo eroico sacrificio, vegliato alle sue spalle dalla donna–angelo disegnata da un sottile spessore. La personificazione della vittoria e della pace che stringe nella mano destra l’alloro e nella sinistra l’ulivo incede danzando avvolta nei panneggi e nelle grandi ali, carica di promesse. Il contrasto tra il dram-
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matico e veristico tuttotondo del caduto e la rasserenante figura simbolica in stiacciato è fortemente accentuato dall’uso delle due modalità plastiche che anche qui Castiglioni coniuga. Così recita il testo latino inciso nel bronzo del fondo: PROCUBUIT HEROS VICTORIA REFULSIT PAX LUCEAT (Cadde l’eroe, brillò la vittoria, splendette la pace).
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Nella cappella Locatelli, Monumentale, a sinistra, marmo venato, è ripreso il trattamento liberty della vittoria alata del Monumento ai Caduti di Lecco. Addossate alle pareti laterali, due figure di dolenti, dal capo chino velato, alzano le braccia e reggono una corona di fiori a rilievo sul soffitto. Rigidi i panneggi che cadono paralleli delineando la struttura colonnare dei corpi e si ammorbidiscono sul basamento; lunghe fino a terra le ali che incorniciano l’intera figura. L’arco creato dalle due figure simmetriche fa da quinta alla croce di luce del fondo, un’apertura di alabastro nel rivestimento marmoreo che visualizza il messaggio dell’epigrafe “NON È MORTE È LUCE DI VITA ETERNA”, in una straordinaria sintesi di architettura, scultura e parola. Ancora una figura femminile alata, nella Cappella Corsi, Monumentale lato sinistro, bronzo, al centro del fondo oro di un’architettura gotica disegnata da marmi policromi, che ha abbandonato il peso dei panneggi verticali e si libra leggera, sinuosa e sospesa sul lembo terminale della tunica che l’avvolge, evidenziandone l’anatomia. Le ali ripiegate dietro le spalle come un fardello, l’epressione assorta, gli occhi chiusi, i piedi paralleli e nudi, le belle mani: particolari accurati nella linearità dell’insieme. Le grandi dimensioni sono congeniali alla maestosa classicità delle figure di Castiglioni in cui l’umanità dei soggetti proposti si trasfigura in una scala superiore che ne potenzia l’autorevolezza come nella grande Maternità, (oltre due metri), Bronzo, 1944, cappella famiglia Costa, Cimitero di Lierna. La madre in piedi solleva davanti a sé il bambino nudo con le braccia a croce. La donna, con ampio mantello ricadente a panneggi verticali, solleva il volto al cielo e esprime un gesto di offerta sacrificale la cui drammaticità è enfatizzata dall’assoluta simmetria della composizione, interrotta solamente dal piede leggermente spostato in avanti. La visione frontale, che evidenzia la sovrapposizione del corpo del bambino a quello della madre, permette di cogliere due corpi fatti croce. Anche l’architettura della cappella, opera come altre nel cimitero dello stesso Castiglioni, nel cui portico con grande fornice è inserita
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la scultura, è una sintesi di razionalismo e richiami romanici: un corpo centrale cubico con una serie di aperture a feritoia con alabastro, due navatelle laterali in conci di granito serizzo, squadrati e separati da sottili fasce rientranti che definiscono una decorazione orizzontale. Nella cappella della famiglia Spada realizzata nel 1927 per la sepoltura della giovane Pepita Spada (Buenos Aires 1905 - Roma 1927) un’architettura razionalista con richiami classici per accogliere un sarcofago neorinascimentale. In facciata un portico a tre fornici crea un balcone nella parte soprastante, dove 12 strette aperture allineate che definiscono all’esterno un lineare motivo decorativo, illuminano dall’alto l’interno al livello del sarcofago di marmo bianco, creando effetti architettonici. Due putti cariatidi con braccia alzate e pudicamente coperti da cartiglio con iscrizione, reggono il catafalco su cui è distesa la defunta, giovane donna addormentata avvolta da un velo. Il letto funebre è incorniciato da una nicchia a tutto sesto con strombature che creano un motivo decorativo simbolico del sole nascente che, con le foglie di palma incise sulla specchiatura frontale del sarcofago, alludono all’immortalità. Nella costruzione in conci di pietra della cappella Balbiani, 1927, Castiglioni coniuga il severo stile neoromanico alla sinuosa linea del liberty. In facciata un protiro con due colonne sorregge un sarcofago-balcone che raccorda la parte superiore con finestra quadrata, timpano e dentelli e accenni di navate laterali. Ai lati dell’ingresso due angeli frontali incisi nella pietra accolgono in preghiera. Uno stiacciato lineare ripropone i panneggi, le grandi ali, la composta simmetria delle figure a tutto tondo dei coevi monumenti lecchesi. Essenziale, attenta alle geometrie della composizione la linea dei contorni che costruisce le figure colte in differenti posture, mantiene la morbidezza liberty qui come nei pannelli con angeli inginocchiati inseriti nei tempietti laterali dell’ingresso del cimitero, ampliato e ricostruito nel 1922 con l’intervento dell’artista. In stato di abbandono la cappella Micheli realizzata negli anni venti da Castiglioni a Lierna in stile neoromanico, conci di pietra grigia a fasce alternate, tetto a capanna, navatelle laterali, grande portale a tutto sesto con due colonne, motivo della croce sui capitelli e sopra l’arco. A fianco del portale due incisioni in pietra con l’agnello. All’interno residui di motivi decorativi incisi e il vuoto sull’altare lasciato da un rilievo asportato. Di stile eclettico egizio-etrusco, in conci di conglomerato la Cappella Ferraresi, 1936. Medaglista rinomato Castiglioni realizza l’altorilievo di Tommaso Grossi a Bellano 1953, e il medaglione di Enrico Fermi a Varenna. Per l’arredo urbano realizza fontane a Milano, Olgiate, Lierna.
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Giannino Castiglioni, Sarcofago con figura dormiente, Cappella Spada, 1927, marmo, Lierna, Cimitero. Giannino Castiglioni, Angelo, ingresso, Lierna, Cimitero. Giannino Castiglioni, Fontana, Lierna.
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Franco Lombardi Milano 1891 - Miazzina (Vb) 1943
Franco Lombardi, tomba Ottavio Grolla, 1923, bronzo, Mandello del Lario, Cimiero Monumentale.
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ll’ingresso del cimitero di Mandello del Lario è ricollocata la scultura in bronzo già sulla tomba del pittore Ottavio Grolla (Vercelli 1883-Mandello del Lario 1923) deceduto nelle acque tempestose del lago, come recita la targa posta sul piedistallo. La scultura è un notevole esempio del gusto archeologizzante d’inizio secolo che rilegge modelli e simbologie classiche in chiave moderna. Una barca naviga verso il regno dei morti portando l’ara-sarcofago, sul cui fronte dorme mollemente adagiata un’odalisca vegliata da tre colombe; un velario dalle pieghe gonfie di vento è il fondale del bassorilievo. Un’iconografia che raccoglie la grande lezione degli Eruschi, dei sarcofagi e delle urne cinerarie, racconta in forme simboliche la cronaca della tragedia famigliare che ha visto perire il pittore assieme al suocero nel lago.Una scultura modernissima e a un tempo antica questa di Lombardi14, molto vicina al clima mitico evocato in quegli anni dal grande Arturo Martini che sapeva attingere al linguaggio dell’arte etrusca per creare nella duttile terracotta opere fuori dagli schemi di ogni epoca. I comuni riferimenti sono evidenti se si confronta l’opera in questione e la Venere (o Odalisca), 1928, terracotta di A. Martini15. Il Lombardi, allievo di Guido Perrico, attivo nella Fabbrica del Duomo a Milano, raggiunge fama nazionale nel 1937, quando gli viene affidata l’esecuzione della Porta mediana di S. Galdino del Duomo, realizzata, su suo bozzetto dopo la sua morte, da Virginio Pessina. È autore di importanti opere di soggetto sacro (la Via Crucis per la chiesa di S. Sebastiano, L’Annunciazione per la facciata dell’Ospedale Maggiore Nuovo, la Vasca Battesimale di S. Ambrogio 1940 sempre a Milano) oltre che di monumenti funerari16 e monumenti ai Caduti. Alla Galleria d’Arte Moderna di Milano Ritratto di giovane donna 1924, Autoritratto 1928 e Maschera.
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Donato Barcaglia Pavia 1849 - Roma 1930
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l ricordo collettivo dei caduti nella guerre è affidato ai monumenti nelle piazze cittadine, ma le famiglie elevano private celebrazioni dell’eroismo dei congiunti. Esempio significativo è la tomba Urio, Monumentale, campo F 32, 1918, rilievo in bronzo, dove la madre dedica al combattente Capitano Rodolfo Urio un bassorilievo commissionato al prestigioso scultore verista di ambito scapigliato, tra i più apprezzati artefici di opere funerarie Donato Barcaglia17. Un giovane soldato caduto e ferito, stringe l’arma e si rivolge ad una figura femminile, allegoria della Patria, che gli sta innanzi, pronta ad avvolgerlo nella grande bandiera. Elementi narrativi di grande verismo nello sfondo paesistico e nel riprodurre i lineamenti del giovane caduto, come si può cogliere dal confronto con la foto, che prevalgono sulla retorica del soggetto patriottico. Scolpita nel granito l’epigrafe:
In alto e a destra: Donato Barcaglia, tomba Urio, 1918, bronzo, Lecco, Cimitero Monumentale, assieme e particolare. Sopra: Foto con cornice in ferro battuto, anteriore al 1918, tomba Urio, Lecco, Cimitero Monumentale.
IL CAPITANO RODOLFO URIO VENTIQUATRENNE STRAPPATO AL CUOR DI SUA MADRE COMBATTENDO SUL GRAPPA RINACQUE PER SEMPRE IN TE MADRE UNIVERSA ITALIA 1918.
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L’iconografia del cordoglio
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La donna, immagine privilegiata dagli scultori non è mai, per ragioni storiche, soggetto di monumenti commemorativi per definizione riservati ai “grandi uomini” protagonisti, ma compare come corollario narrativo o più spesso sotto forma di allegoria: la musa, la patria, le cinque giornate, la madre, la sposa, la storia ecc. Nei monumenti funerari gli scultori di fine Ottocento e del Novecento possono ancora esaltare il corpo femminile anche al di fuori dell’iconografia religiosa strettamente vincolata a modelli classici, nelle figure angeliche sempre più femminilizzate, come si è visto nelle eteree fanciulle liberty, ma soprattutto nella realistica rappresentazione di donne contemporanee: le dolenti che visitano, vegliano, custodiscono la memoria dei defunti e, incuranti degli sguardi, esibiscono la bellezza dei corpi con l’intensità dei sentimenti. Composta e sobria, nell’austera cornice in granito la donna che si avvia a varcare la soglia nel rilievo in bronzo della tomba Vergottini, Monumentale campo C10, 1926, di Domenico Girbafranti (Crema). Bellissimo lo scorcio della figura colta nell’incedere lieve e silenzioso, specchio fedele della defunta così come è ricordata nell’epigrafe: PASSÒ LIEVEMENTE SULLA TERRA CHINANDO IL CAPO SOTTO LE BUFERE, DOLCISSIMO IL SORRISO, FULGIDO L’ESEMPIO, LASCIÒ DIETRO DI SÉ SCIA LUMINOSA AGLI ADORATI FIGLI INCITAMENTO TACITO.
Splendide le figure femminili ripiegate nel dolore, nude nella spalla scoperta e nelle sinuose forme che la sottile tunica sveste, della tomba Govoni, Monumentale, campo D181, di Paolo Mayer Fantisco, bronzo, riuso, anni Trenta e nella tomba Bottari, Monumentale, campo D22, 1933, di G. Mauro bronzo, tutto tondo. Un Calvario scolpito nel granito ghiandone è lo scenario in cui una dolente ingi-
Dolenti
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ei primi decenni del secolo Ventesimo numerose sono le presenze nei cimiteri di singole opere di artisti provenienti da un mercato più ampio, che attestano la ricerca da parte delle famiglie lecchesi di autori prestigiosi, capaci di fornire versioni alte di un’iconografia molto diffusa che contempla il dolore di chi rimane, le dolenti, il trapasso del defunto, le anime rapite, la consolazione della fede, i soggetti religiosi, l’eroismo del sacrificio, il ricordo dei caduti.
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nocchiata e ripiegata in posizione quasi fetale esprime la sorda disperazione che l’avvolge e l’imbozzola chiudendola in sé stessa nella tomba Grandi-Colombo, Monumentale, campo E42 43, anni Trenta, di Gennynuzzi, bronzo. Controcanto femminile al nudo del guerriero a riposo della tomba Bucchi di Francesco Modena è la classisica figura femminile, seduta e ripiegata negli ampi panneggi del mantello che la racchiude che piange la scomparsa della giovane Francesca morta a 27 anni, di B. Tavegini tomba Corti, Monumentale, campo D 191, 1934, bronzo, tuttotondo. Dello stesso autore un angelo con grandi ali, in piedi su di un letto di rose indica il cielo, ricollocato nella tomba Menicatti, Monumentale, campo D20, marmo di Carrara. Luigi Panzeri (Lomagna Co 1864- MI 1939) fedele interprete del realismo ottocentesco, propone una dolente in abiti contemporanei che incede sotto il peso di una croce, in copia anche al cimitero di Valmadrera, tomba Forni. La superficie mossa e tormentata di impronta scapigliata accentua la drammaticità dello sforzo della donna a sostenere il peso che le grava sul ventre. Dello stesso autore la tomba Wilhelm, Monumentale, campo E 446, 1936, bronzo, considerata nella sezione iconografica18. Mario Biglioli19, tomba Wilhelm, Monumentale, campo E46,1939, bronzo, modella una figura di donna seduta di fianco, con mani giunte al petto, capo ripiegato, capelli raccolti, con mosso panneggio aderente al corpo20. Di Cibau Geminiano (Cividale del Friuli UD, 1893 - Milano 1969), fedele interprete di un robusto arcaismo novecentista e autore di gruppi allegorici e bassorilievi per il Palazzo della Borsa di Milano, ecco l’orante seduta a terra con le mani giunte e gli occhi al cielo della tomba Manzoni, Monumentale, campo A43, 1934, bronzo21. Anonimi scultori scolpiscono o modellano sinuose fanciulle liberty. Nella tomba Amici, Monumentale campo A294, anonimo, un probabile riuso di una stele ad altorilievo, in marmo, bianco degli anni 20-30 con figura femminile di profilo, recante un mazzo di rose. Il capo chino, poggiato sulla mano, è avvolta da trasparenti e mosse vesti. Il soggetto è ripreso più volte nel marmo con minime varianti (al Monumentale Lecco tomba Bellini Colombo, campo D40, 1924, al Cimitero di Valmadrera, tomba Vergottini). Nella tomba Corti, Monumentale, campo D232, anonimo,1925, bassorilievo in marmo di Carrara, la figura classica di orante inginocchiata è circondata da fiori. Lo splendido rilievo in bronzo della tomba Monti, Monumentale campo F166, di Giovanni Bianchi (Co 1864) propone una dolente inginocchiata, china su di un sarcofago recante il motivo cristiano dell’Agnello e rieccheggia nel trattamento delle superfici, nel contrasto tra il levigato del corpo e l’abbozzato dei panneggi e del fondo, modelli pittorici scapigliati, così efficaci nella resa di atmosfere emotive. Nella tomba Massetti, Monumentale, campo F, 1930, un anonimo piega la figura, adattandola all’arco della lunetta in cui trova anche posto un accenno di paesaggio montuoso, nel bassorilievo in bronzo.
Sotto: Luigi Panzeri, Dolente, 1936, bron-zo, tomba Forni, Valmadrera, Cimitero. Nella pagina precedente, in alto: Paolo Mayer Fantisco, Dolente, 1933, bronzo, tomba Govoni, Lecco Cimitero Monumentale. Mario Biglioli, Dolente, 1939, bronzo, tomba Wilhelm, Lecco Cimitero Monumentale. Gennynuzzi, Dolente, anni Trenta, bronzo, tomba Grandi-Colombo, Lecco, Cimitero Monumentale. Nella pagina precedente, al centro: B. Tavegini, Dolente, 1934, bronzo tomba Corti, Lecco, Cimitero Monumentale. Domenico Girbafranti, Dolente, 1926, bronzo e granito, tomba Vergottini, Lecco Cimitero Monumentale. Nella pagina precedente, in basso: Anonimo, Dolente, anni Venti, marmo, tomba Amici, Lecco Cimitero Monumentale. Giovanni Bianchi, Dolente, anni Trenta, bronzo, tomba Monti, Lecco Cimitero Monumentale. Dolente, 1930, bronzo, tomba Massetti, Lecco Cimitero Monumentale.
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Nella cappella Borletti, Monumentale ala sinistra, una giovane seduta con le mani congiunte, riccamente adornata, bracciale, collana tra i capelli, veste operata e sandali, collocata su di un piedistallo affiancato da due sedili. Alle sue spalle una nicchia a tutto sesto rivestita di mosaico dorato in cui campeggia una croce. Il contesto suggerisce le frescure di un ninfeo in cui una languida e seducente figura anni Trenta brilla tra le dorature secessioniste.
Anima rapita
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L’iconografia del trasporto in cielo dell’anima ad opera di angeli è presente fin dalla pittura medioevale e ancora prima la cultura classica propone rapimenti di mortali ad opera di divinità olimpiche; ma è solo con il simbolismo di fine ottocento che emergono figure angeliche dal tratto seducente e ambiguo. Angelidemoni risucchiano i mortali in una spirale che fa leva sul binomio amore-morte ed è carica di promesse. Nella tomba Corti, Monumentale, campo F159, 1935, rilievo in marmo di Carrara di Romeo Lainati (Milano 1875), ai piedi di una scena classica di trasporto in cielo dell’anima, appare un paesaggio lecchese ben definito: il borgo affacciato sul lago, il caratteristico campanile, le catene dei monti. Questa contestualizzazione precisa, che sarà poi spesso ripresa da scultori locali, narra della morte del quattordicenne Mario Corti, strappato dolorosamente alla sua terra ed ora affidato alle cure amorevoli di due angeli con maggior verità di quanto reciti l’epigrafe consolatoria: PIEGATO ALLA DOLCEZZA DELLA NUOVA VITA PASSÒ DALLA SUA VITA TANTO BREVE E FATICOSA GIORNATA A COLUI CHE SOLO A BEN FARE L’AVEVA MANDATO QUAGGIÙ.
Lainati, allievo a Brera di Casnedi e Confalonieri, noto come eccellente rifinitore di marmi per conto dei maggiori scultori lombardi e autore di un Busto di Bheetoven al GAM, utilizza tutte le modulazioni del rilievo, dallo stiacciato alle parti aggettanti per raffigurare la scena nella sua concretezza terrena e nella leggerezza dell’ascensione spirituale. Del Lainati la copia in marmo del Ghislanzoni di Bezzola conservata a Palazzo Falk all’ingresso della vecchia Biblioteca22. Il doloroso stupore di un giovane ghermito dalla macabra morte ammantata alle sue spalle è efficacemente espresso, senza intenti consolatori nella tomba Mussi, Monumentale, campo E 3, 1919, bronzo,
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tuttotondo e bassorilievi, di Pietro Clerici. (Como 1877 - 1959) autore comasco che ha lasciato ben 23 sculture al Monumentale di Como e, per il Tempio Voltiano, nel 1927 ha realizzato quattro bassorilievi in marmo con Scene della vita di Alessandro Volta 23. Il giovane ignudo ha appena sentito gli artigli ossuti della morte sulle braccia, volta il capo e con la mano indica se stesso con un gesto interrogativo (come a dire “cerchi proprio me?”). È troppo tardi: il suo bel corpo atletico è gia preda di questo abbraccio mortale in cui è parzialmente fuso. La gamba destra, piegata e il busto sono ancora aggettanti, in un vano tentativo di sottrazione all’invito dell’ambigua figura che cela nel mantello le sue reali sembianze. Quel contrasto tra vitalismo dell’Eros e potere nullificante di Thanatos che a fine Ottocento Giulio Monteverdi ha espresso nei suoi androgeni angeli della morte e nelle danze macabre, è qui reso dal contrasto tra la bellezza e forza del giovane e la rigida impassibilità della morte. Il cordoglio o meglio la disperazione del distacco, è modellata nel porta lumini, una piccola architettura a cui si aggrappano due figure: un uomo e una donna allacciati con le mani circondano un grumo di materia, tumulo o accenno di busto. Due tondi-ritratto completano la tomba, che, perfettamente conservata nel suo insieme architettonico, scultoreo e decorativo, è un elegante e coerente esempio del tardo simbolismo. Pregevole il ritratto frontale realistico di Andrea Mussi, probabilmente dello stesso Clerici. Per la cappella Saverio, Monumentale ala sinistra, lo scultore Oreste Paoli di Pietrasanta scolpisce nel marmo un monumentale abbraccio che promette felicità e tenerezza. Si sentono echi berniniani nell’affrontare il tema del rapimento, più vicino al modello delle estasi che a quello del ratto di Proserpina. Anche qui un angelo dal sorriso seducente sembra danzare mentre rapisce con un abbraccio la giovane anima, dalle forme ben evidenti sotto i volteggi della sottile veste, che fiduciosa gli ha gettato le braccia al collo. Il vento che muove i panneggi e i capelli, i passi di danza sugli eterei gradini suggeriscono il movimento ascensionale nonostante le ali ripiegate. I soggetti religiosi sono ricorrenti nei cimiteri fin dal loro sorgere e si ripresentano puntualmente nel corso degli anni proposti da vari autori attivi in Lombardia che hanno lasciato singole e pregevoli opere anche a Lecco, fornendo modelli di qualità alla produzione locale. Emilio Agnati (Milano 1876-1939), allievo di Luigi Secchi all’accademia di Brera, autore di busti, ritratti oltre che di opere funerarie realizza gruppi scultorei a soggetto religioso24.
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Romeo Lainati, L’anima rapita, 1935, marmo, tomba Corti, Lecco, Cimitero Monumentale. Oreste Paoli, L’anima rapita, marmo, cappella Saverio, Lecco, Cimitero Monumentale. Nella pagine precedente: Pietro Clerici, L’anima rapita, bronzo, 1919, tomba Mussi, Lecco, Cimitero Monumentale.
Soggetti religiosi
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Nella tomba Milani, Monumentale, campo A, 1937, bronzo, tutto tondo, il Buon Pastore, Cristo, seduto su basamento in marmo benedice ed accoglie tra le braccia un agnello; tutto intorno pecorelle accovacciate creano un contesto bucolico prima ancora che simbolico, trasudante bontà e dolcezza l’iscrizione EGO SUM PASTOR BONUS.
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Sopra: Emilio Agnati, Buon Pastore, 1937, bronzo, tomba Milani, Lecco, Cimitero Monumentale. A destra: Alfeo Bedeschi, Cristo Sofferente, 1936, bronzo, tomba Riva, Lecco, Cimitero Monumentale. Sotto, da sinistra: Emilio Agnati, Pietà, 1959, bronzo, tomba Rusconi, Valmadrera, Cimitero. Giuseppe Siccardi, Pietà, bronzo, cappella Beretta, Lecco, Cimitero Monumentale. Gennynuzzi, Pietà, 1936, bronzo. tomba Viscardi, Lecco, Cimitero Monumentale.
Nella tomba Bernareggi, Monumentale, campo E 357, 1959, bronzo, nella copia di Castello, tomba Oberti, campo B36 e al cimitero di Valmadrera, tomba Rusconi, l’iconografia classica della Pietà assume forme languide così care al simbolismo in cui il bronzo e il dolore sembrano sciogliersi. Analoga la resa del Cristo sofferente di Alfeo Bedeschi (Lugo di Romagna RA 1885 Mi 1971)25, tomba Riva, Monumentale, campo E, 1936, bronzo, tutto tondo, dove le ossidazioni della materia accentuano l’effetto di ammorbidimento della figura seduta e incoronata di spine: le mani legate, la piegatura del corpo, denunciano un abbandono senza resistenza. Degli anni Trenta alcuni pregevoli rilievi raffiguranti la Pietà: tomba Bonacina al cimitero di Ca-
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stello, capo A 13, 1931, anonimo, bronzo; tomba Rossi, cimitero di Castello, campo D88, 1931, Pigoli, bronzo, replicata anche a Valmadrera; tomba Condò, Monumentale, campo A67, bronzo; tomba Viscardi, Monumentale, campo A 67, 1936 Gennynuzzi, bronzo. Fra tutte si evidenzia per l’originalità della composizione e la geometrizzazione della linea la Deposizione della tomba Odobez, cimitero di Rancio, 19, bassorilievo in bronzo. Secondo la testimonianza dei famigliari il disegno dell’opera è di Ennio Morlotti: il pittore che a Lecco ha lasciato la maestosa Processione del Corpus Domini, dipinta ad affresco nel 1939 sulla facciata della cantoria nella Chiesa del Redentore e di Santa Caterina, all’Istituto Airoldi e Muzzi di Lecco, dell’Architetto Mario Cereghini. Su un fondale di granito grezzo che simula la porta del sepolcro una Madonna frontale e in piedi, dal bellissimo volto, accoglie il corpo disarticolato e scheletrico del Cristo sostenuto da una figura di profilo. Le piegature dei corpi definiscono una mandorla che racchiude in un unico abbraccio le tre figure. Le deformazioni espressionistiche, della spalla e delle lunghe braccia del figlio, del collo e delle mani della Vergine, accentuano la drammaticità del dolore. La sfaccettatura di matrice cubista della linea spigolosa che procede per tagli netti e costruisce attraverso la forma dominante del triangolo rende nuova e attuale una iconografia abusata. Il contrasto cromatico tra il granito ruvido e la superficie levigata del bronzo evidenzia il modellato di un rilievo quasi bidimensionale. Lo scultore, pittore bergamasco Giuseppe Siccardi (Albino 1883 Bergamo 1956) formatosi all’Accademia Carrara e perfezionatosi a Roma realizza la Pietà per la cappella Beretta, Monumentale, bronzo, lato sinistro26. Nella Pietà di Ettore Cedraschi (19091996) sulla tomba Colombo Pozzi nel cimitero di Laorca, 1971, bronzo, tut-
Aa sinistra: Deposizione, 19 bronzo, tomba Odobez, Lecco, Cimitero di Rancio. Sotto: Ettore Cedraschi, Pietà,1971, bronzo, tomba Colombo-Pozzi Lecco, Cimitero di Laorca,
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totondo, la Madonna in piedi tende le braccia e il volto al cielo, mentre il corpo del Cristo si piega davanti a lei. Un modellato molto scabro che procede per tagli netti, sottolinea con forte espressionismo la tensione e l’urlo di dolore della madre27. Diversi tagli per la testa di Cristo presente in molteplici versioni: tomba Milani, Monumentale, campo E466, 1933, T. Restelli; tomba Todeschini, Monumentale, campo D337, B. Morelli, marmo; tomba Villa, Monumentale, campo A252, anonimo,1938, marmo; tomba Navotti, Monumentale, campo D558,1938, marmo, anonimo, in cui la corrosione della superficie esaspera lo struggente espressionismo di matrice wildtiana.
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Sopra: T. Restelli, Testa di Cristo, 1933, bronzo, tomba Milani, Lecco Cimitero Monumentale. B. Morelli, Testa di Cristo, marmo, tomba Todeschini, Lecco Cimitero Monumentale. A destra: Anonimo, Testa di Cristo, 1938, marmo, tomba Navotti, Lecco, Cimitero Monumentale.
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NOTE vembre 1939 anno XVIII La sera, p. 2, Le nuove opere d’arte al cimitero di Monumentale di Milano. 10. Ringrazio la famiglia Cagliani e le figlie dell’artista Valentina e Laura Montegani per la documentazione fornitami e la disponibilità. 11. L’imponente rilievo di Francesco Confalonieri del 1907, analizzato nel capitolo I, esalta con allegorie classiche l’eroismo e l’amore per la patria. Una lapide ricorda i cinque fratelli con l’epigrafe: PERCHÉ I VENTURI SAPPIANO I NOMI GLORIOSI / DI CHI COMBATTÈ PER REDIMERE LA PATRIA / AUSPICE VITTORIO EMANUELE II / DUCE GARIBALDI.
12. G. Castiglioni bibliografia: Almanacco 1911; Nicodemi e Bezzola 1938; Riccoboni 1942; Bessone Aurelj 1947; Padovano 1951; Mele 1960; Zacchi 1964; Milano 70/70, 1970; Il Duomo 1973; Brivio 1982; Janson 1984; Brescia 1985; Thea 1985; Panzetta 1990; Terraroli 1990; Pirovano 19991; Campitelli, Fonti, Quesada 1992; Fergonzi e Roberto 1992; Pasquinelli s.d.; Panzetta 1994; Ginex e Selvafolta 2003. 13. Fino al 1938 il Monumento a tutti i caduti del Comune di Mandello (1915-1918, 1935-1936, 1940-1945 era nel piazzale antistante la stazione, poi fu trasferito davanti alla chiesa di San Lorenzo. L’attuale spostamento in piazza Garibald risale al 1971. Cfr. Itinerario della Memoria, Mandello del Lario, 2007, p. 33. 14. F. Lombardi bibliografia: Nicodemi e Bezzola 1938; Bessoni Aurelj 1947; Prampolini e Boroni 1950; Mele 1960; Zacchi 1964; Il Duomo 1973; Caramel e Pirovao 1974; Brivio 1982; Tacchini Azzoni 1998; Panzetta 1990 e 1996; Ginex Selvafolta 15. Arturo Martini, Catalogo della mostra, Galleria Gian Ferrari Arte Moderna, 1993, Milano, pp, 36,37 e copertina. 16. Al Monumentale di Milano nell’edicola per l’industriale Giacomo Torresani, Riparto XVII, 1934, realizza una coppia di ieratiche figure in bronzo che stringono strumenti di lavoro, diretto riferimento all’attività del committente, che progettava e produceva macchine per pastifici. 17. D. Barcaglia bibliografia: De Gubernatis 1889 e 1906; Callari 1909; Vigezzi 1932; Tarchiani 1936; Nicodemi Bezzola 1938; Bessone Aurelj 1947; Dizionario biogra-
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26.
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fico, 1960; Lavagnino 1961; Caramel e Pirovano 1975; Janson 1984; Tronelli e Rossi 1986; Bergamini, Goi, Ravanello e Brussich 1988; Panzetta 1990 e 1994, Pietrantoni e Venturosi 1990; Pirovano 1991; Fergonzi e Roberto 1992; Ginex e Selvafolta 2003. L. Panzeri bibliografia: Bessone Aurelj 1947; Mostra del Centenario 1952; Petrantoni 1992;Panzetta 1994; Ginex e Selvafolta 2003. M. Biglioli bibliografia: Mostra dei mutilati,1939; Mostra del centenario 1952; Panzetta 1994. Biglioli Mario, Romano di Lombardia (BG)-Milano. Allievo di Butti e Graziosi all’Accademia di Brera, autore dei Monumenti a Caduti di Inveruno e Vergiate. G. Cibau bibliografia: Nicodemi e Bezzola 1938; Bessone Aurelj 1947; Il Duomo 1973; Damiani 1982; Portoghesi e Pansera 1982; Bojani, Piersanti e Rava 1987; Panzetta 1990; Petrantoni 1992; Panzetta 1994; Ginex e Selvafolta 2003. R. Lainati bibliografia: Nicodemi e Bezzola 1938; Bessone Aurelj 1947; Caramel e Pirovano 19 75; Panzetta 1990; Panzetta 1994; Ginex e Selvafolta 2003. P. Clerici bibliografia: Mostra del Centenario 1952; Pietro, 1986; Panzetta 1994. Numerosi Monumenti ai Caduti tra i quali quelli di S. Fermo, 1923, Lurate Caccivio, Alzate Brianza, Monte Olimpino, 1954-55 quello a “M. Sanvico” 1933 a Villalbese e il medaglione di Giovanni Bertacchi a Chiavenna,1952. E. Agnati bibliografia: Nicodemi Bezzola 1938; Bessone Aurelj 1947; Caramel e Pirovano 1975; Panzetta 1990 e 1994; Ginex e Selvafolta 2003. A. Bedeschi bibliografia: icodemi e Bezzola 1938; Spallacci 1940; Bessone Aurelj 1947; Caramel e Pirovano 1975; Panzetta 1990 e 1994; Ginex e Selvafolta 2003. G. Siccardi è autore di opere di genere e monumenti celebrativi per la città di Bergamo. Realizza quelli ai Caduti di Vattese e Val Verde 1951, alla Madonna Assunta 1952, ai Decorati al Valor Civile. Lo scultore E. Cedraschi ha realizzato i monumenti ai Caduti di Segrate ed Affori, molte opere nei cimiteri lombardi, la statua di S. Camillo de Lellis per il Duomo di Milano. Diversi modelli in gesso sono conservati al Museo Butti di Viggiù.
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1. M.Vedani bibliografia: Almanacco, 1911; Nicodemi e Bezzola 1938; Bessone Aurelj 1947; Padovano 1951; Mostra del Centenario 1952; Il Duomo1973; Caramel e Pirovano 1974; Boscaglia e Ghio 1982; Brivio 1982; Jonson 1984; Agnellini 1988; Panzetta 1990a; Mackay 1992; Petrantoni 1992; Panzetta 1994; Ginex e Selvafolta 2003. 2. Op cit. G.L. Dacco’ (a cura di) Antonio Stoppani tra scienza e letteratura, Atti del Convegno Nazionale di studi, Lecco 2930 novembre 1991. 3. Lo scultore Medardo Rosso aveva il suo studio nella chiesa sconsacrata di dove è allestita la collezione privata della famiglia Rosso (Museo Medardo Rosso di Barzio). Nella Biblioteca comunale uno spazio con pannelli fotografici ricostruisce il percorso del grande artista che ha segnato profondamente, con la sua presenza e con le opere qui lasciate, la cittadina di Barzio. 4. R. Buzzoni Barzio Cronache di vita vissuta, Grafiche Cattaneo Bergamo1974, p. 72 La vicenda dei monumenti ai caduti di Barzio è stata ricostruita da Federico Francesco Oriani in Storia di un monumento: il leone di Barzio (23 agosto 195223 agosto 2002), in Archivi di Lecco, n. 2-3-2002. 5. Op.cit Ginex e Selvafolta Il Cimitero Monumentale di Milano, 2003. 6. F. Modena bibliografia: Bessone Aurelj 1947; Picone Petrusa 1986; Panzetta 1990a.; Panzetta 1994. 7. Mazzini “La rivista di Lecco”, anno XVI, N 4-5 luglio ottobre 1957, pag. 30 riporta la notizia dell’inaugurazione, il 6 ottobre, “del busto al grande italiano che tutto sacrificò, che tanto amò e molto compatì e non odiò mai”. 8. A. Montegani Bibliografia: Scultura 1905; Marangoni 1930; Bessoni Aurelj 1947; Il Duomo 1973; Caramel e Pirovano 1974; Agnellini 1988; Panzetta 1990. 9. Dino Bonardi nei suoi articoli sui nuovi monumenti al Cimitero Monumentale ritorna in anni diversi sulla qualità e novità dell’opera di Montegani: Milano 30 ottobre 134 anno XIII La sera, p. 3 Le nuove opere al Cimitero Monumentale di Milano; Milano lunedì 1 novembre 1937 La sera, p 4, Nuove sculture al monumentale di Mi di Dino Bonardi; Milano 2 no-
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3 ARTISTI
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AMBITO LOMBARDO NELLA SECONDA METÀ DEL 1900 Nella seconda metà del Novecento sono attivi a Lecco e provincia, con una ricca produzione, scultori che gravitano attorno all’Accademia di Brera o operano in ambito lombardo. Se qualche volta sono le vicende private degli scultori a condurli sul lago o in Brianza, più spesso la committenza privata si rivolge all’ambito accademico per opere di grande impatto pubblico.
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Riccardo Piter Castel d’Aviano (Ud) 1899 - Milano 1976
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Nella pagina precedente: Romano Rui, Scultura, primi anni Settanta, bronzo, Lecco, Piazza Garibaldi. Sotto, da sinistra: Riccardo Piter, Dolente, 1939, bronzo, tomba Tondini, Lecco, Cimitero Monumentale. Riccardo Piter, Dolente, 1960, bronzo, tomba Chiapponi, Lecco, Cimitero Monumentale. Riccardo Piter, Dolente, 1968, bronzo, tomba Vitali, Lecco, Cimitero Monumentale.
iccardo Piter1, trasferitosi a Milano dopo la Prima Guerra Mondiale, sviluppa in Lombardia la sua attività di scultore, prevalentemente nel capoluogo e a Busto Arsizio. Numerose le opere funerarie anche nei cimiteri di Lecco dove aggraziate figure adolescenti interpretano il ruolo di dolenti fin dagli anni Trenta. Piter, che privilegia nella sua produzione plastica la figura femminile, propone splendidi ritratti di donna in posture di grande naturalezza, come la giovane seduta a mani giunte in grembo e il bel volto assorto della tomba Tondini, Monumentale, campo C 588, 1939, bronzo, o la figura stante col capo piegato sulla mano e un mazzo di rose della tomba Agostoni, Monumentale, campo D616, 1958, bronzo, o ancora la donna in preghiera sulla soglia definita simbolicamente da una lineare architettura in lucido granito nero d’Africa, spesso scelto per le ambientazioni delle sue sculture, della tomba Colombo, Monumentale, campo E 322bis, 1964, bronzo. Figure classiche e mitiche nella semplicità della tunica che le riveste, nei gesti lenti e composti ma tratteggiate da un modellato essenziale che definisce i volumi e le
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linee architettoniche dei corpi e, senza indugiare in narrazioni minute, leviga le superfici. Si intuiscono i modelli di una certa scultura di Arturo Martini quando rivisita la classicità archeologica e il trattamento delle superfici che l’artista ha certamente assimilato nella sua frequentazione dello studio di Adolfo Wildt. Così nella tomba Gnecchi, Monumentale, campo E 293, 1955, bronzo, una ragazza, moderna parca, svolge da un fuso il fragile filo che tiene nella mano o una nuova vestale regge una debole fiaccola nella lucerna, ora collocata all’ingresso del Monumentale o, inginocchiata, si stringe in un abbraccio sconsolato che denuncia la solitudine del vuoto, tomba Chiapponi, Monumentale campo C 37, 1960, bronzo, o campeggia in attesa di una risposta nella figura colonnare semplice e solenne tomba Vitali, Monumentale, Campo F70, 1968, bronzo. Il dolore diventa pungente nel concentrato busto della tomba Crippa, Cimitero di Castello campo G, 1957, bronzo recentemente restaurato, dove la geometria spigolosa delle spalle e dei gomiti ripiegati racchiude tra le mani un grumo di sofferenza, certo memore dell’esasperato espressionismo di Wildt. Tale forza espressiva, seppur mitigata, si sente nel gioco di pieni e vuoti, anche nell’unica testa dolente in marmo dell’autore presente nei cimiteri di Lecco, tomba Milani, Cimitero di Acquate, campo S 95, 1945, marmo di Carrara ed emerge in modo evidente nella testa del Cristo, per ora anonima, della tomba Navotti, Monumentale, campo D558, 1938, marmo di Carrara (Cap. 2). Non manca tra la sua produzione un’iconografia più tradizionale della dolente: due portacroci, l’una inginocchiata nella tomba Montorfano, Mo-
Sopra, da sinistra: Riccardo Piter, Dolente, 1957, bronzo, tomba Crippa, Lecco, Cimitero di Castello. Riccardo Piter, Dolente, 1945, marmo, tomba Milani, Lecco, Cimitero di Acquate. Riccardo Piter, Tre dolenti,1970, bronzo, tomba Vitali, Lecco, Cimitero Monumentale. Sotto: Riccardo Piter, Dolente, 1958, bronzo, tomba Agostoni, Lecco, Cimitero Monumentale.
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numentale, campo F 275, 1954, bronzo e l’altra in piedi nella tomba Rivolta, Monumentale, campo F 490, 1955, bronzo e due fanciulle in ginocchio e il capo coperto dal velo nelle tombe Pirovano, Monumentale, campo E 404, 1960, bronzo e Stacchini, Cimitero di Acquate, campo S29, 1939?, bronzo. Nella tomba Vitali, Monumentale, campo F 106, 1960, bronzo, la reiterazione di tre dolenti inginocchiate in cui varia solamente la posizione delle braccia, costruisce quasi una sequenza e reinterpreta l’iconografia delle Tre Marie al Sepolcro. Due ritratti realistici a figura intera propongono la contemporaneità descrivendo minutamente un momento di vita nella tomba Meano, Monumentale, campo D 199, 1941, bronzo, in cui la defunta seduta, a capo chino, con tunica e scarpe col tacco è colta quasi in un’istantanea di grande dinamicità gestuale e nella tomba Rota, Cimitero di Castello, campo B, 1963, bronzo dove l’effigiata, in abito da sera e con le spalle avvolte in una stola fermata da un gioiello, sorride alla vita. Di grande realismo il busto-ritratto di Giuseppe Mauri (1880 -1955) primo sindaco socialista di Lecco, Monumentale campo D522, bronzo, dall’espressione assorta e severa o il ritratto di bambino della tomba Biffi, Monumentale campo F235, 1958, bronzo (Cap. 7). Il suo stile si piega alle esigenze rappresentative di tipo simbolico o realistico e può scivolare con una linea essenziale che definisce le forme e i volumi, o indugiare in minuta narrazione verista, così come può guardare a modelli classici nell’iconografia religiosa. La tomba Rusconi, Monumentale, campo E379,1927, rilievo in bronzo, è una delle sue prime opere: qui l’iconografia dell’Angelo offerente, inginocchiato di profilo con un grande calice in mano, è resa con l’essenzialità lineare delle successive giovani dolenti, come nel rilievo della tomba Rusconi, Cimitero di Laorca, Superiore, colombario, 1938, dove una Madonna frontale e inginocchiata regge il sudario in cui è adagiato orizzontalmente il Cristo. Nella tomba Maternini, Monumentale campo D565, 1936, bronzo, la Pietà a sviluppo verticale vede una Madonna seduta e ripiegata nel suo manto accogliere faticosamente il corpo del Cristo, mentre tre tondi bassorilievi rappresentano i ritratti frontali dei defunti. Lo stesso soggetto nella tomba Marchesi, Cimitero di Paderno d’Adda, tuttotondo, bronzo, 1958, dove il corpo della madre è una solida struttura piramidale che contiene il corpo del figlio. Tra le sue ultime opere a Lecco l’Ecce Homo della tomba Moroni, Monumentale, campo C, 1960, bronzo. Rarissima opera in marmo dell’autore è il rilievo della tomba Corti, Monumentale campo F 228, 1953, descritta nella sezione dedicata alla rappresentazione del lavoro. Una monumentalità severa nella tomba Meano, Monumentale, campo D, 1946, bronzo, dove un imponente S. Francesco dalle braccia aperte e alzate al cielo canta le laudi come recita l’epigrafe LAUDATO SII MI SIGNORE PER SORA NOSTRA MORTE CORPORALE.
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Nella pagina precedente, dall’alto: Riccardo Piter, Dolente,1941, bronzo, tomba Meano, Lecco, Cimitero Monumentale. Riccardo Piter, Dolente, 1963, bronzo, tomba Rota, Lecco, Cimitero di Castello. A sinistra, dall’alto: Riccardo Piter, Pietà, 1936, bronzo, tomba Maternini, Lecco, Cimitero Monumentale. Riccardo Piter, Pietà, 1958, bronzo, tomba Marchesi, Paderno d’Adda, Cimitero.
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Stefano Locatelli Bergamo 1920 - 1989
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Sopra: Stefano Locatelli, Monumento ai Caduti di Cisano, anni Sessanta, bronzo, Cisano (Bg). A destra: Stefano Locatelli, bronzo e granito, tomba Bosisio, Lecco, Cimitero Monumentale.
na monumentalità solenne nella figura in preghiera della Tomba Bosisio, Monumentale, campo C588, bronzo, realizzata dallo scultore bergamasco Stefano Locatelli2. Collocato su una roccia grezza di porfido rosso il Cristo, solo nell’orto degli ulivi, ad occhi chiusi invoca il padre prima del suo calvario. La semplicità della posa con la grande apertura corporea che contrasta con la chiusura nell’interiorità, il trattamento grezzo della tunica, l’essenzialità della narrazione, enfatizzano la grande solitudine del momento. L’itinerario percorso dalla scultura di Stefano Locatelli è principalmente quello sacro, ma non di meno quello laico, celebrativo ritrattistico: tutte opportunità concesse ad un artista nel rigore dell’invenzione. Tra i suoi monumenti da ricordare, il Monumento ai Caduti di Cisano, drammaticamente ispirato all’artista da una scena di vita vissuta, che rappresenta i suoi compagni caduti alla presa di Tobruc alla quale aveva partecipato con l’8° Bersaglieri, e quello al Bersagliere collocato a Treviglio3. Alla Galleria d’Arte contemporanea di Bergamo la collezione donata nel 2005 da Luisa e Isabella Locatelli che comprende L'abbraccio dei Padri Conciliari del 1962, il bronzo Salto agli ostacoli del 1984, tre modelli per medaglie e Autoritratto, disegno del 1955.
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Francesco Wildt Milano 1896 - Calolziocorte (Lc) 1969
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rancesco Wildt4, artista figlio del grande scultore Adolfo Wildt (Milano1868-1931), è sepolto a Calolziocorte dove era sfollato durante la seconda guerra mondiale ed ha vissuto gli ultimi anni della sua vita. Suo è il disegno inciso e rimarcato con il colore rosso sulle lastre marmoree della sua tomba, di quella accanto della moglie Lina Wildt (1899-1946) e del figlio Marco Wildt (1934-1969). Affiancate nel colombario del cimitero due figure lineari, una dolente di profilo piegata sulla croce e un Cristo sospeso che irrora con un accentuato flusso di sangue un calvario giardino appena delineato, risolvono con leggerezza grafica il tema del lutto. Professore di scultura al Regio Istituto di Milano e all’Accademia di Belle arti, esegue opere abbastanza fedeli ai modi e alla tecnica del padre Adolfo alla cui scuola si sono formati molti scultori lombardi presenti con opere nella provincia di Lecco e considerati in questo volume. Al Seminario di Vengono, nel Museo dedicato ad Antonio Stoppani, un busto dell’Abate geologo, realizzato da F. Wildt e donato dalla città di Lecco. Per la città di Milano realizza un Monumento ai Caduti. Nel 1954 esegue l’Erma a Mario Puchor a Courmayeur. Nel 1936 espone alla Biennale di Venezia. Sue opere sono in collezioni private.
Francesco Wildt, Crocifissione, 1946 ca, marmo, tomba di Francesco Wildt, Calolziocorte, Cimitero. Francesco Wildt, Dolente, 1946, marmo, tomba Lina Wildt e di Marco Wildt, Calolziocorte, Cimitero.
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Giuseppe Enrini Milano 1899 - 1962
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Giuseppe Enrini, Monumento ai partigiani Gaddi-Poletti, 1945 ca, marmo, Mandello-Somana, Cimitero, assieme e particolare.
o scultore milanese Giuseppe Enrini5, attivo a Milano, Roma e Torino fin dal terzo decennio del 1900 ha una dimora di vacanza a Mandello del Lario dove nel dopoguerra realizza: alcuni monumenti funerari per il cimitero di Somana (frazione montana di Mandello), in cui è sepolto, i due Monumenti ai Caduti Partigiani a Somana e al Monumentale di Mandello e la lapide all’ingresso dello stesso cimitero. Allievo all’Accademia di Brera, espone alla Promotrice di Belle Arti di Torino dal 1928; nel 1929 espone a Roma “Donna che versa l’acqua”. Nella Galleria d’Arte Moderna di Milano è conservato il gruppo in bronzo “Mammina” (1935) e nella Galleria di Palazzo Massari a Ferrara il ritratto in bronzo di “G. Mentessi”. Nell’imponente rilievo in marmo sulla tomba dei caduti Gaddi Adamo e Davide, Poletti Giovanni e Poletti Giuseppe nel cimitero di Somana lo scultore coniuga il rigoroso realismo contemporaneo del giovane partigiano, ben caratterizzato dall’abbigliamento montanaro, al simbolismo medioevale del mostro che avvolge le sue spire attorno al suo piede destro. Moderno San Giorgio il partigiano sta per colpire, determinato e sicuro con la baionetta inastata sul moschetto, il serpente dalla testa di cane e la cresta di drago che rappresenta la dittatura fascista, per salvare la libertà. Il dettaglio dei piedi avviluppati dal serpente è divenuto il simbolo dell’ITINERARIO della MEMORIA, voluto nel 2007 dal Comune di Mandello del Lario e dall’Istituto Comprensivo Statale “A. Volta” di Mandello del Lario6, in cui il monumento di Somana rappresenta una significativa tappa. Il motivo del serpente è ripreso nel rilievo all’ingresso del cimitero di Mandello che segna il luogo del dove “CADDERO PER PIOMBO VENDUTO” Sergio Gallotti (1943) e Giovanni Poletti (1944). Il rilievo in marmo, non firmato, è opera di Enrini. Il braccio nudo alzato con la fiaccola accesa inscritta nella corona di spine è invano minacciato dal serpente. STA QUESTA LAPIDE A INFAMIA DEI CARNEFICI / A GLORIA / DEI MARTIRI.
Altra tappa in questo percorso è il Monumento della Maiola dove un bassorilievo in bronzo opera di G. Puccini rappresenta tre partigiani caduti con lo sfondo delle
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montagne mandellesi. Il rilievo è inserito in un parallelepipedo sovrastato da una piramide tronca (progettato da F. Gilardoni e realizzato da Taruselli) con la scritta QUI CADDERO PER LA LIBERTÀ IL 26,10, 1944 MORGANTI BATTISTA, GADDI ADAMO, GADDI DAVIDE.
Nel Monumento ai Caduti della Resistenza nel cimitero di Mandello di Enrini un giovane ignudo, grande al vero, stringe alta la fiaccola della libertà, ancora accesa e quindi vitale, mentre cade nel suo eroico sacrificio. Simboli classici per raccontare l’universalità e l’immortalità di una storia di lotta così circostanziata nel tempo e nello spazio: la ribellione all’oppressione fascista da parte di cittadini di Mandello. Artisti di ambito lombardo nella seconda metà del 1900
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A sinistra e in alto: Giuseppe Enrini, Monumento ai Caduti della Resistenza, 1946, bronzo, Mandello, Cimitero, assieme e particolare.
Il corpo dalle forme perfette e levigate si stende nell’ampia diagonale dal piede alla mano destra che alza la fiamma in una spinta estrema che vince il precario equilibrio. All’ascensionalità della diagonale si oppone la verticale del braccio sinistro appoggiato a terra e il capo reclinato che inchiodano al suolo il destino individuale del partigiano, senza tuttavia impedire il trionfo del suo ideale di libertà. Lo stesso soggetto sulla tomba di Piero Caremoli “caduto per la libertà” al Monumentale di Milano, riparto XIX, n. 3A-3B.
Sopra: Giuseppe Enrini, Rilevo in ricordo di Sergio Gallotti, Giovanni Poletti, 1945 ca. marmo, Mandello Cimitero.
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Dall’alto: Giuseppe Enrini, Angelo Musicante, 1957-62, marmo di Condoglia, tomba Carotti, Mandello-Somana Cimitero, assieme e particolare. Allievo di Giuseppe Enrini, Addolorata, 1968, marmo di Condoglia, tomba Gallandra, Mandello-Somana, Cimitero. Giuseppe Enrini, Pietà, 1960 ca., marmo di Condoglia, tomba Enrini, Mandello-Somana, Cimitero, Nella pagina successiva: Francesco Messina, Dolente, 1926 ca., bronzo, tomba Mentasti, Mandello, Cimitero.
Negli anni Trenta Enrini aveva realizzato importanti monumenti funerari al Monumentale di Milano: tomba dei coniugi Luigi Majno (1852-1915) ed Ersilia Bronzini (1859 -1933), Giardino Cinerario 236-240, entrambi fortemente impegnati sul fronte del socialismo umanitario; tomba di Gaby Angelici, pilota ventenne caduto nei cieli d’Africa 1932, Riparto XVII n.202, con una slanciata figura in bronzo in cui l’artista interpreta in chiave futurista e aviatoria il tema dell’anima che abbandona il corpo. Intorno agli anni Cinquanta sono collocabili i rilievi di Somana in marmo di Condoglia: il delicatissimo Angelo Musicante sulla tomba di Jenni Carotti (1887-1962), già proposto a Milano sulla tomba di Fernanda Wittgens (1903-1957), Monumentale di Milano, Riparto XII, n. 234, storica dell’arte, attiva antifascista, direttrice della Pinacoteca di Brera, riaperta per merito suo, dopo le devastazioni della guerra. La figura angelica ripiegata col lungo collo sulla tastiera dell’organo che sta suonando è totalmente assorta nella musica celestiale; la linea dell’ala che segue le curvature sinuose del profilo sembra materializzare l’ascesa delle note, passate attraverso il corpo. Eterea e lineare L’Addolorata di profilo con le mani giunte e gli occhi chiusi, inscritta nella croce, della tomba Bruno Gallandra (19271968) è realizzata invece da un allievo dello scultore che riprende un modello del maestro. Più plastica e geometricamente costruita la Pietà a mezzobusto sulla tomba dello scultore e di Nella Enrini (1939-1987). Le palpebre abbassate su uno sguardo interiore delle figure nei tre rilievi evoca i ritratti di Modigliani, così come il linearismo del disegno e l’accentuazione dei lunghi colli. Un taglio certo meno drammatico delle orbite vuote della scultura di Wildt, che è richiamata dal trattamento levigato del marmo. Questo guardare a vari riferimenti del panorama artistico figurativo d’inizio secolo permette allo scultore di rileggere soggetti religiosi classici con grande modernità7.
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Francesco Messina Linguaglossa (Ct) 1900 - Milano1995
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na testa in bronzo firmata Francesco Messina8, nel cimitero di Mandello del Lario, sulla tomba di Guido Mentasti, motociclista Campione d’Europa nel 1924, come ricorda la targa del Moto Club d’Italia del 1925 e l’altorilievo alla base del piedistallo in cui il corridore, a cavallo del suo bolide, sembra fuoriuscire dalla materia in cui è stato modellato. Narrativa la scena del rilievo, drammatica e simbolica la testa protesa, dalle grandi orbite e dalla bocca che si aprono sul vuoto del bronzo. Qui sono evidenti i richiami allo scultore Adolfo Wildt che il giovane Messina conosce alla XII Biennale di Venezia nel 1922 e a cui succede nel 1934 nella cattedra di scultura all’Accademia di Brera, dove sarà direttore fino al 1944. Probabilmente un ritratto, la testa femminile di dolente, incorniciata da una retrostante corona d’alloro, diviene figura allegorica della vittoria, della gloria e vede ridimensionata la forza espressiva creata dalle dinamiche di luce ed ombra tra superfici e vuoto.
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Romano Rui Sarone di Caneva (Pn) 1915 - Milano 1977
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i Romano Rui9, a Brera con Francesco Messina, alcune opere a Lecco attestano le varie fasi creative, dalla figurazione arcaicizzante all’astrattismo, nella sua produzione monumentale. La tomba Monti, Monumentale, campo A76, 1953, marmo di Musso, scultore, Romano Rui, architetto Carlo Braga10, è la prima opera nel Cimitero di Lecco di questo ceramista, sbalzatore di metalli, scultore, assistente di Materie plastiche al Politecnico di Milano: un bassorilievo in marmo di Carrara di accentuato arcaismo, felicemente inserito nella lineare architettura tutta giocata sulla geometria del rettangolo dall’architetto Carlo Braga. Un muro a feritoie da cui filtra la luce, un alto portale architravato, la pavimentazione in granito serizzo definiscono uno spazio aperto in cui si colloca il sarcofago bianco rappresentato da uno spiovente della copertura e dal fronte. Un animato corteo funebre si sviluppa orizzontalmente nel rilievo, dove, in rigoroso ordine parattattico, sfilano i chierichetti, i musicanti, le donne disperate che accompagnano il carro trainato da un cavallo. La scena narrativa tutta sviluppata in superficie, la frontalità dei volti, ma soprattutto il prevalere della linea incisa sul rilievo scolpito sono un chiaro recupero archeologico dei rilievi di arte romana ad influenza orientale e definita plebea che fa la sua comparsa nei fregi degli archi imperiali e nelle prime composizioni narrative dei sarcofagi cristiani. Rui, che negli anni Cinquanta è ancora immerso in un ac-
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A sinistra: Romano Rui, Resurrezione,1969, granito serizzo, tomba Colombo, Lecco, Cimitero Monumentale. A sinistra in basso: Romano Rui, La fuga in Egitto, anni Cinquanta, marmo, tomba Coretti, Legnano, Cimitero. Nella pagina precedente: Romano Rui, Corteo funebre, 1953, marmo di Musso, tomba Monti, Lecco, Cimitero Monumentale.
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Romano Rui, Albero, 1974, bronzo, cappella Bellemo, Lecco, Cimitero Monumentale. Romano Rui, Scultura, primi anni Settanta, bronzo, Lecco, Piazza Garibaldi, Banca Popolare.
centuato arcaismo, rielabora questi riferimenti calcando la semplificazione delle forme e il tocco decorativo floreale, (ruote bordure, drappo del cavallo) con richiami al mondo dell’infanzia, ricrea così un clima di dolce, ingenua malinconia che sdrammatizza la morte e la riconosce come un momento della vita. Nel 1950 lo scultore aveva realizzato vari soggetti religiosi di gusto arcaicizzante come il bassorilievo La fuga in Egitto sulla tomba della famiglia Coretti al cimitero di Legnano, dove ora è sepolto l’architetto Braga, stilisticamente molto vicino al rilievo della tomba Monti di Lecco. Di questa opera Dino Formaggio descrive mirabilmente le scelte tecniche e formali: “Qui l’artista parte da una sfaldatura del marmo (ancor visibile a sinistra), la trasferisce in motivo di forma, crea un braccio, una figura, e viene avanti isolando grandi piani e linee limpide di connessione, di momento in momento levigando o semplicemente spuntando o lasciando vivere il grezzo originario per una esigenza di resa diretta di tutti i suggerimenti di forma e di luce che la materia offre. La forma risulta allora ampia e via via si viene consolidando e drammatizzando di lavoro in lavoro”. Lo stesso artista propone, alla fine degli anni sessanta, il tema classico della Resurrezione nel bassorilievo in granito serizzo della tomba Colombo, Monumentale, campo B, 1969, con una sbozzatura a tagli netti che richiamano le matrici xilografiche così care all’espressionismo tedesco d’inizio Novecento. Il busto del Cristo a braccia alzate, con un gesto quotidiano di risveglio, emerge dalla composizione dei tre soldati addormentati e sembra volersi liberare dalla materia di fondo che lo genera. Nella cappella Bellemo, Monumentale, ala destra, 1974, bronzo, l’artista reinterpreta il motivo dell’albero della vita, frequente nell’iconografia funeraria, componendo e stilizzando geometricamente le forme. Cubi di varia dimensione compongono un tronco ed una chioma cruciforme identificando l’albero e la croce; il trattamento differenziato delle superfici crea effetti di luce ed ombra e senso di profondità in una composizione essenzialmente bidimensionale. È del 1970 la composizione L’albero e la sua ombra, per la tomba Pedroni al Monumentale di Milano in cui l’ombra si materializza in negativo sulla lastra tombale. In questi ultimi anni della vita la sua scultura si scioglie dai vincoli mimetici e narrativi per scandire la pura forma: così i volumi sorgono nei loro ritmi simbolici nello spazio in stretta connessione con l’architettura, come nel Rilievo bronzeo sulla parete destra della Deutsche Bank - Banca Popolare di Lecco in Piazza Garibaldi a Lecco. Anche qui il motivo germinante della crescita si sviluppa in tutte le direzioni attraverso un proliferare di volumi cubici a diversi livelli di espansione. Le facce ulteriormente articolate in rigorose geometrie segnano la capacità vegetativa insita in ciascun elemento della composizione. L’organismo in espansione che si proietta nel futuro attraverso il linguaggio della pura forma, ha le sue radici nella classicità delle forme architettoniche che Mino Fiocchi ha dato alla facciata ad indicare simbolicamente la volontà di radicamento territoriale in un progetto di crescita ed espansione.
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Enrico Manfrini Lugo di Romagna (Ra) 1917 - Milano 2004
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ncora la committenza della Banca Popolare di Lecco incarica nel 1975 lo scultore Enrico Manfrini di realizzare le porte bronzee della Basilica di S. Nicolò, per rendere esecutiva la volontà e tangibile la memoria del Dottor Mario Bellemo (Chioggia 1897 - Bologna 1974), Presidente della Banca Popolare di Lecco, scomparso nel 1974. Lo scultore romagnolo, allievo di Francesco Messina e suo successore alla cattedra di scultura a Brera tra il 1974 e il 1984 è un affermato artista che si è dedicato con continuità all’arte sacra, ed è ben rappresentato nei principali musei d’arte sacra contemporanea e in numerose chiese in Italia e all’estero11. Le tre porte della Basilica di San Nicolò a Lecco, la centrale della Misericordia e le due laterali dei Papi e dei Santi sostituiscono, nel 1975, le originarie porte lignee ormai fatiscenti e, con l’arcaismo semplice e solenne dei rilievi e delle formelle, si inseriscono senza clamore nella imponente e lineare facciata neoclassica di Bovara, impreziosendola. Nell’architettura della porta della Misericordia le figure centrali ad alto rilievo (il Cristo e la Madonna), le formelle narrative a basso rilievo (le storie della Redenzione attraverso episodi evangelici), i tondi simbolici ad altorilievo in basso (gli Evangelisti), sono composte su un fondo vuoto, con rigorosa simmetria, per fasce sovrapposte. La varietà di rilievi che hanno popolato le facciate romaniche e gotiche delle cattedrali qui sono riprese con grande sapienza e impaginate con classico ordine di geometrie e volumi che ben si coniuga con l’architettura della facciata. La geometria diventa simbolo oltre che regola compositiva: l’ovale delle sculture più rilevate è la sacralità della mandorla che definisce la divinità, il rettangolo è l’episodio narrativo delle predelle che racconta le tappe del percorso di redenzione, il cerchio è il medaglione col simbolo codificato che cita le fonti del racconto. Anche la rappresentazione del donatore, in abiti contemporanei e inginocchiato nell’episodio del Battesimo di Cristo, ripropone, soddisfacendo la committenza, un uso di cui si ha testimonianza fin dall’alto Medio Evo. La sua vena naturalista si manifesta anche nella rappresentazione dei frutti simbolici modellati come nella ceramica d’arredo, le spighe e l’uva all’interno della porta centrale, il pesce con il cestinetto dei pani o animali vivi e guizzanti capaci di riportare il simbolo antico al suo vivace modello reale. Ecco le colombe amo-
Enrico Manfrini, Porta della Misericordia,1975, bronzo Lecco, Basilica di San Nicolò, assieme e particolare delle formelle.
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Enrico Manfrini, Porta dei Papi, Giovanni XXIII, 1975, bronzo, Lecco, Basilica di San Nicolò. Enrico Manfrini, Simboli cristologici del pellicano e del pesce, 1975, bronzo, Lecco, Basilica di San Nicolò, particolari. Enrico Manfrini, Papa Giovanni XXIII, bronzo, Imbersago, Santuario della Madonna del Bosco. Enrico Manfrini, Cappella della Via Crucis, Lecco-Rancio, Cimitero.
revoli che bevono dalla stessa coppa, il pellicano che nutre i suoi piccoli, l’agnello che volge il capo, il bue che si affaccia curioso, il leone sorridente, l’aquila impettita. Una vena scherzosa e infantile che può esprimersi in questi particolari meno solenni e rifuggire la seriosità che il tema sacro impone. Nelle porte laterali i Papi lombardi Giovanni XXIII e Paolo VI e i due Santi patroni della città Nicolò e Stefano campeggiano al centro dei battenti tra gli stemmi nella parte superiore e i simboli della tradizione cristiana in basso. Emergono nelle figure dei pontefici avvolti nei volumi dei panneggi le capacità ritrattistiche dell’artista, apprezzato e prolifico medaglista che ha anche realizzato, alla fine degli anni Settanta, il Monumento a papa Giovanni XXIII presso il santuario della Madonna del Bosco a Imbersago. Il papa bergamasco che nel bassorilievo delle porte della basilica di S. Nicolò è rappresentato in ginocchio, di profilo, immerso nella preghiera, accoglie qui, maestoso e benevolo, i fedeli che salgono al santuario. La colossale immagine del pontefice, al vertice dell’imponente e scenografica scalinata che porta alla chiesa, si apre nel gesto benedicente della mano destra e nella garanzia del tomo del Concilio Vaticano II stretto nella sinistra. L’ampio mantello, fermato dal medaglione del Buon Pastore e ampliato dalle braccia alzate, sembra voler accogliere, come nell’antica iconografia della Madonna della Misericordia, chi affronta fiducioso 200 gradini; lo sguardo attento assicura a ciascuno la giusta intercessione nei confronti della Madonnina dorata, Mater Amabilis, che dal 1867 veglia dalla cima del campanile (opera dello scultore milanese Zucchi). La composizione che procede per massicci volumi tondeggianti non trascura la minuta descrizione del particolare: ed ecco i ricami sul manto istoriato e sulla stola, le nappe del cordone, i rilievi della tiara e del medaglione ma soprattutto la fedeltà ritrattistica al soggetto. Tutto concorre ad offrire un’immagine rassicurante: la classica costruzione piramidale, rigorosamente simmetrica offre sicurezza e stabilità, l’apertura dei panneggi e dei gesti accoglienza, la posizione in un punto così focale è riferimento certo. Altri autori hanno dato diversi accenti nella lettura dello stesso soggetto. Come non pensare ai cardinali di Manzù così rinchiusi nel bozzolo del loro rigido mantello dalle geometrie lineari, o i papi di Floriano Bodini dalle grandi mani inquiete sporgenti tra le agitate linee dei panneggi?
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Per la Basilica di San Nicolò a Lecco già nel 1968-69 aveva realizzato i 14 pannelli bronzei della Via Crucis, collocati sulle colonne della navata in sostituzione dei quadri ad olio dipinti da Antonio Dassi nel 1852. Nelle nicchie delle belle cappelle di Rancio superiore presso il cimitero e il santuario di S. Maria Gloriosa sono dello stesso autore i bassorilievi della Via Crucis. Le grandi figure che dominano la pagina bronzea e a volte si spingono oltre, sono modellate a bassorilievo e, ignude o avvolte in panneggi rigidi e cartacei, denotano una certa semplificazione formale, pur in una iconografia fedele alla tradizione. Anche la composizione giocata sulle verticali, corrette a volte dalla diagonale, stratifica le figure una sull’altra ed enfatizza la gestualità espressiva del dolore12.
Enrico Manfrini, Caduta e Deposizione, Via Crucis, bronzo, Lecco-Rancio, Cimitero.
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Livio Benetti Trento 1915 - Sondrio 1987
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Livio Benetti, Il lavoro nelle cave di granito, 1964, bronzo, 1964, Lecco, Banca Popolare di Sondrio.
artista trentino ha trascorso 50 anni della sua vita in Valtellina, dove era giunto come insegnante di disegno nel 1937 e qui ha scolpito e dipinto realizzando monumenti, fontane, rilievi, mosaici per gli spazi aperti della città di Sondrio e dei comuni della provincia13. A Lecco due sue opere sono giunte tramite le banche valtellinesi. Il lavoro nelle cave di granito bassorilievo in bronzo, 1964 è sulla facciata della Banca Popolare di Sondrio, Corso Martiri della Liberazione Lecco, che lo ha com-
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missionato all’artista per celebrare il lavoro nelle cave della Valmasino e di Ardenno. Si tratta di uno sviluppo del tema dei lavori tradizionali valtellinesi già rappresentato nel suo insieme in un bassorilievo per la sede di Sondrio della stessa banca (Il lavoro in Valtellina, 1959, via Vittorio Veneto, 7, Sondrio) dove diverse scene simultanee diventano dinamico motivo decorativo in una sintesi di impronta futurista. Nel bassorilievo di Lecco, di forte connotazione narrativa e simbolica, un angelo si protende protettivo ad aprire sulla scena della cava in cui tre cavatori uniscono le loro forze nel muovere il blocco di granito. La diagonale che inizia a sinistra con la testa dell’angelo si conclude a destra con lo scalpellino seduto di profilo, chino sulla lavorazione del pezzo. Le figure che sembrano nascere dalle sfaccettature e dalla scabrosità della pietra con cui lottano, si individualizzano nelle curve dei dorsi tesi nello sforzo. Nell’angolo destro in alto una Madonna col Bambino, quasi icona votiva, veglia sulla scena al centro di un paesaggio di case, ponti, alberi definiti da tagli e sfaccettature del linguaggio neocubista assolutamente funzionale nel rendere gli spigoli e le facce dell’ambiente di cava. Questo bassorilievo che reinterpreta la scena dei cavatori del grande dipinto ad encausto di Gianfilippo Usellini (1903-1971) Il lavoro nelle cave, 1935, sulle pareti della sala consiliare nel palazzo della Provincia di Sondrio, è ancora dichiaratamente figurativo ma anticipa le forme dinamiche ed aperte e quella tensione all’unisono che pochi anni dopo sarà nel Monumento alla Resistenza, 1968, Piazza Campello, Sondrio. Vicino per continuità stilistica oltre che tematica, Il lavoro dei metalli, 1966, bronzo, pannello inserito in una fontana realizzata da Benetti per l’Istituto Professionale Fossati a Sondrio, ora smembrata. Ancora a Lecco un bronzo La creazione, 1986 nell’atrio del Credito Valtellinese, in via Parini. Come riporta la targa, È QUESTO L’ULTIMO LAVORO DI SCULTURA IDEATO E MODELLATO ALLO STADIO DI BOZZETTO DALL’ARTISTA LIVIO BENETTI, PRIMA DELLA MORTE AVVENUTA IN DATA 10.1.1987. I FIGLI E LA MOGLIE HANNO ULTIMATO L’OPERA IN SUA MEMORIA.
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Livio Benetti, La Creazione, 1986, bronzo, Lecco, Credito Valtellinese.
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Piero Maggioni Monticello Brianza (Lc) 1931 - Viganò (Lc) 1995
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Piero Maggioni, Porte della fede, della speranza e del perdono, 1985, bronzo, Barzio, S. Alessandro, particolari. Piero Maggioni, La famiglia, 1992 bronzo, Barzio, via Roma.
e origini della passione per la scultura del pittore Piero Maggioni14 sono da ricercare nella sua prima esperienza lavorativa nel laboratorio di oreficeria a Milano; l’incontro e l’amicizia, negli anni Sessanta, con Manzù ha certo spinto l’artista alla ricerca di soluzioni plastiche alla sua espressività improntata alla figurazione di matrice espressionista, con forti suggestioni dell’astrazione sperimentale. La prima e impegnativa opera pubblica sono le porte della parrocchiale S. Alessandro a Barzio, una delle più importanti tappe della vita e dell’opera di Maggioni15. Le formelle delle Porte della fede, della speranza e del perdono, 1985, bronzo, ispirate nella loro iconografia all’opera di Alessandro Manzoni, propongono episodi e frasi dai Promessi Sposi che esaltano la misericordia e la provvidenza divina. La parola in rilievo, chiara ed evidente evoca concetti ed episodi pregnanti, la figurazione tracciata con segno inciso, rapido e spesso esasperato manifesta il drammaticità di una storia che diventa universale. Nella parte alta le figure della Vergine e del Cristo risorto, alla base i ritratti di Manzoni e di S. Alessandro. La meditazione sui temi della vita, dell’uomo nel suo rapporto con lo spirito e con la storia è in quegli anni molto presente anche nella produzione pittorica di Maggioni che accosta la sfera del sacro e la letteratura. Nello stesso anno una mostra di pittura, Un impegno per Manzoni, a Villa Manzoni, Lecco in occasione del bicentenario manzoniano, presenta terrecotte dorate che ritraggono lo scrittore e affronta il tema letterario16. Nel 1986 lo scultore termina la sua statua dedicata a Papa Paolo VI posta in prossimità del Santuario di Maria Regina del Monte, presso Barzio e nel 1992 dona a Barzio la scultura La famiglia, bronzo collocata in via Roma. In questa, che è una delle ultime opere scultoree dell’artista, la coppia genitoriale stretta al figlioletto forma una struttura colonnare in cui si articolano le fisionomie individuali: un abbraccio che ben esprime il calore di un’unità a cui l’artista, orfano in giovanissima età, ha sempre aspirato.
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NOTE 7. Un progetto dell’Amministrazione comunale di Mandello ipotizza di collocare le sculture di Giuseppe Enrini, ora sulle tombe scadute del cimitero di Somana, in uno spazio espositivo, Sala Civica, ricavato nell’edificio ristrutturato del Torchio, in via Recuperati, a Somana. Questa, od altra, ricollocazione protetta permetterà, secondo l’assessore alla cultura di Mandello Maurizio Bertoli, di ricostruire e conservare un tratto di percorso di questo artista che ha lasciato cosi significative opere sul territorio. 8. F. Messina. Bibliografia: N. Loi, 1991; E. Brivio, P. Barbara Conti 1993; A. Paolucci 1997; P. Messina 1999; M. T. Orengo e F. Ragazzi 2002. 9. R. Rui. Bibliografia: Dino Formaggio Romano Rui, Aldo Martello, Milano 1963. 10. Dell’architetto Carlo Braga sono presenti altri monumenti al Cimitero Monumentale di Lecco: tomba Braga con altorilievo in bronzo, Cappella Valsecchi, tomba Beretta. Ringrazio l’architetto Marisa Coretti, moglie dell’architetto Carlo Braga, per il materiale e le preziose notizie fornitemi. Mi piace ricordare la sua testimonianza che racconta della comune (sua e di quello che sarebbe diventato suo marito) e inconsapevole scelta artistica per le rispettive tombe di famiglia in diverse città. 11. Opere monumentali di Enrico Manfrini si trovano in numerose Basiliche, Chiese, Istituti Religiosi in Italia e all'estero. Si ricorda la porta centrale del Duomo di Siena; i pannelli e le porte della Cattedrale di San Francisco in California. Di notevole am-
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piezza la sua produzione medaglistica, principalmente a tematica religiosa, nella quale vanno evidenziate le numerose medaglie ufficiali realizzate per la Segreteria di Stato della Città del Vaticano. Ha creato inoltre modelli per monete, durante i Pontificati di Paolo VI e Giovanni Paolo II. Oltre alla Via Crucis Monumentale in Boscobello di Sanremo della fine anni 80 altre sue opere in Lombardia sono: la pala bronzea, Agostino e Monica a rus Cassiciacum, 1986 in occasione dei festeggiamenti nella ricorrenza del XVI centenario della soggiorno di Agostino e del Cenacolo agostiniano a rus Cassiciacum, l'odierno Cassago Brianza, dove l'amico milanese Verecondo possedeva una villa rustica che li ospitò dall'estate 386 alla primavera 387 d.C.; il Monumento a San Raffaele, raffigurante le leggende del Santo, 800 tonnellate di marmo rosso di Verona, su una fontana installata all'ingresso dell'Ospedale San Raffaele di Milano, 1993. L. Benetti. Bibliografia: F.Benetti (a cura di) Sondrio 1982; L Benetti, Scritti d’arte e di vita civile, Sondrio 2007; Sondrio Contemporanea, Museo Valtellinese di Storia e Arte, 2008. P. Maggioni. Bibliografia: G. Comisso; 1966; G. Marchiori, 1974; G. Marchiori e C., Munari, 1979; G. Marchiori 198. O. Zastrow, La chiesa di Sant’ Alessandro martire a Barzio, Parrocchia di Sant’Alessandro, Barzio 1990. Un impegno per Manzoni, catalogo della mostra a villa Manzoni a Lecco, Electa, 1985.
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1. R. Piter. Bibliografia: Archivio Comanducci; E. Padovano, Dizionario degli artisti contemporanei, 1951; Annetta, Nuovo dizionario degli scultori italiani. 2. S. Locatelli realizza la statua di Papa Giovanni XXIII, bronzo, 1968, cm336 al Seminario vescovile di Bergamo, il tondo per la sala Beato Giovanni XXIII, donato dalla vedova Luisa Bertelli Locatelli nel 2002, i Monumenti ai caduti Leffe, Cisano, Bonate Sotto e Bonate Sopra e numerose opere nei cimiteri lombardi 3. Stefano Locatelli di Amanzio Possenti, Grafica e Arte Bergamo,1992. 4. F. Wildt. Bibliografia: Pirovano 1991, Panzetta 1994. 5. G. Enrini. Bibliografia: Nicodemi e Bezzola 1938; Bessone Aurelj 1947; Caramel e Pirovano 1974; Panzetta 1990 a e 1994; Ginex Selvafolta 2003. 6. L’Itinerario della Memoria, progettato da Simonetta Carizzoni, responsabile dell’ Archivio Comunale per la Memoria Locale, che ringrazio per le preziose informazioni, è segnalato con mappe, testi e fotografie lungo il percorso, ed è illustrato in un opuscolo bilingue che inquadra storicamente gli episodi della storia locale della Resistenza e riporta testimonianze dei protagonisti. L’interessante proposta didattica e turistica che salva e fa conoscere questi importanti luoghi nelle loro valenze storicheciviche-artistiche ha avuto il patrocinio e la collaborazione di: Provincia di Lecco, Istituto Lecchese per la Storia del Movimento di Liberazione, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.
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LECCHESI DEL 1900 Nel corso del 1900 scultori nativi o adottivi del territorio hanno qui cercato infinite variazioni plastiche, iconografiche e materiche nell’ambito della tradizione classica. Lontane dallo sperimentalismo delle avanguardie novecentesche e nell’ambito di una figurazione in equilibrio tra naturalismo e simbolismo, le loro opere registrano tuttavia echi della ricerca del Novecento ed esprimono adeguatamente la cultura del proprio tempo1.
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Giuseppe Mozzanica Sabbioncello di Merate (Lc) 1892 - Merate (Lc) 1983
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Sopra: Giuseppe Mozzanica, Ritratto di Francesco Chierici, 1935 ca. bronzo, Lecco, Cimitero Monumentale. Giuseppe Mozzanica, Ritratto di Enrico Mazzoleni, 1932, bronzo, Lecco, Cimitero Monumentale. Nella pagina successiva: Giuseppe Mozzanica, Dolente, 1933, bronzo, tomba De Peverelli, Lecco, Cimitero Monumentale. Giuseppe Mozzanica, Dolente, 1935, marmo, tomba Arrigoni, Lecco, Cimitero Monumentale. Nella pagina precedente: Riccardo Piter, Dolente, tomba Tondini, 1939, bronzo e Luigi Milani, Maternità, tomba Ferrari Sabadini, marmo, 1937, Lecco, Cimitero Monumentale.
e figure di Giuseppe Mozzanica popolano le piazze e i cimiteri della provincia di Lecco e si spingono oltre: bambini, giovinetti, splendide ragazze, donne ed uomini maturi sono la testimonianza di una vita interamente dedicata alla scultura, in cui la sensibilità verista ed il rigore classicista si sono felicemente coniugati. Di famiglia contadina Giuseppe Mozzanica a 12 anni è apprendista garzone in un laboratorio di manufatti di cemento, poi stuccatore. Nel 1907 frequenta la scuola festiva di disegno di Merate, dove ha come maestro il pittore Donato Frisia e, tra il 1912 e il 1916, la scuola di disegno del Castello Sforzesco di Milano. Dopo la guerra frequenta un corso di scultura all’Accademia di Brera ed ha come insegnante Guiseppe Graziosi. Numerosi i suoi monumenti dei caduti ed opere funerarie. Fino al 1937 ha lo studio a Merate (Pianezzo), poi si trasferisce a Lecco2. Nel 2007 è stata costituita la Fondazione Giuseppe Mozzanica che ha la sua sede in località Pagnano di Merate, dove è conservata la gipsoteca dell’artista. Le sue prime opere a Lecco sono per il Cimitero Monumentale dove, nel corso della sua lunga vita artistica, lascia una vasta produzione commissionata da privati cittadini. Esordisce con ritratti: dal classico medaglione commemorativo al busto tratto dal modello. Realizzato dopo la morte, certamente ripreso da una fotografia, è il ritratto del professor Pier Francesco Chierici, primo direttore della Scuola Tecnica A. Stoppani, morto a Bergamo nel 1908 e sepolto al cimitero Monumentale di Lecco nel 1935 con onoranze degne della sua attività, tomba Chierici, Monumentale, campo A39, 1908, bronzo. Sulla tomba Giovanni Bertacchi ha scritto: DISCEPOLI NUOVI E ANTICHI / QUI VOLLERO FISSATA / LA CARA EFFIGE PATERNA / DEL LORO DIRETTORE E MAESTRO / CHIERICI ING. PROF. PIERFRANCESCO / PERCHÉ TRA IL FLUSSO PERENNE / DELLA STUDIOSA GIOVENTÙ / SIA VERBO DI SAPIENZA E DI FEDE / CHE L’ACCOMPAGNI ALLA VITA.
Il busto di Enrico Mazzoleni, tomba Mazzoleni, Monumentale, Campo E, 1932, bronzo modellato dal vero e collocato nel cimitero 10 anni prima della morte del committente, attesta la sua fedeltà al modello. Testimoni hanno raccontato che il Mazzoleni visitasse la sua effigie e che scherzasse coprendo con il cappello l’avan-
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zata canizie del suo ritratto e si compiacesse della somiglianza di questo suo doppio così vivace nonostante l’impietosa registrazione dei segni del tempo. Del 1955 il ritratto di suor Gemina Rotta, Monumentale, campo C, bronzo dove la severa simmetria del velo e del taglio del busto conferisce austera e solida geometria al volto della religiosa. Questa fedeltà al modello dal vero resta una costante nella successiva produzione di Mozzanica: anche nelle iconografie funerarie più consuete molte giovani hanno posato per le sue dolenti e hanno fornito il punto d’avvio di quel processo classico, fedelmente seguito, che conduce dallo schizzo, alla modellazione nella creta, al gesso, alla fusione o al marmo. Non secondario il ruolo della fotografia all’inizio del lavoro sul modello e alla fine sull’opera. Negli anni Venti e Trenta, è uno scultore affermato che ha partecipato più volte alla Biennale di Venezia, alle Quadriennali di Torino e Roma e alla Permanente di Milano; dal 1933 riceve importanti commissioni per i cimiteri di Lecco e della provincia dove realizza gruppi scultorei, rilievi in marmo, bronzo, pietra, terracotta che nella loro classicità spesso si distinguono dalla consueta produzione cimiteriale per questa memoria della vita che un’esecuzione magistrale ha saputo conservare. Splendide le sue figure femminili che, dapprima rinchiuse in austeri panneggi classici, si piegano poi alla linea morbida che scopre le forme e ne esalta la sensualità. Così la figura femminile, capelli raccolti, mani incrociate sul petto, tomba De Peverelli, Monumentale, campo E457, 1933, bronzo, appoggia i gomiti alla architettura marmorea colonnare con cui è tutt’uno, così solidamente ferma, nell’equilibrio dell’assoluta simmetria, nella gabbia delle pieghe verticali della tunica. Più sciolta la giovane Rosa Arrigoni, tomba Arrigoni, Monumentale campo A38, 1935, marmo di Carrara, che stringe un mazzolino di fiori e porge con la destra la fiammella della fede. La tunica e il corto mantello lasciano pudicamente intravedere l’anatomia, i capelli ricadono in educati boccoli sulle spalle con volute amplificate poi nei bordi del mantello.
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Dolcissima e invitante, nella sua casta sensualità, la giovane che si china porgendo un ricco bouquet variegato di fiori. Morbida è la linea della sua postura che scende dal capo piegato, alla spalla nuda, si insinua tra i seni evidenziati dalla trasparenza del tessuto, si piega attorno alla gamba protesa e ci fa dimenticare il marmo, tomba Colombo, Monumentale, campo A7,1937, marmo di Carrara3. Da queste progenitrici si genera una serie di dolenti che sperimentano le posture più varie per esprimere tutte le sfumature del lutto e della sua elaborazione: raccoglimento, rassegnazione, preghiera, supplica. Dalla dolente velata e inginocchiata in preghiera, consona alla tipologia funeraria più richiesta, tomba Gilardi, Cimitero di Acquate, campo S281, 1955, bronzo, replicata in altri esemplari, tomba Riva, Cimitero di Castello, campo A112, 1963, bronzo, tomba Gerosa, Monumentale campo F360, 1955,bronzo, alle innumerevoli varianti: con il capo piegato sulla mani giunte, tomba Chiapponi, Monumentale, campo E367, 1952, bronzo, (replicata a Oggiono tomba Alderighi, 1960, a Malgrate, tomba Ferracini, 1963, a Castello tomba Mora 1990); in piedi mentre guarda la croce che tiene in mano, tomba Parietti Rovagnati, Monumentale, campo E215, 1956, bronzo; chinata in avanti con i capelli legati in una lunga treccia, tomba Meregalli, Monumentale, campo D335,1961, bronzo e tomba Piazza, Cimitero di Rancio, campo A, 1976, bronzo; con le braccia aperte e vuote tomba Monti, Monumentale, campo C, 1957, bronzo; protesa in avanti con le braccia al cielo in un gesto di supplica, dai panneggi bagnati che evidenziano l’anatomia, tomba Colombo, Monumentale, campo A54,1936, bronzo; tomba Bolis Cimitero di Calolziocorte; seduta a terra con le gambe distese, il capo pie-
Nella pagina precedente: Giuseppe Mozzanica, Dolente, 1937, marmo, tomba Colombo, Lecco, Cimitero Monumentale. Sotto, da sinistra: Giuseppe Mozzanica, Dolente, 1964 bronzo, tomba Colombo, Lecco, Cimitero Monumentale. Giuseppe Mozzanica, Dolente, 1939, bronzo, tomba Bianchi, Lecco, Cimitero Monumentale. Giuseppe Mozzanica, Dolente, 1955, bronzo, tomba Ferrario-Campili, Lecco, Cimitero Monumentale. In basso, da sinistra: Giuseppe Mozzanica, Dolente, 1976, bronzo, tomba Piazza, Lecco-Rancio, Cimitero. Giuseppe Mozzanica, Dolente, 1957, bronzo, tomba Monti, Lecco, Cimitero Monumentale. Giuseppe Mozzanica, Dolente, 1964, bronzo, tomba Galvani, 1964, LeccoCastello, Cimitero.
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Sopra: Giuseppe Mozzanica, Risorto, 1937, marmo tomba Dellera, Lecco, Cimitero Monumentale, assieme e particolare. Giuseppe Mozzanica, San Giovannino,1943, marmo, tomba Bianchi Lecco, Cimitero Monumentale. Nella pagina successiva: Giuseppe Mozzanica, San Nicolò, bronzo dorato, 1955, Lecco, lago. Giuseppe Mozzanica, Monumento ai Caduti di Paderno d’Adda, 1931, bronzo, Paderno D’Adda, rilievo e tuttotondo.
gato che evidenzia la lunga coda di cavallo, tomba Galvani, Cimitero di Castello, 1964 bronzo e sulla tomba Mozzanica, Cimitero di Pagnano 1965; fino alla resa pacata di una donna accosciata con le mani giunte ma con una forte connotazione di contemporaneità negli abiti e nel fiocco che ferma i capelli, tomba Ferrario Campili, Monumentale, campo E276, 1955, bronzo. Tra le figure femminili da annoverare anche la Maternità tratta nel 2007 dal gesso originale (1954) della tomba Riva al Cimitero di Castello. Due significative sculture funerarie vedono protagonista la figura maschile, soggetto che tra gli anni Venti e Cinquanta è più volte trattato dallo scultore nella scultura monumentale. Possente il giovane Uomo Risorto, tomba Dellera, Monumentale, campo E157, 1937, marmo di Carrara, che fuoriesce dal marmo grezzo, ganga, dal quale stenta a liberarsi, le mani appena sbozzate trattengono le lunghe braccia. L’anelito verso l’alto è testimoniato dal volto rivolto al cielo e dall’addome contratto che gonfia il torace muscoloso di un corpo giovane e robusto che vuole risorgere nella sua fisicità. Michelangioleschi i volumi e il sofferto venire alla luce dell’idea che si libera della materia. Il Risorto è certo fratello degli atleti, Calciatore e Vogatore, realizzati in marmo nel 1933 per lo Stadio Mussolini al Foro Italico a Roma con cui “Mozzanica si inserisce nella ricerca di una dimensione monumentale della scultura, libera dagli appesantimenti declamatori e celebrativi”4. Per il giovane Tullio Bianchi, morto a vent’anni, un adolescente imberbe, grande al vero, nelle vesti del San Giovannino nel deserto coperto dalla classica pelliccia di peli di cammello, tomba Bianchi, Monumentale, campo E 159,1943, Marmo di Carrara. Il giovane stante regge una croce in bronzo e col braccio destro piegato indica sé stesso. Bello il volto serio e assorto incorniciato dai boccoli ben curati, sottili le gambe che richiedono un puntello, azzardate le parti aggettanti, tutto concorre ad un’idea di equilibrio e delicatezza che rimanda all’iconografia di San Giovannino e Gesù Bambino che giocano insieme, inventata dagli artisti del Rinascimento italiano, più che all’eremita che grida nel deserto. Mozzanica non sempre sfugge le insidie della retorica, pur nell’estrema perizia tecnico-anatomica, quando realizza gli innumerevoli monumenti ai caduti in cui si cimenta fin dal 1922 attraverso la rappresentazione di antieroi nudi con l’elmo
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(Missagliola, 1922, Colonno, primi anni Venti,) e soldati in divisa con bandiere e Vittorie alate (Cernusco Lombardone, 1923, Bosisio Parini, 1955, Verderio Inferiore, 1961, Dervio, 1955, Merate, 1959) ma raggiunge livelli di grande suggestione nel giovane dolcemente abbandonato sulla roccia che lo accoglie nel Monumento ai caduti di Paderno d’Adda, 1931. Abbandonata ogni pretesa di eroismo e di sfoggio muscolare ritroviamo nel bel giovane dal ciuffo ribelle, così vivo nell’eleganza della forma, della posa, del gesto sospeso, le ragazze e i ragazzi che hanno dato vita alle tante figure che in quegli anni Mozzanica andava modellando e scolpendo. Classico come un efebo dormiente, vero come un ragazzo addormentato al sole, messianico come un San Giovannino, contrasta con la concitazione della scena d’assalto del rilievo posto sul piedistallo, in cui soldati armati e a torso nudo si gettano oltre il filo spinato della trincea. Narrativo come una formella il rilievo del Monumento ai caduti di Pagnano, 1965, mostra le atrocità della guerra, la lotta corpo a corpo, la dura prigionia, la sofferenza che accomuna, senza segni visibili di distinzione, vinti e vincitori. Per quanto riguarda il Monumento ai caduti di Barzio, realizzato nel 1955, in sostituzione del leone di Michele Vedani, fuso per la patria, si veda la sezione dedicata ai simboli. A Lecco, dove la committenza privata per le sculture cimiteriali è stata certo la più assidua per Mozzanica, finalmente nel 1955 una commissione importante per il monumentale S. Nicolò sulle acque del lago. Il santo, dorato come un reliquiario barocco, troneggia nella sua struttura colonnare. In abiti vescovili con copricapo e pastorale, immobile benedice pacato. Una visione più ravvicinata di quanto non consenta la sua collocazione, permetterebbe di cogliere l’espressione accigliata del volto. Si ricorda il Monumento all’Italia, di Merate, 1965 e il San Fermo sul campanile della chiesa di Cesana Brianza. Tre gruppi monumentali di Mozzanica hanno fortemente caratterizzato il Cimitero Monumentale di Lecco e ad essi è toccato un diverso destino: di distruzione, di precaria conservazione e di restauro. Le vicende del monumento Menager, collocato nel 1945 nel Cimitero Monumentale di Lecco e lì presente fino al 1993 sono narrate in una storia lecchese più avanti in questo libro. Il monumento Canali, Monumentale, Campo A267, 1941, marmo di Carrara, si impone maestoso nel suo insieme architettonico e scultoreo ancora intatto, ma certo bisognoso di un restauro conservativo. Una giovane donna, grande al vero, sale il primo gradino
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di una scalinata in granito alla cui sommità l’aspetta un Cristo paludato in ampia tunica a panneggi verticali che amplifica il gesto interlocutorio e consolatorio, sottolineato dall’iscrizione sul basamento
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“DONNA PERCHÉ PIANGI? IO SONO LA RESURREZIONE E LA VITA”.
In alto, da sinistra: Giuseppe Mozzanica, 1957, bronzo, tomba Bertolini, Lecco, Cimitero Monumentale. Giuseppe Mozzanica, Commiato, 1968, bronzo, tomba Conti, Lecco, Cimitero Monumentale. Sopra: Giuseppe Mozzanica, 1941, marmo, tomba Canali, Lecco, Cimitero Monumentale.
La donna si porta una mano al petto e trascina un ampio strascico che richiama un abito nuziale le cui pieghe morbide e diagonali sottolineano il movimento di salita verso la ferma verticalità del Cristo. Un incontro tra due figure dialoganti che richiudono lo spazio del defunto, presente con un ritratto solenne e frontale a bassorilievo. Coreografica la composizione, raffinata l’esecuzione delle mani, dei volti, dei capelli. Il monumento Bertolini, Monumentale, campo C, 1957, bronzo, ha avuto la sorte di essere restaurato e conservato integralmente. Un gruppo familiare composto dalla vedova e dai due figlioletti piange la scomparsa del marito e del padre. La madre al centro protegge col gesto della mano destra il capo del bambino che prega a mani giunte, tenero e fragile con i suoi pantaloncini corti e la maglietta estiva. Con la mano sinistra sembra voler sospingere la ragazzina che guarda avanti con uno sguardo perso nel vuoto. La vivace gonnella a pieghe, i capelli mossi con la frangetta corta tradiscono una vitalità che si è cristallizzata incredula nel dolore che le mani incrociate tentano di contenere. La donna classica nel suo abito lungo panneggiato, nell’acconciatura a crocchia, nel compostezza del suo dolore è conscia di essere sola nel suo ruolo genitoriale e con i suoi gesti vuol testimoniare l’assunzione dell’impegno. C’è tutto un racconto fatto di piccoli gesti, particolari, sfumature che rende vivo questo composto e piramidale gruppo di famiglia. Varianti dell’iconografia del Cristo risorto, tuttotondo sono presenti al Monumentale: tomba Galli, campo C,1964, bronzo; tomba Agostoni, campo D614,1961, bronzo; tomba Bolla, campo A240, 1940, marmo di Carrara; al cimitero di Rancio, tomba Cima, Campo C9, 1964, bronzo; al cimitero di Pasturo, tomba Mauri, 1949, bronzo5.
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Una vasta produzione a soggetto religioso dello stesso autore risponde alle esigenze di una committenza piÚ tradizionale e si esprime attraverso il bassorilievo, dove non sempre è raggiunto il buon livello delle sculture a tutto tondo6. Altre opere di Mozzanica sono segnalate nelle sezioni tematiche e tutte le opere presenti nei cimiteri di Lecco dell’autore sono state censite dalla scrivente per il Comune di Lecco nel 20047.
In alto, da sinistra: Giuseppe Mozzanica, Cristo caduto, marmo, cappella Villa, Brivio, Cimitero. Giuseppe Mozzanica, Tre Marie piangenti sotto la croce, 1953, bronzo, tomba Saverio, Lecco, Cimitero Monumentale. A sinistra: Giuseppe Mozzanica, 1961, bronzo, tomba Agostoni, Lecco, Cimitero Monumentale.
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Romeo Pedroli Locarno (CH) 1917 - Lecco 1994
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Romeo Pedroli, La pensosa, pietra, Lecco, Cortile del Municipio.
omeo Pedroli8 nasce a Locarno da famiglia di origine piemontese. Studia in Francia e in Svizzera. Come scultore ha una formazione di bottega e giovanissimo è allievo di Wildt a Milano. Vive e lavora a Zurigo fino al 1964, quando si trasferisce a Lecco. Apre una galleria, Galleria Visconti, dove ospita nell’arco di 10 anni mostre di artisti (Zoccola, Bolis, e Atchugarry). Molte sue opere sono nei cimiteri di Lecco e circondario9. Nel cortiletto del Comune di Lecco è collocata La pensosa, figura di donna assisa in cui l’arcaismo calmo e possente di Pedroli si esprime attraverso un segno essenziale che si limita a definire le masse dei volumi appena sbozzati. Una semplificazione apparentemente ingenua è in realtà frutto di un attento studio della geometria che riduce al minimo gli aspetti narrativi e decorativi, piegandoli alle esigenze della composizione. Qui la perfetta simmetria del corpo è appena corretta dalla leggera diagonale del braccio lasciato in un vigile abbandono a proteggere la nudità esposta. Anche la porosità della pietra, le sue imperfezioni e variazioni cromatiche rimandano ad un tempo mitico, al sogno delle origini che sembra celarsi dietro quegli occhi chiusi. Lo splendido Angelo corifeo della tomba Galli, Monumentale, campo C, Marmo di Carrara, collocato nel 1970 ma risalente al periodo zurighese, massiccio, ancora tutt’uno con il pilastro in cui è sbozzato, assume uno slancio ascensionale nella proiezione diagonale verso l’alto del capo, delle braccia, della tromba che sta suonando. Le diagonali opposte, reiterate parallele delle piume, dei panneggi, dei raggi solari si incontrano idealmente al centro nell’ala ripiegata dove un indugio decorativo nelle belle piumefoglie diventa motivo ricorrente come nelle nuvole che fanno da sfondo al Sacro Cuore della tomba Massetti, Monumentale, campo C, bronzo bassorilievo.
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Un equilibrio di grande modernità nel riproporre un’iconografia angelica abusata fin dai tempi delle cattedrali romaniche quando la scultura era ornamento dell’architettura. Frontale, con le grandi ali dispiegate dalle piume in ordine sparso, suona il violino l’angelo della tomba Conti, Monumentale, campo F, 1960, bronzo bassorilievo, come l’Angelo sul sepolcro del Cristo risorto della tomba Amigoni, Monumentale, campo E, bronzo bassorilievo. Collocato su marmo nero d’Africa, lucido specchio in cui si riflette il paesaggio circostante, dispiega le sue ali, le cui piume ricadono parallele come le balze di un tendaggio, a fornire un fondale per il sepolcro vuoto. Tozzi, goffi e scanzonati i Putti alati da modelli rinascimentali, che ci osservano appoggiati a parapetti o a solide pietre di rovine, poiché sarrebbero fuori luogo su eteree nuvole, nella Tomba Bicchi, Monumentale, campo A, bronzo bassorilievo. Le rare volte in cui volano, gli angeli di Pedroli assumono la posizione aerodinamica dello stormo in volo come nella tomba Vassena, Monumentale, campo F, bronzo, bassorilievo con Pietà, realizzato anche in marmo. Tre figurine stilizzate con le braccia protese sono la punta di un fascio di parallele proiettato verso la Pietà sulla sinistra. Forte il contrasto tra il dolore muto e immobile dell’angolo sinistro e il dinamismo urgente del soccorso dell’angolo destro. L’iconografia della Pietà, come quella di tradizionali soggetti e simboli religiosi, viene riproposta con modalità differenti: tuttotondo plastico, bassorilievo inciso, formelle narrative, esplorando i modelli forniti dalla storia della scultura e rivisti con gli occhi della modernità in un difficile equilibrio tra ricerca di un accento interpretativo personale e iconografia assodata e richiesta dai committenti. Dalla tradizionale Madonna Immacolata della tomba Cusolito, Monumentale, campo C, che siamo soliti vedere bianca ed azzurra nelle consuete ricostruzioni della Grotta di Lourdes, al gruppo plastico della tomba Villa, Monumentale, campo C, Pietà tuttotondo bronzo, dove la figura di donna è spogliata dei suoi tratti celestiali e acquista sembianze più umane, popolari, vicine all’esperienza quotidiana. Nel
Sopra, da sinistra: Romeo Pedroli, Angelo musicante, 1960, bronzo, tomba Conti, Lecco, Cimitero Monumentale. Romeo Pedroli, Putti musicanti, 1977, bronzo, tomba Bicchi, Lecco, Cimitero Monumentale. Romeo Pedroli, Angelo corifeo, 1964 ca., marmo, tomba Galli, Lecco, Cimitero Monumentale. Sotto: Romeo Pedroli, Angelo sul sepolcro, bronzo, tomba Amigoni, Lecco, Cimitero Monumentale.
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A sinistra: Romeo Pedroli, Passione, Resurrezione, Ascensione, tomba Fioretta, Lecco, Cimitero Monumentale. Sopra, dall’alto: Romeo Pedroli, Sacro Cuore, tomba Massetti, 1986 ca., bronzo, Lecco, Cimitero Monumentale. Romeo Pedroli, Cristo benedicente, tomba Brambilla, pietra di Viterbo, Lecco-Castello, Cimitero.
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bassorilievo in pietra della tomba Anghileri, Monumentale, campo F, Pietà, pietra di Viterbo, e nella versione in bronzo della tomba Scarpa al cimitero di Castello, la geometria del cerchio sottolinea la monumentalità del grembo della madre che si dilata per accogliere il figlio adulto dalle forme volutamente accorciate, in una deformazione espressionistica efficace. Ancora la pietra, di cui Pedroli ama la matericità, la grana grossa, le imperfezioni, le venature, le cromie, gli accostamenti, diviene la vera protagonista nei bassorilievi con il Cristo benedicente della tomba Favaron, Monumentale, campo D, pietra di Viterbo, della tomba Brambilla, Cimitero di Castello, campo A, arenaria e della tomba Riva, Monumentale, campo A, arenaria su fondo di ceppo. Stessa ieraticità di memoria bizantina nel linearismo essenziale, uniche variabili qualche sottile mutamento nei gesti e la cromia della pietra nella quale i segni della gradina sono un lontano ricordo dello sfavillio dei fondi oro. Ancora un segno lineare, quasi inciso nei simboli dei quattro evangelisti sui bracci della croce della tomba Gamba, Monumentale campo E, bronzo bassorilievo, riproposta nella tomba Cattaneo, Cimitero di Maggianico campo C. Se l’angelo appare inamidato nei drappeggi rigidi, il leone, il bue e l’aquila sembrano ammiccare, animati come nei disegni dei bambini. Formelle narrative che guardano ai portali delle cattedrali romaniche e gotiche par raccontare la sequenza della Passione, della Resurrezione e dell’Ascensione, nella tomba Fioretta, Cimitero di Castello, Campo G, nella tomba Tirone, Cimitero di Maggianico, campo C, e nella cappella
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Ceppi Gasparri al cimitero di Castello, nella tomba Gui a Mandello, bronzo bassorilievo. Le figure si assiepano attorno ad un Cristo abbandonato, che ripropone la stessa posa della figura femminile seduta nel cortile del Municipio, o benedicente come nei bassorilievi in pietra. Nella tomba Battisti, Cimitero di Castello, bronzo, 1963, due begli Angeli suonatori di profilo e di spalle, fratelli maggiori dei pesanti putti della tomba Bicchi, fanno da quinta al Cristo frontale in piedi. Nella tomba Ferloni, Cimitero di Castello, campo G, bassorilievo in bronzo, la Via Crucis assume le forme del polittico su tavola duecentesco in cui le varie stazioni si dispongono intorno al Crocifisso. Nel bronzo, dalla forma leggermente convessa che fa ricordare un antico scudo istoriato, il racconto si snoda attraverso il variare delle inquadrature, dal piano americano, al primo piano, al mezzobusto con un linguaggio cinematografico, segno della modernità in un modello antico. Certo anche il contesto in cui Pedroli colloca le sue sculture è attentamente studiato nella scelta dei materiali, negli accessori, nel disegno architettonico con estrema coerenza e all’insegna della pulizia formale delle sue opere. Singolare la natura morta della tomba a Calolziocorte di Raniero Castricini dove, abbandonati i sandali e il bastone del suo viaggio terreno, il viandante ha salito i gradini verso l’occhio di Dio. “PROSEGUI’ VERSO LA LUCE E DIO L’ACCOLSE NELLA SUA MISERICORDIA”. La realistica rappresentazione degli oggetti in rilevo nella pietra tombale dalla superficie picchiettata si coniuga con le rigorose geometrie simboliche della composizione architettonica. Sulla sua tomba al cimitero di Castello una sua scultura è stata rimossa dopo la riesumazione della salma e dovrebbe essere nei depositi del cimitero.
A sinistra: Romeo Pedroli, pietra, tomba Castricini, Calolziocorte, Cimitero, particolare e insieme. Nella pagina precedente, in alto, da sinistra: Romeo Pedroli, Pietà, 1973 ca., bronzo, tomba Vassena, Lecco, Cimitero Monumentale. Romeo Pedroli, Pietà, 1971, pietra di Viterbo, tomba Anghileri, Lecco, Cimitero Monumentale. Nella pagina precedente, in basso: Romeo Petroli, Pietà, bronzo, tomba Villa, Lecco, Cimitero Monumentale.
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Gino De Candido Zurigo (CH) 1895 - Lecco 1980
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n un’intervista di Germano Campione, pubblicata in Pittori a Lecco, 1972, l’artista si dichiara prioritariamente scultore anche se, dopo gli studi a Zurigo e a Monaco, inizia dapprima a dipingere. Incontra la scultura nel campo di prigionia in Austria e dal 1933, anno in cui si stabilisce a Lecco, si dedica prevalentemente alle arti plastiche. Volontario nelle due guerre mondiali, ha viaggiato molto in Austria, Germana, Svizzera, Francia paesi in cui si trovano sue opere in collezioni pubbliche e private. Delle prime importanti sculture fatte a Lecco per monsignor Dell’Oro, per il valsassinese prof. Magni, per il cav. Ronchi, per Emilio Mauri, ricordate in un’intervista, sono state rintracciate il busto di Fermo Magni (1874-1935) nel cimitero di Introbio el il busto del Cav. Uff. Ronchi, al Monumentale di Lecco, campo F431, 1936, Bronzo10. Il ricordo monumentale sulla tomba di Fermo Magni, cittadino, patriota, educatore che, come recita l’epigrafe DALLA CATTEDRA / DALLA PIAZZA / DALLA TRINCEA / COMBATTÈ VOLONTARIO / PER L’ITALIA / DI DANTE E DI OBERDAN, fu voluto da un apposito comitato come in genere accadeva per i mo-
numenti o le lapidi commemorative posti nelle piazze, mentre la sepoltura era dedicata alla memoria familiare. A sottolineare la funzione di commemorazione pubblica la cartolina pubblicata in occasione dell’inaugurazione del monumento. De Candido riesce a dar conto nell’ufficialità del busto delle due anime del personaggio ben tratteggiate dal documento del comitato promotore “[...] la maschia ferrea tempra montanara del nobile cittadino di volontario di guerra, di fascista [...] ma anche amico
Sopra: Gino De Candido, Busto ritratto, 1936, bronzo, tomba Ronchi, Lecco, Cimitero Monumentale. Gino De Candido, Ritratto, 1935, bronzo, tomba Perego, Lecco Cimitero Monumentale. A sinistra: Gino De Candido, Busto ritratto,1935 ca., bronzo, tomba Fermo Magni, Introbio, Cimitero.
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buono e leale, l’alpinista che conosceva l’incanto delle nostre montagne, lo studioso innamorato della Valle, l’Uomo semplice e modesto[...]” L’uomo solido e massiccio, ampie le spalle e la fronte, ha un sorriso dolce e sereno che rivela una profonda umanità; i capelli mossi e un po’ scomposti, il modellato degli abiti insolitamente pittorico, il colletto spiegazzato sono accorgimenti efficaci per alleggerire l’ufficialità del ritratto e sottolineare i differenti aspetti di una personalità11. Più solenne il ritratto del Cav. Uff. Ronchi, come del più tardo Cav. Cernuschi, Monumentale, campo A297, 1966, bronzo. Ritratti solenni e ufficiali in cui i volti severi esprimono fierezza e solidità, accentuate dalle massicce geometrie dei busti azzimati, a rappresentare personaggi titolati. Non mancano tuttavia, fin dai primi anni, esempi di un naturalismo più immediato come nel tondo a bassorilievo della tomba Perego, Monumentale campo A35, 1935, dove il soggetto ci guarda intensamente incurante dei capelli scomposti e delle rughe profonde. Degli anni Trenta la complessa architettura razionalista, tomba Maggioni Frigerio, Monumentale campo F, 1937, coniugata al bassorilievo di forti accenti realistici in contesto simbolista, analizzata nella sezione dedicata alle architetture complesse, che testimonia una grande attenzione ai molteplici linguaggi dei primi decenni del secolo. Su un Calvario roccioso di porfido rosso un Cristo portacroce incede maestoso tendendo col passo la tunica e rivolge in alto il braccio teso in un gesto di offerta nella tomba Sottocornola, Monumentale, campo E153, 1937, bronzo. La bella mano destra si aggrappa al fardello che pesa sulle spalle, i muscoli del collo sono tesi nello sforzo dissimulato. L’effetto è di grande dinamismo e drammaticità. Immobile e concentrato il Cristo che spezza il pane di molti anni dopo, tomba Riva, Monumentale, campo A, 1963, bronzo, QUESTO È IL PANE VIVO SCESO
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DAL CIELO E DI ESSO CHI MANGERÀ NON MORRÀ, GIOVANNI C 6. Chiuso nell’ampia tu-
Gino De Candido, Cristo portacroce, 1937, bronzo, tomba Sottocornola, Lecco, Cimitero Monumentale. Gino De Candido, Cristo, 1963, bronzo tomba Riva, Lecco, Cimitero Monumentale. Gino De Candido, Via Crucis, 1972, gesso, Cassina, Culmine di S. Pietro.
nica rigida, la trama del tessuto è graffiata sulla superficie, questa robusta struttura colonnare è promessa di sicurezza e solidità. Appena schizzata nel 1972 alla data dell’intervista, la Crocifissione diviene un lungo bassorilievo in gesso che ora campeggia sull’altare della Chiesa alla Culmine di San Pietro e successivamente una fusione in bronzo ora posta nella cappella Invernizzi nel cimitero di Cremeno dove lo scultore è sepolto. A sviluppo orizzontale e affollata come i rilievi paratattici romanici di analogo soggetto rappresenta il momento in cui viene alzata la croce di Cristo tra una schiera di soldati a piedi e a cavallo. Le diagonali della croce, della scala, delle lance convergono verso il centro dove si focalizza l’attenzione, marginalizzando le croci dei ladroni. Il disegno, il calco in gesso, la fusione in bronzo, i tre momenti del processo classico dall’idea alla realizzazione plastica seguito dallo scultore, divengono ciascuno un’opera autonoma con le proprie specificità segniche e materiche.
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Sotto: Fulvio Simoncini, 1995, bronzo, Tomba Berera, Lecco, Cimitero Monumentale. Nella pagina successiva, dall’alto: Fulvio Simoncini, Risorto,1994, bronzo, tomba Borghetti-Milani, Lecco-Castello, Cimitero Fulvio Simoncini, Monumento di Pescate, 1988, bronzo, Pescate. Fulvio Simoncini, Dolente, 1983, bronzo, tomba Ratti, Lecco-Castello, Cimitero.
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ulvio Simoncini di famiglia romagnola, si trasferisce con la famiglia nella sua primissima infanzia a Lecco dove vive e lavora. Frequentando la “bottega” dell’amico Mozzanica si impadronisce dei segreti di un modellato fedele sempre alla verità del modello12. Le sue figure, che nascono nella creta già grandi al vero, denunciano, pur nella nudità che le rende universali, la loro appartenenza al presente, alla contemporaneità e comunicano intima e serena fiducia nella vita. Così ragazze candide nella loro nudità velata di mistero sono una presenza insolita e pur discreta nei giardini della memoria dove è possibile incontrare una Giovane ignuda, leggiadramente seduta in un giardino fiorito, ricreato con rocce e fiori (tomba Berera, Monumentale campo D306, 1995). Ninfa boschereccia, naiade sorgiva ha le gambe ripiegate con grazia, imbozzolate: un velo di materia, da cui non si sono totalmente emancipate, le tiene prigioniere. Le mani sovrapposte appoggiate alla coscia, raccolgono le braccia che chiudono un vuoto, là dove altre fanciulle cingono un bimbo. Il capo chino e pensoso chiude la figura in un mondo interiore dove si incontrano il rimpianto per il passato e il fascino timoroso del futuro. Nella tomba Angelo Bonaiti, sindaco di Lecco, Monumentale, campo B 215, 1985, bronzo, tuttotondo, una giovane donna seduta con le gambe incrociate abbraccia teneramente, senza ansia, il bambino che si aggrappa a lei in una fusione simbiotica sottolineata anche dalla continuità della materia nei punti
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di contatto: mani, spalle e busto del bambino. Immagine di vita dolce, serena, priva di drammaticità. Il bronzo sembra divenire fluido e morbido nelle forme plastiche create da Simoncini, dove una linea continua avvolge senza stacchi la composizione raccolta nel gomitolo degli abbracci. Altra versione del soggetto nella tomba Ravasi, Monumentale, campo A95, 1991, bronzo13. Una ragazzina seduta abbraccia le gambe piegate e appoggia il capo sulle ginocchia richiudendosi nei propri sogni. Tomba Discacciati, Monumentale, campo B, bronzo tuttotondo e tomba Ratti, Cimitero di Castello 1983, bronzo. Un ritorno alla condizione fetale, all’origine, che rimane il luogo mitico dell’inconscio, in cui cercare rifugio. Lo stesso soggetto in bronzo nel cimitero di Cortenova e in terracotta in un giardino di Viale Turati. Giovani donne nude, pensosi fiori che sbocciano in giardini domestici, assorte nelle promesse e nei misteri della vita a cui si affacciano. Uno sguardo tutto rivolto all’interno, incurante delle belle forme esposte, accresce il fascino segreto di queste adolescenti o giovani madri. Un omaggio alla donna nelle sue stagioni, alla primavera della vita proprio là dove si ricorda chi è scomparso. Il Risorto è, tra i temi religiosi, il soggetto scelto per la tomba Borghetti-Milani, Cimitero di Castello,1994, campo B, bronzo, bassorilievo. Il corpo giovane del Cristo, dal volto dolce e dalla muscolatura perfettamente scolpita, come si direbbe di un atleta, si affaccia nel suo splendore con gesto accogliente, scevro da ogni trionfo: le mani aggettanti invitano, lo sguardo mite rassicura. Nel fondo architetture a stiacciato che nella loro simmetria costruttiva richiamano i polittici o i loggiati dipinti del Quattrocento; un’ala d’angelo incisa nello scomparto di sinistra segna la presenza dell’angelo annunciante. Come non pensare all’Annunciazione che è il punto d’avvio di una storia che si conclude con la Resurrezione? Modelli iconografici fanno ormai parte del nostro immaginario visivo e che diventano citazioni consce o inconsce da parte di chi crea e di chi fruisce. Anche nel Monumento di Pescate che Simoncini ha realizzato nel 1988 per il Comune emerge una rilettura dell’uomo leonardesco simbolo del nuovo Umanesimo e Rinascimento che vuole l’uomo finalmente al centro dell’universo. L’ignudo vigoroso, incatenato ed appeso all’interno del cerchio, non più nel centro, denuncia la perdita di attenzione nei suoi confronti da parte di un mondo diviso e lacerato in cui prevalgono altri interessi che negano elementari bisogni umani. Se
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vuol essere un monumento ai caduti della strada, ben visibile da chi percorre la statale, è sicuramente un monumento che denuncia questa perdita di centralità dell’umano. L’artista commenterebbe la sua opera con questi versi “Cerco un raggio di sole sapiente per mandarti libero fin dall’alba”. Percorrendo invece la via che da Germanedo sale verso i monti lungo il torrente Bione, giunti al ponte, la strada termina in una mulattiera ripida che raggiunge i pascoli di Neguccio e del Campo de’ Boj, un Sacromonte conduce al Santuario dell’Addolorata alla Rovinata. Nelle 15 cappelle, affrescate un tempo dal pittore verista Giovanni Tagliaferri, di Pagnona, raffiguranti il mistero del “Santo Rosario”, cancellate e sostituite con altorilievi in gesso dipinto raffiguranti la Via Crucis, Simoncini ha realizzato, nel 1993, quindici bassorilievi in bronzo per le Stazioni della Via Crucis14. Come a livello formale l’artista ha utilizzato una varietà di modellato, dall’incisione, allo stiacciato, al bassorilievo così ha sviluppato, sul piano iconografico, due percorsi di rilettura della parola evangelica citata a margine: da un lato il piano della contemporaneità di chi guarda ed è testimone distaccato del dramma spettacolarizzato, dall’altro il racconto degli eventi della Passione. Una barriera invisibile di indifferenza separa spettatori che, chiusi nelle proprie solitudini, assistono a eventi teatrali inscritti in linee geometriche incise, che isolano la scena come nei riflettori da palcoscenico, o sullo schermo televisivo, dove perdono la paradossalità del messaggio e si confondono con la fiction.
Fulvio Simoncini, Via Crucis, 1993, bronzo, Lecco, Rovinata, XIII cappella e particolari di altre due stazioni.
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Luigi Milani Lecco 1914 - 2000
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Luigi Milani, Pietà, 1966, bronzo, tomba Garattini, Lecco, Cimitero Monumentale.
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uigi Milani15, nato e vissuto a Lecco, precisamente lungo i pendii dei monti che incorniciano la città, è stato sempre legato al suo territorio: amava la natura, si dedicava al giardinaggio, e impastava la creta modellando volti di concittadini defunti le cui fisionomie studiava e riproduceva fedelmente dalle foto proposte dai committenti. Nella sua lunga attività di scultore si è infatti esclusivamente dedicato all’arte funeraria e principalmente al ritratto su commissione. Il suo “dono di natura” che aveva indotto il padre, lavoratore del ferro, a mutare attività e ad aprire un laboratorio per la lavorazione del marmo per quel figlio che aveva fatto studiare a Brera, gli aveva anche salvato la vita in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale. Milani era riuscito infatti a sopravvivere alla tragedia della ritirata grazie all’ospitalità che trovava, di isba in isba, in cambio dei ritratti tracciati con il carboncino. A Brera ha acquisito le tecnica dalla scultura e accostato i modelli della classicità: strumentazione che lo ha fedelmente supportato nella sua attività professionale. Raramente il ricorso al modello reale, per una postura, un gesto, sempre la modellazione della creta, il calco e il modello in gesso, da cui trarre con il pantografo, la versione in marmo, in pietra o la fusione in bronzo. Nella fonderia Battaglia di Milano gli incontri con artisti che praticano una ricerca plastica d’avanguardia, come i fratelli Pomodoro, di cui racconta ai familiari e collaboratori. La sua prima commissione a 18 anni, quando realizza lo stemma in marmo per la facciata del Comune di Lecco, progettato dal Bovara, che sbozza nello scantinato sotto casa. Nel corso degli anni numerosi trofei alpinistici in cui bronzei alpini svettano su rocce granitiche: uno fra tutti il Trofeo Anghileri. Poi una lunga produzione di soggetti religiosi e ritratti per i cimiteri: la Resurrezione di Lazzaro nella tomba Redaelli, Cimitero di Castello, 1960 marmo, il Cristo nell’avello, della tomba Airoldi, Monumentale, campo C, 1948 marmo di Carrara, bassorilievo, la Pietà della tomba Frigerio, Cimitero di Acquate, campo S68, 1948,
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marmo di Carrara bassorilievo, sono le opere di Milani dove è evidente l’ ispirazione classica e il suo guardare a modelli iconografici della tradizione figurativa. Tali cifre stilistiche che un tocco ingenuo rende modernamente “primitive” segnano la migliore produzione anche negli anni successivi, soprattutto nella ritrattistica a dispetto dell’esasperata ricerca di maniera di certa sua ultima produzione. Negli anni Cinquanta e Sessanta prevale la vena narrativa rispetto ad un simbolismo più marginale anche nei soggetti religiosi. Certo il dinamismo reattivo nel risveglio dei soldati di fronte al Cristo risorto, sottolineato dalla torsione dei corpi e dalla gestualità esasperata è un brano vivace che contrasta con la ieraticità del Risorto, nella tomba Conti, Monumentale, campo F65, 1959, bronzo altorilievo. Di grande tensione drammatica le Pietà degli anni Sessanta tutte a sviluppo verticale, in cui una madre in piedi, ora tesa nello spasimo dello sforzo, ora china sul proprio dolore, regge inverosimilmente il corpo morto del figlio, tomba Corti, Monumentale, campo E66, 1964 bronzo, tomba Garattini, Monumentale campo D540, 1966, bronzo e tomba Buccola, Monumentale, campo D528, 1969, bronzo. Milani sembra elaborare progressivamente la tensione contrapposta dei due corpi ad accentuare la drammaticità di questa iconografia. Dapprima due corpi giustapposti statici nel pietoso abbraccio, poi un crescere di forze contrapposte che si accentuano reciprocamente: verso il basso del Cristo sempre più pesante e piegato, verso l’alto della Madonna dal lungo collo contratto. Il monumentale gruppo del Giudizio Universale sulla tomba Berera nel cimitero di Rancio, bronzo, la scultura di maggiori dimensioni realizzata da Milani, unisce in un’unica struttura colonnare le quattro figure: il Cristo frontale, l’angelo con la tromba sovrastante e i due risorti laterali, l’eletto e il dannato capovolto. Tra gli innumerevoli ritratti quelli dei sacerdoti Don Piatti nel cimitero di Acquate; Don Luigi Monza alla Nostra Famiglia; Monsignor Gilardi, all’Istituto per i Ciechi a Civate. La vena narrativa emerge in opere analizzate nelle sezioni tematiche dedicate alla maternità (tomba Ferrari Sabadini, Monumentale, campo C 556, 1937, Marmo di Carrara) e al lavoro (tomba Colombo, cimitero di Acquate, S316, 1953, granito rosa, trovante di Pescate; tomba Frigerio, cimitero di Castello, campo B, 1939, marmo di Carrara; tomba Angelibusi, Muratore, cimitero di Castello 1982; tomba Ghislanzoni Pescatore, 1976 cimitero di Castello) e alla ritrattistica. La produzione successiva agli anni Settanta abbandona la classicità e il realismo della prima fase e si disperde in sperimentazioni di accentuato simbolismo e stilizzazione della figura che è modellata o secondo estrema levigazione delle superfici e bidimensionalità dell’immagine o con assottigliamento e superfici mosse e tormentate.
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Luigi Milani, Pietà, 1969, bronzo, tomba Buccola, Lecco, Cimitero Monumentale. Luigi Milani, Cristo nell’avello, 1948 marmo, tomba Airoldi, Lecco, Cimitero Monumentale. Luigi Milani, Stemma del Comune di Lecco, 1932, marmo, Lecco, Municipio. Luigi Milani, Resurrezione di Lazzaro, 1960, marmo, tomba Redaelli, LeccoCastello, Cimitero.
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Franco Alquati Cremona 1924 - Lecco 1983
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Franco Alquati, Monumento Ai Fratelli Caduti del Mare, 1986, marmo.
llo stesso cenacolo di artisti, con Orlando Sora, Ampelio Bonora, Paolo dell’Oro, Aimone Modonesi e Giuseppe Mozzanica, partecipa il pittore Franco Alquati che è artista raffinato, capace di acuta progettualità nella sua ricca produzione di oli, disegni, collage in cui manipola carte varie. La sua curiosità sperimentale lo induce a tentare qualche esperienza con piccole sculture polimateriche con materiali effimeri, quasi un gioco di assemblaggi che si allarga dalle immagini alla materia16. Pittore e marinaio pensa e disegna un duraturo Monumento in marmo Ai Fratelli Caduti del Mare sul lungolago di Lecco, là dove sfocia il Gerenzone. Il contributo del lavoro lecchese alla marina, di cui si ricordano caduti, è sinteticamente signi-
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ficato in un lineare monumento marmoreo ancorato in un bacino di carenaggio, in cui, purtroppo, per scelta di funzionalità, non c’è mai stata l’acqua. Ecco il Timone che guida con sicurezza, la Prora che taglia sicura il mare, la Chiave che rammenta la fatica del lavoro, l’Albero Maestro che regge la bandiera. A sviluppo orizzontale, a livello potremmo dire dell’acqua, un insolito monumento da guardare dall’alto, così lontano dalla consueta iconografia dei monumenti dedicati alla marina militare, focalizza l’attenzione sul ruolo dei marinai di Lecco, ossia sul lavoro delle ditte metallurgiche lecchesi. È il lavoro degli ingegneri e dei meccanici, ingaggiati a montare le torrette corazzate delle navi da guerra, più che dei naviganti, il contributo patriottico che qui è ricordato. Anche l’áncora con la catena simbolo da sempre della Marina è il prodotto delle fonderie e dei catenifici della città. La collocazione presso la foce del torrente su cui è nata la storia dell’industria del ferro a Lecco enfatizza, poi, l’idea portante del progetto che Alquati dona all’A.N.M.I. di cui è socio e che sarà realizzato dopo la sua morte, dall’Architetto Giancarlo Spada. La cerimonia solenne di inaugurazione con cui il monumento è consegnato all’amministrazione comunale si svolge il 25 maggio 1986. Gli oggetti simbolici che raccontano il navigare dei marinai lecchesi dal ferro delle fucine alle navi da guerra diventano qui forme sintetiche, quasi astratte nella loro lineare bidimensionalità, senza perdere il loro riferimento figurativo. Alquati ripropone in questo suo progetto monumentale la linea pulita, i tagli netti, le geometrie da puzzle della sua ultima produzione pittorica in cui prendeva sempre più spazio un interesse per l’astrazione ancora tutto da scoprire. Proprio per questo credo che possa essere considerato il monumento cittadino alla memoria di questo pittore, sepolto nel cimitero di Castello con una semplice croce di legno in prato verde. La cerimonia è dettagliatamente narrata nel bollettino nazionale dell’A.N.M.I., maggio 1986.
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25 maggio 1986, Cerimonia di inaugurazione del monumento.
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Aimone Modonesi 1916 - 1976
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Sopra: Aimone Modonesi, Busto di Giuseppe Di Vittorio, 1967, bronzo, Lecco, Sede C.G.I.L. Sotto: Ernesto Treccani, Omaggio a Giuseppe di Vittorio, 1996, ceramica, Lecco.
ittore e scultore17, ha frequentato l’Accademia Albertina a Torino ed è stato partigiano durante la Resistenza. Autore del busto in bronzo di Giuseppe Di Vittorio realizzato nel 1967 nel decimo anniversario della morte e collocato su piedistallo in marmo alla Camera del Lavoro di Milano e alla Camera del Lavoro di Lecco all’entrata della sede. Ora il busto lecchese dello storico sindacalista, morto a Lecco dove si trovava per un comizio, è all’ingresso del salone della sede C.G.I.L, in via Besonda a Lecco, nel semiterrato in posizione e luce che non valorizza né il personaggio né l’opera. Nel 1996, a quarant’anni dalla morte, la CGIL di Lecco ha dedicato una ceramica di Ernesto Treccani, collocata sulla parete di ingresso dell’ex Hotel Croce di Malta, in via Roma, dove il sindacalista è deceduto. “Modonesi era un pittore che voleva fare lo scultore” così racconta Alfredo Chiappori a proposito del gruppo di artisti che nei primi anni Sessanta frequentava con assiduità a Lecco. “Del gruppo, Modonesi era quello che più seguiva le esperienze dell’arte contemporanea e delle neo-avanguardie. Dipingeva con la tecnica del dripping, usando vernici, smalto, seguendo l’esempio dell’americano Jackson Pollock e realizzava sculture informali in ferro e in bronzo, che alcuni architetti gli commissionavano per decorare gli ingressi dei palazzi [...]”18. In città si può avere un saggio di questa produzione legata all’architettura nel fregio in bronzo policromo che attraversa il controsoffitto del portico del Credito Italiano (oggi Unicredit), in Piazza Garibaldi, e nei pannelli-sovrapporte della stessa banca. In via Galandra n. 12 poi, sulla parete di facciata, una versione monocroma in ferro delle astratte volute policrome, traduce nella piegatura della vergella gli sgocciolamenti della sua pittura. Il simbolo del lavoro lecchese proprio qui nella Valle del Gerenzone costruisce un percorso dinamico di fili, mulinelli, grovigli, quasi leggere chiavi musicali a segnare creativamente il ritmo delle trafile e dell’acqua. Modonesi è sepolto al Monumentale di Lecco: sulla sepoltura un rilevo bronzeo con i motivi astratti della sua ultima produzione.
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A sinistra: Aimone Modenesi, Pannello nel controsoffitto del portico, Credito Italiano, Lecco. Sopra: Aimone Modonesi, ferro, Decorazione edificio via Galandra n. 12, Lecco. Aimone Modonesi, tomba Modonesi, bronzo, Lecco, Cimitero Monumentale.
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Monumenti alle vittime della resistenza e del lavoro
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Giuseppe Mozzanica, Modello di testa turrita, 1956 ca, terracotta, Gipsoteca G. Mozzanica, Merate. Giuseppe Mozzanica, Monumento ai Caduti lecchesi nella lotta di Liberazione, 1956, lega sperimentale di metalli e marmo, Lecco, Largo Montenegro.
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l monumento IN MEMORIA DEI CADUTI LECCHESI NELLA LOTTA DI LIBERAZIONE A GLORIA DEI MORTI A MONITO DEI VIVI 1943-1945, in Largo Montenero a Lecco, fu realizzato nel 1956. Al centro di sette lapidi in granito fissate ad un’abside in mattoni e con i nomi dei caduti, la mesta testa di donna coronata, allegoria della patria, secondo l’iconografia dell’Italia piangente di matrice neoclassica, è una regina mutilata che ha perduto le sue membra, i suoi figli caduti. Le lapidi sono state rifatte nel 1985. La scultura in lega metallica sperimentale non firmata è opera di Giuseppe Mozzanica. La terracotta originale è conservata nella gipsoteca fatta costruire dall’artista nel 1959 a Pagnano-Merate. A Galbiate oltre al Monumento alla Resistenza nella Sala Consiliare, realizzata dallo scultore Nello Silvestri di Mandello del Lario che rappresenta idealmente l’Opressione, l’Offerta, il Sacrificio, la Libertà, un grande mosaico è collocato nel riquadro appositamente predisposto della facciata principale del Municipio. Il mosaico della Resistenza è stato realizzato nel 1981 dai mosaicisti Fratelli Toniutti, su bozzetto e cartone di Orlando Sora. È questa l’opera a cui il pittore, che
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ha affrescato tanti edifici pubblici della città di Lecco, ha lavorato negli ultimi mesi della sua vita. Così legge il significato dell’opera l’architetto Ugo Sacchi, progettista dell’edificio, nel discorso inaugurale: “[..] l’idea del pittore si incentra nella raffigurazione del momento in cui, improvvisamente, si manifesta con uno scoppio di gioia la LIBERAZIONE rappresentata dal gruppo di corpi posti al centro e disegnati su linee diagonali e divergenti proprio come abitualmente si indica graficamente una deflagrazione. L’esplosione della LIBERAZIONE ferma a destra la forza bruta rappresentata dai cavalli rampanti e permette, come si vede a sinistra, al sole di illuminare il verde dei campi su cui sorge la nuova vita”19. Nel marzo 2008 è realizzato a Lecco un monumento che rende visibile l’evento ricordato dall’intitolazione del parco, Parco 7 marzo, Corso Matteotti, già avvenuta in precedenza. Il monumento racconta simbolicamente i fatti di quel 7 marzo 1944 già narrati dalla lapide posta nel 1946 in via Castagnera, all’ingresso dello stabilmento Bonaiti, sulla cui area è stato costruito l’Istituto Bertacchi20. Un’idea proposta dall’ANPI che ha coinvolto, nel 2005, 60 studenti del Liceo Artistico Medardo Rosso di Lecco in un concorso di idee, sfociato in una mostra all’Istituto Bertacchi, dove una giuria ha selezionato il progetto di Gessyca Checchin. Un contributo dell’amministrazione comunale ha poi permesso all’ANPI di realizzare il significativo insieme che evoca il ruolo dei lavoratori lecchesi nell’opposizione al nazifascismo. Un mazzo di lapidi di marmi policromi si apre come le pagine di libri diversi su cui si è scritta un’unica storia di libertà. Tra queste la pagina che così recita: IL 7 MARZO 1944 ALLE ORE 10 / AL SUONO DELLA SIRENA / I LAVORATORI DELLE FABBRICHE LECCHESI INIZIARONO LO SCIOPERO GENERALE / CONTRO LA GUERRA, PER LA SCONFITTA DEL NAZIFASCISMO, PER LA DEMOCRAZIA / SFIDARONO INTIMIDAZIONI E RAPPRESAGLIE, SOFFRIRONO E MORIRONO PER LA NOSTRA LIBERTÀ.
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Il mosaico della Resistenza,1981, mosaicisti Fratelli Toniutti, cartone di Orlando Sora, Galbiate, Municipio. Gessyca Checchin. Parco 7 marzo, 2008 marmo e acciaio, Lecco, Corso Matteotti.
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Antonio Lombardo, Monumento Caduti sul Lavoro, 1988, Sorico, Trivio di Fuentes. 132
Si avvertono suggestioni del vecchio cimitero ebraico di Praga, dove le sovrapposizioni delle antiche lapidi cadute, precarie o ancora ritte rendono con grande forza le stratificazioni delle vite e dei pensieri. Tre fusti in acciaio sono il punto di partenza di quel treno di deportazione, il lavoro delle fabbriche metallurgiche a cui furono strappati gli operai per un’infausta destinazione. Proprio da qui è ripartito nel 2006 il treno per Auschwitz degli studenti lecchesi sulle tracce di una memoria da rinnovare, perché niente sia dimenticato. Altri monumenti alla Resistenza con opere scultoree sono stati descritti nel capitolo III (Scultore Enrini a Mandello del Lario). A Sorico, Trivio di Fuentes, una stele innalzata nel 1988 ricorda i 9 lavoratori caduti durante la realizzazione della nuova Strada Statale 36. “Il monumento, progettato dall’Architetto dell’ANAS di Milano Antonio Lombardo e voluto fortemente dal Sindacato, voleva essere una luce sempre accesa sulla questione generale degli infortuni sul lavoro, in anni in cui le organizzazioni sindacali rivendicavano normative moderne ed efficaci sulla prevenzione e la sicurezza. Purtroppo il monumento si trova, in stato di abbandono, in una piazzola erbosa incolta, di difficile accesso, a lato del raccordo che congiunge la strada proveniente da Sondrio con l’imbocco della super-strada 36”. Così testimonia e denuncia Massimo Cannella, Segretario Generale Fillea CGIL LECCO21. Il monumento al lavoro è edificato con i materiali da costruzione delle tante gallerie della statale 36: il cemento costruisce un altare laico, da cui si elevano le centine di ferro arrugginito, qui rovesciate rispetto alla loro funzionalità portante e divenute braccia protese verso il cielo ad invocare che dal lavoro venga la vita e non la morte. Ferri vissuti e residuali, materiali spesso privilegiati dalla scultura contemporanea, provengono dallo spazio reale di chi passa, guarda, ricorda e raccontano la propria storia. Ai piedi la lapide: IN RICORDO DEI CADUTI PERITI DURANTE LA COSTRUZIONE DELLA NUOVA S.S. 36. (CGIL CISL UIL ANAS MILANO 30.9.1988) Del 2002 è il monumento ai caduti e agli invalidi del lavoro, Il lavoro scolpito nel marmo, di Pablo Atchugarry, in largo Caleotto a Lecco, proposto dall’ANMIL-Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del lavoro- alle Istituzioni del territorio, alle Associazioni imprenditoriali, alle Organizzazioni Sindacali, considerato nel V capitolo di questo libro.
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NOTE 5. M. Ferrario, L’arte di Giuseppe Mozzanica è gloria briantea e lariana, in “Il Resegone”, 23 novembre 1973, p.7; G. Campione, A. Fieri, Pittori a Lecco, Edizioni AGIELLE, 1973. 6. Qui si segnalano le seguenti sculture nei cimiteri di Lecco: S. Francesco benedicente tomba Bay, Monumentale, campo F352, 1947 cotto; tomba Spreafico, Monumentale, campo C487, 1947, bronzo; Crocifissione, tomba Calvetti, Monumentale, campo F353, 1959, bronzo; tomba Saverio, Tre Marie piangenti sotto la croce, Monumentale, campo E350, 1953, bronzo e tomba Sala Cimitero di Castello, campo A121; Pastore e gregge, tomba Rossi Monumentale, campo E15, 1956, bronzo; Vergine con Crocifisso, tomba Paletta, Monumentale, campo E69, 1944, marmo di Carrara; Angelo musicante, tomba Gaetani, monumentale, campo D45, 1961, bronzo; Pietà, tomba Pizzi, Monumentale, campo F48, 1959, bronzo; Pietà, tomba Rovay, Monumentale, campo D189, 1956, bronzo; Pietà, tomba Cereda, Cimitero di Castello, campo D72, 1945, cotto; Cristo caduto, tomba Galli, Monumentale, campo D302, 1935, bronzo; Cristo incontra la Veronica, tomba Tentori, Monumentale, campo E224, 1958, bronzo; Commiato, tomba Conti, Monumentale, campo E220, 1968, bronzo; Madonna, tomba Bolla, Monumentale, Campo A223, 1949, cotto; Incoronazione della Vergine, tomba Paggi, Cimitero di Castello, Campo G202, 1960, bronzo; tomba Marini, Dolente inginocchiata, Cimitero di Castello, bassorilievo, bronzo. 7. Durante la campagna di sensibilizzazione intorno all’arte funeraria condotta dall’Associazione Amici dei Musei, in cui la figura di Mozzaica ha avuto grande rilievo, la giornalista Barbara Garavaglia ha dedicato alcun articoli all’arte funeraria Là dove giace il ricordo: funeraria arte da tutelare, in “Il Resegone, 2 febbraio 2003 e, Mozzanica l’arte di scolpire. In “Il Resegone” 14 febbraio 2003 in cui ha richiamato l’attenzione sullo scultore. 8. Fin dal 2002 l’architetto Monica Corti, che ringrazio, mi segnalava le opere funerarie di Romeo Pedroli, presenti nei cimiteri di Lecco, fornendomi documentazione fotografica. Un più recente colloquio con il figlio dello scultore, Camillo Pedroli, ha permesso di allargare ad altre opere e ricostruirene il percorso a Lecco e territorio 9. Nel volume Pittori a Lecco a cura di Germano Campione e Arnolfo Fierli, Edizioni AGIELLE, sono riportate breve recensioni
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di Gino Traversi e Ignazio Mormino. Oltre a due oli è riprodotta una scultura in travertino “La Colomba”. Op. cit. G. Campione, A. Fieri, Pittori a Lecco, Edizioni AGIELLE, 1973. L’Associazione Amici della torre di Primaluna, nata nel 1978 ha pubblicato la ristampa della Guida illustrata della Valsassina, scritta da Fermo Magni nel 1904, con due saggi introduttivi di Federico Oriani e Marco Sampietro. 2008 Cattaneo. Op. cit. G. Campione, A. Fieri, Pittori a Lecco, Edizioni AGIELLE, 1973. Un colloquio con l’artista Fulvio Simoncini mi ha permesso di precisare e confermare la lettura dei dati raccolti con i sopraluoghi. G. Resinelli, La Rovinata. Storia a due voci della Via Crucis e del Santuario della Madonna Addolorata insieme con cronache varie di lecco e dintorni, Cattaneo, Oggiono 1994 Milani. Uniche fonti documentarie dell’artista le sue opere sempre firmate e rimaste nei cimiteri e la testimonianza dei nipoti che hanno collaborato con lui. Uniche fonti documentarie dell’artista Luigi Milani sono le sue opere sempre firmate e rimaste nei cimiteri e la testimonianza dei nipoti che hanno collaborato con lui. T. Rota, Celarsi per svelare. Le “maschere” di Alquati, nel catalogo della mostra a cura di T. Rota, Lecco 2003. Mi è stato particolarmente difficile ricostruire i frammenti della biografia dell’artista Aimone Modonesi e un campionario parziale delle sue opere. A. Chiappori, in La Provincia, domenica 19 novembre 2006. Archivio ANPI Lecco. Ringrazio Giancarla Pessina e Enrico Avagnina dell’Archivio ANPI di Lecco. La lapide in via Castagnera così recita: «Da questo stabilimento il 7 marzo 1944 24 operai furono strappati dai nazifascisti e trasportati in Germania. 12 di essi perirono nel famigerato campo di Mauthausen. Maestranze impiegati e direzione posero a ricordo, 7 marzo 1946». Due lettere del Segretario di Stato ai Lavori Pubblici Marte Ferrari, indirizzate a Augusto dell’Oro, FILLEA CGIL, il 21 luglio 1988 e il 26 agosto 1988 testimoniano le pressioni del sindacato per sollecitare l’impegno preso dall’ ANAS a realizzare la lapide commemorativa, fino a quelle date disatteso. Ringrazio Massimo Cannella per la documentazione fornitami.
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1. Si considerano in questo capitolo gli artisti che hanno a lungo lavorato a Lecco, sia nativi che adottivi del territorio, nel corso del 1900. La biografia esistente si limita ad alcuni articoli comparsi nel corso degli anni sui giornali locali e a qualche testimonianza. La ricerca si è basata sostanzialmente su sopraluoghi e sull’individuazione delle sculture e degli autori di cui si ricostruisce, spesso per la prima volta, un parziale profilo artistico. 2. In un articolo del 1938, a un anno dal trasferimento a Lecco dello scultore, G.B.Zaccaria riassume i successi e le opere di Mozzanica. su LECCO, Rivista di Cultura e Turismo, n. 3 maggio giugno 1938-XVI. [..] Ora più eloquenti di qualsiasi riconoscimento o elogio, a provare le possibilità e le forze di questo artista lombardo che vive e lavora a Lecco, bastino le sue opere principali che dimostrano una loro particolare “ragion d’essere” e una purezza di concetto e d’ esecuzione che ci riporta ai più fulgidi periodi della statuaria ellenica.Ecco “Nudo virile” che alla Biennale di Brera 1924 ottenne il premio Tantardini, e “Aurora” un grande nudo muliebre (1925) che tante discussioni appassionate accese e che fu tenuto in ottima considerazione per il premio Principe Umberto. Ecco “Bagnante sorpresa” accolta con entusiasmo nella prima Quadriennale romana, e il monumento ai caduti di Melegnano, vasta e complessa concezione tradotta con rara maestria. E nello stadio Mussolini egli è presente con “Calciatore” e “Canottiere”: e nelle Biennali Veneziane con “Invocazione” e “Testa di bimbo” e molte altre opere, il suo nome figura con distinzione raccogliendo larga messe di lodi dalla critica più severa.[.. ]. Questo artista appena diplomato seppe meritarsi il premio braidense Bozzi - Caimi. [..]. L’autore probabilmente si riferisce ai premi Bossi, Tantardini, Fumagalli (Piccolo bagnante convalescente). 3. La scultura della tomba Colombo è pubblicata in T. Rota, Cimitero Monumentale di Lecco, Un museo a cielo aperto, con al altre due opere (tomba Galvani 1959, tomba Dellera 1937), dove in copertina accoglie e invita alla visita, icona simbolo di una riscoperta della scultura cimiteriale. (4) L. Caramel, La riscoperta di Giuseppe Mozzanica, in Giuseppe Mozzanica 1892-1983 La Scultura, Silvana Editoriale, Milano 2007. 4. L. Caramel, La riscoperta di Giuseppe Mozzanica, in Giuseppe Mozzanica 1892-1983 La Scultura, Silvana Editoriale, Milano 2007.
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5 A RTISTI CONTEMPORANEI
Negli ultimi decenni del 1900 e nei primi anni di questo nuovo millennio, compaiono nelle piazze, nei giardini e nei cimiteri le prime e coraggiose proposte di privati e, pi첫 raramente, di istituzioni pubbliche, che si rivolgono alle sperimentazioni non figurative di artisti contemporanei. Sono le prime esperienze pilota a porre la scultura contemporanea in rapporto con il paesaggio, nelle sue valenze naturalistiche e antropologiche.
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egli ultimi decenni del novecento e nei primi anni di questo nuovo millennio, compaiono nelle piazze, nei giardini e nei cimiteri le prime e coraggiose proposte di privati e, più raramente, di istituzioni pubbliche, che si rivolgono alle sperimentazioni non figurative di artisti contemporanei. Si tratta di una scultura non più legata al concetto di monumento che per secoli ne ha suggerito le forme e idealizzato la funzione, una scultura che è scesa dal piedistallo e si è liberata dal ruolo di rappresentazione commemorativa che la tradizione le aveva assegnato ed è passata dallo spazio simbolico e contemplativo della memoria allo spazio reale e comportamentale dello spettatore. Con tecniche, forme, materiali sempre nuovi la scultura ha allargato il suo campo d’azione e, da oggetto tridimensionale racchiuso in sé stesso, si è estesa nel tempo e nello spazio diventando installazione, performance, azione per confrontarsi e spesso confondersi, con l’ambiente, l’architettura, la natura circostanti. Non solo il bronzo ed il marmo, la cera persa e lo scalpello, ma anche materiali umili e deperibili della contemporaneità come il ferro, l’acciaio, il cemento, la plastica tagliati, saldati, assemblati, montati in strutture aperte a volte mobili, quasi sempre astratte. La materia, la forma, le dimensioni delle opere dialogano con la luce, le nuvole, il sole, il vento, il fuoco e immobili o dinamiche richiamano gli elementi della natura come protagonisti imprescindibili nella vita degli uomini. Inserite nel paesaggio urbano o collegate alle architetture, ambientate nel paesaggio rurale o nei giardini della memoria, propongono una riflessione sullo spazio, sui materiali, sul tempo e sull’intervento umano nel paesaggio, alla ricerca di un difficile raccordo tra passato e futuro.
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Lydia Silvestri Chiuro (So)
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o incontrato la scultrice Lydia Silvestri1 nella sua casa sul lago a Mandello, il suo studio originario pian piano trasformato in intima e affascinante residenza estiva, arrivando inaspettata e calorosamente accolta alla fine di un pomeriggio di agosto trascorso tra musica e arte nel santuario di Santa Maria Nascente a Debbio, al di là della strada. Subito abbiamo parlato delle donne a partire dall’immagine devozionale della Madonna del latte qui realizzata nel 1441 e, risalendo alle archeologiche mater matute da cui è affascinata ed attratta nella attuale progettualità creativa, mi ha raccontato delle Dee, Sante, Peccatrici ed Eroine di ogni tempo che sono state per lei “leva e pretesto di studio, stimolo ma anche ricerca di pensiero, di forma e di materiali. Sempre vittima della loro seduzione, da ogni ricerca ne è scaturita una mia “Storia” dove l’ambiguità dei fatti mi concedeva libertà d’interpretazione, di soluzioni e immagini intercambiabili e diverse che, materializzandosi in momenti distinti, in ordine di tempo sono: I Torsi (pietre e marmi); gli Ex Voto (pietre e marmi); i Sogni (vetro e cristalli); Storie d’amore della Bibbia (bronzi e legni); Storia di Salomè (bronzi); Gli Incontri (semigres e terrecotte); Storia di Arianna e il Minotauro (magma); Le Ambiguità (lapis)”. Valtellinese, nata a Chiuro (Sondrio), vive e lavora a Milano dove dal 1985 ha insegnato scultura a Brera, felice di ritornare nell’aula che l’aveva vista allieva di Marino Marini e di essere una ventata di scompiglio “come una faina nel pollaio”. Spesso in giro per il mondo, dove l’ha portata il suo lavoro di scultrice e di docente2, per buona parte dell’anno nello studio di Milano, ha sempre mantenuto un legame con il lago di Lecco scegliendo fin dagli esordi questo scenario di specchi e profili per pensare e creare. Qui affacciato sull’acqua, uno splendido torso femminile She, 1971, bronzo, si svolge e inarcandosi con profonda curvatura, compete con il profilo dei monti sull’altra sponda. Si sente la spinta delle gambe rimaste in un piedistallo celato dall’edera: imprimono uno slancio rotatorio alle forme morbide e poderose che si generano dalla forte tensione ascensionale.
Sotto: Lydia Silvestri, Torso of N. N., 1980, marmo. Nelle pagine precedenti: Lydia Silvestri, She, 1971, bronzo, Mandello del Lario, dalla sponda e dal lago.
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Lydia Silvestri, Monumento ai Caduti di Cortenova, 1977, bronzo, Cortenova.
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Una linea astratta indugia sull’anatomia di Lei, scava profondi golfi, espone rotondità esasperate, sconvolge l’unità della visione in un gioco di ambiguità e, come una spirale senza fine, attrae nel calmo vortice carico di promesse. Questo corpo di donna pur così riconoscibile è pura forma in divenire: un’idea tangibile nella scultura “di concentrazione” di Lydia Silvestri3. La sua gemella a Hong Kong nella hall del Sheraton Hotel ruota lentamente su un perno mobile emergendo da una base specchiante. Qui, sul nostro lago si offre ai naviganti come le sculture e le facciate delle antiche ville, pensate per essere ammirate dall’acqua. Chi si reca in barca alla Madonna di Debbio nel giorno della sua festa l’8 settembre, può scorge sulla destra, nel giardino della scultrice offerto come approdo, questa laica immagine votiva. Una Polena, la mitica figura che sulla prua delle navi affrontava i venti, le onde e le tempeste quasi trascinando l’imbarcazione nel mare aperto e verso i lidi è divenuta il simbolo della Federcasalinghe e una fontana recentemente collocata nei giardini dell’Humanitas a Milano. Un Torso in marmo, donato dalle Ferriere Cima nel 1997 ai Musei Civici di Lecco è esposto a Villa Manzoni nella sala di Arte Contemporanea della Pinacoteca4. Qui l’ambiguità accentuata provocatoriamente identifica l’ingam esposto nei templi cambogiani con il ventre generoso delle veneri primitive entrambi omaggio alla fertilità. Maschile e femminile sintetizzati in un erotismo felice, propiziatorio, liberatorio esprimono efficacemente il concetto di ambiguità intesa “come una verità dilatata, suscettibile di interpretazioni diverse”. L’ambiguità come indagine e conoscenza delle forme, delle figure, dei rapporti è il titolo di una serie di importanti opere degli anni Novanta realizzate in materiali innovativi composti di inerti e resine palatal o ipossidiche in cui la Silvestri sperimenta nuove possibilità cromatiche e luministiche. Il bronzo Ambiguità 3, 1993 è collocato all’ingresso del Giardino della scultura di Palazzo Sertoli a Sondrio, Credito Valtellinese, e accanto a Bifrontale di Pietro Consagra, marmo 1998, sembra vegliare La Dormiente o Il sonno di Arturo Martini, bronzo 1931, la Donna tartaruga di Novello Finotti, bronzo 1994 e Le Repos di Agustin Cardenas, bronzo 1974-19975.
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Il motivo del nodo, del nastro funebre presente nella scultura funeraria come elemento simbolico e decorativo diviene figura di incontro nella plastica del bronzo e del granito delle tombe realizzate dalla scultrice a Lecco e a Mandello. Tomba della famiglia Licini, cimitero di Maggianico (Lc), 1991, ghiandone; Tomba Respigo-Mancini nel cimitero di Maggiana (Mandello del Lario) Il filo che già nelle Storie della Bibbia, nella Storia di Salomè degli anni Settanta costruiva plasticamente i legami e i vincoli è un protagonista nel percorso Arianna e il Minotauro progettato e realizzato nel 1989 per corso Vittorio Emanuele a Milano6. In Questo è il filo del tuo ritorno, (magma 1989) una delle opere, che raccontano la sua lettura al femminile del mito, i due capi si muovono sinuosi e ondulati dal nodo che li genera o si incontrano e legano da diverse provenienze. Così nella tomba di Maggiana il movimento vitale del bronzo, quasi forma organica generato dalla nuda terra, si stringe in un legame che va oltre la morte. Il granito ghiandone di Maggianico si svolge nella prospettiva frontale come un ordinato nastro dal rotolo originario per torcersi in un ricciolo finale, citazione di architettoniche volute decorative, mentre la visione laterale rivela la spaccatura centrale che diventa punto di incontro, sintesi di due percorsi autonomi. A segnare il legame forte della memoria che tiene, un macro moschettone in bronzo poggiato su granito per il Monumento ai Caduti di Cortenova (Valsassina), 1977: alpini sulle montagne di guerra e di pace. Nel 1968 aveva già realizzato una scultura in bronzo di 5 m di altezza per il Monumento ai Caduti di Livigno (SO). Nel 2006 una sua mostra a Bellano nell’ex Cotonificio Cantoni promossa dal Comune di Bellano e dall’Associazione Noi Collezionisti, la prima nella provincia di Lecco dopo le innumerevoli in Italia e all’estero.
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Lydia Silvestri, 1991, ghiandone, tomba Licini, Lecco, Cimitero di Maggianico. Lydia Silvestri, 1988, bronzo, tomba Respigo-Mancini, Mandello del LarioMaggiana, Cimitero.
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Arnaldo Pomodoro Pesaro 1926
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Arnaldo Pomodoro, 1971 ca., bronzo, tomba Giacomo Anghileri, Malgrate, Cimitero, assieme e particolare.
a scultura in bronzo di Arnaldo Pomodoro7 sulla tomba Giacomo Anghileri, nel Cimitero di Malgrate, datata 1971 è l’unica opera esposta all’aperto nel lecchese dello scultore marchigiano che, trasferitosi con la famiglia a Milano nel 1954, sceglie questa città come luogo privilegiato della sua ricerca artistica. A Milano, il suo studio è a fianco della darsena di Porta Ticinese, realizza i primi gioielli ricavati dall’osso di seppia e i rilievi in cui emerge quella singolarissima “scrittura” vera novità in scultura; qui ancora passa al tuttotondo ed elabora i progetti delle numerose opere monumentali che hanno trovato collocazione negli spazi pubblici di tante città in Italia e nel mondo. Sempre a Milano nel 2005 dà vita alla Fondazione Arnaldo Pomodoro ed apre un nuovo Museo per la città nella antica fabbrica di turbine Riva & Calzoni splendidamente recuperata come spazio espositivo e laboratorio di ricerca sulla scultura contemporanea. Una scultura del fratello Giò Pomodoro (Orciano 1930-Milano 2006), che ha condiviso con Arnaldo la frequentazione delle avanguardie, le prime esperienze di oreficeria e la grande passione per la scultura, è conservata nella Galleria dei Musei Civici, Villa Manzoni, Dioscuro, marmo nero, tuttotondo. L’opera di Malgrate si colloca nel decennio in cui l’artista comincia a realizzare imponenti volumi, sfere, cubi, parallelepipedi, dalle forme perfette, dalle superfici specchianti ma interiormente spaccate, corrose, indagate da una scrittura che attinge ad un alfabeto misterioso (è del 1966 la prima sfera di tre metri e mezzo di diametro per l’Expo di Montreal, poi esposta a Roma di fronte alla Farnesina). Un parallelepipedo troncato nella parte superiore e lacerato da una spaccatura che mette a nudo i meccanismi e le articolazioni di un’interiorità complessa, rivela le stratificazioni dei segni che il tempo ha scritto indelebilmente per una possibile decodificazione. Un’ inedita colonna spezzata, così cara alla simbologia funeraria per testimoniare la vita stroncata prematuramente, con una forte suggestione antropomorfica pur attraverso il linguaggio dell’astrazione. Il contrasto cromatico
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tra la superficie intatta delle facce in bronzo dorato lucido, capace di catturare la luce e rispecchiare l’ambiente circostante e creare un forte coinvolgimento dello spettatore, e il bronzo brunito della spaccatura, simile ad una roccia sedimentaria, spinge ad una lettura intrigante del rapporto interno-esterno. La corrosione interna cosÏ perfettamente ordinata in segni, lungi dal rimandare a decadente decomposizione, rivela una ricchezza ed una fertilità tutta da scoprire come le impronte fossili nella roccia spaccata o i chicchi ridenti della melagrana. Il simbolo nel contesto funerario assume cosÏ tutta la sua funzione salvifica e consolatoria della memoria.
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Carmelo Cappello Ragusa 1912 - Milano 1996
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Carmelo Cappello, anni Sessanta, bronzo tomba Schiatti, Bellano, Cimitero.
armelo Cappello8 è artista siciliano che, dalla sua prima formazione a Comiso nel 1928, risale la penisola e, dopo un anno nello studio di Ettore Colla a Roma, approda a Milano ai corsi serali del Castello Sforzesco e ai corsi di Marino Marini a Monza. Milano resta la base per le sue frequentazioni, per le sue partecipazioni nazionali e internazionali e per i suoi riferimenti artistici9. Nel cimitero di Bellano una sua scultura spicca sulla tomba Schiatti collocata lungo il perimetro nord in felicissima sospensione sul paesaggio lacustre. L’opera si colloca nella maturità dell’artista, quando la sua produzione creativa si evolve verso un’astrazione concepita come forza dinamica che delinea volumi nello spazio. Il primo Cappello aveva esordito come scultore figurativo, erede della tradizione italiana, anche se in una dimensione di essenzialità della forma e con una vocazione finemente geometrica e sintetica. Negli anni Sessanta abbandona le chiuse forme plastiche della statuaria tradizionale per tentare una più libera e nuova indagine dello spazio e del movimento. Si allontana da ogni pur residua allusione a forme naturalistiche e la linea curva diviene la componente essenziale della sua espressione: non una linea di contorno, quindi subordinata ad una descrizione, ma un elemento dinamico autonomo, scansione timbrica di forme geometriche elementari. La linea curva legata nel cerchio o inarcata nell’ellissi si esprime in forme assolute espresse nel bronzo, ferro, acciaio, ottone e progressivamente si apre ad uno svolgimento, ad un’andatura sempre più dinamica e ascensionale. Questa scultura in bronzo si staglia contro il cielo oltre il lago e le montagne e disegna dinamiche trame, traiettorie di voli, percorsi verso l’infinito. Il cerchio chiuso al centro, oblò sul paesaggio, fulcro originario, forma, si apre e si sfrangia, si frammenta in uno slancio libero nello spazio e nel tempo, leggero ed ordinato come una danza che segue il suo ritmo; ogni superfluo è bruciato nelle linee dell’essenziale. Appena posata sul supporto marmoreo smussato e lucidato per richiamare l’acciaio, materia di tante sculture di Cappello, la scultura dialoga con l‘ambiente oltre il muro di recinzione. L’ambiente stesso e il luogo, spesso presenti nella progettualità di Cappello, interagiscono con la scultura che divide ed integra lo spazio. Passando di lì si avverte forte il richiamo ad affacciarsi e guardare oltre, dove la materia si scioglie nel paesaggio e turbinando diviene energia, pensiero, diviene altro.
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Giuseppe Spagnulo Grottaglie (Ta) 1936
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alla nativa Grottaglie dove manipola la ceramica, Spagnulo10 approda a Milano all’Accademia e, passando attraverso la terracotta, il gres, il legno, scopre il ferro che diventa il materiale privilegiato dei suoi interventi. Amico di Nanni Valentini, lavora negli studi di Arnaldo Pomodoro e Lucio Fontana e negli anni Settanta concepisce le sue installazioni con funzione sociale in ambiente urbano. I suoi grandi ferri sono soprattutto una riflessione sulla fisicità e sulla materialità del lavoro dello scultore. Nel 2002 una sua grande scultura Scogliere, formata da cinque grandi blocchi d’acciaio, è stata collocata nello spazio antistante il nuovo Teatro degli Arcimboldi, Milano-Bicocca. Nel giugno 2004 è fissato, nell’insolita Piazza Italia di Merate, un potente disco forgiato nel ferro (m 3,20 di diametro, t. 2 di peso): un punto fermo nel traffico del centro cittadino che lascia tuttavia immaginare tutte le potenzialità di movimento insite nella sua forma. Commissionata dall’Amministrazione comunale all’artista che ha avuto con Merate un rapporto privilegiato, avendo lavorato per 12 anni nella vecchia chiesa di Santa Marta divenuta suo studio, l’opera è stata forgiata dalla ditta Fomas in un unico pezzo, successivamente tagliato secondo una geometria verticale e orizzontale. I pezzi sono stati successivamente ricomposti lasciando sottili fessure da cui traspare la luce. Il ferro è ammorbidito dal fuoco del forno, modellato dalle presse, spostato dalle gru, tagliato da lame incandescenti sotto la progettualità e la guida costante dell’artista in una affascinante macroproduzione. Il progetto e il lavoro dell’uomo dominano gli elementi e danno loro forma, li ordinano nello spazio, trasformano la gravità in leggerezza, l’opacità in luce. Come il sole, Sole per Merate è il suo titolo, garantisce la sua luce e il suo calore ogni giorno e percorre tuttavia traiettorie spaziali nel gioco di svelarsi e nascondersi, così il disco fermo nel suo equilibrio precario è un ossimoro di pesante leggerezza, di dinamica fermezza, di spessa trasparenza. Tra le rare commissioni pubbliche ad un artista contemporaneo in provincia di Lecco, la scultura, pensata per quello spazio urbano, lo riqualifica esteticamente e propone con la sua imponente e gratuita presenza elementi di senso e di riflessione. Una versione di dimensioni ridotte della scultura è collocata nel piazzale antistante l’agenzia ABITARE, in via Statale a Merate.
Giuseppe Spagnulo, Sole per Merate, 2004, ferro, Merate, Piazza Italia. Giuseppe Spagnulo, ferro, Merate, via Statale.
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Pablo Atchugarry Montevideo (UY) 1954
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Pablo Atchugarry, 1986, marmo, tomba Solano, Lecco, Cimitero Monumentale. Pablo Atchugarry, marmo, Civate, Cimitero.
o scultore uruguaiano Pablo Atchugarry11 ha esordito nel 1978 a Lecco con una mostra di pittura alla Galleria Visconti dello scultore Romeo Pedroli e qui ha continuato a lavorare anche dopo aver scoperto la sua passione travolgente per il marmo di Carrara, materia che, in quasi trenta anni di attività, ha esplorato in tutte le sue rigide morbidezze. Le prime opere di figura riecheggiano la sua travolgente esperienza dei maestri del passato con cui si confronta: di questi anni la Pietà (1982) le cui vicende sono narrate nel capitolo 6. Rapidamente le sculture a tutto tondo si decantano e, dagli anni Novanta, l’artista si concentra sulla ricerca della luce attraverso la forma: come gli scalpellini delle grandi cattedrali gotiche, Atchugarry va cercando un modulo decorativo ascensionale, giocato in tutte le possibili varianti, che esprima senso attraverso la pura forma. La verticalità costante, spinta verso il cielo, declinata in fasci di pieghe dove si addensa la materia interrotta da vuoti, richiama, in modo evidente nelle 8 sculture di Sognando la pace esposte alla 50a Biennale di Venezia, la preghiera corale dei pinnacoli nelle architetture gotiche o surreali. Panneggi inamidati, acconciature pretenziose, ali ripiegate, strutture biomorfiche, fasci di verticali racchiuse in abbracci di linee morbide e sinuose per esaltare, attraverso la forma e la luce, una materia preziosa: il marmo in una ridotta gamma cromatica che va dal bianco, al rosa, al nero. Una forma di figurazione che decanta dalle forme della natura un mondo di strutture e linee che mantengono comunque uno status di parentela con il “senso”. La vasta gamma di panneggi della scultura di tutti i tempi (rigidi, verticali, mossi, sinuosi, dinamici, a volute, avvolgenti, intrecciati), anziché ricadere secondo la legge di gravità e ricondurre il soggetto ad uno spazio terrestre, viene rovesciata verso l’alto e proiettata nel cielo. A Lecco le sue opere sono presenti in collezioni private, in spazi pubblici, sulle tombe nei cimiteri cittadini o conservate nello splendido spazio espositivo che l’artista ha allestito nel vecchio nucleo di S. Giovanni in cui abita. Nel 2002 è stato inaugurato Il lavoro scolpito nel marmo, un totem alto complessivamente più di sette metri, collocato in Largo Caleotto e dedicato ai caduti e agli
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invalidi del lavoro. Quattro blocchi di marmo grigio “Bardiglio” della Garfagnana sorreggono il monolite in marmo bianco Bernini di Carrara scolpito interamente nello studio d’arte delle Cave Michelangelo a Carrara. Il marmo e l’astrazione per un monumento “commemorativo” che la tradizione del naturalismo mimetico ottocentesco aveva voluto prevalentemente in bronzo e figurativo, al centro di uno snodo di traffico, in competizione con le torri di Renzo Piano della Meridiana, in dialogo con le lontane creste del Resegone, per ricordare il prezzo pagato al progresso dal lavoro nella città “dei ferrascin”: questi i molti elementi di sfida che il monumento di Atchugarry ha raccolto. “[...]questa invenzione plastico-architettonica particolarmente severa e strutturata che modula in lieve ascesa fasci di vibranti lamelle che dopo essersi sostenute a vicenda nella spinta ascensionale si aprono a fiore in un empireo di trasparenze impalpabili, vuoti in sottrazione e spiragli di luce a un tempo”12, trascrive nel marmo, secondo Carlo Pirovano, la conformazione lirico-astrattiva dell’universo fantastico dell’artista e “[…] traccia un brogliaccio di significati estremamente ardui e per molti aspetti criptici proprio perché preliminarmente situati nell’ambito della suggestione emotiva e della trasfigurazione segnica simbolico-allusiva, assolutamente non descrittiva, rigorosamente sottratta a pretesti anedottici e illustrativi”. Tuttavia un’allusività simbolica alla solidarietà e al dolore si può cogliere nel ritmo
Pablo Atchugarry, 2000, marmo, tomba Rigamonti, Lecco-Rancio, Cimitero. Pablo Atchugarry, Il lavoro scolpito nel marmo, 2002, marmo, Lecco-Caleotto.
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Pablo Atchugarry, marmo, Valmadrera, Centro Fatebenefratelli. Pablo Atchugarry, marmo, Galbiate, Villa Vergano.
dei fasci di linee che si sostengono nell’ascensione, nelle cesure che si aprono come ferite “[…] questo flusso ascensionale si configura in più definita scansione disegnativa nell’incrocio dinamico dei due fasci che si originano dalla bipartizione a ponte della base, unendosi quindi a costruire un riparo ideale a tenda sopra cui si aprono con imprevista violenza tre fori che trapassano la massa scultoria come vere e proprie ferite: elementi volutamente disarmonici, freddi e meccanici rispetto al ritmo compositivo fluente, su cui è modulata nel complesso l’occupazione dello spazio da parte della materia marmorea”13. Sue sculture in provincia di Lecco sono: a Lecco nel giardino della biblioteca Pozzoli; nella sede della Provincia, Villa Locatelli; a Valmadrera al Centro Fatebenefratelli; a Olginate in via Don Gnocchi; a Civate all’ingresso del cimitero; a Villa Vergano (Galbiate) in piazza14. Nei cimiteri di Lecco: un fascio di elementi geometrici paralleli verticali, appena mossi come in un sipario chiuso nella tomba Solano, Monumentale, campo C605, 1986, Marmo di Carrara; una struttura astratta con panneggi e pieghe nella tomba Lamberti, Cimitero di Castello, campo D150, 1995, Marmo di Carrara, scultura a tutto tondo; forme aerodinamiche ed avvolgenti che aspirano al cielo nella tomba Rigamonti, Cimitero di Rancio, campo D68, 2000, Marmo di Carrara H 160. Nel cimitero di Onno una versione della Pietà per la famiglia Cademartori è protetta da una teca di cristallo.
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Scultori a Morterone
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al 1986, anno della prima mostra “Una ragione inquieta”, l’Associazione Culturale”Amici di Morterone”15 dà vita ad una esperienza d’avanguardia nel comune montano16. All’insegna delle visioni scientifico-filosofiche della poetica della Natura Naturans, autore Carlo Invernizzi, sono coinvolti pittori e scultori di respiro internazionale creando un centro di vita artistica che ne incarna lo spirito. Tale poetica della Natura Naturans esprime una visione il più possibile integrale dell’uomo e della sua situazione nel mondo, cioè l’uomo natura naturans si coglie in tensione quantica come concreta parte del divenire dell’universo esistente-vivente e il suo creare accade per incomprimibile necessità liberatoria e non per volontà. Morterone con la sua natura e i suoi spazi è luogo ideale per coltivare tali espressività creativa in sintonia con l’ambiente circostante. Qui, nel corso degli anni gli artisti espongono le loro opere in mostre temporanee negli spazi aperti e realizzano installazioni che dialogano stabilmente con il paesaggio e con le architetture rurali. In particolare la mostra Il museo degli artisti ha visto la collocazione tra le antiche case di sculture all’aperto che, ideate dagli artisti per questi luoghi, hanno dato vita ad una idea utopica di museo diffuso e proiettato in uno spazio aperto ad ogni possibilità e sviluppo. L’ultima mostra nel 200617 ha allargato gli interventi sulle facciate delle case e nei cortiletti, nei prati aperti e sui declivi erbosi potenziando la possibilità di “[…] vivere l’arte ad alta quota, nel piacere fisico e mentale che scaturisce dall’esperienza diretta del luogo, nella luce che risveglia i nervi e rigenera le tenebre con i suoi bagliori imprevedibili” […]18. La mostra dell’estate 2006 ha proposto opere di Gianni Asdrubali, Carlo Ciussi, Gianni Colombo,
Sopra: Nelio Sonego Angoarcoli, Orizzontale verticale, 2006, acrilico su alluminio, Morterone. Sotto, da sinistra: Pino Pinelli, Pittura R., 1997-98, ceramica semirefrattaria smaltata, Morterone. Bruno Querci, Forma spazio, 2006, acrilico su alluminio, Morterone.
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Igino Legnaghi, Pino Pinelli, Bruno Querci, Nelio Sonego, Mauro Staccioli, Grazia Varisco, Rudi Wach realizzate per l'occasione, integrate con l’ambiente e con le opere già esistenti. Passeggiando tra i dispersi nuclei di insediamenti, o al ritorno da un’escursione al Resegone ci si imbatte in insolite presenze che pongono interrogativi, stimolano curiosità, certo sorprendono anche l’escursionista più indifferente ai fenomeni d’arte contemporanea. In ogni angolo di questo abitato policentrico, meglio dire diffuso nella conca, si può fare un incontro casuale o, sulle tracce delle apparizioni, ci si può spingere alla scoperta dell’intero percorso di sculture all'aperto, di installazioni, di opere sui muri delle case. Il ferro di Igino Legnaghi Lettera agli amici: cara Monica,1972-86 sosta nel grande pascolo che sale verso il Resegone, dove transitano greggi. Nella salita verso la casa colorata dall’acrilico su plexiglas Zuscanne 2001 di Gianni Asdrubali (Tuscanica 1955), un duetto di Grazia Varisco (Milano 1937)19 Duetto. Tensioni sfasate 1989, acciaio corten, dialoga con il precario equilibrio del grande disco di Mauro Staccioli, Tondo Morterone 2006, ferrocemento. Poco più in là tra l’erba da taglio sboccia L’uccello con fiore, 1989, ferro, di Igino Legnagli, metafora della forma sospesa tra natura e artificio. Sulle pareti delle abitazioni i segni e le vivaci policromie delle opere bidimensionali di Bruno Querci (Prato 1956) Formaspazio, 2006, acrilico su alluminio, Nelio Sonego (Sion 1955) Angoarcoli 1994, acrilico su alluminio e Orizzontale verticale 2006, acrilico su alluminio, Pino Pinelli (Catania 1938), Pittura R. (1997-98) ceramica semirefrattaria smaltata, aggiungono quella nota vivace di colore acrilico alle cromie materiche delle sculture.
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Mauro Staccioli Volterra (Pi) 1937
Lavora a Milano, dove fin dagli anni Sessanta, si dedica alla scultura, elaborando le sue forme in stretto dialogo con la città e lo spazio urbano. Una ”scultura segno” che si pone in stretta relazione con il luogo per il quale e nel quale si realizza, fatta di forme essenziali pensate come “interventi” nell’ambiente rigorosamente studiato nelle sue variabili spazio-temporali, come questo disco di cemento “modellato” in una forma di ferro, così pesante e precario sul pendio come i massi che si staccano dalle rocce nella loro lenta trasformazione. La sua presenza in questo prato scosceso modifica certo la percezione abituale di chi attraversa il luogo.
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Igino Legnaghi Verona 1936
Esordisce intorno alla metà degli anni Sessanta con sculture in ferro smaltato e acciaio inox costituite da moduli geometrici dipinti con vernici industriali (giallo, rosso, nero), dove il colore ha un ruolo fondamentale. A partire dal 1978 il ferro diviene il suo materiale da costruzione: ferro reperito nel momento della sua demolizione, alla fine di un ciclo di utilizzazione industriale. Lamiere corrose ricavate da navi in disarmo, masse ferrose coperte da una ruggine dalla forza misteriosa si impongono col senso del proprio peso e della propria storia.
Carlo Ciussi Udine 1930
Di Carlo Ciussi20, contro la parete della Trattoria dei Cacciatori, Località Medalunga Ferro, 1986 opera esposta alla XLII Biennale di Venezia, tagliato con la fiamma ossidrica disegna linee di forza nello spazio con sinuose forme verticali, accoppiate, in parte sovrapposte, per una privilegiata visione frontale. Si sviluppa sulla geometria del quadrato, in una tensione di equilibrio modulata dalla luce il ferro Senza titolo, 2005 nel grande prato. I suoi totem mitici si muovono verso l’alto in uno sconfinamento infinito e caricano di misterioso senso i luoghi all’aperto che abitano, a Morterone e a Gibellina, in Sicilia nella valle del Belice.
Gianni Colombo Milano 1937 - Melzo (Mi) 1993
Nel 198821 realizza l’Architettura caco-goniometrica, 1984-1986, PVC, una delle sue rare opere permanenti all’aperto, già proposta alla XLI Biennale di
Sopra, dall’alto: Carlo Ciussi, Ferro, 1986, ferro, Morterone. Grazia Varisco, Duetto - Tensioni sfasate, 1989, acciaio corten, cm 300x100x100, Morterone. Courtesy Associazione Culturale Amici di Morterone.
Nella pagina precedente, in alto: Igino Legnagli, Lettera agli amici: cara Monica..., 1972-86, ferro, cm 180x200x200, Morterone. Courtesy Associazione Culturale Amici di Morterone.
Mauro Staccioli, Tondo Morterone, 2006, ferrocemento, e Gianni Asdrubali, Zuscanne, acrilico su plexiglas, 2001, Morterone. Nella pagina precedente, in basso: Carlo Ciussi, Ferro, 2005, ferro, Morterone
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Gianni Colombo, Architettura cacogoniometrica, 1984-88, PVC, cm 400x800x500, Morterone. Courtesy Associazione Culturale Amici di Morterone.
Venezia nel 1984 in cui allestisce una sala personale, è qui inserita nel percorso espositivo Il Museo degli artisti. Perfetti elementi architettonici verticali, (colonne, pilastri, archi in materiali vari) allineati, raggruppati, in sequenze, ignorando deliberatamente un ordine nella misurazione goniometrica degli angoli, definiscono uno spazio ambiguo, di precario equilibrio ed inquietante. A Morterone nove colonne, allineate lungo tre linee parallele sconvolgono le regole architettoniche piegandosi in diverse angolazioni e creano una piccola selva nel cortiletto su cui si affacciano antichi edifici alpestri in rovina. Perduta l’originaria funzione portante diventano un segnale forte che stimola un bisogno di intervento nello spettatore, pongono domande, richiedono risposte. Nel 1983 inaugura Il Monumento alla Resistenza Europea nei giardini del lungolago di Como, un complesso di percorsi e pagine incise che induce lo spettatore ad entrare nella parola testimoniata dai protagonisti delle varie nazionalità e a visitare le “reliquie” degli orrori dei campi di sterminio e delle bombe atomiche.
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Nell’estate del 1991 Morterone dedica una personale all’artista “L’automazione” a cura di Mauro Panzera che rivisita il suo percorso sperimentale nell’ambito delle ricerche di arte cinetica e programmata: dalle Strutturazioni pulsanti del 1959, superfici in polistirolo ripartite omogeneamente e dotate di movimento elettromeccanico, alle Strutture acentriche e Rotooptic, che creano forme e movimenti virtuali attraverso strutture cinetiche, agli spazi elastici degli anni Sessanta che affrontano il problema dell’ambiguità percettiva e del coinvolgimento interattivo del pubblico.
Rudi Wach Hall, Tirolo 1934
Lo scultore austriaco Rudi Wach che vive a Milano fin dalla sua frequentazione a Brera con Marino Marini, realizza nel 1988 l’Altare fiore nella chiesa dell’Assunta di Morterone, un monolite in pietra nera sedimentaria, lo stesso materiale della pavimentazione originaria, che l’artista ha progettato e scolpito come una mensa dalla forma cubica che si stempera nella curva e si assottiglia nei quattro steli portanti. Nel 2006 si aggiunge il Battistero in marmo bianco. All’esterno della stessa chiesa è ora collocata, come moderna stele, la Grande madre, 1972, i cui frammenti dalla definita forma geometrica sono custoditi, inglobati o forse generati nella materia informe del bronzo, come fossili in una roccia sedimentaria. I temi delle “Madri” e dei “Guardiani” sono fondamentali nella ricerca dello scultore fin dagli esordi. Nel nucleo di centro Wachter, 1996 un bronzo geometrico, levigato e verticale sembra controllare il passaggio e vegliare sull’abitato.
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Sopra: Rudi Wach, Grande madre, 1972, bronzo, Morterone. Sotto: Rudi Wach, Wachter, 1996, bronzo, Morterone.
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Shingu Susumu Osaka (JP) 1937
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Sopra: Shingu Susumu, Fiore d’acqua, 1999, acciaio, Lodi, Banca Popolare. Nella pagina successiva: Shingu Susumu, Dialogo con le nuvole, 1999, acciaio, Lecco-Caleotto.
ialogo con le nuvole, 1999, è il titolo dell’opera dell’artista giapponese Shingu Susumu23 sulla sommità delle torri al Centro Meridiana, Largo Caleotto: il complesso architettonico progettato da Renzo Piano a Lecco e realizzato dalla Colombo Costruzioni. Quattro grandi vele in acciaio si muovono aerodinamiche su perni mobili, eredi monumentali degli antichi segnavento di latta sui comignoli o sul colmo dei tetti. Qui un’ ingegneristica progettualità meccanica toglie peso alla materia che diventa docile all’energia del vento. Lo stesso vento che muove le nuvole nutre le composizioni di questo artista e le fa vivere: l’elemento naturale è la reale terza dimensione dell’opera e l’energia principale del vuoto immateriale. Visibili da qualsiasi punto della città divengono un riferimento monumentale che visualizza nel cielo l’energia di quei venti dai vari nomi e direzioni ben conosciuti dagli abitanti delle sponde lariane e che abitualmente muovono stormi di vele bianche e colorate sull’acqua. Le forze della natura che forniscono l’energia vitale alle creature dell’ecosistema, l’acqua e il vento, muovono le sue installazioni più conosciute, già realizzate in Italia, collegate agli interventi di Renzo Piano e collocate negli spazi pubblici sempre previsti nelle sue architetture complesse: al Lingotto di Torino (Locus of Rain), al Porto Antico di Genova (Columbus’ Wind, 1992), alla banca Popolare di Lodi (Fiore d’acqua 1999). Quest’ultima, una fontana i cui zampilli d’acqua muovono corolle di fiori d’acciaio, qualifica la piazza interna coperta dalla leggera e trasparente tensiostruttura in acciaio e vetro aperta come un grande ventaglio. Le stesse forze alimentano la vita in micro-ecosistemi come lo stagno, la cui vita dall’alba al tramonto Susumo descrive minutamente con una serie di tavole in una delle sue migliori creazioni: Chiisana ike (Lo stagno). Susumu specializzatosi in pittura ad olio all’Accademia di Belle Arti di Tokyo, trascorre sei anni a Roma negli anni Sessanta, dove approfondisce i suoi studi sul Rinascimento, confrontandosi con l’affresco, tecnica che predilige. I suoi lavori in questi anni vedono l’inserimento di materiali plastici nella superficie pittorica che conferiscono alle sue composizioni una certa tridimensionalità, primo approccio a quella che sarà la successiva passione per la scultura a carattere monumentale coniugata all’architettura. Nel 1966 ritorna in Giappone, dove il presidente dei
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cantieri navali di Osaka, incontrato a Roma, gli offre l’opportunità di sviluppare i suoi progetti con l’appoggio materiale e tecnico e la competenza di ingegneri qualificati. Il suo percorso espositivo, iniziato a Milano nel 1966 alla Galleria Blu con una mostra di sculture, si sviluppa in tutto il mondo. Fedele alla sua cultura attenta alla natura e alla filosofia orientale, Susumo ha incontrato in Italia la ricerca plastica internazionale che in quegli anni rifletteva sui rapporti materia-cittàambiente. La sua esperienza nella Roma degli anni Sessanta, dove prende vita un’officina di idee, innovazioni e indagini dedicate ai nuovi materiali e al superamento della pittura e della scultura in senso tradizionale ha lasciato una profonda eredità anche nella sua arte. 153
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Alberto Ghinzani Valle Lomellina (Pv) 1939
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ltri hanno realizzato monumentali porte e cancelli per segnare l’ingresso a un luogo. Alberto Ghinzani24 apre una finestra lungo un percorso viario che conduce ad Imbersago, proprio al centro di una rotonda spartitraffico, presso la Madonna del Bosco. Oltre (2004) è il significativo titolo di questa struttura in ferro e cemento bianco che con i suoi 6 metri di altezza per 3 di base si pone come moderna pietra miliare per scandire il viaggio del frettoloso automobilista. “ [...]apre una finestra su uno spazio aperto, inquadra, cioè, una strada che prosegue verso l’orizzonte. E la si inquadra precisamente dentro la sagoma ritagliata di cemento bianco e di metallo. Il viaggiatore troverà così una sorta di indicazione di percorso, se guarderà nel vuoto centrale dell’opera, mentre si soffermerà sulle “pieghe”interne di questo lavoro che si apre come un soffietto, lasciando scorgere al proprio interno il rilievo di un bianco che può essere di neve o di tela, se si pensa ad una vela pronta a prendere il largo col favore di qualche vento”25. Così sostiene Ermanno Krumm presentando, il 2 ottobre 2004, l’opera di Ghinzani. L’idea e la proposta della “Galleria Mari artecontemporanea”26, al Comune di Imbersago è, per ora, la prima ed unica concretizzazione di un progetto più ampio di costituzione di un museo all'aperto della scultura che la galleria aveva in animo di realizzare27. Ghinzani, allievo a Brera di Marino Marini, ha fin dagli esordi orientato la sua ricerca plastica ed esistenziale alla sperimentazione di nuovi materiali
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e ad un rapporto costante con lo spazio reale, coniugando una sapienza tecnica di radice informale, materica a ritmi compositivi e cromatici della grande tradizione astratta. Dai paesaggi degli anni settanta (Pianura, 1974, Stele, 1974, Paesaggio che brucia, 1975) alle vere e proprie evocazioni d’ambiente degli anni novanta (Una stanza, 1997, Frammenti dell’abitare, 2001, Casa d’inverno, 2002), resine, ferri, lamiere e cemento sono materia da lacerare, tagliare, modellare, comporre per “[..] determinare l’encadrement (inquadramento spaziale e cornice) le cui minime e sottilmente distoniche movenze stabiliscono lo spazio, il luogo: l’angolo, la parete, in sentore di pavimento, dapprima; poi griglie, strutture di un postminimalism affrontato senza complessi e senza remore [..]28” Ecco strutture metalliche che contengono candidi muri, ergersi verticalmente, attraversate da una luce protagonista che evidenzia le cromie dei materiali, le superfici distese o aggrumate: forse speranza di dimora o indicazione di percorso, certo soglia nella sua valenza esistenziale di luogo dell’aspirazione, del superamento, del dubbio, della precarietà. Docente a Brera, Ghinzani è direttore della Permanente di Milano.
Alberto Ghinzani, Oltre, 2004, ferro e cemento, Imbersago.
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Scultori contemporanei alla Galleria Comunale d’Arte, Villa Manzoni Artisti contemporanei
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ella sala dedicata ai contemporanei della Galleria Comunale d’Arte si possono ammirare alcune sculture che, in scala maggiore, potrebbero anche dimorare all’aperto se fosse disponibile una adeguata collocazione negli esterni di Villa Manzoni, in un possibile giardino della scultura. La raccolta è iniziata nel 1991 con le acquisizioni dei Musei Civici di opere di artisti contemporanei, grazie alla illuminata iniziativa di “Città di Lecco per l’Arte” che ha visto la sponsorizzazione di imprenditori lecchesi e la disponibilità degli artisti29. Il progetto della Direzione dei Musei Civici e dell’artista Tino Stefanoni di creare una collezione pubblica di arte contemporanea incrementabile e destinata a spazi e “status” diversi è riproposto nel 1994 con nuove opere, ma purtroppo non ha sviluppo negli anni successivi. Alle tre sculture di Alik Cavaliere, Giancarlo Sangregorio, Giò Pomodoro, si sono poi aggiunte alcune donazioni. Le due opere di Alik Cavaliere (Roma 1926-Milano 1998) e Giancarlo Sangregorio (Milano 1925), testimoniano i diversi esiti di linguaggio nella ricerca di due artisti legati da una lunga amicizia, nata ai tempi di Brera, con Marino Marini e Manzu negli anni Quaranta. Il racconto di Cavaliere, 1965-66, bronzo, narra di una natura “più reale del reale stesso”: un piccolo bosco di elementi vegetali riprodotti nel bronzo attraverso calchi naturalistici non estranei alla fortuna italiana della pop art ma con forte valenza esistenziale. Il groviglio di rovi che imprigiona fiori e frutti crea uno spazio interiore e anticipa le sculture “paesaggio” e le scenografie ipertrofiche degli anni successivi in cui si esaspera il disagio esistenziale. Il Ciclope di Sangregorio, 1973, legno e marmo, individua, attraverso accenni, i protagonisti dell’episodio omerico, (Polifemo, Ulisse e il caprone) e testimonia un ritorno alla figurazione pur attraverso un linguaggio informale. Le materie diverse, legno e marmo, accostate e intrecciate si sviluppano in nodi e articolazioni di forza vitalistica accentuata dalle diverse cromie e dal trattamento differenziato delle superfici.
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Ancora il mito nel Modello per Dioscuro di Giò Pomodoro (Orciano Pesaro 1930-Milano 2002), un modello in marmo nero che anticipa i grandi bronzi degli anni Settanta, dove levigati e lineari volumi si coniugano alle morbide curve delle sue “Superfici in tensione”. Il giovane eroe (Castore o Polluce?) nella mitologia sempre accompagnato dal gemello è qui, forse metafora di vicende biografiche, chiuso nella sua solitudine composta e “riflette” luce sulla levigatissima superficie nera. Donato nel 1997 dalle Ferriere Cima il Torso of N.N.,1980, marmo di Lydia Silvestri, fa parte di una sequenza di falli, evidente omaggio alla fertilità, ammirati dalla scultrice lungo i viali di un tempio in Cambogia e gioca provocatoriamente sul tema dell’ambiguità. La scultrice bergamasca Dolores Previtali30 che vive e lavora a Robbiate (Lecco) ha donato la sua opera Figure, nel 2005 in occasione di una sua personale a Villa Manzoni. Sono figure in cammino le sue terrecotte strette in fasci, saldate da cesure di materia che prolifera su ferite, si piegano al vento o resistono. Volti seriali e anonimi raccontano un dolore ed una fatica universale. Accanto ai classici materiali della scultura, il bronzo, il marmo, la terracotta il materiale povero e naturale, tavole di legno grezzo, nella Finestra con squadra, 1967, (Donazione Lions Club Lecco 1995) di Mario Ceroli (Castelfrentano 1938) per porre l'accento sull'elemento primario, sul senso emergente delle cose reali, sul valore simbolico dell'opera, sul gesto fondante dell’artista. Una finestra contenitore si apre e chiude gli strumenti antichi del disegnare. Di Lucio Ceroli Da Ur dei Caldei,1988, bronzo, donato nel 1999 dall’Associazione Les Cultures. Residuati di metallo e tessuto saldati e modellati, nell’Elettra, 2003 donata nel 2006 da Mauro Benatti.
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Musei Civici, Villa Manzoni, Fototeca, (foto G. Giudici): Sopra, da sinistra: Dolores Previtali, Figure, 2003, terracotta. Mario Ceroli, Finestra con squadra, 1967, legno. Giancarlo Sangregorio, Ciclope, 1973, legno e marmo. Nella pagina precedente: Alik Cavaliere, Racconto, 1965-66, bronzo. Giò Pomodoro, Modello per Dioscuro, anni Settanta, marmo nero belga.
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1. L. Silvestri bibliografia: G. Greco 1955; G. Ballo 1959; M. Calvesi 1964; M. Valsecchi 1965; R. Sanesi 1974; M.N. Varga 1976; G. Godi 1981; E. Fezzi 1983; T. Trini 1990; Alena Mikulik Lydia Silvestri tesi di laurea Accademia di Brera, Moneta Editore, Milano 1986. 2. La scultrice Lydia Silvestri ha soggiornato lunghi periodi all’estero per esposizioni e realizzazioni di opere pubbliche e private in collaborazione con i più noti architetti a Hong Kong, U.S.A., Giappone, Giacarta, Sumatra, Singapore, Kartum, Lagos, Campala, Inghilterra, Damasco, Jedda, Buenos Aires; ha insegnato scultura alla Bath Academy of Art in Inghilterra negli anni 195354 e 1963-64; ha partecipato a importanti rassegne nazionali e internazionali (Biennale di Venezia 1956, 1960; Quadriennale di Roma 1956; The Art council of Great Britain Londra 1966; Biennale di scultura di Alessandria, 1967, di Carrara 1969, di Campione d’Italia 1975-77, di Monza 1980; XXIX Biennale d’Arte al Palazzo della Permanente a Milano 1984, XVII Triennale di Milano 1985. 3. Marco Valsecchi, Lydia Silvestri Ex voto, catalogo della mostra, Milano, 1965. “Non è una scultura di polpastrello, è tutto all’opposto una scultura di concentrazione, perché Lydia Silvestri pur partendo da un dato naturale, tende a raggiungere una “figura ideale” tutta tesa nelle sue poderose tensioni di energia”. 4. Una serie di articoli sulla stampa locale per la donazione ai Musei Civici di Lecco del Torso, in: Il Giornale di Lecco (24-21997); La Provincia (9-4-1997); Gazzetta di Lecco e Provincia (11-4-1997). 5. Lydia Silvestri. Il giardino delle ambiguità, Catalogo della mostra alla Galleria Gruppo Credito Valtellinese, Milano,1998. 6. Percorso della scultura LYDIA SILVESTRI, Arianna e il Minotauro, Corso Vittorio Emanuele Milano, 1989. Il racconto,140 fra elementi strutturali, impronte e sculture, pensato in stretta connessione con l’architettura, gli arredi urbani, gli spazi vissuti e ripartito in nove episodi è attualmente ricostruito a Livigno, purtroppo non in modo integrale. 7. A. Pomodoro bibliografia: Pomodoro, F. Leonetti L’arte lunga, Feltrinelli, Milano 1992; Hunter, S., (a cura di) Arnaldo Pomodoro, Fabbri, Milano 1995; Fondazione Arnaldo Pomodoro, (a cura di) Scritti critici per Arnaldo Pomodoro e opere dell’artista (1955-2000), Lupetti, Milano. 8. C. Cappello bibliografia Le prime Mono-
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grafie di R. Giolli, 1944, Domus e di D. Formaggio, 1952, Milano. Cfr. le pubblicazioni più recenti: E. Crispolti Immaginazione Aurea, Ancona 2001; L. Caramel, La scultura lingua viva, Aqui Terme, 2002; C. Gianferrari, Anni 50, Palazzo Reale, 2002, Milano; F. Gualdoni, Carmelo Cappello: Sculture, Palazzo Besta,Teglio,2006. Nel 1941 consolida l'amicizia con Gio Ponti (1891-1979), con cui manterrà una lunga collaborazione. Dal 1940 prende parte a varie edizioni della Biennale di Venezia, della Quadriennale di Roma e della Triennale di Milano. Nel 1959 è invitato a Documenta 2 di Kassel. I suoi riferimenti artistici internazionali sono Henry Moore (1898- 1986), Costantin Brancusi (1876-1957), Anton Pevsner (1886-1962) e Nam Gabo (18901977). La sua città natale , Ragusa ospita la Civica raccolta Cappello, inaugurata nel 1994 e frutto di una sua donazione di opere nel 1955. G. Spagnulo bibliografia: Sole per Merate, Giuseppe Spagnulo, Intervista di Sara Fontana, Merate 2004; F. Gualdoni, Giuseppe Spagnulo: opere 1964-1984, Panini Bologna, 1984; Giuseppe Spagnulo, catalogo della mostra Palazzo Reale, Milano, Mudima-Mazzotta, Milano 1997; Giuseppe Spagnulo, Alchimie del fuoco. Opere 1986-2002, a cura di S. Pegoraro, catalogo della mostra, Castelbasso, Skira, Milano 1992. Atchugarry bibliografia: La Pietà di Pablo Atchugarry, Lecco, 1983; R. De Grada, Milano 1988; L. Caramel Venezia 2003; Sogni e Segni su carta,,Varenna, 2004; Till-Holger Borchet e V. Campagni, Bruges 2006; C. Pirovano, Lecco 2002; C. Pirovano, Valmadrera 2007; L. M. Barbero, Londra 2008. C. Pirovano, Atchugarry, in monumento alla civiltà e cultura del lavoro lecchese, Lecco 2002, pp. 39,40. Ibidem, p. 40. Alcune di queste sculture in spazi aperti presentano un certo degrado dovuto all’accumulo della polvere, agli effetti dell’inquinamento ma anche ad una mancata manutenzione attraverso un adeguato lavaggio annuale. Sulla poetica della Natura Naturans confronta Carlo Invernizzi, La poetica della Natura Naturans, e Rudi Wach La casa dell’acqua La fontana dei fontanili, 1998, Associazione Culturale Nuova Vignate, e Carlo Invernizzi, Natura Naturans, a cura di Claudio Cerritelli, 2002 Scheiwiller Milano.
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Morterone: Sull’esperienza di Morterone confronta le pubblicazioni a cura dell’Associazione Culturale “Amici di Morterone”: Una ragione inquieta, 1986, Il principio della trasparenza, 1987, Il museo degli artisti, 1988 e Mario Nigro,1989 a cura di G. Accame; La chiesa di Morterone e l’altare fiore di Rudi Wach, 1988, L. Erba, Gianni Asdrubali, 1990, a cura di Cerritelli; La pelle dell’arte: riflessioni sulla superficie, 1990 a cura di L. Mango,1990; Premio Dalmine “ frammenti di una storia”, 1991, L. Erba; Dadamaino, a cura di F. Tedeschi, 1998; Morterone natura e arte. Interventi all’aperto, catalogo della mostra, Morterone 2006. Nella catalogo della mostra Morterone natura e arte. Interventi all’aperto, Morterone, 2006, con prefazione di U. Brivio Presidente della Provincia di Lecco, Epicarmo e Sostene Invernizzi, figli di Carlo così riassumono l’esperienza dell’Associazione Culturale Amici di Molterone. “L'idea di creare il Museo d'Arte Contemporanea all'Aperto di Morterone è nata metà degli anni ‘80 con l'intento di fare concretamente rivivere Morterone sulle proprie radici anche creativamente abbellendone il territorio con opere d'arte per renderlo, nel rispetto della sua incontaminatezza, all'insegna delle visioni scientifico-filosofiche della poetica della "Natura Naturans", un autentico segnale poetico per poter così essere un concreto punto di riferimento culturale propugnante una moralità conoscitiva e comportamentale in apertura di una più ampia comune coscienza non insensibile anche alla necessità di salvaguardare l'ambiente nella sua vivibilità in un'epoca in cui il medesimo viene profondamente trasformato dall'operare dell'uomo stesso.” SEGNO Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea anno XXXII n. 209 pag. 46-47 dal testo di Francesca Pola nel catalogo della Mostra Morterone 2006. C. Cerritelli, Verso un Museo Naturans, nel catalogo della mostra, Morterone 2006. G. Varisco Due mostre dell’artista a Lecco, alla Galleria Melesi, nel 1994 e nel 2000 Grazia Varisco e Terrecotte africane. C. Ciussi bibliografia: C.Cerritelli, Doppiamente, catalogo della mostra a Pordenone, ex Convento di S.Francesco, 1990; W. Guadagnini, Carlo Ciussi Armonie percorso, catalogo della mostra, Skira, Milano 1997; G.M. Accame, Carlo Ciussi: la pittura come urgenza ed emozione 1947-1997, catalogo della mostra, Charta, Milano, 1997.
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21. Di Gianni Colombo, oltre le innumerevoli mostre in Italia e all’estero riportate nelle note bibliografiche del catalogo citato, Morterone 2006, segnalo la mostra alla galleria Giuli a Lecco nel 1975. 22. Wach bibliografia:L. Erba L’altare di Rudi Wach, la sua storia, il suo valore artistico, 1988; Rudi Wach, Le piazze di Morterone ‘33 disegni-visione’ Palazzo Municipale Morterone, 1989; Rudi Wach Sculture e disegni 1956-2000 Musei Civici Villa Manzoni, Lecco 2000. 23. Susumo bibliografia: Harry N. Abrams realizza nel 1973 la prima monografia dedicata all’artista; Rudolf Arnheim in The Moving Art of Susumu Schingu evidenzia I rapporti tra filosofia orientale e concetto di natura dei giapponesi.; F.Irace, G. Basilico Trasparenza e prospettiva. Renzo Piano a Lodi, Bolis, Azzano San Paolo BG 2004, pag. 33, 37, 73-75, 79. 24. A. Ghinzani bibliografia: L. Caramel, Milano,1997; F. Gualdoni, Milano 2002; E. Krumm, Imbersago, 2004; F, Arensi,, Cinisello Balsamo, 2004. 25. E. Krumm, Dalle pieghe interne al dispiegarsi di un soffietto. Breve discorso sullo spazio scultoreo di Alberto Ghinzani, Mari Artecontemporanea, Imbersago, 2004. 26. L'associazione Vera Brianza patrocina l'iniziativa dell'opera di Ghinzani e promuove in seguito una conferenza su "arte e arredo urbano" con i relatori Mario Botta, Alberto Ghinzani e Tommaso Cascella. In quella occasione viene incaricato lo scultore Tommaso Cascella dello studio di un progetto di fattibilità per la rotonda di Monticello. Lo scultore realizza un bozzetto che viene presentato alla cena sociale dell'associazione presso il ristorante di Pierino Penati nel Natale del 2005. L’iniziativa non ha sviluppi positivi anzi il bozzetto realizzato, in custodia nella sede di Vera Brianza, è sparito. E' in corso una causa tra lo scultore e Vera Brianza. 27. Il gallerista Aldo Mari, che ringrazio per la sua disponibilità; si augura che la neonata Fondazione Granata - Brughieri, che ha iniziato una costruttiva collaborazione con il Comune di Imbersago, faccia proprio il progetto e possa in futuro portarlo a compimento. La sensibilità dell’amministrazione comunale di Imbersago nei confronti dell’arte si esprime da anni nella promozione del Premio Morlotti e nella qualificazione dello spazio urbano con significativi arredi scultorei. (capitolo IV). 28. F. Gualdoni, Ghinzani, Una lettura, opere 1970-2002, Catalogo della mostra di Vi-
gevano, De Agostani Rizzoli, 2002, p.13; 29. Città di Lecco per l’arte, catalogo, 1991, Villa Manzoni,Lecco; Città di Lecco per l’arte, seconda edizione, catalogo, 1994,
Villa Manzoni, Lecco. 30. C.Bellati (a cura di), Dolores Previtali, catalogo della mostra, 2005, Villa Manzoni, Lecco.
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6 S TORIE DI MIGRAZIONI
La scultura in marmo e in bronzo è destinata fin dall’antichità a sfidare il tempo, ad essere imperitura memoria della bellezza, del mito, della storia. Questo non ha impedito che le sculture migrassero, fossero fuse, diventassero frammenti. Anche alcune sculture monumentali che hanno preso forma nell’ultimo secolo del secondo Millennio a Lecco e per Lecco non si sono sottratte al mutare del gusto o del clima politico.
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L Storie di migrazioni
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a scultura in marmo e in bronzo è destinata fin dall’antichità a sfidare il tempo, ad essere imperitura memoria della bellezza, del mito, della storia. Le sue caratteristiche materiche la rendono quasi incorruttibile, il suo peso quasi inamovibile: un bronzo è per sempre, la scultura è pesante. Peso, stabilità, durata sembrano essere impliciti nella definizione di scultura. Bisognerà aspettare il XX secolo perché le fragili e leggere sculture di Fausto Melotti, i dinamici ed aerei Mobiles di Calder, gli effimeri assemblaggi di tanti autori del 1900 sconvolgessero e allargassero l’idea di scultura. L’avverbio “quasi”, è d’obbligo visto che è noto come, nel corso dei secoli, il mutare del gusto, le esigenze belliche o economiche hanno spinto alla fusione dei bronzi classici, di cui rimangono a volte copie marmoree. La pesantezza poi non ha impedito che opere colossali migrassero nel Mediterraneo e a volte naufragassero nelle sue profondità dove, per la nostra felicità, si sono conservate, così che possiamo ancora ammirare lo splendore dei Bronzi di Riace. I marmi spezzati, sepolti, riusati, corrosi, ma ritrovati hanno comunque conservato il fascino misterioso del frammento che sa parlarci della bellezza del tutto. Anche alcune sculture monumentali che hanno preso forma nell’ultimo secolo del secondo Millennio a Lecco e per Lecco non si sono sottratte al destino di migrare da un luogo all’altro alla ricerca di una stabile dimora, quasi bagagli ingombranti, presenze scomode, oggetti fuori moda. A qualcuna, poi, le più sfortunate, è toccato di tornare materia nel forno fusorio. Ecco alcune storie lecchesi.
Nella pagina precedente: Antonio Bezzola, Antonio Ghislanzoni, 1893, bronzo, Lecco Lungolago. A destra, dall’alto: Romeo Lainati, Antonio Ghislanzoni, copia del busto di A. Ghislanzoni di A. Bezzola, Lecco, Piazza Garibaldi. Ettore Cogliati, Antonio Ghislanzoni, 1894, marmo, Caprino Bergamasco.
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Un busto scomodo l’Antonio Ghislanzoni di Antonio Bezzola
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a migrazione tocca in sorte al busto dello scrittore Antonio Ghisalnzoni1, destinato ad errare per la città fino ad approdare, discreto, in una aiuola del lungolago. Evidentemente quando i personaggi risultano scomodi al potere di turno non si esita ad eliminarli o perlomeno ad esiliarli anche quando la loro effige è proposta da artisti di peso la cui opera qualifica una città non certo ridondante di opere d’arte. Il lecchese Antonio Ghislanzoni (Lecco 1824-Caprino 1893), figlio del dottore fisico Giovanni Battista, è sicuramente il promotore culturale che catalizza le energie della scapigliatura lombarda in questo angolo del Lario. Divenuto famoso per aver prestato i suoi versi all’Aida di Giuseppe Verdi, vanta una intensa attività come giornalista e critico letterario su molti importanti giornali e riviste ed è autore di numerosi racconti umoristici e surreali e di romanzi. Nel 1865 fonda la Rivista minima di scienze lettere ed arti di cui è proprietario e redattore responsabile, tanto che è costretto a cedere la casa paterna all’albergatore Davide a Maggianico per pagare i costi tipografici. Dal 1877 al 1879 si stampa a Lecco il Giornale Capriccio totalmente redatto dal Ghislanzoni; si tratta di una pubblicazione tipicamente “scapigliata” volta soprattutto alla musica e alla letteratura. Verso il 1880 Ghislanzoni si ritira in esilio a Caprino dove non rinuncia ad istituire un nuovo giornale per scrivere liberamente ciò che pensa: si tratta della Posta di Caprino2 che sottotitola “giornale epistolario”, pubblicato dal tipografo Rota di Lecco su materiali forniti a mezzo posta da Ghislanzoni, che esce dal 1890 al 1892. In uno degli ultimi numeri di questo epistolario si legge di un ennesimo attacco di bronchite, la malattia che gli aveva impedito di continuare una promettente carriera di baritono e che lo conduce alla morte. I lecchesi rendono degne onoranze al concittadino illustre. Da Caprino, la salma è trasportata a Lecco e tumulata nella cappella centrale del cimitero. “Quattro mesi dopo - e precisamente il 19 novembre 1893 - è inaugurato sul piazzale della stazione il suo monumento. Nello stesso giorno si scopre anche la lapide sulla casa nativa. L’anno dopo, a Caprino, viene eretto l’altro monumento al poeta: il busto dello scultore lecchese Cogliati che “[..] contrariamente a quello di Lecco, dovuto al Bezzola - riuscì somigliantissimo. Domenica scorsa si è ricordato a Caprino il cen-
Ritratto di Antonio Ghislanzoni, 1893, Fototeca Musei Civici-Lecco (F IX 1B).
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Lecco, Stazione ferroviaria, 1925, cartolina, Fototeca Musei Civici-Lecco (CXI 4°).
tenario della nascita. [..] 28-29 novembre 1924”. Così scrive Uberto Pozzoli, nel centenario della nascita d’Antonio Ghislanzoni ricordando le onoranze tributate a Lecco e Caprino3. Di diverso parere, a proposito della somiglianza nei ritratti scultorei del poeta è A.G.G. nel suo articolo sul Prealpino del 1902. “Si confronti il busto del Ghislanzoni del Bezzola sul piazzale della stazione, col busto dello stesso Ghislanzoni del Cogliati all’ingresso del paese di Caprino. Il Bezzola in quella bellissima opera d’arte che non ottiene effetto per infelicissimo collocamento, ci dà il Ghislanzoni nel fiore della virilità, nell’epoca dei suoi migliori lavori; il Cogliati invece ci dà Ghislanzoni vecchio, roso dagli anni, quando le fattezze avevano perduto quasi le linee primitive. Nessun dubbio che il Ghislanzoni del Cogliati sia somigliantissimo; ma io preferisco quello del Bezzola, per quanto non abbia conosciuto il Ghislanzoni in gioventù”4. Il noto scultore Antonio Bezzola (Campione d’Italia 1846-Milano1929) che ha frequentato l’Accademia di Brera sotto la guida di Francesco Hayez e di Pietro Magni e le cui opere più significative sono conservate nella Galleria d’Arte Moderna e al Cimitero Monumentale di Milano, realizza nel 1893 il ritratto dello scrittore5. Il tocco scapigliato del modellato ben si addice a rendere la personalità poliedrica, trasgressiva e antiaccademica del personaggio. Un grande cappello a tesa larga incornicia il volto assorto di un uomo maturo, dove la piega della bocca suggerisce una vena di ironia. Il mantello appoggiato sulle spalle si apre sul panciotto abbottonato, mosso dalle pieghe che forse suggeriscono una postura seduta e richiamano un momento informale della vita del poeta. Ci sembra di vederlo a figura intera, seduto ad un tavolino intento ad osservare i suoi concittadini e a pensare i suoi Capricci, la sua Posta e i suoi racconti surreali tanto è viva la sua presenza. Come non pensare ad Antonio Pessoa ripreso nel bronzo ben più tardi, che si confonde tra gli altri avventori nella piazza di Lisbona? Collocato su di un piedistallo di sienite della Balma Biella, dapprima in piazza della stazione poi nei depositi a Palazzo Belgioioso, è ora nei giardini del lungolago. Una copia in marmo realizzata da Lainati è ora nel cortile di piazza Garibaldi: si narra che fu realizzata per sostituirla al bronzo e sottrarlo così al destino della fusione.
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Lascio alla spassosa narrazione in versi dialettali della Ghislanzoneide 6 di Uberto Pozzoli il racconto delle vicissitudini del busto del “pòr Togn Ghislanzoni”, e le considerazioni sull’atteggiamento dei lecchesi rispetto ai robb del passaa e alla loro idea di progresso. [..] Quatter mès j en stàa assee per fa ‘l boeust cunt un bell pedestall delicàa; el scùltùr, benchè ‘l foeuss de bon goeust, in del famm el el ritratt l’ha sbagliàa: me che seri ‘l pueta di schers el m’ha fàa cunt ‘na facia d’invèrs! Poeu ‘n bell dè m’han piantàa soeu in stazion cunt in gir un tuchèll de giardin, e m’han fàa ‘na gran festa, del bon!
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… Ma l’è inùtil crià - temp tra via l’è pioeu ‘l temp di suspir sott ai piant; i Lecchès pian pianin spàzzen via toeutt i robb del passaa: tant e tant -disen lùr- cuse cùntel adèss el pòr Togn Ghislanzon cu’l prugrèss? E difatti ‘na brùtta giornada m’an tacaa per el coll e ‘na groeu: un culpett de cadèna tirada -o lecchès fèmen pioeu fèmen pioeu! … E poeu dopo cargaa soeu ‘n carètt M’han menaa dasi dasi a Castèll; me speravi che almenu un tuchètt d’una piazza avèssen faa bèll per piantamm ancamò soeul tripee che custava ai mè amis tant danee. Gnanch per sogn! In mùseo, in canton m’han metùù propri in terra [..]
Il 20 novembre del 1913 si scopre una lapide dedicata al poeta nell’atrio del Teatro della Società con epigrafe del Bertacchi che così recita: ANTONIO GHISLANZONI / POETA DI RARA VENA / A PIÙ DI UN ISPIRATO MAESTRO / FORNIVA IL DRAMMA E LE STROFE / E VERSEGGIANDO L’AIDA / ACCOMPAGNAVA IL SUO NOME / AL NOME IMMENSO DI VERDI7.
Monumento ad Antonio Ghislanzoni, 1895, Fototeca Musei Civici-Lecco (F VI 1A ).
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Due volte Mario Cermenati
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a fusione è stato l’amaro destino del monumento che i lecchesi avevano dedicato all’illustre scienziato, uomo politico loro concittadino Mario Cermenati, (15 ottobre 1868 Lecco - 8 ottobre 1924) Si erano rivolti ad un brillante ed affermato scultore palermitano, attivo a Roma, Mario Rutelli (1859-1943 Palermo)8 che, nello stesso anno in cui realizzava il ritratto di Cermenati, inaugurava nella capitale un capolavoro del liberty: la Fontana delle Naiadi in piazza Esedra. Il Cermenati di Rutelli, ritratto in piedi mentre parla al pubblico e gesticola animatamente, era l’uomo politico radicale protagonista di tante battaglie, il grande comunicatore più che lo studioso di scienze. Il piedistallo roccioso, rimasto immutato, su cui si ergeva nella piazza ora a lui dedicata, testimonia dei suoi studi naturalistici e del grande amore per le sue montagne come recita l’ epigrafe di Giovanni Bertacchi.
Ritratto di Mario Cermenati, Fototeca Musei Civici-Lecco, (C XI 14 C).
“MARIO CERMENATI / L’AMORE DELLA GRANDE NATURA / FECONDÒ IN CULTO DI SCIENZA. / I LIBERI ITALICI SPIRITI / LEGISLATORE, PATRIOTA ESALTÒ. /L’APERTO SENSO DELLA VITA / TRADUSSE IN AFFETTI GENEROSI. / DEGNO DI VIVERE PERENNE / NEL BRONZO, NEGLI INTELLETTI, NEI CUORI. 1868-1924
Il poeta chiavennasco Giovanni Bertacchi (1869-1942), che ha lasciato nel lecchese numerose epigrafi commemorative, la più famosa sul monumento Torri Tarelli alla Malpensata, riassume poeticamente le molteplici anime dell’illustre lecchese che, dai precoci interessi scientifici giovanili incoraggiati dall’abate Stoppani, divenne nel 1902 docente a Roma di Storia delle scienze naturali e pubblicò numerosi scritti scientifici. Alpinista e alpino fu Presidente del CAI di Lecco dal 1889 fino alla morte. Numerosi gli scritti e i discorsi sul tema dell’alpinismo. Alla passione per la scienza e le sue montagne, agli studi su Leonardo e la geologia seppe coniugare una forte passione politica che lo portò a vivaci battaglie nella lotta politica locale e nazionale. Uomo politico democratico liberale fu più volte candidato alle politiche. Nel 1909 è eletto con 5000 suffragi, nel 1913 con 8000 suffragi. Nel 1919 capolista. Nel 1921 lotta per il blocco nazionale.
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La sua vivace storia politica può forse spiegare il motivo della collocazione nella piazza, prima Del Grano, poi Cesare Battisti, attualmente Cermenati, con le spalle voltate alla Canonica e alla Basilica di S Nicolò e spiegare come mai, per disposizione del governo fascista durante la II Guerra Mondiale, fu rimossa e fusa per ricavarne metallo da donare alla patria. La stessa fine fece il leone di Michele Vedani, del monumento ai Caduti di Barzio9. Del monumento di Rutelli rimangono foto d’epoca e una piccola traccia bruna nel dipinto di Breviglieri, 1937, conservato nella Pinacoteca dei Musei Civici, che rappresenta un’insolita veduta dall’alto della piazza e del lungolago. Nel 1945 una nuova statua, questa volta in marmo bianco, è commissionata allo scultore Francesco Modena (Verona 1882-1960) che già aveva realizzato importanti monumenti funebri al Cimitero Monumentale. Il radicale democratico ritorna sull’originario piedistallo roccioso, omaggio alla passione scientifica e alpinistica per la montagna, guarda davanti a sé e custodisce preziosi tomi che sono, tecnicamente e simbolicamente, il suo supporto. Con il recente rifacimento della piazza, all’elegante recinzione in ferro battuto, si è aggiunto uno specchio d’acqua.
Mario Rutelli, Monumento a Mario Cermenati, bronzo, Collezione A. Milani. Francesco Modena, Monumento a Mario Cermenati, 1945, marmo, Lecco, Piazza Cermenati.
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L’angelo che non è tornato di Giuseppe Mozzanica
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Giuseppe Mozzanica, Tomba Menager, 1945, marmo e bronzo, Lecco Monumentale.
l Monumento Alessandrina Menager fu commissionato dalla stessa allo scultore Mozzanica e collocato al Cimitero Monumentale di Lecco nel 1945. Il gruppo scultoreo era costituito da una grande roccia in granito, poggiante su di una stele marmorea con le iscrizioni e i ritratti dei defunti. Un angelo in volo, collocato nella parte sommitale della roccia, si rivolgeva ad una dolente inginocchiata nel giardinetto antistante alla stele. La grandiosità dell’insieme ne faceva un punto di riferimento qualificante del cimitero; la qualità artistica della composizione, del modellato, della resa del movimento attraverso la gestualità e i panneggi mossi costituiva un esempio unico tra le numerose sculture dello stesso autore presenti nel cimitero; l’uso di differenti materiali e tecniche (la fusione in bronzo della dolente, la scultura in marmo dell’angelo, la roccia che richiamava le montagne circostanti) ne faceva un significativo esemplare di scultura classica polimaterica; il significato simbolico dell’annuncio dell’angelo alla figura di giovane donna inginocchiata in preghiera esprimeva la importante funzione consolatoria, per chi resta, della tomba come luogo di “corrispondenza d’amorosi sensi” così come si era sviluppata nella scultura funeraria dalla seconda metà dell’800 in poi. Nel 1993 allo scadere della concessione, come da regolamento cimiteriale, in mancanza di riutilizzo da parte della famiglia, il monumento è stato rimosso “in economia”, inevitabilmente danneggiato e “riposto”nei pressi del cimitero di Castello. Questo nonostante interventi, anche sulla stampa locale, che premevano per la sua salvaguardia. La grande roccia distrutta, superstite la scultura in bronzo e l’“angelone” con l’ala spezzata. I pezzi, conservati nei depositi comunali del Cimitero di Castello. La documentazione fotografica di ciò che era stato e dei frammenti in cui era stato ridotto fu il punto di partenza di una campagna per la salvaguardia del patrimonio scultoreo dei cimiteri di Lecco condotta dalla scrivente con l’Associazione Amici dei Musei. Un progetto di restauro e ripristino del monumento al Cimitero Monumentale dal suggestivo titolo “Il ritorno dell’Angelo”, quale segno tangibile di svolta nella consapevolezza e tutela del patrimonio artistico e storico della città, non trovò sostegno concreto.
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Nel frattempo, esattamente il 3 novembre del 2006 ignoti si sono appropriati, con un altro bassorilievo di Mozzanica, della dolente in bronzo, per cui aveva posato la giovane Isabella Pozzi sfidando i rimproveri del padre. Il gesso conservato a Merate nella gipsoteca della famiglia Mozzanica ci mostra la giovane china, priva dei panneggi, in costume da bagno, testimonianza della modalità classica rigorosamente seguita dallo scultore, che prevede la definizione del modello anatomico, il nudo, prima dell’aggiunta di abiti o panneggi. Il furto ha reso così inattuabile il progetto di restauro e ricollocazione al Monumentale di questo monumento simbolo dell’incuria e incomprensione che purtroppo ha caratterizzato negli ultimi decenni l’atteggiamento di Lecco nei confronti dell’arte funeraria. L‘angelo che col suo volo dinamico è veramente un’eccezione nell’iconografia della scultura cimiteriale, è ancora lì a terra: gli hanno spezzato le ali. Se potesse riprendere il volo forse vedrebbe dove è finita la giovane dolcissima che inginocchiata alzava il capo fiduciosa verso di lui. Splendido esempio di ritratto come erano sempre le figure di Mozzanica, intatta, pesante come può essere il bronzo, con un considerevole valore di mercato, oltre che di indiscusso valore artistico la immaginiamo migrata in altri privati giardini della memoria. Da parte nostra confidiamo in un ritrovamento del nucleo dei Carabinieri a cui il furto è stato denunciato e a cui ho fornito la documentazione fotografica.
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Giuseppe Mozzanica, Tomba Menager, particolari rimossi, 2003, bronzo e marmo. Giuseppe Mozzanica, Modello di dolente, 1944 ca, gesso, Gipsoteca G. Mozzanica, Merate.
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La Pietà rifiutata di Pablo Atchugarry
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l giovane artista uruguaiano Pablo Atchugarry approda un po’ per caso a Lecco e qui esordisce proprio nella galleria-laboratorio dello scultore Romeo Pedroli che lo invita, nel 1978, ad esporre le proprie opere. Disegni, oli, piccole sculture in cemento, non c’è ancora traccia della materia d’elezione che caratterizzerà tutta la sua produzione di scultore: il marmo. Qui avviene l’incontro con don Marino Colombo che da quel momento sostiene con grande convinzione e fiducia l’opera di Pablo. “Ha recuperato la staffetta che è sempre stata sostenuta da mio padre, da mia madre e anche dai miei fratelli.[..] Lui l’ha raccolta e ha continuato a portarla avanti [..] Quindi è stato ed è un sostegno senza limiti al mio lavoro”10. Queste le parole dello scultore nella conversazione con Valeria Campagni, FRAMMENTI DI VITA, nel catalogo della sua grande mostra a Bruges10. Lecco, con i suoi ritmi forti e serrati, diviene la città del destino per il giovane sudamericano, qui lo stimolo del suo appassionato sostenitore lo induce ad affrontare il marmo di Carrara: la materia del mito, del grande Michelangelo. Nel 1982 si sente maturo per affrontare un omaggio alla scultura rinascimentale e sceglie il tema della pietà “[..] propormi per una scultura con il tema che ha accompagnato Michelangelo tutta la vita, per me era uno specie di omaggio che gli tributavo[..] Con la Pietà ero consapevole che si sarebbe realizzato, per me, un nuovo ed unico percorso artistico”11. Dopo un’ accurata ricerca del blocco statuario a Carrara, dodici tonnellate candide e luminose, inizia la lavorazione presso i marmisti Rusconi con la sponsorizzazione affettuosa dell’industriale Lino Cademartori. Il modello iconografico è la Pietà giovanile di Michelangelo, scolpita attorno a 1499 che si trova in S. Pietro, col tema del Cristo sdraiato in grembo a Maria. Il gruppo michelangiolesco ha tuttavia ben poco delle disarmoniche e tragiche pietà nordiche a cui si ispira. Il suo schema triangolare rimanda armonia, unità, perfezione. La bellezza dei personaggi, l’estrema raffinatezza della lavorazione levigatissima porta ad un processo di idealizzazione, al di sopra della realtà umana. La Pietà di Atchugarry è sproporzionata, disarticolata, ridotta a struttura essenziale per esprimere il dramma di un dolore che deforma, un dramma prima
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di tutto umano di una madre che guarda il corpo rigido del figlio ridotto a simulacro. “[..]Atchugarry ha tradotto il geniale linguaggio artistico del celebre Maestro rinascimentale in una propria lingua, portata dal Sudamerica e che combina elementi formali del post-costruttivismo con elementi percorsi da una carica spirituale derivata dall’interesse dell’artista per le antiche civiltà primitive americane.” * Certo il suo arcaismo rivisitato attraverso il linguaggio geometrizzante di Torrres Garcia, il fondatore della scuola costruttivista in Uruguay, è più vicino alla drammaticità delle arcaiche pietà nordiche a cui aveva guardato Michelangelo”12.
Pablo Atchugarry, Pietà, 1982, marmo, Museo Pablo Atchugarry, Lecco. 171 Storie di migrazioni
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Catalogo della mostra a Villa Manzoni, 1983. Pablo Atchugarry, Pietà, 1982, marmo, nella originaria collocazione, 1983, Lecco, Basilica di S.Nicolò.
Questa Pietà rimase nella basilica di S. Nicolò per dieci anni e poi fu inspiegabilmente estromessa. “[..] Un grandissimo dolore che ho provato, che mi ha fatto pensare di non legarmi eccessivamente al territorio in cui stavo vivendo, è stato quando hanno tolto la Pietà dalla Basilica di S. Nicolò a Lecco, dove era collocata da 10 anni. È stata una decisione di poche persone, non contestata dalla maggioranza silenziosa. Non ho sentito nessuno che abbia spezzato una lancia in mio favore per chiedere o dire pubblicamente “come mai?” Questa Pietà, probabilmente, non rappresentava l’iconografia classica della Madonna. La grande sofferenza che traspare all’opera, questa madre addolorata, quasi disperata, non può essere segno di devozione per i tradizionalisti. Il dolore fa parte della vita, c’è, ma si cerca di evitarlo, di nasconderlo e quando qualcuno, attraverso un’opera d’arte lo evidenzia, va in controtendenza, creando momenti di incomprensione”13. Eppure Mons. Spirito Colombo, Conservatore dei Musei e delle opere d’arte della diocesi di Milano così si era espresso quando l’opera fu presentata a Villa Manzoni nell’aprile del 1983. “È una scultura quella di Pablo Atchugarry ridotta al midollo, alla sostanza, dove un dinamismo, che nasce dal di dentro, fa emergere solo quello che è pura forma, non disgiunta anzi incarnata nella idea, nel concetto, che dà alla scarna forma la sua forza di scultura profondamente drammatica e sacra. L’artista affonda le sue radici in David Al faro Siqueiros, in Orozco, e forse direttamente nella tragica sconvolgente pittura di Ruffino Tamayo, drammatizzata al limite in una voluta scarnificazione delle forme. La Pietà dell’Atchugarry è scioccante; non concede nulla all’estetismo: è una scultura che ci coinvolge nel dramma umano e sacro attraverso forme insolite alla nostra sensibilità. […]14”. Ora è possibile vederla nell’atelier dell’artista, a S. Giovanni, trasformato dal 1999 in spazio museale anche per “[…] accogliere la Pietà, questa opera che mi ha legato al territorio, a Michelangelo […] e per la quale avevo trascorso una parte molto importane della mia vita”10.
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NOTE sia tra lago e monti, Lecco 2002, pp.50-57. 6. A. Ruggiero, Commemorazioni in Lecco di Antonio Ghislanzoni, in Archivi di Lecco, VI,(1983), 1, pp. 173-182. 7. M. Rutelli bibliografia: B. De Gubernatis 1899; Fleres 1899; De Gubernatis 1906; Callari 1909; Rouches 1927b; Corna 1930; Sapori 1932, Vigezzi 1932; Torchiani 1936; Nicodemi e Bezzola 1938; Riccoboni 1942; Bessoni Aurelij 1947; Sapori 1949; Lavagnino 1961; Pirovano 1968; Caramel e Pirovano 1975; Rheims 1978; De Micheli 1982 a; Il liberty italiano 1981; Palermo 1981; Boscaglia e Ghio 1982; Massorbio 1982; Roma capitale 1984 a; Parrichi 1984; La scultura italiana 1985; Porzio 1986; Rizzo e Sirchia 1986; Solmi 1986; Porzio 1986; Carli 1990; Panzetta 1990 a; Cardilli Combedola Napolitano 1991; Panzetta 1991 b; Pirovano 1991; De Micheli 1992; Fergonzi e Roberto 1992; Mackay 1992; Rizzo e Sirchia 1992; Trombadori, Rivosecchi e Selvaggi 1993; Ginex e Selvafolta 2003.
8. Cfr M. Bainioni I rituali del fascismo: la controversa eredità del Risorgimento. Feste nazionali e Rituali civili. Convegno internazionale di Studi. “27-29 maggio 2004 Facoltà di Scienze Politiche. Viterbo. In corso di stampa. 9. V. Campagni, Frammenti di vita. Conversazione con Pablo Atchugarry nel catalogo della mostra a Bruges. Pablo Atchugarry, 2006, Bruges, Groerninge Museum p. 50. 10. Ibidem, p 124. 11. Cfr. Tra il materiale e lo spirituale, tra il passato e il presente, Till-Holger Borchert, in op. cit. Pablo Atchugarry. 2006 p 11-13. 12. Ibidem, p 125. 13. Op.cit, V. Campagni, Frammenti di vita, 2006, p 124. 14. S. Colombo, in La Pietà di Pablo Atchugarry, catalogo della mostra a Villa Manzoni Lecco, 12-15 aprile 1983, con brevi interventi di G. Boscagli, Don M. Colombo, B. Bianchi, L. Rosci, L. Bausero, Don G. Angiolini, P. Atchugarry.
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1. A. Bezzola bibliografia: Vigezzi 1932; Nicodemi e Bezzola 1938; Tranquillo 1938; Bessone Aurelij 1947; Sapori 1949; Dizionario biografico 1960; Lavagnino 1961; Il Duomo 1973; Tonelli e Rossi 1986; Panzetta 1990 a; Pirovano 1991. 2. Nel 2004 l’Associazione Culturale “Fucina Ghislanzoni” fondata a Caprino Bergamasco nel 1993 ha pubblicato la ristampa integrale dell’ultimo periodico scritto e diretto da Ghislanzoni La posta di Caprino Giornale di Antonio Ghislanzoni 18901892, 2004, Fucina Ghislanzoni, Caprino Bergamasco, III (1929), 7,166-167. 3. a.g.g. Fra le tombe, Il Prealpino, Lecco, 13 novembre 1902. 4. Nel 1898 lo scultore vive a Londra dove realizza diversi busti secondo il gusto impressionista scapigliato di G. Grandi. Sue opere sono nei musei di Londra, Dresda, New York. Opere alla Galleria d’Arte Moderna di Milano: L’uguaglianza, L’Idolo 1909; Il Fato 1915. 5. Uberto Pozzoli. La Ghislanzoneide in Poe-
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7 T EMI ICONOGRAFICI
I cimiteri oltre ad essere repertori insostituibili della scultura degli ultimi due secoli, sono anche formidabili riassunti della storia di un territorio. Questi luoghi delle nostre memorie private e pubbliche sono uno specchio curioso del gusto e dei costumi dei diversi ceti sociali, di come cambiano nelle diverse epoche, nei vari luoghi. I temi iconografici piÚ frequenti, dal ritratto al lavoro, dalla maternità all’infanzia, dal paesaggio alle architetture raccontano storie di vita.
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La ricostruzione del paesaggio naturale
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e le cappelle sono spesso la miniaturizzazione di architetture religiose o civili, le tombe si inscrivono in giardini delimitati da bordure e recinzioni. In alcuni casi questi piccoli e privati giardini si propongono come ricostruzione di uno specifico paesaggio naturale con riferimenti antropici; in altri i tratti salienti dell’ambiente sono riprodotti nel bronzo e nel marmo. Nella tomba Uberto Pozzoli1, poeta dialettale, giornalista e animatore culturale, morto a soli 29 anni e a cui è dedicata la Biblioteca comunale di Lecco, Monumentale, campo E501, 1930, “IL PADRE, LA MADRE, LA SPOSA, I FIGLI AL LORO DOLCISSIMO” vogliono ricordare con un semplice masso di travertino, in cui è incisa una croce, le montagne che nella sua breve e intensa vita ha amato. “[..] Il Resegon dent in d’un vèl, e i munt de Valmadrera j en viola [..]De ché del lagh i cimm del San Marti [..]el munt a-Bar el par un bel bambocc [..] dalla sua poesia Magg in valada.
La vegetazione e il campaniletto portalumini contribuiscono a ricreare quel paesaggio All’ombra del Resegone, titolo della rivista mensile in cui pubblicò le sue poesie ora scherzose e scanzonate di impronta scapigliata, ora liriche intimiste intrise di profonda spiritualità2. Un’altra giovane poetessa è ricordata a Pasturo in un grande spazio monumentale fatto di rocce e arbusti che diventa il giardino del cimitero. Si tratta di Antonia Pozzi, la giovane poetessa milanese, nata nel 1912 e morta suicida nel 1938, che riposa a Pasturo, luogo d’elezione delle sue meditazioni. È qui tra le montagne che ama esplorare, che trova un rifugio sicuro dove le sue ansie esistenziali diventano poesia; è qui che matura la sua vena poetica. Sopra, dall’alto: Tomba di Uberto Pozzoli, 1930, travertino, Lecco, Cimitero Monumentale. Tomba di Padre Augusto Gianola, 1990, legno e smalto, Lecco, Cimitero di Laorca. Nella pagina precedente: Luigi Supino, Madonna della maternità, 1935, pietra serena, Lecco, Ospedale Manzoni.
“Giungere qui - tu lo vedi - / dopo un qualunque dolore/ è veramente / tornare al nido, trovare / le ginocchia materne, / appoggiarvi la fronte / mentre le rocce, in alto, / sui grandi libri rosei del tramonto leggono ai boschi e alle case / le parole della pace [..]. dalla sua poesia Ritorno Serale 3.
Un maestoso e dolce Cristo seduto, che ricorda la giovane nei lineamenti del volto, opera dello scultore Giannino Castiglioni, rappresenta il Discorso della montagna e continua ad invitare alla contemplazione e al rispetto di quella natura in cui An-
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tonia amava immergersi e che, nella sua accezione umana stava dentro di lei, come in ciascuno di noi e chiede di essere amorevolmente coltivata. Spesso si incontrano nei cimiteri nudi blocchi di granito sulle tombe degli alpinisti, degli escursionisti o di chi ha tanto amato le sue montagne: ricordano nelle loro asperità le pareti rocciose scalate o il profili del Corno Medale e del Resegone. Ed è proprio il paesaggio lecchese, tra lago e monti, ad essere rappresentato per la prima volta da Romeo Lainati (Milano 1875-1939), tomba Corti, Monumentale, campo F 159, 1935, marmo di Carrara. Il rilievo stiacciato descrive il nucleo di case affacciate sulla sponda del lago, caratterizzate dal tipico campanile della basilica ed incorniciate dalla corona di monti: una vera cartolina nel marmo ad indicare il preciso contesto a cui è strappato il giovane Mario, portato in cielo dagli angeli nell’altorilievo soprastante. Questo modello iconografico è stato poi ampliamente ripreso nella pietra e nel bronzo dagli scultori locali che spesso hanno individuato angoli caratteristici della città come nella tomba Ghislanzoni, cimitero di Castello, campo G, 1988, G. Mariani, bronzo, dove ad essere messo a fuoco è Pescarenico. Un giardino verde e una croce di legni esotici con vivaci inserti di smalto colorato per ricordare, ora che è tornato a Laorca sua terra d’origine, quelle lontane terre d’Amazzonia che Padre Augusto Gianola ha tanto amato. Il missionario del PIME, nato a Malavedo nel 1930, scelse nel 1963 la Missione in Brasile, dove fondò una comunità tra i cablocos e diresse una rivoluzionaria scuola agricola, tomba Gianola, cimitero di Laorca, S 5, 1990. Nel paesaggio delle grotte ombrose del cimitero di Laorca un inserto di vivaci colori richiama altri paesaggi e sancisce un legame tra mondi così lontani4.
Giannino Castiglioni, Il discorso della montagna, 1938 ca., tomba Atonia Pozzi, Pasturo, Cimitero. Romeo Lainati, Veduta di Lecco, particolare, 1935, marmo, tomba Corti, Lecco, Cimitero Monumentale. G. Mariani, Veduta di Pescarenico, 1988, bronzo tomba Ghislanzoni, Lecco, Cimitero di Castello.
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La rappresentazione del lavoro
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monumenti alla memoria, nelle piazze e nei cimiteri, fioriti dalla seconda metà dell’Ottocento fino alla prima metà del Novecento hanno voluto attestare il ruolo storico e sociale che cittadini illustri e valorosi hanno giocato per la propria città e per la patria; proposti al rispetto e alla devozione vogliono essere esempio civile da stigmatizzare ed emulare. Non può certo mancare, in una città industriosa come Lecco, la sottolineatura del valore del lavoro, dal più umile e manuale al più creativo e artistico che entra spesso nella caratterizzazione professionale del monumento e del ritratto. Per Oreste Calabresi (Macerata 1857- Lecco 1915), un noto attore morto in scena al Teatro della Società di Lecco, esplicito è il riferimento alla sua professione non solo nell’iconografia del bronzo ma anche nell’epigrafe, dettata da Renato Simoni, critico in quegli anni del Corriere della Sera, che così recita: ATTORE GRANDE / SIGNORE SQUISITO / BORGHESE GIOCONDO / VISSE OGNI PASSIONE / ED OGNI SERENITÀ / TRASFUSE L’ANIMA / IN MILLE PERSONE / INDIMENTICABILI / CHE SI SPENSERO QUANDO EGLI / ABBANDONAVA LA SCENA / SOFFRENDO UNA DOPPIA MORTE.
Ritratto con maschera dell’attore Oreste Calabresi, 1915, bronzo, Lecco, Cimitero Monumentale. Luigi Milani, Ritratto del pilota Ferdinando Frigerio, 1939, marmo, Lecco,Cimitero di Castello.
Sulla sua tomba al Monumentale, campo D 118, 1915, anonimo, bronzo, un tondo con il suo ritratto è corredato dagli attributi della sua professione: l’alloro della gloria e la maschera classica ricordano una vita spesa sul palcoscenico dove fece compagnia con Virgilio Talli ed Irma Grammatica. Sette canne d’organo in marmo di Carrara per rendere durevole la fugacità della musica a cui Giuseppe Zelioli5 ha dedicato tutto il suo impegno e la sua passione, Monumentale, campo F 388, 1949, anonimo, marmo di Carrara. Il Maestro e compositore (Caravaggio 1880 - Lecco 1949), che aveva ottenuto il diploma in pianoforte, organo e composizione, fu prima organista nella chiesa di Casirate d’Adda, poi, nel 1904 vinse il concorso per la chiesa prepositurale di Lecco, dove fece installare un nuovo organo su cui operò con grande dedizione. Compose più di 500 opere tra cui inni sacri, pezzi di musica strumentale, messe e pezzi pianistici. Sue opere: La Resurrezione, I canti per la Passione di Cristo e Dona nobis pacem, composta tra il 1921 e il 1949.
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CADUTO PER LA PATRIA A CASERTA IL 29-10-1939 PILOTA ISTRUTTORE MART, Ferdinando Frigerio, Cimi-
tero di Castello, campo B13, 1939, L. Milani, marmo di Carrara, è ritratto con casco e occhiali da pilota e corredato da un’ elica posta verticalmente sulla tomba. Ancora una professione dal risvolto sociale nel bassorilievo in cui Maria Galvani, Monumentale, campo D609, 1959, G. Mozzanica, bronzo bassorilievo, è intenta al proprio lavoro di ostetrica. Una tenda accostata apre su di un interno domestico, dove una donna in abiti da crocerossina sta lavando, in una bacinella posta sul tavolo, un neonato. La scena ci narra dei parti in casa di appena cinquanta anni fa. Il contrasto tra la verticalità delle linee dell’ambiente e la piegatura convergente delle due figure accentua l’intimità del venire alla luce, mentre la teatralità del sipario accostato carica la sacralità di questo battesimo laico. Anche le tre formelle della tomba Corti, Monumentale campo F288, R. Piter, 1953, rilievo, marmo di Carrara, rappresentano momenti di vita del defunto a testimoniare i valori in cui il defunto ha creduto e su cui ha costruito la sua esistenza. In alto una coppia inginocchiata di profilo custodisce nelle mani intrecciate la fiammella dell’amore, AMORE CONIUGALE; al centro il defunto, a mezzo busto, lavora al torchio tipografico, AMORE PER IL LAVORO; in basso una figura seduta di profilo accoglie un cane, due colombe sono posate sui rami di un albero, alle spalle un cespuglio di rose, AMORE PER GLI ANIMALI. La famiglia si ritrova attorno ad un muro in costruzione simbolo della sicurezza domestica, ma anche caratterizzazione professionale del costruttore Guglielmo Colombo, Cimitero di Acquate, S316, 1953, Luigi Milani, granito rosa, trovante di Pescate In un unico blocco di granito sono ricavati il muro in costruzione di pietre ri-
A sinistra, dall’alto: Canne d’organo, 1949, marmo, tomba Giuseppe Zelioli.Lecco, Cimitero Monumentale. Riccardo Piter, Tipografo, 1953, marmo, tomba Corti, Lecco, Cimitero. Monumentale. Sotto: Luigi Milani, La famiglia, 1953, granito rosa, tomba Guglielmo Colombo, Lecco, Cimitero di Acquate.
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gorosamente tagliate sui cui lati sono scolpiti ad altorilievo: a destra una figura maschile a torso nudo che regge una pietra con cui continuerà ad edificare; a sinistra un gruppo composto da una donna e due bambini; frontalmente la fiaccola dei bersaglieri. Si tratta di una delle più felici composizioni dello scultore Milani che spesso nella sua attività ha realizzato ritratti in bronzo con caratterizzazioni professionali. Ancora negli anni Settanta e Ottanta, quando già aveva scelto forme varie di stilizzazione sempre più lontane dal realismo, ritorna a moduli narrativi per rappresentare Alberto Pozzi mentre innesca l’esplosione che lo porterà fatalmente alla morte, cimitero di Acquate, 1978, o il muratore Angelibusi, Cimitero di Castello,1982, bronzo, mentre con le maniche rimboccate, inginocchiato, sorridente costruisce con la cazzuola un muro di mattoni. Anche il pescatore Stefano Ghislanzoni, Cimitero di Castello, 1976, bronzo, che sta ritirando le reti da un’improbabile barca in legno, una Lucia che caratterizza la pesca sul lago, è ritratto fedelmente, nonostante il modellato molto mosso della produzione di Milani in quegli anni.
Giuseppe Mozzanica, Levatrice, 1959, bronzo tomba Maria Galvani, Lecco, Cimitero Monumentale. Luigi Milani, Muratore, 1982, bronzo, tomba Angelibusi, Lecco, Cimitero di Castello. Luigi Milani, Pescatore, 1976, bronzo, tomba Stefano Ghislanzoni, Lecco, Cimitero di Castello.
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I bambini
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l compianto, tema di derivazione classica ricorrente nell’iconografia funeraria, inizia a perdere la sua dimensione aulica per proiettarsi nella concreta realtà quotidiana, diventando, sul piano individuale, testimonianza di affetti destinati a sopravvivere alla morte e, sul piano sociale, affermazione di valori quali quello della famiglia. Questa concretizzazione si traduce linguisticamente in una crescente attenzione alla resa del particolare, dai tratti fisionomici ai dettagli dell’abbigliamento, alla condizione psicologica. Come il tema del compianto, anche quello del distacco subisce trasformazioni in senso realista ed ecco sulle tombe non più genietti o putti svolazzanti, ma bambini veri come nella tomba Wilhelm, Monumentale, campo E 446, 1936, bronzo tuttotondo di Luigi Panzeri (Lomagna Co 1864- Milano 1939). Secondo le regole del realismo che vuole la morte ricordata nella quotidianità, ecco una scena che si potrebbe vedere realmente al cimitero: due bambini in abiti contemporanei portano fiori e lumi sulla tomba. Il bambino in piedi chinato, la bambina inginocchiata in preghiera, fissati al piedestallo, parte integrante della scena, come il rilievo di fronte sopra la lapide con paesaggio roccioso ed edera. Unico elemento non realistico dell’insieme il portavaso con un angelo e decorazione floreale. La superficie scabra del modellato suggerisce un senso di immediatezza ad avvalorare l’istantanea. Analogo monumento si trova al Monumentale di Milano, dove sono presenti innumerevoli opere dell’autore caratterizzate da realismo narrativo6. Sempre più ritratti di bambini veri prendono il posto di angioletti e puttini, rappresentando momenti di vita concreta a voler testimoniare la forza e l’importanza della pur breve esistenza e del vuoto lasciato tra i cari. Già all’inizio del 1900 compare una bambina vera, elegantemente vestita alla moda anni venti nella tomba abbandonata di Dell’Oro Lina, Monumentale, campo F44, marmo di Carrara, altorilievo dello scultore A. Castelli. Fiore tra i fiori, con la corolla del vestito a balze, le scarpette con il bottoncino, il colletto di pizzo, la catenina e il fiocco in testa se ne sta lì sorridente in posa per la fotografia, esempio di verismo in un autore che ha lasciato nel cimitero modelli decisamente classici. Ritratti veri in cui sono già definite caratteristiche individuali fanno emergere le personalità dei giovani soggetti come nel serio volto frontale di bambino in cornice ovale di Carlo Maria Cereda, Cimitero di Castello, campo B1, 1937, basso-
Luigi Panzeri, 1936, bronzo, tomba Wilhelm, Lecco, Cimitero Monumentale. A. Castelli, anni Venti, marmo, tomba Dell’Oro Lina, Lecco, Cimitero Monumentale.
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rilievo in marmo di Carrara, 38x11x47, A. Montegani, o il profilo vezzoso in cornice tonda di Elena Corti, Monumentale, campo E 201, 1935, bassorilievo in marmo di Carrara, di Giuseppe Mozzanica7. Sorpreso nel gioco il piccolo Mario Dell’Oro stringe l’aereoplanino come un tesoro, così indifeso e vero nei suoi calzoni corti sorretti dalle bretelle e il sorriso appena accennato, Cimitero di Valmadrera, 1944, marmo di Carrara. Negli anni Cinquanta i bambini sono colti in momenti del tutto informali, seduti in giardino, a piedi nudi e in canottiera, o con i loro giochi consueti, il pallone o la bambola: tomba Capelli, Monumentale, campo E429, 1963, G. Mozzanica, bronzo tuttotondo; tomba Biffi, Monumentale campo F235, 1958, R. Piter, bronzo; tomba Invernizzi, Monumentale, campo E 236, 1962. Anche nell’iconografia religiosa che illustra l’episodio evangelico Lasciate che i pargoli vengano a me vivaci e ed irrequieti bambini prendono d’assalto le ginocchia del Cristo che li accoglie nella tomba Gattinoni, Monumentale, campo E261, 1956, bronzo tuttotondo di Tartarelli.
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Sopra, dall’alto: Tartarelli, 1956, bronzo tomba Gattinoni, Lecco, Cimitero Monumentale. Giuseppe Mozzanica, 1935, marmo, tomba, Elena Corti, Lecco, Cimitero Monumentale, rimossa. Angelo Montegani, 1937, marmo, tomba Carlo Maria Cereda, Lecco, Cimitero Di Castello. A destra: Tomba Mario Dell’oro, 1944, marmo, Valmadrera, Cimitero.
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La maternità
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l tema della maternità è presente in ambito funerario, oltre che nelle Pietà, soggetto privilegiato ad esprimere dolore della madre di fronte alla morte del figlio, nell’iconografia della Madonna col Bambino della tradizione cristiana, dove la madre, dallo sguardo triste e assorto, già conscia del destino che attende il figlioletto, è fonte di identificazione per chi ha subito una perdita ed è fonte di speranza e attesa di protezione per chi a lei si rivolge. Non mancano poi elaborazioni in chiave laica del tema secondo due connotazioni di segno opposto: la giovane madre disperata, per esprimere il vuoto e l’abbandono, o la serena coppia madre figlio, per ribadire grande fiducia nella vita. Un inno alla vita che nasce, perfettamente coerente con la sua destinazione, il gruppo scultoreo Madonna della maternità in pietra serena, realizzato nel 1935 da Luigi Supino8 (Genova 1984-?) per il Padiglione Gianbattista Sala dell’Ospedale di Lecco ed ora felicemente trasferito nel piazzale d’ingresso del nuovo Ospedale Manzoni9. Una bellissima Madonna accoglie benevola e protettiva i neonati che le donne offrono e consegnano alla sua protezione. Le tre figure di donna con i due bambini creano un gruppo piramidale in cui scorre circolarmente un’intesa affettuosa di gesti e di sguardi. I volti molto somiglianti, differenziati dalle capigliature o dalle superflue aureole, sembrano voler alludere ad una sequenza temporale del ruolo materno: l’attesa piena di incognite della donna inginocchiata ad occhi chiusi che chiede protezione, l’offerta del neonato in fasce della puerpera, il legame aperto madre-figlio della Madonna e del Bambino. La superficie picchiettata e scabra della pietra, i volumi semplici e maestosi sembrano voler suggerire un arcaismo mitico, nonostante la classicità delle figure e la modernità dei volti10. Lo scultore, partecipe del clima neoclassicista collabora nello stesso anno 1935 alla realizzazione delle sculture in corso Littorio, oggi Matteotti, a Milano. Di diverso accento, per il soggetto e la modalità espressiva, il gruppo
Luigi Supino, Madonna della maternità, 1935, pietra serena, Ospedale A. Manzoni, Lecco
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Sopra, da sinistra: Michele Vedani, 1947, bronzo, tomba Sormani, Lecco, Cimitero Monumentale Angelo Montegani, 1927, bronzo, tomba Cereda, Lecco, Cimitero di Castello. Orlando Sora,1963, affresco, tomba Crotta, Lecco, Cimitero di Castello. Sotto: Fulvio Simoncini, 1991, bronzo, tomba Ravasi, Lecco, Cimitero Monumentale. Luigi Milani, 1934, marmo, tomba Ferrari Sabadini, Lecco, Cimitero Monumentale.
che aveva realizzato per Monumento ai fratelli Caimi, Monumentale di Milano, Riparto XV, n.77-78, nel 1920, La madre raccoglie i corpi dei propri figli, moderna Pietà laica in cui è ancora forte il gesto tardoscapigliato di gusto verista. Nella tomba Sormani, Monumentale, campo B111, bronzo, 1947 di Michele. Vedani la Madonna ammantata, ripresa a piano americano, sorregge il Bambino che, con la sua strana vestina, sembra muovere i primi passi. Una notazione di quotidianità che richiama momenti intimi come i giochi affettuosi della piccola scultura della tomba Cereda, Cimitero di Castello, campo B24, 1940, A. Montegani, bronzo tutto tondo, 1927, dove la coppia madre e figlio è racchiusa in un unico abbraccio dalla linea morbida e avvolgente del mantello conchiglia. Nella tomba Crotta, Cimitero di Castello, campo C81, 1963, un affresco di Orlando Sora rappresenta, in uno spazio domestico costruito dall’artificio di sviluppare la scena su due pareti di mattoni ad angolo retto, una Madonna col Bambino. I contorni netti che definiscono la geometria dei volumi, le tinte tenui e sfumate, ben accordate con il cotto delle pareti, sono un raro esempio di policromia in ambito cimiteriale dove la varietà cromatica è limitata al variare dei materiali. Il dolore dell’abbandono di una madre e del figlioletto che si aggrappa alle sue vesti richiamandola al mondo è ben raccontato da Emilio Busetti nella tomba Colli, Monumentale, campo F7, 1923, bronzo. Il marito Ercole, MACCHINISTA DELLE FERROVIE, MORTO PER INFORTUNIO, come riporta l’epigrafe, è la colonna spezzata a cui invano la donna si appoggia incredula e stordita dall’improvvisa e prematura scomparsa, quasi dimentica del suo ruolo di unico sostegno dei figlioletti. Attorno alla scena è curiosamente ricostruito un paesaggio miniaturizzato con rocce, chiesa con campanile e giardinetto. Il giovane Luigi Milani scolpisce in marmo di Carrara un’imponente giovane donna che stringe il suo figlioletto e un mazzolino di fiori. Il corpo massiccio e solido sottolinea la forza di reggere, assieme al bimbo, il dolore espresso nel bel volto, assorto e alzato, a cui fa da contrappeso la capigliatura-velo che scende dalle spalle ai piedi. Una delle migliori prove di questo artista lecchese che ha popolato nel corso degli anni i cimiteri del territorio, tomba Ferrari Sabadini, Monumentale, campo C 556, 1937, marmo di Carrara.
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Lo scultore Fulvio Simoncini nella tomba Ravasi, Monumentale, campo A95, 1991, bronzo, è originale interprete dell’accento più vitalistico e rasserenante della maternità e della figura femminile in genere nella scultura funeraria. Propone qui una giovane madre nuda, seduta a terra, come una moderna Madonna del prato, mentre stringe al seno il piccolo con un gesto protettivo. Serena e sorridente esprime il caldo abbraccio totalizzante e originario che è all’inizio di ogni vita e a cui i viventi tendono in una nostalgia inconscia ed inesauribile. COME UNA MADRE CONSOLA I FIGLI, COSÌ IO VI CONSOLERÒ, IN GERUSALEMME SARETE CONSOLATI. IS 66 13 recita l’epigrafe.
Analogo soggetto è proposto da Simoncini nella tomba Angelo Bonaiti, 1985, Lecco, Cimitero Monumentale analizzata nel cap IV. Anche le allegorie ispirate a moduli classici che rappresentano la famiglia sacrificata dal valoroso soldato alla Patria, spesso presente nei monumenti ai caduti, si umanizzano, compensano la retorica del genere e rappresentano spesso il lato più interessante delle composizioni. Così la bella figura classica nel rilievo di Francesco Confalonieri, della cappella Torri Tarelli al Monumentale bilancia l’altisonanza della guerra e della fede, mentre la madre col puttino giocoso nel Monumento ai Caduti di Angelo Montegani a S. Giovanni è più credibile dell’esultante soldato e infine l’abbraccio del bimbo che quasi sfugge alle braccia della splendida donna che lo regge, per trattenere il padre soldato nel Monumento ai Caduti di Giannino Castiglioni a Lecco, è certo molto convincente.
A destra: Fulvio Simoncini, 1985, bronzo, tomba Angelo Bonaiti, Lecco, Cimitero Monumentale.
Sopra, da sinistra: Francesco Confalonieri, 1907, marmo, cappella Nava-Torri Tarelli, Lecco, Cimitero Monumentale, particolare. Angelo Montegani, Monumento ai Caduti di S. Giovanni, 1925 ca., bronzo, Lecco, S. Giovanni, particolare.
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Il ritratto
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Ritratto di donna, inizi 1900, marmo, tomba Mezzera, Lecco, Cimitero Monumentale. Ettore Cogliati, Doppio ritratto, 1902, marmo, tomba Valsecchi-Vanoli, Lecco, Cimitero Monumentale
l ritratto realistico, fisiognomico e caratterizzante un preciso individuo, ha le sue origini nella ritrattistica romana e nasce nella sfera privata e legata al culto degli antenati. Nel rituale funerario romano l’immagine di cera del volto del defunto, dopo la laudazio funebris nel Foro, viene conservata nel luogo più visibile della casa e, in occasione di pubblici sacrifici, queste immagini molto somiglianti vengono esposte ed onorate con ogni cura. Il ritratto realistico borghese dell’Ottocento si riallaccia a queste lontane origini e, lasciandosi alle spalle i paludamenti neoclassici, ritorna alla fedeltà al modello e alla contemporaneità. Nei busti ritratto che rappresentano l’intera persona, la nuova classe sociale emergente esprime l’orgoglio della propria identità e immortala personaggi illustri o semplici famigliari con la dignità della propria condizione, dichiarata dai segni che il tempo ha tracciato e dalla minuta descrizione dell’abbigliamento contemporaneo. Nessuna idealizzazione o abbellimento che non corrisponda alla realtà oggettiva della persona che si mette in posa con la sua storia. Compaiono nei cimiteri e nelle piazze ritratti di personaggi famosi o di soggetti ormai non identificabili che tuttavia ci colpiscono per la loro vivacità e immediatezza che li rende paradossalmente vivi come lo splendido busto di donna il cui viso, con ciuffi di capelli ribelli, si apre luminoso tra i veli che lo avvolgono, ricollocato nella tomba Mezzera e risalente agli inizi del 1900, Monumentale campo A138, marmo di Carrara, anonimo. Chi era il vivace personaggio il cui busto si sporge con convinzione per esprimere il proprio punto di vista nel pieno di una vivace discussione nella tomba Monti? Monumentale campo C, anonimo, marmo di Carrara; sicuramente proveniente da altra collocazione, dove il busto era addossato ad una parete, il personaggio, in abiti borghesi, la giacca con l’ampio collo, il fazzoletto annodato, barba e baffi, sguardo intenso e gestualità volitiva è reso con grande immediatezza e verità ed è il più significativo esempio di verismo ottocentesco presente nei cimiteri di Lecco. Tre ritratti, tra i più antichi nella cappella Alessandro Pigazzini, 1895, prima cappella di destra, troneggiano in ordine gerarchico su di un sarcofago con piedi leonini, cartiglio frontale con iscrizione, foglie d’acanto e decorazioni floreali, firmato dall’intagliatore Angelo Gavoldi.
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Lo scultore F. Albere firma e data i tre busti di estrema precisione descrittiva, dove ogni piccolo particolare serve a connotare il ruolo e lo status sociale dei defunti. Al centro il busto del capofamiglia su di un piedistallo più alto: fronte ampia, naso pronunciato, grandi baffi, giacca, panciotto, camicia e cravatta, catena appuntata con le chiavi. A sinistra una donna anziana con capelli raccolti, doppia mantellina con frange fermata al collo da una spilla. A destra una donna giovane, capelli corti ricci, orecchini, seno prorompente, camicetta con pizzo al collo e alle maniche. Nella cappella Badoni, Cimitero di Castello, il busto ritratto del capitano di industria Giuseppe Riccardo Badoni (1807-1877) anonimo, marmo di Carrara. Il capostipite della famiglia di industriali lecchesi veglia severo al centro della cappella di famiglia dove è raccolta la sua discendenza, tra cui la poetessa Piera Badoni (1912-1989). I lunghi mustacchi un po’ incolti, se da un lato sottolineano la piega pensosa del volto, dall’altro, ripresi dalle cocche svolazzanti del fazzoletto annodato al collo suggeriscono una certa informalità del personaggio. Negli stessi anni un autore locale Ettore Cogliati, autore del busto di Antonio Ghislanzoni a Caprino Bergamasco e delle statue per il presepio della Basilica di Lecco, realizza nel 1898, per la tomba Valsecchi-Vanoli, Monumentale campo F69, 1902, marmo di Carrara, un’apoteosi in marmo con il ritratto dei due coniugi. Da una nuvola ascensionale in cui turbinano putti alati e sorridenti, emergono due ritratti appaiati, fortemente caratterizzati. Leggermente arretrato il bel volto di lei, affianca la testa imponente dai lunghissimi baffi di lui, gli sguardi vigili guardano lontano. Ancora una volta classicità e realtà nei modelli di fine Ottocento che ha suscitato qualche perplessità nelle cronache del tempo. A.g.g. sul Prealpino rimprovera al Cogliati l’eccessivo realismo nel riprodurre il modello nel periodo della sua massima decadenza anziché idealizzarlo nei momenti migliori della sua vita11. Doppio ritratto anche nel monumento di Lorenzo ed Alessandro Ghislanzoni, Monumentale Lecco, 1900, campo D77, bronzo, una sorta di altare laico, realizzato dall’architetto Luigi Broggi (1851 1926 MI) formatosi sotto la guida di Camillo Boito ed interprete del modernismo milanese. Un’architettura in porfido rosso con modanature, motivo di archetti e timpano sormontato da due colonne spezzate, simbolo di due vite prematuramente infrante, incornicia un altorilievo in bronzo. Il figlio a sinistra con i capelli a spazzola e il farfallino, il padre a destra
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In alto a sinistra: Ritratto d’uomo, fine 1800, marmo, Famiglia Monti, Lecco, Cimitero Monumentale. Sopra, dall’alto: F. Albere, Ritratto, 1895, marmo, cappella Pigazzini, Lecco, Cimitero Monumentale. Ritratto, seconda metà del 1800, marmo, cappella Badoni, Lecco, Cimitero di Castello. Ritratto, 1934 ? marmo, cappella Gislanzoni Paleari, Lecco, Cimitero Monumentale.
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con la lunga barba, i baffi e fronte stempiata emergono da sbuffi di nuvole debordanti e sono incorniciati dalle foglie di palma. Il tutto rigorosamente inscritto nelle geometrie del triangolo massonico nei lati inferiore e superiore. Avvolto in un velo di polvere che crea effetti di chiaroscuro, il volto arrendevole e mite di Ernesto Paleari gode del beneficio perpetuo ereditato dalla famiglia nella cappella cappella Ghislanzoni Paleari. Ghislanzoni Luigi fu Carlo aveva lasciato in eredità al Comune di Lecco il palazzo in via Roma a condizione che fosse in perpetuo adibito ad uso di sede dell’Ufficio Municipale. Nel 1924 il Comune, trasferendosi nella nuova sede destinò ad altro uso tale edificio e addivenne ad una convenzione con Ernesto Paleari, unico erede, col quale il Comune concordava una cappella funeraria al Monumentale12. Un esempio superstite di ritrattistica realista di fine secolo è il busto del garibaldino Ernesto Pozzi di autore ignoto, nel cimitero di Lecco Acquate, campo S, marmo di Carrara, collocato su un cippo a tronco di cono. Il Pozzi, colto pubblicista, scrittore, avvocato, uomo politico repubblicano, nato ad Acquate il 9 luglio 1843 ed ivi morto nel 1904, partecipò alla seconda spedizione in Sicilia e fu quattro volte candidato radicale alle elezioni, tra il 1874 e il 1900. Nel busto sulla sua tomba nessun segno del suo glorioso passato patriottico: non l’uomo d’azione ma il pacato pensatore, dallo sguardo intenso e l’ampia fronte accentuata dalla avanzata calvizie è ricordato negli abiti borghesi minutamente descritti. Dopo la sua morte l’avvocato Baruffaldi sottolineava con rammarico come i suoi funerali religiosi avessero negato la laicità che aveva contraddistinto la sua vita, così come era avvenuto per il fratello minore Giovanni, sepolto pure ad Acquate13.
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Nel cimitero di Brivio, di fronte all’ingresso e in posizione centrale, è stato collocato il monumento a Cesare Cantù (Brivio 1804-Milano 1895): “CHE STUDIANDO LA STORIA IMPARÒ IL NULLA DELLE GRANDEZZE E DELLE MISERIE UMANE E PERDONANDO GLI UOMINI VOLGESSI A DIO NELLA CUI MISERICORDIA CONFIDA. LE PRECI DEI CONPATRIOTI SUFFRAGHINO. PER TESTAMENTO.”
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Lo scultore Bassano Danielli (Crema 1854-Milano 1923) realizza il sarcofago retto da colonne granitiche e il busto ritratto dello storico amico di Manzoni e di Romagnosi che, dopo innumerevoli persecuzioni ed emarginazioni politiche, divenne presidente della Società storica lombarda e diede alle stampe una vastissima produzione storica e letteraria. Cantore delle cose locali, Cesare Cantù viene posto in alto come nella sepoltura degli antichi eroi fondatori di città14. Giacca aperta sul panciotto e farfallino, lunghi capelli che lasciano libera l’ampia fronte, baffi e folte sopraciglia che sottolineano l’espressione concentrata e lo sguardo rivolto lontano, caratterizzano il personaggio dello storico e lo stile dello scultore che in quegli anni si accosta, dopo un prima fase romanticheggiante, ad un verismo umanitario. Nel cimitero di Brivio un doppio ritratto derivato dall’antichità romana sulla tomba della famiglia Cheregatti e Martignoni 1884, opera dello scultore Andrea Malfatti (Mori 1832-Trento 1917). Inseriti in una nicchia architettonica spezzata al centro, i busti dei coniugi, posti sul piedestallo con corone funebri di rose e girasoli, citano il doppio arco dei sarcofagi nuziali romani. Nel cimitero di Malgrate Raffaele Armenise (Bari 1852-Malgrate 1925), il pittore che affrescò la volta del teatro Petruzzelli di Bari, fu un protagonista dell’Illustrazione Italiana e visse a Malgrate nella villa che divenne poi Ciribelli Lilia, è qui ritratto dallo scultore E. Astorri15. Una serie di rilievi riprende la tradizione del tondo clipeato romano e delle medaglie commemorative rinascimentali e propone profili puri neoclassici come i ritratti di Giuseppe Parini e Andrea Appiani (Grazioso Rusca) a Bosisio Parini e Antonio Stoppani (Giulio Branca) sul sepolcro a Lecco o ritratti frontali inscritti nel tondo come i medaglioni di Felice Cavallotti (Carlo Da Nova) a San Giovanni di Lecco; di Tranquillo Baruffaldi (Francesco Confalonieri) a Barzio e Introbio, documentati nel I capitolo. Ancora negli anni Cinquanta del Novecento, Giannino Castiglioni modella un medaglione in ricordo del Premio Nobel Enrico Fermi nella sala a lui dedicata in Villa Monastero di Varenna. Carlo Vercelloni (1861-1932), naturalista e conservatore dei Musei Civici di Lecco, Monumentale Campo E459, 1932, rilievo in bronzo, anonimo, da un angolo discreto della sua tomba, con tanto di cappotto, cappello e baffi coltivati ci guarda ironico e vivace16. Giuseppe Mauri (1880 -1955) primo sindaco di Lecco, socialista, Monumentale campo D522, bronzo, Riccardo Piter, dall’espressione assorta e severa, a
Sopra: Andrea Malfatti, Doppio ritratto, tomba 1884, marmo, Chieregatti-Martignoni, Brivio, cimitero. Nella pagina precedente, in alto: Luigi Broggi, Doppio ritratto, 1900, bronzo, tomba Ghislanzoni, Lecco, Cimitero Monumentale. Ritratto, 1904, marmo, tomba Ernesto Pozzi, Lecco, Cimitero di Acquate. Nella pagina precedente, al cemtro: Bassano Danielli, Monumento a Cesare Cantù, 1895, marmo, Brivio, Cimitero. Nella pagina precedente, in basso: Riccardo Piter, 1955, bronzo, tomba Giuseppe Mauri, Lecco, Cimitero Monumentale. E. Astori, Ritratto,1925 ca., bronzo tomba Raffaele Armenise, Malgrate, Cimitero.
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stento cela le preoccupazioni del difficile momento post bellico. Singolare la vicenda del busto ritratto dell’industriale Giuseppe Frigerio, cappella Frigerio, Cimitero di Acquate, mancato in giovane età, che lo scultore lecchese Luigi Milani ha realizzato con estrema fedeltà e vivacità fisionomica soddisfacendo appieno i committenti, già delusi dall’opera realizzata dal rinomato scultore milanese Riccardo Piter. Nei giardini del Lungolago di Lecco e sulla sua tomba nel cimitero di Malgrate la testa calva e lucida dell’inventore Pietro Vassena esalta l’ampia fronte dove fioriscono le idee. Ritratto, 1932, bronzo, tomba Carlo Vercelloni, Lecco, Cimitero Monumentale. Ambrosi, Ritratto, 1967, bronzo, tomba Pietro Vassena, Malgrate, Cimitero.
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Le architetture miniaturizzate
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La tipologia della tomba a cippo è nata come monumento commemorativo e utilizzata soprattutto per le morti collettive, guerre e sciagure naturali. A sviluppo verticale è composta da vari elementi architettonici e scultorei sovrapposti (sarcofagi, altari, edicole cieche, colonne, obelischi, piramidi, sculture ed elementi decorativi), come sepoltura deve diventare elemento di riconoscimento. Caratterizzata in genere da un basamento in pietra Molera a base quadrata, sormontato da un sarcofago con specchiature, edicola cieca, cuspide o scultura a tutto tondo sommitale è presente nei cimiteri più antichi di Rancio, Acquate, Laorca. Ne sono esempi significativi i cippi di seguito descritti, dedicati a personaggi di cui si ricordano, nelle epigrafi, il ruolo sociale e le virtù. Tomba Mazzucconi, Cimitero di Rancio, campo B, 1855, anonimo in cui si ricorda il “SACERDOTE, MISSIONARIO APOSTOLICO, DOTTO, ZELANTE E PIISSIMO UCCISO PER LA FEDE, D’ANNI 29 IN ROC OCEANIA NEL SETTEMBRE DEL 1855”. Basamento in pietra, due livelli di base quadrata; sarcofago
con iscrizioni su tre specchiature; edicola cieca con modanature, fiaccole rovesciate agli spigoli, decorazione floreale e cuspide con croce. Tomba Pozzi Giovanni, Cimitero di Acquate campo S, 1880, anonimo, marmo di Carrara. “DOTTOR FISICO CHIRURGO VALENTE STRENUO ALPINISTA DIFENSORE DEI DIRITTI DEL POPOLO CON LE ARMI E CON LA PENNA
Temi iconografici
e architetture tombali mirano a riprodurre in scala ridotta e in modo eclettico le architetture delle cappelle di famiglia nelle chiese prima e nei cimiteri dall’Ottocento in poi. Le più antiche sono nei cimiteri di Acquate e Rancio e risalgono alla seconda metà dell’Ottocento, ma nella prima metà del Novecento le varie tipologie si propongono anche negli altri cimiteri della città. Per comodità descrittiva le architetture saranno raggruppate secondo le tipologie delle tombe a cippo, tombe a stele, tombe orizzontali, edicole e architetture complesse. Il disegno architettonico, tradotto nel marmo e nella pietra da abili lapicidi è spesso arricchito da motivi decorativi e simbolici intagliati con grande perizia artigianale e si traduce in manufatti di grande valore estetico oltre che di testimonianza storica.
Tombe a cippo
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PADRE MARITO AMICO INSUPERABILE LA MOGLIE E I FIGLI TROPPO PRESTO ORBATI ADDOLORATI ETERNANO”. Su
basamento quadrato un’ edicola con quattro nicchie a tutto sesto, decorazione sommitale di pinnacoli e fiori racchiude la lapide con iscrizioni; un tronco di piramide regge una scultura a tutto tondo: un angelo pensoso con fiaccola rovesciata. Analoga struttura per la tomba Pozzi Carlo e Maria Rizzi, Cimitero di Acquate, 1880, anonimo, marmo di Carrara, “NEL FIORE
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DEGLI ANNI FIERO MORBO TRONCÒ LA VITA DI M. RIZZI MADRE DI VITA E MAESTRA CON DOLORE DOLENTI LE FIGLIE Sopra, da sinistra: Tombe Pozzi Giovanni e Pozzi-Rizzi, 1880, marmo, Lecco, Cimitero di Acquate. Tomba Biffi, 1912, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale. Nella pagina successiva, in alto: Tomba Spreafico, 1895, marmo, Lecco, Cimitero di Rancio. Tomba Galbussera, Dell’Oro, 1895, lavagna, Lecco, Cimitero di La orca. Tomba Francesco Maggi, 1900, marmo, Lecco, Cimitero di Rancio. Nella pagina successiva, in basso: Tombe Pozzi, 1874, marmo e pietra molera, Lecco, Cimitero di Acquate.
Tombe a stele
VIRGINIA E TERESA POZZI PONGONO”. Scultura a tutto tondo: dolente am-
mantata con croce. Tomba Gatti, Cimitero di Maggianico, 1870, anonimo, pietra molera e marmo di Carrara Basamento in pietra sagomata; altare quadrato con modanature; sarcofago quadrato con piedi leonini e modanature; cippo obelisco a tronco di piramide con iscrizioni, croce sommitale. Tomba Crotta, Cimitero di Laorca, S,1892, anonimo, marmo di Carrara, del “SACERDOTE CROTTA VALENTINO PER 52 ANNI COADIUTORE A LAORCA SCHIAVO DEL DOVERE ANCHE NELLE CALAMITÀ PUBBLICHE, INFATICABILE, CARITATEVOLE, ONESTO SI MERITÒ LA STIMA DEL GIUSTO E IL COMPIANTO DEI BUONI. ANIMA ELETTA POSSA L’ESEMPIO DELLA TUA VITA SERVIRE D’ESEMPIO AI TUOI INCONSOLABILI NIPOTI”. Cippo con
modanature, iscrizione e ritratto sulle specchiature frontale e laterale destra, sormontato da croce con corona funebre di fiori: gigli, tulipani, rose, non ti scordar di me, e galla funebre. Tomba Biffi, Monumentale, campo D75, 1912, anonimo. Su una composizione di rocce in pietra molera, in cui è inserito un cartiglio, si eleva una colonna spezzata con decorazioni floreali fermate da nastro con galla funebre. La tomba verticale murata, o stele sepolcrale, deriva dalla tomba paleocristiana riservata ad uomini illustri dell’ambito ecclesiastico. Col passare del tempo la stele segnalò nei cimiteri la presenza della sepoltura posta ai suoi piedi nel terreno e divenne poi monumento puramente commemorativo dopo la riesumazione della salma. I più antichi esempi di questa tipologia si trovano nel cimitero di Laorca, dove una serie di lapidi a parete, collocate sul muro a destra dell’ingresso, commemorano sepolture risalenti alla seconda metà dell’Ottocento. In lavagna o marmo bianco queste lastre, con iscrizioni e decorazioni incise o a rilievo, sono corredate dai ritratti dei defunti e da accessori in ferro battuto.
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Anche nel Cimitero di Rancio, lungo il muro, nel campo B, si ritrovano ancora alcuni esempi di tombe a parete risalenti alla fine dell’Ottocento e agli inizi del Novecento. Si tratta di lapidi neogotiche di gusto eclettico che coniugano archi a sesto acuto, archi trilobati, pilastrini con capitelli, motivi decorativi incisi o a rilievo. La tomba orizzontale poggia interamente sul terreno ed è conclusa da una lastralapide in pietra rettangolare di dimensioni corrispondenti, in genere, alla dimensione del corpo umano. Comparve nel Medioevo e costituì inizialmente parte integrante della pavimentazione delle chiese, con la raffigurazione del corpo del defunto a bassorilievo. Divenne poi nei cimiteri, leggermente inclinata, una sorta di sarcofago su cui riportare tutti i dati relativi al defunto, in genere inserita in giardinetti, dove recinzioni in ferro battuto o con pilastrini e catene definivano un territorio privato. Spesso corredata da una stele è divenuta la tipologia più diffusa nelle sepolture del 1900, coprendo l’intera superficie della tomba. Nel Cimitero di Acquate si conserva una triplice tomba orizzontale a sarcofago della famiglia Pozzi, Cimitero di Acquate, campo I 2, 1874, anonimo, marmo di Carrara, pietra molera. Lastra tombale obliqua in marmo su base in pietra con iscrizioni, ritratti e croce, giardinetto bordato da pilastrini e catena in bronzo. Tomba Martelli, Cimitero di Acquate, campo S176, 1925, anonimo, granito.
Tombe orizzontali
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Lastra tombale orizzontale che, su una base di granito, simula un sarcofago con modanature e borchie in bronzo. Anche le tre tombe Anghileri, Monumentale, campo D115 e 80, 1900-1913, marmo e granito, ripetono la tipologia della lastra tombale in marmo bianco posta diagonalmente su basamento in granito. Giardinetto antistante con recinzione in ferro battuto con motivi geometrici e floreali. Spalla in marmo bianco con portaritratto ovale scolpito e motivo decorativo di due foglie d’acanto poste simmetricamente al ritratto.
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Edicole e architetture complesse
Lo spazio cimiteriale concesso per la sepoltura privata è sempre delimitato da confini territoriali ben segnato da bordura, recinzione, elementi arborei ed è caratterizzato da strutture architettoniche e scultoree più o meno complesse che riproducono in miniatura i monumenti celebrativi che fin dall’antichità hanno arredato piazze e luoghi pubblici. A volte si verifica l’esigenza di costruire un sostituto della cappella gentilizia con architetture complesse che tendono, non solo a suggerire uno spazio lineare, ma che delimitano volumi. Uno degli esempi più antichi di stile eclettico, unica superstite di questa tipologia, è la tomba Ongania, Monumentale, campo F83, 1899, anonimo, marmo di
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Carrara, serizzo, serpentino17. Un’edicola-ciborio vuota, che avrebbe dovuto contenere un vaso cinerario, si eleva su di una gradinata con modanature. Quattro pilastrini su cui poggiano colonnine con capitelli corinzi, reggenti arco a sesto acuto, timpano cupoletta e croce nel gusto eclettico. Un giardinetto, con bordura e recinzione di pilastrini in marmo bianco, racchiude una lastra tombale con croce in serpentino verde su marmo bianco. Sono qui riunite diverse tipologie di sepolture in un progetto organico che valorizza elegantemente la policromia dei vari materiali impiegati. Imponente e coerente in tutte le sue parti la complessa architettura della tomba del capitano di industria Giorgio Enrico Falk18 e della moglie Irene Dubini che, alla prematura morte del consorte nel 1887, assunse la direzione dell’industria a Lecco, tomba Falk, Cimitero di Laorca, I 112, Amilcare Mella, 1922. Addossata all’alto muro che divide i due livelli del cimitero è rivolta ad est e cattura, attraverso il mosaico dorato di fondo, i raggi del sole nascente. Due sarcofagi appaiati, uniti da un drappo centrale stilizzato, disegnati da un ricamo lineare e fasciati da una bordura a tondi che crea giochi d’ombra, divengono un altare su cui si elevano a parete: una nicchia architettonica definita da un muro in pietra grigia di fondo con cornice aggettante, due colonne con capitello ionico rielaborato reggenti sarcofago-timpano con epigrafi. Nell’intercolunnio, su fondo oro, un Cristo in Croce bronzeo con perizoma lineare, ginocchia piegate in avanti, braccia tese in diagonale dal peso del corpo, capo riverso a destra. Un giardinetto antistante bordato da una bassa cancellata in ferro battuto con portafiori e portalampade agli angoli. L’architettura del tardo liberty coniuga: elementi secessionisti nel fondo oro e floreali nella rielaborazione lineare degli elementi decorativi; richiami classici nelle architetture; suggestioni espressioniste nella scultura a tutto tondo del Cristo. Nel 1906, lo stesso ingegnere milanese Aristide Mella (1867-1941) aveva firmato il progetto per la casa Bodega in via Carlo Cattaneo, n. 69 a Lecco, un’architettura che si rifà allo Jugendstil con raffinata decorazione19. Nella tomba Brivio-Regondi, monumentale campo F29, 1921, anonimo, granito grigio d’Anzola, marmo di Carrara: da un piedestallo-gradinata si accede ad una virtuale cappella neogotica, dove architettura e scultura concorrono alla creazione dello spazio. L’arco a sesto acuto, sormontato da timpano e pinnacoli con ricca decorazione marmorea, delimita lo spazio sepolcrale rappresentato a rilievo dove si celebra la scena del compianto. Una dolente composta e abbigliata con velo e scialle di trine finemente decorati, con un rosario in mano, prega e depone una corona di fiori su di un sarcofago posto su piedistallo. Rigorosamente classica la tomba Ceppi, cimitero di Castello, campo A90, 1931, anonimo, dove, tra due stele con lesene e timpano, campeggia una colonna granitica sormontata dal globo con la croce. Nella tomba Gattini, una sorta di percorso in un giardinetto spoglio di qualsiasi accessorio conduce ad una struttura cilindrica che richiama più alla quotidianità del pozzo che ad un sacello, cimitero di Castello, campo A40, 1934, anonimo, serizzo.
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Sopra, dall’alto: Tomba Gattini, 1934, Serizzo, Lecco, Cimitero di Castello. Tomba Gozzi, 1930, marmo e cotto, Lecco, Cimitero di Castello. Nella pagina precedente, sulla sinistra: Tomba Ongania, 1899, marmo e granito serizzo, Lecco, Cimitero Monumentale. Tomba Brivio Regondi, 1921, granito, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale. Nella pagina precedente, sulla destra: Amilcare Mella, 1922, marmo, pietra, bronzo, Tomba Falk, Lecco, Cimitero di Laorca.
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Sopra, da sinistra: Giuseppe Mazzoleni, 1938, pietra e bronzo,tomba Molinari, Lecco, Cimitero Monumentale. Jennynuzzi ?, 1936, Travertino, tomba Nitti Viscardi, Lecco, Cimitero Monumentale. Sotto, da sinistra: Mario Cereghini, 1931, Serpentino e Botticino, tomba Cereghini, Lecco, Cimitero di Castello. Tomba Ceppi, 1931, granito e Serpentino, Lecco, Cimitero di Castello.
Il pozzo o fonte battesimale richiamano tutta la simbologia legata all’acqua, alla fonte inesauribile della salvezza eterna e alla purificazione. Un pesante coperchio, composto da elementi architettonici della colonna e sottolineati da leggera modanatura, custodisce la fonte e regge una leggera e lineare croce in ferro, definita dalla doppia linea continua di due tubolari di diverso spessore. Ai piedi due rami di palma incrociati. Stessa simbologia allusiva alla fonte nella tomba Gozzi, cimitero di Castello, campo A, 1930, anonimo, dove l’ambientazione rustica è data dall’arco in cotto di sapore romanico che incornicia la croce in ferro e il vaso in marmo. Negli anni Trenta il Razionalismo con le sue linee essenziali e funzionali definisce anche gli spazi commemorativi. A Lecco alcuni interessanti esempi di costruzione di spazi simbolicamente abitati. Nella tomba Nitti-Viscardi, Monumentale, campo A67, 1936, Jennynuzzi?, una costruzione a blocchi squadrati di travertino, racchiude su tre lati un grande spazio lastricato a cui si accede frontalmente con due scalini. Una rigorosa geometria rilevata sui blocchi di pietra, nella parete di fondo, e alleggerita dalle aperture architravate laterali, racchiude un trono con co-
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pertura aggettante in granito nero d’Africa su cui poggia una piccola e toccante Pietà in bronzo, la cui forza espressiva è accentuata dall’ampio spazio in cui è accolta, e dalla gelida razionalità delle architetture: un grumo di antico dolore al centro della volontà di dare forma e ordine al mondo. Un anno dopo, nel 1937, lo scultore Gino De Candido (Zurigo 1895-Lecco 1980) ripropone, nella tomba Maggioni-Frigerio, Monumentale campo F, 1937, marmo di Carrara, una delimitazione di spazi dove l’arco a tutto sesto modula le tre pareti di perimetro. La lastra marmorea pavimentale, custodita dai due archi laterali, è chiusa sul fondo da una stele-nicchia con altorilievo che coniuga un simbolismo dalla linea serpeggiante ad un austero realismo. Al centro un angelo dalle grandi ali aperte indica il cielo col braccio destro alzato: i capelli sciolti, l’ampia veste dalle mosse pieghe orizzontali che lascia intravedere l’anatomia e ricade a volute sotto i piedi nudi, vuol suggerire leggerezza e ascensionalità in contrasto con le due figure terrene poste simmetricamente davanti a lui. A destra una donna piangente col capo chino e in preghiera, secondo un’iconografia consueta, a sinistra un uomo fortemente caratterizzato come un lavoratore della terra. Ben in evidenza il volto ritratto, in abiti dimessi, zoccoli ai piedi, stringe la vanga come un santo il suo attributo e si pone rassegnato sotto la protezione dell’angelo. La tomba Faini-Miglioli, Monumentale, campo D, 1933, marmo grigio, si staglia come un arco in cui si aprono tre monofore sovrapposte: linee semplici essenziali, pur nei richiami all’antico, come nelle facciate dei palazzi degli anni Trenta La tomba Molinari, Monumentale, campo F441, 1938, del giovane architetto razionalista lecchese Giuseppe Mazzoleni (Lecco 1908-1940)20 se evoca suggestioni romaniche nell’uso dei materiali dell’ alto muro in conci di pietra grigia di Moltrasio, si ascrive nella sobrietà e nella geometria delle linee, nella coerenza dell’insieme e degli accessori, tra le prime realizzazioni del Movimento Moderno a Lecco. Architetto e scultore il Mazzoleni sintetizza in questa tomba le sue due anime; suo
Gino De Candido, 1937, marmo, tomba Maggioni-Frigerio, Lecco, Cimitero Monumentale.
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è infatti il Cristo disarticolato pendente da una croce in marmo e che col suo peso morto tende in modo esasperato le lunghe braccia. Nessuna concessione alla descrizione anatomica, solo una grande tensione verso l’alto e verso il basso degli arti che vuole spezzare in due il centro di quel corpo. Nel cimitero di Castello la tomba della famiglia Cereghini, Campo A85, 1931. progettata dall’Architetto Mario Cereghini, qui sepolto. Mario Cereghini (Lecco 1903Madesimo 1966) è sicuramente la figura di spicco delle prime stagioni del razionalismo lecchese. Nel 1930 fa parte del gruppo comasco M.I.A.R. con Terragni ed altri, che si propone un’architettura funzionale o razionale, in coerenza con i programmi di rinnovamento architettonico internazionale denominato Movimento Moderno21. Luminosità, forme libere che rispecchino le funzioni di ogni parte dell’edificio, continuità tra interno ed esterno mediante ampie vetrate, terrazzi e giardini pensili, ottimizzazione dell’uso di materiali, razionalità nella distribuzione degli spazi per evitare sprechi di superfici e di energie. Questi criteri dominanti nell’opera civile e religiosa dell’architetto trovano applicazione anche in questa architettura funeraria dove un basamento sagomato accoglie un piccolo giardino pensile e sostiene una slanciata struttura colonnare. Le cromie del serpentino e del marmo botticino si integrano perfettamente con il paesaggio arboreo che abita e circonda questo moderno tempietto, creando un insieme elegante e leggero22.
Tomba Faini-Miglioli, 1933, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale.
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comunicati stampa. Il Consiglio dell’Ospedale di Circolo di Lecco delibera il 12 giugno 1935 la commissione del gruppo scultoreo a Supino per la somma di £ 12.000 dopo aver preso visione del bozzetto presentato dallo scultore. Nella stessa sala saranno collocate altre due opere: una lapide raffigurante il Compianto Comm. Sala G. B. commissionata allo scultore Angelo Montegani £ 5.000 e un quadro ad olio di Orlando Sora £ 8.000, scontate a £ 6.000, Il 24 dicembre dello stesso anno l’opera è inaugurata.La Commisione giudicatrice del Consiglio dell’Ospedale nella lettera di affido dell’incarico, in cui approva pienamente la concezione dell’opera, suggerisce di mitigare il carattere religioso e raccomanda di non modernizzarla oltre, piuttosto avvicinarla a forme più classiche. Prealpino 13 novembre 1902” Da una tomba maestosa in pietra di Sarnico si stacca un masso di marmo bianco raffigurante una nube in cui sorridono i volti, ben modellati, di alcuni angioletti, e che racchiude un medaglione con i ritratti dei due defunti. La rassomiglianza, una vera specialità del Cogliati, è grande, solo a mio avviso vi è qualche durezza d’esecuzione”. Cfr Relazione al Podestà. Decorazione della cappella Ghislanzoni,16 giugno 1934 negli Archivi del Comune di Lecco, Cat. 4 classe 6 Fasc. 3 art. 69. L’accordo prevedeva la decorazione a pittura, doratura ad affresco delle pareti e del soffitto, con cornici e cassettoni in stucco. Altare in marmo con relativi candelieri e ornamentazioni, crocifisso in bronzo. Pavimento e rivestimento in marmo. Lavori da affidare a ditte proposte da Palerai. Aroldo Benini, Per una biografia dell’avvocato lecchese Ernesto Pozzi, in Archivi di Lecco, 1998, n. 2, pp28-43. Cfr. la Tesi di laurea di Barbara Valsecchi, Architetture del silenzio. Simboli, edifici ed impianti urbani per i trapassati. Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura, 2001. Il busto firmato E. Astori potrebbe essere di Pier Enrico Astori (Parigi 1882, Roma 1926) se si considerano la data di morte dello scultore posteriore di un anno rispetto a quella dei Armenise e la formazione lombarda moderatamente impres-
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sionista (Accademia di Brera a Milano). Il busto ritratto potrebbe essere anteriore alla morte del pittore e in questo caso essere di Enrico Astorri (San Lazzaro Albertoni-Piacenza 1859, Milano 1921) che ha vissuto e lavorato fin da giovane a Milano e in Lombardia. A. Gilardi Due affrettate parole su Carlo Vercelloni, All’Ombra del Resegone, VI (1932), 10, pp: 182-184. A. Benini Una singolare figura di organizzatore di cultura a Lecco: Carlo Vercelloni, in Lecco Economia, 1998, 1, pp. 52-57. Trattasi dell’unica sepoltura dell’epoca di cui si è rinvenuta documentazione d’archivio. Domanda di concessione, con disegno, sottoscritta dalla stessa Margherita per il defunto marito Zoja Giuseppe, negoziante integerrimo 1889. Archivi o del Comune di Lecco,Cartella 68 (IV 6 –8 2). Giorgio Enrico Falk, nato a Cernaj nel 1827, industriale del ferro. Si trasferì a Lecco da Dongo, dove dal 1863 dirigeva l’acciaieria che il padre aveva fondato, con Rubini e Scalini. A Lecco diresse e potenziò l’industria paterna. Sposò nel 1863 Irene Rubini, figlia di Giuseppe, antico socio del padre che alla sua prematura morte nel 1878 assunse la direzione dell’azienda. Gianfranco Scotti La stagione del Liberty a Lecco, in Archivi di Lecco, 1982, n. 4 pp. 497-576. g.t, Sculture, in Paesi Manzoniani, III (1935), 4, pp.1-4; Nove anni una vita: Giuseppe Mazzoleni architetto e scultore, a cura di G. Rigoli. in Lecco Economia, 1997, 3, pp.57-64. Il bronzo è riprodotto in Maria Grazia Furlani Marchi, Giuseppe Mazzoleni Architetto: nove anni, una vita in Archivi di Lecco, 1985, n. 2 pp. 227288 un saggio che analizza l’intensa attività di progettazione dell’architetto, vittima di un fatale incidente ciclistico nel 1939, che gli procura la frattura delle vertebre e la paralisi agli arti inferiori. Maria Grazia Furlani Marchi L’esperienza razionalista di Mario Cereghini, in Archivi di Lecco, 1983, n.3, pp. 457-526; M. Dell’Oro, Cereghini a Lecco, in “Domus”, 826 (maggio 2000), pp. 131-138. Tiziana Rota, Percorsi di architettura civile e religiosa tra il XIX e XXI secolo, in Itinerari lecchesi, Macchione Editore 2002, pp. 77-95.
199 Temi iconografici
1. Cfr. di Di A. Gilardi, Uberto Pozzoli, in All’Ombra del Resegone, IV (1930), 11, pp.167-173 e Uberto Pozzoli (profilo biografico) Scuola Tip. Dell’Orfanatrofio, Lecco 1932; A. Anghileri, Uberto Pozzoli, Vita e Pensiero, Milano, 1934; Frammenti di vita lecchese (cura di A.Gilardi), Lecco, 1977; Uberto Pozzoli scrittore e giornalista, in Archivi di Lecco, IV (1981),1, pp. 3-27. 2. G. Scotti e M. Magni (a cura di), Poesia tra lago e monti, pp. 58-60, Lecco 2002 3. A. Pozzi, Parole, Milano,1964; A. Pozzi, Mentre tu dormi le stagioni passano…, Milano,1998. 4. Intervista di Enzo Biagi 1989; Pietro Gheddo “Dio viene sul Fiume. 1994” Augusto Gianola: una tormentata ricerca di santità; “Dio viene sul fiume”. Biografia tratta dalle lettere a dai diari. 5. G. R. Crippa, Giuseppe Zelioli musicista ispirato, Bergamo 1970. 6. Di Panzeri il Monumento all’ingegner Eugenio Villoresi oggi in Piazza Leonardo da Vinci a Milano e il suo monumento funebre al Monumentale di Milano che racconta delle importanti opere idrauliche a vantaggio dell’agricoltura lombarda. 7. Il rilievo di G. Mozzanica, da me censito nel 2003 è stato asportato dalla tomba scaduta e collocato nello spazio d’ingresso del cimitero Monumentale. Questo è il destino di molte sculture che allo scadere della concessione vengono asportate e collocate in deposito. 8. Lo scultore genovese Supino studia a Milano con E. Bazzaro e poi con A. Wildt, raggiunge una certa fama con Il Monumento agli antichi Maestri (1925) nel cortile dell’Università di Pavia e il Monumento agli studenti caduti in guerra all’Università di Pisa. Collabora alla realizzazione del Monumento ai Caduti di Trieste. Alla galleria d’Arte Moderna di Milano due sue opere Angoscia e La meraviglia 1936. Bibliografia: Nicodemi Bezzola 1938;Bessone Aurelj 1947: Caramel e Pirovano 1974; Ottocento 1984; Panzetta 1990; Ginex Selvafolta 2003; 9. Ringrazio il Direttore della Struttura Complessa Acquisti “Ospedale di Lecco” Elvio Codega per la documentazione fornitami circa il gruppo scultoreo in questione che non risulta firmato. 10. Cfr. Archivio Ospedale di Circolo di Lecco delibere, carteggio con gli scultori,
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DECORATIVE
E SIMBOLOGIE
Nel marmo, nel bronzo, nel ferro battuto fioriscono varie specie vegetali, sono riprodotti e miniaturizzati oggetti della quotidianitĂ e ricreati giardini per testimoniare il ricordo imperituro ed elaborare il lutto di chi resta. Abili artigiani rappresentano, con raffinati prodotti di grande perizia manuale ormai perduta, una simbologia vasta ed eterogenea, testimonianza di una cultura che ha le sue radici nel mondo classico oltre che cristiano-cattolico.
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nalizzando le sepolture precedenti agli anni Trenta, anche realizzate da scalpellini anonimi e da artigiani del ferro battuto, ci si imbatte in raffinati prodotti artigianali e in una simbologia vasta ed eterogenea, testimonianza di una cultura che ha le sue radici nel mondo classico oltre che cristiano-cattolico. Non mancano esempi di una simbologia legata all’Antica Muratoria e alla sua diretta erede culturale: la Massoneria. La disamina di alcuni di questi pregevoli manufatti permetterà di mettere a fuoco la perizia operativa e la creatività che si esprime soprattutto negli intagli e nei decori, nelle battiture degli accessori: portalumini, portafiori, cornici, recinti e stele, e di cogliere questa ricca simbologia. Arti decorative e simbologie
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Sopra: Anonimo, tomba Galli, 1913, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale. Nella pagina precedente: Anonimo, Colonna spezzata, tomba Biffi, 1912, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale, particolare. Nella pagina successiva, dall’alto: Anonimo, tomba Rizzi, 1883, marmo, Lecco Cimietro Monumentale. Anonimo, tomba Mauri, 1900 ca., marmo, Lecco, Cimitero di Rancio. Anonimo, tomba Ratti, 1925, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale.
Nel marmo e ferro battuto fioriscono infatti varie specie vegetali, sono riprodotti e miniaturizzati oggetti della quotidianità e architetture e ricreati giardini per testimoniare il ricordo imperituro ed elaborare il lutto di chi resta. In questo ricco panorama iconografico, ormai ridotto, nei cimiteri odierni, ai minimi termini, si può assistere ad una stratificazione di simboli ed iconografie provenienti da varie culture figurative delle epoche precedenti. Nella sua complessità il simbolismo funebre, analizzato negli esempi presenti nei cimiteri di Lecco, può essere riassunto nella rappresentazione di idee e immagini che esorcizzando le inquietudini più profonde dell’essere umano nei confronti della morte, esaltano la divinità, suscitano speranze di vita eterna, sperano nel trionfo del bene sul male, enfatizzano le virtù del defunto e ricordano la fugacità della vita1.
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L’Angelo
“BERNARDINO RIZZI ONORATO GIURECONSULTO SPENTO IL 17 MAGGIO 1883 NEL MEZZO DELLA SUA BRILLATE CARRIERA A SOLI 36 ANNI DI ETÀ MARIETTA MOIOLI, TENERA DEGNA DI LUI CONSORTE CHE CANDIDA COME LA COLOMBA SPICCAVA IL VOLO A RAGGIUNGERLO IN CIELO IL 25 SETTEMBRE 1884. L’ORFANA FIGLIA GIULIA PREGA LORO DEI GIUSTI L’ETERNA PACE. ALLA CARA MEMORIA DI F. RIZZI RAPITO ALL’AMORE DEI SUOI GENITORI.”
Sta in piedi appoggiato ad una roccia sulla gamba sinistra ripiegata l’angioletto nudo con due piccole ali e un fiore stretto al petto. Il naturalismo della posa e la
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L’
angelo nella storia dell’arte è sempre servito ad unire due mondi, il materiale e lo spirituale, come intermediario tra l’uomo e il divino. Nel mondo funebre assolve diversi compiti, come guida delle anime, come guardiano delle tombe o come speranza e promessa del regno celeste. Nella cultura europea di fine Ottocento e di fenomeni di gusto come l’estetismo, il simbolismo e il modernismo prende poi le forme di una donna ed ha un significato iconografico molto più ambiguo. Sono ormai rare nei nostri cimiteri le rappresentazioni dell’angelo custode, un tempo molto frequente sulle tombe dei bambini e concentrate in zone circoscritte. La matrice iconografica dell’angelo custode risale alla cultura greca in cui Eros, nato da Afrodite e da Hermes, è l’entità cosmica, principio animatore dell’universo. Rappresentato nell’antica Grecia come un fanciullo nudo e alato, armato di dardi che, una volta scagliati, suscitavano la passione amorosa, Cupido per i Romani, divenne, dopo il IV secolo, nell’iconografia cristiana, il putto alato spesso rappresentato solo con una testa alata di fanciullo, per sottolinearne l’incorporeità. Nella tomba Rizzi, Monumentale, campo E57,1883, marmo di Carrara, anonimo, la più antica sopravvissuta nel cimitero, un putto alato in volo sparge rose sulla sepoltura a cui rivolge protettivo lo sguardo. Un panneggio svolazzante sottolinea il movimento e mitiga l’impressione di una crocifissione suggerita dalla croce che gli fa da sfondo e lo sorregge. È la tomba di due adulti e del loro figlioletto come recita l’iscrizione:
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somiglianza con la foto della piccola Eugenia di anni due fa pensare ad un ritratto, tomba Mauri, cimitero di Rancio, campo A, inizio Novecento, marmo bianco, anonimo. Un probabile riuso l’angioletto con tunica corta, riccioli morbidi che sparge rose simbolo della caducità della vita, sulla tomba di Carlo Dell’Oro, mancato a pochi mesi di vita nel 1973 e sepolto nella tomba Ratti, Monumentale, campo C 6, 1925, marmo di Carrara, anonimo, dove una dolente classicamente panneggiata in tunica dalle morbide pieghe, si appoggia mestamente ripiegata al cippo spezzato del giovane Aldo (1908-1925). Anch’essa reca rose da aggiungere al composito mazzo già posto sulla tomba.
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Sopra, dall’alto: Anonimo, tomba Bolis, 1937, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale. B. Tavegini, tomba Corti-Menicatti, prima metà del 1900, marmo, Lecco Cimitero Monumentale. A destra: A. Castelli, tomba Spreafico, 1922, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale. Nella pagina successiva: Anonimo, tomba Tucci, 1937, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale.
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La figura femminile con richiami classici nelle vesti ma con le linee morbide e le fioriture del liberty è l’erede delle figure angeliche classiche che comunque continuano ad essere presenti fino ai primi decenni del Novecento. Sulla tomba Galli, Monumentale campo F, 1903, marmo di Carrara, anonimo, un angelo adulto a grandezza naturale, maestoso nel gesto solenne di porre una corona di fiori sulla croce drappeggiata da un nastro funebre, conserva inalterati gli attributi angelici. Più dinamico e lieve l’angelo che sparge le caduche rose, tra le quali è inserito il ritratto della giovane defunta nella tomba Bolis, Monumentale campo E, 1937, marmo d Carrara, anonimo. L’incedere leggero dei piedi nudi, visti nella trasparenza dei volteggi di seta mossa dal vento, i capelli fermati dal nastro ma lunghi e svolazzanti, il gesto ampio del seminatore sono resi con uso sapiente dello stiacciato e del rilievo. I fiori, sia quelli naturali che quelli rappresentati, svolgono un ruolo importante e sono un elemento indispensabile per l’iconografia dell’angelo funebre che porta ghirlande, cesti, corone e rami e che con un gesto tipico sparge fiori sulle tombe. I vari fiori possiedono significati differenti e propri, ma in generale ricordano la primavera, la bellezza e la brevità della vita come precisa il libro di Giobbe: “L’uomo nato dalla donna vive un tempo breve, è pieno di inquietudine, cresce come un fiore e come un fiore cade, fugge come l’ombra, e di lui nulla rimane”. L’angelo inginocchiato, di profilo con grandi ali ripiegate, della tomba Spreafico, Monumentale, campo F38, 1922, marmo di Carrara, altorilievo di A.Castelli quasi inscritto nella linea dolce delle ali ripiegate, della capigliatura fluente, dei panneggi della tunica, si adagia in un campo fiorito. Le corolle stilizzate, forse margherite, sono riproposte nel ferrobattuto dei vasi e del portalumini in un insieme estremamente coerente. Anche l’angelo a tutto tondo, inginocchiato sulla tomba Rovagnati, Cimitero di Ca-
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stello, campo B157, 1940, anonimo, marmo di Carrara, intercede ai piedi di una scala che conduce al Calvario. Il giovane angelo benedicente della tomba Corti-Menicatti, Monumentale, campo D20, marmo di Carrara, di B. Tavegini, prima metà del 1900, appoggiato su un letto di fiori è stretto parente della figura femminile della tomba Tucci, Monumentale, capo C579, marmo di Carrara, 1937, anonimo, che ha perso le ali, ma mantiene una certa sacralità così incorniciato dall’aureola. Angeli domestici famigliari, teneri custodi della memoria oltre che della vita suonano dolci melodie e si distinguono dagli angeli annuncianti, con le spade e le trombe ambasciatori del divino, come l’angelo bronzeo sulla cappella Redaelli, Cimitero di Laorca, o l’angelo col simbolo funerario della fiaccola rovesciata sul cippo di Giovanni Pozzi, Cimitero di Acquate. Il realismo del ritratto nella tomba Riva, Monumentale, campo D 89, marmo di Carrara, A. Castelli, anni Venti del 1900, si coniuga ai simboli classici dell’angelo e della colonna spezzata, come nel bassorilievo della tomba Aldeghi, Cimitero di Acquate, campo S 20, marmo di Carrara 1934, dove un angelo inginocchiato, di profilo, piange la giovane vita spezzata rappresentata dalla colonna. La scena è ambientata nel paesaggio nuvoloso con una chiesa in prospettiva.
A sinistra, dall’alto: Anonimo, tomba Palezzato, 1961, ceramica di Albissola, Lecco Cimitero Monumentale. Anonimo, cappella Redaelli, bronzo, Lecco, Cimitero di Laorca.
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La colonna spezzata
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“UNICA SPERANZA FIORE DI GIOVINEZZA UCCISO A QUATTORDICI ANNI QUANDO GLI SORRIDEVA LA VITA ILLUMINATA DALL’INTENSO AMORE DEI GENITORI.”
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ei cimiteri ottocenteschi il tema della colonna spezzata è molto ricorrente. Ha un riferimento simbolico preciso: rappresenta la morte poiché ricorda le colonne spezzate del Tempio di Salomone che alludono alla cacciata di Adamo e di Eva dal Paradiso Terrestre. Dedicata in genere a morti premature, si presenta come cippo isolato corredato da altri simboli floreali o come parte di una composizione con figure. Nella tomba Maldifassi, Monumentale, campo F, 1922, marmo di Carrara, anonimo (fratelli Monti Mi), la colonna che, descritta con base e capitello, allude all’albero della vita, è minutamente scolpita nei due frammenti in cui si è franta ed è elemento significativo della elaborata composizione. Elemento classico puntualizzato nell’elaborato capitello corinzio e nelle scanalature, si inserisce in un’ambientazione naturalistica e narrativa oltre che simbolica: la roccia ammassata e in parte scolpita con fiori, la dolente pensosa con la bella tunica annodata e dai bordi finemente ricamati, il bouquet abbandonato in grembo. Il cartiglio con la foto e l’epigrafe precisano soltanto il chiaro messaggio dell’iconografia.
Anonimo, tomba Aldeghi, 1934, marmo, Lecco, Cimitero di Acquate. Anonimo, tomba Maldifassi, 1922, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale.
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Piante, fiori e frutti
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Sopra: Anonimo, tomba Redaelli, 1913, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale. Sotto, da sinistra: Anonimo, tomba Anghileri, 1900, marmo, Lecco Cimitero Monumentale. Anonimo, tomba Anghileri, 1913, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale.
ella tomba Biffi, Monumentale, D75, 1912, anonimo, marmo di Carrara, un ammasso di rocce, pietra molera percorsa da solchi paralleli, regge una colonna marmorea e un cartiglio. La colonna con la base intatta è spezzata alla sommità, dove è cinta da una galla funebre e da un ramo di papaveri, simbolo dell’oblio della morte, spesso presenti nei decori simbolici floreali. Il papavero, dalle proprietà narcotiche, è il simbolo della caducità, del sonno eterno e dell’oblio che si impadroniscono degli uomini dopo la morte. Già i Greci rappresentavano Hypnos, il Sonno, Thanatos, la Morte e Nyx, la Notte, con il capo coronato di papaveri. Un mazzo di fiori tra cui primeggia il papavero ben descritto con corolle e frutti sovrasta una colonna spezzata nelle tombe Locatelli, Cimitero di Acquate, S163, anni Venti del 1900, anonimo, marmo di Carrara. Nel mazzo anche il giglio o iris e una foglia di acanto. Il giglio simbolo per eccellenza della castità e della purezza è un attributo della Vergine Maria, come l’iris che allude, per la forma delle sue foglie simili ad una spada che trafigge il cuore, al dolore della madre che ha perso un figlio. Decori con foglie d’acanto adornano l’altare su cui si leva il pilastro spezzato della tomba Redaelli, Monumentale, campo D76, 1913, anonimo, marmo di Carrara, uno splendido mazzo di rose e non ti scordar di me è appoggiato frontalmente e l’edera incornicia il ritratto. La rosa, simbolo dell’amore, sacra a Venere, aveva nel-
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l’antichità anche una connotazione funeraria, che divenne nel Cristianesimo l’immagine del tormento dei martiri. Per la sua breve durata è simbolo della caducità della vita. La sua struttura concentrica evocava, presso i Latini, l’idea della ruota, simbolo del tempo che corre e dell’eterno ciclo di vita-morte. L’acanto è il motivo simbolico decorativo che incornicia il ritratto ovale delle tombe gemelle Anghileri, Monumentale, campo D80, 1900, anonimo, marmo, riproposto poco più discosto nella tomba Anghileri, Monumentale, campo D115, 1913, anonimo marmo. Acanto è il nome della ninfa che respinse Apollo, dio delle arti e per questa sua ritrosia fu mutata in pianta carnosa dai bei fiori, affascinante ma spinosa, delegata a tenere lontano dai luoghi sacri le divinità maligne. La pianta conservò questo potere di difesa contro gli spiriti del male anche riprodotta nel legno e nel marmo e divenne l’elemento base di capitelli e di fregi decorativi in luoghi sacri. Nella tradizione cattolica è simbolo di resurrezione e vita eterna. Ancora l’edera avvolge la colonna spezzata della tomba Vitali, Cimitero di Acquate I, 1916, anonimo, marmo di Carrara. L’edera, insieme alla vite attributo di Bacco, assume in questi contesti significati di vita eterna, devozione e fedeltà. Essendo un rampicante che cresce abbracciandosi ai tronchi degli alberi ha ispirato riferimenti all’amore e all’amicizia, diventando simbolo di fedeltà e affetto perenne. In quanto sempreverde nell’iconografia cristiana e medioevale diviene emblema dell’immortalità dell’anima dopo la morte. I sui rami intrecciati, adorni di minute foglie battute nel ferro, spesso incorniciano i ritratti dei defunti. Le fronde del salice piangente ricadono sulla stele della tomba Bonaiti, Monumentale, C474, 1910, anonimo, marmo di Carrara, adorna di un vaso di rose e su cui si arrampica anche un ramo d’edera. Lunghi rami di salice spuntano e cadono dalla croce nodosa a cui la giovane dolente porta un mazzolino di fiori nella tomba Odobez, Cimitero di Rancio A95, 1910 anonimo, marmo bianco, in pessimo stato. Il salice piangente, albero sacro a Persefone, figlia di Demetra, che fu rapita da Ade e portata nell’Aldilà, dove divenne la regina, con i suoi rami cadenti che sfiorano la terra e le foglie pendule evoca le lacrime e diventa l’emblema del ricordo, della malinconia e del compianto. Pianta elegiaca e romanticamente triste è anche immagine di grazia e di bellezza, oltre che simbolo di resurrezione e di immortalità per la facoltà che hanno i suoi rami recisi di mantenersi sempre verdi. Nubi minacciose, quasi flutti travolgenti, sovrastano il gesto pietoso della giovane donna ammantata che lascia cadere rose e tulipani ai piedi di una croce, sceglien-
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In alto, da sinistra: Anonimo, tomba Bonaiti, 1910, marmo, Lecco Cimitero Monumentale. Anonimo, tomba Odobez, 1910, marmo, Lecco Cimitero di Rancio. Sopra: E. Penna, cappella Calvi Tubi, marmo, Lecco, Cimitero di Castello.
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Anonimo, tomba Fumagalli, 1922, marmo, Lecco, Cimitero di Castello. Anonimo, tomba Cornelio, 1924, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale. Anonimo, tomba Crotta, 1892, marmo, Lecco, Cimitero di Laorca.
doli dal mazzo che stringe al petto nella tomba Maggi, Monumentale, campo E451,1930, rilievo marmo di Carrara, anonimo. Immersa tra i gigli, fiore tra i fiori, la morbida figura del rilievo riusato nella tomba Corti, Monumentale, campo D232, 1925, anonimo, marmo di Carrara. Nella cappella Calvi-Tubi, Cimitero di Castello, marmo, F. Penna, una figura femminile ascensionale si leva da un cespuglio composito di fiori dove si distinguono oltre alle rose e ai gigli mazzi di ortensie. Evidente il riferimento al dipinto simbolista di Gaetano Previati, Il sogno. Una delle immagini più frequenti è la fiaccola, un simbolo profondamente relazionato con il mondo funebre dei primi cristiani. Se la fiaccola rovesciata o spenta è simbolo di morte, la fiaccola accesa e alimentata è il riferimento alla vita eterna. Eccola campeggiare con le sue volute di fumo in forme orientaleggianti nella lampada che richiama la magia delle favola di Aladino, nella stele della tomba Fumagalli, cimitero di Castello, campo B119, 1922, anonimo, marmo di Carrara. Le fanno da controcanto gli steli mossi dal vento delle canne e gli anemoni che fioriscono un po’ ovunque attorno alla croce. L’Anemone, Anemos in greco significa vento, sul sepolcro sottolinea la fugacità e la fragilità della vita umana. Il mito classico racconta che Anemone, ninfa della corte di Chloris, la dea dei fiori, fece ingelosire con la sua bellezza la dea che la trasformò in questo fiore dalla corolla fragilissima, destinata a schiudersi precocemente e a disperdere i suoi petali nell’aria al minimo soffio di vento. Anemoni giganti creano cespugli attorno all’angelo sul rilievo della lapide Bonacina, Cimitero di Rancio, 1918, marmo bianco. Sul piedistallo marmoreo che regge la croce nella tomba Cornelio, Monumentale, campo D116, 1924, anonimo, marmo di Carrara, nel repertorio di simboli vegetali, papavero, acanto finemente scolpiti, campeggia una foglia di palma ripiegata sul cartiglio.
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Simbolo del trionfo sulla morte la palma fin dall’antichità associata al mito del Sole per la disposizione delle foglie simili a raggi, evoca immagini di gloria e immortalità. Per la cultura cristiana è emblema della vittoria nel senso del trionfo del martirio sulla morte e oltre che come attributo dei martiri, compare spesso sulle tombe. Anche l’alloro, pianta sacra ad Apollo e a Giove, simboleggia la vittoria, la vita eterna. Per la dottrina cristiana, in quanto sempreverde e per le foglie che non si deteriorano mai, è simbolo di eternità e, in ambito funerario, allude all’amore e al ricordo eterno dei famigliari. Eccolo comparire come motivo decorativo, oltre che simbolico, negli accessori in ferro battuto come i porta fiori e le bordure in bronzo. Un profluvio di fiori, rose, gigli, papaveri, anemoni, violette e anche campanule, nella corona che cinge la croce della tomba del Sacerdote Valentino Crotta, Cimitero di Laorca S, 1892, anonimo, marmo di Carrara: PER 52 ANNI COADIUTORE A LAORCA SCHIAVO DEL DOVERE ANCHE NELLE CALAMITÀ PUBBLICHE, INFATICABILE, CARITATEVOLE, ONESTO SI MERITÒ LA STIMA DEL GIUSTO E IL COMPIANTO DEI BUONI. ANIMA ELETTA POSSA L’ESEMPIO DELLA TUA VITA SERVIRE D’ESEMPIO AI TUOI INCONSOLABILI NIPOTI.
Un richiamo alla ricchezza della natura che contrasta con la solennità dell’epigrafe per ricordare una vita dedita all’impegno, altrove rappresentata con i simboli tradizionali del sacerdozio, stola, libro, copricapo appesi ai rami dell’ulivo come nella tomba Cima, Cimitero di Rancio, campo A, 1885, anonimo, marmo di Carrara, di pochi anni prima e caratterizzata da analoga vita esemplare, come recita l’epigrafe: PER OLTRE 50 ANNI ESEMPLARE SACERDOTE ALLA CAPPELLANIA DI CASTIGLIONE, MAI TRASCURÒ IL POVERO E L’AMMALATO A CUI SOLLECITO PRESTÒ SUE AMOROSE CURE MASSIME NELLE EPIDEMIE CHE DESOLARONO IL PAESE. DIO LO PREMIÒ CON IL GAUDIO ETERNO.
Qualche variazione nei simboli, aspersorio e croce al posto dell’ulivo, nella tomba dei Sacerdoti di Olate, Cimitero di Castello, campo B97, anonimo, 1956, marmo di Carrara e nella edicola a muro Panzeri, Cimitero di Castello, di fine 1800, anonimo. Nella vicina edicola a muro Secchi Cimitero di Castello, l’ulivo emblema della pace in ogni cultura e religione, compare nella lapide dedicata ai laici. Pianta sacra a Minerva che, come divinità guerriera e figura opposta a Marte, combatte per mantenere l’ordine e le leggi nel contesto cristiano assume il significato pasquale di resurrezione. Ancora un nastro funebre e corone di fiori nella cappella gentilizia della famiglia Sala Cimitero di Castello, 1866, anonimo, marmo di Carrara. Una scultura a tutto tondo composta dalla Croce con galla funebre, arricchita da drappo in pizzo
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Anonimo, tomba Cima, 1885, marmo, Lecco, Cimitero di Rancio.
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e intrecciata a un ramo di cipresso e corona funebre floreale sul coperchio del sarcofago, rose e papaveri, caratterizzata da finissima lavorazione al trapano. Il cipresso simbolo del lutto e della morte era la pianta sacra a Plutone, dio degli Inferi ed è legato alla leggenda del giovane Ciparisso che chiese agli dei di essere trasformato in cipresso dopo aver inavvertitamente ucciso un cervo. Da allora il cipresso è l’albero del dolore che cresce vicino a chi soffre, simbolo di dolore inconsolabile. Una quercia frondosa protegge con la sua chioma la tomba a cui si reca la giovane donna che alimenta la lampada posta sulla stele nella cappella Spreafico, Cimitero di Castello: intorno un fiorire di anemoni secondo gli stilemi liberty. Foglie e frutti della quercia attorno ai rami nodosi della croce nella cappella Crivelli sulla tomba della contessa Salazar, Cimitero di Castello, 1928, anonimo, marmo di Carrara. La quercia, albero sacro a Giove, nella tradizione cristiana assume il significato di albero della vita, e per il suo legno incorruttibile, anche il significato di salvezza e del vigore fisico e morale. Un ceppo di legno resistente, materiale da costruzione come il larice o il castagno, troncato come inedita colonna spezzata sulla tomba Braga, Monumentale campo A, Bronzo, Architetto Carlo Braga.
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In alto, da sinistra: Anonimo, cappella Sala, 1866, marmo, Lecco, Cimitero di Castello. Anonimo, cappella Crivelli, tomba della contessa Salazar, 1928, marmo, Lecco, Cimitero di Castello. Sopra: C. Braga, cappella Braga, bronzo, Lecco, Cimitero Monumentale. Nella pagina successiva, dall’alto: Anonimo, tomba Bolis,1897, marmo, Lecco, Cimitero di Laorca. Anonimo, cappella Figini, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale.
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Animali
L’AVVOCATO DOTTOR GIUSEPPE BOLIS CHE SERENAMENTE SPI-
RAVA LA SERA DEL 18 LUGLIO 1897 DOPO 50 ANNI DI VITA ONESTA E LABORIOSA TRASCORSA DIFENDENDO I DEBOLI SOCCORRENDO I POVERI CHE MORENDO LARGAMENTE BENEFICAVA”.
L’uccello deposita un ramo di rose sul cartiglio dispiegato sulle rocce, dallo stesso lato in cui grossi papaveri da oppio crescono, rigogliosi di foglie e frutti. Associata all’ulivo, la colomba è, per la tradizione antico-testamentaria ed evangelica, simbolo di rigenerazione e di rinascita. Nella tradizione laica è divenuta il simbolo della pace e della bontà d’animo del defunto descritta nell’epigrafe. La colomba porta l’ulivo alla croce nella cappella Figini, Monumentale, marmo. Attributo di Giove, regina dei cieli, l’aquila ha assunto sin dall’antichità significati legati alla potenza e alla vittoria ed è stata scelta come simbolo araldico da numerosi sovrani; nella scultura monumentale è spesso legata al ricordo dei caduti, in particolare, ma non solo, dell’aviazione. Un’aquila campeggia all’altezza di 6 metri su di un’architettura classica, due colonne doriche ed elementi di trabeazione, “PRO ARIS ET FOCIS” nel Monumento ai caduti di Castello. Nel bronzo, opera firmata dello scultore Francesco Confalonieri, realizzata nel 1920 a ricordo dei caduti della Prima Guerra Mondiale, un’aquila dalle ali dispiegate, il capo sollevato verso il vento che scompone appena il piumaggio, stringe negli artigli lo stemma di Lecco, un ramo d’ulivo e uno di quercia2.
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U
na colomba si posa sulla tomba Bolis, Cimitero di Laorca, campo I, 1897, anonimo, marmo di Carrara, dedicata “ALLA MEMORIA DEL-
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Dall’alto: Francesco Confalonieri, Monumento ai caduti di Castello, 1920, bronzo, Lecco, Castello. Anonimo, tomba Pietro Magnani, 1936, bronzo, Lecco, Cimitero di Castello. Anonimo, tomba Antonio Dell’Oro, 1840, bronzo, Lecco, Cimitero di Laorca
Maestosa l’aquila caduta, un’ala dispiegata, l’altra ripiegata sotto il corpo vacillante a ricordo del giovane aviatore Pietro Magnani, Cimitero di Castello, campo C194, 1936, anonimo, bronzo. Lo scultore animalista, non ancora identificato, coglie il dinamismo e la sorpresa del volatile colpito che cadendo non rinuncia ad ergersi sul collo e a mostrare la potenza dell’ala integra. Descrizione vivace e naturalistica dei piumaggi e del temperamento dell’animale che si carica nel contesto di valenze simboliche che rimandano al valore del soldato. Nella tomba di Antonio Dell’Oro, Cimitero di Laorca, 1940, anonimo, bronzo, un’aquila caduta sulla roccia, rigida nella morte, con le ali aperte a croce testimonia del sacrificio del “CAPITANO, PILOTA D’ASSALTO, EROE DEI CIELI D’AFRICA, MED. D’ORO V.M 8-10-1940”. Riferimento più realistico al ruolo del defunto l’elica posta verticalmente al lato del cippo. Nella tomba di Cristina Riva, Monumentale, campo B, Luigi Milani, bronzo, la piccola di soli due anni cerca di afferrare una farfalla che nell’arte cristiana allude all’anima risorta: con le sue tre fasi di sviluppo, larva crisalide, farfalla, rappresenta l’intero ciclo della vita, morte e resurrezione. Il leone, sin dall’antichità considerato l’emblema della forza e della fierezza, appare spesso nell’iconografia sacra e in quella profana con significati ambivalenti. Indiscusso attribuito della fortezza rappresenta l’eroismo e il valore dei combattenti come il leone studiato dal vero da Giuseppe Grandi nel Monumento alle Cinque giornate di Milano, collocato al centro della omonima piazza del capoluogo lombardo. Lo scultore milanese Michele Vedani, vincitore del concorso per il Monumento ai caduti di Barzio (1923) ha certamente presente il capolavoro dello scultore scapigliato quando propone un leone in sostituzione della sperimentata aquila. Il leone di Vedani posto al centro della piazza, ruggente mentre difende il tricolore, rappresenta una vera novità nel panorama dei monumenti coevi. Sembra di intuire dalle foto d’epoca la tensione vigile dell’animale e quella trattazione mossa e vibrante delle superfici che richiama le soluzioni stilistiche di Grandi.
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Durante la seconda guerra mondiale il monumento venne requisito e rifuso per scopi bellici. Nel 1952 fu inaugurato il nuovo monumento dello scultore Giuseppe Mozzanica che oggi campeggia al centro della piazza. Ancora un leone che difende la bandiera su un monolite di granito a cui furono applicati i due bassorilievi superstiti di Vedani e, a sottolineare la continuità con il passato, i versi patriottici del dott. Remo Buzzoni. “RUGGI NON DOMO ED ECO FA IL PIOVERNA/ FORTE NELL’UGNE IL TRICOLORE SERRI/ SIMBOL CHE NOSTRA FE’ NEL BRONZO ETERNA”3.
L’agnello, da sempre simbolo dell’innocenza, veniva offerto in sacrificio dagli ebrei durante la Pasqua; adottato dalla religione cristiana nella cui iconografia assume una grande importanza, diviene il simbolo del Cristo e del suo sacrificio. Nel rilievo di Ernesto Bazzaro per la cappella Malugani, Monumentale, e nel tuttotondo di Emilio Agnati per la tomba Milani, Monumentale, campo A 34, gli agnelli che compongono il gregge del Buon Pastore esprimono il simbolo attraverso una forte resa naturalistica. L’agnello addormentato sulla tomba Rossi, Monumentale, campo E, 1967, Giuseppe Mozzanica, bronzo, così steso sull’altare assume più connotazioni sacrificali.
Dall’alto: Giuseppe Mozzanica, Monumento ai caduti di Barzio, 1952, bronzo, Barzio. Giuseppe Mozzanica, tomba Rossi, 1967, Bronzo, Cimitero Monumentale. Ernesto Bazzaro, cappella Malugani, 1930, bronzo, Lecco, Cimitero Monumentale.
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Alfa e omega
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A
lfa e omega, la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco che diventano simbolo della trascendenza, inizio e fine del cosmo, compaiono in alcune tombe dei primi decenni del 1900. Stanno ad indicare che la persona sepolta ha in Dio il suo principio e la sua fine e si accompagnano spesso al crisma cristiano che, sempre utilizzando l’alfabeto greco, serve ad indicare il monogramma di Cristo. Nella tomba Gilardi, Monumentale, campo C9, 1919, M. Lochis, bronzo, tra l’alfa e l’omega si colloca una deposizione del Cristo retto da Giovanni e Nicodemo, a rilievo. Nella tomba Guazzoni, Monumentale, campo E7, 1914, anonimo, bronzo, tra i due estremi si colloca un rilievo di soggetto laico: una figura allegorica indica un sole nascente sullo sfondo del mare. Il paesaggio simbolico comprende crisantemi e rami di spine. Sull’architrave della organica architettura in marmo campeggia una grande fiaccola in cui arde un fuoco dalle fiamme debordanti. Nel cancello in ferro battuto della cappella Malugani, Monumentale, Ernesto Bazzaro, pendono appesi alle catene dei due battenti due figure geometriche, un triangolo con un foro a sinistra ed un cerchio a destra, probabile stilizzazione dell’alfa e dell’omega.
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Arte muratoria
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Sotto: Anonimo, tomba Vanoli,1894, marmo, Lecco, Cimitero Monumentale. Nella pagina precedente: Anonimo, tomba Guazzoni, 1914, bronzo, Lecco, Cimitero Monumentale. Ernesto Bazzaro, cappella Malugani, 1930, ferro battuto, Lecco, Cimitero Monumentale.
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ulla lastra della tomba Vanoli, Monumentale, campo C71,1894, anonimo marmo, un ramo di palma inciso lega fra loro alfa, omega e crisma. Nell’alzata architettonica della tomba, sormontata da una croce in granito, probabile aggiunta successiva, tra i ritratti dei defunti compaiono incisi la squadra, il compasso e il regolo simboli dell’antica Arte Muratoria fatti propri dalla Massoneria. Poco frequenti e pur discretamente presenti questi strumenti di lavoro possono alludere ad una professione, ma più specificamente rappresentano valori di riferimento quali la rettitudine dell’azione, la misura della ricerca, la precisione dell’esecuzione. La squadra simboleggia l’equità, l’equilibrio, l’azione dell’uomo sulla materia, quindi su sé stesso; il compasso rappresenta il pensiero nei diversi cerchi che percorre e le aperture delle sue aste indicano diversi metodi di ragionamento: larghi o serrati ma sempre coerenti. Nella sua apertura massima misura
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il dominio che può raggiungere il genio umano, quindi l’immensità dell’inesplorato. Il regolo diventa simbolo della rettitudine, della legge, del metodo. Se associato al compasso permette di tracciare tutte le figure geometriche. Anche il motivo decorativo inciso nel terzo gradino potrebbe rappresentare il cordone a nodi che simboleggia l’unione che lega indissolubilmente tutti i Massoni. Nella tomba Ghislanzoni, Monumentale D77, 1900, Luigi Broggi, porfido e bronzo, i ritratti di padre e figlio sono inscritti nella stella a cinque punte di cui si legge in modo evidente la punta superiore, una sorta di timpano architettonico che chiude il rilievo con i rami di palma. Nella parte inferiore sotto le volute delle nubi o delle fiamme, un triangolo rovesciato. La Stella a cinque punte, una sola in alto, Stella Fiammeggiante è un simbolo caro ai Massoni, formata da una linea spezzata continua, deriva dal triplice triangolo intrecciato dei pitagorici, detto pentagramma: unico centro da cui si irradia la vera luce secondo i Massoni. Considerata la geometria dell’insieme in cui si evidenziano potenzialmente sei punte, potrebbe trattarsi di un esogramma, formato da due triangoli equilateri opposti e intrecciati che nella simbologia massonica, coerentemente con quella ebraica, rappresenta il sigillo di Salomone. Anche la candela accesa, posta a lato dell’edicola, può rappresentare un elemento ternario: Corpo, Anima, Spirito e assume così il simbolo della sublimazione spirituale. Le due colonne spezzate completano una simbologia di questo altare laico e privo di riferimenti religiosi. Due fedi spezzate in bronzo testimoniano l’amore coniugale nella geometrica e sobria tomba razionalista Aprà-Leone, Monumentale, campo A61, 1936, anonimo, marmo e bronzo.
Luigi Broggi, tomba Ghislanzoni, 1900, porfido e bronzo, Lecco, Cimitero Monumentale. Anonimo, Tomba Aprà-Leone, 1936, marmo e bronzo, Lecco, Cimitero Monumentale.
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Accessori: recinzioni e cornici, portalumini e porta fiori
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L’
uso di ricreare delle recinzioni attorno alle sepolture, teso a delimitare un’area di rispetto non calpestabile, divenne un elemento decorativo per impreziosire anche le tombe a cippo e orizzontali o per creare una sorta di giardinetto in cui coltivare la memoria personale dei propri defunti. Nelle tombe più antiche sopravvivono esempi di recinzioni in ferro battuto molto diffuse nel periodo romantico, progressivamente sostituite dalle bordure in marmo, cordoli, nella seconda metà del 1900. Semplici e lineari volute nella tomba Erba, Monumentale, campo C68,1894 e Monti, Monumentale campo C87,1900 o elaborati racemi tomba Wiesmann, Cimitero di Rancio campo A77, 1894, anonimo, o raffinate composizioni floreali simboliche in cui si intrecciano rose, papaveri e tulipani, tomba Piccamiglio, Monumentale campo C61, 1909, o ancora pesanti cancellate, tomba Anghileri, Monumentale, campo D115, 1913, anonimo. A volte il marmo o la pietra si alternano in pilastrini sagomati e reggono catene o tubolari in ferro come nelle tre tombe Pozzi, Cimitero di Acquate, campo I2, 1874, anonimo, marmo e pietra molera, tra le più antiche presenti nei cimiteri del territorio o nella a tomba Sghedoni, Cimitero di Maggianico, campo B20, 1891, anonimo, marmo, o la tomba Balzaretti, Cimitero di Maggianico, A38, 1911, anonimo, marmo di Carrara.
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Anche gli accessori sopravvissuti a rinnovi e ristrutturazioni delle tombe testimoniano di un gusto e di una perizia artigianale di livello elevato ed oggi perduta. Spesso in questi particolari si scoprono piccole opere d’arte come negli esempi d’autore dove lo scultore modella figure perfettamente coerenti nell’iconografia e nello stile all’opera scultorea e architettonica della tomba. Angeli, scene di compianto, soggetti religiosi, simboli classici, sono i soggetti di questa scultura minore per dimensione non certo per qualità. Il liberty nella sua versione floreale ha poi dato grande impulso alla fioritura decorativa in cui le valenze simboliche dei vegetali assunte e per i loro significati funerari si trasformavano in ricchi e raffinati decori. La versione più arcaicizzante e
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lineare della stagione dell’art nouveau ha poi caratterizzato una produzione di ascendenza archeologica o di essenziale geometrizzazione come testimoniato da alcuni esempi sopravvissuti e riprodotti. Altra tendenza presente nei portalampade dei primi decenni del Novecento è la miniaturizzazione di edifici simbolo, o di oggetti caratterizzanti la vita professionale del defunto. Ecco allora piccole chiese o campanili, cappelle o mausolei sul cui tetto sbocciano fiori o atterra un piccolo aereo stilizzato nel marmo bianco. Piccole perle sono le foto d’epoca con le loro cornici in ferro battuto dove si intrecciano fiori o foglie di varie specie a legare indissolubilmente significati, decorazione e perfetta resa naturalistica.
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In questo ricco panorama iconografico, ormai ridotto ai minimi termini, nei cimiteri odierni si può assistere ad una stratificazione di simboli e decori provenienti da varie culture figurative delle epoche precedenti. La tutela e la conservazione di questi manufatti, che con questo esemplificativo censimento si vuol sottoporre all’attenzione e ad una lettura simbolicoartistica, è urgente e doverosa se non si vuol perdere ciò che resta di una ricca tradizione culturale e artigianale.
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NOTE 1. Per una decodificazione dei simboli esistono numerosi dizionari o studi specifici. Tra questi: An illustrated Enciclopedia of Taditional Symbolos, London, 1982; J.Eduardo Cirlot, Dizionario dei simboli, 1985, Diccionario de simbolos, Barcellona; J.C.Cooper, Dizionario dei simboli, Padova, 1987; 2. Op cit. P. Colturri, Francesco Confalonieri, scultore, 1990, p 70 3. La ricostruzione attraverso i documenti della storia dei monumenti in Federico Francesco Oriani, Storia di un monumento: il leone di Barzio, in Archivi di Lecco n.23, 2002.Note
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Scultura all’aperto a Lecco e provincia
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Indice degli autori
Scultura all’aperto a Lecco e provincia
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Agnati Emilio 77-78
Checcin Gessyca 131
Albere F. 187
Clerici. Pietro 76-77
Alquanti Franco 126-127
Cogliati, Ettore 186, 187
Ambrosi 190
Colombo Gianni 149-151
Asdrubali Gianni 147-148
Comolli Giovanni Battista 24-25
Atchugarry Pablo 144-146, 171-172
Confalonieri Francesco 21, 27-37, 185, 189, 213-214
Barcaglia Donato 72
Da Nova Carlo 51-42, 189
Bazzaro Ernesto 47-49, 215, 216
Danielli Bassano 188-189
Bedeschi Alfeo 78
De Candido Gino 119-110, 197
Benatti Mauro 157
De Paoli Luigi 45-46
Benetti Livio 100-101
Enrini Giuseppe 90-92
Bezzola Antonio 163-164
Gavoldi Angelo 186
Bianchi Giovanni 75
Gennynuzzi, 74-75, 78-79, 196
Biglioli Mario 74-75
Ghinzani Alberto 154-155
Bovara Giuseppe 22-23
Girbafranti Domenico 73-74
Braga Carlo 94, 212
Lainati Romeo 76-77, 177
Branca Giulio 38-40, 189
Legnaghi Igino 147-148
Broggi Luigi 187-188, 218
Locatelli Stefano 88
Busetti Emilio 184
Lombardi Franco 71
Cappello Carmelo 142
Maggioni Piero 102
Castelli A. 181, 204-205
Manfrini Enrico 97-99
Castiglioni Giannino 67-69, 176-177, 185
Mariani G. 177
Cavalier Alik 156-157
Mauro G. pescarenico paesaggio cap 7
Cedraschi Ettore 79-80
Mayer Fantisco Paolo 73-74
Cereghini Mario 196-197
Mazzoleni Giuseppe 196, 197-198
Ceroli Lucio 157
Mella Amilcare 194-195
Ceroli Mario 157
Messina Francesco 93
Cibau Geminiano 75
Milani Luigi 105, 124-125, 178-180, 184, 190, 214
Ciussi Carlo 147, 149
Modena Francesco 58-60, 167
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Modonesi Aimone 128-129
Rutelli Mario 166-167
Montegani Angelo 61-66, 181-182, 184, 185
Sangregorio Giancarlo 156-157
Morelli B. 80, 168-169
Siccardi Giuseppe 79
Mozzanica Giuseppe 106-113, 130-131, 168-169, 180, 182, 215
Silvestri Lydia 135-139
Panzeri Luigi 75, 181 Paoli Oreste 77 Pedroli Romeo 114-118 Penna F. 209 Pigoli 79 Pinelli Pino 147 Piter Riccardo 84-87, 105, 179, 182, 188, 189
Silvestri Nello 130 Simoncini Fulvio 121-123, 185 Sonego Nelio 147 Sora Orlando 184, 130, 132 Spagnulo Giuseppe 143, 159 Staccioli Mauro 147, 149 Supino Luigi 175, 183-184
Pomodoro Arnaldo 140-141
Susumu Shingu 152-153
Pomodoro Giò 156-157
Tantardini Antonio 43-44
Previstali Dolores 157
Tartarelli 182
Querci Bruno 147
Tavegini B. 74-75, 204, 206
Restelli T. 80
Vedani Michele 53-57, 184
Rui Romano 83, 94-96
Wach Rudi 147, 151
Rusca Grazioso 26, 189
Wildt Francesco 89
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REFERENZE FOTOGRAFICHE Tutte le fotografie sono di E. Anghileri, M. Di Stefano, A. Pirovano ad eccezione di: Monumento a Cermenati, Aristide Milani p. Monumento ai caduti del mare, Vittoria Alquati, p. Monumento agli Alpini di Cortenova, Cristian Galperti p. Sculture Musei Civici, Giuseppe Giudici p. Sculture a Morterone, A arte Studio Invernizzi p. Testa turrita, Fondazione Giuseppe Mozzanica. p. Fuga in Egitto, Marisa Coretti Braga p.
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RINGRAZIAMENTI Desidero ringraziare chi mi ha aiutato in questi anni nella ricerca e nella stesura di questo libro: Il Consiglio di Presidenza dell’Associazione Amici dei Musei del territorio lecchese che ha condiviso e sostenuto l’impresa. Alberto Cavalli memoria storica delle sepolture delle famiglie lecchesi che, prendendosi cura delle opere d’arte sulle tombe, vigila tenacemente sulla loro sorte. Alberto nel 2001 ha segnalato l’emergenza delle sculture cimiteriali e ha così dato lo stimolo alla riscoperta di questo patrimonio poco conosciuto e appezzato. Massimo Di Stefano che ha condiviso con me l’ostinata fatica e il piacere delle scoperte, accompagnandomi nei sopraluoghi per raccogliere la documentazione e supportandomi nell’organizzazione del lavoro. Angelo Pirovano e Eugenio Anghileri, che con Massimo hanno scattato le immagini per la pubblicazione con grande entusiasmo e professionalità. Beppe Ferrario, Laura Di Stefano e Aldina Orsati per l’aiuto nelle ricerche sul campo, negli archivi, nelle biblioteche e in internet. Michele Invernizzi e Michele Ferrario per il supporto informatico. Virginio Brivio e Chiara Bonfanti per l’attenzione che mi hanno riservato. Carlo Invernizzi, nel 2005 Assessore ai Servizi Sociali e Cimiteriali, che ha creduto nella necessità dell’opera di tutela e valorizzazione della scultura nei cimiteri di Lecco. Gian Luigi Daccò e Barbara Cattaneo per le consulenze scientifiche e l’accesso alla fototeca dei Musei Civici Laura Gilardi, responsabile dell’Archivio del Comune di Lecco, che mi ha aiutato a scoprire le esigue tracce relative alla scultura negli Archivi. Bruno Biagi - Punto Einaudi Lecco per la disponibilità e i preziosi consigli. Carlo Invernizzi - Associazione Amici di Morterone. Giuliano Brambilla e Cristina Valsecchi - Grafiche Cola. Clotilde Zucchetti, Silvia Ponzoni - Provincia di Lecco. Marisa Agostoni, Alberto Anghileri, Maurizio Bertoli, la famiglia Cagliani, Valeria Campagni, Massimo Cannella, Angelo Cantù,, Simonetta Carizzoni, Elvio Codega, Marisa Coretti Braga, Elvio Frisco, Aldo Mari, Aristide Milani, Cristina Monti, la famiglia Mozzanica, Ugo Panzeri,, Camillo Pedroli, Sergio Pomari, Giovanna Virgilio. L’AUTRICE
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Finito di stampare nel mese di marzo 2009 presso le Grafiche Cola srl - Lecco