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Cinema: Macelleria messicana

MACELLERIA MESSICANA

Viaggio nella rappresentazione delle forze dell’ordine attraverso l’immaginario filmico.

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di Francesco Castracane

Fin dall’inizio della storia del cinema le forze di polizia sono presenti, generalmente come figure che rappresentano l’ordine costituito e lo difendono. Nei film comici muti, sia di Charlie Chaplin come di Buster Keaton, la figura del poliziotto, è una maschera che sovrasta sempre in altezza i protagonisti. Per il pubblico dell’epoca questa rappresentazione ha un evidente significato simbolico. Il poliziotto è più forte e alto di te e non puoi fare altro che scappare. La necessità dell’inseguimento aiutava il pubblico a tifare per l’inseguito senza che questo avesse delle conseguenze immediate sullo spettatore. E quasi sempre l’inseguito riusciva a sfangarsela.

Un film del 1922 (Cops – poliziotti) con Buster Keaton protagonista, altro non è che sostanzialmente un lungo inseguimento da parte di un gruppo di poliziotti, che considerano Keaton colpevole di avere messo una bomba.

Tra il 1912 e il 1917, Mark Sennett, realizzò il ciclo dei poliziotti imbranati e incapaci di contrastare il crimine, i Keystone Cops, che ebbero un grande successo nel pubblico dell’epoca. Anche qui, è solamente attraverso la commedia che è possibile rappresentare una polizia incapace.

Il capro espiatorio è un film del 1921, diretto da Buster Keaton e Malcolm St. Clair - YouTube

Nel 1952, il compito di raccontare la solitudine della lotta al crimine è affidato ad un western: “Mezzogiorno di Fuoco” (“High Noon”, regia di Fred Zinnemann, USA), dove uno sceriffo da solo deve affrontare un gruppo di criminali poiché i suoi aiutanti e tutti i cittadini si sono dileguati. Lo sceriffo è rappresentato non come un eroe senza paura, ma come una persona che cerca di svolgere il suo dovere. Le riprese indugiano sul sudore del volto, provocato non solo dal caldo, ma anche dalla paura. Lo sceriffo viene mostrato in tutta la sua solitudine.

In questa scena di “Mezzogiorno di fuoco” (“High Noon”, regia di Fred Zinnemann, 1952, USA) lo sceriffo Kane comprende definitivamente che dovrà affrontare da solo i banditi che stanno per arrivare - YouTube

In Italia il tema del comportamento delle forze dell’ordine è stato poco affrontato, se non con delle eccezioni: il primo film che si ricorda in tal senso è, ovviamente: “Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (1970) di Elio Petri. Un dirigente di Pubblica Sicurezza, del quale non viene mai fatto il nome, nel giorno della sua promozione, uccide la propria amante. Per quanto lasci deliberatamente tracce e prove, il sistema del quale fa parte, lo protegge. Il film, accompagnato da una importante colonna sonora composta da Ennio Morricone e dalla interpretazione magistrale di Gian Maria Volontè, rischiò il sequestro, ma fu l’ottavo film per incassi in quella stagione cinematografica. La ragione di tale successo forse è spiegata in una dichiarazione di Ugo Pirro, sceneggiatore assieme ad Elio Petri: «L’affluenza del pubblico nelle sale era enorme e in alcuni casi fu necessario interrompere la circolazione dei veicoli, data la lunghezza delle file alle biglietterie. La gente si accalcava perché non credeva ai propri occhi.» Forse per la prima volta nel cinema italiano veniva affrontato il tema degli abusi di potere da parte della polizia.

“Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (1970) di Elio Petri

Nel Luglio 2021 cade il ventesimo anniversario del G8 di Genova, dove chi scrive era presente. In tale occasione Amnesty International ebbe a dichiarare di trovarsi di fronte a «La più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale.» In effetti ci si trovò di fronte ad un inspiegabile comportamento delle forze di polizia, che non sembravano essere quelle di un paese democratico.

Sembra che su tali fatti esista una sorta di rimozione collettiva da parte del mondo della cultura e del cinema. A venti anni dagli avvenimenti solo un film a soggetto ha tentato di descrivere i fatti della Diaz. Ci sono stati alcuni documentari realizzati a caldo, ma poi nulla. A distanza di venti anni, quei fatti sembrano essere avvenuti in una realtà parallela.

Io stesso, per venti anni ho rimosso questa mia esperienza e scrivere questo articolo costa molta fatica, soprattutto perché mi sono rimasti ricordi confusi e frastagliati, se non il ricordo costante dell’odore dei lacrimogeni e delle macchine bruciate.

A tal riguardo va ricordata la dichiarazione dell’allora vice questore Michelangelo Fournier il quale parlò di “Macelleria Messicana”. Ho cercato di capire da dove arrivasse quel termine, e pare che sia stato utilizzato da Ferruccio Parri, uno dei dirigenti della resistenza milanese, quando vide i corpi appesi di Benito Mussolini e Claretta Petacci in piazzale Loreto a Milano.

Ma forse faceva invece riferimento ai fatti avvenuti nel 1968 proprio in Messico. È il 2 ottobre 1968, dieci giorni prima dell’inizio delle Olimpiadi e gli studenti messicani si riuniscono in piazza delle Tre Culture a Tlatelolco, un quartiere di Città del Messico. A Tlalelolco, il 13 agosto 1521, i conquistadores spagnoli massacrarono circa 40.000 aztechi, determinando di fatto la fine di quella cultura. Gli studenti riuniti furono circondati, stretti nella piazza e massacrati. Secondo i comunicati ufficiali i morti furono circa 50, ma si stima siano stati almeno 300.

Anche questa storia sembra essere finita nell’oblio. Per fortuna la rivista “Internazionale” in queste settimane sta pubblicando dei podcast che ricordano i fatti di Genova.

Nel 2012, il regista Daniele Vicari, realizza “Diaz – Non pulire questo sangue”, basato sugli atti processuali all’epoca conosciuti. Per quanto sia basato solo sui fatti accertati, è un film duro, freddo, asettico. Nonostante ciò, una parte del pubblico non è riuscita a vedere il film fino alla fine. Quello che ricordo di quel film è la macchina attaccata alle persone e la sensazione di claustrofobia che ne emergeva. Ci si sente meglio solamente alla fine, quando un gruppo di mezzi si allontana dal confine italiano e la macchina si alza e mostra un panorama. La liberazione dello sguardo come liberazione dal clima minaccioso e limaccioso dell’Italia. Sempre riguardo a Genova, da citare il documentario del 2002 di Francesca Comencini, “Carlo Giuliani, ragazzo”, dove vengono ricostruiti i fatti che hanno portato alla morte del manifestante Carlo Giuliani. Ma su queste terribili violazioni avvenute, né il cinema, o il teatro o la letteratura sono riusciti a rielaborare questi tragici fatti. Da citare inoltre “Sulla mia pelle” (2018) di Alessio Cremonini, sulla morte di Stefano Cucchi. Film duro e asettico, basato anche questo sugli atti processuali.

DIAZ. Non pulire questo sangue, “DIAZ. Don’t clean up this blood”, regia di Daniele Vicari, Italia 2012

“Carlo Giuliani, ragazzo” di Francesca Comencini - documentario, Italia 2002.

Nel 2012 invece Stefano Sollima, realizza “ACAB – All Cops Are Bastards”, sulla storia di poliziotti del reparto Celere di Roma. È un tentativo onesto, forse eccessivamente retorico, di mostrare la piazza vista dall’altra parte. Il regista, che mostra una certa abilità nella ricostruzione degli scontri, tenta di rappresentare la sensazione di accerchiamento vissuta da questi uomini e come questi tendano in alcuni casi a forzare le procedure.

Invece cinematografie di altri paesi si mostrano più coraggiose nel raccontare i comportamenti non appropriati da parte delle forze dell’ordine.

Ad esempio la Francia ha raccontato spesso queste questioni, avendo nella propria storia la nascita e lo sviluppo del genere “Polar” una rilettura del noir e dell’hard boyled di matrice statunitense. Due titoli per tutti: “L’odio” (1995) di Mathieu Kassovitz. Ambientato in una banlieue di Parigi, racconta senza mezzi termini la vita dei giovani e della brutalità della polizia. Il film all’epoca fu un record di incassi, anche perché era girato in un bellissimo bianco e nero, ma incontrò le feroci opposizioni della Polizia che non si riconobbe nelle accuse di violenza. Il film è uno spaccato della vita delle banlieue e ancora oggi rappresenta una realtà che pare essere poco modificata nel tempo. Il 2019 è infatti l’anno in cui un regista di origini maliane, LadJ Ly, realizza “I Miserabili”, ambientato nello stesso luogo dove era ambientato parte del libro “I miserabili” di Victor Hugo (1862). La cittadina, che si chiama Montfermeil, racconta con una certa durezza, ma anche con un ritmo estremamente dinamico, i rapporti fra i giovani del luogo e la polizia, che non sempre sono idilliaci. Nel plot sono presenti anche le questioni riguardanti le riprese effettuate dai cittadini durante le operazioni di polizia. Il film si conclude con un finale aperto, che lascia in sospeso tutte le questioni affrontate nel film.

Dal Brasile è degno di nota “Tropa de Elite – gli squadroni della morte” (2007) di José Padilha, che racconta la storia del BOPE, una squadra d’assalto d’elite specializzata nella lotta alla droga all’interno delle favelas.

Il cinema statunitense sembra in tal senso essere più coraggioso, avendo una lunga tradizione di cinema di impegno civile.

Fra i tanti sembra utile citare: “Detroit” (2017) di Kathryn Bigelow, che racconta gli scontri razziali avvenuti nel 1967 appunto a Detroit, che provocarono 43 morti, 24 dei quali uccisi dalla guardia nazionale.

Del 2014 è “Selma” di Ava DuVernay, che racconta di una serie di marce per i diritti civili dei neri organizzate da Martin Luther King, fra il 1963 e il 1964. La prima marcia subì un violento attacco da parte della polizia. Un partecipante alla seconda marcia, un pastore protestante, fu assassinato da dei segregazionisti bianchi e a conclusione della terza, una attivista bianca, Viola Liuzzo, fu assassinata da membri del Ku Klux Klan.

Nel 2018, Spike Lee realizza “BlacKkKlansman”, un film che si ispira al genere blaxploitation del cinema statunitense dei primi anni’70, per costruire quella che pare essere apparentemente una commedia, ma che affronta il tema sempre presente nella cultura americana del razzismo, dell’antisemitismo, dell’odio verso i gay. Non a caso nel titolo sono presenti le tre K del Ku Klux Klan. Un film da vedere, anche per la perfetta ricostruzione del periodo degli anni ’70.

Dalla Gran Bretagna arriva invece “Bloody Sunday” (2002) di Paul Greenbass, avvenimento cantato anche da un famoso brano degli U2 “Sunday bloody Sunday”. Il 30 Gennaio 1972 a Derry, in Irlanda del Nord, i soldati del I Battaglione del Reggimento Paracadutisti dell’esercito britannico spararono contro i manifestanti, provocando 14 morti. Un film nervoso, girato come se si fosse veramente presenti in quei momenti, ma molto rigoroso.

Per il momento questo viaggio nel cinema che racconta le violazioni si ferma qui per motivi di spazio. Sicuramente ne sono stati prodotti altri che a chi scrive sono sfuggiti. Ma ciò non significa che tali lavori non siano importanti, ma soltanto che non erano conosciuti o ricordati dall’estensore dell’articolo.

Francesco Castracane - Educatore professionale nell’ambito delle dipendenze patologiche

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