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Editoriale

EDITORIALE

di Chiara Di Maria

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Dal 19 al 21 luglio 2001 Genova ospitò il Vertice del G8, un incontro tra i governi delle otto nazioni più industrializzate.

In quei giorni, oltre 200.000 persone presero parte a iniziative “antiglobalizzazione”, in larga parte pacifiche, nelle strade del capoluogo della Liguria. Alcune proteste degenerarono in atti di violenza, che procurarono danni alle persone e alle cose: in quei giorni Genova divenne teatro di aggressioni indiscriminate da parte di agenti di polizia verso manifestanti pacifici e giornalisti.

A 20 anni di distanza, il G8 di Genova resta una ferita aperta. Verrà ricordato, come commentò all’epoca Amnesty International, come “una violazione dei diritti umani di dimensioni mai viste nella recente storia europea”.

Ebbene, nel nostro Paese, a 20 anni di distanza, si registrano ancora episodi violenti e brutali da parte delle forze di polizia che abusano dell’utilizzo della forza e delle armi sia nei confronti di civili per la strada che nelle carceri e ciò accade nonostante le numerose (e reiterate negli anni) richieste alle autorità italiane di sottoporre a revisione approfondita le disposizioni applicabili alle operazioni di ordine pubblico, compreso l’addestramento delle forze di polizia impiegate durante le manifestazioni e la disciplina sull’uso della forza e delle armi da fuoco.

Si tratta di una revisione necessaria per rendere le forze di polizia adeguatamente equipaggiate e addestrate per l’impiego di metodi non violenti prima di ricorrere, quando strettamente necessario, all’uso della forza e delle armi da fuoco.

Le forze di polizia devono infatti rispettare norme riguardanti l’uso di tali metodi ed essere sottoposte a un rigoroso meccanismo di accertamento delle responsabilità, attraverso la previsione di elementi d’identificazione individuale durante le operazioni di ordine pubblico.

Appare opportuno precisare infatti che le forze di polizia sono attori chiave nella protezione dei diritti umani in ogni Paese. Hanno, tra le proprie responsabilità, quella di ricevere denunce su abusi dei diritti umani, svolgere le indagini e garantire il corretto svolgimento delle manifestazioni, proteggendo chi vi partecipa da minacce e violenze.

Più in generale, il lavoro della polizia consiste nella prevenzione del crimine, nel mantenimento dell’ordine pubblico e nella protezione della popolazione.

Per svolgere tale lavoro e garantire la sicurezza, le forze di polizia possono legittimamente restringere i diritti delle persone; in determinate situazioni, possono fare uso della forza e delle armi. L’applicazione e il rispetto della legge richiedono infatti che una certa capacità coercitiva possa essere esercitata.

La polizia è dunque depositaria di poteri importanti, che si ripercuotono enormemente sulla vita delle persone e che, se esercitati indebitamente, possono condurre a violazioni gravi dei diritti umani.

Per questo motivo, le norme internazionali stabiliscono limiti precisi all’uso di tali poteri e un lavoro della polizia orientato ai diritti umani si svolge necessariamente all’interno di questi limiti.

La polizia è autorizzata a usare la forza in determinate circostanze, come ad esempio per effettuare arresti o per legittima difesa. La legislazione italiana prevede che non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, faccia uso (ovvero ordini di far uso) delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi sia la necessità di respingere una violenza o vincere una resistenza ovvero di impedire determinati specifici delitti ex art. 53 c.p..

L’uso delle armi o di altri mezzi di coazione deve costituire però l’extrema ratio da limitare ai soli casi in cui non vi sia altro mezzo possibile; inoltre, l’utilizzo della forza deve rispettare i principi cardine di legalità, necessità, proporzionalità e gradualità dell’uso dei mezzi di coazione.

Attraverso una lettura sistematica e costituzionalmente orientata del codice penale, la giurisprudenza nazionale e internazionale ha più volte chiarito che i principi di legalità, necessità, proporzionalità e gradualità dell’uso dei mezzi di coazione, sono applicabili alla norma di cui all’art. 53 del c.p., in quanto rappresentano un principio generale e comune a tutte le cause di giustificazione dalla responsabilità penale previsti nel codice penale.

Gli ufficiali di polizia, dunque, devono graduare l’uso della forza e delle armi in modo proporzionale e secondo le esigenze specifiche del caso concreto, e la possibilità di mirare e sparare al corpo di una persona è giustificabile solamente quando vi siano in gioco interessi di valore assoluto.

In tutti gli altri casi, quando non sia posto in pericolo un bene di primaria importanza, l’ufficiale di pubblica sicurezza dovrà soddisfare lo scopo intimidatorio o persuasivo tipico del proprio intervento, evitando che dall’uso della forza possano derivare conseguenze letali.

In conclusione, affinché il ruolo delle forze di polizia sia riconosciuto nella sua importanza e svolto nella piena fiducia di tutti, le forze di polizia devono tenere al centro della loro azione il rispetto dei diritti umani, la prevenzione degli abusi, il riconoscimento delle responsabilità e una complessiva trasparenza.

Gli stati, quindi, devono vigilare sull’operato delle forze di polizia, assicurando che esse agiscano nel rispetto degli standard internazionali sui diritti umani. Essi sono infatti obbligati a prevenire violazioni dei diritti umani e ad assicurare indagini rapide e approfondite e procedimenti equi per l’accertamento delle responsabilità quando emergano denunce di violazioni.

E se, dunque, da un lato gli stati sono chiamati a consentire alle forze di polizia di garantire un ambiente in cui chiunque possa sentirsi al sicuro e protetto, dall’altro lato la società civile ha il compito di incoraggiare il rispetto dei diritti umani da parte delle stesse forze di polizia.

Chiara Di Maria - Responsabile Circoscrizione Sicilia di Amnesty International Italia

Attivisti pro-immigrazione con le mani pitturate di bianco partecipano alle dimostrazioni anti-G8 a Genova il 19 Luglio 2001

Photo by SEAN GALLUP/GETTY IMAGES

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