AMREF Magazine n° 2/2011

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AMREF Amref

AMREF Italia Onlus Quadrimestrale di AMREF Italia Onlus Via Boezio, 17 - 00192 Roma Dir. Resp. Maurizio Paganelli N.2 - Anno VII- Giug. / Sett. 2011

Flying Doctors

DOTTORI

Sped.abb.post.DL353/2003 (Convertito in legge 27/02/2004 n째46 ART 1 Comma 2 CNS Roma) Iscriz. Trib. Roma n.617/2004 del 30/12/2004

VOLANTI

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Editoriale del Direttore

INDEX

VOLA CON NOI

di Thomas Simmons | L’accesso alle cure mediche in gran

N

parte dell’Africa rurale è rimasto agli stessi livelli disastrosi del 1957, quando nacque AMREF e sotto il suo ombrello iniziarono a volare i Flying Doctors. el 2011, permane l’assioma pronunciato più di 50 anni fa da Michael Wood, il fondatore dell’associazione: “in Africa, se si aspetta che il paziente grave venga in ospedale, nella maggior parte dei casi morirà. È necessario che sia il medico ad andare dal paziente”.

In un tipico distretto dell’Africa Orientale, due, trecento mila persone vengono servite da un unico ospedale solitamente diretto da un unico medico generico, spesso neo-laureato. In oltre duecento ospedali della regione, da diversi decenni gli unici specialisti di cui può beneficiare la popolazione vengono portati dai Flying Doctors di AMREF: pediatri, urologi, chirurghi, tecnici di laboratorio settimanalmente volano verso remote destinazioni per portare cure ed interventi essenziali a migliaia e migliaia di persone e per formare e sostenere il dedicato personale di queste strutture “lontane dal mondo”. Nascere in queste aree con un’economia fragile, infrastrutture inesistenti o fatiscenti, in assenza di una rete stradale minimamente decente, è già una enorme sfida di per sé – e questo lo sa bene il gran numero di donne che perde la vita o la salute annualmente per “gravidanza”, e lo sanno le famiglie che perdono un numero inaccettabile di bambini. I medici volanti di AMREF, in gran parte volontari africani impegnati ed impiegati nelle grandi strutture urbane che nel continente oramai servono oltre la metà della popolazione, vengono sempre attesi da lunghe file di pazienti i quali, se perdono il turno, a volte devono aspettare mesi e mesi per averne un secondo. AMREF vuole estendere ed intensificare la frequenza di queste visite essenziali perché la malattia e la mortalità non aspettano le nostre visite per essere ovviate e perché malattie e mortalità rappresentano uno dei grandi motivi di povertà di grandi aree del continente africano. Dall’Italia in questi anni abbiamo fatto molto; con questo numero speciale della nostra rivista dedicato ai Dottori Volanti speriamo di riuscire a fare qualche passo in avanti e di permettere ai Flying Doctors di volare per qualche miglio in più.

L’africa è in cammino

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Un italiano tra i Flying Doctors

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Un viaggio irrepetibile in nome della vita

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La mia Africa

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A cosa serve la formazione? |10 I voli di emergenza

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Direttore Responsabile Maurizio Paganelli Direttore Esecutivo Paola Ferrara Art Direction Viviana Mattacchioni Comitato di redazione Guendalina Sassoli - Paola Ferrara Paola Magni Hanno Collaborato Roberta Bernocco - Simone Ramella Foto Marco Di Lauro/Reportage by Getty Images Paola Ferrara - Archivio Amref

Stampa EURO INTERMAIL s.r.l foto di copertina: Charles Maina, Marsabit, Kenya 2011

Anche la Tv ha scoperto i nostri Flyind Doctors: ULISSE, il programma di Alberto Angela, in onda il sabato sera su RAI TRE, nella puntata del 6 maggio scorso dedicata al volo ha dedicato un ampio spazio alle missioni dei dottori volanti di Amref. Anche Repubblica Tv ha pubblicato un documentario di 14' di Pietro del Re e Antonello Tiracchia girato a febbraio scorso durante un outreach dei Flying Doctors in Kenya. Non perderlo... vedrai i medici di cui hai letto in questo magazine e riconoscerai le storie... Per vedere i due vai sul nostro sito - www.amref.it - oppure sulle pagine Amref di Facebook e YouTube.

2 | AMREF MAGAZINE

(Marco Di Lauro/Reportage by Getty Images)

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Sud Sudan febbraio 2011, Marco Di Lauro/Reportage by Getty Images

Africa

L’AFRICA È IN CAMMINO di Mario Raffaelli (Presidente di AMREF Italia) | Quando si parla di Africa le opinioni espresse tendono spesso a divaricarsi in due posizioni contrapposte. Da una parte chi considera quel continente un “basket case”, una sorta di caso disperato da attribuire, con inconsapevole razzismo, ad una congenita incapacità degli africani a produrre sviluppo. Dall’altra chi, con paternalismo assolutorio, identifica nelle responsabilità dell’occidente (passate e presenti) l’unica fonte dei problemi africani.

L

a verità, come sempre, è più complessa. Accanto alle tragedie provocate dalle politiche pre e post coloniali esistono anche condizionamenti negativi, geografici, storici e politici che hanno radici africane: la fragilità geologica del territorio, lo sviluppo di sistemi istituzionali acefali e di società segmentarie, le colpe delle classi dirigenti autoctone. Queste specificità negative spiegano perché, in altre aree del mondo, paesi che pure hanno conosciuto guerre, arretratezza e sfruttamento coloniale sono state in grado di avere un diverso grado di sviluppo. Ciò che fa la differenza, infatti, è l’esistenza e il rafforzamento di un tessuto sociale in grado di interpretare i bisogni di un paese ed indirizzarne progressivamente il destino, riuscendo a condizionare via via le strutture di potere ereditate e, col tempo, ad esprimere nuovi gruppi dirigenti. A partire dagli anni ‘90, questo sta accadendo anche nel continente africano, soprattutto laddove (come in Africa Australe) si è creata una situazione di

pace e stabilità. I recenti avvenimenti del Maghreb dimostrano che questo processo è destinato ad accelerare e a diventare contagioso, come era facile constatare, nei primi giorni della “rivolta araba”, girando per i caffè di Nairobi, Kampala o Juba. I movimenti civili che hanno sconvolto regimi decennali, considerati inamovibili, non hanno infatti una matrice religiosa (anche se componenti islamiche operano all’interno di essi) ma sono il prodotto di classi giovanili demograficamente crescenti che, con l’accesso alla scolarizzazione e all’uso delle nuove tecnologie informatiche, stanno esprimendo nuove domande politiche ed una richiesta di sovranità dei cittadini che si dimostra insopprimibile. Stiamo assistendo, quindi, ad un fenomeno grandioso che porta alla richiesta di inclusione di milioni di cittadini appartenenti a “classi medie” che, in forme e con gradi diversi, si sono costituite e si stanno espandendo in Cina, in India, in America Latina e, ora, nella stessa Africa.

Si dimostra allora lungimirante la scelta di AMREF, operata fin dagli inizi, di condizionare la propria azione alla possibilità di coinvolgimento delle popolazioni locali. Non solo per assicurare l’efficacia e la sostenibilità delle iniziative ma anche come forma di sostegno al processo di crescita di una cittadinanza consapevole ed attiva. Questo criterio è valido e rintracciabile in ogni tipo di intervento: dalla semplice creazione del pozzo in uno sperduto villaggio, che porta a sviluppare sistemi di gestione e manutenzione “municipali” oppure l’assistenza medico-sanitaria portata dai Flying Doctors nelle aree più remote affinché non restino indietro, ad esempi più complessi e di impatto addirittura nazionale, come nel caso dell’Istituto di formazione per “Clinical Officer” di Maridi, in Sud Sudan. L’Africa può camminare solo con le gambe degli africani. Ma possiamo fare un tratto di strada insieme.

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Storie

Giorgio Monti sul campo

UN ITALIANO TRA I FLYING DOCTORS di Maurizio Paganelli, La Repubblica | Sognava, da bimbo, alle elementari di Imola, di volare e di fare il dottore in Africa: a 43 anni ha realizzato il suo sogno, è il primo Flying Doctor italiano. Giorgio Monti, di Imola, vive in provincia di Bologna, a Fontanelice, 1500 anime. E’ medico internista al Pronto Soccorso del Sant’Orsola di Bologna da 9 anni.

U

na formazione e specializzazione all’American Heart Association per medici di pronto soccorso, rianimazione cardiopolmonare. Con queste credenziali ha riempito l’application form per la selezione dei Dottori Volanti di AMREF, la Fondazione africana di medicina e ricerca con sede a Nairobi, in Kenia, che da oltre 50 anni fornisce per tutta l’Africa Orientale servizi di emergenza e di assistenza medico-sanitaria per la popolazione rurale (e anche per i turisti in difficoltà). «Sono stato accettato e sono arrivato in Kenia proprio nel bel mezzo della crisi post elettorale e nel momento deglio scontri tribali», sorride ora con aria sorniona.

Racconta nel suo diario: «Dovremmo essere arrivati ma non vedo niente a terra poi, non capisco dove dobbiamo atterrare… Non è una brutta pista, nel senso che non è proprio una pista, passaggio basso a confermare… la soglia è delimitata da alcuni sassi bianchi e basta, non c’è nient’altro. Atterriamo.» «A parte il mio ridicolo vestito da occidentale-similturista, il primo impatto è stato forte: uno pensa di andare a dare una mano». E così scrive sul diario «Qui non si tratta di fare “qualcosa”, di “dare una mano”; qui si deve fare e saper fare tutto, bisogna farlo bene e alla fine devi anche fare il resoconto - in inglese!»

Passione per gli aerei (“Ho preso il brevetto di volo anni fa a Lugo di Romagna per aerei monomotore: 45 ore di volo”), esperienza specifica di almeno 5 anni nell’emergenza, indipendenza economica e ferie a disposizione, tutto questo serviva per avere l’ok. «E allora mi sono imbarcato. A Nairobi, mi attendeva l’autista di AMREF che mi ha portato alla base, il piccolo aeroporto Wilson», racconta Giorgio, «Sempre pronto a partire sul Cessna 208 attrezzato con uno dei tre piloti, e un’infermiera. L’attrezzatura sanitaria è ottima e avanzatissima, di qualità. Primo intervento con atterraggio nel nulla, un campo segnato da qualche sasso».

«Una continua sfida: sui tempi, sull’approccio al trattamento, sul tipo di intervento. Ferite di frecce, di colpi di machete, morsi di serpente, malaria, Tbc, traumatizzati per incidente aereo o di macchina. E tutto tra gazzelle e gnu: c’è una fotografia che mi ritrae mentre sto guardando una radiografia e uno struzzo appare come se fosse anche lui a consulto...» E il dottore volante continua: «Vai a portare aiuto in mezzo al nulla, l’aereo che atterra ovunque. Tra piantagioni di canna da zucchero, nel deserto o ai bordi del cratere Ngoro Ngoro, tra i


Maasai e le mucche. Parti senza sapere realmente cosa ti troverai davanti: di fronte a traumatizzati gravi in un parco nazionale, persone da portare in terapia intensiva, o malati da trasporare in centri specializzati. Burundi, Etiopia, Tanzania...con ospedali senza attrezzature specializzate. La Tac? E’ ad Addis Abeba. I centri più avanzati sono in alcune città del Kenya o Sudafrica. E spesso recuperi turisti feriti, magari da animali o in incidenti. Così mi è capitato di intervenire e portare soccorso ad un consigliere della Provincia di Lodi, Stefano Buzzi, coinvolto in un incidente stradale tra Mombasa e Malindi, con l’ex banchiere Gianpiero Fiorani. Con Buzzi, che è nato a Ravenna, ci siamo salutati in dialetto». E sulla cronaca cittadina Buzzi racconta «Sono rimasto incastrato tra le lamiere, per liberarmi sono arrivati con un’ascia. Voglio ringraziare AMREF e l’aereo che mi ha portato in salvo». .. Mille storie, volti che si sovrappongono nei ricordi, vicende segnate dai tragici fatti della crisi keniota di gennaio-febbraio (2008, ndr). «Gente che voleva scappare, che implorava di salire sull’aereo, bimbi soli, donne impaurite: sono sempre i più deboli che pagano. Interventi per un piccolo ustionato, un funzionario con embolia polmonare, poi in Burundi per un paziente in coma da trauma cranico, un caso di grave malaria cerebrale, un militare Onu in Sudan, una paziente con una ipoglicemia mal gestita, un medico volontario malato, ancora in Sudan. Una grandissima professionalità degli infermieri, dei piloti, da anni in servizio con i Flying Doctors: preparati, meticolosi, motivati, precisi. Gente che ama questo servizio e sa quanto sia utile».

IN VOLO PER LA SALUTE DELL’AFRICA. Si chiama OUTREACH: è il padre di AMREF, la bandiera che sventola più alta sulla lunga storia di questa organizzazione, nata in Africa per migliorare la salute degli africani. Lo portano avanti, senza interruzioni da 54 anni, i Flying Doctors. Sono oltre 300; specialisti in varie discipline mediche che condividono la mission di AMREF: portare la salute a casa di chi non ce l’ha e non riesce a raggiungerla. La casa in questione è quella della loro gente, del popolo di cui fanno parte. Si perché, i dottori volanti sono africani e prestano servizio nei propri paesi a dispetto di quello che si pensa e si dice dell’Africa. Nati nel 1957 per volontà di tre chirurghi impotenti di fronte alla sofferenza e alla morte di migliaia di persone in aree rurali del continente africano, raggiungibili solo per via aerea, i Flying Doctors portano soccorso in molti paesi dell’Africa subsahariana. Un'impresa ardua, complessa e anche molto costosa. Un'impresa però imprescindibile per chi si occupa di salute, per chi crede che la salute sia un diritto e soprattutto un elemento fondante per lo sviluppo equo e duraturo delle comunità. Da allora poco è cambiato: in Africa l'80% dei medici serve solo il 20% della popolazione, cioè lavora nelle città e le strade, anzi i cieli, dei Flying Doctors sono ancora infiniti. Compiono missioni brevi ma regolari, in territori poveri di strutture sanitarie, con uno staff poco formato e una mancanza di rifornimenti ed equipaggiamenti che rendono qualitativamente scarso l’accesso e l’utilizzo dell’assistenza medico-sanitaria da parte delle comunità rurali, spesso raggiungibili in tempi brevi solo per via aerea a causa delle strade impervie o della mancanza delle stesse. I Flying Doctors assistono, clinicamente o chirurgicamente i pazienti che hanno patologie difficili da curare in mancanza di farmaci, di specialisti e di formazione. Il programma di outreach di AMREF raggiunge più di 150 ospedali rurali di Kenya, Uganda, Tanzania, Sud Sudan. Questi ospedali vengono visitati 2-6 volte in un anno – ogni visita è di una settimana - per fornire servizi specializzati a comunità svantaggiate. Viene effettuato con voli programmati e regolari degli aerei di AMREF. I dottori volanti sono parte dello staff di AMREF oppure provengono dagli ospedali universitari dell’Africa Orientale: sono 23 le tipologie di specialisti e vengono selezionati sulla base delle richieste degli ospedali. Ogni anno, grazie al programma di Outreach di AMREF vengono visitate più di 26.000 persone ed effettuati oltre 7.000 interventi chirurgici.

in viaggio con AMREF

Stai preparando i bagagli? Anche noi. La borsa che ci accompagna in queste pagine è quella dei Flying Doctors, i dottori volanti.

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Diario di viaggio

di Paola Ferrara, AMREF |

UN VIAGGIO IRRIPETIBILE IN NOME DELLA VITA

è arrivato l’arrotino

Alle 7 all’hangar di AMREF (Wilson Airport) c’è già tanta vita intorno agli aerei che saranno impegnati nell’outreach. Alle 8, nove medici – ginecologi, otorini, chirurghi, urologi – salgono sul Cessna Gran Caravan che li porterà a destinazione, negli ospedali che attendono il supporto specialistico necessario a svolgere visite e interventi. Dei nove Flying Doctors 1 resterà a Wajir, due a Mandera, due a Moyale, due a Maralal e due a Marsabit. Sono medici molto esperti, armati di strumentazione adeguata alla chirurgia più avanzata e di medicinali (ognuno porta con sé una borsa che li contiene), oltre che di tanta generosità. Obiettivo: salvare vite umane ma anche insegnare la prevenzione, formare personale in loco. La simbologia di questo servizio – camici bianchi che giungono in volo venuti da chissà dove – evoca una sorta di miracolo. E non è difficile credere che, per molti abitanti delle aree più remote di questo paese, sia proprio un piccolo miracolo quello che avviene da 54 anni grazie al lavoro di AMREF. Dopo due ore di volo siamo a Wajir, distretto nord est del Kenya, il secondo più grande del paese dopo Turkana. Con noi scende il dott. Wachira, urologo. Un caldo insopportabile ci assale appena aperto il portellone. Il panorama è piatto, desertico.

Questa è una delle aree colpite dalla siccità, da due anni non piove, gli animali stanno morendo e la popolazione è allo stremo. L’ospedale ha 120 posti letto e vengono visitate mensilmente tra le 4000 e le 6000 persone. Nei pressi dell’ambulatorio, sotto un grande albero trovano riparo circa 80 persone: madri con in braccio bimbi piccolissimi, ragazze dal volto coperto, uomini di tutte le età. Il dott. Wachira è atteso dall’alba. Evoca, questa vista, altre scene in parte vissute, in parte ascoltate: i cortili e le piazze del nostro Bel paese, fino a un po’ di anni fa, che si riempivano di gente – soprattutto donne - accorse per affilare un coltello, un paio di forbici: l’arrotino gracchiava nell’altoparlante le sue offerte… Qui non serve urlare, c’è silenzio, tutto è arso, brullo, senza strade… ma la gente è accorsa per riparare qualcosa, affidandosi ad uno specialista che arriva da chissà dove ogni tanto. IL DOTT. WACHIRA COMINCIA A VISITARE. E’ RASSICURANTE, WACHIRA, 53 ANNI, DA 21 CON AMREF. Osserva chi attraversa l’uscio attentamente, con tenerezza, da l’impressione di sapere esattamente cosa abbia il paziente fin dal primo sguardo. Entra Leila, una giovane di 19 anni, molto bella. Ha il gozzo e dopo un attento esame Wachira le da una cura chiedendole di tornare dopo qualche settimana a farsi vedere. Probabilmente sarà operata. Poi c’è Ambia, 23 anni, labbro leporino. Un problema molto comune qui ed è uno dei settori d’intervento specifici di AMREF, insieme alla fistola vaginale. Nel corridoio dell’ospedale ci sono foto del prima e dopo l’intervento e sono davvero dei piccoli miracoli. Ambia sarà operata il giorno dopo, come pure il piccolo Hassan, 6 anni, anche lui con labbro leporino. Le visite continuano con l’afa che non da tregua. Sono ormai le 16, Wachira non si è mai fermato da quando ha iniziato. Ci dice che continuerà così fino a sera, la gente in attesa è tanta e alcuni vengono da molto lontano. Non è proprio come riparare delle forbici, non si può tornare a casa a mani vuote… In braccio alla madre, c’è Osman, 6 mesi con un tumore al

in viaggio con AMREF

Il costume da bagno nella tua, un laccio emostatico in quella dei Flying Doctors.. un anestetico nella sua; la crema solare nella tua… Riempi la borsa del dottore volante e aiuta un medico a salire su uno dei nostri aerei.

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labbro; poi Habdi Malik 3 mesi con idrocele. E poi donne, giovani e meno giovani con diagnosi gravi e meno gravi. Ha un tocco leggero il dott. Wachira, uno sguardo sorridente quando visita e un’empatia con le persone straordinaria. Entro sera ne avrà visitati 37. Alcuni l’indomani saranno operati da lui. Altri devono curarsi, altri ancora dovranno essere trasferiti a Nairobi. Il dott. Wachira compie queste missioni da 21 anni e naturalmente, come tutti noi nel proprio intimo, si pone tante domande. Vede le cose cambiare lentamente. Ma, ci dice che continua a farlo con passione, finché sarà necessario portare assistenza sanitaria in aree dove il governo tiene in piedi ospedali per 600.000 persone con un solo medico. Il giorno seguente in sala operatoria con il nostro chirurgo ritroviamo alcuni volti e storie del giorno precedente. Seguiamo la preparazione di Hassan che entro qualche ora vedrà sparire per sempre il suo labbro leporino e tornerà nel suo villaggio finalmente sorridente. Il dott. Wachira è attento a ogni particolare: segue la sua équipe nei preparativi e non rinuncia ad una carezza sul volto del bambino prima che si addormenti (foto in alto a dx).

cambio scena, si continua

A Mandera siamo a pochi metri dal confine somalo. La tensione si avverte nell’aria e nelle espressioni dei nostri interlocutori che ci raccontano degli episodi di razzie e attacchi di cui sono vittime da mesi. C’è poca gente per strada, il mercato è povero di mercanzie e la siccità fa il resto. L’ospedale ha 130 letti; 200 persone vengono visitate tutti i giorni. In sala operatoria, l’équipe del dott. Kimani Kagombi, un chirurgo portato da AMREF, sta effettuando una tonsillectomia. La sala è in disordine, come se non ci fosse tempo di riordinare o volontà di farlo. Nella sala visite dell’otorino, il dott. Robert Njaramba, c’è silenzio. Effettua test uditivi e ci dice che in queste aree è molto frequente riscontrare problemi ai timpani. “La chinina, usata contro la malaria, può causare come effetto collaterale danni all’apparato uditivo. Il morbillo, le otiti mal curate e le condizioni di vita fanno il resto” racconta Njaramba che propone a volte ai suoi pazienti di sottoporsi ad un intervento a Nairobi. “Siamo in grado di coprire le spese mediche e ospedaliere, il paziente deve però venire a Nairobi nelle date proposte per usufruire della presenza dei medici specializzati”. Qualcuno accetta. Il dott. Njaramba ci intrattiene sull’importanza della relazione con il paziente: “non bisogna dare speranze inutili, è importante dire la verità e consigliare. Se vengono opposte difficoltà occorre insistere ed esserci se qualcosa non funziona. Solo in questo modo si ottengono risultati”. Ripartiamo per Moyale dove nell’ospedale distrettuale anche Pauline Njogu, un’altra specialista di AMREF sta effettuando test sull’udito. La nostra visita è breve, siamo diretti a Marsabit. Moyale è vivace, c’è molta gente al mercato e incrociamo camion carichi di bestiame diretti ai mercati di Nairobi. La siccità costringe molte famiglie a rinunciare a qualche bovino per superare la stagione.

terzo giorno

Marsabit si trova nel nord del paese e confina con il lago Turkana. In ospedale ci attende il dott. Cyrus Kamau, 30 anni, da due incaricato dal governo di presiedere questo posto. Lo fa bene, la gente che incrociamo nei corridoi lo saluta calorosamente e ci rendiamo conto che è molto stimato. Il dott. Kamau ci accompagna in sala operatoria dove il chirurgo di AMREF, Charles Maina sta operando. Charles è ginecologo. Ha 38 anni, vive e lavora a Makueni, 140 km da Nairobi. Ha studiato a Nairobi e da due anni presta la sua opera volontaria ad AMREF. Una settimana ogni due o tre mesi raggiunge il team dell’Outreach: viene destinato ad una località (non è sempre la stessa) dove incontra pazienti, fa interventi chirurgici e forma personale. Parla volentieri del suo lavoro. Racconta dei miglioramenti che ha visto negli ultimi 10 anni nel suo paese, in termini di formazione, strutture sanitarie e tanto altro. Lamenta un grave problema di infrastrutture, è per questo che, a suo parere, non procede lo sviluppo a ritmi più sostenuti. Non ci sono strade, la gente fa fatica a raggiungere scuole, ospedali, centri di riabilitazione e altri servizi. Nelle sue visite con AMREF nota come spesso manchino i pazienti ai quali aveva dato appuntamento la volta precedente e a volte viene a sapere che sono arrivati in ritardo. Di qualche giorno. Secondo lui, il lavoro di AMREF andrebbe intensificato, portato ancora più vicino alla gente dei villaggi, magari in jeep. Torna in sala operatoria dove dovrà effettuare un’isterectomia. La donna è pronta, ha un volto sereno. Credo sia contenta di aver incrociato la strada di un Flying AMREF MAGAZINE | 7


il tempo passa I giorni seguenti il dott. Maina riprende di buon mattino facendo un giro nelle corsie per rivedere le sue pazienti; poi ancora in sala operatoria dove lo attendono donne con fistole, uteri malandati, parti difficili. La settimana volge al termine. Presto si torna a casa: il Gran Caravan di AMREF ha già iniziato il giro di recupero dei medici nelle diverse località dove sono stati lasciati qualche giorno fa. Arriva a Marsabit e Charles Maina ritrova i suoi colleghi e si prepara al volo. I medici si confrontano sui casi affrontati durante la settimana e ognuno fa tesoro delle esperienze altrui. In volo verso Nairobi: dall’aereo si distinguono le zone coltivate e prima di quanto ci aspettassimo vediamo avvicinarsi la città con le sue ampie periferie. Le città sono cresciute, in proporzione le campagne si stanno relativamente svuotando - la crescita demografica annua in Kenya è del 4% mentre il tasso annuo di urbanizzazione è dell’8% - ma lo squilibrio di servizi permane, così da trasformare pezzi di città in slum senza infrastrutture e senza molte prospettive. Un tasso di crescita dell’8% a Nairobi significa 240.000 persone in un anno. Il lavoro di AMREF continua anche qui con i programmi di recupero dei ragazzi di strada attraverso attività culturali, formazione, inserimento lavorativo. Il cerchio va chiuso. Ma questa è un’altra storia.

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Kenya febbraio 2011, Marco Di Lauro/Reportage by Getty Images

Doctor; qualcuno si occupa della sua salute. Finiti gli interventi “anche 10 in un giorno a volte” racconta Charles, lo seguiamo nella corsia maternità dell’ospedale. Donne da poco madri, oppure ricoverate con i neonati malati di polmonite. A fine giornata, in ospedale arriva una donna maasai. Bella con i colori della sua tradizione intorno al collo. E’ incinta. La donna è stanca per il viaggio e in ansia. Siede nel corridoio; l’agitazione e il viaggio però hanno accelerato i tempi. La donna comincia a urlare e in pochi minuti la testa di una bambina fa capolino tra le sue gambe. Dalle stanze escono persone perplesse, arriva il dott. Kamau. Riescono rapidamente ad adagiarla su un lettino, intanto la neonata è già fuori (foto a dx). Vestita di vernice caseosa, piccola, sul ventre della madre (foto ultima pagina).

RISOLVERE LO STIGMA DELLA FISTOLA VAGINALE La sfera della sessualità e della salute riproduttiva delle donne è messa a repentaglio da una piaga che affligge circa 2 milioni di donne in Africa sub-sahariana e marginalmente in Asia meridionale. Si tratta della Fistola Vescico-Vaginale (VVF) o fistola ostetrica, una delle minacce più gravi e insidiose per il benessere della donna. Insorge a causa di travagli prolungati - specie non assistiti - durante o dopo il parto ed è troppo spesso taciuta perché considerata uno stigma. La fistola si forma per l’eccessiva pressione del bambino sui tessuti vaginali della madre; ne deriva una ferita o una necrosi dei tessuti che causa alla donna incontinenza, impossibilità di altre gravidanze, isolamento sociale, depressione. Le neo-mamme si trovano costrette ad una nuova vita, fatta di sofferenze fisiche e morali e si emarginano – o vengono ignorate - dalla società. Perdere il ruolo di madre, di moglie e non potere affrontare più altre gravidanze è un marchio indelebile, oltre che una sofferenza intollerabile per una donna. Nei paesi sviluppati tale problema è evitato grazie al parto cesareo, non ipotizzabile nelle strutture ospedaliere più povere dell’Africa. Qui, occorre agire su due fronti: l’intervento chirurgico in presenza di VVF e la formazione per prevenirne l’insorgenza. Dal 1992 AMREF ha realizzato servizi specialistici affidati ai Flying Doctors per la prevenzione e la cura delle fistola in Africa orientale e realizza oggi quasi il 50% delle operazioni di fistola nella regione; sostiene infatti progetti legati a questa problematica in Tanzania, in parte del Sud Sudan, Kenya, Somalia e Uganda: ginecologi, chirurghi, specializzandi e infermiere vengono formati localmente nella prevenzione, gestione e cura delle fistole. In Uganda, per esempio, gli specialisti di AMREF hanno formato ostetriche, ginecologi e chirurghi generici nella cura delle fistole in 10 ospedali, comprese le aree rurali del nord e nord est. Secondo le stime effettuate da UNFPA, su 1000 parti in Kenya 2 donne rimangono afflitte da fistola ostetrica vescico-vaginale (VVF), circa 5000 donne all’anno, di cui solo il 7,5% è in grado di ricevere un trattamento chirurgico di riparazione. La prevenzione è quindi la chiave per porre fine a questa piaga fisica e sociale: con un’assistenza pre e post parto adeguata anche per i casi di complicazioni durante il travaglio, i casi di fistola ostetrica diverrebbero rari quanto lo sono oggi nei paesi industrializzati. Ma, le donne che vivono in aree remote spesso preferiscono partorire non assistite perché non possono permettersi il costo del servizio e preferiscono ricorrere a levatrici tradizionali che possono ricompensare con polli o cereali. Purtroppo la maggior parte del personale che assiste ad un parto, siano levatrici tradizionali che assistenti sanitari di piccoli centri, non sanno come identificare o prevenire le complicazioni post parto che portano poi alle fistole vescico-vaginali. I Flying Doctors di AMREF promuovono sessioni di formazione delle levatrici e delle ostetriche locali.


Racconto

LA mia AFRICA di Raffaele Petrone, amministratore delegato Petrone Group (www.petrone.it) | Perché non trasformare il budget destinato ai regali natalizi in un sostegno concreto per le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo? Sono passati diversi anni da quando il nostro gruppo si è posto questa domanda, decidendo di sposare la causa dei Flying Doctors. Operando nel settore farmaceutico, quella dei “dottori volanti” di AMREF ci è infatti apparsa subito l’opzione migliore, perfettamente in linea con la nostra filosofia di impresa che non perde mai di vista i valori etici e umani, e che anche con la sua attività commerciale può contribuire allo sviluppo e alla lotta alle malattie. Lo scorso settembre, insieme ai miei due figli di 20 e 17 anni, ho visitato per la prima volta il progetto in Kenya, vivendo un’esperienza interessantissima sotto il profilo professionale e altrettanto emozionante dal punto di vista umano. Ho scelto di viaggiare via terra tra Makueni, Makindu e Mbooni per non sottrarre spazio prezioso a bordo degli aerei che trasportano periodicamente medici, farmaci e attrezzature lungo queste rotte, per portare assistenza sanitaria di qualità nelle aree più remote dell’Africa orientale. Il viaggio ha confermato le buone ragioni che hanno spinto il nostro gruppo a sostenere i Flying Doctors in tutti questi anni, a partire dall’eccezionale livello organizzativo, professionale e logistico raggiunto dal servizio di AMREF, fondamentale in Paesi come il Kenya che devono ancora fare i conti con gravi ritardi dal punto di vista infrastrutturale. Da farmacista, però, mi ha sorpreso il fatto che, insieme ai servizi specialistici come la chirurgia ricostruttiva

e di emergenza, buona parte dell’attività dei “dottori volanti” consista in interventi molto più basilari, che in Italia diamo per scontati, come la cura del diabete e delle conseguenze della malnutrizione. In effetti la trasferta in Kenya mi ha ricordato in più di un’occasione che non si deve mai dare nulla per scontato. Durante la visita in un ospedale nel centro di Nairobi, la capitale del Paese, abbiamo scoperto per esempio che tutti i 50 posti letto erano affidati alla gestione di un solo medico. Un altro episodio particolarmente toccante è capitato in una scuola. Il preside, infatti, dopo averci accolto all’ingresso, ci ha portato subito a visitare i bagni in cemento che AMREF aveva appena terminato di costruire. Inizialmente la scelta di iniziare il tour della scuola partendo dai bagni ci ha colto in contropiede. Poi il preside ci ha spiegato che senza servizi igienici puliti e funzionanti sarebbero mancati anche gli studenti, e la decisione del preside di cominciare la visita dai nuovi bagni è

apparsa a tutti molto appropriata. Tra le varie attività promosse da AMREF nel continente – dal servizio dei Flying Doctors ai progetti idrici, dalla formazione del personale sanitario all’educazione nelle scuole e all’interno delle comunità – non saprei dire se una sia più importante delle altre. La mia impressione è che siano tutte tessere importanti dello stesso puzzle, che per essere completo e funzionare davvero ha bisogno di ciascuna di esse. Per quanto mi riguarda, ho intenzione di tornare presto in Africa per visitare località ancora più remote e rendermi conto delle differenze tra i vari contesti in cui opera AMREF. Quello che è certo è che anche quest’anno il nostro budget per i regali natalizi permetterà ai “dottori volanti” di continuare il loro prezioso lavoro per la salute degli abitanti delle aree rurali. È soltanto una goccia nel mare della lotta alla povertà. Ma anche una goccia, insieme a tante altre piccole e grandi, può fare la differenza.

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A COSA SERVE LA FORMAZIONE?

A

creare sviluppo attraverso il recupero, o il mantenimento, di un buono stato di salute che significa dignità delle persone, delle società, dei paesi. La maggioranza degli africani che hanno bisogno di cure può rivolgersi, nella migliore delle ipotesi, a piccole infermerie e centri sanitari, i cosiddetti “ospedali rurali”, spesso fatiscenti e privi di personale specializzato. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha evidenziato la particolare gravità della situazione in Africa orientale dove ci sono 1 dottore e 6 infermieri ogni 10.000 abitanti (mentre in Europa le stime indicano 32 medici e 79 infermieri) e dove il 70% della popolazione vive in comunità rurali, disseminate in territori vastissimi, semidesertici e lontani dai centri di cura mentre il personale medico è concentrato, per quasi il 90%, nei grandi centri urbani. Ci sono molti più medici in Italia - 215.000 - che in tutti i paesi africani messi insieme - 174.500. Questi dati, che indicano la debolezza del sistema sanitario, condannano l’Africa Sub Sahariana a non raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDG) entro il 2015. L’OMS ha auspicato il rafforzamento delle strutture sanitarie e della capacità di servizio pubblico. Ma come si fa? La crisi del personale sanitario è causata da fattori diversi e interconnessi (sottoinvestimenti, alto tasso di migrazione, pandemie etc) e da sistemi di formazione degli operatori molto scarsi. Bassi salari, mancanza cronica di medicinali e attrezzature, assenza di opportunità professionali stanno portando i pochi medici e il personale sanitario formato a migrare (da Sud verso Nord, ma anche dalle aree rurali a quelle urbane). E’ stato stimato che a partire dal 1990 l’Africa abbia perso ogni anno ventimila professionisti a causa della “fuga di cervelli”. Per colmare il gap sono stati impiegati oltre 150.000 espatriati, pari ad un costo totale di circa 4 miliardi di dollari l’anno. La risposta giusta è quindi la formazione: una soluzione strutturale e sostenibile alla carenza di personale sanitario. AMREF lo sa e se ne occupa con professionalità, accuratezza e convinzione da decenni. Si tratta di una scelta strategica in paesi dove è difficile per una comunità avere accesso all’assistenza per diversi motivi – geografici, sociali, economici, culturali. Formare

personale in grado di affrontare le patologie più comuni, causa di malattie debilitanti, difficoltà di lavorare e di occuparsi della famiglia, e di morte, è fondamentale per lo sviluppo sociale ed economico di ogni paese. AMREF forma anche medici, clinical officers (un quadro professionale di livello intermedio che non esiste nei nostri paesi e che si situa per formazione tra un medico ed un infermiere), infermieri, ostetriche, tecnici di laboratorio e farmacisti. Ogni anno circa 10.000 operatori sanitari di comunità ricevono una formazione specifica: essi si occupano di servizi medici di base per la prevenzione, per il monitoraggio della salute nelle comunità e sono in grado di identificare i sintomi delle malattie diffuse localmente, i pazienti a rischio e somministrare le prime cure; essi sono il link tra la comunità e i sistemi sanitari e operano all’interno di alcune delle comunità più vulnerabili nelle aree più remote e dimenticate. La maggior parte dei corsi vengono promossi in 6 paesi africani – un’area grande quanto l’Europa occidentale - presso comunità, ambulatori, ospedali e centri di formazione. AMREF ha un proprio Centro di Formazione, l’International Training Centre di Nairobi (con satelliti in Tanzania e Uganda). Anche in Sud Sudan svolge un ruolo di consulenza per il Ministero della Salute, partecipa alle attività di promozione, formulazione e disseminazione di politiche per il personale sanitario e al tentativo di standardizzazione dei curricula per i corsi per clinical officer, infermiere, ostetriche, tecnici di laboratorio, tecnici di salute pubblica e operatori di comunità. Inoltre, proprio in quel paese sostiene da anni il Diploma in Medicina Clinica e Salute Pubblica che si tiene presso il Maridi National Health Training Institute (NHTI). E’ l’unica istituzione che forma ufficialmente Clinical Officer in Sud Sudan. In mancanza di medici, i clinical officer sono i principali fornitori di servizi sanitari del paese. Ad oggi, la scuola di Maridi ha diplomato 213 Clinical Officer, approssimativamente il 74% dei 270 che lavorano nel paese. A questo si somma il prezioso lavoro dei Flying Doctors che grazie alla possibilità di raggiungere aree isolate dell’Africa orientale tengono corsi di formazione a beneficio di comunità e operatori sanitari che hanno grande bisogno di aggiornamenti.

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Noi portiamo nelle aree più remote dell’Africa rurale farmaci, materiale sanitario e medici da 54 anni. E non ci siamo ancora stancati di farlo perché…basta poco. Volontà, passione, professionalità generosità. E la ricompensa è altissima.

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volo straordinario dei Flying Doctors in risposta ad una chiamata di emergenza


Kenya febbraio 2011, Marco Di Lauro/Reportage by Getty Images

I VOLI D’EMERGENZA

In alto Charles. In basso Kilda in sala radio.

Charles è un emergency flight nurse (infermiere di volo d’emergenza) e ci mostra l’equipaggiamento tecnico delle ambulanze aeree. Racconta come avvengono le evacuazioni urgenti. Si tratta dell’altro pilastro del lavoro dei Flying Doctors: in caso di necessità i nostri aerei raggiungono paesi africani anche molto distanti e trasferiscono pazienti gravi a Nairobi per interventi che negli ospedali rurali sono impossibili da compiere. Charles ha prestato servizio con il team di AMREF in evacuazioni d’urgenza da Sudan, Tanzania, Angola, Ruanda, Burundi, Somalia, Uganda. In qualche caso i malati vengono invece trasferiti fino in Sudafrica. Tutto comincia in sala radio. E’ qui che un coordinatore delle emergenze, on call 24 ore su 24, riceve le chiamate dal Kenya o da altri paesi. Kilda è uno degli operatori in servizio a turnazione: è nel team dei Flying Doctors da 23 anni, è infermiera e fino a 4 anni fa faceva parte dello staff di emergenza di volo impegnato nelle evacuazioni mediche. Ci dice di essere molto contenta del suo lavoro che le offre il privilegio di vedere ogni giorno i risultati di tanto impegno per la sua gente. La flotta dei Flying Doctors è a disposizione anche di altre NGO che dovessero avere urgenze nei territori dove lavorano oltre a vari organismi delle Nazioni Unite, che richiedono i servizi del nostro personale di volo specializzato per evacuare da aree remote feriti gravi, malati in fase critica, persone da sottoporre ad interventi chirurgici complessi e salvavita.

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Kenya febbraio 2011, Marco Di Lauro/Reportage by Getty Images

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