B&M ANACI LECCO n. 03 ago-ott 2016

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M A N A G E M E N T

ANACI LECCO Laboratorio di idee, progetti e pareri in materia di condominio

Annullamento delle delibere: azioni e disciplina Stazioni di ecoricarica Inquinamento acustico in condominio I dati della dichiarazione precompilata 2017

Anno I | n. 3 Ago-Ott 2016



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Auspico una piacevole e utile lettura di questa che, più che una rivista, vuole essere una raccolta ragionata e pragmatica di saggi curati dal nostro Centro Studi lecchese e da professionisti esperti in materia condominiale

Marco Bandini Presidente di ANACI LECCO

SOMMARIO IL PARERE LEGALE

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L'annullamento delle delibere assembleari: azione e disciplina Dott. Carlo Stefano Boerci

IL PARERE TECNICO

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Prof. Arch. Annalisa Galante

Dissenso alle liti: come e quando si applica l'art. 1132 c.c.

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La sospensione dei servizi in caso di morosità del condomino

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Immediata verifica del rendiconto da parte dei condomini

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Avv. Laura Torri

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Avv. Alberto Sangregorio

Amministratore tra appropriazione indebita, truffa ed esercizio arbitrario Avv. Arveno Fumagalli

Pillole di saggezza

Rubrica a cura di Pierluigi Dell'Oro Spazio giovani Rubrica a cura di Marco Pazzini

Verifiche di sicurezza e conformità dei cancelli automatici Ing. Giuseppe Cardenia

Avv. Luigi Giordano

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Predisposizione obbligatoria per la ricarica dei veicoli elettrici

Inquinamento acustico: ai primi posti il rumore da calpestio Ing. Alessio Maggi

Sicurezza: per i lavori sui tetti obbligatorie le linee-vita Geom. Simona Frigerio

IL PARERE FISCALE

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I dati da comunicare all'Agenzia delle Entrate per la precompilata Dott.ssa Raffaella Figini

Hanno collaborato a questo numero: Carlo Stefano Boerci, Laura Torri, Alberto Sangregorio, Arveno Fumagalli, Luigi Giordano, Alessio Maggi, Giuseppe Cardenia, Simona Frigerio, Raffaella Figini Anno 1 | n.3 | Agosto-Ottobre 2016

Progetto grafico: AGC s.r.l. - Milano

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Dott. Carlo Stefano Boerci

IL PARERE LEGALE

Magistrato del Tribunale di Lecco

L'annullamento delle delibere assembleari: azioni e disciplina Il legislatore, individuando l’assemblea quale organo di autogoverno del condominio, ha scelto di sottoporre il processo di formazione della volontà decisionale comune al principio democratico, per cui le decisioni assunte dall’assemblea trovano forza e giustificazione nella volontà della maggioranza (personale e reale). Le delibere approvate nel rispetto delle norme di legge e del regolamento sono quindi obbligatorie per la minoranza dei condomini assenti o dissenzienti, ai quali non resta che far valere in giudizio le proprie ragioni di impugnazione. Questo principio fondamentale trova un riferimento positivo nei primi due commi dell’art. 1137 c.c.: “Le deliberazioni prese dall’assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini. Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti”. Il secondo comma sopra citato è stato modificato in occasione della recente Riforma del diritto condominiale del 2012 (Legge 11/12/2012 n. 220)1, con l’introduzione di alcuni chiarimenti in merito alla natura dell’impugnazione e ai soggetti legittimati. In primo luogo, la norma oggi precisa che l’impugnazione prevista dall’art. 1137 c.c. è volta a ottenere l’annullamento delle delibere condominiali, implicitamente distinguendo questa ipotesi rispetto al caso in cui si domandi l’accertamento della loro nullità. Il legislatore non si spinge a definire le due diverse ipotesi dell’annullabilità e nullità, sicché sul punto si dovrà fare riferimento all’ampia casistica giurisprudenziale emersa sulla scorta dell’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione2.

Impugnazione della delibera In secondo luogo, avvalorando l’orientamento della giurisprudenza precedente, si chiarisce che la legittimazione attiva a impugnare le delibere annullabili spetta a tutti i condomini che non abbiano votato a favore: non solo quindi gli assenti e i dissenzienti, ma anche i semplici astenuti, Conseguentemente, ilr egime della legittimazione ad agire per l'impugnazione delle deliberazioni assembleari muta a seconda del tipo di vizio denunciato: nel caso in cui si faccia

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La Riforma ha introdotto chiarimenti in merito alla natura dell'impugnazione e ai soggetti legittimati

NOTE Il presente saggio è una sintesi della relazione tenuta al convegno "L'assemblea di condominio e la conservazione delle parti comuni" organizzato il 12 maggio 2016 da ANACI LECCO in collaborazione con l'Ordine degli Avvocati e l'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecco. 1

Si riporta il testo precedente: “Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino dissenziente può fare ricorso all'autorità giudiziaria, ma il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità stessa”.

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“Ci si riferisce alla storica sentenza della Cassazione civile a Sezioni Unite, 7/3/2005, n. 4806: “Queste Sezioni Unite ritengono che debbano qualificarsi nulle le delibere prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o sevizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto. Debbano, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme che richiedono qualificate maggioranze in relazione all'oggetto”.

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IL PARERE LEGALE

valere l’annullabilità della delibera, i soggetti legittimati sono solo quelli indicati dal citato art. 1337 c.c., mentre nel caso in cui si lamenti la nullità vige il principio di cui all’art. 1421 c.c. per cui la domanda può essere proposta da chiunque vi abbia interesse.

avuto per oggetto materie destinate a incidere sulla sua nuova sfera giuridica (cfr. Cass. n. 12235/2016). Viceversa, secondo un orientamento alquanto rigoroso della Corte di Cassazione, l’interesse ad agire non potrebbe mai configurarsi in capo ai terzi estranei al condominio (cfr. Cass. n. 8135/2004).

Condizione per la nullità

Dall’altro lato, i soggetti legittimati a esperire l’azione di annullamento sono espressamente indicati dall’art. 1137 c.c.: “Ogni condomino assente, dissenziente o astenuto”. Prima di entrare nel merito di ciascuna di queste tre categorie, giova innanzitutto osservare che, per l’ammissibilità dell’azione, la norma richiede in primo luogo che l’attore sia uno dei condomini. Dunque la legittimazione a impugnare le deliberazioni assembleari è riservata a chi riveste la qualità di proprietario nell’ambito del condominio, con l’onere di provare documentalmente la propria qualità in caso di contestazione, non essendo applicabile in questa materia il principio della c.d. apparenza del diritto (cfr. Cass. n. 2616/2005; Trib. Roma, n. 13952/2007). Di conseguenza, non è sufficiente la qualità di mero possessore dell’unità immobiliare e nemmeno quella di conduttore: secondo la giurisprudenza della Cassazione, anche in caso di locazione dell’immobile la legittimazione a impugnare spetta sempre al proprietario, con la sola eccezione delle deliberazioni in materia di servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria, per le quali il conduttore ha diritto di voto in assemblea ai sensi dell’art. 10 della Legge n. 392/1978

Unica condizione dell’azione di nullità, quindi, è la titolarità di un interesse alla caducazione della deliberazione. Ciò significa che la domanda può essere proposta anche dal condomino che abbia votato a favore della delibera nulla, purché dimostri che essa gli cagioni un pregiudizio apprezzabile: qui non opera infatti la regola – applicabile nella diversa materia processuale – secondo cui chi ha concorso a dare causa alla nullità non può poi farla valere (cfr. Cass. n. 5814/2016). L’interesse a impugnare la delibera condominiale deve essere concreto, nel senso che la pronuncia richiesta deve essere idonea a generare una posizione di vantaggio effettivo per l’attore, e la sussistenza dello stesso va valutata alla data della domanda. Pertanto, dato che l’azione di nullità è imprescrittibile, la domanda può riguardare anche le deliberazioni adottate prima che il condomino acquistasse la propria unità immobiliare in condominio, purché esse abbiano

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Soggetti legittimati

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IL PARERE LEGALE

(cfr. Cass. n. 869/2012). Una restrizione della facoltà di impugnare si riscontra nei casi in cui il condomino non sia titolare di un diritto di proprietà piena ed esclusiva. Ad esempio, laddove il condomino sia solamente il nudo proprietario dell’unità immobiliare, gli è sottratta la legittimazione a impugnare le deliberazioni relative agli affari di ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni, spettando tale diritto in via esclusiva all’usufruttuario, secondo il medesimo criterio con cui è ripartito il diritto di voto ai sensi dell’art. 67 disp. att. c.c.. Nei casi in cui una delle unità immobiliari condominiali appartenga a più persone in proprietà indivisa, invece, il singolo comproprietario assente non è legittimato ad impugnare le deliberazioni votate con il favore dell’altro comproprietario, il quale lo rappresenta in assemblea ai sensi del medesimo art. 67 disp. att. c.c.. Un caso particolare è quello dell’alienazione di una porzione dell’edificio condominiale. Da una parte è certamente legittimato a impugnare colui che aveva già acquistato la qualità di condomino alla data di adozione della delibera – con la sola precisazione che, con riferimento ai vizi di convocazione, egli non può dolersi di non essere stato invitato a partecipare all’assemblea finché non abbia comunicato l’avvenuto passaggio di proprietà (cfr. Cass. n. 5307/98) – ma d’altra parte la legittimazione spetta anche a chi abbia acquistato l’immobile in epoca successiva alla delibera condominiale, dovendosi tener conto della situazione esistente al momento della proposizione della domanda, purché sia rispettato il termine perentorio di 30 giorni previsto dall’art. 1137 c.c. (cfr. Cass. n. 362/2007).

Posizioni dei condomini legittimati Passando ad analizzare le singole posizioni dei condomini legittimati all’impugnazione, viene innanzitutto in rilievo quella dei condomini dissenzienti, da sempre riconosciuta dall’art. 1137 c.c. anche nella versione precedente alla riforma. Colui che impugna deducendo di essersi opposto all’approvazione delle delibera deve provare il proprio voto contrario (cfr. Cass. n. 5889/2001). Il dissenso deve risultare in modo chiaro ed esplicito dal verbale, anche perché la specifica ragione di contrarietà espressa in assemblea può risultare rilevante in sede di valutazione dell’ammissibilità del ricorso: ad esempio, la Cassazione ha statuito che il condomino che abbia dissentito nel merito rispetto alla legittimità della decisione assembleare non può successivamente impugnarla adducendo che l’argomento deliberato non fosse previsto all’ordine del giorno, laddove in sede di assemblea non abbia specificatamente eccepito l’irregolarità della convocazione (cfr. Cass. n.

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24456/2009). In secondo luogo, la legge attribuisce espressamente la legittimazione a impugnare ai condomini assenti, tra cui sono compresi non solo coloro che non hanno partecipato alla riunione, ma anche coloro che – stando a quanto riportato sul verbale – risultano temporaneamente o definitivamente allontanati nel momento della votazione. Infine la riforma del 2012 ha avuto il pregio di chiarire una volta per tutte che la legittimazione a impugnare le delibere assembleari spetta anche ai condomini astenuti. Viene così definitivamente confermata la soluzione adottata in passato dalla giurisprudenza largamente maggioritaria, sulla base della considerazione che, ai fini del calcolo del quorum deliberativo, solo i condomini consenzienti concorrono all’adozione della delibera, mentre gli astenuti sono equiparati ai dissenzienti (cfr. Cass. n. 21298/2007, n. 129/1999 e n. 6671/1988, le quali avevano superato l’orientamento contrario espresso nei decenni precedenti). Ne consegue che, ad oggi, l’unica sostanziale differenza tra le diverse categorie di legittimati risiede nel calcolo del termine di 30 giorni per proporre l’sopposizione, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti e gli astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.

Conflitti di interesse Il chiarimento fornito dal legislatore del 2012 contribuisce a dipanare ulteriormente i dubbi su una fattispecie – quella dell’astensione nella votazione delle deliberazioni assembleari – che recentemente è stata oggetto di discussione anche in relazione al secondo profilo af-

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IL PARERE LEGALE

frontato in questa breve relazione, relativo alla disciplina del conflitto di interessi del condomino. Si tratta di un tema alquanto controverso, essendo insorti dei dissidi tra gli interpreti in relazione all’obbligatorietà o meno dell’astensione per i condomini in conflitto e alla computabilità delle loro quote nel calcolo delle maggioranze assembleari. Andando con ordine, è bene ricordare che si ha un conflitto di interessi ogniqualvolta sia dimostrata una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di singoli condomini e specifici interessi istituzionali del condominio. In tal caso, la delibera approvata con il voto favorevole del condomino in conflitto è annullabile qualora il

NOTE 3 Per completezza e correttezza, si segnala che sul punto esiste anche un orientamento contrario, sia pure minoritario, secondo cui è rilevante anche il conflitto potenziale o virtuale, sol che sia ravvisabile un'obiettiva possibilità di divergenza tra le ragioni personali dei singoli e l'interesse istituzionale della collettività (cfr. Cass. n. 10683/2002). 4

In senso conforme, si veda in passato Cass. n.1201/2002; contra Cass. n. 10683/2002.

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suo apporto sia stato decisivo per il raggiungimento dei quorum richiesti dalla legge. Si badi che il conflitto deve sussistere ed essere accertato in concreto, perciò non basta che il condomino si trovi in una situazione astrattamente contrastante, ma occorre accertare che egli abbia effettivamente perseguito un altro interesse, incompatibile con quello collettivo (cfr. Cass. n. 13011/2013; Cass. n. 10754/2011)3. Ne consegue, per fare un esempio, che non dà luogo a conflitto di interessi, di per sé, il fatto che uno dei votanti rivesta contemporaneamente la qualità di condomino di maggioranza e amministratore del condominio. Un accertamento in concreto è necessario anche qualora il condomino confliggente sia stato delegato da altro condomino ad esprimere il voto in assemblea, dovendosi verificare se il delegante fosse a conoscenza di tale situazione o meno (cfr. Cass n. 18192/2009). Laddove il conflitto di interessi sia effettivamente sussistente, si pone il problema della partecipazione al voto del condomino in conflitto e del destino della deliberazione adottata con il suo contributo favorevole. Nel silenzio del legislatore, l’orientamento della giurisprudenza non si è rivelato del tutto univoco. Da ultimo, però, la Corte di Cassazione ha tentato di mettere ordine nella materia, aderendo motivatamente alla tesi secondo cui, in tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio, sia ai fini del conteggio del quorum costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (non debbono) astenersi dall’esercitare il diritto di voto (Cass. n. 19131/2015)4. In altri termini, la Suprema Corte ha rigettato la tesi secondo cui per il calcolo della maggioranza dovrebbe essere detratta la quota rappresentata dai condomini in conflitto d’interesse, osservando che, così facendo, si attribuirebbe alla minoranza un ingiustificato potere deliberativo sovvertendo gli equilibri fissati dal principio di maggioranza. Al contrario, anche nell’ipotesi di dichiarato conflitto di interessi, la deliberazione deve essere presa con il voto favorevole di tanti condomini che rappresentino la maggioranza personale e reale fissata dalla legge, salva la facoltà, in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio, di ricorrere all’Autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 1105 c.c.

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Avv. Laura Torri

IL PARERE LEGALE

Direttore del Centro Studi di ANACI LECCO

Dissenso alle liti: come e quando si applica l'art. 1132 c.c. Qualora l'assemblea condominiale abbia deliberato di promuovere una azione legale o il condominio abbia deliberato di resistere a una domanda, al singolo condomino è data la facoltà di esprimere il dissenso alle liti. Attraverso il dissenso alle liti viene separata la responsabilità del condomino in ordine alle conseguenze della lite in caso di soccombenza. La Suprema Corte di Cassazione così si è espressa: “Posto il principio generale dell’obbligatorietà delle deliberazioni assembleari per tutti i condomini, anche dissenzienti, il legislatore ha disciplinato specifiche ipotesi di dissenso- quali quella rispetto alle innovazioni gravose o voluttuarie e quella rispetto alle liti - con norme di carattere derogatorio e , quindi eccezionale, che, in quanto tali, non possono trovare applicazione se non alle particolari situazioni con le stesse regolate, né sono suscettibili di interpretazione estensiva [...]” Cass. Sez. II n. 15360 del 6.12.2001. Il tema del dissenso alle liti è regolato dall’art. 1132 c.c. L'articolo non è stato toccato dalla legge n. 220/2012 di riforma del condominio. La norma non è di facile interpretazione. L’art. 1132 c.c. intitolato "Dissenso dei condomini rispetto alle liti" recita: "Qualora l'assemblea dei condomini abbia deliberato di promuovere una lite o di resistere a una domanda, il condomino dissenziente, con atto notificato all'amministratore , può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza . L'atto deve essere notificato entro trenta giorni da quello in cui il condomino ha avuto notizia della deliberazione. Il condomino dissenziente ha diritto di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa. Se l'esito della lite è stato favorevole al condominio, il condomino dissenziente che ne abbia tratto vantaggio è tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente".

Attraverso il dissenso alle liti viene separata la responsabilità del condomino in ordine alle conseguenze della lite in caso di soccombenza

Casi di applicazione dell'art. 1132 Passiamo ad analizzare la norma, per approfondire quando e come si applica l’art. 1132 c.c. Innanzitutto la norma prevede: " Qualora l'assemblea dei condomini abbia deliberato di promuovere una lite o di resistere a una domanda". Dal dettato della norma emerge immediatamente che la norma si applica sia nel caso di lite attiva ("promuovere una lite"), che di lite passiva ("resistere a una domanda").

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IL PARERE LEGALE

L'art. 1132 c.c. si applica per il caso di liti tra il condominio e un terzo. Ma è applicabile anche nel caso di liti interne cioè quando la lite interessi Condominio e condomino? Si pensi ai casi in cui, ad esempio un condomino fa causa al Condominio o viceversa è il Condominio che agisce nei confronti di un condomino o ad una particolare specie di lite interna al Condominio quale l'impugnazione della delibera assembleare. La giurisprudenza si è occupata solo incidentalmente della questione. In una risalente sentenza della Cassazione n. 801 del 25.03.1980 viene sottolineato che nell’ipotesi di lite tra condominio e condomino non è applicabile, neppure in via analogica, la disposizione dell’art. 1132 c.c. che disciplina la materia delle spese processuali del condomino che abbia ritualmente dissentito dalla deliberazione di promuovere una

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lite o di resistere a una domanda rispetto ad un terzo estraneo e neppure l'art. 1101 c.c., richiamato dall'art. 1139 c.c. Tale pronuncia precisa: "Nell'ipotesi di controversia tra condomini, l'unità condominiale viene a scindersi di fronte al particolare oggetto della lite, per dare vita a due gruppi di partecipanti al condominio in contrasto tra loro, con la conseguenza che il giudice, nel dirimere la controversia provvede anche definitivamente sulle spese del giudizio, determinando, secondo i principi di diritto processuale, quale delle due parti in contrasto le debba sopportare, nulla significando che nel giudizio il gruppo dei condomini, costituenti la maggioranza, sia stato rappresentato dall'amministratore" Cass. 23.03.1970 n. 801. Tale orientamento è confermato dalla sentenza Cass. sez. II 18.06.2014 n. 13885 che ha ritenuto di dare continuità a quanto sancito dalla precedente sentenza, richiamando il suo contenuto e ribadendo la non applicabilità, nemmeno in via analogica, della disposizione dell'art. 1132 c.c. nell'ipotesi di lite tra condominio e condomino. In tale pronuncia si puntualizza: "In altri termini, la ripartizione delle spese legali, affrontate per una causa che si è persa, o per la quale il giudice ha deciso di compensare le spese affrontate, ha criteri propri rispetto al motivo della causa stessa" Cass. sez. II 18.06.2014 n. 13885. In particolare tale sentenza, che prende in esame un caso di lite

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IL PARERE LEGALE

tra Condominio e condomino, ritiene che deve essere invalidata la delibera assembleare che pone a carico del condomino, le spese processuali sopportate dal Condominio per il compenso del proprio difensore. Inoltre la medesima pronuncia si occupa anche delle spese di accertamento tecnico preventivo sostenute dal Condominio, riaffermando "Il principio secondo il quale tra le spese che devono esser regolate in seguito alla definizione del processo sono ricomprese quelle che la parte abbia sostenuto anteriormente all'inizio del medesimo e ad esso collegate da un nesso di pertinenza e rilevanza, tra cui quelle, di ufficio e di parte, sostenute nella fase di accertamento tecnico preventivo, acquisito al processo di merito". La sentenza continua affermando: "emerge che anche con riferimento a detto esborso - incontestato che sia stato sostenuto con riferimento a giudizio in cui il condomino era controparte - trova applicazione il criterio di ripartizione sopra riportato con riguardo alla soccombenza, con la conseguenza che è da ritenere erronea la statuizione che ne ha confermato la regolazione prevedendo una quota anche in capo al condomino". In effetti l'ipotesi di lite tra condominio e uno o più condomini, configura una lite fra due gruppi di condomini, rispetto ai quali la previsione dell'art. 1132 c.c mal si adatta. Come chiarito dalle richiamate sentenze, nell'ipotesi di lite interna tra condomini non è applicabile l'art. 1132 c.c., con la conseguenza che sarà il giudice a provvedere sulle spese del giudizio "determinando, secondo i principi di diritto processuale, quale delle due parti in contrasto le debba sopportare". L'art. 1132 c.c. si applica solo nel caso di liti interessate da Delibera ("qualora l'assemblea dei condomini abbia deliberato"): se non c’è delibera i condomini non possono esprimere dissenso. Non esiste la facoltà dei condomini di esprimere dissenso nelle ipotesi in cui l’amministratore promuove o resiste a liti che non richiedono la preventiva delibera, quindi non esiste la facoltà dei condomini di esprimere dissenso, nel caso di liti di competenza dell’amministratore perché rientrano nell’esercizio dei suoi poteri. Si pensi ai casi in cui l'amministratore promuove o resiste a liti rientranti nelle attribuzioni elencate dall'art. 1130 c.c. o al caso della proposizione di un decreto ingiuntivo nei confronti dei condomini morosi. La sentenza Cass. n. 2259 del 1998 evidenzia: "Presupposto essenziale per l'esercizio da parte del condomino dissenziente del potere di estraniarsi dalla lite è l'esistenza di una delibera dell'assemblea resa necessaria dal fatto che la citazione notificata all'amministratore contiene una domanda avente ad oggetto una materia di competenza dell'assemblea stessa."

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Modi di esercizio "Il condomino dissenziente, con atto notificato all'amministratore , può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza. L'atto deve essere notificato entro trenta giorni da quello in cui il condomino ha avuto notizia della deliberazione". In primo luogo il condomino, qualora sia presente, deve esprimere in assemblea il proprio dissenso con voto contrario, nei confronti della delibera con la quale la maggioranza ha deciso la promozione del giudizio o la resistenza nel giudizio. Questo non basta perché l'altra formalità necessaria è l’obbligo di notificare un atto all’amministratore, con cui si manifesta la propria volontà di non partecipare alla causa. I due presupposti non devono confondersi e devono manifestarsi in momenti differenti. Prima deve essere espressa in assemblea la dichiarazione di voto contrario e in un momento successivo deve essere comunicata all'amministratore la manifestazione di volontà di non voler partecipare alla causa. La sentenza Tribunale Napoli dell'8.1.2003 evidenzia: "Il condomino dissenziente, che in assemblea ha votato contro la delibera condominiale di resistere all'altrui domanda giudiziale, qualora intenda separare la propria responsabilità per il caso di soccombenza nella lite, deve notificare tale sua volontà all'amministratore con apposita e distinta dichiarazione (avente natura di atto unilaterale recettizio), a norma dell'art. 1132 c.c., da comunicarsi però in sede diversa dall'adunanza condominiale, poichè uno scarto temporale fra delibera e questa comunicazione consente di meglio ponderare una decisione che rompe l'unità della compagine condominiale".

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IL PARERE LEGALE

È sufficiente lettera Raccomandata A.R. inviata all’amministratore, con cui si esprime il proprio dissenso alla lite e la volontà di separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite in caso di soccombenza. La dichiarazione del condomino dissenziente, di separare la propria responsabilità da quella degli altri condomini, per il caso di soccombenza del condominio nelle liti che l'assemblea condominiale ha deliberato, è un atto giuridico recettizio di natura sostanziale , da portarsi in quanto tale tempestivamente a conoscenza dell'amministratore, ma per il quale non sono richieste forme solenni, nè la notificazione a norma della legge processuale. È ritenuta valida Raccomandata A.R. Cass. 15.6.78 n. 2697. Tale comunicazione deve pervenire all’amministratore entro 30 giorni dalla data dell’assemblea. È un termine di decadenza per dare certezza ai rapporti condominiali caratterizzati da dinamismo e celerità. Cass. n. 2453/1994. Anche i condomini che non erano presenti all'assemblea e i condomini che si sono astenuti, possono fare ricorso al dissenso? Posto che per l'impugnazione delle delibere ex art. 1137 c.c. è prevista la facoltà di impugnativa anche ai condomini assenti ed astenuti, conformemente a tale principio, analoga regola va riconosciuta anche nell'ipotesi in esame. Se il condomino non era presente all’assemblea il termine di trenta giorANACI LECCO n.3 | Ago-Ott 2016

ni decorre dalla data in cui ha avuto comunicazione della delibera.

Effetti La norma disciplina espressamente il caso di soccombenza del Condominio ("può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza"). Cosa succede quindi nel caso in cui il condominio sia soccombente e quindi la lite abbia avuto esito sfavorevole per il Condominio? Se Condominio perde la causa, non possono essere poste a carico del condomino, che ha espresso nelle forme prescritte il dissenso alle liti, una quota parte delle spese di soccombenza che devono essere versate alla parte vittoriosa. Quindi al condomino che ha espresso il dissenso alla lite, il Con-

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IL PARERE LEGALE

dominio non può addebitare pro quota le spese di soccombenza in favore della controparte. Se ciò avviene, la sentenza Cass. sez.II 29.07.2005 n. 16092 è chiara in ordine alle conseguenze che ne derivano: "La delibera dell'assemblea che ponga le spese di una lite deliberata dall'assemblea a carico di un condomino che da questa abbia dissentito è affetta da nullità e non da mera annullabilità ed è impugnabile, quindi, in ogni tempo e da chiunque abbia interesse". Tale sentenza conferma quanto già espresso dalla sentenza Cass. 8.6.1996 n. 5334. Ci si domanda: in caso di soccombenza, il condomino deve invece partecipare alle spese affrontate dal condominio per la propria difesa? Il dettato della norma fa riferimento solo al caso di soccombenza: "per il caso di soccombenza", senza precisare altro. È oggetto di discussione se si debba fare riferimento alle spese di soccombenza in senso stretto e quindi quelle da versare alla controparte o anche quelle sostenute dal condominio per propria difesa. Alcune sentenze hanno provato a fare chiarezza. La sentenza Tribunale Bologna sez. III 12.10.2007 n. 2618 precisa: “In tema di dissenso alle liti, l’operatività dell’art. 1132 c.c. non va oltre l’esonero del condomino dissenziente dall’onere di partecipare alla rifusione delle spese di giudizio in favore della controparte, nell’ipotesi di esito della lite sfavorevole per il condominio; la norma lascia, tuttavia, immutato l’onere di partecipare alle spese

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affrontate dal condominio per la propria difesa.” La sentenza Cass. Sez. II n. 15360 6.12.2001 afferma: “In ispecie l’operatività dell’art. 1132 c.c. è limitata al solo rapporto tra condominio e condomino dissenziente- nell’ambito del quale rapporto la norma non va, comunque, oltre l’esonero del dissenziente dall’onere di partecipare alla rifusione delle spese di giudizio in favore della controparte nel caso d’esito della lite sfavorevole per il condominio, lasciandone tuttavia immutato l’onere di partecipare alle spese affrontate dal condominio per la propria difesa ove risultino irripetibili dalla controparte nell’inverso caso d’esito della lite favorevole per il condominio”. La sentenza Tribunale di Firenze sez. II 4.12.2006 si occupa del caso di due condomini che avevano impugnato una delibera assembleare che attribuiva anche ad essi il pagamento di compensi stragiudiziali sostenuti dal Condominio. Nella pronuncia il Giudice specifica: "[...]Si pensi al caso in cui dall'esito della lite sia derivato per i condomini (tutti) maggior intensità o ampliamento della facoltà di godimento sulla cosa comune e dunque favorevole per il condominio. In questi casi l'obbligo di contribuzione alla spese è limitato alle spese non ripetibili nei confronti del soccombente(per-

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chè ad esempio il giudice ha compensato gli oneri processuali o per inutile escomio del soccombente). È invece chiaro che se il condominio è soccombente nella lite dissentita, il condomino potrà, evidentemente, beneficiare della sua estraneità, NON con riguardo agli effetti del giudicato tra condominio e terzo inerenti al rapporto sostanziale dedotto in giudizio,ma limitatamente alle spese che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa e tra queste anche quelle accessorie e derivanti dalla soccombenza in giudizio e quindi anche le spese difensionali". Il Giudice prosegue rilevando che i compensi stragiudiziali oggetto di causa non possono essere propriamente considerati oneri difensionali per lo svolgimento delle difese in giudizio, ma propedeutici al giudizio stesso, giudizio che, nel caso in esame, non è stato promosso. Il Giudice quindi si interroga su due punti: • il dissenso dei condomini determina i suoi effetti per il caso in cui la lite non sia stata di fatto(ancora) introdotta? • le spese propedeutiche al giudizio possono essere assimilate a quelle per la cui responsabilità il condomino si è avvalso della "separazione" manifestando il suo dissenso ? La conclusione alla quale perviene è in senso negativo. Osserva che la lettera dell'art. 1132 c.c., che è norma derogatoria al regime ordinario, è chiara nel subordinare gli effetti del dissenso, al fatto che vi sia stata soccombenza e quindi al fatto che vi sia stato un giudizio definito negativamente per il condominio. Fatto che evidentemente non può verificarsi, se la lite non viene introdotta. Il Giudice quindi rigetta la domanda pro-

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posta dai condomini volta a invalidare la delibera. Quali sono invece gli effetti in caso di esito favorevole del giudizio? Art. 1132 c.c. conclude dicendo: "Se l'esito della lite è stato favorevole al condominio, il condomino dissenziente che ne abbia tratto vantaggio è tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente". Se la lite ha avuto esito favorevole per il condominio e se il condomino ne ha tratto vantaggio, è tenuto a partecipare alle spese del giudizio che non è stato possibile ripetere dalla controparte, per la sola quota delle spese processuali non recuperata dalla parte soccombente. Questa ipotesi ricorre nel caso in cui le spese siano state compensate o le procedure esecutive abbiano avuto esito negativo. "Si pensi al caso in cui dall'esito della lite sia derivato per i condomini (tutti) maggior intensità o ampliamento della facoltà di godimento sulla cosa comune e dunque favorevole per il condominio. In questi casi l'obbligo di contribuzione alla spese è limitato alle spese non ripetibili nei confronti del soccombente(perchè ad esempio il giudice ha compensato gli oneri processuali o per inutile escomio del soccombente)" Tribunale Firenze sez. II 4.12.2006. L'art. 1132 c.c. fa anche un'ulteriore precisazione: "Il condomino dissenziente ha diritto di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa.". La comunicazione del dissenso ha un valore interno e inerisce al rapporto tra condominio e condomino e non verso l’altra parte del giudizio. Esiste infatti una solidarietà passiva da parte di tutti i condomini nei confronti della controparte. La separazione non opera nei rapporti esterni (condominio-controparte), ma soltanto nei rapporti interni tra condomini e quindi la norma ha voluto sottolineare la facoltà del condomino dissenziente di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa nel giudizio. Il condomino dissenziente, essendo esonerato dalle spese di soccombenza, ha diritto di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa in forza della solidarietà passiva. Da ultimo si rileva che le disposizioni contenute dall'art. 1132 non sono derogabili dalle norme del regolamento condominiale, l'art. 1138 c.c. prevede infatti: "Le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118 secondo comma, 1119, 1129, 1132, 1136 e 1137c.c.".

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Avv. Luigo Giordano

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Membro del Centro Studi di ANACI LECCO

La sospensione dei servizi in caso di morosità del condomino La sospensione dei servizi in caso di morosità del condomino: l’art. 63 bis disp att. CC. Prime applicazioni e questioni aperte La morosità può diventare un problema molto serio se trascurata negli anni ed i rimedi per l’amministratore per il recupero del credito non sono sempre veloci ed efficaci (basti pensare alle unità immobiliari già coperte da pignoramento / ipoteche, per cui non è possibile nemmeno costituire una garanzia del credito). Se non si può intervenire in tempi brevi sul recupero del credito, si deve almeno cercare di contenere la morosità, evitando che la stessa cresca nel tempo a dismisura. Sono note situazioni per cui dei condòmini che hanno già subito il pignoramento dell’appartamento per crediti superiori al valore dello stesso, omettano più per questione “di principio” che per oggettiva impossibilità, di pagare la rate di spese in scadenza, certi di non correre rischi non avendo ormai più nulla da perdere. L’art. 63 comma 3 delle disposizioni di attuazione al codice civile, come modificato dalla riforma del L. 220/2012, si inserisce in questa problematica, dando un potere generale all’amministratore che in precedenza non aveva (prima della riforma infatti tale potere era subordinato all’espressa previsione all’interno del regolamento condominiale), tutelando così i soggetti in regola con i pagamenti da eventuali sospensioni collettive delle forniture o dall’emissione di rate straordinarie a copertura dei debiti altrui. Tale norma prevede che “In caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, l’amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato”. I requisiti per procedere sono dunque: 1. che sussista una mora del condomino; 2. che tale mora sia protratta per oltre un semestre; 3. che il servizio da sospendere sia comune; 4. che tale servizio sia suscettibile di godimento separato.

Se non si può intervenire in tempi brevi sul recupero del credito, si deve almeno cercare di contenere la morosità, evitando che la stessa cresca nel tempo a dismisura.

La riforma è da considerare ancora recente in rapporto ai tempi lunghi della giustizia: non sono state rinvenute sentenze della Cassazione per cui, come vedremo, su alcuni punti le visioni dei giudici di merito non sono univoche.

La mora del condomino Per la sussistenza della costituzione in mora occorrerà quanto meno una diffida al condomino di pagamento delle rate scadute e meglio

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ancora un’ingiunzione di pagamento. Logica vuole l’inadempimento che porti alla sospensione dei servizi debba comunque avere una certa importanza perché l’amministratore non rischi di incorrere nell’abuso del diritto. Per quali impianti si può applicare tale previsione? Il primo pensiero è all’impianto di riscaldamento centralizzato, la cui spesa annua è del resto tra le più importanti nella gestione ordinaria. Vi è poi la fornitura dell’acqua calda / fredda dall’impianto comune: soprattutto per queste ultime è opportuna una certa cautela potendo andare ad incidere su diritti costituzionalmente garantiti quale quello alla salute (art. 32 Cost.). Benchè, come di seguito esposto, vi sono molte pronunce che autorizzano da tali impianti il distacco dai predetti impianti, va segnalato che il Tribunale di Milano, con ordinanza del 24.10.2013, ha ritenuto che la sospensione del servizio del riscaldamento, non fosse in quel caso

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possibile in quanto bene primario costituzionalmente protetto. L’amministratore ha un obbligo di procedere in presenza di tali situazioni? La norma non impone all’amministratore un obbligo di procedere e la violazione di tale norma non è indicata tra le gravi irregolarità previste dall’art. 1129 c.c. Da buon mandatario tuttavia l’amministratore, soprattutto in presenza di situazioni gravi (considerata l’entità del debito, le possibilità di recupero in tempi brevi e quant’altro) ha il dovere di utilizzare tale strumento a sua disposizione che ha comunque un forte effetto persuasivo verso tutti i condomini.

È necessario il Tribunale? Sul punto sono state rinvenute pronunce contrastanti. Da un lato si è ritenuto che l’amministratore possa agire autonomamente, senza bisogno di ricorrere al Giudice. Il Tribunale Modena, sez. II, con la pronuncia del 05/06/2015 ha ritenuto che “L'art. 63, comma 3, disp. att. C.c. attribuisce -in via di autotutela e senza ricorrere previamente al giudice- all'amministratore condominiale il potere di sospendere al condomino moroso l'utilizzazione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato, e, dopo la modifica normativa che ha eliminato la previsione "ove il regolamento lo consenta", l'esercizio di tale potere configura un potere-dovere dell'amministratore condominiale il cui esercizio è legittimo ove la sospensione sia effettuata

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intervenendo esclusivamente sulle parti comuni dell'impianto, senza incidere sulle parti di proprietà esclusiva del condomino moroso" (tale pronuncia è stata emessa a seguito del ricorso del condomino che si era opposto alla sospensione dei servizi attuata direttamente dall’amministratore, ricorso poi rigettato per vari motivi). A parere del sottoscritto, essendo l’intervento destinato a sospendere servizi essenziali (riscaldamento / acqua) che, come abbiamo visto, possono avere gravi ripercussioni anche sulla salute, soprattutto in presenza di minori, anziani, ammalati, è quantomeno opportuno se non proprio necessario che l’amministratore agisca previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria – a tutela propria e del condominio. Il condomino, ancorchè moroso, potrebbe in presenza di certe situazioni proporre un’opposizione ex art. 700 cpc con richiesta di riattivazione dei servizi ed una richiesta di risarcimento danni ove l’operato dell’amministratore non fosse conforme alla legge. Che l’amministratore possa comunque agire avanti all’autorità giudiziaria è confermato dall’ordinanza ex art. 702 bis cpc del 29/12/14 del Tribunale di Lecco con cui il Giudice, verificata la sussistenza dei presupposti sopra indicati (importante e duratura morosità, presenza di ingiunzione di pagamento e di un’esecuzione negativa), ha accolto il ricorso proposto dal condominio, autorizzando l’amministratore a sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni di riscaldamento ed acqua e condannando il condomino stesso anche al pagamento delle spese del giudizio. In ogni caso l’autorizzazione del Giudice è sicuramente necessaria quando per la sospensione dei servizi occorre intervenire all’interno dell’abitazione del condomino moroso (difficile infatti pensare ad un condominio moroso che acconsenta spontaneamente a farsi “chiudere” acqua e riscaldamento). Da non sottovalutare il fatto che la presenza di un Giudice è certamente utile per cercare di raggiungere soluzioni conciliative tra le parti.

Si può intervenire dal condomino moroso? La risposta è affermativa. L’ingresso nell’abitazione del condomino moroso è stata autorizzata dal Tribunale di Brescia con ordinanza n. 1581 del 17/2/14 che ha previsto : “visto l’art. 700 c.p.c., ordina a X di consentire ai tecnici e/o all’impresa incaricati dal condominio Y la realizzazione della sospensione della fornitura del riscaldamento, mediante ingresso all’interno dei locali di loro proprietà e mediante interruzione dell’afflusso dell’acqua calda dalle tubazioni condominiali verso i radiatori posti all’interno dell’unità immobiliare indicata in ricorso, ciò tramite impresa idraulica e/o

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edile che intercetti le tubazioni d’acqua calda d’ingresso chiudendole con tappi e con ogni altro mezzo tecnico del caso”. Conforme anche Tribunale Busto Arsizio, 24/12/2010 - Redazione Giuffrè 2010.

Con quali strumenti si adisce il Tribunale? Nel caso del Tribunale di Lecco l’azione è stata promossa con il rito sommario ex art. 702 bis cpc: i tempi rapidi di questo Tribunale, consentono di avere in breve tempo il provvedimento. In altri casi è stato ammesso anche il ricorso d’urgenza ex art. 700 cpc: in tal caso però deve sussistere il cd periculum in mora, vale a dire il pericolo per il condominio, nel tempo occorrente per far valere il proprio diritto in via ordinaria, di un danno imminente ed irreparabile (es il pericolo di subire il taglio della fornitura di combustibile per il riscaldamento o dell’acqua ).

Mediazione E la procedura di Mediazione ex D.L.vo 28/2010 per le controversie condominiali? L’art. 5 della normativa sulla mediazione prevede l’obbligo di tale procedura in materia di controversie in materia di condominio. Pertanto, prima di iniziare la causa in Tribunale occorre presentare la domanda di mediazione avanti ad un organismo abilitato. Ricordiamo infine che l’art. 71 quater delle disp. att. del codice civile prevede che l’amministratore sia autorizzato a partecipare alla mediazione dall’assemblea con la maggioranza dell’art. 1136 II cc : analoga maggioranza serve per l’accettazione dell’eventuale proposta di maggioranza. ANACI LECCO n.3 | Ago-Ott 2016


Avv. Alberto Sangregorio

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Membro del Centro Studi di ANACI LECCO

Immediata verifica del rendiconto da parte dei condomini

La Riforma ha introdotto nel codice civile l'art. 1130 bis. Regolamentato il consiglio di condominio. Anche gli inquilini possono avere accesso ai documenti, che vanno conservati per dieci anni

L’art. 11 della Legge di Riforma del Condominio ha introdotto nel codice civile un nuovo articolo, come tale quindi precedentemente inesistente, denominato “Rendiconto condominiale”, nel quale ha inserito una serie di norme, anche di argomenti del tutto differenti dal rendiconto condominiale, che avrebbero peraltro avuto la loro naturale allocazione in altri articoli del codice civile o delle disposizioni di attuazione. Per consentire ai lettori una più appropriata comprensione degli argomenti trattati riporto qui di seguito il testo dell’articolo in commento, evidenziando che i numeri sono stati da me inseriti al fine di meglio individuare i diversi argomenti trattati dall’articolo stesso: Art. 1130 bis. (Rendiconto condominiale) Il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del Condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve, che devono essere espressi in modo da consentire l’immediata verifica. Si compone di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l’indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti. L’assemblea condominiale può in qualsiasi momento o per più annualità specificamente identificate, nominare un revisore che verifichi la contabilità del Condominio. La deliberazione è assunta con la maggioranza prevista per la nomina dell’Amministratore e la relativa spesa è ripartita tra tutti i condomini sulla base dei millesimi di proprietà. (1) I condomini e i titolari di diritti reali o di godimento sulle unità immobiliari possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copia a proprie spese. (2) Le scritture e i documenti giustificativi devono essere conservati per dieci anni dalla data della relativa registrazione. (3) L’assemblea può anche nominare, oltre all’Amministratore, un Consiglio di Condominio composto da almeno tre condomini negli edifici di almeno dodici unità immobiliari. Il Consiglio ha funzioni consultive e di controllo”. (4)

Rendicondto condominiale In merito al vero e proprio rendiconto condominiale (1), come si vede dalla lettura dell’articolo, il Legislatore non ha voluto imporre la pro-

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pria scelta in merito al criterio da adottare tra un rendiconto redatto per cassa e un rendiconto redatto per competenza. Nessun aiuto ci viene dalle norme in materia di rendiconto condominiale contenute nel testo del 1942, laddove assolutamente nulla si diceva in merito alle modalità di predisposizioni del rendiconto condominiale, se non indicare tra le competenze dell’assemblea quella di approvare il preventivo e il rendiconto annuale (art. 1135, n.1 e 2), prescrizione mantenuta senza modifica nella Legge di riforma. La giurisprudenza che si era formata sulla base del succitato art. 1135 c.c. aveva evidenziato come il consuntivo della gestione condominiale soggiace al criterio di cassa (vedasi tra le altre Sent. Cass. Civ. Sez. II, 09/05/2011 n. 10153). L’argomento tuttavia (e ovviamente) è stato oggetto di discussione nel corso dei lavori preparatori, tanto è vero che nel testo originario era stato espressamente specificato che il rendiconto condominiale doveva essere redatto con criterio di competenza. Tale frase è stata tuttavia espunta a seguito della modifica approvata dalla Camera dei Deputati in data 27/09/2012 (ma non sostituita da una opposta indicazione), lasciando in tal modo assoluta libertà al Condominio di chiedere all’Amministratore di predisporre un bilancio per cassa o per competenza. Riteniamo tuttavia di evidenziare come il bilancio per competen-

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za, anche tenuto conto dell’obbligo di accompagnare allo stesso sia il registro di contabilità che il riepilogo finanziario tale da consentire ai condomini di conoscere le forniture di cui non è avvenuto il pagamento, sia decisamente quello preferibile, non fosse altro per confrontare i costi dei vari anni, per poter redigere un preventivo effettivo dell’anno successivo senza residui inerenti gli anni precedenti, nonché per evitare gravi problematiche ai condomini tenuti a richiedere ai loro dante causa, anche a distanza di più anni, il rimborso di spese condominiali inerenti spese di gestione ordinaria, solo perché per la mancanza di fondi o per altri scelte non sono stato pagati nell’esercizio in cui sono stati eseguiti i lavori cui si riferiscono. Vi è poi un problema che, alla luce della normativa in campo di termoregolazione, rende impensabile procedere con il criteri di cassa. Poiché a seguito della diagnosi energetica la ripartizione dei costi inerenti il consumo involontario (quota fissa a millesimi) e volontario (quota a consumo delle singole unità immobiliari) viene effettuata secondo le nuove normative di riferimento (D. L.vo 102/14 e Norma Uni 10200) sulle base dei costi e dei consumi inerenti l’anno di riferimento, una eventuale ripartizione dei predetti costi che tenesse conto degli effettivi consumi di quell’anno ma che considerasse solamente le fatture/bollette pagate, sarebbe in evidente contrasto con il dettato normativo e darebbe errate indicazioni per le ripartizione dei suddetti costi. Applicare il criterio di cassa renderebbe del tutto inconciliabili i dati dei consumi, presupposto della normativa introdotta nel nostro ordinamento sulla base delle

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direttive europee. Riteniamo, quindi, di rivolgere un caloroso invito agli Amministratori di redigere un rendiconto condominiale optando per il regime di competenza ed evidenziando nel riepilogo finanziario, oltre alle obbligatorie disponibilità finanziarie iniziali, alle entrate ed uscite dell’esercizio anche le fatture inserite per competenza ma ancora non pagate per carenza di liquidità o per altre ragioni, nonché gli incassi di rate versate dai condomini inerenti il predetto esercizio specificando quelle che sarebbero state escluse in un bilancio per cassa in quanto il pagamento avvenuto prima della redazione del rendiconto ma con valuta successiva alla chiusura dell’esercizio stesso. In tal modo la ripartizione sarebbe assolutamente corretta così come la prevista e indicata verifica delle voce espresse nel rendiconto condominiale, verifica che invece sarebbe certamente di estrema difficoltà se il consuntivo annuo dovesse essere così fluttuante con inserimento di forniture degli anni pregressi solo perché pagate in quell’esercizio e di esclusione di forniture invece effettuate nell’esercizio ma ancora non pagate. È necessario, come espressamente previsto nell’articolo in commento, consentire ai condomini di “leggere” il rendiconto facendo immediatamente loro capire se i costi inerenti le

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uscite relative a quell’esercizio, globalmente e per singole partite, siano inferiori o superiori alle equivalenti spese degli anni precedenti. Sempre con riferimento al rendiconto condominiale il Legislatore non ha richiesto alcuna forma particolare, ma ha previsto esclusivamente che il rendiconto deve contenere le voci di entrata ed uscita e ogni dato inerente la situazione patrimoniale, i fondi disponibili, le eventuali riserve evidenziando, punto cruciale dell’articolo, che i suddetti dati devono essere espressi in modo da consentire (ai condomini) l’immediata verifica. Quindi sostanzialmente viene richiesto un rendiconto meno professionale, meno qualificato, ma più semplice e soprattutto più intellegibile a tutti i destinatari che sono i condomini e che devono essere messi in condizioni di capire i costi sostenuti dal Condominio e le quote a loro carico!

Visionare i documenti Il punto (2) dell’articolo introduce un'importante novità, non tanto relativa al diritto per proprietari e usufruttuari di prendere visione dei documenti giustificativi delle spese ed estrarne copia, ma relativa all’allargamento di tale diritto, in modo diretto e senza autorizzazione alcuna da parte del proprietario o dell’usufruttuario, a coloro che su taluna delle unità immobiliari facenti parte del Condominio vantano un diritto reale o di godimento. A seguito di tale norma anche tali persone, e si pensi in modo particolare agli inquilini, possono rivolgersi direttamente all’Amministratore chiedendo di prendere visione di tale documentazione e di estrarne copia, documentazione che peraltro in alcune circostanze potrebbe essere loro utile proprio per aprire un contenzioso nei confronti del proprietario per richieste di partecipazione alle spese condominiali in misura dagli stessi ritenuta non dovuta.

Archivio decennale Il punto (3) finalmente indica il termine

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fino al quale l’Amministratore è tenuto a conservare la documentazione contabile inerente la gestione condominiale: 10 anni che decorrono dalla data di registrazione del documento come risultante dal registro di contabilità.

Consiglio di condominio Il punto (4) trova collocazione in questo articolo in modo abbastanza anomalo in quanto la nomina del Consiglio di Condominio ha poco a che fare con il rendiconto condominiale, se non fosse per la previsione che il predetto Consiglio ha anche funzioni di controllo. Più appropriato sarebbe stato certamente l’inserimento della predetta norma nell’articolo 1129 c.c. relativo alla nomina dell’Amministratore. Nel codice del 1942 il Consiglio di Condominio non era normato, anche se una ipotesi era stata ventilata nelle proposte precedenti la relativa approvazione, ma nulla era stato poi inserito. La nomina del Consiglio di Condominio era invece prevista nell’art. 16 del Regio Decreto Legge del 15/01/1934 n. 56, che tuttavia non venne mai applicato né incluso nel codice del 1942. Tale organo è stato quindi riesumato e istituzionalizzato nella Legge di riforma, anche se di fatto tale organo, previsto anche in molti regolamenti condominiali, veniva costituito e utilizzato, anche in mancanza di alcuna disposizione legislativa, in quanto la giurisprudenza di merito ne aveva accertato la legittimità. La norma di riferimento introdotta dalla Riforma è tuttavia eccessivamente ridotta e lacunosa e pone diversi dubbi interpretativi. Pur non dimenticando che l’art. 1130 bis rientra tra le norme derogabili da delibere assembleari, la lettura dell’articolo impedirebbe la nomina del Consiglio allorché il Condominio sia costituito da meno di 12 unità immobiliari. Poiché infatti la norma consente alle assemblee di procedere alla nomina, oltre che dell’Amministratore, anche del predetto Consiglio negli edifici di almeno 12 unità immobiliari, significa che è vietato (salvo espressa deroga) di procedere alla nomina se le unità immobiliari dovessero risultare di numero inferiore. Se l’assemblea volesse provvedere ugualmente a tale nomina, dovrebbe espressamente indicare che la delibera viene assunta in deroga al suddetto articolo. Appare peraltro abbastanza incoerente con altri punti della Riforma utilizzare in questo caso il numero delle unità immobiliari, anziché (vedasi l’obbligatorietà della nomina dell’Amministra-

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tore e dell’approvazione del Regolamento del Condominio) il numero dei condomini. In tal modo peraltro sarebbe sufficiente la presenza di due condomini, proprietari dell’intero fabbricato, per consentire la nomina del Consiglio, ricorrendo necessariamente a non proprietari per completare il numero di partecipanti al Consiglio stesso. La norma nulla inoltre dice in merito al quorum deliberativo e alla durata dell’incarico. Quanto al primo si potrebbe sostenere da un lato che sia il medesimo della nomina dell’Amministratore oppure, tesi che ritengo preferibile, anche attesa la gratuità dell’incarico e la limitazione dei poteri, che sia sufficiente una maggioranza semplice ex art. 1136, terzo comma. Quanto al secondo si potrebbe ipotizzare una durata annuale o un incarico biennale, legato alle delibera di nomina dell’Amministratore. A mio parere propenderei per la durata annuale. Nulla infine la norma dice in ordine alla legittimazione a ricoprire il predetto incarico: deve essere un proprietario o può essere anche un usufruttuario, un inquilino, un parente del proprietario? Deve essere residente presso il Condominio oppure può essere anche un esterno? A mio parere i componenti del Consiglio devono essere scelti tra le persone aventi facoltà di prendere visione dei documenti (proprietario, usufruttuario, titolare di un diritto reale o di godimento) mentre solamente ragioni di opportunità ritengo sia meglio nominare una persona stabilmente residente presso il Condominio stesso.

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Avv. Arveno Fumagalli

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Membro del Centro Studi di ANACI LECCO

Amministratore tra appropriazione indebita, truffa ed esercizio arbitrario

Alcuni aspetti civilistici connessi alla tutela del credito dell’amministratore nei confronti del condominio (e viceversa) possono avere dei riflessi penalistici

NOTE 1

Art. 1223 cod. civ.: “Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”. 2 Art. 1460 cod. civ.: “Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto”. 3 Art. 392 cod. pen.: “Chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose, è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a cinquecentosedici euro. Agli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione.”

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Il credito dell’amministratore nei confronti del condominio discende dal contratto concluso al momento del conferimento del mandato che, secondo la nuova normativa deve essere preventivamente specificato, quindi la “proposta” dell’amministratore diventa contratto valido ed efficace tra le parti non appena la volontà assembleare dichiara la sua “accettazione” conforme alla proposta. Spesso il compenso viene “corrisposto” all’amministratore (che procede a disporre un pagamento in suo favore per l’importo equivalente al compenso concordato) solo in sede di approvazione del consuntivo. Nelle molteplici dinamiche che regolano i rapporti tra amministratore e condominio può accadere che all’originaria fiducia che stava alla base del conferimento del mandato ad amministrare, irrimediabilmente venuta meno, sia subentrata una profonda diffidenza o peggio; e frequente si presenta, in concreto, la circostanza della revoca o della sostituzione dell’amministratore da parte dell’assemblea condominiale prima dell’approvazione del consuntivo e/o prima dell’effettivo versamento del compenso, residuando pertanto un credito residuo vantato dall’amministratore nei confronti del condominio. Altrettanto frequente è il caso di pagamento, a se stesso, disposto dall’amministratore, sia prima che dopo la sua revoca o sostituzione, con operazioni sul conto corrente condominiale. Peraltro, a fronte di un credito dell’amministratore nei confronti del condominio, anche quest’ultimo potrebbe avere una ragione di credito in quanto potrebbe anche accadere che durante il mandato l’amministratore abbia, anche solo con colpa, provocato un danno patrimoniale al condominio (es.: non avendo eseguito delle delibere, avendo omesso di riferire all’assemblea circa l’inizio di azioni giudiziali, etc.) conseguenza immediata e diretta del suo inadempimento ex art. 1223 c.c.1 Ma, mentre la quantificazione del credito dell’amministratore nei confronti del condominio è semplice perché è certo, liquido ed esigibile in quanto predeterminato all’inizio del rapporto, il credito del condominio nei confronti dell’amministratore potrebbe essere di non semplice accertamento in quanto occorre dare la prova che (a) in conseguenza all’azione o all’omissione dell’amministratore al condominio sia derivato un danno e (b) occorre altresì provare esattamente la misura del danno (accertamento dell’“an” e del “quantum”). In questo rapporto reciproco di debito/credito, dare/ avere, i rispettivi crediti possono non essere contemporaneamente

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“certi, liquidi ed esigibili”. Mentre certamente lo è il credito dell’amministratore per il suo compenso ordinario, per i motivi sopra indicati, potrebbe non esserlo per quel compenso a percentuale commisurato sull’entità degli interventi di natura straordinaria perché, per esempio, c’è una contestazione sulla natura ordinaria o straordinaria della spesa. Parimenti non è certo, liquido ed esigibile il credito vantato, in ipotesi, dal condominio in quanto non ancora accertato l’ “an” ed il “quantum”. Che accade se l’amministratore operando sul conto corrente condominiale esegua dei pagamenti in suo favore senza che l’assemblea abbia preventivamente approvato il pagamento? O, ancora, se l’assemblea abbia espressamente non approvato il consuntivo, nella parte in cui si indicava la somma destinata al pagamento del compenso all’amministratore, giustificando la mancata approvazione del consuntivo e quindi del pagamento con l’esercizio il diritto derivante dall’art. 1460 c.c. (inadimplenti non est adimplendum)2. Nel caso in cui l’amministratore non fosse ancora stato revocato da una delibera assembleare la disposizione di pagamento eseguita dal conto corrente condominiale in favore di se stesso è valida ed efficace, eseguita sicuramente da un soggetto legittimato. Nel caso in cui l’amministratore fosse già stato revocato da una delibera assembleare ma la stessa non fosse ancora portata a conoscenza dell’istituto dove il condominio ha in essere il rapporto di conto corrente, la disposizione eseguita sul conto corrente condominiale in favore di se stesso è perfettamente valida ed efficace solo per quanto concerne la responsabilità della banca (che non poteva sapere dell’intervenuta revoca o sostituzione) ma eseguita da un soggetto non legittimato. Ma sia nel primo che nel secondo caso a quale ipotesi ci troverem-

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mo di fronte? Appropriazione indebita (Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropri del denaro o della cosa mobile altrui, della quale abbia, a qualsiasi titolo, il possesso) o Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose (Chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose). In data 7 ottobre 2014 la Corte di appello di Napoli confermava la pronuncia del 23-11-2011 dello stesso Tribunale che aveva condannato un amministratore di condominio alla pena di mesi 4 di reclusione ed Euro 400,00 di multa per il delitto di appropriazione indebita. Il prevenuto “nella sua qualità di amministratore del condominio, mediante l'appropriazione di somme del condominio di cui aveva disponibilità in forza dell'incarico conferitogli, mediante periodici prelievi dal conto corrente del condominio stesso” era stato riconosciuto colpevole del reato di appropriazione indebita perché l’ufficio della Procura aveva accertato con un consulente tecnico che dall’estratto conto condominiale risultavano prelievi di somme di cui l’amministratore non aver saputo giustificare l’utilizzo in favore del condominio. La sentenza Cass. pen. Sez. II, 04-072016, n. 27363 specificava la correttezza dell’accertamento di colpevolezza e quale fosse il momento consumativo del reato ai fini dell’effetto della decorrenza del termine di prescrizione dello stesso. “L'utilizzo delle somme versate nel conto corrente da parte dell'amministratore durante il mandato non profila l'interversione nel possesso che si manifesta e consuma soltanto quando terminato il mandato le giacenze di cassa non vengano trasferite al nuovo amministratore. E difatti avendo l'amministratore la deANACI LECCO n.3 | Ago-Ott 2016


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tenzione nomine alieno delle somme di pertinenza del condominio sulle quali opera attraverso operazioni in conto corrente, solo al momento della cessazione della carica si può profilare il momento consumativo dell'appropriazione indebita poiché in questo momento rispetto alle somme distratte si profila l'interversione nel possesso”. Quanto precede però può servire a chiarire il momento consumativo del reato ai fini del calcolo della prescrizione, non qualifica il reato che nel caso ricordato fu ritenuto sussistente in quanto l’amministratore non aveva saputo giustificare l’utilizzo delle somme accertate come prelevate e non utilizzate per pagare i debiti condominiali. Il pagamento eseguito dall’amministratore a sé medesimo durante il mandato o successivamente alla cessazione delle carica, di somme a titolo di compenso ordinario o straordinario, non si potrebbe qualificare come “appropriazione indebita” in quanto mancherebbe il requisito oggettivo del “procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto”. Come si può parlare di ingiusto profitto se la somma corrisponda esattamente al compenso dovuto? Solo in caso di accertamento negativo (convenuto a preventivo un compenso pari a € 1.000,00 oltre oneri l’amministratore esegue un pagamento a sé medesimo di € 2.000,00 oltre oneri) del credito dell’amministratore si potrebbe qualificare il fatto come appropriazione indebita. Il condizionale è d’obbligo perché potrebbe avvenire che il discrimine tra “una somma dovuta” e “una somma non dovuta” potrebbe essere così sottile che l’elemento soggettivo del reato, ovvero la volontà e la consapevolezza di appropriarsi di una somma che in realtà non era dovuta, potrebbe venire meno e di conseguenza l’amministratore dovrebbe essere mandato assolto perché “il fatto non costituANACI LECCO n.3 | Ago-Ott 2016

isce reato”. Nell’ipotesi di disposizione patrimoniale in favore di sé medesimo da parte dell’amministratore, finalizzato al recupero di somme di danaro ritenute effettivamente dovute, si potrebbe invece ritenere la sussistenza dell’ipotesi di reato di “ragion fattasi"3. Come chiarito da Cass. n. 4373/2009, “La violenza sulle cose, che integra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, può consistere in un mutamento di destinazione che ne impedisca l'uso per un apprezzabile periodo temporale ed in modo effettivo”. Il prelievo dal conto corrente condominiale di somme di denaro realizza un mutamento di destinazione della res mobile definitivo in quanto non più nella disponibilità del titolare del conto, ed inoltre Cass. penale, sez. VI, 01/04/2015, n. 23678 ha chiarito che “l'elemento distintivo del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni risiede nell'elemento soggettivo, perché l'autore agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la coscienza che l'oggetto della pretesa gli competa”. L’ipotesi di reato ipotizzata è integrata soprattutto nel caso in cui l’amministratore, già revocato o sostituito con formale delibera, operi ugualmente sul conto corrente condominiale “facendosi ragione” da solo, potendo invece, in alternativa, chiedere l’adempimento spontaneo al condominio in persona del nuovo amministratore e/o rivolgersi all’autorità giudiziaria in caso di mancato adempimento. Schematizzando, l’analisi delle seguenti tre ipotesi dovrebbe rendere ancora più chiaro il contenuto di quanto finora argomentato: 1. l'amministratore sia ancora in carica, il suo compenso ordinario sia stato concordato, egli provvede al pagamento attingendo dai fondi condominiali. In questo primo caso non ritengo sia stato integrato alcun reato. 2. l'amministratore sia ancora in carica, il suo compenso ordinario sia stato concordato ma c'è una somma pretesa a titolo di percentuale sui lavori straordinari eseguiti (percentuale concordata in sede di nomina), egli provvede al pagamento attingendo dai fondi condominiali dell'importo complessivo (ordinario + straordinario) e solo successivamente l'assemblea nella delibera contesta l'ammontare dell'importo dei lavori straordinari (ad esempio ritenendo che parte fossero lavori da considerarsi non straordinari) e conseguentemente contesta l'importo del compenso determinato in percentuale: la questione della debenza è una questione civilistica! Non ritengo che sia integrato il reato di appropriazione indebita / esercizio arbitrario, almeno sotto il profilo della mancanza dell'elemento soggettivo, salvo acquisire prove che l'amministratore avesse qualificato come straordinarie spese che macroscopicamente dovevano essere qualificate come ordinarie. 3. l'amministratore non sia più in carica, il suo compenso sia

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stato concordato o non vi siano dubbi sull'entità, egli provvede al pagamento attingendo dai fondi condominiali benché non avesse più il potere di operare sul conto corrente condominiale essendo stato revocato. In questo caso, benché il compenso sia stato concordato, la disposizione bancaria (la banca spesso viene a sapere che l'amministratore è stato sostituito solo dopo alcuni giorni dall'assemblea) è fatta da soggetto "non autorizzato", solo in questo caso credo che si possa parlare di esercizio arbitrario delle proprie ragioni infatti, potendo rivolgersi al giudice per ottenere un titolo esecutivo, l’amministratore si è "fatto ragione" da solo, né più né meno del soggetto che, dopo qualche mese, rompa la catena che il vicino abbia installato impedendogli l’accesso al suo fondo, potendo invece invocare la tutela possessoria ex art. 1168 c.c.. Peraltro nel caso in esame si potrebbe ipotizzare la presenza, in concorso, del reato di “sostituzione di persona” art. 494 c.p.4: in questa fattispecie l’attribuzione del vantaggio non è connotata dall’aggettivo “ingiusto”, il vantaggio potrebbe essere giusto e si sarebbe in presenza di un’attribuzione a sé di una qualità (amministratore) cui la legge attribuisce effetti giuridici. L’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, infine, “confina” pericolosamente con il furto (o l’appropriazione) ogni volta che si agisca per un “profitto” ulteriore rispetto a quello che si pretende di tutelare, a tale proposito con la sentenza 32383/15 la sez. V della Cass. Penale ha stabilito che “Integra il delitto di furto e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l'appropriazione della cosa mobile altrui se finalizzata non solo alla tutela del possesso ma a trarre profitto. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il delitto di furto nella condotta di un avvocato che, dopo aver comunicato la propria volontà di recedere da uno studio associato, si era impossessato di alcuni "files", cancellandoli dal "server" dello studio e di alcuni fascicoli processuali in ordine ai quali aveva ricevuto in via esclusiva dai clienti il mandato difensivo, al fine di impedire agli altri colleghi dello studio un effettivo controllo sulle reciproche spettanze)”. Per quanto riguarda la più classica ipotesi di appropriazione indebita vi sono poche sentenze a carico dell’amministratore, fra cui la Sentenza n. 41462/10 sez. II Cass. Penale: “Integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell'amministratore condominiale che, ricevute le somme di denaro necessarie dai condomini, ometta di versare i contributi previdenziali per il servizio di portierato”. Si tratta comunque di un principio applicabile a tutte le ipotesi in cui il maneggio del denaro di cui si abbia la disponibilità venga “distratto” per fini illeciti, e soprattutto, al fine di profitto proprio. Appare opportuno sviluppare invece la questione del rapporto fra appropriazione indebita e truffa, trattandosi di figure di reato che spesso si sovrappongono. Il punto qualificante la distinzione è quello relativo alla giustificazione dei prelievi sul conto:

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se per giustificarli si utilizzano documenti o fatti giuridici inesistenti il reato che si commette è quello di truffa, aggravata ex art, 61 n. 11 c.p. (l’aggravante vale anche per l’appropriazione, ovviamente)5. Gli artifici, quindi, debbono essere “anteriori” alla appropriazione. In caso contrario il reato si qualificherà come appropriazione indebita: Cass. Pen., Sez. II, Sent. n. 3924/03: “La sottrazione di somme di pertinenza di un'associazione da un libretto di deposito bancario ad opera del suo Presidente che occulti poi gli ammanchi mediante false annotazioni di versamenti per pari importi non integra il reato di truffa, bensì quello di appropriazione indebita, in quanto gli artifici e raggiri sono posti in essere dall'agente dopo l'appropriazione del danaro e al solo fine di mascherarla”. In entrambi i casi, con la aggravante ex art. 61 n. 11 c.p., i reati di truffa o appropriazione sono sempre procedibili d’ufficio.

NOTE 4 Art. 494 c.p.: “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all'altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno” 5 Cass. Pen. Sez. II, Sent. n. 35798 del 18/06/2013: “Sussiste il delitto di truffa e non quello di appropriazione indebita quando l'artificio e il raggiro risultino necessari all’appropriazione (Fattispecie in cui l'imputato, con artifici e raggiri, aveva indotto in distinte occasioni le persone offese a versare alcune somme di denaro in conto acquisto di due automezzi, successivamente mai consegnati)” e ancora Cass. Pen, Sez. V, Sent. n. 363 del 21/01/1999: “Il delitto di appropriazione indebita consiste nella semplice interversione del titolo del possesso da parte di chi, a qualsiasi titolo, detenga danaro o cosa mobile altrui. Non sussistono quindi gli estremi del reato di cui all'art. 646 cod. pen., bensì quelli della truffa, allorché l'amministratore di una società di capitali si impossessi del denaro appartenente alla stessa attraverso una serie di passaggi contabili, di atti e di convenzioni, volti, non solo ad assicurarsi il frutto del reato, ma a fare apparire regolari i trasferimenti”.

ANACI LECCO n.3 | Ago-Ott 2016


PILLOLE DI SAGGEZZA

Rubrica a cura di Pierluigi Dell'Oro Ex-Presidente e Socio Onorario ANACI

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egli ultimi tempi ho avuto modo di frequentare nuovamente l’Associazione dopo che mi ero dimesso, avendo chiuso l’attività per scelta personale. Da 2 anni sono diventato quindi un vero pensionato che si dedica ai nipotini, alla famiglia e anche a qualche hobby che prima non avevo avuto tempo di coltivare. Ma ANACI ha lasciato in me tanti piacevoli ricordi. Mi sono fatto tanti Amici, alcuni dei quali non mi hanno voluto lasciare andare definitivamente, e che mi hanno veramente commosso quando hanno richiesto, e ottenuto, dal Consiglio Nazionale la mia nomina a Socio Onorario. Non potevo perciò mancare agli ultimi eventi organizzati dall’Associazione durante i quali ho avuto modo di rivedere i miei ex allievi che mi hanno manifestato calorosamente la loro stima: allora ne ho dedotto che forse qualcosa di buono avevo fatto per l’Associazione. Ho, infatti, avuto l’onere e l’onore di presiedere la Provinciale di Lecco per ben 17 anni, dedicando alla stessa il mio tempo libero, con la indulgente comprensione della mia famiglia. Direi che sono stati anni di grande impegno, ma anche di grandi soddisfazioni. Ho visto formarsi i nuovi amministratori ai corsi che abbiamo organizzato, tanti dei quali hanno poi intrapreso la professione. Ho avuto modo di conoscere e stringere amicizia con autori di libri di diritto condominiale, magistrati, docenti esperti anche nel campo fiscale. elettrico, idrico, prevenzione incendi, che ovviamente ho portato come relatori ai corsi e ai Convegni di Lecco. Devo dire che erroneamente ho sempre accentrato l’attività dell’Associazione, mentre ho notato con piacere che ora abbiamo una conduzione menageriale, dove i Dirigenti collaborano tra loro con distribuzione dei compiti e con l’ausilio di esperti dei vari settori e di un addetto stampa

SPAZIO GIOVANI

Rubrica a cura di Marco Pazzini Gruppo Giovani ANACI LECCO

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ome da tradizione, anche quest’anno ANACI Nazionale ha rinnovato per tutti i suoi soci per 12 mesi - a partire dall'01 aprile 2016 fino all'01 aprile 2017 - il programma Assicurativo Responsabilità Civile Professionale ANACI con una nuova compagnia assicurativa, la NOBIS Assicurazioni S.p.A. attraverso il broker Ernesto Solari Assicurazioni s.r.l. che sarà unico referente per i soci ANACI per qualsiasi informazione e problematica inerente la polizza professionale. La polizza attuale, che copre molteplici campi relativi la professione di amministratore di condominio, ricalca la precedente stipulata e offre le seguenti condizioni: • un massimale di € 850.000,00 per Assicu-

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per una migliore visibilità. Vista l’esperienza maturata, vorrei dare qualche consiglio ai giovani amministratori. Direi per prima cosa di non isolarsi a coltivare il proprio orticello con egoismo, ma di accostarsi ai colleghi per un continuo scambio di esperienze, oltre a tenersi sempre aggiornati tramite il supporto dell’Associazione che organizza convegni e incontri.Vorrei ricordare che siamo dei veri Professionisti, al pari di avvocati, commercialisti, ingegneri, anche se i nostri amministrati faticano a riconoscerci tale “status”. Occorre, quindi, dimostrare nei fatti la nostra professionalità, agendo con onestà, equità e disponibilità. Ricordiamoci anche che siamo anche dei mediatori sociali e che dobbiamo dar retta anche alla signora Maria quando espone le proprie lamentele e gestire le controversie prima che degenerino o si instaurino delle liti giudiziarie. Nelle assemblee dobbiamo prestare la massima attenzione agli interventi dei vari condomini, che accetteranno anche un parere a loro contrario se supportato da una esauriente spiegazione giuridica o tecnica: occorre quindi essere preparati sugli specifici argomenti all’ODG. Assolutamente raccomando di tenere separate la contabilità personale da quelle dei condomini, evitando l’utilizzo di una cassa condominiale a favore di un’altra, anche se per un breve periodo di tempo. Per quanto riguarda la professione, consiglio a tutti e in particolare ai giovani di non “svendersi” con compensi tanto miseri da considerarsi una offesa alla dignità professionale. Non accettate o sollecitate compromessi con i fornitori: manterrete la stima e il potere contrattuale è fondamentale.

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rato e per ogni richiesta di risarcimento e di € 850.000,00 in aggregato annuo relativamente all’attività ordinaria; • un massimale di € 350.000,00 per Assicurato e per ogni richiesta di risarcimento e di € 350.000,00 in aggregato annuo relativamente all’attività straordinaria. Al vaglio del Consiglio della provinciale di Lecco, la possibilità di pagare per i propri associati, la quota di € 40,00 ciascuno necessaria per raddoppiare il massimale relativo all’attività straordinaria portandolo a € 700.000,00. Un regalo agli associati lecchesi per poter usufruire e sfruttare maggiormente i vantaggi della polizza RC professionale ANACI compresa nella quota di iscrizione annua.


IL PARERE TECNICO Prof. Arch. Annalisa Galante Membro del Centro Studi e Consulente Tecnico ANACI LECCO

Predisposizione obbligatoria per la ricarica dei veicoli elettrici Grazie alla Direttiva 2014/94/Ue del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, che verrà a breve recepita, dal 1° giugno 2017 tutti i nuovi edifici, residenziali e non, dovranno prevedere la predisposizione per le infrastrutture che alimentino i veicoli elettrici. Dal 1° giugno 2017 i Comuni italiani non potranno più rilasciare titoli edilizi per edifici residenziali e non residenziali (con superficie superiore a 500 m2) se nel progetto non è prevista la predisposizione all'allaccio di stazioni o wallbox (prese a muro) di ricarica per auto elettriche. In particolare, ci dovrà essere la possibilità di collegare le vetture a emissioni zero da ciascuno spazio a parcheggio coperto o scoperto e da ciascun box per auto. Questo sia per gli edifici residenziali di nuova costruzione con almeno 50 unità abitative (che dovranno avere un numero di spazi a parcheggio e box auto non inferiore al 20% di quelli totali), che per quelli non residenziali con superficie utile superiore ai 500 m2. Per entrambe le tipologie, infine, sono compresi anche i relativi interventi di ristrutturazione edilizia di primo livello. Questi interventi senz'altro serviranno per abbattere in parte l'"ansia da ricarica" di molti potenziali clienti, anche in assenza di colonnine nelle vicinanze della propria abitazione. Con il 90% della popolazione che non percorre più di 30 km al giorno, e vetture ormai abbastanza economiche con range facilmente oltre i 100 km, sono molti gli automobilisti che potrebbero guardare con interesse a questo mercato.

Dal 1° giugno 2017 i nuovi edifici, residenziali e non, dovranno avere la predisposizione per le infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici

Una Tesla ricaricata da una wallbox (a destra) e collegata a un accumulo (Power Wall) a sinistra. Questo il futuro: veicoli come batterie che ricaricano la casa

Foto: ©Tesla

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ANACI LECCO n.3 | Ago-Ott 2016


Ing. Giuseppe Cardenia

IL PARERE TECNICO

Responsabile Tecnico Eurocert

Verifiche di sicurezza e conformità dei cancelli automatici

Ancora troppi gli incidenti causati dai cancelli automatici installati nei condomini e mal manutenuti

RIFERIMENTI NORMATIVI Direttiva Macchina 2006\42\CE Norme UNI EN 12453 ed EN 12445 Sentenza n°34147 del 06/09/2012 - Corte di Cassazione Sezione 4° Penale

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Sicurezza nei condomini, ancora troppi incidenti causati dai cancelli automatici. Negli ultimi 4 anni, in Italia, si sono verificati 69 incidenti gravi di cui 27 mortali causati dai cancelli automatici e manuali. Spesso, infatti, vengono trascurati la manutenzione e le basilari norme di sicurezza. Talvolta nei condomini, ma non solo, ci si preoccupa più di problematiche marginali trascurando, invece, rischi decisamente maggiori che potrebbero arrecare danni anche gravi alle persone, soprattutto in presenza di bambini. Il cancello automatico è un esempio di “macchina” non proprio sempre sotto controllo a cui si pensa, “maledicendolo”, solo quando non si apre! Infatti un cancello, nato già motorizzato, oppure reso automatico a seguito dell’installazione di un automatismo, diventa a tutti gli effetti una macchina automatica e come tale deve sottostare alle indicazioni stabilite dalla Direttiva Macchina 2006\42\ CE e alle norme tecniche di costruzione e manutenzione e, quindi, deve essere dotata di idonea documentazione tecnica e sottoposta ai previsti controlli. Il costruttore dell’intero sistema cancello, ma anche l’eventuale installatore dell’automatismo su di un cancello preesistente, devono consegnare al proprietario o all'amministratore il fascicolo tecnico contenete, tra gli altri, la Dichiarazione Ce e applicare sul cancello la marcatura CE. Il contratto di manutenzione con idonea ditta specializzata che garantisce il pronto intervento in caso di necessità, sicuramente consente la risoluzione tempestiva del malfunzionamento ma si è certi che garantisca il pieno rispetto dei requisiti essenziali di sicurezza imposti dalla Direttiva Macchine? Non sarebbe meglio sottoporlo al controllo di un tecnico specializzato almeno per verificare che sia tutto in regola e me lo attesti tramite il rilascio di apposito verbale?? Ci sono troppi bambini che giocano a pallone vicino, non mi sento tranquillo, e se poi qualcuno si fa male? Oltre al rimorso morale andrei anche in contro a responsabilità penali! Meglio fare una verifica.

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Ing. Alessio Maggi

IL PARERE TECNICO

Esperto in sicurezza e ambiente - Tecnolario

Inquinamento acustico: ai primi posti il rumore da calpestio L’inquinamento acustico è una delle cause maggiori di stress che colpisce il nostro Paese. Da un recente sondaggio eseguito a Roma è risultato che una delle maggiori cause di stress all’interno delle abitazioni (poste in condominio) è da attribuire al “rumore da calpestio proveniente dal piano superiore”. Il d.p.c.m. del 5 dicembre 1997 è per la legge italiana il riferimento che regolamenta l’acustica in campo edile, un testo impreciso, poco chiaro e spesso oggetto di diatribe tra i tecnici e di contenziosi giudiziari. I valori di riferimento, inseriti in tabella, sono: • R’w è il descrittore del potere fonoisolante apparente di partizioni fra ambienti di differenti unità immobiliari; • D2m,nT,w è il descrittore dell’isolamento acustico normalizzato di facciata; • L’n,w è il descrittore del livello di pressione sonora di calpestio normalizzato fra ambienti di differenti unità immobiliari; • LAsmax e LAeq sono il livello massimo di pressione sonora e il livello equivalente di pressione sonora per gli impianti a funzionamento continuo e discontinuo (es. impianti di riscaldamento, ascensori). Il 25 Novembre 2016 scade la delega del Governo di cui all’art.19 della legge n. 161/2014, che presuppone l’emanazione di uno o

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Il ruolo dell’amministratore è molto chiaro, secondo l’art. 1130 c.c., ha degli obblighi con riferimento alle parti comuni dell’edificio

Requisiti acustici passivi degli edifici, dei loro componenti e degli impianti tecnologici, valori di riferimento

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IL PARERE TECNICO

più decreti indirizzati al ripristino dei provvedimenti normativi inerenti la regolamentazione della tutela dell’ambiente esterno ed interno dall’inquinamento acustico. Vale la pena avere un occhio di riguardo per un tema apparentemente semplice ma dai risvolti di natura complessa. Il ruolo dell’amministratore di condominio in questi casi è molto chiaro, secondo l’art. 1130 c.c., ha degli obblighi solamente con riferimento alle parti comuni dell’edificio, esso infatti, in accordo al comma 1 e 2 dello stesso articolo, interviene nel momento in cui ad esempio: • viene violato il regolamento condominiale (per esempio a differenza di quanto prescritto dal regolamento condominiale un condomino passa l’aspirapolvere alle 5 di mattina); • si necessita di richiamare il disturbatore all’ordine, tramite raccomandata formale; • si necessita compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio (es. insonorizzare un rumore proveniente dal sistema di riscaldamento centralizzato). Nonostante sia buona norma rivolgersi, prima che all’avvocato, a uno specialista in materia di acustica allo scopo di accertare attraverso misure fotometriche l’effettiva entità delle immissioni, le azioni che “il disturbato” può intraprendere sono svariate, tra cui: • accordo bonario tra il “disturbato” e il “responsabile del rumore”, di regola la soluzione migliore; • richiesta al Settore Ambiente del Comune di un sopralluogo da parte dell’ARPA (nel caso di rumori provenienti da attività commerciali) per le ANACI LECCO n.3 | Ago-Ott 2016

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misurazioni fotometriche previste dal d.p.c.m. 14/11/97, con il vantaggio del sopralluogo gratuito ma con lo svantaggio dell’azione di tipo amministrativo che spesso lunga e inefficiente; arbitrato rituale e arbitrato irrituale, a seconda delle clausole presenti nel Regolamento condominiale (clausola arbitrale); ricorso d’urgenza in Tribunale ex art. 700 c.p.c.: quando a fronte di un rumore ritenuto intollerabile, si rischia un grave danno alla salute, il singolo cittadino può chiedere al giudice un provvedimento d’urgenza; ricorso per l’esecuzione forzata dell’obbligo del fare o non fare se il responsabile non ha ottemperato all’ordinanza; causa ex art.844 c.c.: Il codice civile detta con questa norma una tutela contro i rumori che disturbano la quiete domestica, stabilendo se le fonti provenienti dal vicinato, attraverso il criterio della normale tollerabilità ed il comportamento delle ragioni dei diversi proprietari. (Immissioni di rumore non più di 3 dB in periodo notturno e 5 dB in periodo diurno oltre il rumore di fondo); accertamento tecnico preventivo ex art. 696 c.p.c., il richiedente chiede la nomina di un CTU per effettuare le misurazioni del rumore, rivolgendosi sia al Giudice di Pace sia al Tribunale di competenza. denuncia ex art. 659 codice penale (“Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”) gli autori di schiamazzi e rumori possono essere puniti con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 310 Euro.

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IL PARERE TECNICO

Il disagio spesso però non dipende, paradossalmente, dall’intensità dei rumori provocati ma dalla capacità che le singole parti dell’edificio hanno nel filtrare il rumore. Inoltre, spesso l’insonorizzazione verso l’esterno, con vetri fonoassorbenti e con pannelli antirumore, esalta l’inquinamento acustico interno dell’edificio. In questi casi, secondo l’articolo 1668 del c.c., dovrebbe essere il costruttore dell’immobile a pagarne le conseguenze, realizzando opere che offrano un sufficiente isolamento acustico. Secondo la Sentenza n.1281/2011 della Corte d’appello di Bologna, se i lavori di adeguamento risultano essere impegnativi, la durata dei lavori va conteggiata insieme al periodo in cui si è subito il rumore eccessivo. Avvocati e tecnici in acustica asseriscono che “Il proprietario dell’immobile ha diritto che la soglia di rumore resti entro i limiti previsti, se così non è, deve ottenere la riparazione del danno”. Questo implica che se non è possibile far fronte al difetto strutturale il privato, secondo il professionista, può chiedere la riduzione del prezzo d’acquisto dell’immobile che, in alcuni casi, arriva al 20% (come per la sentenza del Tribunale di Torino n. 2715/2007) oppure la risoluzione del contratto, la restituzione degli importi e il risarcimento del danno nei casi critici. Ovviamente, i costruttori controbattono aggrappandosi al fatto che allo stato attuale la certificazione acustica non è obbligatoria e tanto meno la classificazione acustica (UNI 11367, luglio 2010) se non a titolo volontario.

La questione è alquanto complicata, una direttiva europea del 2009 sembrava aver concesso ai costruttori un salvacondotto retroattivo. Ma, la Corte costituzionale con la sentenza n. 103 ha dichiarato illegittimo l’art.15, comma 1 della legge comunitaria del 2009, in poche parole, è stata respinta la norma europea. Appare chiaro, di conseguenza, che avere un certo occhio di riguardo all’isolamento acustico dell’unità immobiliare può influire significativamente sulla qualità della vita e sul rapporto tra i condomini. In definitiva, l’inquinamento acustico è un fattore da tener conto soprattutto in casi dove l’intervento previsto è di ristrutturazione o riqualificazione energetica. Nella planimetria in basso un esempio di applicazione della normativa per un’unità immobiliare posta in un edificio multipiano a destinazione residenziale, con evidenziate le strutture oggetto di verifica.

Elementi e strutture oggetto di verifica: • L’isolamento acustico di facciata (F1,F2,F3,F4 in verde); • Il potere fonoisolante apparente di pareti e solai (P1,P2,P3 in rosso - S1,S2,S3,S4 in blu); • Il livello di rumore da calpestio (S1,S2,S3,S4); • Il livello di rumore di impianti a funzionamento continuo e discontinuo (es. impianti di scarico e ascensori)

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Geom. Simona Frigerio

IL PARERE TECNICO

Head of Sales & Engineering Impresa Frigerio

Sicurezza: per i lavori sui tetti obbligatorie le linee-vita

Nel caso di incidenti e infortuni nel cantiere, l'amministratore è responsabile sia dal punto di vista civile che penale

ANACI LECCO n.3 | Ago-Ott 2016

Fra i ruoli che può ricoprire l'amministratore di condominio c'è anche quello del datore di lavoro. Lo è nei confronti di lavoratori dipendenti come il portiere o il giardiniere, ma anche, come previsto dal decreto legislativo 81/2008, Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro, quando il condominio commissiona, con un contratto d'appalto, lavori edili o d'ingegneria civile, vale a dire cantieri temporanei o mobili, che rientrano nel Titolo IV del Testo Unico. In tali vesti, qualora avvengano incidenti e infortuni all'interno del cantiere, l'amministratore è responsabile sia dal punto di vista civile che penale. Per questo motivo, è suo compito verificare l'idoneità tecnico-professionale delle imprese coinvolte e garantire le migliori condizioni di sicurezza dei luoghi di lavoro. In particolare,la sentenza della Cassazione penale (42347/2013) ha specificato che l'amministratore assume la posizione di garanzia propria del datore di lavoro nel caso in cui "proceda direttamente all'organizzazione e direzione di lavori da eseguirsi nell'interesse del condominio stesso". Ma anche ove non proceda direttamente, non è esonerato quale "committente" all'osservanza di quanto stabilito dall'articolo 26 del D. lgs 81/2008 (obblighi di verifica della idoneità tecnica-professionale dell'impresa appaltatrice, di informazione, di collaborazione e cooperazione). Ciò a prescindere dal fatto che l'appalto dei lavori sia deciso

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IL PARERE TECNICO

attraverso una delibera assembleare o sia invece oggetto di una spontanea iniziativa dell'amministratore, nell'ambito dei suoi poteri conservativi e di urgenza, salvo ratifica assembleare (es. articolo 1130, comma 1, numero 4, del Codice civile o articolo 1135, comma 2, del Codice civile). Riguardo alla sicurezza dei luoghi di lavoro, particolarmente delicati sono gli interventi in quota, vale a dire tutti quei lavori "che espongono il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 metri rispetto a un piano stabile". (art. 107 D.lgs. 81/08). Fra i sistemi di protezione contro le cadute dall'alto rientrano le linee vita, un insieme di ancoraggi posti sulle coperture, alle quali gli operatori si agganciano attraverso imbracature e cordini. Le linee vita possono essere sia temporanee che stabili: nel primo caso sono utilizzate per il montaggio di prefabbricati e, una volta terminato il lavoro, vengono smontate; nel secondo caso, invece, sono installate in modo permanente sulle coperture degli edifici e utilizzate ogni qualvolta si debba procedere a opere di manutenzione. Prima di installare la linea vita (secondo la norma UNI EN 795) occorre verificare che l'installatore abbia le necessarie abilitazioni e qualifiche. Il progetto deve essere redatto da un professionista e corredato dall'attestazione di corretta posa rilasciata dal posatore. Il responsabile dell'edificio, inoltre, è comunque tenuto a cu-

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stodire il libretto d'uso e manutenzione del sistema, così da essere tutelato in caso di eventuali incidenti. Inoltre, ogni volta che siano previsti interventi con l'utilizzo della linea vita, il responsabile dell'edificio è tenuto a informare gli operatori della presenza dell'impianto e delle sue caratteristiche, in modo tale che gli operatori si possano dotare dei dispositivi di protezione individuale più adeguati. Subito dopo l'installazione, la normativa prevede di verificare la resistenza del fissaggio, esercitando sugli ancoraggi una forza minima di 500 kg per 15 secondi. Quindi, periodicamente, la linea vita deve essere revisionata "almeno una volta all'anno se in regolare servizio o prima del riutilizzo se non usate per lunghi periodi", come previsto dalla Uni En 11158. Infine, in seguito all'arresto di una caduta, prima di procedere a un ulteriore uso, è obbligatorio ispezionare il sistema. ANACI LECCO n.3 | Ago-Ott 2016


Dott.ssa Raffaella Figini

IL PARERE FISCALE

Dottore Commercialista e Consulente fiscale di ANACI LECCO

I dati da comunicare all'Agenzia delle Entrate per la precompilata

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito quali saranno i dati relativi all’anno 2016 che dovranno essere oggetto di comunicazione da parte degli amministratori di condominio

ANACI LECCO n.3 | Ago-Ott 2016

Cominciamo a muoverci con un po’ di anticipo con i dati da comunicare all’agenzia delle entrate ai fini della dichiarazione precompilata dell’anno 2017 (redditi 2016), in attuazione del D.Lgs. n 175 del 21 Novembre 2014. Lo scorso 29 settembre la Direzione Generale Centrale Gestione Tributi dell’Agenzia delle Entrate ha incontrato le associazioni di categoria, chiarendo quali saranno i dati relativi all’anno 2016 che dovranno essere oggetto di comunicazione da parte degli amministratori di condominio per la parte loro dedicata della dichiarazione precompilata. Giova sin d’ora rammentare che la data di scadenza prevista è il 28 febbraio 2017, e pertanto sarebbe opportuno “portarsi avanti” nella raccolta della documentazione. Occorrerà indicare i seguenti dati: a. denominazione del soggetto tenuto alla comunicazione dei dati distinguendo tra amministratore di condominio persona fisica o soggetto diverso da persona fisica (società di capitali o società di persone); b. l’elenco degli interventi effettuati sui condomini gestiti dall’amministratore. Quest’ultimo rappresenta le maggiori complessità essendo necessario indicare, per ogni singolo intervento: • il codice fiscale del condominio ove sono stati effettuati gli

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IL PARERE FISCALE

• la tipologia di intervento sull’involucro di un edificio esistente, • l’intervento di installazione di pannelli solari, • la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale.

interventi; • l’elenco delle unità immobiliari che sono state oggetto di intervento; per ogni unità immobiliare dovranno essere forniti i seguenti dati: • codice fiscale del soggetto possessore o del detentore, ammesso al beneficio delle detrazione fiscale, • l’indicazione, per ogni soggetto, della detrazione di quota di spesa, • l’indicazione se la quota imputata al soggetto, sia stata effettivamente versata (presumibilmente alla data del 31.12.2016; • La tipologia di intervento effettuata; • se si tratta di intervento di recupero del patrimonio edilizio, • se l’agevolazione è relativa al mobilio degli immobili oggetto di ristrutturazione; • In caso di intervento di risparmio energetico, occorrerà indicare: • la tipologia dell’intervento di risparmio energetico, • la riqualificazione energetica su un edificio esistente,

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Occorrerà per tutti indicare il costo complessivo dell’intervento effettuato, indicando l’ammontare dei bonifici (o del bonifico) effettuati dal condominio nell’esercizio 2016. Tali informazioni saranno sostanzialmente sovrapponibili a quelle che l’amministratore di condominio sarà tenuto ad indicare nella certificazione con la quale accerta: • di essere in possesso della documentazione in originale delle fatture e dei bonifici (nonché di ogni eventuale altra documentazione richiesta in base al singolo intervento); • di aver adempiuto a tutti gli obblighi previsti per le detrazioni fiscali relative agli interventi effettuati dal condominio; • la somma che il singolo contribuente (in qualità di detentore o di possessore dell’immobile oggetto di intervento) può indicare al fine di usufruire della detrazione prevista dalla normativa fiscale vigente. Fermo restando che, entro pochi giorni, l’Agenzia delle Entrate dovrebbe emettere una prima bozza sulle specifiche tecniche per la trasmissione dei dati, trattandosi di un adempimento la cui scadenza è prevista per il 28 febbraio 2017, è opportuno cominciare a preparare i dati e la documentazione necessaria prevista dalle bozze che l’Agenzia delle entrate fornirà.

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