B&M ANACI LECCO n 05 gen feb 2017

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B U I L D I N G

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M A N A G E M E N T

ANACI LECCO

Laboratorio di idee, progetti e pareri in materia di condominio

La revisione delle tabelle millesimali Videosorveglianza Efficienza energetica Acustica passiva Ascensori Novità fiscali dall’Agenzia delle Entrate

Anno II | n. 5 Gen-Feb 2017



IL DECALOGO del CONDOMINIO RICICLONE 5LVSHWWDUH giorni giorni e orari orari GL UDFFROWD SUHYLVWL 3HU LO ULWLUR ODVFLDUH DSHUWL L cancelli condominiali condominiali GDOOH DOOH 1RQ FRQIHULUH LO vetro vetro QHL FDUWRQL R QHL VDFFKHWWL PD XVDUH FRQWHQLWRUL ULJLGL

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Con oltre duemila lettori, questa rivista raccoglie saggi, pareri e relazioni legali, tecnici e fiscali curati dal nostro Centro Studi lecchese e da professionisti esperti in materia condominiale

Marco Bandini Presidente di ANACI LECCO

SOMMARIO IL PARERE LEGALE

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La revisione delle tabelle dei millesimi: nozioni e norme - Parte prima

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Inquinamento indoor: l'ambito domestico e lavorativo

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Le parti comuni dell’edificio: Art. 1117 e rilievi giurisprudenziali

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Poste italiane: nuovi aumenti delle tariffe

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Condominio: videosorveglianza e garanzia di privacy

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Come gestire la messa in esercizio di un nuovo ascensore

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Conciliazione per le controversie sulle forniture di energia

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Abbattimento delle barriere architettoniche sull'esistente

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Amarcord

Avv. Eugenio Antonio Correale

Avv. Luigi Giordano

Avv. Arveno Fumagalli

Avv. Laura Torri

Dott.ssa Roberta Corti

Ing. Alberto Romanato

Dott. Massimiliano Mauri

Rubrica a cura di Pierluigi Dell'Oro

IL PARERE TECNICO

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Ing. Alessio Maggi

Nuova guida per le ristrutturazioni e fondo di accantonamento

IL PARERE FISCALE

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Amministratori senza tregua: nuove scadenze fiscali del 2017 Dott.ssa Raffaella Figini

Prof. Arch. Annalisa Galante

Hanno collaborato a questo numero: Eugenio Antonio Correale, Luigi Giordano, Arveno Fumagalli, Laura Torri, Alessio Maggi, Roberta Corti, Alberto Romanato, Massimiliano Mauri, Raffaella Figini Anno 2 | n.5 | Gennaio - Febbraio 2017

Progetto grafico: AGC s.r.l. - Milano

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Avv. Eugenio A. Correale

IL PARERE LEGALE

Direttore del Centro Studi di ANACI Lombardia e ANACI Milano

La revisione delle tabelle dei millesimi: nozioni e norme Il tema della revisione delle tabelle millesimali riveste indubbio interesse. Le tabelle dei millesimi servono per determinare il peso che ciascun condomino porta in assemblea e servono per stabilire quanto lo stesso condomino debba pagare. Le situazioni che sono state evocate già basterebbero a connotare la particolare rilevanza dell’argomento, ma risulta facile ricordare che le tabelle millesimali entrano in gioco in numerose altre ragioni.Ad esempio, se il fondo condominiale sia espropriato in tutto o in parte, saranno i millesimi di proprietà a determinare la suddivisione della indennità di esproprio tra i partecipanti al condominio. Simmetricamente, si devono applicare i millesimi di proprietà anche per suddividere eventuale indennizzi assicurativi in caso di perimento più o meno radicale dell’edificio condominiale. L’articolo 1118 c.c. avverte che sempre in virtù dei millesimi si misura il diritto del singolo condomino sulle cose comuni. Non occorre procedere oltre nella premessa, che appare già sufficiente e che, ormai, deve cedere il posto a ulteriore osservazione poiché si sarebbe portati e ritenere che un tema così importante e di ricorrente applicazione nella disciplina dei rapporti condominiali abbia trovato adeguato sfogo e chiarimenti da parte dei cultori della materia. La rosea previsione non è del tutto corretta. Molto è stato detto sui millesimi, ma forti zone d’ombra residuano ed esigono puntualizzazioni, per quanto consentito. Affatto indispensabile e preliminare è la precisazione sulla stessa natura delle tabelle e, quindi, occorre avvertire in primo luogo che i prospetti dei millesimi hanno origine e funzioni molto disomogenee. Per brevità provvediamo a distinguere: a. i millesimi di proprietà, che rappresentano essenzialmente il rapporto di valori tra le porzioni immobiliari site nel condominio; b. i millesimi di gestione o di spese, che devono essere utilizzati per suddividere gli oneri condominiali che esigano particolari criteri, idonei a riprodurre le diverse utilità e le diverse forma di utilizzazione delle parti e degli impianti comuni da parte di ciascun condomino. La distinzione non è di poco conto e accompagnerà ogni piega della presente disamina. In linea di principio, i millesimi di proprietà costituiscono il frutto della verifica del valore di una singola unità immobiliare, proporzionato al valore delle altre unità. Come si vedrà meglio di seguito, in un certo senso i millesimi di proprietà riflettono situazioni che dovrebbero essere caratterizzate dalla loro oggettività, talché sembrerebbe addirittura che le relative tabelle siano mero frutto di operazioni di ricognizione della sistemazione dell’edificio e delle parti comuni e di conseguenti calcoli matematici. Ovviamente, si tratta di semplice suggestione che lascerà campo a osservazioni più pregnanti e incisive, ma sin d’ora appare che la nostra tradizione giuridica in punto tabelle dei millesimi di proprietà è orientata a svalutare l’intervento delle volontà dei diversi interessati e delle

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PRIMA PARTE

Le tabelle dei millesimi servono per determinare il peso che ciascun condomino porta in assemblea e per stabilire quanto debba pagare

determinazioni soggettive. L’esatto contrario accade a proposito delle tabelle di gestione, dette anche dei millesimi di spese generali o dei millesimi di spese. Per questi ultimi prospetti è l’articolo 1123 del codice civile ad aprire porte e finestre sul connotato di esser frutto dell’incontro delle volontà de gli interessati; il capoverso di tale norma espressamente ricorre alla locuzione “salvo diversa convenzione”, introducendo in modo inequivocabile il ruolo decisivo che il contratto intercorso tra gli interessati può avere. Ultimando le osservazioni preliminari, appare opportuno aggiungere che i millesimi di proprietà hanno per referente la regola generale e i millesimi di spese generali attengono alla eccezione. NOTA BENE L'articolo pubblicato in questo numero è la Prima Parte di una relazione più ampia dell'Avv. E.A. Correale, tenuta a Lecco il 20 febbraio 2017 e che pubblicheremo "a puntate" nei prossimi numeri della rivista.

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IL PARERE LEGALE

Quando si tratti di fissare il peso di un condomino in assemblea, ovvero di determinare la misura dei suoi diritti e dei suoi obblighi, si ricorre ai millesimi di proprietà poiché la partecipazione alla dialettica condominiale riflette il valore delle rispettive proprietà. Soltanto in alcuni casi e più precisamente soltanto quando si tratti di suddividere le spese, i millesimi di proprietà cedono il posto ad altri prospetti che risultano legittimi poiché la legge ammette che l’autonomia stabilisca i criteri di riparto delle spese, ovviamente purché tali criteri siano accettati formalmente dalla volontà unanime degli interessati. Il rapporto tra millesimi di proprietà e millesimi di spese può, quindi, sommariamente rappresentarsi esaltando: • il concetto per il quale i millesimi di proprietà riflettono situazione oggettivamente rilevate, talché l’assemblea si limita a recepire i relativi calcoli, mentre i millesimi di spese generali possono esistere unicamente in virtù del contratto che sia intercorso tra i condomini; • il concetto per il quale i millesimi di proprietà sono di generale applicazione, mentre quelli delle spese generali sono utilizzati unicamente per ripartire taluni oneri condominiali. Giova il richiamo ai prospetti di riparto che l’amministratore invia ai condomini indicazione dei nomi dei condomini. Sovente, si evidenziano 5 colonne: 1. la prima, dei millesimi di proprietà, utilizzata per la suddivisione delle spese per le manutenzioni straordinarie e per le innovazioni. È la stessa tabella che in assemblea è servita per verificare i quorum e per le votazioni; 2. la seconda, dei millesimi di spese generali, utilizzata per le spese di interesse generale: portierato, spese di pulizia e spese ordinarie. Questa tabella potrebbe anche essere null’altro se non la ripetizione della primo, ovvero addirittura mancare perché anche queste spese possono essere suddivise secondo i valori delle proprietà. Infatti, se non vi è “diversa convenzione” le attività che si riflettono in utilità indistinte e non differenziate andrebbero suddivise secondo il ANACI LECCO n.5 | Gen-Feb 2017

rapporto del valore delle unità immobiliari. Può accadere, però, che nel condominio vi siano porzioni immobiliari di grande valore ma che poco posso attingere alle utilità offerte dalla gestione delle cose comuni. Si pensi ad un grande piano terreno, di grande valore ma con ingresso diretto su strada: il suo titolare non sarà interessato alle scale e (talvolta) neppure all’androne e poco può servirsi anche degli altri servizi. Per superare l’evidente squilibrio tra grande valore (e quindi grandi quote di millesimi di proprietà) ed esiguo concorso nel godimento della gestione comune la pratica e la stessa legge (art. 1123 secondo comma c.c.) hanno approntato l’ottimo espediente di un particolare prospetto confezionato avendo riguardo all’effettivo concorso nel godimento della amministrazione e della conservazione delle cose comuni; 3. la terza, dei millesimi delle spese per l’ascensore. A ben vedere, si tratta di semplice sviluppo matematico della tabella dei millesimi di proprietà, che trova spazio soltanto per le spese delle scale e dell’ascensore. L’art. 1124 c.c. stabilisce che tali spese debbano essere ripartite in proporzione al valoro delle proprietà e della altezza dei piani. La tabella dei millesimi di scala o di ascensore avrà quindi quale referente i millesimi di proprietà e sarà confezionata computando tanto il rapporto dei valori quanto l’altezza dei piani secondo modalità ben note agli amministratori; 4. la quarta, delle quote per l’acqua, questa tabella deve riflettere la misura della partecipazione ai consumi d’acqua; 5. la quinta, dei millesimi di riscaldamento, ormai accompagnata da quanto attiene alla contabilizzazione del calore. Il giurista è portato a riferire: 1. che la prima colonna ed, eventualmente la seconda, hanno quale referente gli articoli 68 disp.att c.c., 1118, 1123 primo comma e 1138 del codice civile; 2. che le quattro colonne sono concepite avendo riguardo all’articolo 1123 del codice civile ed alla possibilità che alcune unità immobiliari, per destinazione, partecipino in misura particolare all’utilizzazione delle cose e dei servizi comuni. Come si è visto i millesimi di gestione servono proprio per correggere e superare le distorsioni che sovente derivano dalla meccanica applicazione del concetto per il quale: a) nel condominio si partecipa alla proprietà delle parti comuni con la medesima proporzione che esiste tra i valori delle rispettive proprietà individuali; b) nel condominio si concorre nella suddivisione delle spese con la medesima proporzione e quindi, in ragione della partecipazione alla titolarità delle parti comuni. Questi concetti sono illustrati in modo mirabile dal Peretti Griva (Il Condominio delle case divise in parti, pag. 298), che così si è espresso: “fuori dei casi previsti dagli articoli 1124,1125 e 1126 c.c, e quando il regolamento contrattuale non disponga espressamente in senso diverso, ove si tratti di cose o di servizi il cui uso corrisponda a una utilità per i singoli condomini approssimativamente corrispondente al valore del piano, si applicherà la prima parte dell’articolo 1123 c.c; quando una tal rispondenza non sussista, il criterio del valore del piano dovrà disattendersi ed essere sostituito

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IL PARERE LEGALE

dall’indagine sulla quantità concreta d’utilità, la quale resta pure sempre il coefficiente più precisamente e più giustamente distributivo dei carichi " (il riferimento è stato tratto da Il Condominio di Terzago, Giuffré, pag. 629, che è servito anche per il successivo richiamo). Il Salis, (Il Condominio negli edifici, pag. 149) più incisivamente ha osservato: “questo sistema di riparto (di cui al secondo comma dell’articolo 1123 ) deve invece considerarsi, anche secondo le intenzioni del legislatore, come il principale. Con esso infatti si mira ad attuare quell’esatta proporzionalità tra il godimento della cosa e l’onere delle spese che questa rende necessarie, proporzionalità che con il primo comma solo casualmente potrebbe essere attuata”. Come sempre, il Corona si distingue nell’approfondimento dei temi, ed ha introdotto il concetto di “funzione”, riferito alle parti comuni e al risultato dell’intervento condominiale, utilissimo sopra tutto per il tema del condominio parziale, così caro all’illustre Autore. Sempre e comunque, gli insegnamenti che derivano dalle citazioni appena formulate sono alquanto impressionanti per chi muova i primi passi nella nostra materia. Non si può dimenticare, infatti, che chi esamini la disposizione legislativa troverà che il concetto di “uso che ciascuno può farne” è affermato solo nel capoverso dell’articolo 1123 c.c., mentre si è visto quanto maggiore sia il rilievo che dottrina e giurisprudenza assegnano a quello che prima facie sembrerebbe un mero inciso.

I referenti normativi Si è già osservato in premessa che le tabelle dei millesimi assolvono a molteplici funzioni. Lo stesso elenco deve essere ripetuto, arricchendolo degli opportuni riferimenti normativi e precisando : a. che la funzione rapportata alla partecipazione alla contitolarità delle parti comuni risulta indicata dall’art.o 1118 c.c. secondo il quale “il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, salvo che il titolo non disponga altrimenti, è proporzionale al valore dell'unità immobiliare che gli appartiene”; b. che l’importanza dei millesimi di proprietà per determinare le maggioranze in assemblea e il peso di ciascun condomino nelle votazioni è scolpita nell’art. 1138 c.c. e nell’art. 68 disp.att.c.c.: Art. 1138 c.c. “Per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136 del codice, il regolamento di condominio deve precisare il valore proporzionale di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano spettante in proprietà esclusiva ai singoli condomini”; Art. 68 disp.att.c.c.: “Ove non precisato dal titolo ai sensi dell'articolo 1118, per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136 del codice, il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare è espresso in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condomini”. Riflettendo correttamente il dettato normativo, il Triola ha avvertito che l’approvazione della tabella millesimale costituisce anche un obbligo e quindi l’attuazione di un dovere imposto dal legislatore, come si evince dal capoverso dell’art. 68 disp att. c.c., che recita: “I valori dei piani o delle porzioni di piano, ragguagliati a quello dell'intero edificio, devono essere espressi in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio”. Lo stesso Triola ha precisato che l’articolo 68 non è compreso tra le disposizioni che l’art. 1138 c.c. qualifica come inderogabili (Triola, Il Condominio, Trattato di

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Diritto Privato, Giappichelli, 2003, pag. 162), per cui i valori espressi nelle tabelle potrebbero essere formati alla stregua di parametri diversi da quelli succintamente riferiti dal Legislatore. Con plastica definizione, lo stesso Triola ha definito le tabelle millesimali come “un allegato al regolamento”. Nel più assoluto rispetto dell'indicazione dell’illustre giurista, vien fatto di rimarcare che tale allegato, peraltro, avrebbe disciplina particolare e tutela poziore rispetto all’altto principale. Neppure i riferimenti giurisprudenziali e le puntuali argomentazioni e neppure la autorevolezza della fonte valgono a evitare il giudizio di contraddittorietà fra le due affermazioni (derogabilità dell’art. 68 disp.att.c.c. e necessità del rispetto di un oggettivo criterio di proporzionalità agli effetti del calcolo della maggioranze e della partecipazione alla contitolarità delle cose comuni) che in pratica consentono di risolvere il medesimo problema della validità della delibera in modo diametralmente diverso. L’articolo 68 disp. att. c.c., infatti si riferisce ad un tempo alle norme sul riparto delle spese ed all’articolo 1136 c.c., sulla formazione della assemblea, e la sua asserita derogabilità dovrebbe valere sempre e senza condizioni. Quando si tratta di regolamento e di tabelle millesimali il Presidente Triola si presenta come punto di riferimento ampio, autorevole e anche utile. Non ci si stupirà quindi se a quella fonte si farà esplicito ricorso per presentare gli scenari che si intende illustrare. Triola detta e osserva: a. sull’ormai superata ipotesi per la quale i millesimi di proprietà potrebbero essere rivisti solo dall’unanimità dei partecipanti al condominio: l’orientamento che prescrive che l’approvazione o la revisione delle tabelle millesimali dovrebbe essere deliberata dall’assemblea con la unanimità, di tutti i partecipanti al condominio comporta degli inconvenienti pratici notevoli, non tanto per quanto riguarda la approvazione, poiché in genere le tabelle vengono formate dal costruttore e vengono fatte approvare ai singoli atti di acquisto. La prima approvazione, quindi, non pone problemi né

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di consenso unanime né di forma scritta. La impostazione della giurisprudenza è invece fonte di notevoli inconvenienti per quanto riguarda la revisione a seguito di modifiche intervenute nella struttura del condominio; b. sulla giurisprudenza più risalente e sulla superfluità dell’intervento assembleare in tema di tabelle millesimali: nel 1958 la Cassazione ha ritenuto che la determinazione dei valori della proprietà di ciascun condomino e la loro espressione in millesimi è regolata direttamente dalla legge per cui non rientra nella competenza dell’assemblea. In tale ottica l’assemblea sarebbe priva di competenza ad intromettersi sull’argomento. La tesi risulta errata poiché la legge non regola le concrete modalità di determinazione dei millesimi ma si limita a stabilire che esse debbono essere espressione del valore di ogni piano o porzione di piano, escludendo l’incidenza di determinati elementi; c. sulle premesse della teoria del “negozio di accertamento”: per l’opinione dianzi dominante si dovrebbe trattare di una operazione puramente e semplicemente matematica. Tuttavia, la stessa tesi si completava asserendo la necessità dell’unanimità dei consensi, da intravvedere poiché la deliberazione di approvazione delle tabelle millesimali costituirebbe un negozio di accertamento del diritto di proprietà sulle singole unità immobiliari e sulle parti comuni con funzione puramente valutativa del patrimonio ai fini della distribuzione del carico delle spese e della partecipazione alle assemblee. L’impostazione risulta contraddittoria, poiché la parola “negozio” contiene in nuce l’elemento volitivo che si intende negare: negozio implica infatti manifestazione di volontà; d. sulla teoria del “negozio di accertamento”: Il negozio di accertamento che riguarda diritti reali come la proprietà, o la comproprietà in questo caso, richiede necessariamente la forma scritta, invece si vorrebbe ricavare la possibilità di effi-

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ciente e valida manifestazione di volontà attraverso un semplice comportamento concludente. Il negozio di accertamento presuppone che si profili una situazione di incertezza che per le tabelle millesimali non è prospettabile. Nel nostro caso non vi è incertezza di sorta. L’incertezza non riguarda il diritto di proprietà o di comproprietà, che non è contestato, né riguarda la individuazione dei criteri dei quali questo diritto di proprietà può essere fonte ( di diritti o, eventualmente, fonte di obbligazioni); e. sulla natura dell'approvazione della tabella dei millesimi: si deve partire ribadendo che a favore della tesi della natura negoziale dell’atto di approvazione delle tabelle millesimali non viene addotta alcuna argomentazione convincente e che in base all’art. 68 delle disposizioni di attuazione del codice civile le tabelle sono allegate al regolamento del condominio. Poiché ai sensi dell’art. 1138, secondo comma del codice civile viene approvato ad assemblea a maggioranza anche se a maggioranza qualificata; una volta che si tenga presente che le tabelle non accertano il diritto dei singoli condomini sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva ma soltanto il valore di tali unità rispetto all’intero edificio, ai soli fini della gestione del condominio, la conclusione è evidente: le tabelle vanno approvate con la stessa maggioranza richiesta per i regolamenti di condominio; f. sulla qualificazione delle tabelle come allegato al regolamento: sarebbe singolare che un allegato segua un regime diverso dall’atto al quale dall’atto principale al quale appunto viene allegato. Di fatto un tempo si finiva per sostenere che l’assemblea potesse approvare un regolamento di condominio in cui sia inclusa la tabella millesimale formata secondo i modi di legge, cioè con l’adesione e il consenso di tutti i condomini, ma non potesse rendere efficace nei confronti di tutti i condomini una tabella millesimale formata in modo diverso da quello prescritto. Non vale sostenere, come è stato fatto con la sentenza n. 67/1958 della Cassazione, che l’allegazione delle tabelle al regolamento è puramente formale senza che ciò comporti anche identità di disciplina in ordine all’approvazione: un atto allegato ad altro documento deve ritenersi sottoposto alla stessa disciplina, salvo che il contrario non risulti espressamente e qui il contrario non risulta; g. sulla revisione delle tabelle: nel caso di errori nella valutazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, coloro i quali si sentano danneggiati possono chiedere senza limiti di tempo la revisione ai sensi dell’articolo 69 delle disposizioni del codice di procedura civile. Infatti, quando c’è una approvazione a maggioranza non si configura come mai necessaria la immutabilità dei valori accertati stabiliti dalla semplice deliberazione assembleare. In linea di principio la domanda di revisione non dovrebbe comportare la necessità di chiamare in giudizio tutti i condomini. Non vi è ragione perché la azione per la revisione della tabella non debba rientrare nell’ambito di quelle cause per le quali l’articolo 1131 2° comma del c.c. fissa il potere di rappresentanza dell’amministratore e non si vede perché essa non rientri appunto in una di quelle cause rispetto alle quali l’amministratore possa essere legittimato passivo. Accogliendo tale ragionevolissima tesi l’amministratore rappresenterebbe in giudizio il condominio, quindi il condomino dovrebbe citare soltanto l’amministratore e non i singoli condomini.

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Avv. Luigi Giordano

IL PARERE LEGALE

Direttore del Centro Studi di ANACI LECCO

Le parti comuni dell’edificio: Art. 1117 e rilievi giurisprudenziali Nei fabbricati condominiali si ha la presenza di porzioni immobiliari di proprietà esclusiva e di altre che, invece, sono comuni tra i condomini. Le parti comuni non sono beni autonomi e commercialmente separabili (tra le eccezioni a questa regola vi è ad esempio l’alloggio del portiere) e hanno una funzione di accessorietà con le proprietà esclusive presenti nel condominio con lo scopo principale di consentirne il godimento. L’art. 1117 cc indica quali siano queste parti comuni ed è una norma “aperta” in quanto l’elenco ivi contenuto è esemplificativo e non tassativo, ma soprattutto la norma precisa altresì che tale indicazione è valida “se il contrario non risulti dal titolo”. Pertanto è ammessa la possibilità di derogare all’elenco previsto dalla norma che precede qualora: • il titolo che ha dato origine al condominio preveda una diversa regolamentazione / attribuzione di quelle parti e sia validamente opponibile a tutti i condomini; • oppure quando questi ultimi abbiano disposto di tali parti con delibera presa all’unanimità. L’art. 1117 cc prevede tre categorie di parti comuni : 1. Parti strutturali costitutive ed essenziali del condominio; 2. Locali ed aree destinati al servizio comune; 3. Opere, installazioni, impianti, ecc. Passiamo ad analizzarle succintamente con l’ausilio di recenti pronunce giurisprudenziali.

Parti strutturali costitutive ed essenziali del condominio

La presunzione legale di comproprietà dei beni indicati nell'Art.1117 c.c. può essere superata solo da un regolamento contrattuale ovvero da una delibera condominiale assunta all'unanimità dei condomini

Sono parti comuni – se non risulta il contrario dal titolo: "[...] 1) tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate". Riguardo le scale è stato affermato che “La presunzione di condominialità fissata dall'articolo 1117 c.c. per le scale si estende anche ai vani sottostanti le stesse” Cassazione civile, sez. II, 19/09/2016, n. 18287. Pertanto, in mancanza di un titolo che possa provare la proprietà esclusiva di tali vani, gli stessi sono da ritenersi comuni. Stessa conclusione vale anche per i corridoi di accesso alle proprietà

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IL PARERE LEGALE

private: "In tema di condominio negli edifici, il corridoio di accesso alle singole unità immobiliari si presume comune ex art. 1117, n. 1, c.c., sicché è onere del condomino che ne vanti la proprietà esclusiva indicare il titolo relativo nell'atto costitutivo del condominio" Cassazione civile, sez. II, 30/06/2016, n. 13450. "Le scale e i relativi pianerottoli, negli edifici in condominio, costituiscono strutture essenziali del fabbricato e rientrano, in assenza di una diversa disposizione, fra le parti comuni, anche se sono poste a servizio solo di alcuni proprietari dello stabile" Cassazione civile, sez. VI, 09/03/2016, n. 4664. In questo caso la suprema Corte ha precisato che “negli edifici in condominio, le scale, con i relativi pianerottoli, costituiscono strutture funzionalmente essenziali del fabbricato e rientrano, pertanto, fra le parti di questo che, in assenza di titolo contrario, devono presumersi comuni nella loro interezza, e anche se poste concretamente a servizio soltanto di talune delle porzioni dello stabile, a tutti i

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partecipanti alla collettività condominiale in virtù del dettato dell'art. 1117 c.c., n. 1, (cfr. fra le tante, tutte conformi, Cass. Sez. 2° civ., Sentenza n. 1357 del 22.02.1996). La circostanza che le rampe di scala, con il pianerottolo, qui in contestazione, integranti l'ultima parte della scala condominiale, siano poste fra l'ultimo piano dell'edificio di cui trattasi e le relative soffitte sottotetto, appartenenti ad un unico proprietario, e servano principalmente a mettere in comunicazione le considerate porzioni dello stabile non rileva ai fini in discorso, avuto riguardo al dato che la scala è, in sè, una struttura essenziale del fabbricato e serve a tutti i condomini di questo come strumento indispensabile per l'esercizio del godimento della relativa copertura”. In taluni casi tuttavia le scale, in considerazioni delle caratteristiche strutturali del fabbricato, all’uso a cui sono destinate e del tempo in cui si è costituito il condominio possono non essere considerate parte comune a tutto il condominio – generando il caso del c.d. condominio parziale. Non è tuttavia sempre agevole definire quando possa riconoscersi tale sotto categoria. Con riferimento alle scale, per esempio, è stato riconosciuto che “Le obiettive caratteristiche strutturali, per cui dette scale servono in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, ne fanno venire meno in questo caso il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene vince l'attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario" Cassazione civile, sez. II, 19/04/2016, n. 7704. La Corte, prima

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IL PARERE LEGALE

di giungere a tale conclusione, ha esaminato tutti i vari aspetti del caso concreto, compreso il momento della nascita del condominio. Infatti in caso di frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento di unità immobiliari dall'originario unico proprietario ad altri soggetti, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale di comunione pro indiviso di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano - in tale momento costitutivo del condominio - destinate all'uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso (ex plurimis: Cass. 18 dicembre 2014 n. 26766). La stessa situazione di fatto può pertanto portare a conclusioni diverse se il fabbricato sia sorto ab origine come condominiale oppure lo sia diventato solo successivamente. Queste valutazioni di fatto competono ai giudici di merito. In materia di condominio, infatti, spetta esclusivamente al giudice di merito accertare, dopo aver preso in esame la situazione dei luoghi e delle cose se un determinato bene, per la sua struttura e conformazione e per la funzione cui è destinato, rientri tra quelli condominiali oppure sia di proprietà esclusiva ovvero se si tratti di bene comune solo a taluni condomini o, infine, se sia comune al condominio e (solo) ad alcuni dei singoli proprietari esclusivi, non potendosi escludere a priori la ricorrenza di una eventualità siffatta (cfr Cass. 7 maggio 2010 n. 11195). Anche sulle coperture del condominio vi è copiosa giurisprudenza. Sul lastrico solare è stato precisato che: ”La natura comune del la-

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strico può essere esclusa soltanto da uno specifico titolo in forma scritta, essendo irrilevante che il singolo condomino non abbia accesso diretto al lastrico, se questo riveste, anche a beneficio dell'unità immobiliare di quel condomino, la naturale funzione di copertura del fabbricato comune" Cassazione civile, sez. II, 05/05/2016, n. 9035. Non tutte le opere che si trovano sul tetto sono da considerarsi parti comuni. "In tema di condominio negli edifici, per lastrico solare deve intendersi la superficie terminale dell'edificio che abbia la funzione di copertura - tetto delle sottostanti unità immobiliari, comprensiva di ogni suo elemento, sia pure accessorio, come la pavimentazione, ma non estesa a quelle opere ivi esistenti che, sporgendo dal piano di copertura, siano dotate di autonoma consistenza e abbiano una specifica destinazione al servizio delle parti comuni. Ne consegue che non possono ricomprendersi nella nozione di lastrico solare i torrini della gabbia scale e del locale ascensore con la relativa copertura, i quali costituiscono distinti e autonomi manufatti di proprietà condominiale sopraelevati rispetto al piano di copertura del fabbricato" Cassazione civile, sez. II, 13/12/2013, n. 27942. I balconi sono invece considerati di proprietà esclusiva ma, trovandosi sulla facciata, occorre valutarne i rivestimenti e le decorazioni che, a certe condizioni, possono invece essere ritenuti condominiali. "In tema di condominio negli edifici e con riferimento ai rapporti tra la generalità dei condomini, i balconi aggettanti, costituendo un prolungamento della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa; soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si debbono considerare beni comuni a tutti, quando ANACI LECCO n.5 | Gen-Feb 2017


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si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole" Cassazione civile, sez. II, 02/02/2016, n. 1990. In applicazione dell'enunciato principio, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto appartenenti al condominio, con le dovute conseguenze sulla ripartizione delle relative spese, alcune fioriere in cemento armato poste all'esterno delle ringhiere delimitanti i balconi con funzione di parapetto, senza che le stesse rivelassero un qualche pregio artistico, né costituissero parte integrante della struttura dello stabile (Cassazione civile, sez. II, 30/04/2012, n. 6624). "L'art. 1117 c.c., letto sistematicamente con l'articolo 840 dello stesso codice implica che il sottosuolo, costituito dalla zona esistente in profondità al di sotto dell'area superficiaria che è alla base dell'edificio (seppure non menzionato espressamente dalla elencazione esemplificativa data dall'articolo 1117 c.c.) va considerato di proprietà condominiale, in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva a uno dei condomini. Nessun condomino, pertanto, senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione, può procedere alla escavazione in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti, in quanto, attraendo la cosa comune nell'orbita della sua disponibilità esclusiva, verrebbe a ledere il diritto di proprietà degli altri partecipanti su una parte comune dell'edificio, privandoli dell'uso e del godimento a essa pertinenti. La condotta del condomino che, senza il consenso degli altri partecipanti, proceda a scavi in profondità del sottosuolo, acquisendone la proprietà - in particolare - finirebbe con l'attrarre la cosa comune nella sua disponibilità esclusiva ed è - quindi - configurabile, in una tale ANACI LECCO n.5 | Gen-Feb 2017

evenienza, uno spoglio denunciabile con azione di reintegrazione dall'amministratore condominiale, al fine di conseguire il recupero del godimento della cosa, illecitamente sottratto" Cassazione civile, sez. II, 30/03/2016, n. 6154. "Il cavedio (o chiostrina, vanella, pozzo luce), cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell'edificio condominiale, essendo destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari (quali bagni, disimpegni, servizi), è sottoposto al regime giuridico del cortile, qualificato bene comune, salvo titolo contrario, dall'art. 1117, n. l, cod. civ., senza che la presunzione di condominialità possa essere vinta dal fatto che al cavedio si acceda solo dall'appartamento di un condomino o dal fatto che costui vi abbia posto manufatti collegati alla sua unità (nella specie, pilozza, scaldabagno, impianto d'illuminazione), in quanto l'utilità particolare che deriva da tali fatti non incide sulla destinazione tipica e normale del bene in favore dell'edificio condominiale" Cassazione civile, sez. II, 01/08/2014, n. 17556.

Locali e aree destinati a servizio comune Sono parti comuni – se non risulta il contrario dal titolo: "[...] 2) le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune". Sul sottotetto sono intervenute negli anni diverse pronunce che hanno ormai definito un orientamento univoco. “Ai sensi dell'art. 1117, n. 1, c.c., in mancanza di titolo il sottotetto è compreso nelle parti comuni solo nel caso in cui il vano risulti oggettivamente destinato sia pure in via potenziale, all'uso comune oppure all'esercizio di servizio di interesse condominiale (ha osservato la Suprema Corte che la sentenza impugnata, previa verifica del titolo con il quale è stato costituito il condominio oggetto di causa, ha attestato la assenza di qualsivoglia specifica indicazione espressamente riferita al sottotetto, ritenendo di dover decidere la questione concernente la condominialità del bene sulla scorta dei parametri di cui la giurisprudenza tradizionalmente suole avvalersi per risolvere la problematica in esame. Il giudice a quo, in particolare, aveva valorizzato una serie di elementi che deponevano per la natura condominiale, dovendosi escludere che avesse la mera funzione di protezione e isolamento dell'appartamento sottostante, quali l'altezza massima superiore ai due metri, l'estensione originaria pari al perimetro dell'edificio, con un unico accesso che si diparte dal terzo piano e raggiungibile mediante scala di cui è stata ravvisata la natura condominiale, la calpestabilità del sottotetto nella sua ampia parte centrale, la presenza originaria nel locale di impianti condominiali)" Cassazione civile, sez.

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II, 25/05/2016, n. 10869. "L'appartenenza del sottotetto si determina in base al titolo e in mancanza in base alla funzione cui esso è destinato in concreto. Il sottotetto è da considerare pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano, allorchè assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l'appartamento medesimo dal caldo, dal freddo, dall'umidità, fungendo da camera d'aria isolante. Quando, invece, il sottotetto abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo, in tal caso la sua appartenenza va determinata in base al titolo" Cassazione civile, sez. II, 30/03/2016, n. 6143. Esaminiamo altri casi riferiti sempre a locali / aree citati dalla norma in esame, quali aree sovrastanti cortili comuni, seminterrato, giardino adiacente all’edificio condominiale e cortile. "In materia di condominio degli edifici, lo spazio aereo sovrastante a cortili comuni - la cui funzione è di fornire aria e luce alle unità abitative che vi prospettano - non può essere occupato dai singoli condomini con costruzioni proprie in aggetto, non essendo consentito a terzi, anche se comproprietari insieme ad altri, ai sensi dell'art. 840, comma 3, c.c., l'utilizzazione, ancorché parziale, a proprio vantaggio della colonna d'aria sovrastante ad area comune, quando la destinazione naturale di questa ne risulti compromessa” Cassazione civile, sez. II, 21/03/2016, n. 5551. "In tema di condominio, in considerazione del rapporto di accessorietà necessaria che lega le parti comuni dell'edificio, elencate in via esemplificativa dall'art. 1117 c.c., alle proprietà singole, delle quali le prime rendono possibile l'esistenza stessa o l'uso, la condominialità di un seminterrato non è esclusa per il solo fatto che le costruzioni sovrastanti siano realizzate, anziché come porzioni di piano l'una sull'altra (condominio verticale), quali proprietà singole in sequenza (villette a schiera, condominio in orizzontale), poiché la nozione di condominio è configurabile anche nel caso di immobili adiacenti orizzontalmente in senso proprio, purché dotati delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dal citato art. 1117" Cassazione civile, sez. II, 18/09/2015, n. 18344. "Il giardino adiacente l'edificio condominiale, se non è occupato e circoscritto dalle fondamenta e dai muri perimetrali, né destinato al servizio delle unità che vi si affacciano, non costituisce il "suolo su cui sorge l'edificio", né, rispettivamente, un "cortile", sicché la sua natura comune non può essere presunta a norma dell'art. 1117, n. 1, c.c., ma deve risultare da un apposito titolo" Cassazione civile, sez. II, 03/06/2015, n. 11444. "Il fatto che un edificio confini con un cortile non è sufficiente a far operare in favore del proprietario dell'edificio la presunzione di cui all'art. 1117 c.c., la quale trova applicazione solo ove il cortile sia strutturalmente destinato a dare aria, luce ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano" Cassazione civile, sez. II, 21/11/2014, n.

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24861. "L'intercapedine esistente tra il piano di posa delle fondazioni di un edificio condominiale - che costituisce il suolo di esso - e la prima soletta del piano interrato, se non risulta diversamente dai titoli di acquisto delle singole proprietà, e anzi in quelli del piano terreno e seminterrato non è neppure menzionata tra i confini, è comune, in quanto destinata alla aerazione o coibentazione del fabbricato" Cassazione civile, sez. II, 31/10/2014, n. 23304.

Opere, installazioni, impianti Da ultimo l’art. 1117 al n. 3) prevede che sono parti comuni – se non risulta il contrario dal titolo: "[...] 3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche". Anche in tal caso l’elenco è solo esemplificativo e non tassativo. Sugli impianti di ascensore vi è molta giurisprudenza. Per quel che attiene la presunzione di condominialità, la cassazione ha confermato che la proprietà dell'ascensore è comune a tutti i condomini, salvo titolo diverso, e che il criterio di ripartizione delle relative spese contenuto nell'art. 1124 c.c., non incide sul regime di proprietà (rif. Cass 14697/15). Logico corollario ne è stato

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che “In tema di condominio negli edifici, tutti i condomini devono partecipare alle deliberazioni che concernono l'ascensore (nella specie, quella volta alla sostituzione dell'impianto), trattandosi di bene di cui si presume, agli effetti dell'art. 1117 n. 3, c.c., la proprietà comune in assenza di una diversa previsione contrattuale idonea a superare tale presunzione (come, nella specie, la clausola del regolamento condominiale integralmente esonerativa di alcuni partecipanti dall'onere di contribuire alle relative spese)" Cassazione civile, sez. II, 14/07/2015, n. 14697. Essere comproprietario di un bene implica non solo vantaggi riguardo all’uso ed alle utilità che se ne possono trarre, ma anche oneri legati alle spese di manutenzione ed alla loro ripartizione o altri oneri conseguenti al risarcimento dei danni che tali impianti possono aver arrecato a terzi. Da qui nasce la contrapposizione di interessi tra condomini che porta spesso ai contenziosi. Per esempio, con riferimento al riscaldamento, è stato precisato che “Il proprietario di unità immobiliare (nella specie, magazzino) che, per ragioni di conformazione dell'edificio, non sia servita dall'impianto di riscaldamento centralizzato non ha su di esso il diritto di condominio, mancando la relazione di accessorietà che ne costituisce il fondamento tecnico" Cassazione civile, sez. II, 27/11/2015, n. 24296. Alcuni brevi cenni infine su altri impianti su cui vige la presunzione di condominialità quali fognature, gronde e canali di scarico ed impianto elettrico. "I manufatti, come le fognature e simili, rientrano tra le parti comuni dell'edificio, ai sensi dell'art. 1117, n. 3, c.c., le cui spese per la conservazione sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà (nella specie, la Corte ha confermato l'obbligo del ricorrente al pagamento delle spese richieste, ANACI LECCO n.5 | Gen-Feb 2017

nonostante avesse un proprio impianto fognario e non utilizzasse quello condominiale. Infatti, in quanto comproprietario dell'impianto fognario condominiale, era tenuto al pagamento pro quota delle spese necessarie alla sua conservazione in misura proporzionale al valore della sua proprietà esclusiva del locale interrato sottostante il condominio)" Cassazione civile, sez. II, 30/06/2015, n. 13415. Nella sentenza che segue invece si conferma la condominialità degli impianti per la funzione necessaria all’uso comune a prescindere dal fatto che gli stessi si trovino per esempio su una proprietà esclusiva quale un lastrico solare. "In tema di condominio, le gronde, i doccioni e i canali di scarico, che convogliano le acque meteoriche dalla sommità di un edificio condominiale, costituiscono parti comuni, atteso che, svolgendo una funzione necessaria all'uso comune, ricadono tra i beni di cui all'art. 1117 cod. civ., senza che rilevi la circostanza che la copertura del fabbricato, dal quale provengano tali acque, sia costituita da tetto a falda, lastrico o terrazzo di proprietà esclusiva, né trovi applicazione il regime sulle spese stabilito dall'art. 1126 cod. civ., il quale disciplina soltanto le riparazioni o ricostruzioni del lastrico propriamente inteso" Cassazione civile, sez. II, 22/12/2014, n. 27154. "L'impianto elettrico condominiale, ai sensi dell'art. 1117, n. 3, c.c., in mancanza di titolo contrario, è comune a tutti i partecipanti al condominio e, di conseguenza, alle spese relative all'adeguamento di suddetto impianto devono partecipare tutti i condomini (nella specie, la Corte ha condannato al pagamento delle spese per adeguamento dell'impianto elettrico condominiale il proprietario di un negozio che aveva dedotto di non essere tenuto al pagamento di dette quote in quanto i lavori eseguiti riguardavano l'androne condominiale al quale egli non aveva accesso perché proprietario di un locale con ingresso esclusivamente dalla sola via principale)" Cassazione civile, sez. II, 12/08/2014, n. 17880. In conclusione, il criterio generale previsto dal legislatore all’art. 1117 cc prevede la presunzione di condominialità per le porzioni di edificio, aree, locali, opere, impianti, ecc. quando gli stessi sono destinati a uso comune. La deroga a tale principio può derivare da una delibera assunta all’unanimità dei partecipanti al condominio o dal regolamento contrattuale accettato e conosciuto da tutti i condomini. In mancanza di tali elementi, la parte che ha interesse a sostenere la non condominialità es. di porzioni di edificio / opere / impianti dovrà adire l’autorità giudiziaria per far accertare in quella sede che gli stessi non sono in concreto destinati all’uso comune e vincere così la presunzione di legge. Il condomino, prima di ricorrere all’autorità giudiziaria per far valere un principio ancorchè ritenuto fondato, dovrà suo malgrado fare anche un calcolo di convenienza economica dell’azione, considerati i tempi e i costi della giustizia nonchè l’alea del giudizio.

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Avv. Arveno Fumagalli

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Membro del Centro Studi di ANACI LECCO

Condominio: videosorveglianza e garanzia di privacy La riforma della materia condominiale è venuta incontro alla sollecitazione contenuta nell’ultimo intervento del Garante della Privacy che il provvedimento in data 08.04.2010 evidenziava: “non è chiaro se l'installazione di sistemi di videosorveglianza possa essere effettuata in base alla sola volontà dei comproprietari, o se rilevi anche la qualità di conduttori. Non è parimenti chiaro quale sia il numero di voti necessario per la deliberazione condominiale in materia (se occorra cioè l'unanimità ovvero una determinata maggioranza)”. Sulla scorta dei dati normativi e dei provvedimenti assunti dal Garante fino al 2011 il Tribunale di Varese, Sezione I Civile - Sentenza 16 giugno 2011, n. 1273, chiamato a pronunciarsi in via d’urgenza (ricorso ex art. 700 c.p.c. per la rimozione del sistema di videosorveglianza installato da un condomino) così decideva: “Alla luce dei dati sin qui considerati, reputa questo giudice che, nel silenzio della Legge, il condomino non abbia alcun potere di installare, per sua sola decisione, delle telecamere in ambito condominiale, idonee a riprendere spazi comuni o addirittura spazi esclusivi degli altri condomini; ma, ancora, reputa questo giudice che nemmeno il Condominio abbia la potestà normativa per farlo, eccezion fatta per il caso in cui la decisione sia deliberata all’unanimità dai condomini, perfezionandosi in questo caso un comune consenso idoneo a fondare effetti tipici di un negozio dispositivo dei diritti coinvolti”. Nel silenzio della legge la maggioranza necessaria per deliberare l’installazione di un impianto condominiale di videosorveglianza poteva essere solo l’unanimità dei condomini. La riforma della normativa condominiale (L. 220/2012) ha introdotto l’art. 1122 ter cod. civ. che recita: “Le deliberazioni concernenti l’installazione sulle parti comuni dell'edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall'assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell'articolo 1136 cod. civ.” Occorre innanzi tutto precisare e distinguere tra le riprese svolte dai singoli condomini a scopi personali e quelle che invece vengono effettuate dal condominio per controllare le sue parti comuni, ipotesi quest’ultima cui è applicabile la disciplina di cui alla novella. Il primo caso si riferisce a quando il condomino intende sorvegliare la propria porta di casa oppure il posto auto. Dato che le immagini non verranno diffuse né comunicate a terzi, non si applica il Codice della privacy. In questo caso non c’è l'obbligo di segnalare con un cartello la presenza della videocamera. Il condomino dovrà prestare attenzione a fatto che il sistema di videosorveglianza sia installato in modo tale che l’obiettivo della telecamera riprenda unicamente la porta d’ingresso

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Il condomino dovrà prestare attenzione a fatto che il sistema di videosorveglianza sia installato in modo tale che l’obiettivo della telecamera riprenda solo la porta d’ingresso della sua casa e non il pianerottolo

NOTE (1) Art. 615 bis c.p.: I co. Chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. II co. Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo. III co. I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.

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della sua abitazione e non il pianerottolo, così come la videcamera posta nel box dovrà riprendere unicamente il proprio posto auto e non l’intero garage (Parere generale Garante Privacy 8/4/2010), anche per evitare di incorrere nel reato di cui all’art. 615-bis c.p.: Interferenze illecite nella vita privata(1).

Sistemi “illeciti” Rientra nella disciplina penalistica il comportamento del soggetto privato che, per proprio interesse, sottoponga a videosorveglianza aree comuni dell’edificio (cortili, pianerottoli ecc.). In relazione all’elemento oggettivo del reato la norma in esame sanziona le riprese di immagini o notizie afferenti la vita privata svolte nell'abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi. La definizione di “privata dimora” è sta-

ta interpretata dalla giurisprudenza di legittimità in senso estensivo ricomprendendo tutti quegli ambiti in cui si svolge, anche, occasionalmente, la vita privata degli individui e su cui gli stessi abbiano tendenzialmente lo “ius escludendi” di terzi. La Cassazione Penale Sez. V - 15/10/2004, n. 16189 annota: “È legittimo il provvedimento con cui il Tribunale del riesame - confermando il decreto di perquisizione e sequestro disposto dal Pubblico Ministero - ritiene sussistente il "fumus" del reato di cui all'art. 615-bis cod. pen. (interferenze illecite nella vita privata) nel caso in cui l’apprensione fraudolenta di immagini visive e la loro catalogazione su supporto magnetico avvenga mediante microcamera collocata sull’androne di accesso ai garages condominiali, considerato che quest’ultimo rientra nel novero delle appartenenze di cui all’art. 614 cod. pen.” Pertanto, ove il sistema di videosorveglianza installato da un condomino riprenda il pianerottolo comune e la soglia di casa altrui risulterà certamente integrato l’elemento oggettivo del delitto in esame. Le aree interne al condominio, non esposte a un numero indiscriminato di soggetti, ma condivise dai condomini, godono di una limitata riservatezza che rendono le captazioni indebite di scene afferenti alla vita privata dei soggetti che ivi si svolgono comunque integranti la fattispecie di cui all’art 615 bis c.p. Irrilevante risulta inoltre essere la proprietà o comproprietà dell’area

INCENTIVI PER I SISTEMI DI VIDEOSORVEGLIANZA 15 milioni di euro di incentivo per la videosorveglianza, questa la somma da ripartire le persone fisiche che nel 2016, abbiano sostenuto dei costi per rendere più sicura la propria casa. La modalità è la concessione di un credito di imposta riconosciuto per le spese di installazione di sistemi di videosorveglianza digitale o di sistemi di allarme; lo stesso beneficio è concesso per i costi derivanti dalla stipula di contratti con istituti di vigilanza, diretti alla prevenzione di attività criminali. L'immobile interessato dagli interventi deve essere destinato a uso personale o familiare: nell'ipotesi in cui le spese siano state sostenute in relazione a un immobile adibito promiscuamente all'esercizio d'impresa o di lavoro autonomo e all'uso personale o familiare del contribuente (è il caso di avvocati, commercialisti, amministratori di condominio, ecc., che dedicano una parte della propria abitazione a studio professionale), il credito d'imposta viene ridotto del 50%. La domanda deve essere presentata esclusivamente per via telematica, collegandosi al sito dell'Agenzia delle entrate (www.agenziaentrate.gov.it) e utilizzando il software gratuito “Creditovideosorverglianza”. Il contribuente vi può provvedere personalmente (nel caso in cui possegga le credenziali di accesso a Fisconline o Entratel) oppure attraverso uno degli intermediari autorizzati alla trasmissione delle dichiarazioni. Il termine per l'invio è il 20 marzo 2017. Può essere inoltrata una sola richiesta per tutte le spese sostenute nel 2016: in caso di presentazione di più istanze, sarà valida solo l'ultima, che sostituisce e annulla le precedenti. Nell'istanza occorrerà riportare: 1. il codice fiscale del beneficiario e del fornitore del bene o servizio; 2. numero, data e importo delle fatture relative ai beni e servizi acquisiti, comprensivo dell'imposta sul valore aggiunto; 3. se la fattura è eventualmente relativa a un immobile adibito promiscuamente all'esercizio d'impresa o di lavoro autonomo e all'uso personale o familiare del contribuente. Con un successivo provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate (da emanarsi entro il 31 marzo 2017), sarà definita la percentuale massima del credito d'imposta spettante a ciascun soggetto: non si tratta di una misura fissa, ma sarà determinata sulla base del rapporto tra l'ammontare delle risorse disponibili (stanziate dalla legge di stabilità 2016) e l'ammontare del credito d'imposta complessivamente richiesto. I soggetti ammessi al beneficio potranno utilizzare il credito d'imposta maturato in compensazione per il pagamento di imposte, presentando il modello F24 esclusivamente tramite i servizi telematici dell'Agenzia delle entrate; soltanto le persone fisiche non titolari di reddito d'impresa o di lavoro autonomo potranno utilizzare il credito spettante anche in diminuzione delle imposte dovute in base alla dichiarazione dei redditi. Il credito d'imposta in questione andrà indicato nella dichiarazione dei redditi 2016, e non è cumulabile con altre agevolazioni di natura fiscale aventi a oggetto le medesime spese.

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soggetta a videoregistrazione in quanto, come affermato da Cassazione Penale Sez. V, 19/03/2003, n.20233 “ciò che rileva ai fini della configurabilità del reato è la violazione della riservatezza domiciliare della persona offesa, non la disponibilità di quel domicilio anche da parte dell'autore dell'indebita intercettazione”. Quanto all’elemento soggettivo del reato, il delitto in esame è caratterizzato da dolo generico, dovendosi pertanto ritenere che ove il condomino dissenziente abbia portato a conoscenza il proprietario dell’impianto del proprio dissenso all’apposizione del sistema di videosorveglianza, sia certamente integrabile il dolo previsto dalla fattispecie.

Videosorveglianza condominiale Nel caso di telecamere poste dal condominio per sorvegliare le parti comuni, dovranno essere adottate tutte le misure e le precauzioni previste dal Garante, cioè: 1. le persone che transiteranno nelle aree sorvegliate dovranno essere informate con appositi cartelli delle presenza delle telecamere; 2. nel caso di impianti collegati alle forze dell'ordine, sarà necessario apporre uno specifico cartello che lo evidenzi; 3. le immagini registrate potranno essere conservate per un periodo limitato, cioè sino a un massimo di 24-48 ore, fatte salve specifiche esigenze, come la chiusura di esercizi oppure di uffici che hanno sede nel condominio, o di ulteriore conservazione in relazione ad indagini della polizia o comunque di natura giudiziaria; 4. le telecamere condominiali dovranno riprendere solo le aree comuni da controllare, evitando la ripresa di luoghi circostanti quali strade, altri edifici, edifici commerciali eccetera; 5. i dati raccolti dovranno essere protetti con idonee e preventive misure di sicurezza, in modo da consentirne l'accesso solo alle persone autorizzate oppure al titolare o al responsabile del trattamento dei dati (che ben potrà essere anche lo stesso amministratore del condominio).

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Il mancato rispetto di queste prescrizioni, a seconda dei casi, comporterà: • l’inutilizzabilità dei dati personali trattati (lo prevede l'articolo 11, comma 2, del Codice della privacy); • l’adozione di provvedimenti di blocco o divieto del trattamento disposti dal Garante (articolo 143, comma 1, lettera c del Codice); • l’applicazione delle sanzioni amministrative o penali ed esse collegate (articoli 161 e seguenti del Codice), oltre ovviamente ad eventuali richieste di risarcimento da parte di eventuali soggetti danneggiati. Lo stesso si può dire in relazione ai videocitofoni che rilevano immagini, talvolta anche tramite la registrazione. Cass. Civ., sez. II, 02/09/2015, n. 17440 costituisce "trattamento, qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l'ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati". L'immagine costituisce dato personale, rilevante ai sensi dell'art. 4, comma 1, lett. a) Legge sulla Privacy (Provvedimento del Garante del 29 aprile 2004). Il punto 6.2.4. del Provvedimento Generale 29.4.2004 del Garante per la Protezione dei Dati Personali indica che sono ammessi per identificare coloro che si accingono a entrare in luoghi privati, videocitofoni o altre apparecchiature che rilevano immagini o suoni senza registrazione. Non essendoci tecnicamente, alcuna differenza - circa le immagini ricavate - dall'utilizzo di una telecamera senza registrazione delle immagini e un ANACI LECCO n.5 | Gen-Feb 2017


IL PARERE LEGALE

NOTE (2) Art. 161 Omessa o inidonea informativa all’interessato: “La violazione delle disposizioni di cui all'articolo 13 è punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da seimila euro a trentaseimila euro”. (3) Art. 167 Trattamento illecito di dati: “I co. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell'articolo 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi. II co. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 17, 20, 21, 22, commi 8 e 11, 25, 26, 27 e 45, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da uno a tre anni”. (4) Art. 164-bis Casi di minore gravità e ipotesi aggravate: 1. Se taluna delle violazioni di cui agli articoli 161, 162, 162-ter, (2) 163 e 164 è di minore gravità, avuto altresì riguardo alla natura anche economica o sociale dell'attività svolta, i limiti minimi e massimi stabiliti dai medesimi articoli sono applicati in misura pari a due quinti. 2. In caso di più violazioni di un’unica o di più disposizioni di cui al presente Capo, a eccezione di quelle previste dagli articoli 162, comma 2, 162-bis e 164, commesse anche in tempi diversi in relazione a banche di dati di particolare rilevanza o dimensioni, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 50.000 euro a 300.000 euro. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta. 3. In altri casi di maggiore gravità e, in particolare, di maggiore rilevanza del pregiudizio per uno o più interessati, ovvero quando la violazione coinvolge numerosi interessati, i limiti minimo e massimo delle sanzioni di cui al presente Capo sono applicati in misura pari al doppio. 4. Le sanzioni di cui al presente Capo possono essere aumentate fino al quadruplo quando possono risultare inefficaci in ragione delle condizioni economiche del contravventore.

ANACI LECCO n.5 | Gen-Feb 2017

videocitofono anche a quest'ultimo dovrà essere applicata la normativa sulla privacy. In relazione alla videosorveglianza condominiale sarà pienamente applicabile la normativa dettata dal Codice della privacy, ivi compresi gli obblighi di comunicazione e le sanzioni previste. L'amministratore dovrà, all'assunzione dell'incarico, fornire a tutti i condomini e agli operatori (fornitori) l'informativa al trattamento dei dati e ricevere il relativo consenso. Tale comunicazione dovrà essere eseguita una sola volta e non ad ogni sostituzione dell’amministratore, salvo i casi degli aggiornamenti necessari per esempio nel caso di modifica del soggetto titolare del trattamento e luogo di conservazione dei dati. Circa il periodo di conservazione dei dati il Garante delle privacy ha affermato che: “La conservazione deve essere limitata a poche ore o, al massimo, alle ventiquattro ore successive alla rilevazione, fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione in relazione a festività o chiusura di uffici o esercizi, nonché nel caso in cui si deve aderire ad una specifica richiesta investigativa dell'autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria. Solo in alcuni casi, per peculiari esigenze tecniche (mezzi di trasporto) o per la particolare rischiosità dell'attività svolta dal titolare del trattamento (ad esempio, per alcuni luoghi come le banche può risultare giustificata l'esigenza di identificare gli autori di un sopralluogo nei giorni precedenti una rapina), può ritenersi ammesso un tempo più ampio di conservazione dei dati che, sulla scorta anche del tempo massimo legislativamente posto per altri trattamenti, si ritiene non debba comunque superare la settimana” (Provvedimento Generale Garante del 8/4/2010). Gli adempimenti connessi alla normativa sulla privacy in tema di videosorveglianza, approvata con le maggioranze ex art. 1136 II co. cod. civ. (maggioranza assoluta dei condomini), comporteranno il posizionamento di un cartello visibile. Se il sistema rileva le immagini senza registrarle il cartello dovrà riportare la locuzione “rilevazione”, il cartello assolve all’obbligo di informativa previsto dall’art. 13 della legge sulla Privacy la cui violazione comporta sanzioni amministrative onerose(2). Le ipotesi sanzionatorie più gravi che comportano l’applicazione di sanzioni penali richiedono tutte non solo la violazione di determinate prescrizioni ma anche il dolo specifico di “trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno” (3). Il regime sanzionatorio del codice sulla privacy ha previsto delle ipotesi di “minore gravità”, avuto altresì riguardo alla natura anche economica o sociale dell'attività svolta, che riducono i limiti minimi e massimi di sanzione amministrativa irrogabile nel caso concreto a 2/5, così come ipotesi di particolare gravità che comportano l’applicazione del doppio delle sanzioni previste, sia nei minimi che nei massimi. E possono essere aumentate fino al quadruplo quando possono risultare inefficaci in ragione delle condizioni economiche del contravventore(4).

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Avv. Laura Torri

IL PARERE LEGALE

Membro del Centro Studi di ANACI LECCO

Conciliazione per le controversie sulle forniture di energia Può capitare di ricevere una bolletta con consumi esorbitanti di energia elettrica o gas , o con servizi non richiesti, o che si verifichino ritardi nella fornitura, per questi e altri problemi, è stato introdotto il tentativo obbligatorio di conciliazione. A partire dal 1 gennaio 2017 i clienti finali dei settori dell'energia elettrica e del gas, inclusi i prosumer (cioè coloro che sono allo stesso tempo produttori e consumatori di energia elettrica), dovranno obbligatoriamente esperire un tentativo di conciliazione per dirimere le controversie non risolte a livello di reclamo. L'esperimento del tentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità dell'azione giudiziale. L' Autorità per l'Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico (AEEGS) con delibera 209/2016/E/ COM del 5 maggio 2016 ha approvato il: Testo integrato in materia di procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie tra clienti o utenti finali e operatori o gestori nei settori regolati dall'Autorità per l'Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico - Testo Integrato Conciliazione (TICO).

Ambito di applicazione L'obbligatorietà del tentativo di conciliazione è prevista per le controversie tra clienti finali di energia elettrica alimentati in bassa e/o media tensione, clienti finali di gas alimentati in bassa pressione, Prosumer (cioè coloro che sono allo stesso tempo produttori e consumatori di energia elettrica) o Utenti finali e Operatori o Gestori. L'obbligatorietà del tentativo di conciliazione riguarda anche le controversie tra Prosumer e GSE (Gestore Servizi Energetici) in materia di ritiro dedicato e scambio sul posto. Sono esclusi dall'ambito di applicazione del Testo Integrato Conciliazione le controversie: • attinenti esclusivamente a profili tributari e fiscali; • per le quali sia intervenuta la prescrizione ai sensi di legge; • promosse ai sensi degli articolo 37 (azione inibitoria delle clausole vessatorie), 139, 140 (azione tramite associazioni di consumatori) e 140 bis (class action) del Codice del consumo; • oggetto delle procedure speciali individuate dall'Appendice 2 dell'allegato A (Procedure speciali a carattere risolutivo) alla deliberazione 14 luglio 2016, 383/2016/E/com, fatti salvi eventuali profili risarcitori.

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L'obbligo del tentativo di conciliazione è prevista per le controversie tra clienti finali di energia elettrica alimentati in bassa e/o media tensione, clienti finali di gas alimentati in bassa pressione, prosumer o utenti finali e operatori o gestori

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IL PARERE LEGALE In concreto il cliente, in caso di problemi dovrà inviare reclamo al fornitore e, in caso di risposta parziale o non soddisfacente, entro il termine massimo di 1 anno dall'invio del reclamo stesso, potrà attivare la procedura di conciliazione. Anche qualora il fornitore non fornisca risposta entro 50 giorni dall'invio del reclamo, il cliente potrà attivare la procedura di conciliazione. L'articolo 6 del sunnominato TICO prevede infatti che: • 6.1 Il cliente o utente finale che intende attivare la procedura di conciliazione può presentare la domanda, direttamente o mediante un delegato, anche appartenente alle associazioni dei consumatori o di categoria, dal quale decida di farsi rappresentare, solo dopo aver inviato il reclamo all'operatore o gestore e questi abbia riscontrato con una risposta ritenuta insoddisfacente o siano decorsi 50 dall'invio del predetto reclamo. • 6.2 La domanda di conciliazione

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non può essere presentata oltre un anno dalla data di invio del reclamo. La domanda di conciliazione si propone presso il Servizio di Conciliazione dell'Autorità per l'Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico (AEEGS). In alternativa alla procedura dinanzi al Servizio di Conciliazione dell'Autorità, la parte ha la facoltà di esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione presso le Camere di Commercio, previa stipula di apposito protocollo di intesa tra Unioncamere e l'AEEGS. Il cliente o utente finale può altresì rivolgersi ad organismi ADR iscritti nell'elenco, con cui l'Autorità ha stipulati appositi protocolli. Sul sito web dell'Autorità è disponibile l'elenco degli organismi . Lo svolgimento del primo incontro dovrà avvenire entro 30 giorni dalla domanda e non prima di 10 giorni dalla relativa comunicazione alle parti. Sono garantiti tempi più rapidi nel caso in cui, nella domanda presentata al Servizio Conciliazione, sia documentata la sospensione della fornitura. L'art. 3 del TICO impone l'obbligatorietà del tentativo di conciliazione, prevedendo che la condizione di procedibilità si considera avverata, se il primo incontro presso il Servizio di conciliazione, da svolgersi non oltre 30 giorni dalla presentazione della domanda completa di conciliazione, si conclude senza l'accordo. Il termine per la conclusione della procedura conciliativa è di 90 giorni, decorrente dalla data di proposizione della domanda completa di conciliazione. Tale termine può essere prorogato per esigenze

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IL PARERE LEGALE

motivate e per un periodo non superiore a 30 giorni. La domanda di conciliazione può essere presentata in modalità telematica sul sito web del Servizio Conciliazione. L'art. 9 del TICO disciplina lo svolgimento del tentativo di conciliazione. Le parti e il conciliatore si incontrano in modalità telematica nel giorno e ora comunicati dal Servizio Conciliazione, mediante l'accesso all'apposita area virtuale riservata, web conference tramite chat, audio , video,o tramite l'utilizzo combinato di tali strumenti. In alternativa, secondo la valutazione del conciliatore e delle parti, l'incontro può svolgersi tramite l'utilizzo di altri mezzi di comunicazione a distanza. Se la conciliazione ha esito positivo, il conciliatore redige il verbale di conciliazione contenente i termini dell'accordo. Le parti congiuntamente possono richiedere al conciliatore la formulazione di una proposta non vincolante, la cui accettazione o il cui rifiuto devono pervenire per iscritto entro 7 giorni. In mancanza di accettazione nel termine, la proposta si intende rifiutata. Il verbale di conciliazione debitamente sottoscritto costituisce titolo esecutivo ai sensi dell'art. 2 comma 24 lett. b) della legge 481/95. Se la conciliazione non ha esito positivo, il conciliatore dà atto dell'esito infruttuoso. Se la parte che ha attivato la procedura non compare al primo incontro, il conciliatore redige un verbale di mancata comparizione e la procedura è archiviata. Se la parte che non ha attivato la procedura non compare al primo incontro, salvo i casi di inammissibilità della domanda, il conciliatore dà atto dell'esito negativo della procedura. In tali ipotesi la condizione di procedibilità si considera avverata, cioè in mancanza di accordo o in caso di mancata comparizione.

In sintesi A partire dal 1° gennaio 2017, chi: • clienti finali di energia elettrica alimentati in bassa (inferiore a 1 KV) e/o media tensione (tra 1 e 30 kV);

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• •

• •

clienti finali di gas alimentati in bassa pressione; prosumer (cioè coloro che sono allo stesso tempo produttori e consumatori di energia elettrica); Utenti finali e Operatori o Gestori; Prosumer e GSE (Gestore Servizi Energetici) in materia di ritiro dedicato e scambio sul posto.

Quando: dopo aver inviato il reclamo all'operatore o gestore e questi abbia riscontrato con una risposta ritenuta insoddisfacente o siano decorsi 50 dall'invio del predetto reclamo. Non oltre un anno dalla data di invio del reclamo. Dove: • presso il Servizio di Conciliazione dell'Autorità per l'Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico (AEEGS); • presso le Camere di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura; • presso organismi ADR iscritti nell'elenco disponibile sul sito web dell'Autorità . Come: la domanda di conciliazione può essere presentata in modalità telematica sul sito web del Servizio Conciliazione. Le parti e il conciliatore si incontrano in modalità telematica nel giorno e ora comunicati dal Servizio Conciliazione, mediante l'accesso all'apposita area virtuale riservata, web conference tramite chat, audio, video,o tramite l'utilizzo combinato di tali strumenti. In alternativa, secondo la valutazione del conciliatore e delle parti, l'incontro può svolgersi tramite l'utilizzo di altri mezzi di comunicazione a distanza. Se la conciliazione ha esito positivo, il conciliatore redige il verbale di conciliazione contenente i termini dell'accordo. Una volta esperito il tentativo di conciliazione, in caso di esito infruttuoso, il cliente sarà legittimato ad adire l'Autorità Giudiziaria.

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AMARCORD

Rubrica a cura di Pierluigi Dell'Oro Ex-Presidente e Socio Onorario ANACI

C

onvegno a Roma 1998 Come detto nell’ottobre del '98 venne a mancare Piero Ferraris e gli Associati della Provinciale di Lecco mi vollero quale Presidente e subito dovetti adempiere ai nuovi impegni che la carica comportava. Era a quei tempi prioritario per l’Anaci il riconoscimento della professione di amministratore e pertanto venne organizzato un apposito Convegno Nazionale al palazzo dell’EUR di Roma per il 24/25 ottobre 98. Il Presidente regionale Sandrini ebbe l’idea di organizzare una spedizione dei Lombardi, partendo da Milano verso le 14,30 del Sabato con un pullman a due piani. L‘atmosfera fu subito vivace e strada facendo raccogliemmo quelli delle Province della “Bassa”. Qui ebbi modo di socializzare con gli altri, buona parte dei quali conoscevo per la prima volta: erano tutti simpatici e dei veri “casinisti” per cui il viaggio proseguiva in allegria. L’unico che se ne stava a dormicchiare sbracato sulla sua poltrona era Giancarlo (Astorri) che , se interpellato, bofonchiava qualcosa contro chi aveva avuto l’idea di questo viaggio. Dopo aver visitato buona parte degli autogrill dell’ Autosole, finalmente a tarda sera raggiungemmo stanchi e affamati l’albergo prenotato dalle parti di Pomezia. Qui finalmente ci servirono la cena dopo aver a lungo discusso con l’albergatore perché ci eravamo presentati in forte ritardo. Poi finalmente il meritato riposo notturno. Al mattino, dopo colazione, si ripartì per Roma e arrivammo finalmente all’EUR dove si teneva il Convegno. Ascoltammo alcuni interventi che peroravano il riconoscimento del nostro stato di amministratori e le varie iniziative in messe in atto. Poi una colazione di lavoro al termine della quale, memori della lunghezza del viaggio di andata, risalimmo in pullman per fare rientro a casa. Se il viaggio di andata fu faticoso, quello di ritorno fu semplicemente allucinante. Regnava la stanchezza e sempre tra un autogrill e l’altro ad un collega di Brescia venne l’idea di improvvisare uno streptease, dopo essersi fatto prestare un reggiseno da una delle ragazze. Non vi dico le urla e i fischi, ma intanto l’atmosfera si era ravvivata. E il Giancarlo? Dormicchiava, beato lui! Si era ormai fatto buio e tutti si erano assopiti e

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allora Sandrini, per tenerci svegli, al primo autogrill acquistò un paio di videocassette “spinte” che vennero proiettate tra il gradimento dei maschietti e le proteste delle ragazze! Dopo una deviazione a Cremona, finalmente arrivammo a Milano e poi in auto tornammo a Lecco. Ci vollero tre giorni per riacquistare la normalità. Da allora non vennero più organizzati viaggi in pullman di lunga durata.

C

ongresso Chia Laguna 1999 Era il mio primo Congresso Nazionale e forse è quello che ricordo con maggiore piacere e con un pizzico di nostalgia. In effetti era il secondo Congresso Nazionale Anaci (il primo si tenne a Silvi Marina) e venne organizzato dagli amici sardi a Chia Laguna (Cagliari) dal 22 al 25 aprile del '99. Parteciparono con me, per la Provinciale di Lecco, Astorri, Ascione, Fily Rotondi e Savarin. Qui ebbi modo di conoscere i vari Dirigenti Nazionali e fare amicizia con altri Congressisti. Il luogo era molto piacevole, anche se un poco isolato, e la vita si svolgeva esclusivamente all’interno del residence, tranne una breve puntata culturale a Cagliari. È sempre stata mia abitudine alzarmi presto al mattino e quindi incontrai due colleghe di Brescia, Francesca e Caterina, con le quali si fecero delle lunghe passeggiate sulle dune in riva al mare, prima di colazione. Ne nacque una amicizia che durò poi a lungo negli anni a seguire. Dopo i lavori congressuali, la sera era un continuo proliferare di riunioni segrete (o quasi) tra le Provinciali Lombarde e con le altre delegazioni Regionali: bisognava eleggere il nuovo Presidente e la nuova Dirigenza e, quindi, era in atto un certo fermento. Risultato: si finiva sempre a notte fonda e si era, quindi, in arretrato con il sonno. Ricordo con piacere la cena di gala a base di piatti tipici ed allietata dai balletti e dai canti di un gruppo folkloristico locale. Alla fine dei lavori venne eletto nuovo Presidente Giuseppe Rigotti di Trieste e a Segretario Umberto Annitori di Roma. Bisogna dire che anche in seguito sono sempre stati eletti i candidati appoggiati dalla Lombardia. Ebbi anche modo a Chia di conoscere l’Avv. Eugenio Correale, al quale mi legò subito una reciproca amicizia, maturata tra una partita e l’altra di biliardo, giocate a notte fonda. Gli chiesi la sua disponibilità a organizzare a Lecco il primo corso per amministratori immobiliari da tenersi in autunno: mi venne dato il suo impegno e quello della Provinciale Milanese. Più avanti mi telefonò chiedendo se a Lecco eravamo disponibili a supportare un corso sperimentale in collaborazione con il politecnico di Milano, corso che venne realizzato dopo vari incontri con il prof. Turchini e il prof. Sdino e che si tenne nei locali del Politecnico di Lecco nella allora sede di corso Matteotti. Nacque qui la proficua collaborazione tra il Politecnico e l’Anaci lombarda. Ma di questo corso parleremo nella prossima puntata.


Prof. Arch. Annalisa Galante

IL PARERE TECNICO

Membro del Centro Studi e Consulente Tecnico ANACI LECCO

Nuova guida per le ristrutturazioni e fondo di accantonamento Aggiornata a febbraio 2017 la Guida dell’Agenzia delle Entrate “Ristrutturazioni edilizie: le agevolazioni fiscali”, un pratico vademecum che raccoglie regole e modalità da seguire per poter accedere al bonus per le ristrutturazioni edilizie e tiene conto delle novità sul tema contenute nella Legge di bilancio 2017. Trovano spazio nella guida anche le indicazioni fornite dall’Agenzia nei documenti di prassi sugli adempimenti necessari per richiedere l’agevolazione. Tra le principali novità segnalate: la proroga per tutto l’anno 2017 del bonus mobili e del bonus ristrutturazioni edilizie, nuove istruzioni e tempi più ampi per effettuare gli interventi di adozione di misure antisismiche.

Bonus mobili La Legge di bilancio 2017 ha prorogato fino al 31 dicembre 2017 la maggiore detrazione Irpef del 50% per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, con un tetto massimo di spesa di 96mila euro per unità immobiliare. È prorogato fino al 31 dicembre 2017 anche il bonus per l'acquisto di mobili ed elettrodomestici destinati ad arredare un immobile ristrutturato. La detrazione del 50% spetta sulle spese sostenute, dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2017, per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla A+, nonché

Bonus per le ristrutturazioni: la nuova guida aggiornata dell’AdE con le indicazioni sugli adempimenti necessari per richiedere gli incentivi

FONDO DI ACCANTONAMENTO PER INTERVENTI CONDOMINIALI Presentata il 24 novembre 2016 alla Camera una proposta di legge che contiene disposizioni per favorire l'adeguamento sismico e l'incremento dell'efficienza energetica degli edifici in condominio, messa a punto con la collaborazione del Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino, la proposta di legge è in commissione Giustizia della Camera, ma non è ancora partito l'esame. La proposta prevede che, per favorire l'incremento dell'efficienza energetica e l'adeguamento sismico degli edifici privati, i condomìni possono costituire un fondo di accantonamento per la realizzazione di interventi non ancora deliberati dall'assemblea condominiale. Di seguito sintetizzate le principali novità messe in campo dalla proposta di legge. Il fondo di accantonamento verrebbe costituito con una deliberazione dell'assemblea dei condòmini assunta ai sensi dell'articolo 1136, secondo comma, del codice civile. Il fondo di accantonamento sarebbe finanziato annualmente con una quota percentuale del bilancio condominiale o con versamenti ripartiti in base ai millesimi di proprietà secondo le modalità stabilite dall'assemblea condominiale al momento della costituzione del fondo stesso. La quota versata ogni anno nel fondo di accantonamento non potrà essere inferiore al 5% del rendiconto condominiale annuale. Le quote destinate al finanziamento del fondo di accantonamento saranno separate dalla gestione ordinaria e sono versate su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio. La costituzione del fondo di accantonamento consentirebbe di accedere alle detrazioni fiscali e alle forme di incentivazione per la realizzazione di interventi di incremento dell'efficienza energetica e di adeguamento sismico degli edifici in vigore al momento della sua costituzione da parte dell'assemblea condominiale a condizione che gli interventi siano deliberati e avviati entro 5 anni dalla costituzione del fondo stesso.

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IL PARERE TECNICO

A per i forni, per le apparecchiature per le quali sia prevista l’etichetta energetica. Attenzione, però, per gli acquisti che si effettueranno nel 2017 potrà essere richiesta solo se è stato effettuato un intervento di ristrutturazione edilizia iniziato a partire dal 1 gennaio 2016.

Antisismica Tra i contenuti della guida, anche la nuova detrazione d’imposta del 50%, introdotta per il periodo compreso tra il primo gennaio 2017 e il 31 dicembre 2021, legata alle spese sostenute per l’adozione di misure antisismiche su edifici che ricadono nelle zone sismiche ad alta pericolosità (zone 1, 2 e 3), con un importo complessivo pari a 96mila euro per unità immobiliare per ciascun anno. La detrazione fiscale sale al 70% della spesa sostenuta (75% per gli ANACI LECCO n.5 | Gen-Feb 2017

edifici condominiali) se, dalla realizzazione degli interventi concernenti l’adozione di misure antisismiche, deriva una riduzione del rischio sismico che determina il passaggio a una classe di rischio inferiore e aumenta all’80% (85% per gli edifici condominiali) se dall’intervento deriva il passaggio a due classi di rischio inferiori. Tra le spese detraibili per la realizzazione degli interventi antisismici rientrano anche quelle effettuate per la classificazione e la verifica sismica degli immobili.

Alcune indicazioni La nuova guida riporta, tra le novità, anche le indicazioni fornite dall’Agenzia in alcuni documenti di prassi emanati recentemente. Tra queste, ricordiamo quella sui beneficiari della detrazione, tra i quali rientrano a pieno titolo anche il convivente more uxorio, non proprietario dell’immobile oggetto degli interventi né titolare di un contratto di comodato (risoluzione n. 64/E del 28 luglio 2016). Un’altra indicazione è quella riguardante il pagamento con bonifico. Sono validi, ai fini della detrazione, anche i bonifici effettuati tramite conti aperti presso gli “Istituti di pagamento”, cioè le imprese, diverse dalle banche, autorizzate dalla Banca d’Italia a prestare servizi di pagamento (risoluzione n.9/E del 20 gennaio 2017).

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Ing. Alessio Maggi

IL PARERE TECNICO

Esperto in sicurezza e ambiente - Tecnolario

Inquinamento indoor: l'ambito domestico e lavorativo Le indagini sugli stili di vita dei cittadini ci dicono che le persone, nell’arco della giornata, trascorrono la maggior parte del proprio tempo in ambienti chiusi (indoor). I risultati di numerosi studi mettono in evidenza che la concentrazione di inquinanti nell’aria indoor è spesso superiore ai rispettivi valori esterni. L’esposizione agli inquinanti dell’aria rappresenta un rischio per il benessere e la salute dell’uomo e degli ecosistemi. A livello internazionale si è sviluppata una forte attenzione per l’inquinamento atmosferico dell’aria ambiente (outdoor) che ha portato, attraverso l’adozione di idonee misure quali il controllo delle emissioni degli inquinanti atmosferici, la riduzione o l’eliminazione di alcuni componenti inquinanti nei combustibili, l’individuazione delle concentrazioni massime consentite, ad una significativa riduzione di alcuni contaminanti nell’ambiente atmosferico. La considerazione che la popolazione, soprattutto nelle aree urbane, trascorre la maggior parte del tempo in ambienti chiusi (indoor) ha indotto la comunità scientifica internazionale ad occuparsi della contaminazione dell’aria negli ambienti di vita: l’inquinamento indoor può causare effetti indesiderati che vanno dal disagio sensoriale a gravi conseguenze sullo stato di salute; le conseguenze dell’esposizione agli inquinanti indoor sono distinguibili in effetti immediati ed effetti a lungo termine. Effetti immediati includono irritazione degli occhi, del naso e della gola; nausee; emicranie; capogiri e affaticamento. Effetti a lungo termine includono alcune varie neoplasie maligne (cancro polmonare, leucemie) ed un aumento del-

La considerazione che la popolazione, soprattutto nelle aree urbane, trascorre la maggior parte del tempo in ambienti chiusi (indoor) ha indotto la comunità scientifica internazionale a occuparsi della contaminazione dell’aria negli ambienti di vita

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IL PARERE TECNICO

la mortalità per malattie cardiovascolari e respiratorie. Avendo l’inquinamento indoor origine sia da fonti esterne che interne, è facile comprendere che le sole misure relative alla riduzione delle concentrazioni esterne non sono sufficienti a garantire una buona qualità dell’aria negli ambienti confinati. Siamo tutti consapevoli come una delle future principali sfide per l’Europa, e in particolare per l’Italia, sia la riduzione del consumo energetico negli edifici e di come anche il legislatore si stia muovendo per garantire gli strumenti idonei al perseguimento di tale risultato, ma non si deve dimenticare che in questi stessi edifici possono essere presenti numerosi composti chimici che rappresentano un rischio per la salute dei soggetti esposti. È auspicabile, quindi, che nel considerare le misure per l’intervento sugli edifici, finalizzate al contenimento energetico, si intervenga per garantire la salubrità degli ambienti confiANACI LECCO n.5 | Gen-Feb 2017

nati, mettendo a punto gli idonei strumenti normativi. Gli inquinanti indoor sono numerosi e possono essere originati da diverse sorgenti. La loro concentrazione può variare nel tempo e dipende dalla natura della sorgente, dalla ventilazione, dalle abitudini e dalle attività svolte dagli occupanti negli ambienti interessati. La composizione dell’aria indoor è spesso caratterizzata da una miscela di composti molto variabile rispetto a quanto riscontrabile nell’aria atmosferica esterna. A volte si registrano valori di concentrazione di inquinante all’interno superiori a quelli presenti nello stesso momento all’esterno dell’ambiente o, più comunemente, si riscontra la presenza di sostanze inquinanti non rilevabili all’esterno. Va inoltre considerato che, anche se a basse concentrazioni, la presenza di contaminanti negli ambienti confinati può avere un importante impatto sulla salute e sul benessere degli occupanti a causa di esposizioni di lunga durata. Il rischio, infatti, più che alla concentrazione di inquinanti, in generale molto bassa, è legato all’esposizione, ovvero alla concentrazione integrata nel tempo. Ricordando che il tempo di permanenza medio in un ambiente confinato raggiunge l’80-90% del tempo giornaliero disponibile, ben si comprende come questo costituisca un aspetto chiave nella valutazione degli effetti dell’inquinamento indoor. Tra le fonti di inquinanti più comuni troviamo il fumo di tabacco, i processi di combustione, i prodotti per la pulizia e la manutenzione della casa, gli antiparassitari, l’uso di colle, adesivi, solventi ecc., l’utilizzo di strumenti di lavoro quali stampanti, plotter e fotocopiatrici e

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IL PARERE TECNICO

prodotti per l’hobbistica (es. colle e vernici). Anche le emissioni dei materiali utilizzati per la costruzione (es. isolamenti contenenti amianto) e l’arredamento (es. mobili fabbricati con legno truciolato, con compensato o con pannelli di fibre di legno di media densità, oppure trattati con antiparassitari, ma anche moquette e rivestimenti) possono contribuire alla miscela di inquinanti presenti. Infine, il malfunzionamento del sistema di ventilazione o una errata collocazione delle prese d’aria in prossimità di aree ad elevato inquinamento (es. vie ad alto traffico, parcheggio sotterraneo, autofficina, ecc.) possono determinare un’importante penetrazione di inquinanti dall’esterno. I sistemi di condizionamento dell’aria possono, inoltre, diventare terreno di coltura per muffe e altri contaminanti biologici e diffondere tali agenti in tutto l’edificio. Per completezza si riportano anche gli agenti fisici responsabili di una cattiva qualità dell’ambiente indoor: • campi elettromagnetici (c.e.m.); • rumore; • radon. Il fenomeno comunemente definito “inquinamento elettromagnetico” è legato alla generazione di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici artificiali, cioè non attribuibili al naturale fondo terrestre o ad eventi naturali (quale ad esempio può essere il campo elettrico generato da un fulmine), ma prodotti da impianti realizzati per trasmettere informazioni attraverso la propagazione di onde elettromagnetiche (impianti radio-TV e per telefonia mobile), da impianti utilizzati per il trasporto e la trasformazione dell’energia elettrica dalle centrali di produzione fino all’utilizzatore in ambiente urbano (elettrodotti), da impianti per lavorazioni industriali, nonché da tutti quei dispositivi il cui funzionamento è subordinato a un’alimentazione di rete elettrica (tipico esempio sono gli elettrodomestici). Il rumore, responsabile dell’inquinamento acustico, è costituito dall’in-

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sieme dei suoni che risultano indesiderati perché di intensità eccessiva, fastidiosi o improvvisi, e che spesso rappresentano elementi di disturbo per la ricezione da parte dell’orecchio umano. Il radon è un elemento chimico naturale, radioattivo, appartenente alla famiglia dei cosiddetti gas nobili o inerti. Non esiste luogo ove il radon non sia presente. In atmosfera si disperde rapidamente e non raggiunge quasi mai elevate concentrazioni, ma nei luoghi chiusi (case, scuole, negozi, ambienti di lavoro, ecc.) può in taluni casi arrivare a concentrazioni tali da rappresentare un rischio eccessivo per gli occupanti. L’OMS e l’Istituto Superiore Sanità considerano il radon la prima causa di tumore al polmone dopo il fumo di sigaretta ed attribuiscono ad esso il 10% di tutti i decessi (quasi 4000 all’anno solo in Italia). Per realizzare quelle condizioni di benessere e di salubrità ottimali per far sì che la maggior parte delle persone possano vivere pienamente, si sono definite nel tempo diverse linee guida e normative tecniche che pongono l’attenzione sugli inquinanti in causa, la loro azione sulla salute, gli standard qualitativi ambientali da perseguire e le migliori procedure e tecnologie edilizie e impiantistiche per ottenerli.

ANACI LECCO n.5 | Gen-Feb 2017


Dott.ssa Roberta Corti

IL PARERE TECNICO

Responsabile Servizio Posta Power Lecco

Poste Italiane: nuovi aumenti delle tariffe

Sono scattati il 10 gennaio i nuovi aumenti tariffari su numerosi prodotti postali, in tutto il territorio nazionale. Prima di analizzare il fenomeno e le sue cause, ecco un riepilogo dettagliato degli aumenti tariffari relativi alle spedizioni

“Anno nuovo, vita nuova” recita un detto popolare. Eppure, in questo caso, sembra che l’anno nuovo in realtà ripeta un andamento ormai costante negli ultimi anni: vale a dire l’aumento delle tariffe postali. Prima di analizzare il fenomeno e le sue cause, ecco un riepilogo dettagliato degli aumenti tariffari relativi alle spedizioni (le informazioni sono tratte direttamente dal sito ufficiale di Poste Italiane): • le tariffe della Posta Raccomandata saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso. In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi varierà da € 4,50 a € 5,00. Tale incremento sarà applicato anche alle comunicazioni connesse alle notifiche (Comunicazione Avvenuta Notifica, Comunicazione Avvenuto Deposito, Comunicazioni ex artt. 139, 140 e 660 c.p.c. e artt. 157, 161 c.p.p.); • le tariffe della Posta Raccomandata Internazionale saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso e per tutte le zone tariffarie di destinazione e per tutti i canali di accettazione (fisici e online). In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi per la Zona 1 varierà da € 5,95 a € 6,60; • le tariffe dell’Atto Giudiziario saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso. In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi varierà da € 6,60 a € 6,80; • le tariffe della Posta Assicurata saranno incrementate negli scaglioni di peso successivi al primo e per tutti i valori assicurati previsti. In particolare, la tariffa per gli invii di valore fino a € 50,00 e di peso oltre 20 e fino a 50 grammi varierà da € 6,90 a € 7,25; • le tariffe della Posta Assicurata Internazionale saranno incrementate negli scaglioni di peso successivi al primo, per tutti i valori assicurati previsti e per tutte le zone tariffarie di destinazione. In particolare, la tariffa per gli invii di valore fino a € 50,00 e di peso oltre 20 e fino a 50 grammi per la Zona 1 varierà da € 9,40 a € 10,00; • per i servizi Pieghi di libri e Pieghi di libri a tariffa ridotta editoriale, ferme restando le rispettive tariffe di recapito che restano invariate, sarà incrementata la componente del diritto di raccomandazione da € 2,35 a € 3,35. Prima di dare sfogo alle nostre (comprensibili) lamentele, occorre però rilevare un aspetto fondamentale: c’è un motivo ben preciso se le tariffe continuano ad aumentare, e questo motivo è che consegnare regolarmente la corrispondenza ha dei costi. Spesso molto elevati. Inutile girarci intorno: per poter consegnare in maniera capillare, su tutto il

ANACI LECCO n.5 | Gen-Feb 2017

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IL PARERE TECNICO

territorio nazionale, occorre mantenere una infrastruttura complessa e, dunque, costosa. Negli ultimi anni Poste ha introdotto regolari aumenti delle tariffe: questo non è un caso. Il motivo principale è che fino a qualche anno fa, il servizio postale nazionale ha beneficiato di regolari (e sostanziosi) sussidi statali. Poi le varie manovre di taglio alla spesa pubblica, assieme alla privatizzazione del servizio postale, hanno reso obbligatorio l’aumento delle tariffe per poter mantenere la struttura di consegna su tutto il territorio nazionale. Per assurdo, immagina un ipotetico negozio di maglioni gestito dallo Stato che ha il monopolio su tutto il territorio nazionale. Questo negozio tiene dei prezzi molto bassi che però le persone sono abituate a considerare normali, visto che non hanno a disposizione un metro di paragone. Di punto in bianco questo negozio viene acquistato da un privato, lo Stato esce di scena e permette alla concorrenza di aprire altri negozi di maglioni. Allo stesso tempo il privato si rende conto che senza i soldi dello Stato produrre i maglioni costa molto di più e, quindi, è costretto ad alzare continuamente i prezzi e cercare di tagliare i costi del personale, per rendere l’attività economicamente conveniente. Come già detto, consegnare la posta ovunque e in maniera regolare ha dei costi molto elevati. La beffa, in tutta questa situazione, è che con la nuova “consegna a giorni alterni” il servizio pubblico di Poste Italiane non consegna più in maniera regolare, nonostante i continui aumenti di tariffe, proprio perché non riescono a far fronte alle spese di consegna. Quanto detto finora dovrebbe portare a riflettere anche in merito a quegli operatori postali “low cost” che, non si sa come, vantano tariffe di molto inferiori a quelle ufficiali del servizio pubblico. La domanda che

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sorge spontanea è una sola: come fanno questi operatori a mantenere dei costi così bassi, e allo stesso tempo a consegnare regolarmente la posta? La risposta è semplice, e sta nella seconda parte della domanda. Vale a dire che, proprio per via delle tariffe ridottissime che applicano al consumatore, questi operatori sono costretti a rinunciare alla puntualità e all’efficacia del servizio. Magari non sarà una politica aziendale dichiarata, ovviamente, ma di certo il risultato (indiretto) è proprio questo: laddove un postino di Poste Italiane è retribuito 10, un portalettere di queste compagnie “low cost” è retribuito 5. Spesso anche meno. Tutto questo comporta una evidente (e comprensibile) disattenzione nella consegna della corrispondenza. La cronaca è piena di notizie di ritrovamenti di buste gettate nei cassonetti da parte di postini sottopagati, che non potendo consegnare tutta la corrispondenza decidevano di “adeguare” il loro lavoro al salario percepito. E se il salario non aumenta, basta far “diminuire” le buste da recapitare. Mater artium necessitas, dicevano i latini: vale a dire “La necessità è la madre delle abilità”, e in senso lato “La necessità aguzza l’ingegno”. Peccato che quando svolgi un servizio pubblico quell’ingegno sarebbe meglio usarlo per erogare un servizio migliore, invece che per sabotarlo. Il mercato postale è cambiato, dobbiamo farcene una ragione. Ma se vogliamo un sistema puntuale di consegna, che garantisca al professionista tempistiche precise e uno standard operativo di un certo livello l’opzione è una sola e non è certo quella di correre nell’errore degli operatori low cost, che riducono i prezzi, ma poi non sono in grado di erogare un servizio ottimale. Anzi, spesso non riescono a erogarlo del tutto, e le buste finiscono nei cassonetti o a far compagnia ai pesci.

ANACI LECCO n.5 | Gen-Feb 2017


Ing. Alberto Romanato

IL PARERE TECNICO

Direttore Tecnico Eurocert

Come gestire la messa in esercizio di un nuovo ascensore

Gli impianti, oltre a essere sottoposti a regolari manutenzioni, devono essere sottoposti a una verifica periodica, ogni 2 anni, da parte dell’ASL competente per territorio o Arpa o da un Organismo di certificazione Notificato dal Ministero

ANACI LECCO n.5 | Gen-Feb 2017

La messa in esercizio degli ascensori, dei montacarichi, delle piattaforma per disabili, o comunque di tutti gli apparecchi di sollevamento rispondenti alla definizione di ascensore la cui velocità di spostamento non supera i 0,15 m/s, deve essere comunicata al Comune competente per territorio, entro dieci giorni dalla data della dichiarazione di conformità dell’impianto rilasciata dall’installatore, indicando: • l’indirizzo dello stabile ove è installato l’impianto; • la velocità, la portata, la corsa, il numero delle fermate ed il tipo di azionamento dell’impianto; • il nominativo o la ragione sociale dell’installatore o del fabbricante dell’impianto; • la copia della dichiarazione di conformità CE dell’impianto; • la ditta abilitata ai sensi del decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 gennaio 2008, n. 37, a cui il proprietario ha affidato la manutenzione dell'impianto; la quale dovrà provvedere a mezzo di personale abilitato e fornito di certificato rilasciato dal Prefetto; • il soggetto (quali l’Azienda Sanitaria Locale “A.S.L.” o un Organismo Notificato) che ha accettato l'incarico di effettuare le verifiche periodiche sull’impianto. Avete affidato, così come previsto dall’art.13 del DPR 162/99, l’incarico per l’espletamento delle verifiche periodiche? Vi ricordiamo che gli impianti, oltre a essere sottoposti a regolari manutenzioni, devono essere sottoposti a una verifica periodica, ogni due anni, da parte dell’ASL competente per territorio o Arpa, se previsto dalle disposizioni regionali, o da un Organismo di certificazione Notificato dal Ministero dello Sviluppo Economico ai sensi della direttiva 2014/33/CE per la valutazioni di conformità di cui all’allegato V o VIII nonché all’attività di ispezione ai sensi del d.P.R. 162/99, o da Organismi di ispezione “di tipo A” accreditati, per le verifiche periodiche sugli ascensori ai sensi della norma UNI CEI ISO/IEC 17020:2012. Per gli impianti installati presso gli stabilimenti industriali o le aziende agricole la verifica periodica spetta, invece, alla Direzione Territoriale del Lavoro competente per territorio mentre per gli ascensori ad uso pubblico la normativa assegna le verifiche alla Direzione generale del trasporto pubblico locale del Ministero

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IL PARERE TECNICO

nell’ordinaria e straordinaria manutenzione, ad esempio la sostituzione del macchinario, del gruppo cilindro pistone, del quadro di manovra, delle porte di piano, della cabina, del cambiamento di velocità, del tipo di azionamento, dei dispositivi di sicurezza e di altri componenti principali, della portata e della corsa.

delle infrastrutture e dei trasporti. Al riguardo, il proprietario dell’impianto o il suo legale rappresentante devono garantire il rispetto della periodicità biennale. Se, a seguito dell’ispezione periodica viene rilasciato un verbale con esito negativo, il soggetto che ha eseguito la verifica periodica deve comunicare l’esito al competente ufficio comunale che dispone il fermo dell’impianto. Nel caso in cui, nonostante l’ordinanza di fermo, l’ascensore venga mantenuto in esercizio, la polizia amministrativa procederà a carico del proprietario o del suo legale rappresentante, ai sensi dell’Art. 650 del codice penale. Una volta eseguiti i lavori necessari per rimuovere le prescrizioni evidenziate in sede di verifica periodica, il proprietario dovrà richiedere una verifica straordinaria. Per la rimessa in servizio dell’impianto è necessaria una verifica straordinaria, con esito positivo.

Quando deve essere richiesta la verifica straordinaria? Il proprietario dell’impianto o il suo legale rappresentante devono richiedere la verifica straordinaria nei seguenti casi: • a seguito di verbale di verifica periodica con esito negativo, dopo aver ottemperato a tutti i lavori necessari; • dopo un incidente, anche se non seguito da infortunio, con immediata sospensione dell’esercizio dell’ascensore; • dopo ogni modifica costruttiva dell’impianto, non rientrante

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Nei casi richiamati il proprietario dell’impianto o il suo legale rappresentante devono: • vietare di porre o mantenere in esercizio gli impianti se prima non siano state effettuate le operazioni in precedenza illustrate. In caso contrario dopo l’eventuale accertamento di responsabilità civile nonché penale a carico del proprietario dell’immobile il Comune ordina l’immediata sospensione del servizio; • in caso di modifiche sugli impianti assicurarsi di ottenere tutta la documentazione da parte del soggetto che ha effettuato le trasformazioni, ai sensi del d.m. 37/2008; • inviare la comunicazione delle modifiche effettuate al Comune competente per territorio (Sportello Unico) e al soggetto competente per l’effettuazione delle verifiche periodiche; • incaricare in forma scritta un Organismo Notificato di sua fiducia tra quelli già visti dall’art. 13 del d.P.R. 162/99 per l’esecuzione della verifica straordinaria (art. 14 comma 3 del d.P.R. 162/99); • mettere a disposizione dell’Organismo Notificato incaricato della verifica straordinaria, una copia di tutta la documentazione necessaria per l’esecuzione della verifica.

ANACI LECCO n.5 | Gen-Feb 2017


Dott. Massimiliano Mauri

IL PARERE TECNICO

Responsabile Area Tecnica - Italiana Servizi Ascensori

Abbattimento delle barriere architettoniche sull'esistente

La legislazione, le sentenze della cassazione e i regolamenti comunali, hanno permesso a chi necessita di un dispositivo che aiuti il superamento delle barriere architettoniche, di poter ottenere quanto richiesto

ANACI LECCO n.5 | Gen-Feb 2017

Si sa, quello dell’abbattimento delle barriere architettoniche in un edificio esistente, privo di ascensore, di rampe o montascale, è tema scottante. Raggiungere una decisione che coinvolga l’intero condominio, quando i richiedenti sono la minoranza e a volte, uno solo, sembrerebbe alquanto difficile; le contestazioni riguardano spesso il decoro immobiliare, dovendo necessariamente eseguire opere edili, elettriche e di lattoneria, e naturalmente i costi. In verità le leggi ordinarie prima, le sentenze della cassazione e regolamenti comunali poi, hanno permesso a chi necessita di un dispositivo che aiuti la deambulazione ed il superamento delle barriere architettoniche, di poter ottenere quanto richiesto. La regina delle leggi in questa materia è senz’altro la legge 13/89, che all’Art. 2 afferma: “[...] le deliberazioni che hanno per aspetto le INNOVAZIONI da attuare negli edifici privati, mirate ad eliminare le barriere architettoniche di cui all’Art 27 legge 30/03/1971 n. 118 [...] sono approvate dall'assemblea condominiale in prima o seconda convocazione, secondo quanto previsto dall’Art. 1136 c.c.” ; con questo, la volontà del legislatore di concedere un'innovazione con solo 1/3 dei partecipanti in rappresentanza di 1/3 dell’edificio, è evidente. Nel caso in cui non si raggiunga una decisione comune, trascorso il termine legale di 90 giorni dalla assemblea, il disabile o chi ne esercita la potestà potrà installare a proprie spese strutture mobili e facilmente removibili, come i montascale a pedana o con seggiolino, oltrechè corrimani, rampe e potrà quindi allargare le porte di accesso agli spazi comuni, al fine di garantire un passaggio comodo e sicuro con una carrozzina; naturalmente dovrà provvedere personalmente a tutte le spese. I montascale però spesso non sono efficienti, in virtù della scarsa velocità (pari a 0,7m/s), e nel caso di percorsi superiori alle 6 rampe di scale, sconsigliati dalle stesse aziende costruttrici. Come fare in questo caso? Si potrà procedere, presentando una DIA al Comune di pertinenza con progetto a firma di un professionista, eleggendo un Direttore Lavori e redigendo un piano per la Sicurezza, all'installazione di una piattaforma elevatrice o di un vero e proprio ascensore. Si dovrà dimostrare altresì la impossibilità di accedere altrimenti alla abitazione, e laddove il piano più basso servito dall’impianto incontri altre scale, dovrà essere possibile realizzare scivoli o installare un montascale. A supporto di quanto affermato vediamo, quindi, come si è espressa la giurisprudenza nel corso di questi ultimi anni.

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IL PARERE TECNICO

Dopo aver deliberato circa la installazione di un ascensore a favore di un unico condòmino disabile, alcuni residenti mesi dopo e prima della installazione del bene, si sono rivolti al tribunale di Milano per annullare la delibera e quindi, l’ordine emesso al fornitore dell’impianto: il legislatore con sentenza emessa in data 22/03/93, si è opposto alla richiesta contestando che “[...] come già indicato dalla Legge 13/89, in cui si afferma che il disabile non deve necessariamente vivere dove è installato l’impianto elevatore, è altresì sufficiente che si debba recare in quell’edificio per ragioni di lavoro, famiglia o altro". Questa sentenza si può ben capire, ha fatto epoca, non tanto perché la volontà di uno ha vinto la reticenza di molti, ma perché si fa menzione al fatto che, non sia necessario essere residenti nel luogo deputato alla installazione di un impianto elevatore, se volto al superamento delle barriere architettoniche. Vi sono poi casi in cui i condòmini, che in prima analisi avevano rifiutato di dare il proprio consenso alla installazione di un ascensore, si ravvedano e decidano di utilizzarlo. In questo caso ricordiamo la sentenza nr. 18408/2005, del Tribunale Civile di Torino , che indica: “[...] i condòmini potranno utilizzare l’ascensore alla bisogna, previo pagamento della propria quota relativa alla installazione e della spesa fin li sostenuta per tutte le manutenzioni e riparazioni maggiorata di interessi e rivalutazioni". In relazione a contestazioni avanzate circa la deturpazione del decoro immobiliare, in ordine al taglio dei gradini necessario per allargare il vano scala e posizionare un'incastellatura, la Sentenza 2156/2012 Corte di Cassazione, ribadisce che le spese e le azioni interamente sostenute dal disabile per raggiungere il piano alto in cui abita sono lecite, anche se ciò può causare la restrizione delle scale e, quindi, disagio per gli altri; come ripreso dalla Sentenza 16846/2015, il disagio del bene mutato non coincide con la completa inutilizzabilità dello stesso, anzi il disagio è coessenziale al concetto di innovazione.

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Il taglio dei gradini di una scala non indebolisce la struttura dell’edificio, bensì la alleggerisce dei maggiori carichi; non solo, il posizionamento nel nuovo vano scala di una incastellatura in ferro, con relativi distanziatori e tasselli, la irrobustisce. Per le dimensioni dell’impianto , la legge 13/89 fornisce i relativi dettagli; sono tuttavia ammesse deroghe in relazione alla vetustà dell’edificio, basta sporgersi verso l’interno del vano scala dal piano più alto per verificare, spesso, la mancanza dei piombi; le dimensioni minime di luce porta pari a 750 mm in edifici residenziali di vecchia costruzione, servono più che al rispetto dei parametri, a una vera accessibilità con una sedia a rotelle, sono, infatti, ammesse anche soluzioni con dimensioni inferiori, quando dimostrato che non si possa fare altrimenti. In termine di costi, un ascensore idraulico automatico, con portata pari a 320 kg, velocità 0,60 m/s sulla base di 5 fermate (pari a circa 15 m di corsa), comprensivo di opere murarie quali taglio scale, realizzazione di almeno uno scivolo, imbiancatura di pareti e sottoscala, taglio delle ringhiere, realizzazione di fossa in c.a., pratiche comunali, DIA, nomina di un Responsabile Sicurezza, creazione dei parapetti di protezione della zona di cantiere, progetto, quindi chiavi in mano è pari a € 75.000 circa IVA inclusa. La realizzazione di una piattaforma elevatrice semiautomatica invece, con portata 250 kg, 0,15 m/sec sempre sulla base delle 5 fermate, con le stesse inclusioni su elencate, è pari € 60.000 circa IVA inclusa. In virtù dei piani di finanziamento proposti da numerose Banche , delle agevolazioni fiscali in essere sia in ordine ai fabbricati sia per i soli portatori di disabilità, al fine di aumentare il valore immobiliare del fabbricato, perché non installare un impianto elevatore nel proprio condominio? ANACI LECCO n.5 | Gen-Feb 2017


Dott.ssa Raffaella Figini

IL PARERE FISCALE

Dottore Commercialista e Consulente fiscale di ANACI LECCO

Amministratori senza tregua: nuove scadenze fiscali del 2017

Nuova scadenza fiscale per il 31 marzo relativa alla trasmissione dei dati per gli interventi di ristrutturazione e risparmio energetico sulle parti comuni degli edifici condominiali

ANACI LECCO n.5 | Gen-Feb 2017

Neppure il tempo di tirare il fiato, e gli amministratori sono alle prese con la scadenza del 31 marzo 2017 per la trasmissione dei dati relativi agli interventi di ristrutturazione e di risparmio energetico effettuati sulle parti comuni condominiali. L'Agenzia delle entrate ha messo a disposizione un software per la compilazione e per il controllo: attraverso l'applicazione gratuita i condomìni dovranno trasmettere, per le spese sostenute nel 2016 per interventi di riqualificazione energetica delle parti comuni degli edifici, la cessione del credito dei condòmini ai fornitori – pena l'inefficacia della cessione medesima. Ricordiamo infatti che per le spese sostenute dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2016 per interventi di riqualificazione energetica di parti comuni di edifici condominiali, i contribuenti che si trovano nella cosiddetta “no tax area” (incapienti) possono cedere ai fornitori dei beni e dei servizi necessari alla realizzazione degli interventi un credito pari alla detrazione Irpef spettante, come pagamento di una parte del corrispettivo. I contribuenti interessati sono i condòmini che non possono usufruire della detrazione perché possiedono redditi esclusi da Irpef: • per espressa previsione; • perché l’imposta lorda è assorbita dalle detrazioni (ciò avviene in caso di redditi particolarmente bassi). L’Agenzia delle Entrate, con provvedimento del 22 marzo 2016, ha individuato le modalità di cessione del credito, disponendo che: • la situazione di incapienza deve sussistere nel periodo d’imposta 2015 • il credito cedibile è pari al 65% delle spese poste a carico al singolo condòmino, in base alla tabella millesimale di ripartizione, e riguarda le spese sostenute nell’anno 2016, anche se riferite ad

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IL PARERE FISCALE

interventi iniziati in anni precedenti; la volontà di cedere il credito deve risultare dalla delibera dell’assemblea che approva gli interventi di riqualificazione energetica oppure da una specifica comunicazione inviata successivamente al condominio; il condominio deve comunicare questa volontà ai fornitori che, a loro volta, devono accettare, in forma scritta, la cessione del credito a titolo di parziale pagamento del corrispettivo per i beni ceduti o i servizi prestati.

Rammentiamo che il credito ceduto ha le stesse caratteristiche della detrazione teoricamente spettante al condòmino e, quindi, il fornitore potrà utilizzarlo in 10 quote annuali di pari importo, a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stata sostenuta la spesa di riqualificazione energetica. In particolare, il credito è utilizzabile in compensazione, a partire dal 10 aprile 2017 e mediante il modello F24 , esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate. La quota di credito non fruita nell’anno può essere riportata nei periodi d’imposta successivi, ma non può essere chiesta a rimborso. Inoltre, per verificare la correttezza della cessione della detrazione da parte del condòmino e della fruizione del credito da parte dei fornitori, il condominio doveva pagare entro il 31 dicembre 2016 le spese corrispondenti alla parte non ceduta sotto forma di credito, mediante l’apposito bonifico bancario o postale. Il condominio dovrà comunicare telematicamente all’Agenzia delle Entrate una serie di dati, attraverso l’amministratore o, se non obbligati alla relativa nomina, attraverso il condòmino incaricato. Specificamente, il condominio, direttamente oppure tramite gli intermediari, dovrà trasmettere entro il 31 marzo 2017: • l'elenco dei bonifici effettuati per il pagamento delle spese sostenute nel 2016 per lavori di riqualificazione energetica su parti comuni; • il codice fiscale dei condòmini che hanno ceduto il credito e l'importo del credito ceduto da ciascuno; • il codice fiscale dei fornitori cessionari del credito e l'importo totale del credito ceduto a ciascuno di essi.

Novità 2017 È stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale 28 febbraio 2017, n. 49 la legge 27 febbraio 2017, n. 19 di conversione del decreto Milleproroghe 2016 (decreto legge 30 dicembre 2016, n. 244). Di seguito le novità in sintesi. Semplificazione per la cedolare secca: non ci sarà l'obbligo per i proprietari di immobili di indicare nel 730 gli estremi della registrazione del contratto di affitto a canone concordato e la denuncia ICI/IMU

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per poter ottenere la cedolare secca con l'aliquota del 30% sugli affitti a canone concordato. Proroga dello sconto IVA: fino al 31 dicembre 2017, sarà possibile usufruire della detrazione del 50% dell'Iva sull'acquisto di case nuove in classe energetica A e B. Come lo scorso anno, la detrazione andrà ripartita in dieci quote costanti nell'anno in cui sono state sostenute le spese e nei nove periodi d'imposta successivi. Non dimentichiamoci che la Legge di stabilità 2017 ha vietato l’uso del contante nei pagamenti concernenti le prestazioni nei contratti di appalto di opere o servizi. Il comma 36 dell’articolo 1° della Legge 11 dicembre 2016 n° 232, in vigore dal 1° gennaio 2017, è stato integrato con il comma 2-bis che recita “Il versamento della ritenuta di cui al comma 1 e’ effettuato dal condominio quale sostituto d’imposta quando l’ammontare delle ritenute operate raggiunga l’importo di euro 500. Il condominio e’ comunque tenuto all’obbligo di versamento entro il 30 giugno e il 20 dicembre di ogni anno anche qualora non sia stato raggiunto l’importo stabilito al primo periodo“. Aggiunto anche il comma 2-ter. “il pagamento dei corrispettivi di cui al comma 1 deve essere eseguito dai condomini tramite conti correnti bancari o postali a loro intestati ovvero secondo altre modalita’ idonee a consentire all’amministrazione finanziaria lo svolgimento di efficaci controlli, che possono essere stabilite con Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. L’inosservanza della presente disposizione comporterà l’applicazione delle sanzioni previste dal comma 1 dell’articolo 11 del Decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471". La sanzione amministrativa varia da euro 250,00 a euro 2.000,00.

ANACI LECCO n.5 | Gen-Feb 2017


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