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La metodologia di studio applicata
Lo studio del dottorato è stato svolto applicando la metodologia Life cycle assessment (norme Uni En Iso 14040:2021 e Uni En Iso 14044:2021). La metodologia prevede quattro fasi strettamente interconnesse tra loro.
La prima fase è la definizione dello scopo e dell’obiettivo è la valutazione della sostenibilità e degli impatti ambientali generati dalla produzione di aggregato riciclato e aggregato naturale. Per quanto riguarda l’unita funzionale a cui fanno riferimento i calcoli svolti e i risultati, si è considerato il calcolo rapportato ad una tonnellata di aggregato.
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La seconda fase è l’analisi dell’inventario, cioè tutte le immissioni di materie prime ed energia da prendere in considerazione lungo l’intero ciclo di vita, tra cui anche l’uso di diesel e corrente elettrica per il funzionamento dei macchinari, fino ad arrivare a tutte le emissioni in atmosfera, nel suolo ed in acqua. Infine, ci sono le due fasi che fanno riferimento alla valutazione degli impatti e le conclusioni che si possono trarre dallo studio svolto. Lo studio è stato svolto, inoltre, applicando la relativa Pcr (Product category rule) che ha permesso di definire al meglio gli indicatori da dichiarare, quali fasi del ciclo di vita, le regole per l’elaborazione degli scenari di valutazione, le regole per il calcolo d’inventario e la valutazione di impatto.
piegati e l’utilizzo di diesel da parte del frantoio mobile e l’elevata distanza di consegna, l’aggregato riciclato prodotto da rifiuti da costruzione e demolizione risulta aver un più alto livello di emissioni nell’ambiente.
Sebbene il primordiale intento della ricerca fosse la sola raccolta dei dati, per valutare da vicino in ogni punto della sua esistenza l’intero ciclo di un aggregato riciclato, a partire dalla sua nascita sino al suo recupero, la ricerca ha fatto scaturire un elemento inaspettato e decisamente più interessante.
Infatti, per quanto riguarda gli aggregati riciclati, il 73% circa del totale dell’impatto ambientale è dovuto al solo trasporto dei rifiuti da costruzione e demolizione dal cantiere all’impianto, e solo il restante 27% invece è imputabile alle diverse operazioni che questi subiscono per la produzione dell’aggregato stesso. Il peso di produzione di questo materiale è di circa 4.5 Kg di Co2 equivalenti, che rappresentano l’unità di misura del Gwp (Global warming potential), l’indicatore utilizzato per raggruppare le diverse categorie di valutazione dell’impatto ambientale di un processo. Per la produzione di aggregato naturale, invece, l’82% fa riferimento all’estrazione del materiale vergine dalla cava situata in impianto e il restante 18% ai trasporti interni alla cava e alla fase di vagliatura, portando ad un impatto totale di circa 2.5 Kg di Co2 equivalente. I risultati ricavati dalla ricerca, hanno quindi rilevato che l’impatto ambientale maggiore è generato non dai processi di elaborazione degli aggregati, ma bensì dal trasporto dei rifiuti dal cantiere all’impianto. Nell’analisi specifica del dato ottenuto, lo studio svolto dal dottorato di ricerca ha individuato la distanza di riferimento in modo che gli impatti di produzione di aggregato riciclato ed estrazione di aggregato naturale possano essere pressoché gli stessi, definendo in circa 7 o 8 km il raggio di distanza “sostenibili”.
Inoltre, nel caso, comunque impossibile, di eliminazione della distanza di trasporto dei rifiuti in impianto, l’impatto ambientale generato dalla produzione di aggregati riciclati risulta inferiore rispetto a quello a quello prodotto dall’estrazione di materiale di cava.