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economia
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n autunno segnato da luci (poche) e ombre (diverse) per il made in Brescia: una stagione all’insegna soprattutto delle difficoltà dovute non solo alle emergenze connesse al conflitto in Ucraina con le ripercussioni - ormai consolidate - sul fronte delle materie prime e dei rincari. Tensioni, a livello geopolitico, che anche recentemente hanno spinto i vertici delle organizzazioni imprenditoriali territoriali a rinnovare il pressing sulla politica e sul futuro nuovo governo: il messaggio, chiaro, rivolto a Roma sollecita «risposte rapide e tempi certi» per consentire alle imprese di poter garantire una competitività senza confini. Il caro energia e materie prime è tra le sfide con le quali deve confrontarsi anche il comparto dell’edilizia, impegnato a confermare il suo ruolo di spicco nel sistema economico nazionale: una posizione riconosciuta ufficialmente anche recentemente. «Come certifica chiaramente anche il Documento programmatico di bilancio, che il Governo si appresta a varare, a trainare l’economia nei mesi scorsi è stato soprattutto il settore delle costruzioni - ha sottolinea la presidente dell’Associazione nazionale costruttori (Ance), Federica Brancaccio -. Occorre intervenire subito per assicurare alle imprese liquidità e un sistema di regole chiaro in grado di far funzionare un settore strategico per la crescita economica e l’occupazione». Un appello che l’Ance ha rinnovato in una fase decisiva «per evitare che, a causa della corsa folle dei prezzi delle materie prime, subita dal settore ormai da quasi due anni, e del caro energia si blocchino i cantieri in corso, sia pubblici che privati, con gravi ripercussioni economiche e sociali». Dai mercati internazionali sono emerse le poche indicazioni positive per Brescia. In particolare, riguardo all’export che, nel secondo trimestre di quest’anno, ha visto le imprese targate Bs spedire oltre confine merci per un controvalore pari a 6.130 milioni di euro, il dato più alto di sempre,
con un incremento del 22,5% sullo stesso periodo del 2021. In accelerazione anche le importazioni (3.973 milioni di euro), con un +34,2% tendenziale. Complessivamente, nel periodo gennaio-giugno 2022 le esportazioni bresciane, complici i livelli elevati dei prezzi delle materie prime industriali, si sono attestate a 11.639 milioni di euro, segnando un +25% sul semestre iniziale del 2021 e un nuovo primato. Il saldo commerciale - come emerso dai dati Istat elaborati localmente - è pari a 3.931 milioni di euro, di fatto invariato su base annua. La dinamica degli scambi oltre confine ha mostrato quindi un nuovo incremento, nonostante - tra l’altro - un’inflazione galoppante, che impatta sulla fiducia degli operatori economici. E l’evoluzione delle esportazioni bresciane si inserisce in un contesto di consolidamento del commercio internazionale, cresciuto nel primo semestre di quest’anno del 4,5% sul 2021, a cui si affianca il movimento di indebolimento dell’euro (-9,3% sul dollaro nello stesso periodo), che ha favorito le vendite al di fuori dell’Europa. Per la seconda parte dell’anno, rimangono gli elementi di incertezza, alla luce, in particolare, delle incognite legato al caro energia e alla capacità delle imprese di fare fronte a tale emergenza. Luci e ombre a livello provinciale anche dal fronte occupazione. Nel secondo trimestre 2022 la domanda di lavoratori in somministrazione a Brescia ha registrato una nuova crescita rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (+12%), delineando un movimento di consolidamento nei confronti delle evoluzioni rilevate nei periodi immediatamente precedenti. L’evoluzione positiva nei mesi tra aprile e giugno - come testimoniato dai dati forniti dalle Agenzie per il lavoro, aderenti all’Osservatorio di Confindustria Brescia - appare coerente con la fase rialzista dell’attività produttiva nel settore industriale e col recupero delle attività terziarie sperimentati in questa fase, a conferma dell’inversione di tendenza dopo la fase emergenziale che ha caratterizzato tutto il 2020. Restano, comunque, difficoltà nel reperire alcune figure necessarie alle imprese: un aspetto, per quanto riguarda in particolare le Pmi, con riferimento al personale qualificato, rimarcato anche da una recente indagine sulle risorse umane realizzata nella nostra provincia interpellando un campione rappresentativo di associate, in prevalenza metalmeccaniche e di medie dimensioni. A mancare, in particolare, sono operai specializzati (80% delle ditte, in misura trasversale rispetto a dimensione aziendale e settore produttivo), tecnici (26%), figure di management e ruoli direzionali (17%) o dell’area amministrativo - contabile (5%). Il 33% del campione osserva però anche la mancanza di operai generici, evidenziando una difficoltà che travalica l’annoso problema della carenza di specializzazione. E questo, osserva il focus, «nonostante le imprese si affidino a strumenti indiretti, ma professionali, di recruiting». Il 79% delle società si appoggia a società di somministrazione, il 19% a centri per l’impiego e associazioni di categoria; alti restano ancora i rapporti diretti o l’uso dei social media. La mancanza di personale specializzato con competenze in ruoli operativi o di carattere tecnologico - ingegneristico ha, per la gestione aziendale, un impatto elevato o molto elevato per circa due imprese su tre. Il report evidenzia anche una diffusa necessità di competenze digitali nella quasi totalità degli ambiti della vita aziendale: dall’amministrazione al marketing, fino alla logistica. Ma non mancano anche altre indicazioni preoccupanti. Dopo un anno e mezzo, durante il quale la fase espansiva ha portato a un ampliamento degli organici nella gran parte delle aziende, la situazione è oggi stabile e lo sarà nei prossimi mesi. I costi energetici, però, stanno da tempo pregiudicando la normale attività, mettendo sempre più sotto pressione le aziende. Al punto che quattro imprese su dieci non hanno escluso fermi produttivi, ipotizzando, nel caso di una tale evenienza, l’utilizzo di ferie, permessi o Cassa integrazione.
Costruire e comunicare
Serve una vera comprensione dei grandi cambiamenti in atto, per parlare di innovazione
Quello dell’efficientamento energetico delle abitazioni è un tema di lunga data, rilanciato più volte col sostegno di specifici interventi legislativi, ad esempio il Dlgs 192 del 2005 sul miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici (e successive numerose integrazioni). Non sono mancati, nel tempo, nemmeno i tentativi da parte dei media (ma anche dei produttori di soluzioni per l’edilizia e dei costruttori) di sensibilizzare il pubblico sull’argomento esemplificando le implicazioni pratiche delle indicazioni normative e, più in generale, illustrando i nuovi standard della proposta immobiliare, che già vent’anni fa guardava alla sostenibilità ed alle performance impiantistiche. Ciononostante, il pubblico ha quasi sempre recepito soprattutto un incremento dei costi, non disponendo degli strumenti necessari per una vera comprensione della trasformazione in corso: oggi assistiamo – nel frattempo l’attualità della questione energetica è diventata un fatto di cronaca – ad una “corsa ai ripari” che dimostra che finora l’occasione è andata persa. Il mercato di oggi, infatti, è caratterizzato soprattutto da misure correttive per il miglioramento del profilo energetico sostenute in gran parte da incentivi fiscali, come l’installazione del cappotto termico o la sostituzione delle fonti energetiche domestiche (ad esempio, la caldaia a gas lascia il posto alla pompa di calore).
Perché il messaggio non è stato recepito?
Da una parte – ma questo non riguarda soltanto il mercato immobiliare – negli ultimi due decenni il grande pubblico è stato messo di fronte alla “profezia” di enormi ed imminenti cambiamenti (che oggi consideriamo un semplice fatto, ma che fino a poco tempo fa erano trattati dai media con toni sensazionalistici e spesso confusionari) a cui gli si chiedeva, quasi sulla parola, di adattare il proprio stile di vita.
Dall’altra ogni rivoluzione tecnologica si sviluppa in più fasi e necessita di tempo, soprattutto per la diffusione di informazioni che possano essere facilmente verificate e che siano comprensibili a tutti. Per farcene un’idea, pensiamo all’attuale dibattito sulla mobilità elettrica: per quanto negli ultimi anni i costi più ragionevoli rendano via via più accessibile questo nuovo segmento di veicoli, le informazioni disponibili non sono ancora sufficientemente consolidate per motivare la maggior parte dei potenziali acquirenti ad un investimento che per i più troverebbe senso soltanto sul lungo periodo. Ed è per questo – tornando a parlare di efficienza energetica in ambito residenziale – che oggi assistiamo ad un trend che porta i più a “colmare le lacune” del patrimonio immobiliare tradizionale rispetto agli standard dell’edilizia contemporanea (adattandosi quanto basta a soddisfare le indicazioni normative) con l’installazione ad hoc di specifici impianti. La formula più comune è proprio quella della pompa di calore – magari associata a fonti rinnovabili per la produzione di energia, con l’installazione di pannelli fotovoltaici – abbinata al riscaldamento radiante. E non è una tendenza casuale: semplicemente, il mercato è oggi in grado di rispondere con precisione a qualsiasi esigenza e di sciogliere ogni dubbio di sorta sugli impianti in questione, grazie alle molte soluzioni tecnologiche disponibili, all’esperienza ormai acquisita dalla quasi totalità degli installatori e agli innumerevoli casi studio che possono essere consultati per ricavare delle proiezioni attendibili su costi e benefici. Possiamo dire, insomma, che anche l’utente privato ha ormai assimilato i principi di questa soluzione impiantistica, ed è in grado di apprezzarne in prima persona i vantaggi
AriaSilent è la rivoluzionaria proposta di Valsir per la VMC in ambito residenziale V-ERRE 0 è la soluzione per il riscaldamento radiante ad altezza ridotta – solo 22 mm – ideale per la ristrutturazione
Le sfide del prossimo futuro non sono poche: approfittiamo dello scenario odierno per spiegarle al grande pubblico
Se da una parte oggi i media permettono la diffusione di un’enorme mole di informazioni (anche a proposito di impiantistica residenziale) è anche vero che l’alto contenuto tecnologico che ormai accomuna quasi tutte le soluzioni sul mercato rende virtualmente impossibile, per l’utente medio, capacitarsi delle implicazioni di ciascuna opzione senza l’affiancamento di un termotecnico. Prendiamo ad esempio la ventilazione meccanica controllata. È un impianto che ha acquisito grande notorietà durante l’emergenza sanitaria legata al Covid-19, soprattutto per le funzionalità di filtrazione dell’aria (tanto che sull’argomento si trova un riferimento, nel Decreto CAM approvato con la Legge di Bilancio 2022, che include la VMC tra gli impianti da installare con priorità negli edifici scolastici). Naturalmente l’obiettivo di migliorare la qualità dell’aria negli ambienti indoor è uno dei motivi più ovvi e sensati per installare tale sistema. Ma, ancora una volta, il rischio di una comprensione parziale della tecnologia su cui si basa questa soluzione impiantistica è quello di non sfruttarne appieno i potenziali benefici, oppure di operare un investimento impreciso. Ricordiamo che un sistema VMC trova la sua ragion d’essere nella necessità di ricambiare l’aria in maniera continua all’interno di un immobile perfettamente isolato (e dunque energeticamente efficiente). In queste condizioni la macchina può rendere ancora più conveniente il sistema radiante – e con alcuni accorgimenti permetterne l’utilizzo anche in raffrescamento – con un ulteriore miglioramento delle performance energetiche e del comfort. Ma, soprattutto, concorre a salvaguardare le condizioni dell’immobile nel tempo, riducendo l’umidità e limitando l’insorgenza di muffe e incrostazioni, fattori in grado di degradare i materiali da costruzione. Ne tutela quindi il valore patrimoniale, guardando alle prestazioni dell’intero edificio, prospettiva che deve essere compresa appieno dall’acquirente (che diversamente potrebbe non capirne costi e utilità). E se oggi è uno scenario di crisi a motivare una riflessione ad ampio raggio sulla necessità di rivedere l’efficienza energetica del nostro patrimonio immobiliare, sta soprattutto ai protagonisti della filiera farne un’opportunità concreta.