APRILE 2014
RIGENERAZIONE
URBANA
In questo numero
RIGENERAZIONE
URBANA Questo numero di Aut&Aut nasce sulla scia del convegno “Disegnare la città” che si è svolto lo scorso febbraio a Scandicci: un approfondimento sugli strumenti a disposizione delle Amministrazioni e dei privati per intervenire sulla città con riferimento alla rigenerazione e riqualificazione degli ambiti già trasformati
Anno XXI numero n. 3 marzo 2014 Reg. Trib. di Prato nr. 180 del 8/7/1991. Editore: Aut&Aut Associazione Proprietà: Anci Toscana Direttore responsabile: Marcello Bucci Direttore editoriale: Alessandro Pesci Collegio di garanzia: Alessandro Cosimi, Sabrina Sergio Gori, Angelo Andrea Zubbani Redazione: Anci Toscana - email: ufficio.stampa@ancitoscana.it Caporedattore: Olivia Bongianni In redazione: Sandro Bartoletti, Monica Mani, Hilde March, Sara Denevi, Elena Cinelli Grafica e impaginazione: Osman Bucci Anci Toscana Viale Giovine Italia, 17 - 50122 Firenze Tel 055 2477490 - Fax 055 2260538 posta@ancitoscana.it - www.ancitoscana.it
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Aprile 2014
Di troppe norme si muore Simone Gheri
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Area urbana degradata cercasi di Riccardo Baracco e Marcella Tatavitto
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L’Urban Design nella cultura urbanistica italiana Leonardo Rignanese
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Rinnovata capacità progettuale, con uno sguardo attento al contesto Silvia Viviani
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Il requisito più importante? La dinamicità Ylenia Zambito
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“Ri-disegnare” le città: ecco la vera sfida Cristian Pardossi
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Il percorso di riconversione urbana per l’area risorsa “Dietro Poggio” Gianna Paoletti
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Un progetto di ampliamento della “città pubblica” e di recupero delle aree degradate Domenico Scrascia
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Cessioni, dismissioni, valorizzazioni immobiliari: serve un “cambio di passo” Gabriele Lami
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Come prefigurare e realizzare spazi urbani qualificati Alessandro Jaff
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La grande assente? Una politica per le città Stefano Tossani
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Elezioni 2014: Cosa cambia col Ddl Delrio
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PERCORSI DI CITTADINANZA Media e immigrazione: uscire dall’anonimato Aladji Cellou Camara
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Un codice deontologico per eliminare i pregiudizi Giovanni Maria Bellu
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Oltre il lessico della paura Anna Meli
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Un’informazione capace di leggere la complessità Karim Metref
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La rappresentazione mediatica della figura femminile Elena Cinelli
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ALTRI MERIDIANI
Le illustrazioni di questo numero sono opere dell’illustratore canadese Jazzberry Blue. Le stampe dei suoi lavori possono essere consultate e acquistate dal sito dell’artista http://www.jazzberryblue.com/
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ANCI TOSCANA
Di troppe norme si muore di Simone Gheri, sindaco di Scandicci, responsabile Urbanistica Anci Toscana
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o abbiamo ripetuto, lo ripetiamo ancora e continueremo imperterriti a farlo: le parole d’ordine in materia di norme edilizie ed urbanistiche sono “semplificare, semplificare e semplificare”. Regole semplici, chiare, logiche, pensate per una tutela vera del territorio e del paesaggio, pensate per essere rispettate davvero. Pensate per una rigenerazione urbana e del territorio che sia origine di sviluppo sostenibile, di qualità della vita, di ricchezza per le persone che abitano e vivono nelle diverse aree del nostro paese. Norme semplici: abbiamo proposto una legge urbanistica nazionale con dieci articoli - che permettano di realizzare un progetto quando è attuale, quando ha motivazioni e significati ben precisi, non dopo che è invecchiato in attesa del parere di un ente, perso tra gli incartamenti e tra mille pratiche. Lo scorso 20 febbraio al Teatro Studio di Scandicci si è tenuto l’interessantissimo convegno promosso da Anci e Inu Toscana “Disegnare la città. Politiche e prassi per la rigenerazione urbana”, molto partecipato e con la presentazione di casi pilota in Toscana e in Europa. A seguito del convegno ho scritto a Matteo Renzi in quei giorni impegnato a formare il Governo, quindi in qualità di futuro premier , e al Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, proprio perché dal convegno e dagli interventi è emersa con forza l’esigenza di una profonda semplificazione delle norme e dei procedimenti urbanistici ed edilizi, soprattutto per gli interventi sul patrimonio esistente. Anche a loro ho ripetuto quello
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che è davvero necessario: “norme semplici, di buon senso, che consentano di far partire davvero gli interventi di riqualificazione e rigenerazione urbana. Semplificare, semplificare, semplificare, di troppe norme si muore! Occorre alleggerire soprattutto per il patrimonio esistente, il groviglio burocratico delle normative urbanistiche, edilizie, quelle relative alle questioni idrauliche, nonché le farraginose procedure per il vincolo paesaggistico, sempre riferendoci, ripeto per non essere frainteso, al patrimonio esistente”. A Matteo Renzi e ad Enrico Rossi ho ribadito la proposta concreta e che racchiude anche simbolicamente la nostra filosofia: come accennato all’inizio, penso che nell’azione di semplificazione della Pubblica Amministrazione ci si debba inserire anche una nuova legge urbanistica nazionale con dieci articoli e l’adeguamento del testo unico dell’edilizia. “Occorrono poche norme di principio ho scritto al Premier e al Presidente della Regione Toscana - una sburocratizzazione sostanziale con norme edilizie chiare e semplici che getterebbero le basi per una liberazione di energie progettuali, per costruire città intelligenti e nuove”. Del resto l’abbiamo detto nel corso del convegno, non ci stiamo inventando niente, basta vedere cosa già accade negli altri paesi europei e sostanzialmente adeguarci. Come Anci e Inu diamo il massimo della disponibilità a lavorare su questi aspetti, dalla nostra abbiamo tanta esperienza e mille e mille contatti con cittadini e professionisti.
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L’ACCORDO
Area urbana degradata cercasi di Riccardo Baracco e Marcella Tatavitto
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’esigenza sempre più condivisa di limitare l’ulteriore consumo di suolo comporta una particolare attenzione alla qualificazione del territorio urbanizzato esistente. L’urbanistica deve affrontare in modo sempre più attento il recupero, la riqualificazione e la rigenerazione delle aree urbane degradate; in particolare delle aree periferiche con un impianto urbano di scarsa qualità, con carenza di attrezzature, servizi, spazi pubblici e delle aree in condizioni di abbandono o sottoutilizzazione. Nel corso del 2013 si sono avviati alcuni accordi che assegnano ad Anci Toscana un importante ruolo di raccordo tra Regione e Comuni in que-
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sta materia. Il 20 dicembre 2013 è stato firmato l’accordo tra Regione Toscana e Anci Toscana per sostenere l’attività dei Comuni finalizzata alla ricognizione delle aree urbane in condizioni di degrado urbanistico e socio-economico da sottoporre ad interventi di rigenerazione urbana. Anci Toscana svilupperà, nel corso del 2014, azioni rivolte ai Comuni per incentivare la riorganizzazione del patrimonio edilizio esistente e la riqualificazione delle aree degradate, mettendo a loro disposizione, tramite attività di comunicazione e di formazione, sistemi di schedatura per la raccolta dei dati, metodologie di intervento, raccolte di esempi si-
gnificativi e di buone pratiche. ANCI Toscana si pone l’obiettivo di collaborare con i Comuni toscani per estendere le esperie della rigenerazione urbana attraverso la riqualificazione degli spazi pubblici, l’integrazione della rete delle centralità, il miglioramento della dotazione dei servizi e dell’efficienza energetica, la riduzione dell’inquinamento acustico ed atmosferico, anche tramite la partecipazione dei cittadini alla individuazione delle scelte. Circa venti Comuni maggiormente interessati potranno inoltre disporre della collaborazione di uno staff tecnico che verrà messo a loro disposizione da Anci Toscana con i fondi regionali e che sarà utilizzato per le
elaborazioni urbanistiche dei propri uffici, senza costi aggiuntivi, tramite specifici accordi con Anci Toscana. A questo fine Anci Toscana ha inviato a tutti i Comuni una proposta di collaborazione, con il coinvolgimento degli uffici comunali, invitandoli a comunicare il proprio interesse, entro il 31 marzo 2014. Le manifestazioni di interesse pervenute entro la data di scadenza sono state oltre quaranta; si tratta di una partecipazione considerevole, anche in considerazione della imminente tornata elettorale, che interesserà la maggior parte dei Comuni toscani. Nello stesso accordo è stata anche definita la collaborazione tra Regione e Anci per la sperimentare di
criteri e indicatori di sostenibilità (il protocollo ITACA), che verranno definiti da uno specifico gruppo di lavoro e che costituiranno un importante riferimento per la pianificazione territoriale. Particolare attinenza con il recupero delle aree degradate ha anche l’accordo tra Regione Toscana e Anci Toscana, firmato il 30 dicembre 2013, finalizzato all’attuazione del codice dei beni culturali e del paesaggio in merito alla semplificazione delle procedure autorizzative in materia di riqualificazione delle aree gravemente compromesse e degradate e di aree vincolate per legge (ex Galasso).
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UNIVERSITà
L’Urban Design nella cultura urbanistica italiana Leonardo Rignanese Politecnico di Bari
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rban Design, Progetto Urbano e Disegno Urbano sono termini simili ma non uguali. Urban Design si traduce letteralmente con progetto
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urbano. Le due espressioni, tuttavia, non coprono lo stesso arco di significato semantico. Design evidenzia maggiormente gli aspetti della forma che sono nel progetto; mentre il lem-
ma progetto è utilizzato per indicare molte cose e non è più strettamente legato alla forma e al disegno. Infine, la locuzione Disegno Urbano oggi un po’ desueta, risponde, anche se non alla lettera, maggiormente al significato inglese di Urban Design. Esistono molte definizioni di Urban Design che si differenziano per sfumature, sfaccettature e diversità più o meno marcate. Le più interessanti sono quelle più vicine al concetto di progettare la città senza progettare gli edifici, secondo l’espressione di J. Barnett. Una buona definizione è data da The Urban Design Group di Londra: «L’Urban Design è il processo collaborativo e multi-disciplinare di | volto a configurare l’ambiente fisico per vivere in città, nei paesi e nei villaggi; è l’arte di costruire luoghi; è il progettare in contesti urbani. L’Urban Design comporta la progettazione di edifici, di gruppi di edifici, di spazi e di paesaggi, e la messa a punto di strutture e di processi che facilitano il successo del progetto» [WebUrban Design www.weburbandesign.com] L’Urban Design guarda alle parti della città, alla città per parti, e si occupa essenzialmente dello spazio pubblico. L’Urban Design si pone tra ciò che, con una artificiosa separazione, definiamo come Architettura e Urbanistica; le sue regole precedono quelle dell’architettura in senso stretto. Nonostante l’attualità di questi temi
di intervento e trasformazione urbana, la dimensione e la pratica dell’Urban Design è alquanto residuale nel dibattito urbanistico italiano, centrato quasi tutto sul piano, e dove il tema controllo della qualità urbana non è affrontato in modo diretto. Non bastano criteri e requisiti per controllare la qualità a la forma dello spazio urbano, per misurare strade e disegnare spazi di prossimità, per evidenziare i caratteri dello spazio pubblico e le funzioni dello spazio collettivo, per selezionare materiali urbani e costruire la trama dello spazio verde. In Italia la predisposizione di progetti norma, di masterplan, di indirizzi e linee guida è sicuramente aumentata negli ultimi anni, ma essa ha ancora un carattere casuale, legata a specifici contesti e con pochi contenuti più propriamente di controllo spaziale e di definizione di regole spaziali, sulle quali, invece, è costruita l’ampia produzione di guideline anglosassoni. Non ci può essere qualità urbana senza una visione spaziale della città e quindi della sua forma. L’urbanistica deve proporre un modello spaziale, come avviene in tutte le esperienze europee che mostrano chiaramente modelli spaziali di città compatta, densità urbane non basse e attenzione alla qualità architettonica degli spazi pubblici. L’Urban Design è l’unica via per dare qualità urbana alle nostre città, per
ritrovare rapporto e unità tra architettura e urbanistica, per riprendere la tradizione disciplinare di cura dello spazio urbano, di attenzione alla forma urbana come carattere strutturante per una progettazione consapevole della forma della città. Tutti i discorsi sullo spazio pubblico non hanno senso se non recuperiamo il Disegno Urbano come il fondamento morfologico del rinnovamento urbano; un rinnovamento urbano che deve avviarsi a partire da una ricostruzione delle regole dello spazio urbano e dei suoi materiali costitutivi: spazi aperti, allineamenti stradali, mescolanza di funzioni ecc. Dalle esperienze europee dovremmo apprendere che esiste una centralità del progetto della città e dei suoi spazi. I loro progetti partono da efficaci masterplan che mostrano quale città vogliono realizzare, mentre i nostri si perdono in infinite procedure di valutazioni dei processi, ma non della forma urbana, della qualità dei luoghi, della loro bellezza. In tutta Europa, e non solo, i progetti di trasformazione urbana … costruiscono città compatte, riscoprono l’isolato, gli allineamenti, il disegno delle strade e dei luoghi di uso collettivo (verde ecc.). In Italia manca una diffusione e una conoscenza di buone pratiche di Disegno Urbano perciò dovremmo guardare con più attenzione alle esperienze estere.
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Istituto nazionale di urbanistica
Rinnovata capacità progettuale, con uno sguardo attento al contesto di Silvia Viviani, presidente INU
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omunque la si aggettivi - smart, learning, intelligente, creativa, inclusiva - la città è al centro dell’attenzione e del dibattito. Sono richiesti piani, progetti, risorse, saperi esperti, volontà politiche. Sono necessari il recupero di categorie solide come istituzione, bene pubblico, collettività e l’investimento in pratiche nuove come partecipazione, valutazione, concorrenza, competitività. La rigenerazione urbana è in primo luogo un
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progetto, che comprende difesa dei suoli, efficienza delle reti, quartieri ecologici, recuperi di spazi aperti resilienti alle risorse naturali, mitigazione degli effetti del cambiamento climatico, produzione sociale degli spazi pubblici, attenzione alla forma. Si tratta di assumere come prerequisiti e non come obiettivi la sostenibilità delle forme di sviluppo, l’efficienza ambientale della città esistente, il contenimento del consumo di suolo. Il progetto della città si deve occupare della
molteplicità e della diffusione delle funzioni, di accessibilità, inclusione sociale e riconoscibilità delle forme urbane. Il problema di come intervenire su questa realtà multiforme va affrontato con gli strumenti di un sano pragmatismo, una rinnovata capacità progettuale e uno sguardo non vincolato dai limiti amministrativi ma attento ai luoghi, alle condizioni di contesto e al mutare delle condizioni, che richiede la capacità di gestire processi. A questo corrispondono coesione sociale, territoriale e istituzionale, una
filiera di strumenti per il governo della città. Il lavoro che si svolge alla scala urbana è un esercizio attento al dettaglio e un processo nel quale, disponendo di attrezzi diversi, ci si occupa degli spazi e delle loro relazioni, delle architetture e delle percezioni, degli effetti estetici provocati, delle agevolazioni funzionali prodotte, della capacità di indurre comportamenti urbani. A tal fine i progetti devono proporsi di integrare ambienti di apprendimento, incontro, ricerca e lavoro e di incrementare l’abitabilità urbana. Anche la prevenzione e la salvaguardia indicano la centralità della città, quale sistema funzionale complesso ed erogatore di servizi. I bilanci successivi agli eventi calamitosi dimostrano che prevale il senso della perdita della città come forma aggregativa di persone e attività, che, nel suo insieme, determina socialità. Inoltre, ci si deve occupare del rinnovo delle componenti riferite ai costi e ai benefici, agli incrementi di valore dei suoli urbani e alla corresponsione delle quote necessarie alla rigenerazione della città esistente. L’economia urbana è stata a lungo ostaggio della rendita immobiliare, organica alla speculazione finanziaria. Lo scambio tra urbanizzazione, fiscalità locale e spesa pubblica non è più sostenibile ed è investito da connotazioni etiche non sottovalutabili. I progetti dovrebbero poter esprimere il meglio delle capacità tecniche e imprenditoriali, farsi carico delle utilità sociali come valore intrinseco alla trasformazione. Quanto alle gabbie amministrative nelle quali si è rinchiusa la pratica del progetto, si deve constatare che la sequenza piano generale piano attuativo - pratica edilizia, per paradosso, contrasta il raggiungimento delle qualità attese nelle pratiche di rigenerazione. 6
LE POLITICHE
Il requisito più importante? La dinamicità di Ylenia Zambito, assessore all’urbanistica del Comune di Pisa
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ggi i problemi più rilevanti da inserire nell’agenda politica di un amministratore locale sono, oltre alla crisi economica, quelli che rallentano o impediscono la crescita e lo sviluppo sostenibile della città. Il nostro obiettivo è quello di una Città che disegna obiettivi di futuro con la nuova pianificazione integrata, che chiede “politiche per le città” e sta nelle reti europee, che potenzia investimenti e servizi per la qualità urbana. Tale visione è contenuta nel documento di indirizzo del Piano Strutturale d’area, che abbiamo definito un grande piano di recupero dell’intera città e di tutti i comuni che fanno parte dell’area pisana e che dà un indirizzo urbanistico fondato sul recupero e il riuso, contro il consumo di suolo e lo “sprawl urbano”. I principali interventi previsti sono quelli di recupero di aree dismesse o da dismettere (Ospedale Santa Chiara, Caserme, aree destinate ad attività produttive da tempo inutilizzate, Golena d’Arno). Detto questo, ritengo che vada ulteriormente sviluppato il tema della rigenerazione urbana, nell’ottica del miglioramento della vivibilità dei cittadini, in termini di infrastrutture, servizi, efficientamento energetico degli edifici pubblici e di edilizia residenziale pubblica, senza dimenticare la qualità degli spazi urbani che connotano e qualificano la convivenza urbana. In questo senso interpreto le deleghe ricevute dal Sindaco che oltre all’ urbanistica in senso lato, specificano l’ importanza del “recupero e riuso del patrimonio esistente”, sia nell’ambito dell’edilizia privata che dell’edilizia residenziale pubblica. L’importante è, però, tradurre a livello locale i documenti comunitari che trattano le politiche di sostenibilità urbana e territoriale, poiché è
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netta la sensazione che questi trovino una miglior applicazione a livello regionale che nazionale, livello che stenta ad esprimere una propria visione ed una chiara politica fondata su poche priorità e necessità. Molti sono, infatti, i documenti di orientamento delle politiche nazionali ma essi operano ad un livello molto alto, spesso limitandosi ad esprimere obiettivi di lungo periodo e indirizzi rivolti alle regioni, manca l’indicazione di progetti strategici agganciati alle emergenze e ai valori territoriali. Il DL 47/2014 recentemente approvato rappresenta una speranza che la visione strategica della rigenerazione urbana indirizzi le scelte del Governo in merito alla distribuzione delle risorse sul territorio. Infatti, l’art. 10 del DL prevede che i Comuni per incrementare il numero di alloggi sociali propongano interventi di ristrutturazione edilizia, restauro o risanamento conservativo, manutenzione straordinaria, miglioramento o adeguamento sismico, sostituzione edilizia mediante anche la totale demolizione dell’edificio e la sua ricostruzione. E’ del tutto evidente che la rigenerazione urbana, il recupero del patrimonio esistente richieda risorse ed investimenti pubblici, ma i Comuni contemporaneamente devono dotarsi degli strumenti urbanistici idonei che consentano di trasformare la strategia in progetti per essere capaci di attrarre finanziamenti regionali, nazionali ed europei. La dinamicità è forse il requisito più importante per raggiungere questi obiettivi e sono sicura che i comuni toscani non mancheranno di vincere questa sfida.
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LE POLITICHE
“Ri-disegnare” le città: ecco la vera sfida di Cristian Pardossi, assessore all’Urbanistica del Comune di Castelfranco di Sotto
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a sfida che l’urbanistica e la politica si trovano di fronte oggi è quella di “ri-disegnare” le città, facendo i conti con le grandi trasformazioni intervenute nella società e nell’economia, e provando a dar vita ad un nuovo progetto urbano, con l’ambizione di governare il cambiamento
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evitando gli errori del recente passato e recuperando invece quanto di buono la cultura urbanistica ha prodotto sin qui. La crisi del capitalismo neoliberista fondato sul predominio della finanza, della rendita e sul consumo indiscriminato di risorse naturali, fa emergere una nuova questione ur-
bana, che porta con sé una molteplicità di problemi: dal corretto uso delle risorse naturali (a partire dal suolo) alla questione climatica ed energetica; dalla messa in sicurezza idrogeologica alla corretta gestione del ciclo dei rifiuti; dalla riconversione dell’apparato produttivo dismesso all’integrazione tra nuove
e vecchie forme di produzione e lavoro; dalle politiche abitative (dove si registra uno stridente contrasto tra le decine di immobili invenduti e le liste ancora lunghe di chi fa domanda per accedere all’edilizia residenziale pubblica) a quelle per la mobilità; dal contrasto alla rendita alla promozione del paesaggio; dal rilancio dei centri storici alla tutela dei beni comuni; dal rapporto tra territorio urbano e rurale alle questioni legate alla produzione del cibo. A questi temi si aggiungono le sfide collegate al riassetto istituzionale e alla crisi degli istituti e delle forme della rappresentanza. E’ questa la nuova agenda urbana di cui chi governa ai diversi livelli dovrebbe tener conto. Con una consapevolezza: o siamo capaci di affrontare queste sfide riconducendole ad un progetto organico di città e di territorio, oppure parlare di rigenerazione rischia di essere un esercizio retorico. Sta qui la cifra culturale prima ancora che politica di un nuovo riformismo, che solo dalle città e da un loro rinnovato protagonismo può far partire la ripresa, non solo economica, di questo paese. Non si tratta di una questione riducibile al solo aspetto “contabile”: certo, i dati sul consumo di suolo ci dicono che dobbiamo correre ai ripari concentrandoci sul recupero
dell’esistente invece che sull’utilizzo di nuovo suolo. Ma i modelli di crescita urbana degli ultimi decenni sono insostenibili non solo per quanto attiene l’uso delle risorse naturali: nelle città si sono accumulate nuove forme di diseguaglianza e ingiustizia. Da una pianificazione poco attenta al progetto di città (alla sua forma, ai suoi spazi e al loro utilizzo) sono nate nuove “patologie urbane”: paura, solitudine, angoscia, che la globalizzazione ha acuito e a cui la politica troppo spesso non ha saputo rispondere, se non ricorrendo ad un securitarismo di corto respiro che poco ha a che fare con la mixitè che ha caratterizzato la storia millenaria delle città. E’ dunque dentro la cornice del “progetto di città” che si deve dare risposta anche alla questione – non più rinviabile – della tutela e del corretto uso delle risorse naturali. Si dovrà operare principalmente sul costruito, ridisegnando gli spazi, avendo anche il coraggio di rimettere in gioco volumi esistenti e spazi mal utilizzati (o non utilizzati) all’interno del tessuto urbano, riconducendo queste operazioni ad una visione organica della città intesa come progetto.
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“Ri-disegnare” le città: ecco la vera sfida
LE POLITICHE
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Gli strumenti non mancherebbero: penso alla perequazione di comparto (oggi l’unico vero strumento per combattere la rendita e permettere la costruzione delle dotazioni pubbliche), ma sopratutto a quella tra comparti discontinui che se ben disciplinata (non certo seguendo l’esempio lombardo) può essere lo strumento adatto a favorire trasformazioni e trasferimenti di volumi da una zona della città ad un’altra (opportunamente individuata dagli strumenti della pianificazione), oppure per l’acquisizione alla città pubblica, in chiave compensativa, di grandi dotazioni (parchi urbani o opere di mitigazione del rischio idraulico che evitino il ricorso sparpagliato alla “buchetta privata” di cui rischiano di essere disseminate le città se l’approccio che prevale è solo quello matematico). Altri strumenti sono quelli relativi alla previsione di standard sociali per la dotazione di un patrimonio di edilizia sociale, visto che appare impensabile ricorrere ancora allo strumento dell’esproprio e che in Italia purtroppo non sempre i progetti di edilizia pubblica hanno saputo promuovere integrazione tra i loro abitanti e il resto della città, finendo così per aumentare le diseguaglianze al suo interno. Se alcuni strumenti ci sono, va detto però che l’apparato normativo non aiuta ad utilizzarli al meglio. L’incertezza normativa, provocata spesso da una pletora di norme che si sovrappongono tra loro, e l’esistenza di più autorità ed enti che disciplinano la stessa materia, rendono pressoché impossibile concentrarsi sul progetto di città, vanificando gli sforzi più coraggiosi in direzione di una vera rigenerazione urbana.
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Se vogliamo davvero favorire la rigenerazione e non il consumo di nuovo suolo dobbiamo rendere questi interventi più sostenibili sul piano economico, più convenienti, più snelli sul piano delle procedure. Fino a quando ciò non avverrà continueremo solo a parlare di rigenerazione, ma in giro se ne vedrà poca. E’ il problema che una rinnovata cultura urbanistica in Italia deve saper affrontare, dopo decenni di silenzio e disinteresse anche da parte della politica nei confronti di un tema – l’urbanistica – così importante e conformativo degli altri settori di policies. Fino ad ora, al di là delle dichiarazioni, si è visto poco: l’unica cosa degna di nota è la costituzione del Comitato Interministeriale per le Politiche Urbane, che tenta di agganciare finalmente l’agenda urbana dell’Italia al dibattito e alle politiche promosse dall’Unione Europea (e da singoli Stati membri: basti pensare alle politiques de la ville e al Ministero delle Città in Francia). Anche nella nostra regione la discussione sulla nuova legge regionale urbanistica può essere un’occasione importante per dare risposte a questi temi, con la consapevolezza che la cifra di un nuovo riformismo urbano passa dalla predisposizione di strumenti che permettano al pianificatore di favorire concretamente il ridisegno della città e la sua rigenerazione, riconducendola ad un disegno organico dove piano pubblico e progetto privato siano messi in grado di concorrere alla costruzione di quella città futura che la politica deve saper tornare ad immaginare.
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Le esperienze
Il percorso di riconversione urbana per l’area risorsa “Dietro Poggio” di Gianna Paoletti, Comune di Calenzano
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’Amministrazione comunale di Calenzano ha approvato nel 2004 un Piano Strutturale impostato su un minor consumo di suolo e su un modello di sviluppo basato nel recupero del territorio urbanizzato delineando un processo urbanistico completamente diverso da quello, che si è verificato fino ad oggi, rivolto all’allargamento delle zone edificate. All’interno di questo quadro di pianificazione, l’area denominata Dietro Poggio, un’area industriale anni ‘60, oggi inte-
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ressata da pesanti processi di dismissione e riconversione che vedono l’abbandono di immobili e il degrado della zona, posta per altro in un contesto paesaggistico di grande pregio, viene a costituire “un’area risorsa” e una occasione di crescita e di rilancio della qualità dell’abitare. L’area risorsa, alla quale il PS relega la crescita di Calenzano, ha un’estensione di 18,70 ettari, ed è posta all’interno del sistema insediativo in una valle strategica adiacente ai centri storici delle colline di Calenzano Alta e di San Do-
nato, racchiusa tra le pendici della Calvana e di Pizzidimonte e il torrente Marina. Allo stato attuale si presenta ed è percepita dalla collettività come area industriale, nata dal “traboccamento” di attività produttive da Firenze e Prato attratte dalle allora facilitazioni fiscali e dalla vicinanza del casello autostradale. Il percorso di riconversione urbana per questa area inizia con l’elaborazione e approvazione di un Piano Guida con il quale si definiscono alcune ipotesi di un nuovo assetto urbano, in parte
confermato dal Regolamento Urbanistico del 2006. La rigenerazione dell’area deve portare alla ricerca di un rapporto armonico con il paesaggio circostante, a rafforzare il collegamento con il centro cittadino e a creare un quartiere caratterizzato da mixitè funzionale. Concetti che il consiglio comunale riporta nell’atto di indirizzo del febbraio 2011.Da qui la decisione di ripensare l’assetto urbano e ricorrere, nel maggio del 2012 a un concorso di idee per la rigenerazione urbana dell’area di Dietro Poggio, avvalendosi per la definizione del bando della collaborazione tecnico scientifica dell’Università di Firenze Facoltà di Architettura e Ordine degli Architetti della Provincia di Firenze, passando attraverso un percorso partecipativo. Gli obbiettivi generali del concorso, sono stati: l’alto pregio del paesaggio dell’area e delle sue permanenze storiche nonché le relazioni paesaggistiche ed ambientali con il limitrofo Parco di Travalle, inserito nel più ampio Parco agricolo della Piana; la ricerca di migliore uso del territorio mediante una progettazione urbanistica attenta ai valori della collettività e delle relazioni sociali; la connessione con il centro cittadino compromessa negli anni ‘90 dall’asse viario “tangenziale ovest”; la ricerca di un’eco sostenibilità diffusa all’interno di tutto il comparto. In tale contesto risulta fondamentale che Dietro Poggio sia visto e progettato non come un margine del tessuto urbanizzato dell’attuale abitato, ma come un area con caratteristiche di “cerniera” in grado di ribaltare il concetto di residualità dell’area, recuperando una visione storica di passaggio obbligato verso il fiume. Al gruppo vincitore rappresentato dall’architetto Lorenzo Romualdi è stato affidato l’incarico di redigere le linee guida per la riqualificazione e rigenerazione dell’area. 10
Un progetto di ampliamento della “città pubblica” e di recupero delle aree degradate
Le esperienze
di Domenico Scrascia, Comune di Montevarchi
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egli ultimi dieci anni a Montevarchi si è voluto provare a disegnare la città con un duplice obiettivo: realizzare un progetto organico di ampliamento della “città pubblica” (a «costo zero» per le casse comunali) e recuperare le aree degradate. Montevarchi ha, quindi, utilizzato la perequazione urbanistica (strumento tecnico concepito per incrementare il patrimonio pubblico delle aree per infrastrutture e standard presenti fuori dai comparti edificatori senza dover far ricorso all’istituto dell’esproprio) in varie modalità applicative. Nel 2010, per favorire il processo di acquisizione gratuita delle aree della “città pubblica”, l’Amministrazione Comunale ha ridotto di 1/3 la Sul espressa dal “terreno” e ampliato la quantità minima di capacità edificatoria che i comparti edificatori (le aree di trasformazione) devono obbligatoriamente accogliere con la perequazione urbanistica. Certamente queste modalità operative presentano dei limiti (visibili non solo nei periodi recessivi) poiché non permettono di stabilire con certezza quando si realizzerà la “città pubblica” essendo ancorata all’attuazione degli interventi da parte dei privati. D’altro canto i margini di azione dell’Amministrazione pubblica, legati alle sue ridotte disponibilità finanziarie, sono fortemente compressi e di fatto presentano la stessa astrattezza. Negli ultimi trent’anni le tecniche utilizzate per recuperare le aree degradate (scomputo degli oneri; possibilità di ricostruire l’intera volumetria demolita; incentivi volumetrici) non hanno prodotto i risultati sperati in termini di
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spazi a terra. A Montevarchi, nel 2004, tra le varie modalità perequative introdotte una ha riguardato la possibilità di trasferire la capacità edificatoria generata dalla demolizione di edifici posti nelle aree di recupero per consentire un decremento possibile della capacità edificatoria esistente e, quindi, per poter ampliare la quantità (e, quindi, la qualità) degli spazi a terra. Dopo un primo quinquennio di rodaggio, questa tecnica è stata potenziata nel 2010, con l’istituzione del Registro dei crediti edilizi. Si tratta di un Registro nel quale vengono certificate le entità (in termini di volume) delle demolizioni effettuate prima dell’attuazione delle aree di recupero al fine di rendere più agevole il percorso non solo tecnico-amministrativo del trasferimento della capacità edificatoria dalle stesse aree di recupero alle aree di trasformazione deputate ad accoglierla. L’Amministrazione comunale persuasa che fosse arduo “rigenerare la città” e costruire la “città pubblica” senza l’utilizzo di tecniche perequative che consentissero il trasferimento di capacità edificatoria nelle aree di trasformazione deputate ad accoglierla, ha costruito il piano urbanistico creando un rapporto diretto tra la previsione di “nuovi impegni di suolo” (con indici bassi: 0,10 mq/mq), la realizzazione delle infrastrutture e degli standard e il tentativo di ridimensionamento della volumetria presente nelle aree di recupero poiché ciò è apparsa la sola contropartita sensata e accettabile che ha giustificato il consumo di una risorsa essenziale, finita e non riproducibile come il suolo.
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Cessioni, dismissioni, valorizzazioni immobiliari: serve un “cambio di passo”
Le esperienze
di Gabriele Lami, Comune di Follonica
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el corso dell’ultimo decennio numerosi interventi normativi hanno modificato la disciplina giuridica del patrimonio immobiliare pubblico per trasformarlo in strumento dinamico della politica di bilancio dell’Ente. La smobilizzazione del patrimonio pubblico è utile per la riduzione dello stock debito, leva per interventi di riqualificazione urbanistica e trasformazione urbana oltre fonte per reperire risorse per investimenti sul territorio. In un primo tempo l’attenzione si è orientata verso la privatizzazione, attraverso strumenti quali la cartolarizzazione (dei proventi derivanti dalla dismissione del patrimonio) ed i fondi comuni di investimento immobiliare. In epoca più recente, la normativa ha parzialmente accantonato l’azione di una dismissione tout court privilegiando l’ampliamento degli strumenti di gestione tra cui la cosiddetta “valorizzazione”, in particolare attraverso la possibilità di una concessione fino a cinquanta anni. I beni pubblici sono quindi divenuti strumenti per politiche di bilancio e per profonde trasformazioni territoriali ed in particolare occasione per insediamento di nuovi servizi, volano per recupero aree dismesse, riposizionamento di attività esistenti in realtà più adeguate alla nuova dimensione economica del territorio stesso, ma numerose sono le criticità riscontrate per l’attuazione di questi rilevanti obiettivi, con le norme introdotte. Pur in presenza di una serie innumerevole di strumenti giuridici per la cessione, dismissione e valorizzazione dei beni pubblici,
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introdotti nel corso dell’ultimo decennio, le procedure si dimostrano ancora farraginose, per l’assenza, purtroppo, da parte di molte amministrazioni interessate ai processi, di considerare, di per se, l’investimento sul bene pubblico un fattore produttivo. E’ molto estesa, infatti, nelle relazioni generali, una cultura in cui la “cautela” viene presa come parametro rilevante di valutazione delle proposte progettuali e di intervento, ritardando così procedure e decisioni, senza una visione invece di considerare già di per un successo la proposta di utilizzare un bene altrimenti destinato al depauperamento per il decorso del tempo in assenza di azioni concrete. Questa impostazione è da eliminare nel più breve tempo possibile, in particolare dalle amministrazioni statali, le quali devono rendere disponibili in tempi brevi i beni richiesti, privilegiando, in questa fase di carenza di risorse pubbliche per riqualificarli, l’obiettivo del loro “mantenimento” in luogo della ricerca di un lucro al momento di difficile reperimento. Si deve cercare di massimizzare l’efficacia dei pochi investimenti possibili e disponibili da impiegare. L’esperienza di questi anni porta quindi a considerare prioritario acquisire globalmente una cultura gestionale diversa dei beni pubblici da valorizzare, per rendere i procedimenti rapidi, per non vanificare gli obiettivi prefissati degli interventi comunque sviluppati e che ritardi procedurali ormai ingiustificati, rischiano di far diventare inattuali al momento del loro completamento.
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ordine degli architetti
Come prefigurare e realizzare spazi urbani qualificati di Alessandro Jaff, presidente dell’ Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e conservatori della provincia di Firenze
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etropolis, il grande film di fantascienza di Fritz Lang del 1927, ci mostra l’alba di una grande città industriale del futuro. In un bianco e nero un po’ tremolante sfilano davanti allo schermo le immagini dei volti di operai e impiegati che si recano al lavoro, tram sferraglianti su binari lucidi di pioggia, grattaceli avvolti nelle nebbie e nei fumi degli opifici, auto con deboli fari accesi. Il risveglio è il momento migliore per capire una città. Ancora oggi che tanto tempo è trascorso da quell’epoca. Firenze, per esempio. Con le sue vie d’entrata congestionate dalle auto di quei centomila cittadini che sono stati espulsi dalla città per vivere nei comuni della cintura e che la mattina vi tornano a lavorare. Con le stazioni affollate di
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pendolari. Con le lunghe file di autobus stracolmi lungo i viali di circonvallazione che si dirigono verso nuove centralità ancora informi e il centro antico che stenta a animarsi, con i negozi ancora chiusi, gli impiegati degli uffici pubblici che entrano alla spicciolata, le poche mamme che portano i bimbi a scuola, gli studenti, di cui tanti stranieri. Turisti pochissimi. Arriveranno a frotte più tardi scaricati sui Lungarni dai pullman. Uno scenario nuovo, anche rispetto a pochi anni fa. Dove i confini della città sono ancora incerti. La linea rossa che delimita il rurale e l’urbano non ancora tracciata. Ed è difficile da segnare. Che politica attuare nelle campagne è ormai chiaro, almeno come finalità generale: tutela del suolo e delle attività agricole, anche se non sarà
così semplice da calare nella pratica. Cosa fare nelle città, forse, è ancora più chiaro: l’espansione indiscriminata è finita da tempo. Occorre risarcire le ferite della crescita troppo frettolosa, rigenerare le parti obsolete, migliorare la qualità urbana complessiva e delle periferie. Nella “terra di mezzo”, non più campagna ma non ancora città, invece, il destino è più incerto. Lo sprawl ha travolto le antiche strutture rurali, ma non ha ancora generato nuovi spazi urbani: parte di esso andrà consolidato e conformato, parte dovrà essere riassorbito nel mondo rurale. Ma con quali strumenti, con quali risorse ancora non sappiamo. La pianificazione di area vasta dovrà occuparsi proprio di questo: stabilire le tutele, i nuovi confini, gli obiettivi generali, le voca-
zioni. Dovrà disegnare le grandi infrastrutture e i sistemi di trasporto, gli approdi. Poi, le città, come sempre nella nostra storia - che sostanzialmente è una storia municipale - dovranno trovare al loro interno le capacità e le risorse, culturali prima ancora che politiche ed economiche, per rinnovarsi. Per inseguire le sfide della modernità, per immaginare il loro futuro e realizzarlo. Ma con piani più strategici e meno conformativi. Sapendo che di suolo non se ne deve sprecare più. Che non ci si può più permettere di tenere volumetrie inutilizzate per decenni. Che gli edifici antichi vanno protetti e valorizzati e che in nessun caso possiamo permetterci di tenerli a marcire abbandonati. Come cittadini ci dobbiamo riappropriare degli spazi pubblici e quindi accanto alle pedonalizzazioni debbono pretendere che siano approntate infrastrutture di trasporto funzionanti ed efficaci. In questo l’urban design deve essere estremamente puntuale. Deve ritrovare la capacità di prefigurare e realizzare spazi urbani qualificati, sino nei dettagli più minuti. Per il resto, forse, è inutile accanirsi nel costruire gabbie normative e standard numerici nella ingannevole illusione di imbrigliare l’iniziativa progettuale anche dei più piccoli e insignificanti interventi. Meglio concentrarsi nella elaborazione di principi, di buone regole costruttive da applicarsi caso per caso, nella consapevolezza che i Piani operativi, o in qualunque modo vogliamo chiamarli, è bene che abbiano una durata limitata nel tempo. Sapendo anche che una smart city si realizza soprattutto con una oculata gestione dell’esistente, con la messa in opera delle reti immateriali, con il favorire progetti puntuali di grande qualità architettonica e forse, soprattutto in città di incomparabile valore culturale come le nostre, con una manutenzione costante e attenta di tutto il patrimonio storico. 13
il mondo cooperativo
La grande assente? Una politica per le città di Stefano Tossani- Presidente di cooperativa Unica-Legacoop Toscana
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i pare difficile ragionare su un tema impegnativo come quello della città e della rigenerazione urbana senza collocarlo dentro la straordinaria crisi che vive il Paese e senza interrogarsi su come l’urbanistica ed i suoi strumenti possano contribuire ad una ripresa. Il settore edilizio, uno dei più importanti del Paese, è stato investito da un vero e proprio terremoto che ha distrutto capacità produttive ed occupazione. Un terremoto, peraltro, che non ha ancora cessato di far sentire i suoi effetti. In questo contesto sociale ed economico va collocata la discussione che stiamo facendo, non possiamo prescinderne se non vogliamo che il velleitarismo da una parte e la burocrazia dall’altra continuino ad essere i caratteri predominanti di ogni provvedimento. Anche i bisogni abitativi sono profondamente cambiati, particolarmente quelli degli abitanti delle città. Pertanto se consideriamo la città come una realtà viva ed in continuo cambiamento non possiamo prescindere dai bisogni dei suoi abitanti. Senza dimenticare che la grande assente rimane una politica per le città, sostituita finora da provvedimenti settoriali incapaci in quanto tali di affrontare i problemi della città come realtà complessa e luogo della massima concentrazione delle contraddizioni. E’un punto di forte criticità verso il quale sarebbe utile sollecitare l’attenzione della politica e della cultura perché è necessario che il confronto non si limiti agli addetti ai lavori . Ritornando ai bisogni abitativi, occorre ripetere che ancora una volta i più penalizzati risultano i soggetti più deboli e particolarmente i giovani che oggi sono di fatto esclusi dal mercato e relegati a vivere con le famiglie di appartenenza fino ad una età sempre maggiore. Occorre pertan-
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to mettere in atto politiche volte ad accrescere l’offerta di alloggi in affitto a condizioni accessibili ed altre soluzioni che combinano, temporalmente e finanziariamente, affitto e proprietà e che di fatto abbassino l’asticella dell’accessibilità economica. Oggi tutto questo viene definito housing sociale. Occorre aggiungere che bisogna anche fare i conti con la scarsità delle risorse pubbliche, fattore non contingente ma di lungo periodo. In questo contesto uno strumento a cui guardare è il Sistema dei Fondi Immobiliari Etici, previsto dalla normativa vigente ed attivo a livello nazionale da un paio di anni con il protagonismo della Cassa Depositi e Prestiti. E’infatti pienamente operativo il Fondo Investimenti per l’Abitare (FIA) che ha una dotazione di capitali di oltre 2 miliardi e che può partecipare a Fondi locali. Dal dicembre 2012 è anche operativo, promosso da alcuni operatori prevalentemente cooperativi, il Fondo Housing Toscano (FHT) che ha visto finora anche la sottoscrizione di CDPi e di Unipol. Il Fondo Toscano ha in cantiere numerose iniziative, che interessano diverse realtà territoriali e vedono protagonisti anche alcuni Comuni e di fatto si configura come una piattaforma regionale per iniziative di housing sociale. Mi sembra si debba considerare un esempio virtuoso di collaborazione pubblico-privato per dare risposta ad un bisogno sociale in crescita, con una attenzione prevalente ad interventi nel tessuto urbano esistente, dove maggiore è il bisogno e adottando soluzioni innovative sul piano delle tecnologico. Consapevoli che si tratta di uno strumento, che però può essere utile ad una politica che guardi alla città nella sua complessità e orienti in tal senso le necessarie scelte e gli incentivi che le competono.
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Le buone idee in giro per il web
Anche in Italia arriva l’edicola digitale di Google
Il portafoglio nello smartphone
Un’ edicola virtuale, dove sarà possibile consultare edizioni gratuite o acquistare i principali quotidiani online
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na app per smartphone e tablet su piattaforma android già lanciata con successo in USA, Gran Bretagna, Canada e Australia è oggi disponibile sul Google play store in italiano. Aprirla sarà quasi come recarsi in edicola: quotidiani, periodici di informazione, riviste femminili e pubblicazioni specializzate, edizioni a pagamento o completamente gratuite, il tutto consultabile con un semplice tocco direttamente dall’applicazione. La Stampa, Il Sole 24 Ore, L’Espresso, Panorama, Cosmopolitan, Donna Moderna sono solo alcuni nomi dei principali quotidiani a pagamento attualmente disponibili. Gli editori avranno la possibilità di creare
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edizioni gratuite (come avviene nel caso di testate quali il Corriere dello Sport, Il Giornale, Italia Oggi, Milano Finanza, Quotidiano.net) edizioni supportate dalla pubblicità o completamente a pagamento. ”Siamo particolarmente orgogliosi che l’Italia sia il primo paese, dopo quelli di lingua inglese, a mettere a disposizione degli editori le funzioni più avanzate di Google Play” - spiega Luca Forlin, head of International Partnerships per Google Play Edicola - “Google Play Edicola va ad arricchire le aree di collaborazione tra Google e gli editori e offre agli utenti una soluzione davvero semplice e comoda per fruire dei contenuti di qualità che preferiscono”.
ALTRI MERIDIANI
In tre anni stimata crescita del Mobile Payment oltre i 40 miliardi
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econdo i dati emersi dalla ricerca condotta dell’Osservatorio Mobile & App Economy, nel 2013 la Mobile Economy in Italia ha raggiunto il valore di 25,4 miliardi di euro (ovvero l’1,6% del PIL) con previsione di crescita nei prossimi tre anni oltre i 40 miliardi (il 2,5% del PIL). All’interno di questo quadro è previsto un aumento considerevole anche del Mobile Commerce e Mobile Payment che secondo le previsioni quadruplicherà il suo valore rispetto a oggi. Telecom Italia e Vodafone i gestori telefonici italiani che si sono affacciati con maggior convinzione sul mercato delle transazioni economiche effettuate
tramite telefono cellulare: Il primo ha stretto accordi con Intesa Sanpaolo, Banca Mediolanum, BNL Gruppo BNP Paribas, UBI Banca e CartaSi, e lancerà presto servizi di mobile proximity payments che consentiranno ai propri utenti di avviare pagamenti presso terminali POS abilitati in Italia e in tutto il mondo. L’offerta commerciale di Vodafone, invece, realizzata in collaborazione con Mastercard e CartaSì, consentirà dal 29 aprile l’acquisto o la sostituzione di una Sim con tecnologia Nfc per attivare la carta di credito contactless Smart Pass virtualizzata sullo smartphone.
Porto Volontario Il Cesvot presenta in collaborazione con uido.org “Porto Volontario” il primo social network toscano del terzo settore
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razie alla collaborazione con uidu.org, Cesvot ha realizzato il primo network sociale toscano geolocalizzato che permette a organizzazioni nonprofit, volontari e cittadini di interagire fra loro, contribuendo a diffondere la cultura del volontariato attraverso gli strumenti messi a disposizione dal web. “Porto Volontario” si configura come uno spazio aperto, che permette di coordinare e diffondere online le attività di volontariato sfruttando aspetti quali la geolocalizzazione, l’interazione tra utenti, i principi di comunità e viralità tipici dei social. Per i cittadini sarà pos-
sibile conoscere il profilo di ogni associazione, il numero e le competenze di volontari di cui necessita, scoprire le iniziative organizzate all’interno del proprio ambito territoriale, condividere appelli e contribuire o avviare raccolte fondi. “Il progetto rappresenta un servizio innovativo di networking e consulenza/ formazione e un’importante sfida per Cesvot e per il volontariato toscano - spiega Federico Gelli, presidente del Cesvot - il mondo del volontariato finalmente coglie a pieno titolo le enormi opportunità rappresentate dal web”.
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Elezioni 2014: Cosa cambia col Ddl Delrio
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I Sindaci dei comuni sotto i 3.000 abitanti possono candidarsi per un terzo mandato
Con l’entrata in vigore della L.56/2014 su “Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di comuni” (c.d. Riforma Delrio) 27 sindaci toscani attualmente giunti al secondo mandato avranno la possibilità di candidarsi per una terza volta.
I Sindaci toscani al secondo mandato Comune
Prov
Nome Sindaco
Bagnone
MS
Lazzeroni Gianfranco
Careggine
LU
Puppa Mario
Castel San Niccolò Castell’Azzara
AR GR
Renzetti Paolo Mambrini Marzio
Castiglione di Garfagnana
LU
Giuntini Francesco
Castiglione d’Orcia Chianni Chiusi della Verna Giuncugnano Guardistallo Lajatico Minucciano Monterchi Montescudaio Monteverdi marittimo
SI PI AR LU PI PI LU AR PI PI
Savelli Fabio Mancini Francesca Betti Umberto Reali Fabio Gruppelli Mauro Giuseppe Ettore Tedeschi Fabio Davini Domenico Boncompagni Massimo Pellegrini Aurelio Giannoni Carlo
Murlo Podenzana Radicofani San Casciano dei Bagni San Giovanni d’Asso San Romano in Garfagnana Santa Fiora Seggiano Tresana Vagli Sotto Villa Basilica Villa Collemandina
SI MS SI SI SI LU GR GR MS LU LU LU
Loia Antonio Varese Riccardo Magrini Massimo Picchieri Franco Boscagli Michele Mariani Pier Romano Verdi Renzo Rossi Daniele Valenti Oriano Puglia Mario Ballini Giordano Tamagnini Dorino
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Scadenze Mandato Pop. 2011 2014 2° 1926 2014 2° 584 2014 2° 2739 2014 2° 1601 2014 2° 1860 2014 2° 2453 2014 2° 1457 2014 2° 2058 2014 2° 469 2014 2° 1254 2014 2° 1376 2014 2° 2221 2014 2° 1822 2014 2° 1958 2014 2° 778 2014 2° 2388 2014 2° 2142 2014 2° 1151 2014 2° 1637 2014 2° 898 2014 2° 1459 2014 2° 2702 2014 2° 1004 2014 2° 2085 2014 2° 991 2014 2° 1700 2014 2° 1363
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Riduzione Assessori e Consiglieri Comunali nei comuni sotto i 10.000 abitanti
La riforma Delrio modifica anche la composizione numerica dei Consigli comunali degli enti con popolazione fino a 10.000 abitanti. Il comma 135 dell’articolo 1 prevede che, nei comuni fino a 3.000 abitanti, il Consiglio comunale sia composto oltre al sindaco da 2 assessori e 10 consiglieri, mentre nei comuni sopra 3.000 e fino a 10.000 abitanti da 4 assessori e 12 consiglieri.
Comuni fino a 3.000 abitanti
+ Assessori
+
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Consiglieri
Comuni tra 3.000 e 10.00 abitanti
+ Assessori
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+
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Consiglieri
Per saperne di più Il testo pubblicato in gazzetta ufficiale Le slide del Governo La nota di lettura di Anci Nota di orientamento Anci su composizione liste elettorali Circolare del Ministero dell’ Interno
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Media e immigrazione: uscire dall’anonimato Intervista a Aladji Cellou Camara Presidente ANSI Toscana, a cura di Sara Denevi
lavoro è stata l’apprendimento della lingua. Comunque dopo sette anni di permanenza in Italia sto ancora correndo dietro al mio primo vero lavoro. Certo posso fare qualche intervista al mattino, lavorando quindi come giornalista, poi però devo fare quello che capita al pomeriggio e continuerò certamente a fare così per dimostrare, per primo a me stesso, che vivo in dignità e perché senza lavoro non c’è possibilità di integrazione.
Ha menzionato prima l’esigenza di parlare dei temi legati all’immigrazione in senso positivo. Che cosa significa per lei?
Lei è il presidente del gruppo dell’Associazione Nazionale Stampa Interculturale che da circa una anno si è costituito in Toscana, parliamo di come è nata l’esigenza di realizzare questa esperienza. Ansi esisteva già a livello nazionale, la Toscana è stata la prima regione che ha messo in campo una struttura regionale dedicata. Il nostro sta-
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tuto è stato poi approvato da AST Toscana che ci ha sostenuto anche nell’individuare i giornalisti di origine straniera e per veicolare il lavoro. A livello toscano sono stati contattati dieci giornalisti attraverso il progetto Prospettive, individuati anche grazie al sostegno ed al lavoro del COSPE. L’esigenza è stata quella di parlare dei temi dell’immigrazione in senso positivo e far
riprendere il mestiere ai giornalisti di origine straniera, con la finalità di farli uscire dall’anonimato. L’obiettivo è anche quello di dare valore ad una esperienza, quindi, diversa da quella dei giornalisti italiani, dare un altro sguardo perché chi proviene da una realtà specifica ha sensibilità diversa nel trattare uno stesso argomento.
Lei come molti altri giornalisti arrivati nel nostro Paese ha incontrato diverse difficoltà lavorative... Io per trovare qualche lavoro ho dovuto cambiare il mio curriculum anche perché ho fatto lavori di manovalanza e per trovarli mi hanno fatto chiaramente capire che dovevo ridimensionarlo. La prima difficoltà in tutti i sensi e quindi anche per il
Significa che dentro questo oceano di dolore ci sono persone a cui è necessario dare un volto, non di meno fornire un’altra immagine dell’immigrazione rispetto a come viene deformata spesso dai mezzi di informazione. Esistono storie belle e vere, nella difficoltà e nella miseria, di persone che si danno da fare per cambiare anche il modo in cui l’immagine dell’immigrazione viene veicolata in questo Paese. Sono storie importanti da raccontare e che permettono anche a chi ha timore di avvicinarsi a storie di vita molto diverse dalla propria di farlo senza avere pregiudizi. Senza la possibilità di raccontare queste storie di vita, sarà sempre difficile parlare di questo tema mentre i media hanno sempre contribuito a diffondere una certa paura e un certo allarmismo di fondo. Segue a pag. 18 17
Ansi toscana
Media e immigrazione: uscire dall’anonimato Segue da pag. 17 Il ruolo dei mezzi di comunicazione rimane fondamentale per avvicinare il cittadino italiano a quello straniero che si è spostato alla ricerca di un futuro migliore.
A suo parere quali sono gli stereotipi più ricorrenti? Oramai sono piuttosto abituato a scontrarmi con una immagine negativa legata all’immigrazione. Una immagine profondamente falsa trasmessa dai mezzi di comunicazione è, per esempio, quella degli sbarchi: persone viste come se fossero poveri diavoli che poi si dice ottengano ben 40 euro al giorno in quanto profughi accolti nel circuito SPRAR, mentre è evidente che molti italiani non hanno neppure 30 euro al giorno per vivere. Io son sicuro che esistano buoni programmi di sostegno per i richiedenti asilo ma veicolare questo tipo di situazione è falso, nella cifra giornaliera attribuita ad ogni persona che si trova a gravitare in un sistema come quello dello SPRAR ci sono molte cose da considerare, in primis lo stipendio degli operatori che lavorano nei sistemi di accoglienza. Io ho vissuto in un centro e so che rimanevano 2 euro al giorno da poterci gestire. Questo è un chiaro esempio per far ribellare i cittadini italiani verso quelli stranieri. Fortunatamente esistono strumenti come la Carta di Roma per osservare la massima
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attenzione nel trattamento delle informazioni concernenti i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta ed i migranti nel territorio della Repubblica Italiana. Questo Paese è considerato una terra di passaggio, lo sanno i cittadini stranieri e lo sa il Governo, quindi molti migranti si recano qui per chiedere i documenti e poi lasciare il paese. Caso esemplificativo di quanto sto dicendo è che nel 2011, in piena emergenza Nord Africa, lavoravo come operatore in un centro gestito dalla Caritas dove sono stati accolti molti cittadini tunisini. Avevo un contratto di sei mesi ma ho lavorato solo una settimana dopo la quale il centro è stato chiuso perché la maggior parte delle persone se ne era andata. Direi quindi che l’invasione a seguito degli sbarchi, così come i media trasmettnoo, non esiste proprio. Rimane infatti una percentuale bassissima in Italia dei richiedenti asilo che toccano le sponde italiane senza contare che, pur senza documenti, molti preferiscono abbandonare il Belpaese a causa della pessima gestione dei centri di prima accoglienza per recarsi in Belgio e in Francia.
Parlano di lei come rifugiato”doc”: ex direttore di un giornale in Guinea Conakry, in fuga per i suoi articoli e accolto dalla Fnsi...
Il mio visto più lungo era quello italiano e quindi mi sono recato in Italia ma pensando, fin da subito, di cambiare Paese. Purtroppo mancano accordi tra gli Stati, io ho cercato di avviare un trasferimento di competenze in un altro paese ma non è stato possibile. Ero molto preoccupato per la barriera linguistica e per il mio lavoro dal momento che sapevo solo scrivere e non conoscevo questa lingua. In tal senso è stato molto difficile superare questo momento, bisogna andare a scuola per
imparare bene ad esprimersi e molti corsi sono a pagamento inoltre per me era molto difficile trovarmi nella condizione di dover esser aiutato poiché nel mio Paese da quando avevo diciotto anni ho iniziato a lavorare senza problemi. Comunque in Italia è stata accettata la mia richiesta e ho ottenuto lo status, ora da cittadino italiano ho la possibilità di andare a vivere dove ritengo e quindi ho deciso che ritornerò in Guinea non appena possibile. In Italia ci sono molti bravi giornalisti,
hanno sicuramente più bisogno di me nella mia terra di origine dove il giornalismo non è soltanto scrivere ma significa lavorare per partecipare allo sviluppo intellettuale e culturale di un paese. Lì facendo il mio lavoro non sono diventato un uomo ricco ma mi sono sempre arricchito della consapevolezza che il mio lavoro fosse importante per il mio paese, per i miei connazionali, per lo sviluppo locale.
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CARTA DI ROMA
Un codice deontologico per eliminare i pregiudizi di Giovanni Maria Bellu, Presidente di Carta di Roma
L
a Carta di Roma, protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti, approvato dal Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti nel giugno del 2008, è il punto d’arrivo e di sintesi di un dibattito cominciato molto tempo prima, all’inizio degli anni Novanta, in coincidenza con l’ingresso stabile nelle cronache del tema dell’immigrazione. A innescare il processo che ha portato all’approvazione della Carta di Roma è stato il caso di Azouz Marzouk, cittadino tunisino, padre e marito di due delle vittime della “strage di Erba”, indicato in un primo tempo da tutti gli organi d’informazione come responsabile del delitto in re-
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altà compiuto dai coniugi Olindo e Rosa Romano, vicini di casa delle vittime, poi condannati all’ergastolo. Le dinamiche di quella specifica sventurata vicenda giornalistica sono state decisive per l’elaborazione del codice deontologico. Si trattò di un grave errore professionale determinato fondamentalmente dalla mancata verifica di una notizia fornita in modo approssimativo da una fonte ufficiale (il procuratore capo di Como), ripresa pedissequamente dalla principale agenzia nazionale di stampa e rilanciata da tutti gli organi d’informazione. Un errore che sarebbe stato evitato se la vicenda fosse stata trattata con la diligenza che ordinariamente si dedica a vicende di tale gravità. Il
caso di Azouz Marzouk rese chiaro che il pregiudizio xenofobo non è un ostacolo al giornalismo buono, o buonista, ma semplicemente al buon giornalismo. Si discusse a lungo nel “comitato scientifico” sull’opportunità di individuare specifiche sanzioni disciplinari per quanti avessero violato la Carta di Roma. Alla fine si arrivò alla conclusione che andava utilizzato il sistema disciplinare già esistente. Che affida il potere di avviare l’istruttoria e di comminare la sanzione (o di decidere il proscioglimento) agli ordini regionali dei giornalisti. Una decisione che si è rivelata coerente con l’impostazione iniziale, quella che ha consentito di varare il codice deontologico e, soprattutto,
di farlo accettare in modo pressoché unanime dalla categoria. Le violazioni della Carta di Roma sono errori professionali come gli altri, con la differenza che avvengono in un ambito nel quale il pregiudizio (che è un errore di impostazione professionale) può favorirli. La conseguenza di questa impostazione è che un giornalista contrario all’abrogazione del reato di immigrazione clandestina può e deve rispettare la Carta di Roma senza che ciò implichi la rinuncia alle sue pur discutibili convinzioni politiche. Nel dicembre del 2011, quasi tre anni dopo l’approvazione del codice deontologico, nasce l’associazione che deve garantirne l’applicazione.
Tra i compiti dell’Associazione Carta di Roma – oltre alla formazione degli operatori dei media – c’è anche il monitoraggio degli organi d’informazione. Attraverso quest’attività vengono individuate le violazioni che, nei casi più gravi, danno luogo a esposti destinati agli ordini professionali regionali. In definitiva, con l’Associazione Carta di Roma i giornalisti condividono con le associazioni della società civile il potere di sollecitare i procedimenti disciplinari. Una “cessione di sovranità” un tempo impensabile che è stata resa possibile dal carattere rigorosamente professionale di questo codice deontologico.
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il linguaggio dei midia
Oltre il lessico della paura di Anna Meli, Associazione Carta di Roma
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n questi ultimi anni si sono moltiplicate le pubblicazioni sul “lessico della paura”1 e sulle “parole sporche”2 che i mezzi di comunicazione hanno utilizzato e ancora in parte utilizzano per raccontare un fenomeno complesso come quello della migrazione. Risale però addirittura al 1998 la rubrica “Le parole che escludono”, curata mirabilmente da Giuseppe Faso in questo inserto. 1. Giulio Di Luzio, Clandestini. Viaggio nel vocabolario della paura, Ediesse, Roma, 2013. 2. Lorenzo Guadagnucci , Parole sporche. Clandestini, nomadi, vu cumprà: il razzismo nei media e dentro di noi, Altreconomia, Milano, 2010.
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La riflessione sulla metamorfosi sia delle parole che usiamo quando parliamo di immigrazione, sia dei loro significati sta coinvolgendo non solo esperti e linguisti 3, ma anche i giornalisti che delle parole fanno uso quotidiano. La Carta di Roma, ovvero il codice deontologico su migranti e richiedenti asilo siglato dagli organismi di categoria del giornalismo italiano (FNSI e CNOG) nel 2008 sta progressivamente entrando nelle redazioni, grazie anche all’attivismo dell’omonima 3. Vedi anche Francesco Benigno, Parole nel tempo. Un Lessico per pensare la storia, Viella, Roma, 2013
associazione, nata alla fine del 2011 per promuoverne la piena attuazione (www. cartadiroma.org). Gli incontri promossi nelle redazioni, Repubblica, TG5, Corriere della Sera tanto per citarne alcuni, sono occasioni di confronto con gli operatori dell’informazione anche sul linguaggio e l’uso di glossari più appropriati per parlare di immigrazione. Le linee guida per l’applicazione della Carta di Roma riportano in appendice sia il glossario proposto dal codice deontologico con la spiegazione dei vari termini, sia indicazioni pratiche per gli ambiti di mag-
giore criticità del racconto giornalistico dell’immigrazione. La cronaca, riportare il discorso politico, le attenzioni dovute nelle interviste a rifugiati e richiedenti asilo e così via. L’osservatorio di Carta di Roma ha registrato una progressiva diminuzione dei termini più stigmatizzanti e un certo cambio di prospettiva rispetto ad alcune cronache e relative titolazioni. Ma se ad esempio sul termine clandestino e sulle differenze tra migranti economici e richiedenti asilo la presa di coscienza del mondo del giornalismo sembra iniziata, più difficile sembra essere il compito quando si parla di minoranze Rom e Sinti. La loro l’appartenenza culturale è sempre sottolineata anche laddove non necessaria alla comprensione della notizia. Si va dall’inutile attribuzione anche ai minori “Milano, muore una neonata rom: familiari all’assalto dell’ospedale”4 fino al paradossale “Uno zingaro (nomade o Rom), Giovanni B., 73 anni che viaggiava a bordo di un’Ape-Piaggio con traino e la moglie Antonia, è stato travolto da un’Alfa Romeo, proprio all’altezza del Bivio per Saline-Est. “5 Il prezioso lavoro della recente pubblicazione “Parlare civile” (a cura di Redattore Sociale, Mondadori, Milano, 2013) offre un ampia ed esaustiva casistica di parole su cui riflettere, con un taglio a servizio degli operatori dell’informazione.
4. La Repubblica.it. 9 luglio 2013 5. MNews.it, 29 agosto 2013.
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PROSPETTIVE ALTRE
Un’informazione capace di leggere la complessità di Karim Metref, Coordinatore editoriale di Prospettive Altre
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rospettive Altre è un a pagina di informazione specializzata in notizie, analisi e opinioni sull’immigrazione e la multiculturalità. É nato in seno a un progetto europeo intitolato Media4Us . Una iniziativa europea per creare, in ognuno dei 7 Paesi europei partecipanti, una testata online con redazioni composta prevalentemente da immigrati e figli di immigrati non comunitari, che tenta di raccontare i cambiamenti della società senza allarmismi né imbonimenti. Come per rendere l’immagine di una società europea in via di cambiamento continuo sia dal punto di vista sociale ed economico che dal punto di vista culturale. Una Europa in cerca di se stessa, in una dimensione nuova, che tiene conto anche dei milioni di cittadini provenienti dai 5 continenti che ci vivono. Prospettive Italia portato avanti dall’Ansi (Associazione Nazionale Stampa Interculturale) e dalla Ong italiana COSPE , decise di non vivere soltanto il tempo di consumare il finanziamento europeo -come ahimè succede spesso in questi casi- ma di andare avanti cercando di diventare una realtà mediatica vera, presente e attiva sul campo. Certo non può essere che una presenza di dimensioni modestissime, in questi tempi di reti e gruppi giganti. Ma le dimensioni ridotte non impediscono l’originalità e la credibilità. E questi sono i nostri
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obiettivi principali. La particolarità di Prospettive Altre rispetto alle altre testate che sul web trattano del tema dell’immigrazione sono i suoi collaboratori. Infatti, la nostra redazione è composta da 13 redattrici e redattori di diverse provenienze, nazionalità, culture e percorsi. Alcuni sono immigrati di prima generazione, altri sono giovani nati in Italia nella condizione di “italiani con il passaporto diverso” che vivono i figli dei migranti nel nostro Paese. Oltre alla redazione fissa, una rete di collaboratori e di esperti arricchisce i contenuti del sito in modo particolare per quanto riguarda aree di specializzazione come lo sport, l’economia, l’arte… Ovviamente, come è ben noto, non è facile lanciare una testata nuova di questi tempi. La rete è sovraffollata di informazione e la concorrenza è più dura che mai, ma la nostra speranza è quella di poter trovare spazio in questo spietato mondo virtuale per far passare una informazione ricca e rispettosa delle persone, piacevole ma non spettacolarizzata, attenta al locale e al globale nello stesso tempo. Trovare spazio con notizie diverse, con una informazione pacata e riflessiva. Che cerca di leggere la complessità invece di semplificare con titoloni ad effetto. Il sito serve anche da palestra per formare una redazione giovane, cercare di ampliare progressivamente la rete di collaboratori sparsi sul territorio
nazionale. E a questo proposito, è in corso l’iter di registrazione come testata giornalistica presso il Tribunale di Torino (la risposta è imminente). Si tratterebbe del primo caso di testata con direttrice non comunitaria, Domenica Canchano. La legge sulla Stampa risalente al 1948 infatti impedisce ai giornalisti che non hanno il passaporto comunitario di diventare direttori responsabili di giornali, riviste, tv e radio, anche se esercitano da anni in Italia e sono iscritti all’Ordine dei giornalisti. Porteremo avanti questa battaglia importante per rendere effettivo il diritto all’informazione, non solo per riceverla quindi, ma anche per farla. E il ministero della giustizia interpellato a questo proposito a dichiarato superata tale discriminazione e ha emesso una nota a favore dell’iscrizione di cittadini extra-Eu come direttori responsabili (vedi il comunicato dell’ANSI INSERIRE LINK http://www. prospettivealtre.info/2014/03/direttori-responsabili-non-italiani-il-parere-favorevole-del-ministero-dellagiustizia/) Anche se confrontato ai soliti problemi di risorse economiche, il progetto sta compiendo il suo secondo anno di vita e la qualità della produzione è visibilmente migliorata. Più contenuti multimediali, più riflessioni sul proprio territorio, più notizie originali. Insomma, altre prospettive.
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“LA PAROLA ALLE DONNE”
La rappresentazione mediatica della figura femminile di Elena Cinelli
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egli anni la donna è riuscita a conquistarsi un ruolo nella società, svolgendo in alcuni casi incarichi pretta-
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mente relegati ad una figura maschile. Nonostante questo mutamento sociale ancor oggi permane una diversità di genere sia in ambito professionale sia
privato che grava sulla totale affermazione della donna nella società. Questo in parte è dovuto alla presenza di stereotipi femminili imposti dai media
che spesso rappresentano le donne come soggetti deboli o ancora peggio oggetti del desiderio. Questo è uno dei temi trattati dal corso “La parola alle donne” organizzato da Cospe in collaborazione con Associazione Stampa Toscana e ANSI- Associazione Nazionale Stampa Interculturale a cui partecipano 12 giornaliste ed operatrici della comunicazione italiane e straniere residenti o domiciliate in Toscana. Perché questo corso? Le stime mostrano come il settore giornalistico sia stato uno dei primi ad essere colpito dalla crisi e soprattutto le donne straniere riscontrano difficoltà ad affermarsi sul campo. Obiettivo del corso: valorizzazione della figura femminile attraverso la decostruzione degli stereotipi associati al genere, promozione di un’auto-rappresentazione della condizione femminile nel mondo del lavoro più possibile libera da discriminazioni che miri alla realizzazione di una cittadinanza di genere inclusiva e plurale. Un valore aggiunto della proposta formativa è l’elemento interculturale che pone un’ulteriore riflessione sulla condizione lavorativa femminile in Italia in cui la popolazione immigrata è ormai stabile da molti anni e perlopiù composta da donne. Anziché contrapporre le differenze delle cittadine di origine straniera rispetto alle autoctone l’attenzione viene posta sulla condizione delle donne in ambito lavorativo indipendente-
mente dall’origine. La maggior parte delle partecipanti sono iscritte all’ordine dei giornalisti ed hanno una buona esperienza lavorativa nel settore con la volontà di puntare sulla formazione in un momento di crisi del settore editoriale. Questo percorso potrà essere anche l’occasione per accrescere professionalità da investire nel mondo del lavoro. Tra i docenti Laura Grimaldi, collaboratrice del blog “Un altro genere di comunicazione” esperta in analisi e decostruzione della rappresentazione di genere nei media, Isabella Mancini, giornalista e blogger, Annamaria Tognetti, formatrice e Presidente della Commissione Pari Opportunità della Provincia di Pisa, Chiara Brilli, giornalista radiofonica, Mercedes Frias, parlamentare dal 2006 al 2008 e Presidente dell’associazione sui diritti degli immigrati, profughi e richiedenti asilo, Susanna Bonfanti, giornalista, cronista e conduttrice di telegiornali e trasmissioni televisive. La finalità del corso sarà l’acquisizione di competenze necessarie, tra cui nozioni teoriche ed esercitazioni tecniche sull’utilizzo di strumenti multimediali, per lo sviluppo di 6 reportage volti a raccontare storie di donne all’interno del mondo del lavoro che saranno diffusi attraverso diversi canali mediatici e presentati all’interno di un evento pubblico.
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