NOVEMBRE 2013
In questo numero Unioni. Facciamo il punto Carlo Paolini
Gestioni associate, unioni, fusioni di comuni questo numero di Aut&Aut scatta una fotografia dello stato dell’associazionismo intercomunale in Toscana, un tema su cui Anci Toscana è fortemente impegnata, sia attraverso il confronto istituzionale con la Regione Toscana che attraverso la promozione di incontri formativi sui territori
Anno XXI numero n. 07 novembre 2013 Reg. Trib. di Prato nr. 180 del 8/7/1991.
3
Lo sviluppo delle Unioni di comuni in Toscana Giulia Falcone - Ufficio studi e ricerche Anci Toscana
5
I comuni obbligati all’esercizio associato Giulia Falcone - Ufficio studi e ricerche Anci Toscana
6
Le Fusioni di comuni Giulia Falcone - Ufficio studi e ricerche Anci Toscana
8
Servono strumenti per fusioni efficaci Alessandro Cosimi
9
I cittadini chiedono comuni più presenti Pierandrea Vanni
9
Programmazione, integrazione e gestione dei servizi sociosanitari Michelangelo Caiolfa
10
ALTRI MERIDIANI
11
PERCORSI DI CITTADINANZA Lampedusa: per non dimenticare Simone Ferretti
12
Un Sistema di accoglienza integrata che funziona Guendalina Barchielli
13
La solidarietà della Provincia di Firenze Sara Denevi
14
Le altre iniziative di solidarietà Guendalina Barchielli
14
Editore: Aut&Aut Associazione Proprietà: Anci Toscana Direttore responsabile: Marcello Bucci Direttore editoriale: Alessandro Pesci Collegio di garanzia: Alessandro Cosimi, Sabrina Sergio Gori, Angelo Andrea Zubbani Redazione: Anci Toscana - email: ufficio.stampa@ancitoscana.it
Caporedattore: Olivia Bongianni In redazione: Guendalina Barchielli, Sandro Bartoletti, Monica Mani, Hilde March Collaboratori: Enzo Chioini, Sara Denevi Grafica e impaginazione: Osman Bucci Anci Toscana Viale Giovine Italia, 17 - 50122 Firenze Tel 055 2477490 - Fax 055 2260538 posta@ancitoscana.it - www.ancitoscana.it
Per quanto riguarda i diritti di riproduzione, l’editore si dichiara pienamente disponibile a regolare eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte.
Novembre 2013
2
Introduzione
Unioni. Facciamo il punto Carlo Paolini consulente Anci Toscana
Il quadro della situazione toscana sia per quanto attiene alle forme associative e allo stato di attuazione degli obblighi dei comuni, sia per quel che riguarda il rilevante fenomeno delle fusioni è decisamente positivo
L
’impegno dei comuni toscani per dar luogo ad un miglior assetto organizzativo dell’esercizio delle potestà, dei servizi e delle funzioni comunali si sta, pur fra non pochi problemi, indubbiamente sviluppando positivamente. E’ evidente che ha giocato e gioca un peso notevole l’obbligo di associare le funzioni fondamentali cui sono assoggettati per legge i comuni fino ai 5000 abitanti o 3000 se appartenuti alle comunità montane. Comunque, per approdare ai migliori risultati funzionali ed economici per i nostri cittadini, è di tutta evidenza come sia fondamentale che nel processo dell’associazionismo siano coinvolti anche i comuni di dimensioni maggiori. La ricerca della dimensione territoriale ottimale ed omogenea (gli “Ambiti”) richiede un fattivo impegno congiunto della responsabilità associativa comunale (si ripete, anche dei comuni non obbligati) e della Regione cui spetta la definizione/formalizzazione di tali Ambiti. Per dirla in poche parole, il disegno di riassetto territoriale che prevede la riconsiderazione
Novembre 2013
della provincia, con la centralità per l’esercizio delle funzioni amministrative dei comuni, postula che i Comuni stessi si riorganizzino territorialmente e funzionalmente. Per dire quale rilievo è attribuito a questo processo, è in corso di attuazione un calendario di incontri nelle varie realtà territoriali che dovrebbe coprire gran parte della nostra Regione, incontri ad una parte dei quali si può contare sulla partecipazione dell’assessore regionale. Il segno dei tempi su questo terreno della riorganizzazione territoriale è altresì espresso dall’autentica impennata che hanno assunto le iniziative sulle fusioni. Finora 57 comuni coinvolti (dei quali 28 soggetti all’associazionismo obbligatorio) che costituiscono un numero assolutamente inconcepibile solo qualche tempo addietro. Il tour nei vari territori, che allunga lo sguardo sul futuro, è ovviamente diretto alla primaria esigenza di questo momento, cioè di fare da supporto ai comuni affinché possano rispettare le scadenze prossime circa gli obblighi di legge per associare le funzioni fondamentali.
http://www.flickr.com/photos/39915579@N07
Si sta lavorando in riferimento alla situazione che si è venuta a determinare dopo la prima scadenza dell’obbligo associativo per almeno tre funzioni fondamentali. Ben altro impegno, anche nella individuazione delle forme associative da scegliere fra convenzione (con tutti i problemi pratici che essa comporta nel caso di molteplicità di funzioni associate) e unione, attende i comuni con la prossima scadenza della fine dell’anno in cui, come si sa, salvo proroghe, scatterà l’obbligo per tutte e dieci le funzioni fondamentali. Il passaggio dell’esercizio delle funzioni e servizi da parte del singolo comune alla forma associativa comporta, come è noto, affrontare una conseguente molteplicità di questioni istituzionali, amministrative e
tecnico-operative. Senza certo sottovalutare le altre, preme sottolineare la centralità di quelle riguardanti il personale e gli aspetti finanziari e di bilancio. Il gruppo costituito dall’Anci regionale per il supporto all’azione dei comuni obbligati e non obbligati volto all’organizzazione delle funzioni e servizi in forma associata ha rilevato, anche in ragione dei confronti sviluppati nei numerosi incontri intervenuti con gli amministratori e i dipendenti interessati, come i percorsi associativi facciano in effetti emergere un intricato complesso di problemi concernenti il personale da conferire al soggetto associativo.
Segue a pag. 4 3
INTRODUZIONE
Unioni. Facciamo il punto Segue da pag. 3
http://www.flickr.com/photos/sarowen
La questione centrale che si pone è quella di consentire al nuovo centro di responsabilità organizzativa (con particolare riguardo all’Unione) di poter effettuare operazioni riorganizzative che rispondano al nuovo assetto dei servizi utilizzando le risorse in modo confacente e funzionale. L’unico limite che ovviamente dovrebbe valere è quello dell’insuperabilità del tetto di spesa costituito dal complesso del costo del personale relativo ai servizi riaggregati nell’entità associativa e non già il farraginoso novero dei vincoli di ciascun ente, i quali, ove vengano a trasferirsi (come sostenuto dalla gran parte dei pareri delle Corte dei Conti) sul soggetto associativo (mediante il meccanismo del “ribaltamento” delle pro-quote di spesa del personale dell’Unione sui Comuni associati), determinano una vera e propria giungla di
Novembre 2013
vincoli che sono l’esatto contrario di ciò che si richiede nel caso dell’associazionismo. Va considerato che finora i casi di associazionismo di funzioni e servizi con conferimenti cospicui di personale erano in effetti situazioni sporadiche. Se si pensa, però, che con la prossima scadenza i comuni obbligati debbono associare la quasi totalità delle loro funzioni, occorre non solo un diverso impegno interpretativo delle norme ma anche un’integrazione del quadro normativo concepiti in funzione del ruolo e del peso che vengono ad assumere la rete dei soggetti associativi . A tal proposito si è elaborato una prima nota al riguardo che viene pubblicata nel presente bollettino auspicando che si sviluppino appositi confronti in sede ANCI anche al fine di prospettare adeguate soluzioni legislative. Come accennato, un altro rilevante
gruppo di problematiche scaturisce, e ancor più scaturirà con il completarsi dell’obbligo della gestione in associazione di tutte le funzioni fondamentali, dalla predisposizione dei bilanci e delle contabilità dei soggetti associativi. Esse riguardano sia la parte di gestione corrente che la parte di gestione degli investimenti. Poiché la potestà tributaria resta comunque in testa ai comuni, che continueranno ad avere nei propri bilanci la parte più cospicua dell’entrata, mentre, in particolare per i comuni obbligati, la gran parte della spesa si trasferisce nel soggetto associativo, si dovranno affrontare tutte le inedite tematiche del coordinamento dei rispettivi bilanci in rapporto ai vincoli e alle regole del patto di stabilità, oltreché di quelle di carattere finanziario e contabile. A tal proposito si è costituito un apposito tavolo formato da tecnici
dei soggetti associativi e da esperti in bilanci e contabilità comunale, tavolo a cui si avrà cura di dare un particolare impulso. Si deve infine rappresentare l’importanza dell’impegno di reciproca consultazione dell’Anci regionale e della Regione Toscana con la Prefettura di Firenze, che ha comunicato di fungere da riferimentocoordinamento con le altre Prefetture toscane, riguardo all’esercizio dei compiti di vigilanza attribuiti ai Prefetti circa il rispetto degli obblighi dell’esercizio associato da parte dei Comuni assoggettati a tale obbligo. Come risulta dalla nota di prospettazione sulle modalità di esercizio di tale controllo inviata al Ministero dalla Prefettura di Firenze, si può contare su una collaborazione improntata a grande sensibilità istituzionale.
4
Associazionismo intercomunale
http://www.flickr.com/photos/filu
Lo sviluppo delle Unioni di comuni in Toscana
I
A cura di Giulia Falcone, Ufficio Studi e Ricerche Anci Toscana
n Toscana l’associazionismo intercomunale ha conosciuto un suo sviluppo già negli anni 2002-2010, quando le forme associative erano su base volontaria. Evidentemente, il passaggio dalla volontarietà all’obbligatorietà per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 (o 3.000 se appartenenti a territori montani) ha rappresentato la chiave di volta in materia di associazionismo. La Regione Toscana, già con la legge finanziaria L.r 65/2010, fece propria la scelta, poi confermata dal legislatore nazionale (con DL 95/12) di “puntare sulle Unioni”, favorendone la loro costituzione, anche attraverso incentivi che prima di allora, invece, venivano erogati per le gestioni associate anche in favore di comuni che utilizzavano lo strumento della convenzione. Prendendo come arco di riferimento temporale ottobre 2008 - ottobre 2013 (vedi grafico 1) salta agli occhi il rapido sviluppo delle Unioni di comuni toscane, in particolare con un’accelerazione a partire dal 2010: le
Novembre 2013
Unioni di comuni costituite in Toscana sono infatti passate da 8 a 26 negli ultimi tre anni. Lo sviluppo di questa forma associativa va sicuramente attribuito alla normativa nazionale L. 122/2010, ma anche alle esperienze di associazionismo intercomunale maturate nel corso dell’ultimo decennio, incentivate della legislazione regionale in materia. Ad oggi, (vedi grafici) i comuni toscani associati in Unione sono 155 su 287,oltre il 50%; la popolazione residente in comuni appartenenti ad Unioni è pari al 25% del totale della popolazione toscana e la superficie complessiva delle Unioni è pari al 33% della superficie toscana totale. Se oggi scattassimo un’istantenea, questa è la fotografia del territorio toscano: 26 Unioni di comuni, 157 comuni e 965.425 abitanti in Unione di comuni, come raffigurato nella cartina (allegato 1). Ma, se prendiamo in considerazione an-
che i processi di costituzione di Unioni in atto, il quadro si amplia ulteriormente. Sono almeno 3 le aree in cui si discute di associarsi in forma strutturata: Valdarno Inferiore (PI), con 4 comuni: Castelfranco di Sotto, Montopoli in Val d’Arno, San Miniato Santa Croce sull’Arno; per un totale complessivo di 66.178 abitanti. Piana Fiorentina (FI), con 4 comuni: Calenzano, Campi Bisenzio, Sesto Fiorentino, Signa; per un totale complessivo di 125.328 abitanti. Elba occidentale (LI), con 3 comuni: Marciana, Marciana Marina, Campo nell’Elba; per un totale complessivo di 8.827 abitanti. Ciascun processo di costituzione di Unione di comuni presenta le sue caratteristiche peculiari, anche in riferimento allo stadio di avanzamento del processo decisionale, tuttavia va segnalato che Valdarno Inferiore e Piana Fiorentina rappresenterebbero Unioni di comuni costituite ex novo, con dimensioni territoriali e demografi-
che assai significative (più di 70.000 abitanti), e in cui non è coinvolto alcun comune obbligato. Sebbene nella Piana Fiorentina da anni (troppi) si discute di questo tema senza arrivare fino in fondo. Mentre l’Unione dell’Elba orientale nascerebbe da esperienze di associazionismo pregresse (gestioni associate, Comunità Montana e Unione) che hanno avuto vicende complesse (fino al commissariamento ed estinzione dell’Unione) con una “eredità pesante”. Tra queste esperienze, possiamo considerare l’Unione di comuni del Valdarno come un’Unione “in fase di costituzione”, dato che i comuni hanno già elaborato gli atti (Statuto e atto di costituzione) e ratificato l’intesa per la costituzione dell’ambito di dimensione territoriale adeguato (ambito 29/2, deliberazione Giunta regionale n. 489 del 25 giugno 2013). Sebbene, come abbiamo visto, la maggior parte dei comuni obbligati, circa il 70%, abbia scelto di associarsi tramite Unione di comuni, il fenomeno dell’associazionismo tramite convenzione, anche nella nostra regione presenta numeri non trascurabili. Stando ai dati a nostra disposizione, il quadro delle convenzioni è il seguente: 65 comuni toscani hanno stipulato almeno una convenzione per associare una funzione fondamentale (per intero). È interessante notare come di questi 65, sono 28 i comuni obbligati che hanno optato prevalentemente per tale forma associativa, come riportato nella tabella successiva (vedi tabella 5), di cui come si è visto nel paragrafo precedente, 19 sono i comuni adempienti e 9 gli inadempienti. Tuttavia se volessimo fotografare lo stato dell’associazionismo intercomunale delle funzioni fondamentali, emerge che in Toscana prevale la forma associativa dell’Unione di comuni (vedi grafico 6). Vale a dire che per ciascuna funzione associata è maggiore il numero di comuni che ha optato per una forma associativa più strutturata.
5
Gestioni associate
I comuni obbligati all’esercizio associato A cura di Giulia Falcone, Ufficio Studi e Ricerche Anci Toscana
I
n Toscana, i comuni obbligati all’esercizio associato sono 106, di questi più del 70% è associato tramite Unione di comuni, a conferma del fatto che i comuni toscani hanno condiviso la “preferenza” espressa dal legislatore, nazionale e regionale, nei confronti di tale forma associativa. Tuttavia, vale la pena soffermarsi non solo sulla forma associativa, ma su come, complessivamente, i comuni sottoposti a tale obbligo abbiano adempiuto all’esercizio associato delle prime tre funzioni fondamentali, come previsto dalla L.122/2010, entro il primo
gennaio 2013, ed è interessante notare come le due rappresentazioni forma (Unione/Convenzione) e contenuto (adempimento/ inadempimento) per lo più coincidano. Dei 106 comuni toscani, ad oggi, sono 14 i comuni che non hanno rispettato l’obbligo di gestione associata, (vedi grafico 3), 19 hanno adempiuto utilizzando prevalentemente lo strumento della convenzione e i restanti 73 tramite Unione di comuni. Ed è scorrendo l’elenco dei 14 comuni inadempienti che troviamo appunto questa coincidenza tra forma e contenuto, poiché la quasi totalità degli inadempienti
non è associato in Unione di comuni (vedi elenco). Questa coincidenza, probabilmente ci conferma la difficoltà di adempiere, tramite convenzione, a un obbligo di associazionismo che non riguarda singoli servizi, dove al contrario lo strumento della convenzione può essere congeniale, ma riguarda funzioni fondamentali per intero, dato il divieto di frazionamento previsto dalla normativa. Diverse sono le tipologie di inadempienza: perché sono in atto processi di fusione, ed è questo il caso dei comuni di: Suvereto (con il Comune
di Campiglia) e Crespina (con il Comune di Lorenzana). parziale, ossia il caso in cui i comuni abbiano associato solo due funzioni fondamentali ed il caso di: Castiglion Fibocchi, Chiesina Uzzanese, Campagnatico, Rio Marina, Rio nell’Elba, Orciano Pisano; per “isolamento”, ossia perché i comuni in questione non sono circondati da comuni obbligati ed è il caso di Scarlino e Bibbona; sostanziale, nel caso in cui i comuni hanno associato nessuna o una sola funzione fondamentale ed è il caso dei comuni di: Marciano della Chiana, Lucignano, Marciana e Marciana Marina. Con questa classificazione possia-
http://www.flickr.com/photos/nicmcphee
Novembre 2013
mo quindi rappresentare il grado di inadempienza e in un certo senso misurarne entità e gravità (vedi grafico 4). Caratteristiche delle Unioni di comuni Dando uno sguardo approfondito alle caratteristiche delle 26 Unioni di comuni toscane a partire dalla loro origine, (vedi grafico) vediamo che 18 Unioni di comuni sono state costituite da trasformazione di Comunità montana (di cui 5 in una prima fase, nel 2008 e 13 in una seconda fase tra il 2011 e il 2013), 8 sono state costituite ex novo e una è in fase di costituzione (Valdarno inferiore). La maggior parte delle Unioni di comuni toscane nasce, quindi, per trasformazione di Comunità montana. Processo oggi concluso, almeno sul piano formale poichè restano sicuramente aperte tutte le criticità operative di un passaggio, tutt’altro che automatico, dalla gestione delle funzioni proprie delle Comunità montane (per delega regionale) alla gestione delle funzioni fondamentali comunali. Tuttavia, in questo processo potremmo dire che “qualche pezzo si è perso strada facendo” sia perché un’esperienza, Arcipelago Toscano, non è andata
Segue a pag. 7 6
Gestioni associate
I comuni obbligati all’esercizio associato Segue da pag. 6
a buon fine, sia perché non tutti i comuni appartenenti alle precedenti Comunità montane hanno aderito alle Unioni di comuni montani. Sono 18 i comuni appartenenti alle Comunità montane che hanno scelto di rimanere fuori dalle Unioni di comuni montani costituite e, come prevedibile, tra questi la maggior parte non sono sottoposti all’obbligo di gestire in forma associata le funzioni fondamentali, poiché con popolazione superiore ai 3.000 abitanti, tranne alcune eccezioni – evidenziate in rosso nella tabella. In alcuni casi questa mancata adesione probabilmente si spiega, soprattutto, con ragioni di appartenenza politica; in altri casi invece è sorprendente come i comuni che non hanno aderito alle Unioni montane costituite siano poi coinvolti, se non promotori, di processi di fusione di più ampia portata (come nel caso del Casentino). Ritornando alle caratteristiche delle Unioni di comuni costituite, in riferimento alla dimensione demografica e strutturale, occorre tenere presente l’eterogeneità di tali esperienze associative. La dimensione delle Unioni di comuni in Toscana, infatti, varia da Unioni di comuni con circa 8.000 abitanti fino ad Unioni con più di 100.000 abitanti; da aggregazioni compo-
Novembre 2013
ste unicamente da due comuni ad aggregazioni composte da più di dieci comuni. Ma la maggior parte delle Unioni di comuni costituite rientrano in una classe dimensionale che va da 10.001 a 20.000 abitanti, (vedi grafici).
Potremmo dire che esistono alcune esperienze associative più vicine all’idea di un comune unico, per cui l’Unione potrebbe rappresentare un passaggio intermedio verso la fusione, e altri in cui l’Unione nasce dall’integrazione fra diverse realtà comunali diver-
se, ma omogenee in termini di preferenze, caratteristiche culturali e relazioni di vita quotidiana, più vicine queste all’idea toscana del Sistema Economico Locale.
Sono 106 i comuni Toscani obbligati all’esercizio associato, di questi più del 70% è associato tramite Unione di comuni
http://www.flickr.com/photos/andrewrennie
7
Le FUSIONI
Le Fusioni di comuni A cura di Giulia Falcone, Ufficio Studi e Ricerche Anci Toscana
A
d oggi, i comuni toscani che sono stati o sono attualmente coinvolti in processi di fusione sono complessivamente 57, per un totale di 21 ipotesi di fusione. Di queste, 15 proposte sono già state sottoposte a referendum consultivo (tra maggio 2012 e ottobre 2013) e in 7 casi le proposte di fusione sono state convalidate a maggioranza dalla popolazione di ciascun comune interessato: Figline-Incisa (FI), Castelfranco Piandiscò (AR), Fabbriche di Vergemoli (LU), Scarperia e San Piero a Sieve (FI), Crespina Lorenzana (PI), Casciana Terme Lari (PI), Pratovecchio Stia (AR). Nei restanti 8 casi il referendum ha determinato una battuta d’arresto al processo di aggregazione. Questo panorama rappresenta una significativa eccezione nel quadro nazionale, basti pensare che dal 1995 ad oggi, in Italia si contano solo 19 casi di fusione, di cui ben 7 appunto in Toscana, regione peraltro in cui il sistema comunale non si caratterizza certo per una eccessiva parcellizzazione amministrativa (i Comuni italiani con popolazione inferiore a 5.000 abitanti costituiscono il 70% del totale dei comuni italiani, mentre in Toscana tale soglia si abbassa al 47% - dati riferiti alla popolazione 31/12/2009, Istat). Dei 15 referendum svolti, in 8 casi l’ipotesi di fusione ha subito uno stop. Vale la pena soffermarsi sui risultati in cui l’esito della consultazione è stato in maggioranza negativo o non concorde. Fino ad oggi non sono passate le proposte
Novembre 2013
http://www.flickr.com/photos/picturewendy
di fusione di tre o più comuni. Bocciate le ipotesi di Comune unico dell’Elba (in solo un Comune su otto la maggioranza della popolazione ha espresso parere favorevole) del Casentino (solo due Comuni favorevoli su tredici) e dell’Alta Valdera (solo un Comune favorevole su tre). Verdetto non concorde nei restanti 5 casi: a Castel San Niccolò il sì è passato al 94% mentre nel Comune di Montemignaio il 61% della popolazione ha espresso la sua contrarietà a tale ipotesi; a Villafranca prevalgono i sì (88,58%) mentre a Bagnone il 72,47% si è espresso per il no; ad Aulla sì per il 71,30%, mentre a Podenzana prevalgono i no (59,28%) a Campiglia Marittima vince il sì (76,69%) mentre a Suvereto l’82,12% è per il no; a Borgo a Mozzano vota sì il
58,37%, mentre a Pescaglia il 75,38% è per il no. Variegata anche la partecipazione della popolazione ai referendum, in media la percentuale di votanti rispetto agli aventi diritto è stata del 43%, ma con un’ampia varianza, si va da un minimo del 22% ad un massimo del 70%. Complessivamente gli esiti dei referendum e i dati sulla partecipazione, ci suggeriscono che in Toscana il processo di aggregazione dei piccoli comuni è sicuramente stato avviato ed è all’ordine del giorno nel dibattito tra gli amministratori e la popolazione. Ricettività del territorio, per le esperienze di associazionismo intercomunale sviluppato negli anni, e politica regionale orientata ad incoraggiare le fusioni, costituiscono
oggi dei punti fermi in Toscana. Tuttavia, gli esiti negativi o controversi registrati negli 8 casi sopracitati, ci segnalano che tali percorsi sono seri e delicati, pertanto meritano adeguata cautela e preparazione. Da un lato, se i Comuni decidono di intraprendere tale strada, ci sembra imprescindibile attivare un confronto aperto tra cittadinanza coinvolta e amministrazioni, prima della scadenza referendaria, per evitare battute d’arresto che possono sconfinare anche sulle altre forme associative (unioni o convenzioni) e magari risvegliare sentimenti campanilistici. Dall’altro la fusione comporta, com’è noto, la costituzione di un nuovo ente (il Comune unico) i cui passaggi tecnici, organizzativi e gestionali
vanno supportati con strumenti appropriati, come gli studi di fattibilità. In ogni caso già a partire da gennaio 2014 la cartina amministrativa della Toscana si presenterà con 280 comuni (e non più 287) 26 Unioni di Comuni e 125 Comuni con almeno una funzione fondamentale gestita in forma associata. Ma questo quadro è in continuo movimento, basti pensare alle 5 ipotesi di fusione che, ad oggi, non sono ancora approdate al passaggio referendario ma sono in discussione sul territorio: Gaiole in Chianti- Radda in Chianti, Giuncugnano – Sillano, Cantagallo- Vaiano- Vernio, Abetone- Cutigliano- Piteglio- San Marcello Pistoiese, Arcidosso- Castel del Piano, Capolona – Subbiano. Vedi cartina situazione fusioni in Toscana ottobre 2013
8
Servono strumenti per fusioni efficaci Alessandro Cosimi sindaco di Livorno, presidente Anci Toscana
I
le ANCI, che è stata aperta dalla Conferenza nazionale dei Piccoli comuni, abbiamo chiesto con forza l’immediata cancellazione del Patto di stabilità interno per i piccoli comuni, perché non è possibile immaginare di sottoporre alle stesse regole i piccoli comuni e le grandi città. I piccoli comuni non chiedono niente di più e chiedono il rispetto istituzionale. Nel quadro attuale, bisogna costruire una situazione di assoluta novità, che consenta di aiutare il percorso verso le unioni di comuni, aiutare chi vuole la fusione, aiutare a costruire le possibilità di dare
Novembre 2013
I cittadini chiedono comuni più presenti Pierandrea Vanni sindaco di Sorano, coordinatore consulta piccoli comuni Anci Toscana
Bisogna aiutare il percorso verso le unioni di comuni, aiutare chi vuole la fusione, aiutare a costruire le possibilità di dare servizi ai propri cittadini
piccoli comuni sono stati inseriti nel patto di stabilità in maniera sbagliata sia dal punto di vista finanziario che politico istituzionale. Sul piano finanziario, infatti, in questo modo si finisce col paralizzare amministrazioni che già hanno grandissime difficoltà, mentre dal punto di vista politico-istituzionale, se vogliamo spingere i piccoli comuni ad avere una aggregazione per funzioni, dobbiamo dare loro elementi incentivanti per poter spendere in maniera positiva sui propri territori. Per questo, anche nel corso dell’ultima Assemblea annua-
http://www.flickr.com/photos/orensbruli
http://www.flickr.com/photos/creative_tools
ANCI TOSCANA
servizi ai propri cittadini. Per quanto riguarda in particolare le fusioni, mi preme sottolineare che queste non possono realizzarsi come sistema di riduzione della rappresentanza, ma vanno decise dagli stessi territori, secondo le proprie esigenze. Nessuno può obbligare i Comuni a fondersi. Proprio in merito a Unioni e Fusioni di comuni ricordo che Anci Toscana e Regione hanno condiviso un documento “toscano” in cui si chiede al governo, di fornire gli strumenti e le flessibilità necessarie a livello locale per chi decide di unirsi o fondersi.
Mentre i cittadini capiscono che i piccoli comuni costituiscono il loro unico vero punto di riferimento sul territorio, scelte politiche che vengono da lontano, li hanno depotenziati
O
ggi ci troviamo di fronte ad una situazione contraddittoria. Nei cittadini c’è sempre più bisogno di comuni, perché le persone capiscono che i piccoli comuni, in particolare, costituiscono il loro unico vero punto di riferimento sul territorio. Per questo chiedono più presenza di comuni, vogliono comuni capaci di dare maggiori risposte ai loro problemi. Dall’altra parte ci sono scelte politiche che vengono da lontano, tagli, norme legislative, che hanno depotenziato i piccoli comuni. Bisogna accendere i rifletto-
ri sui piccoli comuni, sui loro problemi ma anche sulle loro proposte. Siamo in parte delusi dalla legge di stabilità. Certamente negli amministratori, forse più che in ogni altra categoria, è ben presente la consapevolezza della crisi, quindi nessuno si aspettava soluzioni straordinarie, però per esempio la richiesta che l’ANCI porta avanti da anni, di togliere il patto di stabilità per i comuni da 1000 a 5000 abitanti, che il coordinatore nazionale ANCI Piccoli comuni Mauro Guerra ha definito una “follia”, è rimasta purtroppo nel cassetto. È vero che c’è un lieve alleggeri-
mento del Patto di stabilità per tutti i Comuni, ma si tradurrà in poca cosa, quindi la nostra richiesta resta prioritaria. Le Unioni di Comuni che sono nate in Toscana da un po’ di tempo, sono un modo per costruire un percorso interessante e significativo anche se faticoso che indica una prospettiva per i piccoli comuni, diversa da quella pur legittima delle fusioni. La Toscana su questo ha lavorato molto ed ha molto da rappresentare e offrire come esperienze concrete al panorama nazionale.
9
FOCUS
Programmazione, integrazione e gestione dei servizi sociosanitari A cura di Michelangelo Caiolfa Federsanità Anci Toscana
La programmazione e i decreti del federalismo fiscale Qualsiasi approccio alla programmazione dovrà confrontarsi con le riforme legate all’attuazione del federalismo, che mutano profondamente le relazioni tra Stato, Regioni e Comuni nelle funzioni fondamentali come il sociale. A ciascun livello di governo corrisponde un insieme di funzioni fondamentali obbligatorie che, a regime, non saranno più finanziate dai trasferimenti statali ma dall’insieme dei tributi assegnati direttamente a quel dato livello (con in più i fondi di perequazione). Malgrado costituisca una riforma strutturale del Paese, questo proces-
Novembre 2013
so è ancora dall’esito incerto, con il rischio che le profonde disuguaglianze territoriali, in questa situazione di crisi, si consolidino, a meno che non si articoli, tra il livello regionale e quello locale, un sistema di programmazione con obiettivi convergenti. Possono, dunque, giocare un ruolo importantissimo gli Obiettivi di servizio, di cui il PSSIR contiene una primissima definizione in ambito sociale, che andrebbe consolidata dando vita a una azione programmata, in stretta collaborazione con Comuni e Anci. Passaggio delicatissimo poiché il rapporto tra Obiettivi di servizio e Risorse realmente disponibili resta l’unica strada pragmatica per comporre un quadro chiaro delle attività di base e dei
bisogni prioritari a cui rispondere. La finalità degli strumenti di programmazione in ambito sanitario, socio-sanitario e sociale Occorre ridefinire la finalità generale della programmazione a qualsiasi livello di governo. La sua funzione originale era quella di mettere in relazione la reale dotazione di servizi con i bisogni di un dato ambito territoriale, per poi avvicinare l’intero sistema territoriale agli obiettivi stabiliti. Così si legavano reciprocamente l’organizzazione delle reti regionali e le caratteristiche peculiari dei territori e delle municipalità, al fine di conseguire ulteriori livelli di cittadinanza. Ultimamente le funzioni regionali di
programmazione, invece, sono state utilizzate per premiare direttamente chi produce di più. In questa accezione, la programmazione si lega prevalentemente alla capacità di erogazione standardizzata e rilevabile in automatico attraverso dei flussi informativi. Tendenza materializzatasi nell’area della non autosufficienza, in cui lo spirito e la lettera della L.R. 66/2008 sono stati ormai rimessi totalmente in questione dalle pratiche quotidiane, senza alcuna discussione pubblica in materia. Per quanto riguarda le materie sanitarie, nell’attuale condizione di quasi totale sospensione degli strumenti di programmazione, è in corso una sorta di “rovesciamento delle finalità”, in cui,
in assenza di quelli veri, sono i target della valutazione ad essersi affermati come obiettivi di fatto della programmazione. “Una programmazione non si nega a nessuno” La programmazione dovrebbe esprimere la capacità delle istituzioni di produrre una visione del futuro, unita al governo concreto del quotidiano: meno si utilizzano i luoghi della governance e gli strumenti di programmazione e partecipazione, più si amplificano le spinte localistiche e divergenti. Ciascun soggetto è portato a giocare per sé e a spingere sull’obiettivo più immediato. In campo sanitario, invece, è essenziale riferirsi a programmi stabili di lungo periodo per costruire sistemi di servizio compiuti, in attuazione di politiche pubbliche evolute. Per questo è indispensabile creare fiducia e competenza tra gli interlocutori istituzionali, professionali, sociali. Per la Toscana non si tratta di cose nuove: la tenuta del sistema, qui, si è sempre basata sulle risorse delle comunità, sulla capacità di rappresentanza delle istituzioni, sul confronto e sul dialogo sociale. Sono temi su cui occorrerebbe intraprendere una lucida e comune opera di ricostruzione che investa contemporaneamente il piano istituzionale, quello tecnico-professionale e quello comunitario.
10
Le buone idee in giro per il web
ALTRI MERIDIANI
a cura di Guendalina Barchielli
Mense a rifiuti zero
Quando l’asfalto è eco
In tutta Italia si gioca la scommessa per eliminare la plastica dalle scuole, tra stoviglie biodegradabili e riuso. Tra le città virtuose, l’ultima in ordine cronologico è Vicenza
L
e prime sono state Firenze e Bologna, poi Napoli, dove il 50 per cento delle stoviglie nelle mense scolastiche è biodegradabile e l’altra metà riutilizzabile poiché portate da casa. Adesso è il turno di Vicenza che ha detto addio alla plastica nelle proprie mense scolastiche. Nelle scuole vicentine è, infatti, partito il progetto ‘Zero rifiuti in mensa’, che si propone di eliminare i piatti e le stoviglie di plastica dalle mense, risparmiando sul costo degli appalti e tagliando anche i costi a carico delle famiglie. Un ritorno al passato, quando i bambini portavano da casa piatti, posate e bicchieri. Un modo per rendere la gestione dei rifiuti più snella, impat-
tando meno sull’ambiente dato che consentirà di eliminare le 14 tonnellate di rifiuti rappresentate dal sistema usa e getta delle mense scolastiche. La decisione dell’amministrazione consentirà anche, alle famiglie, di ridurre il costo del singolo pasto, oggi pari a 4,50 euro ma deve superare le perplessità degli insegnanti e del personale delle scuole. A Torino, invece, l’Amministrazione confida nel raggiungimento della “plastica zero” entro la fine dell’anno mentre a Perugia una raccolta firme propone l’uso esclusivo di stoviglie biodegradabili nelle scuole, principio che la Regione Sicilia ha affermato qualche mese fa con una legge regionale ad hoc.
Novembre 2013
Dall’Olanda arriva l’asfalto che cattura lo smog, demolendo le sostanze inquinanti grazie al sole e ad uno speciale rivestimento
A
rriva dall’Olanda una piccola rivoluzione che potrebbe cambiare le nostre strade e le città. Si tratta di una pavimentazione stradale che demolisce le sostanze inquinanti con l’aiuto dell’energia solare. Uno speciale rivestimento in biossido di titanio (TiO2), in pratica una polvere cristallina incolore, è in grado di utilizzare come catalizzatore la luce solare per convertire alcuni agenti inquinanti, come il monossido e il biossido d’azoto, in sostanze chimiche meno pericolose, come i nitrati. La scoperta, realizzata da un gruppo di ricercatori dell’Università di Eindhoven,è stata pubblicata sul Journal of Hazardous
Materials. Gli scienziati hanno raccolto per un anno i dati nella zona in cui l’asfalto era stato rivestito con il biossido di titanio, mettendoli a confronto con quelli relativi ai quartieri vicini, dove l’asfalto non era rivestito da biossido di titanio. I risultati sono stati sorprendenti: l’area rivestita con la pavimentazione fotocatalitica ha ridotto l’inquinamento da ossidi d’azoto del 45% nelle giornate poco umide e molto soleggiate, con una media in media del 19%. Risultati che hanno spinto anche la città di Chicago ad adottare l’asfalto fotocatalitico per 3 km di piste ciclabili e i marciapiedi, tratta già ribattezzata la “strada più verde d’America”.
Parco di Plinio: il quartiere eco-friendly Quartiere ecosostenibile a Roma. In arrivo case in legno ed energia pulita al Parco di Plinio, nuovo quartiere alle porte della capitale
A
rriva a Roma la bioedilizia: vicino alla pineta di Castel Fusano sta nascendo Parco di Plinio, un quartiere ecosostenibile, con case in legno, di cui molte ancora in corso d’opera, ma diverse già realizzate. Nel nuovo quartiere ecosostenibile tutto sarà di legno, sia le 160 unità immobiliari, sia l’asilo nido e la scuola materna, compreso anche l’edificio più alto, alto 5 piani. La realizzazione delle case si basa sull’assemblaggio di unità in legno massiccio o lamellare, con strutture
di fondazione in cemento armato; le finiture e le metrature dei singoli locali sono invece modulabili su richiesta. Anche l’interno degli edifici è interamente stato progettato econdo i principi di sostenibilità ambientale e risparmio energetico: il 100% di produzione di acqua calda sanitaria, riscaldamento e climatizzazione è ottenuto, infatti, grazie ad un impianto di trigenerazione, ossia che produce energia elettrica e consente di recuperarla e riutilizzarla per impianti termici.
11
Lampedusa: per non dimenticare Simone Ferretti Responsabile Immigrazione Arci Toscana
Negli ultimi venti anni 20mila persone hanno perso la vita attraversando il Mediterraneo. Crediamo che non sia più rinviabile un’analisi attenta di quanto abbiano prodotto le politiche europee e italiane sul diritto di asilo
nale del ricordo delle vittime del mare. In secondo luogo, crediamo che non sia più rinviabile un’analisi attenta di quanto abbiano prodotto le politiche europee e italiane sul diritto di asilo. Spesso una serie di provvedimenti parziali hanno mostrato limiti e contraddizioni di un modello tutto rivolto a arginare gli abusi e sacrificare i diritti. Forse oggi è auspicabile una sorta di capovolgimento della prospettiva con cui si è affrontato il fenomeno degli sbarchi. Non farebbe male ricordare che nonostante tutto abbiamo assistito e assistiamo a costanti violazioni di diritti umani alle frontiere terrestri, aeree e marittime. Per questo pensiamo che sia prioritario intervenire per impedire, nelle frontiere terrestri e marittime, la violazione del principio di “non refoulement” e, quindi, garantire l’accesso alla procedura a tutti coloro che vogliono presentare domanda di asilo.
È
passato poco più di un mese da quando gli oltre 250 morti nel mare di Lampedusa hanno scosso le coscienze in Italia e nel mondo. Per alcuni giorni, a partire dal 3 ottobre, nel nostro Paese si sono accesi i riflettori sul dramma dei naufragi nel Mediterraneo. La discussione si è addirittura spinta in ambiti che ne-
Novembre 2013
gli ultimi anni sembravano intoccabili: dall’abrogazione della Bossi-Fini alla critica verso le politiche italiane e europee per il controllo dei confini, fino alla pagina del diritto d’asilo. Oggi l’attenzione è di nuovo calata. Ma pensiamo che i punti emersi in occasione di quella tragedia non debbano uscire completa-
mente dall’agenda politica. E allora è innanzitutto opportuno non dimenticare un numero che offre la misura della drammaticità della questione: negli ultimi venti anni 20mila persone hanno perso la vita attraversando il Mediterraneo. Anche per questo, è giusto sostenere la proposta di proclamare il 3 ottobre giornata nazio-
Ma in primo luogo servono nel nostro paese procedure certe. Per questo abbiamo presentato una proposta per una legge quadro sull’asilo. I punti principali sono:
• La rinuncia a qualunque forma di detenzione/trattenimento dei richiedenti asilo (non dovranno più essere previsti C.A.R.A. , i migranti che inol-
trano la domanda di asilo dopo un provvedimento di allontanamento o di respingimento differito non saranno più detenuti in un CIE. Per i richiedenti asilo è previsto un obbligo di domicilio, collegato all’effettiva possibilità di inserimento lavorativo e sociale, sino alla definizione della domanda di asilo); • Strumenti per rendere visibile le condizioni dei richiedenti asilo vittime di torture o di violenze; • Una riforma delle Commissioni Territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato che le renda autonome e che individui i componenti nell’ambito delle persone di riconosciuta competenza, autorevolezza e indipendenza, nonché una più precisa indicazione delle motivazioni sia in fatto che in diritto delle decisioni assunte; • Maggiore attenzione e maggiori garanzie nei confronti dei minori stranieri non accompagnati; • L’effettiva tutela giurisdizionale in caso di ricorso avverso la decisione negativa della Commissione; • Il passaggio da una protezione formale ad una protezione sostanziale; • Assicurare un sistema di accoglienza certo per richiedenti asilo e rifugiati che li segua durante tutto il loro percorso.
12
La voce di AncI
Un Sistema di accoglienza integrata che funziona A cura di Guendalina Barchielli
Bisogna intervenire alla fonte di questi paesi per poter impedire che un fenomeno naturale che appartiene alla storia dell’Europa diventi una tragedia
Fassino chiede che il Governo si confronti con chi quotidianamente si trova a gestire i problemi dell’immigrazione: i sindaci Un confronto tra ANCI, Governo e una delegazione di Sindaci delle Città metropolitane per concordare le misure da intraprendere per affrontare e risolvere quanto prima i problemi legati all’immigrazione, come “stabilire se rinnovare il permesso di soggiorno per motivi umanitari riconosciuto nel corso dell’Emergenza Nord Africa e ormai in scadenza e definire un piano di
interventi che contribuisca ad alleggerire la pressione sulle aree metropolitane, offrendo delle alternative al fenomeno delle occupazioni’’. Queste le richieste del presidente dell’ANCI, Piero Fassino, al Ministro dell’Interno Alfano. “I recenti fatti tragici di Lampedusa – si legge nella lettera di Fassino - hanno messo sotto gli occhi di tutti ciò che avviene da anni nel Mediterraneo, con particolare riferimento alle modalità drammatiche con cui i migranti arrivano in Italia in cerca di protezione. Per la prima vol-
Novembre 2013
ta l’Europa sta dimostrando di accettare un ruolo di condivisione di responsabilità su questi temi e il primo risultato è la Risoluzione del Parlamento Europeo del 23 ottobre’’. Dopo aver riconosciuto “l’importante risultato, fortemente voluto dal Ministero dell’Interno, dell’ampliamento della capienza del Sistema SPRAR da 3.000 a 16.000 posti’’ Fassino evidenzia come “gli arrivi dei migranti in Italia nel 2013, fino ad oggi, sono stati di 36.000 persone, per la maggior parte dei quali richiedenti asilo’’. Senza dimenticare
che “oltre agli arrivi del 2013, sono molti i migranti titolari di una protezione che, al termine dell’accoglienza nel circuito Emergenza Nord Africa, sono rimasti sul territorio nazionale senza aver definito un percorso di autonomia. Ciò ha prodotto, soprattutto nelle aree metropolitane di Roma, Torino e Milano, situazioni di grave degrado, arrivate sino all’occupazione abusiva di interi immobili’’. Non agire più sull’onda dell’emotività “Non è possibile né plausibile
che ci si occupi di questioni di immigrazione ogni qualvolta emerge un problema; “non è possibile che sia il fattore emotivo a governare la situazione; bisogna intervenire alla fonte di questi paesi per poter impedire che un fenomeno naturale che appartiene alla storia dell’Europa diventi una tragedia”. Così il sindaco di Livorno e presidente di Anci Toscana Alessandro Cosimi, vicepresidente del Comitato delle Regioni, è intervenuto lo scorso 8 ottobre a Bruxelles, a nome della Delegazione italiana, alla
riunione plenaria del Comitato delle Regioni, sulla questione del naufragio avvenuto sulle coste di Lampedusa dello scorso 3 ottobre. Da Cosimi il richiamo ad una risposta, a livello comunitario, che sia di tipo politico e non di stampo poliziesco e repressivo. In sostanza, secondo Cosimi, “l’Europa deve farsi carico di governare questo problema che non può essere lasciato a chi per questioni puramente geografiche si trova ad affrontare per primo l’emergenza”. Il riferimento è agli Enti Locali, il cui ruolo è tra i più difficili dato che “si trovano ad affrontare in prima battuta questioni drammatiche, trovando, nel momento iniziale dell’emotività, partecipazione e vicinanza massiccia, ma poi successivamente si trovano da soli a gestire la quotidianità”. Per questo Cosimi ha auspicato che il Comitato delle Regioni apportasse un contributo alla politica dell’Unione Europea in tempi brevi, ma oggi, a più di un mese dalla tragedia in cui hanno perso la vita 363 persone, stiamo ancora aspettando un cenno da Bruxelles.
13
SPRAR
La solidarietà della Provincia di Firenze Sara Denevi Anci Toscana
“Abbiamo avvertito nella comunità e nelle istituzioni commozione e la necessità di avviare una riflessione efficace, una discussione utile affinché si giungesse ad una presa di posizione di aiuto a voltare pagina su fatti che non devono ripetersi” E’ con queste parole che Giuseppe Carovani commenta la risoluzione di cordoglio e solidarietà per le vittime del tragico naufragio di Lampedusa proposta in Consiglio provinciale lo scorso 7 ottobre. Il Presidente della Quinta Commissione Consiliare della Provincia di Firenze ha proposto, infatti, la risoluzione che è stata approvata a larga maggioranza. “La risoluzione - continua Carovani - è stata definita anche alla luce del dibattito avviato al Parlamento Europeo, in questo particolare momento in cui emerge con forza la necessità di superare l’approccio che considera le politiche migratorie in ottica di respingimento, trascurando l’opportunità di un atteggiamento di apertura per tutti coloro che sono in regola con i titoli di soggiorno e quello di definire adeguati sistemi di accoglienza per i richiedenti asilo”. “I sistemi di rafforzamento delle frontiere -
Novembre 2013
specifica ancora Carovani- non sono la giusta risposta alla complessità della situazione e, in tal senso, i flussi migratori trovano canali dagli esiti drammatici mentre rimangono inalterate le cause che spingono i migranti ad affidarsi ai trafficanti poichè non è regolamentata la possibilità di entrare regolarmente nel nostro territorio. Questo tipo di respingimenti non è solo limitativo ma porta alla dispersione di risorse che potrebbero essere impiegate per avviare canali umanitari adeguati e utili”. Occorre secondo il Presidente della Quinta Commissione Consiliare della Provincia di Firenze un cambiamento radicale, un’Italia e un’Europa più giuste ed inclusive. Per tale ragione, in conclusione, menziona quanto nel nostro Paese deve cambiare a livello normativo: “la Legge Bossi Fini è figlia di una visione utilitaristica dell’immigrazione che si scontra con la realtà di oggi e insieme al pacchetto sicurezza, con il reato di immigrazione clandestina, si rivelano leggi che mostrano tutta la loro inadeguatezza”.
Le altre iniziative di solidarietà Guendalina Barchielli Anci Toscana
D
al progetto Melting Pot Europa, progetto di comunicazione indipendente che si occupa di immigrazione, arrivano due appelli, uno per l’apertura di un canale umanitario fino all’Europa per il diritto d’asilo europeo affinché chi fugge dalla guerra possa chiedere asilo alle istituzioni europee senza trovarsi costretto ad alimentare il traffico di essere umani e uno per la stesura della “Carta di Lampedusa”. Dall’associazione arriva alle istituzioni europee la richiesta di un cambiamento radicale nella politica di controllo delle frontiere e di gestione delle crisi umanitarie che converta le operazioni di pattugliamento in operazioni volte al soccorso delle imbarcazioni, che apra canali umanitari che permettano di presentare le richieste di protezione direttamente alle istituzioni europee presenti nei Paesi Terzi per ottenere un permesso di ingresso nell’Unione. L’associazione denuncia la necessità di riscrivere le regole della politica di accoglienza dell’Europa, e propone un grande meeting tra associazioni, collettivi, organizzazioni e singoli per costruire una campagna nazionale ed europea per un’Italia senza la legge Bossi-Fini, per un’Europa diversa, senza respingimenti, cittadinanze negate e diritti violati. E propone come luogo di incontro per la stesura di quella che chiama la “Carta di Lampedusa”, proprio l’isola che in questi anni ha dovuto subire le scelte della politica europea, affinché diventi invece motore di un’ipotesi di cambiamento.
14