building castles in the sky
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Parma
La Fondazione, gli organizzatori e i curatori desiderano chiarire che l’artista conosciuto come Banksy non è coinvolto in questa mostra e non ha fornito alcun avallo o supporto, né opere d’arte per questa esposizione. Le opere d’arte e gli oggetti presentati in mostra provengono esclusivamente da collezionisti privati. Foundation, organisers and curators wish it to be clear that the artist known as Banksy is not involved in this exhibition and has not provided any endorsements or support nor artworks for this show. The artworks and objects presented in the exhibition are all from private collectors only.
An unauthorized exhibition
Palazzo Tarasconi, Parma, 18.9.2021 - 16.1.2022 a cura di Stefano Antonelli, Gianluca Marziani, Acoris Andipa, Marzio Dall’Acqua
building castles in the sky
con la partecipazione di Vittorio Sgarbi sotto la supervisione di Augusto Agosta Tota
Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma
Comitato di studio per la mostra
Associazione MetaMorfosi
Augusto Agosta Tota Presidente
Giampaolo Cagnin Marzio Dall’Acqua Franceschina Mancino Coin Vittorio Sgarbi Fulvio Villa
Pietro Folena Presidente
Anita Molinari Vicepresidente Mario A. Fiori Segretario Generale Segreteria Giulia Modafferi Ufficio stampa Wainer Cantoni Comitato di studio Vittorio Sgarbi Presidente Marzio Dall’Acqua Direttore Augusto Agosta Tota Pascal Bonafoux Luigi Cavallo Dalia Gallico Gianfranco Marchesi Renzo Margonari Gabriele Mazzotta Carlo Arturo Quintavalle Michele Saponara Marco Scansani
Comitato organizzativo Augusto Agosta Tota Sergio Agosta Tota Wainer Cantoni Mario Alessandro Fiori Corrado Galloni Angelo Leidi Anita Molinari Giulia Modafferi
Vittorio Faustini Direttore Generale Ufficio mostre Chiara Barbapiccola Responsabile del progetto Elisa Infantino Guido Iodice Giuliana La Verde Ufficio stampa e comunicazione Maria Grazia Filippi Responsabile amministrativo Antonio Opromolla Consulenza legale Andrea Catizone Assicurazione
Trasporto Montenovi srl Allestimento Katana Service Traduzioni Parole Sas Progetto grafico 4DRG, Roma Stampa tipografica Ex Press Srls
Parma 2020+21, Capitale Italiana della Cultura è un programma della Città di Parma Sostenuto e messo in opera con il contributo di Ministero della Cultura Regione Emilia-Romagna Comune di Parma Fondazione Cariparma Comitato per Parma 2020 e in collaborazione con Provincia di Parma Università degli Studi di Parma Diocesi di Parma Destinazione Emilia con la partecipazione attiva del sistema pubblico e privato di tutto il territorio Il Sindaco del Comune di Parma Federico Pizzarotti La Giunta Michele Alinovi, Tiziana Benassi, Marco Bosi, Cristiano Casa, Marco Ferretti, Michele Guerra, Nicoletta Paci, Laura Rossi, Ines Seletti Il Presidente del Consiglio Comunale Alessandro Tassi Carboni Il Direttore Generale Marco Giorgi
Strategia e indirizzo di Parma 2020 Michele Guerra, Assessore alla Cultura e Politiche Giovanili del Comune di parma
Presidente del Comitato per Parma 2020 Federico Pizzarotti
Direzione tecnico-amministrativa Flora Raffa, Dirigente Settore Cultura e Giovani del Comune di Parma
Vicepresidente Paolo Alinovi
Realizzazione operativa Francesca Brugnoli, Responsabile Giovani e industrie creative; Cristina Calidoni, Responsabile Eventi e attività espositive; Mascia Pelosi, Responsabile Turismo; Silvana Randazzo, Responsabile Sistema Museale; Paola Spadoni, Responsabile Sistema Bibliotecario Gabriele Agnetti, Luca Amadasi, Clara Armani, Francesco Bacchini, Matteo Barbacini Carlotta Beghi, Eleonora Benassi, Rita Bertoncini, Cesare Bertozzi, Federica Biancheri, Daniele Biacca, Danila Bigi, Laura Borrini, Chiara Cabassi, Manuela Calderini, Rachele Camisa, Paola Cantarelli, Gianni Cassano, Lucia Cavalieri, Giorgia Cavazza, Enrica Chierici, Enrico Cossu, Carlotta Costa, Lorella Del Monte, Annalisa Fanfoni, Annalisa Fiorani, Beatrice Formentini, Matteo Fornari, Irene Fossa, Anna Fragni, Simone Galli, Cristina Gnudi, Laura La Brusco, Barbra Magni, Antonella Magri, Pamela Marenghi, Silvia Martinelli, Antonella Mazzeo, Lorenzo Melegari, Anna Mezzadri, Francesca Monaco, Roberto Montali, Maria Paola Ocello, Stefania Oppici, Barbara Pecchini, Marina Pedrelli, Marco Pegazzano, Andreana Pelizzoni, Marialberta Piazza, Mariangela Regazzi, Maria Cristina Robuschi, Marcello Rosselli, Vanni Sacchetti, Francesca Spagnolo, Stefanie Tramacere, Giancarlo Zanacca, Giulietta Zoni, Alessandro Zuccaro.
Consiglieri delegati Marco Alessandrini, Luigi Amore, Corrado Beldì, Isabella Benecchi, Domenico Capitelli, Giovanni Centurelli, Roberto Confalonieri, Vittorio Dall’Aglio, Carla Dini, Gabriele Folli, Rossana Iezza, Marco Pasquali, Augusto Schianchi Direttore Ezio Zani Coordinamento progetti e strategie culturali Francesca Velani, Vicepresidente Promo PA Fondazione Responsabile strategie, marketing, immagine e comunicazione Amedeo Palazzi, Fachiro Rapporti con le imprese Giulia Miriam Tella, Segretario generale “Parma, io ci sto!” Giovanni Pellegri, Unione Parmense degli Industriali Segreteria organizzativa Mauro Rizza, Responsabile Francesca Pizzo Tatiana Ughi Revisione dei Conti Luca Laurini Ufficio Stampa Delos
Mostra e catalogo a cura di Stefano Antonelli Gianluca Marziani Acoris Andipa Marzio Dall’Acqua con la partecipazione di Vittorio Sgarbi sotto la supervisione di Augusto Agosta Tota Catalogo edito da Sagep Editori
Tra le novità più felici di Parma Capitale Italiana della Cultura 2020-2021 spicca il solido rapporto che si è creato tra il Comune di Parma e la Fondazione Archivio Antonio Ligabue, presieduta da Augusto Agosta Tota e che ha sede nella nostra città. Insieme alla Fondazione Ligabue abbiamo assistito alla valorizzazione di uno spazio espositivo del tutto inedito e sorprendente come quello di Palazzo Tarasconi, che ha consentito non solo di riscoprire uno dei luoghi più ricchi di storia della nostra città, ma anche di constatare, una volta di più, come il dialogo tra le opere d’arte e i luoghi che le ospitano debba restituire un’armonia che ci trattiene come sospesi tra le ragioni delle opere e quelle delle sale storiche, fino al punto in cui il linguaggio delle une e delle altre sembra parlarci delle stesse cose. Così è stato con la mostra, di notevole successo, che ha accostato Antonio Ligabue a Michele Vitaloni e così si vuole ora, portando a Palazzo Tarasconi Banksy. Building Castles in the Sky. La relazione tra le opere e gli spazi, la diversa natura delle une e degli altri, è in fondo ciò che l’arte di Banksy – non solo in questa missione – ci ha aiutato a riconsiderare nel corso degli ultimi decenni. Il pensiero critico, la testimonianza politica, l’ironia unita all’impegno civile, ma non meno le pratiche di attraversamento estetico dei contesti in cui si interviene, hanno fatto di Banksy e del suo mistero una enorme proposta culturale, un sistema concettuale che, pur traendo forza dal rimanere programmaticamente “fuori”, non perde la sua carica oppositiva nemmeno nella forma più istituzionalizzata della mostra, che propone oltre 100 opere dell’artista britannico. Mi piace pensare che gli spazi ipogei e labirintici di Palazzo Tarasconi, quasi notturni e misterici, siano spazi che avrebbero in ogni caso attirato l’attenzione di Banksy e che l’immersione nei tragitti e nei contesti dei suoi segni ci permetta, riemergendo al livello della città, di guardare con occhi diversi le fatiche del vivere insieme la nostra contemporaneità. Michele Guerra Assessore alla Cultura e alle Politiche Giovanili del Comune di Parma
Con la mostra Ligabue & Vitaloni. Dare voce alla natura, organizzata dalla Fondazione che presiedo, è iniziata una nuova avventura, con prospettive originali ed importanti: verificare la possibilità di gestire gli affascinanti spazi monumentali delle cantine di Palazzo Tarasconi in Parma con mostre di grande qualità. La prima esposizione che li ha inaugurati è durata dal 17 settembre 2020 al 29 agosto 2021, coprendo in gran parte il biennio in cui Parma è stata “Capitale italiana della cultura”, purtroppo con diverse interruzioni causate dalla pandemia. Ha comunque dimostrato le potenzialità di questi straordinari ambienti labirintici duttili nell’adattarsi a molteplici soluzioni espositive, pur mantenendo il loro carattere elegante e artistico, nel rigoroso recupero filologico che ne è stato fatto. Questa mostra dedicata a Banksy continua, per la sua importanza e valore, la sperimentazione dell’uso del palazzo tardocinquecentesco per accogliere grandi eventi e importanti iniziative per arrivare ad accordi e progettazione che ne garantiscano il futuro, attraverso la disponibilità del proprietario Corrado Galloni. La via in cui è collocato il Palazzo diventa sempre più importante per la presenza di più poli culturali che ne potrebbero garantire una forte vitalità anche turistica. L’esposizione dedicata ad un artista insieme misterioso eppure così comunicativo come Banksy, al punto da essere divenuto una icona internazionale, rappresenta la giusta conclusione della stagione travagliata, ma anche appassionata, del periodo in cui Parma è stata “capitale italiana della cultura” ed è coerente con la prima proposta che abbiamo fatta di Ligabue, artista altrettanto eccentrico ormai apprezzato e conosciuto a livello internazionale, che unisce un linguaggio “popolare” a soluzioni “colte”, che comunica con immediatezza a diversi livelli interpretativi. Un Ligabue che, ricordo, si è fatto conoscere per la prima volta per i grandi animali che disegnava sui muri degli edifici di Gualtieri. Di un gruppo di maiali delineati con il carbone, che le facevano paura, parlò Pia Mazzacurati al marito, il pittore e scultore Marino Renato, che al contrario volle conoscere personalmente Toni e, ospitandolo, iniziò una vicenda di protezione e di sostegno durata una vita. Ovviamente non era street art, ma solo un grido per le strade per richiamare l’attenzione su di sé, sul suo mondo fantastico, un’attenzione di cui un artista ha sempre bisogno. Ancor più che per la mostra di Ligabue il Comune di Parma sarà al nostro fianco per sostenere la nostra esposizione con alcune decine di manifestazioni collaterali, per cui ringrazio l’assessore alla cultura prof. Michele Guerra, il consigliere Leonardo Spadi che ha costruito il programma a latere, l’avv. Ezio Zani presidente del Comitato Parma 2020+21 che ci sostiene e naturalmente, last but not least, il dott. Pietro Folena, presidente dell’Associazione Culturale MetaMorfosi e tutto il suo staff che con me ed i miei collaboratori hanno contribuito alla realizzazione di questo evento. Questi appoggi e sostegni faranno di questa iniziativa un momento collettivo, pubblico ed insieme civico per le problematiche che sottende, per un richiamo che vada ben oltre quella che può apparire solo una rassegna artistica di grande qualità. Augusto Agosta Tota Presidente Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma
Nell’ambito della manifestazione Parma Capitale della Cultura Italiana 2020/2021, mossa da una forte coscienza civica e da un autentico sentimento istituzionale, Fidenza Village ha avviato un articolato percorso di sinergie con le Istituzioni e i partner locali volto a raccontare, valorizzare e comunicare al di fuori dei suoi confini il palinsesto di attività e iniziative culturali promosse nel territorio. Sfruttando la capacità narrativa e la centralità del proprio posizionamento, il villaggio ha saputo affermarsi infatti non solo come destinazione shopping, ma come vera e propria “impresa di divulgazione culturale”. Ed è proprio grazie alla capacità di portare l’Arte e soprattutto i suoi messaggi oltre i confini istituzionali ad essi designati che nasce l’idea di proporsi come partner ufficiale della mostra Bansky. Building Castles in the Sky dedicata al più celebre e anonimo interprete della street art contemporanea. Ma l’Arte, soprattutto quella urbana, va vissuta e non semplicemente osservata da lontano; il suo linguaggio ha radici profonde e si esprime ancora oggi in tutta la sua forza come strumento per sensibilizzare, partecipare, divulgare, conoscere e riconoscere i valori del mondo che ci circonda. Riappropriarci della città, dei suoi spazi e dei suoi volumi, osservarli, riqualificarli, ridargli vita, significato e colore. Ed è proprio da questa riflessione che nasce l’idea di dedicare all’interno del microcosmo urbano del villaggio un inedito tributo alla street art. Una collettiva di street artist internazionali è protagonista di una narrazione intima e corale allo stesso tempo, in cui l’arte si fa installazione scenografica, trasformando le vie e i viali del villaggio in un memorabile palcoscenico a cielo aperto. Uno scenario metaforico e un’ambientazione immersiva caratterizzano questo percorso espositivo site specific pensato per celebrare in maniera ironica e simbolica la ri-nascita di un condiviso sentimento di comunità. Davide Rampello Direttore Artistico Fidenza Village
“La vita, e la realtà, è storia e nient’altro che storia” scriveva Benedetto Croce. Il Gruppo Monrif rappresenta oltre 160 anni di storia, raccontati da tre autorevoli giornali, il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno, con un’anima comune, QN Quotidiano Nazionale. Indipendenti e credibili, capaci di testimoniare grandi fatti di cronaca e di politica e, contemporaneamente, narrare la vita di tutti i giorni dei cosiddetti “centri minori”. Ci piace immaginarci come parte di ogni singola famiglia, per la quale vogliamo essere un momento di riflessione e informazione. E per questo impegnati a sostenere le iniziative del territorio, con una particolare attenzione a quelle culturali. E i nostri lettori premiano con la loro fedeltà un racconto puntuale e obiettivo di tutto ciò che accade e li interessa, dalla cronaca alla cultura, dalla politica all’ambiente. Il grande lavoro che stiamo portando avanti è quello di essere sempre più al passo con i tempi e le loro esigenze, proiettandoci verso il futuro dell’informazione, consci della necessità di adeguarci allo sviluppo delle nuove tecnologie, per mantenere il nostro ruolo di leadership. Stiamo sviluppando una politica di integrazione tra la carta e l’on-line che ci permetterà di continuare a offrire ai lettori un’informazione tempestiva e di qualità, mettendo a loro disposizione gli strumenti per fruire dei contenuti nel modo a loro più congeniale, nel solco di quotidiani che si è storicamente contraddistinto per la ricerca e l’innovazione in un settore, come quello dell’informazione, da sempre in bilico tra passato e presente. Andrea Riffeser Monti Presidente Monrif
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BANKSY E IL MULTIPLO AMAZONICO
BANKSY AND THE AMAZON MULTIPLE
La modalità con cui Banksy produce e vende le sue opere merita un’attenta riflessione. Va indagata la sua strategia virale che accorcia la vecchia filiera e bypassa le gallerie in esclusiva. Qui non si tratta di passaggi casuali ma di azioni calibrate che seguono precisi rituali distributivi. Banksy parte da un allineamento ai movimenti fluidi del mondo e-commerce. Segue le onde strategiche degli oggetti special e limited, la chiave temporanea delle capsule collection, il tempismo delle vendite a countdown. Questo significa orientare la produzione sui modelli di business online, sui sistemi che fanno pushing merceologico attorno ai singoli utenti. Significa ripensare il dialogo tra artista e pubblico, opera e collezionismo, accesso e plusvalore conseguente. Banksy sfida la logica individualista del pezzo unico, creando opere-cluster che moltiplicano la vendita mentre alzano il sentimento d’attrazione, il feticismo morboso, l’ossessione del possesso in un contesto di cloud transnazionali. La singola opera (che Banksy costruisce con la struttura di una complessa operazione, distesa nel tempo e nello spazio) mantiene l’aura dell’unicità pur evitando le logiche esclusive, quelle che in passato favorivano il potere economico rispetto ad una democratica condivisione di contenuti. Con Banksy esistono tanti unicum che splittano l’opera dentro una logica digitale dal profilo liquido; quel tema specifico si moltiplica in una serie timbrata e numerata, non limitandosi alla vecchia cultura grafica ma diventando la nuova idea di multiplo 3.0. In passato si produceva grafica abbordabile di artisti che avevano prezzi elevati su tela, giocando con la logica dei surrogati alternativi, arredando così la storia borghese delle case senza strategia estetica. Il mondo del commercio fluido ha stravolto il sistema dei surrogati artistici, cambiando il profilo linguistico e manageriale degli oggetti preziosi. La grafica anni Settanta si è trasformata in un format autonomo, non più alternativo al pezzo unico ma partecipe di una strategia concettuale dell’artista. Il multiplo di vecchia scuola diventa oggi un multiplo che si plasma sui territori commerciali del web. Da questo momento potremmo chiamarlo, per comodità e sintesi, MULTIPLO AMAZONICO (citando Amazon per la valenza funzionale che hanno gli archetipi).
The way Banksy produces and sells his works deserves careful consideration. The viral strategy that shortens the old supply chain and bypasses exclusive galleries needs to be examined. These are no random steps, but calibrated actions that follow precise distribution rituals. Banksy starts with an orientation to the fluid movements of e-commerce. He follows the strategic waves of special and limited objects, the temporary key of capsule collections, the timing of countdown sales. This means orientating the production to online business models, to systems that push goods around individual users. It means thinking in a new light the dialogue between artist and audience, work and collectionism, access and consistent value creation. Banksy invites the individualistic logic of the unique object, creating cluster works that multiply sales while evoking a sense of attraction, of morbid fetishism, of obsession to own in a context of transnational clouds. The single work (which Banksy builds up with the structure of a complex operation stretched out over time and space) preserves the aura of uniqueness while avoiding the exclusive logic that in the past favoured economic power over the democratic sharing of content. With Banksy, there are many unique pieces splitting the work into a digital logic with a fluid profile; the specific subject is reproduced in a stamped and numbered series that is not limited to the old graphic culture but becomes the new idea of Multiple 3.0. In the past, affordable graphic arts of high-priced artists were produced on canvas who played with the logic of alternative surrogates, furnishing the bourgeois living history without aesthetic strategy. The world of fluid commerce turned the system of artistic surrogates upside down and changed the language and management profile of valuable objects. The graphic art of the seventies has been transformed into an autonomous format that is no longer an alternative to the unique piece, but part of the artist's conceptual strategy. The old-school multiple now becomes a multiple that forms itself on the commercial domains of the web. From now on, for the sake of simplicity and synthesis, it could be called the AMAZON MULTIPLE (with reference to Amazon for the functional value that archetypes have).
Mentre i musei e le gallerie riscrivono il proprio status, gli artisti dotati di exit strategy alimentano l’oggetto amazonico a larga tiratura. Non più solo grafiche su carta o multipli in stile Fluxus ma oggetti per un feticismo worldwide a consegna Prime, gadget belli e possibili, da vivere e indossare a prezzo modico e garantito, frammenti di un e-commerce inclusivo che viralizza l’arte su superfici metamorfiche. In passato si producevano poster di quadri famosi, offrendo il surrogato cheap di un possesso impossibile; oggi Banksy propone la sua serigrafia in alta tiratura ad un piccolo prezzo (con la discriminante della prenotazione a numero chiuso) e, al contempo, offre l’occasione della plusvalenza gigantesca, il colpaccio che solo la democrazia digitale rende praticabile. Sul web paghi un centinaio di euro per un oggetto o una serigrafia ad alta tiratura, rivendibile dopo qualche tempo a cifre molto più elevate. Non è la nuova regola, sia chiaro, ma un limite estremo (dove
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While museums and galleries rewrite their status, exit strategy artists are feeding the Amazon object in bulk. No longer just graphic arts on paper or Fluxus-style multiples, but objects for global fetishism with prime delivery, beautiful and possible gadgets, to experience and wear at a modest and guaranteed price, fragments of an inclusive e-commerce that makes art viral on metamorphic surfaces. In the past, posters of famous paintings were produced, offering the cheap surrogate of an impossible property; today Banksy distributes his silk-screen printings in large editions at reasonable expense (with the discriminant of a limited number of pre-orders) while offering the possibility of a gigantic investment profit, the big coup that only digital democracy makes possible. On the internet, one pays a hundred euros for an object or a silk-
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contano velocità e competenza digitale) che l’arte sta offrendo ad un pubblico sempre più ampio e sempre meno “addetto ai lavori”. La foresta amazonica dei multipli d’autore crea un target di utenti con nuove aspettative, discepoli di un’arte meno spiegata e molto più visuale, tanti piccoli collezionisti che inseguono l’energia globale dei contenuti da social media. L’arte dei multipli si allea con la produzione tipica di opere uniche (che lubrificano il motore finanziario e soddisfano il collezionismo sistemico), una lezione strategica su cui Damien Hirst, Jeff Koons e Maurizio Cattelan hanno fatto scuola. Il gadget d’artista deve molto alle regole distributive della moda e alle regole industriali del design. Le capsule collection, la cultura liquida dei nuovi gender, le edizioni speciali, lo storytelling, la nuova filiera commerciale, il packaging attraente… consuetudini di un fashion thinking che non si limita all’abito ma si estende a tutto l’habitus, al mondo di gadget (utili e, soprattutto, inutili ma belli) attorno ai singoli utenti, un droplet di stimoli virali per i nostri sensi, resi sensibili da algoritmi che si disegnano attorno ai gusti diffusi. Banksy usa l’azione virale al posto delle vecchie regole d’ingaggio. L’artista di Bristol evita il modello divistico del fare poche opere a prezzi esorbitanti, preferendo operazioni in cui l’idea diviene matrice da riprodurre in modi eterogenei. Uno stencil murale può essere serigrafia ma anche gadget di varia specie, un negozio di multipli può essere esperienza di viaggio estremo (i pezzi sul Walled Off Hotel puoi comprarli a basso prezzo ma solo se soggiorni in quest’albergo a Betlemme). Qualsiasi operazione innesca una comunicazione circolare e morbosa, come fosse un play che accende il circuito degli eventi, un effetto domino a rilascio prolungato dove l’immagine è lo spunto per connettere persone, luoghi e oggetti. Banksy provoca gli altri e, al contempo, provoca conseguenze inarrestabili; aziona, di fatto, i suoi editoriali visivi per aumentare il volume della cronaca, dissacrando mentre soppesa il senso morale dell’umanItà. Come ha scritto Borys Groys nel suo “Going Public”: “Ogni progetto si sviluppa nel desiderio di essere ri-sincronizzato al contesto sociale e riscuote successo quando la sincronia così ottenuta riesce a orientare la gente nelle direzioni desiderate”. Dove andrà l’arte dei prossimi anni? Con ottime probabilità verso la costruzione di altri dialoghi, verso un pubblico più smaliziato e consapevole, verso città che somiglieranno a musei diffusi, verso luoghi digitali che ospiteranno le comunità di una nuova specie creativa. Avremo proposte sempre più eterogenee, meno divisioni dogmatiche tra alto e basso, maggior permeabilità tra opera e mondo reale, molte più persone a gestire la nuova filiera 3.0… La Rivoluzione Culturale è appena cominciata…
screen printing with a high edition, which is resold after some time at much higher prices. This is not the new rule, to be clear, but an extreme limit (where speed and digital skills count) that art offers to an ever-wider audience and fewer and fewer “insiders”. The Amazon forest of author multiples creates an audience of users with new expectations, disciples of a less explained and much more visual art, many small collectors chasing the global energy of social media content. The art of multiples is linked to the typical production of unique pieces (which lubricate the financial engine and satisfy systemic collectionism), a strategic lesson that Damien Hirst, Jeff Koons and Maurizio Cattelan have made school of. The artist's gadget owes much to the distribution rules of fashion and the industrial rules of design. Capsule collections, the flowing culture of the new genders, special editions, storytelling, the new retail chain, attractive packaging... the usual fashion thinking, fashion thinking that is not limited to clothing but extends to the entire habitus, to the world of gadgets (useful and above all useless but beautiful) that surround the individual user, a trickle of viral stimuli for our senses, sensitized by algorithms geared to widespread taste. Banksy relies on viral actions rather than the old rules of commitment. The Bristol artist avoids the divine model of producing a few works at exorbitant prices, preferring operations where the idea becomes a matrix that can be reproduced in heterogeneous ways. A wall stencil may be a silk-screen printing, but also gadgets of various kinds, a multiples shop can be an extreme travel experience (the pieces on the Walled Off Hotel can be bought at reasonable expense, but only if you stay at this hotel in Bethlehem). Each process triggers a circular and morbid communication, as if it were a play that sets the cycle of events in motion, a domino effect with prolonged release where the image is the cue to connect people, places and objects. Banksy simultaneously provokes and provokes unstoppable consequences; he actually activates his visual editorials to raise the volume of the news, desecrating the moral sense of humanity in the process. As Borys Groys wrote in his “Going Public”: “Any project arises from the desire to be resynchronized with the social context, and it is successful when the synchronicity thus gained succeeds in steering people in the desired directions”. Where will art go in the years to come? In all probability, it will go towards the construction of other dialogues, towards better informed and more aware audiences, towards cities that will resemble extensive museums, towards digital places that will house the communities of a new creative species There will be more and more heterogeneous proposals, less dogmatic divisions between high and low, more openness between the work and the real world, many more people in the management of the new 3.0 chain... The cultural revolution has just begun...
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IL TEMPO DELLE BANANE
Il progetto espositivo su Banksy, pensato nella sua itineranza sartoriale, procede con la modalità granulare del cluster, ovvero, ogni tappa rientra in un sistema interconnesso nel quale variano alcuni elementi (tema generale, testi critici, struttura del catalogo, opere in mostra, nuovi documenti originali, modalità d’allestimento) all’interno di una medesima strategia curatoriale. L’azione espositiva per Parma utilizza il corpus di opere come un arcipelago cellulare nel quale cambiano gli ordini e si aggiungono ulteriori elementi, definendo una specifica e autonoma narrazione. Un atto di sconfinamento controllato che produce contenuti sempre diversi ma interconnessi, creando interpretazioni che si adattano alle molteplici letture della società odierna. Mettiamo in pratica un processo di cui scrisse Jean-François Lyotard nel suo La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere. Il filosofo parlava di una vita narrativa dopo la metafisica, fatta di molteplici elementi che ci immettono in un crocevia di racconti parziali e sovrapponibili. Nessuno come Banksy permette di applicare tale logica ad un sistema di opere che sono, in realtà, operazioni narrative dal testo aperto, veri e propri cluster dal contenuto plasmabile e mai univoco. Accade con Banksy ciò che ha compiuto Maurizio Cattelan con il progetto della banana sul muro: una purissima azione concettuale che fa da detonatore dentro l’arcipelago di narrazioni plausibili, scatenando una molteplicità di sensi parziali, tutti diversamente logici nei loro ipertesti. Fu Andy Warhol il primo che capì la funzione cluster della banana, usandola sulla copertina di The Velvet Underground & Nico: un metaoggetto semiotico che semplificava la nuova dimensione dell’opera, diventata matrice iconica globale, neurone pop, pelle mimetica per superfici eterogenee (quadro, libro, disco, rivista, oggetti…),
destinata alla riproduzione tecnica di cui parlava Walter Benjamin. Siamo partiti da Warhol per giungere alla riproducibilità rizomatica del concetto: ed è ciò che stanno facendo artisti come Cattelan, Hirst e, appunto, Banksy. Possiamo dirlo senza remore: siamo entrati nel tempo delle banane, un’era in cui la provocazione si fonde con l’azione, l’estetica si fonde con la detonazione, al punto da non distinguere più l’opera tangibile dal suo gemello digitale (conta più la banana di Cattelan vista a Miami o la miriade di immagini sui social della banana?). Banksy, citando Michel Foucault, si situa «nel minuscolo strappo attraverso cui quel che diciamo ci sfugge». Quello strappo è l’ingresso definitivo nell’opera come operazione aperta, una rinnovata narrativa che smuove le nostre certezze e ci obbliga a ripensare una mostra, i suoi contenitori, le tipologie di pubblico e tutte le conseguenze esogene che l’opera(zione) produce.
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THE TIME OF BANANAS
The exhibition project on Banksy, conceived in its tailor-made itinerancy, is going on taking the granular format of a cluster: each step is part of an interconnected system in which some elements vary (general theme, critical texts, catalog structure, works on display, new original documents, preparation modalities) within the same curatorial strategy. Parma’s exhibition action uses the body of work as a cellular archipelago in which the orders have changed and additional elements are added, defining a specific and autonomous narrative. An act of controlled encroachment producing contents which are ever changing but interconnected, creating interpretations which adapt to the multiple readings of today’s society. We put into practice a process described by JeanFrançois Lyotard in his work The postmodern condition. Report on Knowledge. The philosopher spokes about a narrative life after metaphysics, made up of multiple elements channeling us in a crossroads of partial and superposable stories. Nobody like Banksy allows to apply this logic to a system of works being, actually, open-text narrative operations, real clusters with a flexible and never univocal content. What happens with Banksy is what has been accomplished by Maurizio Cattelan with the banana project on the wall: a very pure conceptual action detonating into an archipelago of plausible narratives, triggering a multiplicity of partial senses, all differently logical in their hypertextualiy. Andy Warhol was the first to understand the banana cluster function, using it on the cover of The Velvet Underground & Nico: a semiotic meta-object that simplified the new dimension of the artwork, which became a global iconic matrix, pop neuron, mimetic skin for heterogeneous surfaces (painting,
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book, record, magazine, objects...), intended for the technical reproduction mentioned by Walter Benjamin. We started from Warhol to reach the rhizomatic reproducibility of the concept: and that’s what artists such as Cattelan, Hirst and, precisely, Banksy are doing. We can say it without hesitation: we have entered the time of bananas, an era in which provocation merges with action, aesthetics merges with detonation, to the point that we can no longer distinguish the tangible artwork from its digital twin (does Cattelan’s banana hung in Miami count more than the myriad of images of the banana appeared on the social media?). Banksy, quoting Michel Foucault, stands “in the tiny rift through which what we say eludes us”. That rift is the definitive entry into the work as an open operation, a renewed narrative that stirs our certainties and obliges us to reconsider an exhibition, its boxes, the types of public and all the exogenous consequences that the opera(zione)* produces.
* With “opera(zione)” curators refers to the intrinsic agency status of the artwork but also to the operational procedures affecting the way art is produced and presented
“BANKSY SIAMO NOI” Vittorio Sgarbi
Banksy arriva a Parma, capitale italiana della cultura per due anni, con la mostra “Building castles in the sky”, rigorosamente non autorizzata (anche se è stato ovviamente informato), esposta nei sotterranei antichi di Palazzo Tarasconi. Sono le sue opere più emozionanti, soprattutto per i giovani, dipinti, serigrafie, stencil, proprio gli stessi con cui ha realizzato alcuni dei suoi murales più conosciuti. Ci saranno installazioni originali e manifesti contro la società repressiva. Torneremo tutti studenti, in lotta contro il “sistema”, che non è stato abbattuto, e non è cambiato. È solo mutato (in peggio) come le varianti del virus. Il sistema è contagioso. È una malattia inguaribile della società. Dobbiamo conviverci. Colpo su colpo Banksy ha cercato di contrastarlo. Sono storia del nostro tempo opere e azioni come Dismaland print, Love Is In The Air, Barcode, Monkey Queen, Girl with Balloon, Mickey Snake. Banksy ha le idee chiare. Come Gino Strada. Il male è organico al potere. Non esiste un potere buono. E la società è malata, percorsa da infinite contraddizioni. Quelle che osserva Banksy: “I più grandi crimini del mondo non sono commessi da persone che infrangono le regole, ma da persone che seguono le regole. Sono le persone che seguono gli ordini che sganciano le bombe e massacrano i villaggi”. Questa affermazione, tra le più efficaci di Banksy, sembra lo strumento per affrontare tempi in cui, pure con giustificazioni sanitarie, si è impressa una svolta autoritaria nella vita civile in gran parte del mondo. Banksy non poteva presumerlo ma, in un mondo di contraddizioni, Elon Musk, su posizioni opposte, nella logica di un capitalismo sfrenato, ha interpretato quelle parole con un invito alla disubbidienza rispetto a “regole” autoritarie che hanno arrestato la produzione industriale in molti paesi del mondo. Musk ha invitato a disobbedire alle misure imposte dall’autorità
dello Stato. Musk ha chiesto ai suoi dipendenti di non rispettare la quarantena: “se non volete venire al lavoro, potete stare a casa senza stipendio”. Banksy, con i suoi paradossi, evidenzia in immagini semplici tutte le contraddizioni del potere. Fuori dalle istituzioni, fuori dai musei che lo cercano e a cui impone le sue condizioni. Il museo è la morte delle opere sottratte alla vita delle strade. Banksy ha scelto di dipingere all’aperto, e non “en plein air”, come gli impressionisti. Ma sui muri, come tutti i graffitisti, e senza autorizzazioni: “un muro è un’arma molto potente, è la cosa più dura con cui puoi colpire qualcuno”. Così ha fatto ogni volta che si è trovato davanti a un’emergenza sociale o semplicemente umana: “mi piace il fatto di far pensare di avere il fegato di far sentire la mia voce in forma anonima in una democrazia occidentale, ed esigere cose in cui nessun altro crede come la pace, la giustizia e la libertà”. E chi non ci crede, ci inganna fingendo di crederci. Come la parte migliore di noi, Banksy difende i principi che hanno rappresentato la nostra romantica giovinezza contro la guerra, contro il capitalismo, l’autoritarismo, il militarismo, contro i muri. Eppure, inevitabilmente, com’è toccato ai dadaisti, a Piero Manzoni, anche Banksy è sottilmente subordinato al mercato. Anzi, complice. Non è stato così ingenuo Andy Warhol che ha assecondato il capitalismo, rovesciandolo: non è stato lui a far la pubblicità della Coca Cola, ma la Coca Cola a far la pubblicità a lui, con uno spettacolare rovesciamento. In un certo senso, lo razionalizza anche Banksy, che ha giocato con il mondo dell’arte (vedi il suo dipinto tagliato e venduto da Sotheby’s) ma con una sconcertante consapevolezza. È assurdo combattere il capitalismo per diventarne complici. Ed è anche inevitabile: “non possiamo fare nulla per cambiare il mondo finché il capitalismo non si sgretola”. Nel frattempo, dovremmo andare tutti a fare acquisti per consolarci. Il mondo di Banksy, prigioniero come tutti noi, è un mondo di bambini che non contrastano le regole: semplicemente non le conoscono. Più di molti altri, Banksy, le cui invenzioni sono originali, ha pressoché rinunciato al pezzo unico, in cambio di un’arte democratica, alla portata di tutti e le sue celebri invenzioni sono prodotte in serigrafia su carta. In questo, l’intuizione di Banksy si lega al mondo della comunicazione, di cui è uno dei grandi testimoni del nostro tempo: mi riferisco a Love Is In The Air, conosciuta anche con il
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“WE ARE BANKSY” Vittorio Sgarbi
Banksy is coming to Parma, the Italian capital of culture for two years, with Building castles in the sky, a rigorously unauthorized exhibition (although he was of course informed of it), staged in the underground environments of Palazzo Tarasconi. These are his most exciting works, especially for young people; paintings, screen prints, stencils – the same ones with which he produced some of his most well-known murals. There will be original installations and posters against a repressive society. We will all be students again, in a struggle against the “system” that has been neither taken down nor changed. It has only mutated (for the worse) like variants of a virus. The system is contagious. It is an incurable disease of society. We have to coexist with it. Blow by blow, Banksy has sought to combat it.“Works like Dismaland print, Love Is In The Air, Barcode, Monkey Queen, Girl with Balloon, and Mickey Snake mark the history of our time. Banksy has clear ideas, like Gino Strada: evil is organic to power. And There is no power that is good. And society is sick, traversed by countless contradictions – the ones that Banksy observes: “The greatest crimes in the world are not committed by people breaking the rules. It’s people who follow orders that drop bombs and massacre villages.” This statement, among Banksy’s most effective, appears to be the tool to deal with times when, albeit with health-related justifications, an authoritarian turn has been impressed upon civil life in much of the world. Although Banksy could not imagine it, in a world of contradictions, Elon Musk, from a diametrically opposite perspective in a mindset of unbridled capitalism, interpreted those words with an invitation to disobey the authoritarian “rules” that have arrested industrial production in many countries around the world. Musk called for disobeying the measures
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imposed by the state’s authority, asking his employees not to respect the quarantine: “if you don’t want to come to work, you can stay home without pay.” With his paradoxes, Banksy uses simple images to cast light on all the contradictions of power – outside of institutions, outside of the museums seeking him and upon which he imposes his conditions. The museum spells the death of works removed from the life of the streets. Banksy has chosen to paint in the open. Not “en plein air” like the impressionists, but on walls, as all graffiti artists do, and without authorizations: “A wall is a very big weapon. It’s one of the nastiest things you can hit someone with.” And so he did, whenever dealing with a social or simply human emergency: “I like to think I have the guts to stand up anonymously in a western democracy and call for things no-one else believes in – like peace and justice and freedom.” And those who do not believe deceive us by pretending to believe. Like the better part of ourselves, Banksy defends the principles that represented our romantic youth against war, against capitalism, authoritarianism, and militarism, and against walls. And yet, inevitably, as took place with the Dadaists or with Piero Manzoni, Banksy, too, is subtly subordinated to – and indeed an accomplice of – the market. Andy Warhol, who indulged capitalism while at the same time overturning it, was not so naive: it was not he who was advertising Coca-Cola, but Coca-Cola who was advertising him – a stunning reversal. In a certain sense, Banksy, who has toyed with the art world (see his painting shredded and sold by Sotheby’s) but with a disconcerting awareness, rationalizes it, too. It is absurd to fight capitalism to then become its accomplices. But it is also inevitable: “We can’t do anything to change the world until capitalism crumbles.” In the meantime, we should all go and make purchases to console ourselves. The world of Banksy, a prisoner like all of us, is a world of children who are not fighting the rules: they just don’t know them. More than many others, Banksy, whose inventions are original, has virtually renounced the unique piece in exchange for a democratic art within everyone’s reach, and his famed inventions are produced in screen printing on paper. In this, Banksy’s intuition is linked to the world of communication, of which he is one of our time’s great witnesses: I am referring to Love Is In The Air,
nome di “lanciatore di fiori”. Il montaggio è eloquente e, nell’immagine originale, il ragazzo in rivolta poteva lanciare sassi o bombe, non certo fiori. È evidente che Banksy cerca il nostro consenso, stimola e risveglia la parte migliore di noi. Come resistere a una bambina sotto l’ombrello, per illustrare l’azione del devastante uragano Katrina a New Orleans, nel 2005? Come resistere alla celeberrima ragazza con il palloncino? E, in quel prevalere dell’emozione, cosa conta se sia un dipinto a olio o una serigrafia su carta? Un originale o una riproduzione? Un pezzo unico o un manifesto? Di un’immagine così vincente e commovente Banksy ha eseguito numerose versioni. Una volta, su un muro a lato di un ponte, nella zona di Southbank, Londra; un’altra volta nel quartiere londinese di Shoreditch, vicino alla stazione di Liverpool. In tal modo l’opera di Banksy perde la sacralità, ma la trasferisce tutta sul personaggio misterioso, irraggiungibile, di cui si parla, per espressa volontà dell’artista che ha favorito l’alone di mistero. Quanto alla versione della ragazza con il palloncino, apparsa nel quartiere londinese di Shoreditch, sul muro di un negozio, i proprietari dell’esercizio proposero lo stacco dell’opera per venderla all’asta. Non reagì l’autore, che rivendicò il suo diritto alla libertà (anche di non riconoscerla), ma il popolo, che si sentì defraudato di un’opera, pure abusiva, disponibile come documento, aldilà della proprietà. L’indignazione popolare impose che l’opera non fosse rimossa, trattandosi di un’opera abusiva e collettiva. Banksy non vuole essere l’autore, ma lo spirito del mondo umiliato. Per questo non vuole farsi riconoscere, non vuole essere un individuo. L’arte di Banksy trova espressione nella dimensione stradale e pubblica dello spazio urbano, realizzando opere che documentano la povertà della condizione umana, le assurdità della società occidentale, la manipolazione mediatica, l’omologazione, le atrocità della guerra, l’inquinamento, lo sfruttamento minorile, la brutalità della repressione poliziesca e il maltrattamento degli animali. Manipolando abilmente i codici comunicativi della cultura di massa, Banksy traspone questi temi atroci in opere piacevoli e brillanti. In tal senso, gli stencil di Banksy sono espressione di un’estetica diretta “come quella di un manifesto pubblicitario”, che li propone alla riflessione di chiunque. Gianluca Marziani, curatore con Stefano Antonelli,
Acoris Andipa e Marzio Dall’Acqua, dice, e con chiarezza, legittimando molte interpretazioni: “Banksy crea fenomeni di adorazione nascosta, simili alla passione del porno che pochissimi dichiarano ma che moltissimi perseguono. Mi piace considerarlo la miglior perversione praticabile del sistema artistico, un soggetto del desiderio che mescola istinto percettivo e pratica mediale, semplicità e complessità, alto superficiale e basso profondo. Banksy pratica un’arte dove lo spettatore aderisce alle contraddizioni, ai doppi/tripli sensi dei claim, all’ironia immancabile, al catastrofismo motivato, al cinismo ridanciano, ricordandoci che sarà una risata a seppellirci, e che forse dovremmo prenderci tutti meno sul serio. Ridere, ridere, ridere: restando umani”. Nel murale No Ball Games sono raffigurati due bambini mentre si lanciano un cartello che vieta loro di giocare con la palla, ma che paradossalmente qui assume il valore della palla; è nelle contraddizioni impreviste e imprevedibili che si palesa l’ironia di Banksy. Banksy è un punto molto avanzato di queste contraddizioni, esiste di più non esistendo, non apparendo, essendo la maschera di se stesso. Il Banksy che conosciamo è la maschera di Banksy e, d’altra parte, esiste di più quanto meno appare. È lui a suggerirci: “Se vuoi dire qualcosa e vuoi che la gente ti ascolti, allora indossa una maschera. Se vuoi dire la verità, allora devi mentire”. Analogo fu il mito di uno dei grandi scrittori americani che, dopo aver consegnato all’editore il suo capolavoro, Il giovane Holden, sparì, non incontrando più nessuno e non facendo circolare nessuna sua immagine: si tratta di J.D. Salinger. Il capolavoro di Banksy è la sua sparizione, che si confà alle figure fuori dalla misura degli uomini: penso a Ettore Majorana, penso a Gino De Dominicis. Banksy è entrato in questa dimensione e interpreta un sentire di massa che vive, impotente, le sue stesse condizioni. Noi, ora, senza la sua approvazione, abbiamo chiuso la strada (il teatro di Banksy), per portare le opere, orfane del loro spazio naturale, in un museo e abbiamo trattato Banksy come Raffaello. Gli abbiamo dato un vantaggio ma, contemporaneamente, con lui in queste sale, abbiamo esposto anche i nostri pensieri. Anzi, non i pensieri, la parte migliore di noi che, probabilmente, non ci appartiene.
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also known by as the “flower thrower.” The installation is eloquent and, in the original image, the rebelling youth could be throwing stones or bombs, and not flowers at all. Banksy is clearly seeking our consent. He stimulates and reawakens the best part of ourselves. How are we to resist a girl beneath an umbrella to illustrate Hurricane Katrina’s devastating effects in in 2005? How are we to resist the renowned girl with the balloon? And, in that triumph of emotion, what does it matter if it is an oil painting or a screen print on paper? An original or a reproduction? A unique piece or a poster? It was an image so successful and moving that Banksy made numerous versions; once on a wall on the side of a bridge in ’s Southbank area; another time in ’s Shoreditch neighbourhood, near the station. In this way, Banksy’s work loses its sacrality, but transfers it all to the mysterious, unreachable figure in question, at the express will of the artist who has favoured the air of mystery. As to the version of the girl with the balloon that appeared on the wall of a shop in ’s Shoreditch neighbourhood, the business’s owners proposed detaching the work from the wall and auctioning it off. The work’s author did not react, claiming his right to freedom (also his freedom not to claim it as his own). But the people did, feeling cheated out of an albeit unlawful work, available as a document beyond ownership. In the face of popular indignation, the piece was not removed, as it was an unlawful and collective work. Banksy does not aim to be the author, but the spirit of the humbled world. This is why he doesn’t want to be recognized; he doesn’t want to be an individual. Banksy’s art finds expression in the street and public dimension of the urban space, producing works that document the poverty of the human condition, the absurdity of Western society, media manipulation, conformity, the atrocities of war, pollution, the exploitation of minors, the brutality of police repression, and the mistreatment of animals. By skilfully manipulating mass culture’s codes of communication, Banksy transposes these atrocious themes into pleasant and brilliant works. In this sense, Banksy’s stencils are an expression of a direct aesthetic “like that of an advertising poster,” that offers them for anyone’s reflection. Gianluca Marziani, the curator with Stefano Antonelli,
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Acoris Andipa, and Marzio Dall’Acqua, puts it clearly, giving legitimacy to many interpretations: “Banksy creates phenomena of hidden adoration, similar to the passion for porn that very few people declare, but that many pursue. I like to consider it the best practicable perversion of the art system, an object of desire that blends perceptive instinct and media practice, simplicity and complexity, the deep superficial, and the profound shallow. Banksy practises an art in which the viewer subscribes to the contradictions, to the double and triple meanings of the claims, to the ever-present irony, to justified catastrophism, to laughing cynicism, reminding us that it will be a laugh that buries us, and that we should perhaps all take ourselves less seriously. Laughing, laughing, laughing: that is, remaining human.” The mural No Ball Games depicts two children playing catch with a sign that prohibits them from playing ball games, but that paradoxically takes on the value of a ball; it is in the unforeseen and unforeseeable contradictions that Banksy’s irony becomes clear. Banksy marks a very advanced point of these contradictions. He exists more by not existing, as the mask of himself. The Banksy we know is the mask of Banksy and, on the other hand, the less he appears, the more he exists. He himself hints at this: “If you want to say something and have people listen then you have to wear a mask. If you want to be honest then you have to live a lie.” This is not unlike the mythic stature of one of the great American writers; upon delivering his masterpiece The Catcher in the Rye to his publisher, J.D. Salinger disappeared, no longer meeting with anyone and not even allowing his own image to be circulated. Banksy’s masterpiece is his disappearance, which fits with the figures outside of human measure: I am thinking of Ettore Majorana, or Gino De Dominicis. Banksy has entered this dimension and interprets a mass feeling that, impotent, lives his same conditions. Without his approval, we have now closed the street (Banksy’s theatre), to bring the works, orphans of their natural space, into a museum, and we have treated Banksy like Raphael. We have given him an advantage but, at the same time, with him in these halls, we have also put our own thoughts on display - actually, not thoughts, but the best part of us that, most likely, does not belong to us.
IL VECCHIO MUORE... Pietro Folena
Nel gennaio 2000 esce No Logo, saggio di battaglia culturale e politica della giornalista canadese Naomi Klein. Nel novembre precedente un grande movimento, totalmente nuovo, irrompeva sulla scena della politica e dei media mondiali a Seattle, contestando duramente – anche con la violenza – la Conferenza dei Ministri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e la logica di fondo che aveva ispirato la nuova stagione della globalizzazione dei mercati senza limiti e senza frontiere. Qualche giorno prima, al di qua dell’Oceano Atlantico, il 20 novembre 1999 – come scrive La Repubblica – era addirittura nata “la terza via delle sinistre mondiali” a Firenze. Sei capi di Stato o di Governo del mondo si erano riuniti per celebrare un riformismo liberale, enfatico sulla globalizzazione. Esattamente all’opposto di quanto la moltitudine di Seattle stava per denunciare. Bill Clinton e Tony Blair in testa, si sostiene una non meglio definita “nuova economia”, fatta di uguaglianza (sic!) e di opportunità (per chi?). Tempo dieci giorni (Seattle) o pochi mesi, quando le proteste dilagano nel mondo, nell’estate del 2001 quando sconvolgono Genova – la nuova sinistra mondiale di Firenze, in versione italiana, aveva perso le elezioni e consegnato il Paese alla destra –, i Black Bloc devastano la città e, in alcune ore buie, per le quali non c’è ancora vera giustizia, vengono sospesi i diritti dell’uomo, seviziati e torturati da uomini delle forze dell’ordine decine di ragazze e di ragazzi. Parto da qui, da questo contesto – al quale, in alcuni suoi momenti, ho partecipato direttamente – per dire che Banksy, le cui prime opere compaiono in quegli anni, è in realtà parte di questa nuova insorgenza globale. Il testo citato della Klein diventa, insieme ai lavori di altri autori – voglio ricordare fra tanti quelli di Vandana Shiva e di Arundhati Roy, donne come la Klein –, una delle ispirazioni più
importanti di quello che è stato chiamato, movimento noglobal, altermondialismo (attorno a un gruppo di intellettuali francesi), Global Justice Movement, new global. Scrive la giornalista canadese nell’introduzione a No Logo, che si tratta del «tentativo di esprimere una posizione contraria alla politica delle multinazionali». Quello che di quel testo è più significativo è in realtà proprio il titolo. Non si tratta della riesumazione della vecchia cassetta degli attrezzi anticapitalistica, ma della proposizione di una nuova coppia concettuale nell’era del consumismo di massa: consumismo (già capitale) versus civismo (già lavoro). L’accento viene messo sui brand. L’irruzione sulla scena dei grandi brand globali – dietro cui, come denuncia Klein con grande durezza, si cela una filiera di sfruttamento globale (nordsud, femminile, minorile, precariato di massa) – impone una nuova lotta. Il nemico è il logo, dietro cui c’è il capitalismo consumistico, le multinazionali che si impadroniscono del mondo. E quindi il suo veicolo ideologico, comunicativo, estetico: la pubblicità. No logo diventa quindi un brand contro i brand consumistici. Nell’Italia degli anni ’80 del secolo scorso abbiamo conosciuto l’esplosione della pubblicità televisiva che, caso unico nelle democrazie occidentali, a metà degli anni ’90 si è fatta partito. Nel nuovo millennio i loghi stessi sono grandi appartenenze, comunità, sistemi ideologici. Il caso di Apple, prima e dopo Steve Jobs, è addirittura clamoroso, come lo sono le ultime evoluzioni delle nuove entità private – che chiamerei brandocrazia – che controllano e dominano il pianeta, a partire da Facebook, da Google, da Microsoft, da Amazon, da Ali Baba e potremmo continuare. Tutto il fenomeno della street art, come ci spiegano Stefano Antonelli e Gianluca Marziani, è connesso alla critica dell’estetica di questo capitalismo consumistico. Ma con l’anonimo (?) artista di Bristol la riconquista degli spazi, manu pictoris, diventa sistematica, antagonistica, contro ogni mediazione. Se si leggono i testi di B., importantissimi per comprendere l’arte politica di questo artista, si rimane colpiti dall’assoluta sintonia non solo con la narrazione di Klein ma con l’interpretazione quotidiana – dalla costruzione del muro in Cisgiordania alla crisi climatica dell’ultimo decennio – di un punto di vista di critica ai poteri dominanti di questo tempo. La sinistra del ’900, che ha esaurito la sua corsa quel 20 novembre del 1999 a Firenze, appare un punticino in dissolvenza. C’è un nuovo magma, senza dubbio valorialmente di sinistra, ma del tutto alternativo
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THE OLD IS DYING... Pietro Folena
In January 2000, the Canadian journalist Naomi Klein’s cultural and political battle essay No Logo was published. In previous November, in Seattle, a massive and brand new movement broke into the world politics and media scene harshly – even violently – challenging the Conference of Ministers of the World Trade Organization as well as the thought at its base that inspired the new season of globalization of markets without limits and borders. On 20 November 1999, just a few days earlier, on this side of the Atlantic Ocean, “the third way of leftwing in the world” – as La Repubblica wrote – was even born in Florence. Six world’s Heads of state or government gathered to celebrate the liberal and forceful reformism about globalization. Precisely the opposite of what a multitude of people was about to denounce in Seattle. Led by Bill Clinton and Tony Blair, they supported an undefined “new economy” consisting of equality (sic!) and opportunities (for whom?). In ten days (Seattle) or a few months from the protests spread throughout the world, or in summer 2001, when Genoa was upset, the Italian version of the “new leftwing in the world” born in Florence, lost the elections and consigned the country to the rightwing. The Black Bloc devastated the city, and, for some dark hours still claiming for justice, the human rights of some dozens of protesters were suspended due to the abuses and tortures committed by the police. I start from here, from this context – where sometimes I directly played a role – to say that Banksy, whose first works appeared in those years, is actually part of this new global conflict. Klein’s quoted book becomes, together with other authors’ works – among many others: Vandana Shiva and Arundhati Roy, who are women like Klein – one of the most important inspirations of what was defined as no-global movement, altermundialization (connected to a group of French intellectuals), Global Justice Movement, and new global. The Canadian
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journalist wrote in her introduction to No Logo that it was “an attempt to capture an Anticorporate attitude”. The most significant aspect of this essay is actually its title, since it is not the revival of some old anticapitalist stuff but the proposition of a new conceptual couple in the era of mass consumerism: consumerism (former capital) versus civism (former labour). The focus is on brands. The irruption on the market of the great global brands concealing a chain of global exploitation (north-south, feminine, juvenile, mass precariousness) – as Klein harshly denounces – imposes a new fight. Being the face of consumer capitalism and multinational companies that are taking over the world, the enemy is the logo and, consequently, its ideological, communicative, and aesthetic vehicle: advertising. No logo becomes the brand to fight against consumer brands. In the 1980s, in Italy, we experienced the explosion of television advertising that, in the mid 1990s, became a party, a unique case in Western democracies. In the new millennium, the great memberships, communities, and ideological systems are the logos. The case of Apple, before and after Steve Jobs, is even impressive, as well as the latest evolution of new private entities – I would call them brandocracy – that control and dominate the planet, starting from Facebook, Google, Microsoft, Amazon, Ali Baba and we could go on. As Stefano Antonelli and Gianluca Marziani explain, the entire street art phenomenon is connected to the critique of the aesthetics of consumer capitalism. But thanks to his pictorial impact, the anonymous (?) Bristolian artist turns the reconquest of space into systematic, antagonistic, and against any mediation. By reading the B.’s works, which are pivotal to understanding the political art of this artist, it astonishes the perfect harmony not only with Klein’s narration but also with the daily interpretation of criticism to the dominant powers of our age, starting from the construction of the West Bank wall to the climate crisis of the last decade. The 20th century leftwing that ran out on 20 November 1999 in Florence appears to be a small fading point. A new jumble of thoughts came out with incontrovertibly liberal values but totally different from the intermediate bodies built by the last century social leftwing, even as to culture and art. We cannot fail to see that both the spread of museum systems and the new art market widely expanded in the second half of the 20th century and the first fifth of the
ai corpi intermedi costruiti dalla sinistra sociale del secolo scorso. Anche in quelli della cultura e dell’arte. Come non vedere che tanto la diffusione dei sistemi museali quanto il nuovo mercato dell’arte, dilatatosi all’inverosimile nella seconda metà del ’900 e in questo primo quinto di secolo, appartengono largamente a questa storia. Scrive B.: “L’arte che guardiamo è fatta da solo pochi eletti. Un piccolo gruppo crea, promuove, acquista, mostra e decide il successo dell’Arte. Solo poche centinaia di persone nel mondo hanno realmente voce in capitolo. Quando vai in una galleria d’arte sei semplicemente un turista che guarda la bacheca dei trofei di un ristretto numero di milionari”. È questa immediatezza – in/mediatezza, senza mediazioni –, che dà potere all’estetica banksyana – e con lui a tutto il postgraffitismo e alla Guerrilla Art –. Le armi sono lo stencil, il pennello, lo scenario, la notte, il teatro, la crisi urbana, con puntate nei musei e nei luoghi “alti”. La lotta armata dei segni e dei colori. Una rivoluzione senza spargimento di sangue, che fonda un nuovo populismo artistico: contro critici, mediatori, gallerie e musei, contro chi fa i prezzi di un’arte accessibile solo ai ricchi, vero status symbol del capitalismo dei loghi. Alcuni grandi artisti sono diventati essi stessi brand, a partire da Andy Warhol, geniale complice e critico del mondo della pubblicità e dell’immagine. La pop art è la madre della street art, che però è una figlia ribelle, scappata di casa, contaminata prima col rap, con la musica di strada, fino al trap di questi anni. La madre è dentro il sistema, anzi esalta i suoi vecchi corpi intermedi. La figlia li critica. E i nipoti come B. fanno della contrapposizione a questo sistema la loro forza. Producono opere, segni, messaggi immediatamente comprensibili – derivati dall’immaginario pubblicitario, dei comics o dell’informazione – ma subito pongono dei perché. Producono pensiero critico, fanno riflettere. Non solo il benestante che ammira l’opera nel salone di casa, ma l’operaio che va al lavoro, la nonna che fa la spesa, la studentessa che va a scuola. Il perché fondamentale è lo disvelamento del vero e del falso. La gigantesca campagna di fake che ogni giorno produce la brandocrazia legittima la forza di un rovesciamento concettuale. Di B. questo va indagato. Così come Caravaggio – dopo la rottura antropocentrica del Rinascimento – disvelò la verità rivelata dell’arte – depositata nelle Sacre Scritture e nella religione – e, in tempi di Controriforma, diede alla Madonna sul letto di morte il volto di una prostituta annegata nel Tevere, portò bari e assassini ad essere immortalati,
nuovi prìncipi della realtà, B. demistifica la grande costruzione estetica del secondo ’900. La fa sua, ne conosce codici e paradigmi, la rovescia. In qualche modo questo fenomeno – che chiamo populismo artistico – accompagna una tendenza di questa fase, propria a tutte le democrazie nazionali e alla brandocrazia globale. C’è un’affinità tra questa insorgenza artistica – che vede protagonisti ragazzi che hanno lavorato nel design e nella pubblicità – e la crisi dei vecchi partiti di massa. In Grecia, in Spagna, in Italia si sono prodotti fenomeni elettorali imponenti di critica alla vecchia mediazione politica e sociale. Così come negli USA, alla crisi del vecchio establishment ha fatto da contraltare il trumpismo, che da un punto di vista ovviamente radicalmente opposto rispetto a quello banksyano, travolge le vecchie corporazioni e le vecchie appartenenze. Il populismo – in ogni ambito – è tipicamente un fenomeno transitorio. Antonio Gramsci, in una nota dei Quaderni del Carcere del 1930, scrive: “La crisi consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. Si tratta di una riflessione molto attuale. Il populismo esprime la crisi del vecchio ordine. Ma perché questa crisi non porti a conseguenze tragiche, come fu cento anni fa, a fenomeni morbosi inediti, occorre produrre un cambiamento. Klein, nel suo ultimo contributo, ha allargato lo sguardo sull’ambiente (This Changes Everything: Capitalism vs. the Climate). E in qualche modo il fenomeno Greta Thunberg e Fridays for Future – con tutte le capacità di costruirsi come brand, proprie di quest’epoca – conferma questa direzione. Come, per altri versi, quella neofemminista propugnata dal Me Too. Anche l’artista di Bristol è su questa strada, e sono persuaso che lo troveremo a tutti gli incroci di un nuovo pensiero critico e di cambiamento. Certo: per farlo, B. diventa egli stesso sistema. Non solo per il commercio delle sue opere. Non solo per le autentiche date dalla (sua) società Pest Control alle opere in commercio. Non solo per la Girl with Balloon tagliata all’asta. Non solo per il temporary outlet aperto a Londra con il suo merchandising. Ma perché gli anni passano. Il valore aumenta. La percezione che B. ha di sé stesso muta. C’è da augurarsi che non si istituzionalizzi, che sappia mantenere spirito ribelle e controcorrente, che materializzi le nuove tendenze di oggi, e non solo la capitalizzazione delle sue critiche di ieri. Vedremo. Quel che è certo è che si tratta di un artista che ha rapidamente conquistato la ribalta planetaria, in un’epoca di grande crisi e di grande transizione.
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new century, mainly belong to this history. B. wrote: “The Art we look at is made by only a select few. A small group create, promote, purchase, exhibit and decide the success of Art. Only a few hundred people in the world have any real say. When you go to an Art gallery you are simply a tourist looking at the trophy cabinet of a few millionaires”. This immediacy – quickness without mediation – gives force to Banksy’s aesthetics as well as to the whole postgraffiti and Guerrilla Art. The weapons are the stencil, brush, scenery, night, theatre, and urban crisis, with occasional events in museums and top places. It is a fight armed with signs and colours. A revolution without bloodshed establishing a new artistic populism: against critics, brokers, galleries, and museums, against those who make the prices of art affordable only for wealthy people, as a valid status symbol of the logo capitalism. Some great artists became brands themselves, starting from Andy Warhol, who was a brilliant accomplice and critic of the world of advertising and image. Pop art is the mother of street art, but the daughter is rebellious; she escaped from home and was contaminated by rap, at first, then by street music, and, in these days, by trap. Her mother, in contrast, stayed in the system and exalted its old intermediate bodies that are criticised by her daughter. And the grandchildren, like Banksy, make of the opposition to this system their strength. They create works, signs, and messages deriving from imaginary advertising, comics, or information that are immediately intelligible and instantly able to raise questions. They build critical thinking and make us think. Works enjoyed not only by wealthy people admiring them in their living room but also by the worker going to work, the grandmother going shopping, the pupil going to school. The essential question is unveiling truth and fake. The massive fake campaign produced every day by the brandocracy justifies the vigour of a conceptual reversal. B. should be explored from this viewpoint. Just like Caravaggio who, after the anthropocentric break of Renaissance, unveils the revealed truth of art represented in the Sacred Scripture and religion, and, in CounterReformation times, portrays Our Lady on her deathbed with the face of a prostitute drowned in the Tiber and eternalises swindlers and murderers as new princes of reality, B. demystifies the great aesthetic construction of the second half of the 20th century. He takes it on, since
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he knows its codes and paradigms, and he reverses it. In some way, this phenomenon – that I call artistic populism – goes along with a trend of this phase that is typical of all the national democracies and the global brandocracy. This artistic uprising that involves young people who worked in design and advertising, and the crisis of the old mass parties, are similar. In Greece, Spain, and Italy, massive electoral phenomena come up to criticise the old political and social mediation; just like in the USA, where trumpism, although from Banksy’s opposite viewpoint, has become the rival attraction of old establishment in crisis and managed to bury the old corporations and memberships. In every field, populism is a typically transitory phenomenon. Antonio Gramsci, in a remark to his 1930 essay Prison Notebooks, wrote: “The crisis consists precisely in the fact that the old is dying and the new cannot be born; in this interregnum a great variety of morbid symptoms appear”. This is a very topical reflection. Populism expresses the crisis of the old order. Still, to avoid that the crisis leads to tragic consequences, as it occurred a hundred years ago, it is necessary to change to stay away from unprecedented morbid phenomena. The latest Klein’s contribution widened her view on environment (This Changes Everything: Capitalism vs. the Climate), and the phenomenon of Greta Thunberg and Fridays for Future with her capacity to build herself as a brand – typical of this age – confirms, somehow, this direction as well as the neofeminist movement championed by Me Too, although from another viewpoint. Even the Bristolian artist moves in this direction, and I am sure that we will find him at every crossroads of a new critical thought and change. To do so, of course, B. has to become system. Not only to trade his works. Not only to set precise dates from (his) company, Pest Control, to his artworks on the market. Not only for the Girl with Balloon shredded at auction. Not only for his temporary merchandise outlet opened in London. But because time goes by. Value increases. B. perception of himself changes. We hope him not be standardised but able to keep his rebellious and counter-current spirit and to materialise the new trends of today and not only capitalise on his criticisms of yesterday. We will see. What is certain is that he is an artist who has quickly conquered the planetary limelight, in an age of deep crisis and significant transition.
IL SECONDO PRINCIPIO DI BANKSY Stefano Antonelli
PARTE PRIMA. IL PROBLEMA DEL VERO E DEL FALSO 1. Nel 2003, in occasione della mostra collettiva Backjumps. The Live Issue presso la Bethanien Kunstraum di Berlino, Banksy realizza un’opera su muro che mostra tre agenti di polizia con le facce da smile, sormontati da una scritta che recita: “ogni immagine racconta una bugia”. 2. “Senza dubbio il nostro tempo preferisce l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere” (Feuerbach, 1843). 3. L’intera vita delle società, in cui dominano le moderne condizioni di comunicazione, si annuncia come un immenso repertorio di immagini. Queste immagini hanno lo scopo di mediare le relazioni tra persone. 4. Collocare immagini nel mondo ha conseguenze inaspettate: “In fondo alla strada dove sono cresciuto c’era un tabellone pubblicitario gigante, sotto ci abbandonavano le vecchie auto e le ragazze facevano marchette. Sul tabellone campeggiava un tubetto di dentifricio grande tre volte le case, ma i proventi di quella pubblicità non arrivavano agli abitanti” (Banksy, 2006). 5. La totalità delle immagini che ci raggiungono sono prodotte dai creativi dell’industria culturale (Horkeimer, Adorno, 1947), è l’ingegneria dell’attenzione, e mentono. Il tempo dell’ipermedialità che realizza il mondo globale grazie alle tecnologie della comunicazione genera “un mondo simulativo che cancella la distinzione fra reale e immaginario, un’allucinazione estetizzata della realtà priva di
profondità” (Featherstone, 1994). 6. Lo statuto delle immagini prodotte in queste condizioni è l’uguaglianza di tutte le immagini. 7. L’operazione che compie Banksy quando campiona la protagonista dalla fotografia simbolo della guerra in Vietnam – l’immagine della bambina in fuga ustionata dal napalm, scattata da Nick Út – e le affianca Topolino e Ronald McDonald, è esattamente schiacciare sullo stesso piano reale e immaginario cancellandone la distinzione, e il piano su cui questa scena avviene è costituito dall’assenza di profondità di uno sfondo monocromo grigio, generando esattamente quello che Featherstone definisce una “allucinazione estetizzata della realtà priva di profondità”. 8. L’artista che sta mostrando al più ampio pubblico possibile le forme di questa allucinazione è Banksy. Nell’epoca in cui il sogno diventa sonno, la cultura economica diventa destino, il tempo una merce, il vissuto una rappresentazione (Debord, 1967), la verità dell’arte è sostituita dalla pubblicità dell’arte. 9. “I muri sono sempre stati il luogo migliore dove pubblicare i lavori” (Banksy, 2005). 10. Al contrario dell’artista contemporaneo, lo scopo di questo artista non è tanto convincere l’Artworld (Danto, 1964) ma piuttosto il pubblico. Nel tempo in cui tutte le immagini mentono, l’intera opera di Banksy si annuncia come la più grande campagna pubblicitaria globale a favore della verità (a quanto pare con un certo successo). In quanto tale, ne mutua grammatiche e sintassi che tuttavia restituiscono semantiche in grado di opporsi alle menzogne del mondo pubblicizzato, attraverso il “plagio necessario” (Debord, 1967) a costituire nuove prospettive di recupero del senso. 11. Ci sono artisti che sono allo stesso tempo emblemi di un’epoca e principali fornitori della materia prima utile a decodificare l’idea di mondo che questa epoca ha espresso. A volte si tratta di una sola immagine in grado di rappresentare le società che l’hanno abitata in una sintesi visiva formidabile che ne racchiude stili di vita, valori, morfologia etica ed estetica. Spesso si tratta di risposte, come se il mondo parlasse agli artisti e questi gli rispondessero rivelando la verità del proprio tempo.
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THE SECOND PRINCIPLE OF BANKSY Stefano Antonelli
FIRST PART. THE ISSUE OF TRUE AND FALSE 1. In 2003, on the occasion of the collective exhibition Backjumps. The Live Issue at the Bethanien Kunstraum in Berlin, Banksy created a mural artwork showing three police officers with smiley faces surmounted by the inscription “Every Picture Tells a Lie”. 2. “Certainly the present age prefers the sign to the thing signified, the copy to the original, representation to reality, the appearance to the essence” (Feuerbach, 1843). 3. The whole life of societies dominated by the modern communication conditions, appears as an enormous repertoire of images. These images aim at mediating relations among people. 4. Placing images in the world has unexpected consequences: “At the end was a giant billboard, and underneath it girls were doing tricks and cars were dumped. The billboard showed a toothpaste tube three times bigger than the houses, and none of the money from those adverts went back into the street” (Banksy, 2006). 5. All the images reaching us are produced by the Culture Industry creatives (Horkeimer, Adorno, 1947), it is the attention engineering, and they lie. The age of hypermediality creating the global world through communication technologies generates “a simulation world that erases the distinction between real and imaginary, an aestheticized hallucination of reality without depth” (Featherstone, 1994). 6. The images status produced under these conditions is the equality of all images.
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7. The operation made by Banksy when he sample the image of the fleeing girl burned by napalm shot by Nick Út as the symbol-photo of the war in Vietnam and flanks her to Mickey Mouse and Ronald McDonald, is precisely compressing on a flat surface reality and imagination by erasing any distinction, and the setting of this scene is characterized by the absence of depth of a grey monochrome background, thus generating what Featherstone exactly defines as an “aestheticized hallucination of reality without depth”. 8. The artist showing the forms of this hallucination to the broadest possible audience is Banksy. In an age where dreaming becomes sleeping, economic culture becomes destiny, time becomes a commodity, experience becomes a representation (Debord, 1967), the truth of art is replaced by the advertising of art. 9. “A wall has always been the best place to publish your work” (Banksy, 2005). 10. Unlike the contemporary artist, Banksy’s aim is not so much to convince the Artworld (Danto, 1964) but rather to convince the public. In the age where all images lie, Banksy’s entire work is set to become the most significant global advertising campaign in favour of truth (apparently, with some success). As such, he borrows its grammars and syntax, which nevertheless give back semantics able to oppose the lies of the advertised world, through the “necessary plagiarism” (Debord, 1967) to create new perspectives recovering sense. 11. There are artists who are at the same time emblems of an era and main suppliers of the raw material useful to decode the concept of world expressed by such an era. Sometimes, it is just a single image that can represent the societies which lived in it, through an impressive visual synthesis encompassing lifestyles, values, ethical and aesthetical morphology. But, often, they are answers, as if the world talked to artists and they replied to it by revealing the truth of their time. 12. In 1917, considering the nonsense of twenty million deaths caused by the first modern war, what does the truth of one’s time represent if not an industrial urinal? In 1962, less than fifty years
12. Nel 1917, davanti al nonsense di venti milioni di morti esito della prima guerra moderna, cosa rappresenta la verità del proprio tempo se non un orinatoio industriale? Nel 1962, meno di cinquant’anni dopo, davanti alla vita di una società che si annuncia come promessa di felicità sotto forma di immenso accumulo di merci, cosa rappresenta la verità del proprio tempo se non una confezione di zuppa in scatola ripetuta e ripetuta e ripetuta? 13. “Se ripeti una bugia abbastanza volte diventa verità politica” (Banksy, scritta su muro). 14. Cogliere la verità del proprio tempo non è impresa facile, la verità stessa è un coefficiente sociale che nel tempo è stato affidato ad agenti diversi. Per secoli il principale fornitore di verità è stata la religione, poi abbiamo deciso di affidare il mandato della verità alla scienza. Quando usiamo l’espressione “è scientificamente provato” intendiamo sostenere che la questione è indiscutibile, che tale verità è oggettiva, universale. Il nostro tempo tuttavia segna la messa in discussione delle verità scientifiche. 15. Non appare irreale affermare che il nostro tempo stia affrontando la dissoluzione dei mandati universali di verità. Il vero e il falso nel tempo segnato dalla comunicazione pervasiva non sembrano più opporsi l’un l’altro ma piuttosto ingannarsi a vicenda restituendoci una fragilità del reale che si riflette soprattutto sull’identità. 16. Il tema fondante del lavoro di Banksy è il modo in cui stabilire una relazione veritativa tra comunicazione e società. Nel volumetto Existencilism, che pubblica a sue spese nel 2002, Banksy scrive: “se vuoi dire qualcosa e vuoi che la gente ti ascolti, allora indossa una maschera. Se vuoi dire la verità, allora devi mentire” (Banksy, 2002). Questi due concetti ci offrono allo stesso tempo un orizzonte entro il quale comprendere il lavoro dell’artista e un manifesto operativo. Di seguito mi riferirò a questi due aforismi come il primo principio di Banksy e il secondo principio di Banksy. 17. Il primo principio di Banksy stabilisce che egli ha qualcosa da dire, il secondo che quello che ha da dire è una verità. 18. Avere qualcosa da dire è il mandato artistico
per definizione, che si tratti di verità non è affatto scontato. Lo statuto veritativo dell’arte è un postulato dell’idealismo hegeliano per il quale arte, filosofia e religione non sono altro che tre diverse forme per cogliere l’assoluto, tre esperienze di verità. Secondo il filosofo tedesco, la religione ci offre la verità come rappresentazione, la filosofia come forma suprema del concetto e l’arte come forma del sensibile. Attraverso questa prospettiva possiamo dunque sostenere che l’intero lavoro di questo artista è una verità che egli somministra ai nostri sensi, affinché noi possiamo percepirla. Ora, non ci resta che comprendere di quale verità si tratti. Tuttavia, il secondo principio di Banksy ci suggerisce che l’artista presenta le verità sotto forma di menzogna. E qui la cosa si ingarbuglia. 19. “Il campo dell’arte moderna non è un campo pluralistico, ma un campo rigidamente strutturato secondo la logica della contraddizione” (Groys, 2012). 20. I due principi che l’artista mette in capo al suo intero lavoro coincidono con il paradosso e la contraddizione che sono anche le due condizioni che meglio rappresentano al contempo il nostro presente e lo stato dell’arte. Paradosso e contraddizione sembrano essere dunque le due parole chiave per interpretare sia il nostro tempo che il lavoro di questo artista. Qualora fosse così, solo gli artisti più grandi riescono in questa sincronia, attivando con la loro opera processi individuali di reincantamento del mondo, tra questi, solo pochissimi innescano processi di reincantamento collettivo.
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later, in front of the life of a society claiming to be a promise of happiness in the form of a massive accumulation of goods, what does the truth of one’s time represent if not a pack of canned soup repeated, and repeated, and repeated? 13. “If you repeat a lie often enough, it becomes true politics” (Banksy, graffiti on a wall). 14. Grasping the truth of one’s own time is not easy; truth itself is a social factor that, over time, has been entrusted to different agents. For centuries the leading provider of truth was religion, then we decided to assign the mandate of truth to science. By the sentence “it is scientifically proven”, we mean that the question is indisputable, that it is an objective and universal truth. Our time, however, is characterized by the questioning of scientific truths. 15. It is not unreal to state that our time is facing the dissolution of the universal mandates for truth. In a time marked by pervasive communication, the true and the false no longer seem to oppose each other but rather to deceive each other, thus returning us a fragility of the real mainly reflected in the identity. 16. Banksy’s work founding theme is how to set a truth affirming relationship between communication and society. In the booklet Existencilism published at his expense in 2002, Banksy wrote: “If you want to say something and have people listen then you have to wear a mask. If you want to be honest then you have to live a lie” (Banksy, 2002). These two concepts offer us both a horizon within which understanding artist’s work and an operational manifesto. Below, I will refer to these two aphorisms as Banksy’s first principle and Banksy’s second principle. 17. Banksy’s first principle states that he has something to say, the second that what he has to say is a truth. 18. Having something to say is the artist mandate by definition, whether what is said is true, is not granted at all. The truth affirming status of art is a postulate of Hegel’s idealism according to which art, philosophy, and religion are three different ways of grasping the absolute, three experiences of
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truth. According to the german philosopher, religion offers us truth as representation, philosophy as the supreme form of concept and art as the form of sensible. From this perspective, we can therefore assert that the entire work of this artist is a truth he conveys to our senses so that we can perceive it. Hence, the only thing left is to figure out what truth is. However, Banksy’s second principle suggests that the artist shows the truth under the guise of a lie. And now, the plot thickens. 19. “The field of art is not a pluralistic field but a field strictly structured according to the logic of contradiction” (Groys, 2012). 20. The two principles guiding the artist’s entire work are connected to the paradox and the contradiction, which are also the two conditions best representing both our present and state of the art. Therefore, paradox and contradiction seem to be the two key words interpreting both our time and the work of this artist. If so, only the most significant artists succeed in this synchrony, triggering through their artworks individual processes of re-enchantment of the world. Among these, only very few trigger collective reenchantment processes.
PARTE SECONDA. RESISTERE? NO, CONTRATTACCARE 21. “Chi sfregia davvero i nostri quartieri sono le aziende che scribacchiano slogan in formato gigante sulle facciate degli edifici e sulle fiancate degli autobus, cercando di farci sentire inadeguati se non compriamo la loro roba. Pretendono di urlarci in faccia il loro messaggio da qualsiasi superficie utile, ma a noi non è mai permesso replicare. Se le cose stanno così, sono stati loro a scagliare la prima pietra e il muro è l’arma prescelta per contrattaccare” (Banksy, 2005). 22. Il modo in cui Banksy affronta il problema del vero e del falso è vandalizzando queste due idee. L’artista conosce il potere della pratica vandalica, è un vandalo per la società in cui cresce. Un mondo in cui scrivere il proprio nome su un muro con colori e forme, esito di un insieme di disciplina e fantasia, significa commettere un crimine, significa: essere arrestati. A Bristol, sud della Gran Bretagna, negli anni ’90, rimanere anonimi significa sopravvivere alla persecuzione di forme espressive non conformi. 23. A partire dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso, Banksy è un artista che ha prodotto, e tutt’ora produce, immagini e segni nello spazio pubblico, opere d’arte visiva, installativa, performativa, azioni comunicative, film, libri, poesie. 24. “Penso che diventare un marchio riconosciuto sia una parte davvero importante della vita, è il mondo in cui viviamo. Deve essere affrontato, compreso e risolto, finché non diventi la tua idea di te stesso, non riuscirai ad essere un Damien Hirst” (Hirst, 2000). 25. A partire dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso, Banksy è il brand che ha prodotto e, tutt’ora produce, immagini e segni nello spazio pubblico, opere d’arte visiva, installativa, performativa, azioni comunicative, film, libri, poesie. 26. Banksy cresce in un periodo in cui Damien Hirst si impone come il più importante artista al mondo, il suo approccio all’arte è talmente influenzato dall’ideologia economica del brand che finisce per incarnare l’idea stessa di Brand Artist. I due si conoscono e si influenzano, tanto da realizzare alcune collaborazioni artistiche. In quegli
anni Hirst è così rilevante nell’arte che nel 2006 la Serpentine Gallery, e successivamente la Fondazione Agnelli, ospitano una mostra della sua collezione personale dal titolo In The Darkest Hour There May Be Light. L’artista che spicca tra quelli esposti è Banksy che per l’occasione realizza una versione di Napalm con macchie di sangue, esposta in questa mostra. 27. Bansky fa tesoro della lezione di Hirst, vandalizza l’idea di brand che nella sua pratica sistematica di rilessicalizzazione diventa Brandalism (Banksy, 2005). 28. “Brandalism: ogni messaggio pubblicitario che è collocato nello spazio pubblico e che non puoi scegliere di non guardare è tuo. Ti appartiene. Lo puoi prendere, rimaneggiare e riutilizzare” (Banksy, 2005). 29. Banksy inizia la sua attività vandalica molto presto, in una intervista alla rivista Swindle del 2006, condotta da Shepard Fairey dichiara: “quando avevo circa dieci anni, per le strade impazzavano i graffiti di un ragazzo che si chiamava 3D. Credo fosse stato a New York e fu il primo a portare a Bristol la pittura con la vernice spray. Sono cresciuto vedendo graffiti per strada prima che su una rivista o su un computer. 3D smise di dipingere e formò il gruppo dei Massive Attack [...]. A scuola i graffiti erano la cosa che ci piaceva di più: li facevano tutti tornando da scuola in autobus. Tutti li facevamo” (Banksy, 2006). 30. Il nome con cui Banksy firma le sue prime incursioni vandaliche è Robin Banks, che suona come robbing banks, ovvero rapinare le banche. Se ti fai chiamare Robin Banks in Gran Bretagna, è plausibile che i tuoi amici finiscano per chiamarti Banksy. 31. Mentre Robin Banks diventa Banksy il mondo cambia, l’ideologia controculturale e libertaria che anima i nerd della Silicon Valley vede il World Wide Web come un’opportunità unica nella storia del mondo di condividere saperi e conoscenza, un mondo migliore dunque, che gli ingegneri informatici si mettono in testa di rendere accessibile a tutti, dando origine a fenomeni come Apple e Microsoft, il cui sogno è una persona-un computer. È il web 1.0, più tardi arriverà il web 2.0, quello delle piattaforme, Facebook, Twitter, Amazon, Paypal; sappiamo come è andata a finire.
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SECOND PART. RESISTANCE? NO, COUNTERATTACK 21. “The people who truly deface our neighbourhoods are the companies that scrawl giant slogans across buildings and buses trying to make us feel inadequate unless we buy their stuff. They expect to be able to shout their message in your face from every available surface, but you’re never allowed to answer back. Well, they started the fight and the wall is the weapon of choice to hit them back” (Banksy, 2005). 22. Banksy’s way to deal with the issue of the true and the false is vandalizing these two ideas. The artist knows the power of vandalism practice, he is a graffiti writer, a vandal for the society where he is growing up. A world where writing one’s own name on a wall with colours and shapes, resulting from joining discipline and imagination, means committing a crime. It means: being arrested. In the 1990s, in Bristol, Southern Great Britain, remaining anonymous mean to survive the persecution for nonconventional forms of expression. 23. Since the end of the 1990s, Banksy is an artist that has produced, and is still producing, images and signs in public space, visual art works, installations, performances, communication actions, films, books, poems. 24. “I think becoming a brand name is a really important part of life, it’s the world we live in. It’s got to be addressed, understood and worked out, as long as you don’t become your own idea of yourself, you don’t start making Damien Hirst” (Hirst, 2000). 25. Since the end of the 1990s, Banksy is a brand that has produced and is still producing images and signs in public space, works of visual art, installations, performances, communication actions, films, books, poems. 26. Banksy grew up in a period when Damien Hirst established himself as the most prominent artist in the world. His approach to art was so deeply affected by the brand economic ideology that he finally embodies the very idea of Brand Artist. The two artists met and influenced each other, to the
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extent that they realized some artistic collaboration. In those years, Hirst was so prominent in the art context that in 2006, the Serpentine Gallery, and later the Fondazione Agnelli, hosted an exhibition of his personal collection entitled In The Darkest Hour There May Be Light. The artist standing out among the ones exhibited was Banksy, who, on that occasion, created a version of Napalm with bloodstains shown in this exhibition. 27. Banksy draws on the lesson by Hirst, he vandalizes the idea of Brand that in his systematic practice of relexicalization becomes Brandalism (Banksy, 2005). 28. “Brandalism: Any advertisement in public space that gives you no choice whether you see it or not is yours. It belongs to you. It’s yours to take, rearrange and reuse” (Banksy, 2005). 29. Banksy’s vandalism starts very early. In 2006, during an interview to the Swindle magazine made by Shepard Fairey, he declares “when I was about 10 years old, a kid called 3D was painting the streets hard. I think he’d been to New York and was the first to bring spray painting back to Bristol. I grew up seeing spray paint on the streets way before I ever saw it in a magazine or on a computer. 3D quit painting and formed the band Massive Attack [...]. Graffiti was the thing we all loved at school – we all did it on the bus on the way home from school. Everyone was doing it” (Banksy, 2006). 30. Banksy’s name for his first vandalism raids was Robin Banks, sounding like “Robbing Banks”. If you call yourself Robin Banks in Great Britain, it is plausible that your friends end up calling you Banksy. 31. While Robin Banks becomes Banksy, the world is changing. The countercultural and libertarian ideology animating the Silicon Valley nerds looks at the World Wide Web as a unique opportunity in the world’s history to share knowledge and skills, a better world that IT engineers want to make accessible to everyone, creating phenomena as Apple and Microsoft, whose dream is one personone computer. This is web 1.0, followed, later on, by web 2.0 with its platforms: Facebook, Twitter, Amazon, Paypal. We know how it ended.
32. La fine del XX e l’inizio del XXI secolo sono gli anni della formazione di Banksy, un periodo che vede emergere in tutto l’Occidente istanze controculturali eterogenee e frammentate che tuttavia si ritrovano nel terreno comune della critica al sistema economico neoliberista e reagiscono con idee e proposte. La data in cui gli storici fanno risalire una sorta di unitarietà di queste istanze che diventano movimento è il 2000 e il luogo è Seattle, in occasione della conferenza ministeriale del WTO, il World Trade Organization, ovvero l’organizzazione mondiale del commercio. Al grido di “un altro mondo è possibile” il movimento si riunirà a Porto Alegre, in Brasile, per il Forum Sociale Mondiale, in opposizione al Forum Economico Mondiale che si tiene a Davos, poi andrà a manifestare il suo dissenso a Genova in occasione del G8 nel luglio del 2001, dove l’idea di un altro mondo possibile subisce una repressione feroce, lasciando sul terreno delle illusioni il corpo di Carlo Giuliani. A settembre 2001 crollano le torri gemelle. 33. Le istanze del movimento No Global possono essere sommariamente descritte come critica alle multinazionali, allo sfruttamento del lavoro minorile, al favoreggiamento delle guerre, al dominio dei sistemi bancari, al copyright, al controllo sociale, alla sostenibilità ambientale. Ognuna di queste istanze è stata trasformata da Banksy in immagini. 34. “Il copyright è per i perdenti ©™” (Banksy, 2005). 35. Portando la pratica vandalica del writing ad un livello più alto, attraverso una sistematica opera di vandalismo epistemico, Banksy sposa l’idea movimentata di un altro mondo possibile e affronta il tema del vero del nostro reale rielaborando immaginari etici ed estetici già informati dalla realtà, sovvertendone e invertendone il senso, realizzando un’arte senza libretto d’istruzione, proprio come Steve Jobs sognò che fossero i prodotti Apple.
PARTE TERZA. SIAMO NOI, LA GENTE 36. Il paradigma che unisce l’idea di arte all’idea di strada è semplice: per fare una cosa bella non devo chiedere l’autorizzazione. La sostanza detonante della street art è tutta qui, c’è il recupero di un’idea estetica a cui segue un’etica appropriata. 37. L’idea che unisce l’arte e la strada non è nuova, tuttavia Banksy la sistematizza cogliendo più di ogni altro la proprietà intrinsecamente ostensiva e il potenziale comunicazionale dello spazio pubblico, attraverso la sua pratica sistematica trasforma il muro in un medium di massa e l’artista in un mass media. 38. “Il medium è il messaggio” (McLuhan, 1964). 39. Il rapporto che il nostro mondo ha istituito con l’arte si realizza all’interno degli spazi espositivi e non è inscritto nel nostro ordinario ma nel nostro straordinario. Andare a vedere una mostra, non è in genere una voce della nostra lista delle cose da fare, piuttosto lo sono pagare le bollette e andare a prendere i figli a scuola. La nostra vita di tutti i giorni non è in relazione con l’arte in nessun modo. Eppure, è l’arte che produciamo che parlerà di noi ai nostri posteri. 40. “L’arte è diversa dalle altre forme di cultura, dal momento che non è il pubblico a determinarne il successo. Gli spettatori riempiono le sale dei concerti e i cinema ogni giorno, leggiamo romanzi a milioni e compriamo dischi a miliardi. Siamo noi, la gente, a influire sulla produzione e la qualità di gran parte della cultura, ma non dell’arte” (Banksy, 2005). 41. Le opere d’arte sono solo in due luoghi, nei musei e nelle gallerie, che sono spazi espositivi, e il modello di fruizione di queste opere è quello contemplativo. Cosa puoi fare in un museo oltre a contemplare le opere? Nulla. 42. Lo spazio pubblico è uno spazio espositivo? Si lo é. Sono due le istituzioni che usano lo spazio pubblico come spazio espositivo in forma legittima: lo stato e il mercato. Lo stato espone la segnaletica stradale allo scopo di regolare lo spazio pubblico, il mercato espone la pubblicità che è una forma di comunicazione persuasiva con il deliberato scopo
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32. Banksy’s education goes from the end of the 20th to the beginning of the 21st century. This period witnesses the rise in the Western World of heterogeneous and fragmented counter-cultural demands, finding a common ground in criticism to the neo-liberal economic system, against which new ideas and proposals come to light. According to historians this sort of unity of the above demands, which later became a movement, dates back to 2000 and takes place in Seattle, on the occasion of the WTO (World Trade Organization) ministerial conference. This movement whose slogan is “another world is possible” meets in Porto Alegre, Brazil, for the World Social Forum in opposition to the World Economic Forum held in Davos. Then, in July 2001, the movement participates in Genoa G8, to express its dissent, but here the idea that another world is possible suffers a fierce repression, leaving on the ground of illusions the body of Carlo Giuliani. In September 2001, the Twin Towers collapse. 33. The No Global movement demands can be briefly described as criticism to multinational companies, exploitation of child labour, facilitation of wars, domination of banking systems, copyright, social control, environmental sustainability. Each of these demands was turned into images by Banksy. 34. “Copyright is for losers ©™” (Banksy, 2005). 35. By raising his vandal graffiti practice to the next level, through a systematic work of epistemic vandalism, Banksy shares the bustling idea of another possible world and addresses the issue of the truth of our “real”, by reprocessing the ethic and aesthetic imaginary aspects already informed by reality, subverting and reversing its meaning, creating an art without an instruction manual, just as Steve Jobs dreamt the Apple products would be.
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THIRD PART. WE, THE PEOPLE 36. The paradigm combining the idea of art with the idea of street is simple: to do something beautiful, I do not have to ask for permission. The detonating substance of street art is all here, there is the recovery of an aesthetic idea followed by an appropriate ethics. 37. The idea combining art and street is not new, but Banksy systematizes it by grasping more than any other its intrinsically ostensive capacity and the communication potentiality of public space, through his systematic practice, he turns the wall into a mass medium and the artist into mass media. 38. “Medium is the Message” (McLuhan, 1964). 39. The relationship between our world and art is realized within the exhibition spaces. It does not affect our ordinary, but our extraordinary. Visiting an exhibition is not generally an item of our to do list, such as paying bills and picking up children from school. Our everyday life is not related to art in any way. Yet, art we produce, will talk about us to posterity. 40. “Art is not like other culture because its success is not made by its audience. The public fill concert halls and cinemas every day, we read novels by the millions, and buy records by the billions. We, the people, affect the making and quality of most of our culture, but not our art” (Banksy, 2005). 41. The artworks are located only in two places: museums and galleries, which are exhibition spaces, and the mode to enjoy these works is contemplative. What can you do in a museum besides contemplating artworks? Nothing. 42. Is public space an exhibition space? Yes, it is. Two institutions use it legally: the State and the market. The State exhibits street signs to regulate public space. The market shows advertising that is a form of persuasive communication intentionally aiming at changing our inclinations. According to the Global Advertising Spending data, in 2010 the total amount spent on advertising in the world was about USD 399 billion while in 2019 it reached about USD 563 billion. Advertising really works. It does
di modificare le nostre attitudini. Osservando i dati del Global Advertising Spending, nel 2010 la cifra globale spesa in pubblicità nel mondo era 399 miliardi di dollari circa, nel 2019 è arrivata a 563 miliardi circa. La pubblicità funziona, modifica le nostre attitudini eccome, altrimenti gli investimenti non crescerebbero. E la terza istituzione? Quella che Jurgen Habermas chiama “il mondo della vita” (Habermas, 1986), ovvero noi? Oltre alle immagini finalistiche, lo spazio pubblico ospita anche segni e immagini non finalistiche, graffiti, stickers, disegni, dipinti, tuttavia questa materia visiva non gode dello statuto di legittimità, è abusiva. Al mondo della vita non è consentito esporre nello spazio pubblico. Certo, a meno che i tuoi scarabocchi non valgano cifre da capogiro. 43. “La società ha sin dal suo sorgere una configurazione spaziale, così come lo spazio ha una configurazione sociale. Socializzazione e spazializzazione sono da sempre state intimamente intrecciate, interdipendenti e in conflitto” (Marramao, 2013). 44. Segnaletica e pubblicità nello spazio pubblico veicolano messaggi univoci, non c’è niente da interpretare, al contrario tutta la restante materia visiva, sono pure immagini ermeneutiche. 45. “Per la prima volta con i graffiti di New York, [...] i media sono stati attaccati nella loro stessa forma, cioè nel loro modo di produzione e diffusione” (Baudrillard, 1976). 46. Se lo stimolo cognitivo di un’immagine finalistica è un dardo scagliato in un punto preciso del nostro cervello, quello di un’immagine ermeneutica è paragonabile ad una fioritura senza scopi che coinvolge il nostro intero apparato di decodifica. Questo dovrebbe quantomeno stimolare una riflessione sulla legittimità delle immagini nello spazio pubblico. 47. Il modello di fruizione di un’opera nello spazio pubblico non è affatto contemplativo, la puoi contemplare certo, ma volendo la puoi sfregiare, contestare, modificare, cancellare, strappare, prendere. Cosa puoi fare in strada dopo aver contemplato un’opera? Molto. 48. “Non sono le proprietà estetiche che trasformano
l’oggetto in opera d’arte ma le proprietà relazionali” (Danto, 2013). 49. Delle opere pubbliche di Banksy è rimasto pochissimo, nelle sue pubblicazioni c’è spesso indicata la durata dell’opera. Tre giorni, sei minuti, due ore. 50. Quando si parla di street art viene convocata spesso l’idea di arte effimera. Tuttavia piuttosto che effimera, sembrerebbe essere semplicemente temporanea. 51. Al contrario dell’idea dominante e storica di un’arte che attraversi il tempo, quella di Banksy è un’arte che il tempo (merce) lo ruba, un’arte a disponibilità limitata, e non ci rimane che contemplare il suo riflesso nei musei, come in questa mostra. 52. “Non penso che la mano dell’artista sia importante a nessun livello, perché stai solo cercando di comunicare un’idea” (Hirst, 2000). 53. Ogni emergere di un’idea di arte è in fondo l’apertura di un nuovo spazio di libertà. 54. L’efficace trasformazione sistematizzata dello spazio pubblico in spazio espositivo per l’arte operata da Banksy, ha portato all’affermazione dell’idea che associa l’arte alla strada, che il discorso pubblico ci restituisce nell’etichetta street art, liberando intere generazioni di giovani artisti dalle pratiche artistiche tradizionali e permettendogli di reimmaginarlo. 55. “Molte persone non prendono iniziative solo perché nessuno gli ha detto di farlo” (Banksy, 2005).
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change our inclinations, otherwise investments would not grow. What about the third institution, the one that Jurgen Habermas calls “lifeworld” (Habermas, 1986), in other words us? In addition to the finalistic images, public space also shows non-finalistic signs and images: graffiti, stickers, drawings, paintings, but this visual material is not authorized. It is abusive. The lifeworld is not allowed to exhibit in public space, unless your scribbles are worth a dizzying amount of money. 43. “Since its emergence, society has a spatial configuration, just as space has a social configuration. Socialization and spatialization have always been intimately intertwined, interdependent and in conflict” (Marramao, 2013). 44. Road signs and advertising in public space convey univocal messages. There is nothing to be interpreted, on the contrary, the remaining visual material is represented by clear hermeneutic images. 45. “For the first time with New York graffiti, (...) media have been attacked by their own form, in their own way of production and diffusion” (Baudrillard, 1976). 46. If the cognitive stimulus of a purposed image is a dart thrown towards a specific point in our brain, the stimulus of a hermeneutic image can be compared to an aimless blossoming involving all our decoding system. This should at least stimulate a reflection over images legitimacy in public space. 47. The enjoyment mode of an artwork in public space is not contemplative at all. Indeed, it could be contemplated as well as rubbed, challenged, modified, deleted, tore, or taken, if you want. What can you do in the street after admiring an artwork? A lot. 48. “It is not aesthetic properties that transform an object into a work of art but relational properties” (Danto, 2013). 49. Very few remains of Banksy’s public works; he often shows in his publications the artwork duration. Three days, six minutes, two hours. 50. When it comes to street art, the idea of ephemeral art is often recalled. However, rather than ephemeral, it seems to be merely temporary. 51. Unlike the established and historical idea that art should go across time, Banksy’s art steals time (commodity), an art with limited availability. So, all we
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have to do is admiring its reflex in museums, as in this exhibition. 52. “I don’t think the hand of the artist is important on any level because you’re trying to communicate an idea” (Hirst, 2000). 53. Each emerging idea of art is essentially a way to open up a new space of freedom. 54. Banksy’s successful systematic conversion of public space into exhibition space for art led to the affirmation of the idea associating art and street and labelled by the public debate as street art, thus releasing many generations of young artists from any traditional artistic practices and allowing them to reimagine it. 55. “A lot of people never use their initiative because no-one told them to” (Banksy, 2005).
PARTE QUARTA. NON CREDO IN NULLA, SONO QUI SOLO PER LA VIOLENZA 56. “Questo non è un manuale per fottute agenzie di pubblicità” (Banksy, 2002). 57. Banksy utilizza strategie di comunicazione degne dei grandi brand e questo non deve sorprendere, il marketing deve molto ai graffiti. In effetti, da oltre vent’anni la maggioranza dei grafici, creativi e operatori della pubblicità sono ex writer che dall’esperienza della pratica del writing, ovvero dall’etica e l’estetica del vandalismo, hanno prelevato e rielaborato alcune tra le più efficaci e innovative tecniche di marketing, basti pensare al successo delle tecniche usate dai global brand, teorizzate e descritte da Jay Conrad Levinson (1984) nel suo libro Guerrilla Marketing, approntate osservando le pratiche messe in atto dai writers newyorkesi negli anni ’80. 58. Nessuno meglio di un writer sa come prendersi l’attenzione nello spazio pubblico. 59. “Non si vive in uno spazio neutro e bianco; non si vive, non si muore, non si ama nel rettangolo di un foglio di carta” (Foucault, 1994). 60. È il marketing che mutua il vandalismo e non il contrario, e il lavoro di Banksy sembra marketing solo perché siamo più sottoposti alla pubblicità che all’arte. L’agire artistico di Banksy dunque, non è affatto marketing ma puro vandalismo e questo ci potrebbe portare a pensare che marketing e vandalismo siano in fondo, la stessa cosa. 61. “Non credo in nulla, sono qui solo per la violenza” (Banksy, 2005). 62. La prima mostra documentata di Banksy con opere in vendita risale al 1998, la organizza lui stesso nella casa (e nel garage) che condivide con altri due ragazzi a Easton, un sobborgo di Bristol. Dal 1998 al 2019, ovvero in circa venti anni di attività, Banksy partecipa a 37 mostre documentate, tra personali e collettive. Di queste, 33 sono tra il 1998 e il 2010, 33 mostre in 12 anni, una media di oltre tre mostre l’anno. Un’attività che qualsiasi artista definirebbe quantomeno intensiva. 63. “A me piace (il mercato dell’arte). Molto. So
che tanta gente vede la cosa come un problema, questioni di integrità credo. Ma io ho sempre pensato che essere un artista, fare qualcosa nel tuo studio e aspettare che qualcuno venga a vedere e se li porti via... non abbia senso [...] se l’arte riguarda la vita, ed è inevitabile che sia così, e riesce a rimanere tale anche se la gente la compra e ci investe dei soldi fino a farla diventare un bene di consumo, beh, per me è emozionante” (Hirst, 2004). 64. Mentre realizza un’incredibilmente intensa attività espositiva tradizionale, Banksy realizza una quantità sterminata di dipinti murali a Bristol, Londra, Berlino, Napoli, Palestina, New York e molte altre città. Interventi negli zoo di Barcellona, Londra, Melbourne e nel Safari Park di Longleat in Gran Bretagna. Incursioni espositive nei più importanti musei del mondo. Appende i suoi lavori abusivamente alla Tate Gallery, al Natural History Museum e al British Museum di Londra, al MoMa, al Metropolitan Museum e Brooklyn Museum di New York e al Louvre di Parigi. 65. “Quando ero piccolo mia sorella buttò via un sacco di miei disegni e quando le chiesi dove fossero finiti si strinse nelle spalle e mi rispose: Beh non sarebbero certo finiti al Louvre” (Banksy, 2005). 66. Per documentare la sua attività Banksy si fa seguire da un fotografo, per promuoverla da vari PR. Pubblica almeno cinque libri. Avvia una print house a Londra che chiama Pictures On Walls dove stamperà la quasi totalità delle sue edizioni serigrafiche, organizza festival autorizzati e non autorizzati, una residenza artistica abusiva a New York sfidando l’intero New York Police Department, e una miriade di altre attività e iniziative. È chiaro che questo artista non è stato esattamente con le mani in mano. 67. Ridurre Banksy alla pratica della street art e allo stencil sembra quantomeno insufficiente per decodificare il portato di questo artista. I linguaggi che usa per veicolare i sui messaggi sono innumerevoli e spesso prelevati da altri artisti. I topi e lo stencil da Blek le Rat, le pratiche installative e performative da Brad Downey. 68. “I cattivi artisti imitano, i grandi artisti rubano. Pablo Picasso Banksy” (Banksy, 2009). 69. L’opera che nel cuore del pubblico più rappresenta l’artista é sicuramente la Girl with
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FOURTH PART. I DON’T BELIEVE IN ANYTHING, I’M JUST HERE FOR THE VIOLENCE 56. “This is not a resource manual for fucking advertising agencies” (Banksy, 2002). 57. Banksy uses communication strategies of big brands, and this should not surprise since marketing owes a lot to graffiti. Actually, for over twenty years, most of the graphic designers, creatives, and advertising operators were former graffiti writers who took and reworked the ethics and aesthetics of vandalism changing them into some of the most effective and innovative marketing techniques. Just look at the success of the methods used by global brands that were conceived and described by Jay Conrad Levinson (1984) in his book Guerrilla Marketing. He understood them observing the practices put in place by the New York writers in the 1980s. 58. No one knows how to grab attention in public space better than a graffiti writer. 59. “We do not live in a neutral and white space; we don’t live, die, or love, within the rectangle of a sheet of paper” (Foucault, 1994). 60. It is marketing that borrows vandalism and not the other way around, and Banksy’s work looks like marketing just because we are more exposed to advertising than to art. Banksy’s artistic agency, therefore, is not marketing but pure vandalism, thus leading us to think that, in the end, marketing and vandalism are the same thing. 61. “I don’t believe in anything. I’m just here for the violence” (Banksy, 2005). 62. Banksy’s first documented exhibition of works for sale dates back 1998 and was organized by him in the house (and garage) he shared with two roommates in Easton, a Bristol suburb. From 1998 to 2019, in about twenty years of activity, Banksy took part in 37 documented exhibitions, both solo and group. Among these, 33 have been held between 1998 and 2010, 33 exhibitions in 12 years, hence an average of over three exhibitions per year. An activity that any artist would define at least intensive.
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63. “I like it (the art market). Very much. I know a lot of people see it as a problem. Integrity issues, I think. But I’ve always thought that being an artist, doing something in your studio and waiting for someone to come and see and take them away... it doesn’t make sense [...] if art is about life, and inevitably it does, and it is able to stay that way even if people buy it and invest money in it until it becomes a consumer good, well, it’s exciting for me” (Hirst, 2004). 64. While organising an incredibly intense traditional exhibition activity, Banksy produces an endless number of wall paintings in Bristol, London, Berlin, Naples, Palestine, New York and many other cities as well as actions in the zoos of Barcelona, London, Melbourne, in Longleat Safari Park in Great Britain, and exhibition incursions in the most important museums in the world. He hangs his works illegally at Tate Gallery, Natural History Museum and British Museum in London, at MoMa, Metropolitan Museum and Brooklyn Museum in New York, and then Louvre in Paris. 65. “My sister was throwing away loads of my pictures one day and I asked her why. She said, it’s not like they’re going to be hanging in the Louvre” (Banksy, 2005). 66. Banksy had a photographer to document his activity, several P.Rs. to promote his actions. He publishes at least five books and starts a print house in London called Pictures On Walls where almost all of his silkscreen works were printed, he organizes authorized and unauthorized festivals, an abusive art residence in New York challenging the whole N.Y.C. Police Department, and a myriad of other activities and initiatives. He is not precisely twiddling his thumbs. 67. Restricting Banksy to street art and stencil seems at least unsuitable to decode this artist’s reach. He uses countless languages to convey his messages, often taken from other artists, rats and stencil from Blek le Rat, installation and performance practices from Brad Downey. 68. “The bad artists imitate, the great artists steal. Pablo Picasso Banksy” (Banksy, 2009). 69. Girl with Balloon is definitely the artist’s most
Balloon. L’immagine che sfida il divieto non scritto dell’arte di dipingere cuori e che Banksy utilizza per dare forma e colore alla disillusione, il sentimento che maggiormente incarna la condizione emotiva delle giovani generazioni che abitano il nostro tempo. La realizza su muro in vari posti e successivamente la stampa in edizione serigrafica nel 2004-2005, posta in vendita al prezzo di 65 £. 70. “C’e sempre una speranza” (Banksy, 2005). 71. Nel 2017, Samsung commissiona un sondaggio per chiedere ai sudditi della regina quale sia l’opera d’arte britannica che amano di più: è la Girl with Balloon di Banksy. 72. Il lavoro di Banksy che ha avuto più risonanza mediatica è la shredded Girl with Balloon, ovvero la distruzione pubblica di una versione dipinta su tela della ragazza col palloncino. Come i musicisti che non ne possono più del loro cavallo di battaglia che tutti gli chiedono di cantare, la Girl with Balloon subisce una specie di vendetta. Commenterà questa azione citando Mikhail Bakunin: “la passione per la distruzione è anch’essa una passione creativa”. 73. Cosa fa Banksy quando riduce a striscioline la sua Girl with Balloon da un milione di sterline? In primo luogo compie un gesto pubblico che rivendica attraverso il suo account Instagram – lo stesso schema procedurale di un attentato – in secondo luogo si ispira ad un lavoro dell’artista francese Farewell, Bande de pub realizzato nel 2004 a Parigi. La tela metà dentro metà fuori la cornice, con la parte fuoriuscita fatta a striscioline, è probabilmente destinata a cristallizzarsi nella memoria collettiva e ad entrare nella storia e nel costume dalla porta principale. Prontamente, Perrier e McDonald realizzano una loro campagna di comunicazione ispirata all’immagine della shredded Girl with Balloon. 74. Questa immagine sembra essere la grammatica del linguaggio che Banksy utilizza in quello che appare come un suo messaggio sul senso dell’arte oggi, ovvero l’insieme delle convenzioni che stabilizzano l’idea diffusa e condivisa di arte qui e ora. C’è da dire che non si tratta di un vero, grande discorso contemporaneo sul senso dell’arte, sia chiaro, solo un discorsetto di buon senso per chi ama le cose belle, un po’ come l’anarchia entry-level di Dismaland.
75. Banksy sembra parlarci in modo pragmatico, probabilmente ci legge nello stesso modo. 76. Conosciamo l’esistenza di questo artista solo attraverso le sue comunicazioni, non abbiamo mai avuto esperienza del suo corpo. Nonostante da circa venti anni Banksy sia solo una comunicazione unidirezionale, non smettiamo di attribuirgli un’antropomorfia, di farlo uomo. 77. Ci sorprende che qualcuno tra noi non passi all’incasso di tanta popolarità, non la mostri, non la esibisca, non ne faccia spettacolo. Per quanto l’artista si sforzi di non esserlo, diamo per scontato che sia una persona. 78. Sembrerebbe che a noi il linguaggio di Banksy piaccia molto, non si tratta di un linguaggio verbale o multimodale, come quello che usiamo tutti noi per comunicare, ma di un altro tipo di linguaggio e, qualsiasi cosa dica con questo linguaggio, la platea di chi lo ascolta appare sempre più grande. Qualsiasi iniziativa di Banksy finisce sulle news internazionali, dalla CNN, ad Al Jazeera, ad Africanews. 79. Come dobbiamo leggere la messa in scena della distruzione della Girl with Balloon? In effetti, la messa in scena è l’opera vera e propria ed è costituita dal video (2018) e dalla sua potenzialità virale, offerta dalle tecnologie digitali del tempo reale. 80. La messa in scena pubblica è anche all’origine della contemporaneità dell’arte, è Marcel Duchamp (1915) ad utilizzarla come procedura esecutiva dell’opera, presentando così i suoi ready made, la cui strategia d’indirizzo è di rappresentare linearmente ciò che è rappresentato, ovvero, così come il pisciatoio è solo un pisciatoio, la ruota di bicicletta é solo una ruota di bicicletta, la burla di Banksy è solo una burla, uno scherzo o, più astrattamente, un gioco. In questa prospettiva forse abbiamo assistito all’aggiornamento storico della nozione duchampiana di ready made già frequentata da Banksy, come il pensiero situazionista di cui l’opera è altrettanto portatrice. 81. Il ready made duchampiano esprime bene una certa stabilità dello stato delle cose in generale, e degli oggetti in particolare e, in un certo senso, è figlio del materialismo storico, tuttavia mal si adatta alla transitorietà degli stati delle cose e degli oggetti a cui ci costringe l’instabilità e la progressiva smaterializzazione
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representative work in audiences’ heart. The image that defies the tacit art prohibition of painting hearts is used by Banksy to give form and colour to disillusion, the feeling that most embodies the emotional condition of young generations inhabiting our time. He made it on the wall in various places and then printed it in a silkscreen edition in 2004-2005. It was offered for sale for 65 pounds. 70. “There is always hope” (Banksy, 2005). 71. In 2017, Samsung ordered a survey to ask the british which artwork they loved the most: it turned out was Banksy’s Girl with Balloon. 72. Banksy’s work with the most media coverage is the shredded Girl with Balloon or the public destruction of a painted on a canvas version of the Girl with Balloon. Like the musicians bored by their major piece everybody ask, the Girl with Balloon suffers a kind of revenge. He comments on this action by quoting Mikhail Bakunin: “the passion for destruction is also a creative passion”. 73. What does Banksy do when he shreds his million pound’s Girl with Balloon? First of all, he makes a public gesture that he claims through his Instagram account – using the same procedure of an outrage – and then, he is inspired by a work of the French artist Farewell, Bande de pub, made in Paris, in 2004. The undamaged canvas inside the frame and the part cut into strips outside it are probably destined to be settled into the collective memory and enter into history and costume through the main door. Perrier and McDonald promptly made their communication campaigns inspired by the shredded Girl with Balloon. 74. This image seems to identify the syntax of the language used by Banksy in what appears to be his message about the meaning of art today: a set of practices fixing the general and shared idea that art is here and now. It should be said that this is not a real, great contemporary argument on the meaning of art. It is just a common sense for those who love beautiful things, somewhat like the Dismaland entry-level anarchy. 75. Banksy seems to speak to us pragmatically. He probably reads us the same way.
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76. We are aware of the existence of this artist only through his communications. We have never become acquainted with his body. Although for about twenty years, Banksy has only been a oneway communication, we do not stop assigning him an anthropomorphic image, making him a man. 77. We are surprised that someone is not claiming, showing, or playing such fame. No matter how hard the artist tries not to be, we take it for granted that he is a person. 78. It seems that we love Banksy’s language very much. It is not a verbal or multimodal language, like the one we use to communicate; it is a different kind of language and, whatever he says in his language, his audience is getting bigger and bigger. Any Banksy initiative ends up on international news, from CNN to Al Jazeera, to Africanews. 79. How do we read the performance of the Girl with Balloon destruction? The staging, indeed, is the work itself and consists of the video (2018) and its viral potential offered by the real-time digital technologies. 80. Public staging has also originated contemporary art. Marcel Duchamp (1915) was the one who used public staging as executive procedure of the artwork, thus presenting his readymade pieces according to his leading strategy, that is to say, linearly showing what is represented. This means that a urinal is only a urinal; a bicycle wheel is only a bicycle wheel; hence, Banksy’s joke is only a joke, a prank, or, more abstractly, a game. Under this perspective, perhaps we watched at the historical modernisation of the notion of Duchamp’s readymade already enjoyed by Banksy, as well as the situationist thought that affects the artwork. 81. Duchamp’s readymade express a certain level of stability of the state of things in general, and of objects in particular, and in a way, is the result of historical materialism, which, however, it does not adapt to the temporary nature of the state of things and objects that we are forced to accept due to the instability and progressive dematerialization of objects in our days.
degli oggetti nel nostro tempo che potremmo chiamare per antitesi: immaterialismo storico. 82. La risposta su cosa rappresenti la messa in scena è: rappresenta un gioco presentato, più che nel formato del ready made duchampiano, in una sorta di ready masking banksyano. 83. L’arte è un gioco? Sì, lo è. 84. Nel rivelare l’opera attraverso un breve video (2018) in cui l’artista illustra la tecnica per ottenere la triturazione della tela e ne narra la storia come fosse una favola (dieci anni fa...), l’artista la accompagna alla citazione prelevata da Bakunin. Cosa vuol dire? Perché Banksy ci parla di distruzione? Infine, è veramente distruzione? 85. Arte e distruzione si sono incontrati da tempo, basti pensare ai tagli di Fontana, alle combustioni di Burri, al lavoro di John Reed. Di distruzione creatrice si sono occupati Caws e Deville nel loro saggio Undoing art del 2017. I due fanno notare che la distruzione dell’opera d’arte (undoing) costituirebbe una parte del processo di costruzione dell’artista, in altre parole, l’artista nel distruggere l’opera, in realtà, costruisce se stesso. 86. In effetti, questa analisi trova conferma negli esiti dell’azione dell’artista, Banksy distruggendo l’opera ottiene due effetti, il primo è la diffusione capillare della sua opera (il video), il secondo che tutte le sue opere ora valgono di più. Sembra proprio che, come sostengono Caws e Deville, l’artista abbia dato un ulteriore contributo alla costruzione di se stesso. 87. L’aspetto performativo di un atto di distruzione ha inoltre un lato spettacolare in grado di richiamare la nostra attenzione con molta più pervasività di un atto di costruzione, la distruzione creatrice afferma un’arte secolarizzata, ovvero desacralizzata, quando Bailey Bob Bailey propone la distruzione del rituale dell’albero di Natale (Caws e Deville, 2017) sta mettendo in scena la paganizzazione di un rito sacro oramai assorbito nella civiltà dei consumi, stessa cosa fa Banksy. 88. La distruzione creatrice è un paradigma usato perlopiù dal potere moderno che ne ha intercettato il potenziale economico e politico, basti pensare alle guerre per stabilizzare regioni del mondo e ai processi di ricostruzione e gestione. 89. La relazione tra arte e distruzione ha sempre restituito un’estetica del caos, dell’irripetibilità. La
distruzione dell’opera d’arte è stata finora un atto generatore di entropia, essenzialmente riduzione di materiali in pezzi o trasformazione unidirezionale degli stessi. Un processo in grado di produrre un’estetica del relitto, della rottura scomposta che si adatta alla perfezione alle ricerche informali del proprio tempo. 90. Con questo lavoro Banksy si spinge oltre il paradigma di distruzione conosciuto, la distruzione di Banksy è operata attraverso un oggetto che è un vero e proprio simbolo del principio razionale e industrializzato di distruzione: il tritadocumenti. L’oggetto a cui il mondo amministrato affida i suoi segreti quando è troppo tardi per nasconderli. L’estetica ne risente in maniera rivoluzionaria, il risultato visivo di questa distruzione non è affatto un caos informe di materiali ma al contrario, una distruzione ordinata, industrializzata, composta, razionale e logica, totalmente deprivata del potere di trasformazione del materiale che, infatti, lascia intatta la capacità percettiva dell’opera aumentandone la dissonanza. 91. “La presenza della dissonanza nella nostra vita contemporanea è talmente reiterata e abituale che sembra non darsi alcuna esperienza estetica di valore che non sia velata da un dolore” (Iannelli, 2010). 92. L’opera in questione non è quindi il risultato della distruzione di un’opera ma di un suo refit, di una sua riconfigurazione secondo un preciso canone estetico offerto da una tecnologia da ufficio. 93. “La forma dell’arte moderna sarà adeguata al contenuto di verità dell’epoca” (Hegel, 1997). 94. Una domanda è rimasta in sospeso, qual è la verità che ci sta comunicando questo artista? La verità è che “la società, in quanto condizione collettiva che mira all’ordine nel disperato tentativo di scongiurare l’entropia, è un insieme di confini. Anche se ci si aspetta che l’artista segua le regole generali come tutti gli altri, gli si accorda però tacitamente la licenza di spostare, sfidare – se necessario – violare questi innumerevoli confini. Qualcuno lo deve fare, e sebbene sia prevedibile che lo facciano criminali, pazzi e bambini, tutto sommato preferiamo che a farlo sia un artista. Allora, il modo migliore per conoscere un limite è trovare qualcuno che prema per infrangerlo” (McCormick, 2015).
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Hence, we could antithetically call it: historical immaterialism. 82. This is the answer to what staging represents: it performs a game shown in a sort of Banksy’s ready masking, rather than in the Duchamp’s readymade. 83. Is art a game? Yes, it is. 84. Unveiling the work through a short video (2018) where the artist shows the technique to get the canvas shredding, Banksy tells the story as if it were a fairy tale (ten years ago...) and quotes Bakunin. What does it mean? Why does Banksy talk to us about destruction? Finally, is it really destruction? 85. Art and destruction have long met; think of Fontana’s cuts, Burri’s combustions, John Reed’s work. Caws and Deville dealt with creative destruction in their essay Undoing Art published in 2017 remarking that the destruction of an artwork (undoing) would be a part of the artist’s construction process; in other words, when the artist destroys the artwork, he is actually building himself. 86. This analysis is confirmed, in fact, by the results of the artist’s action. By destroying the artwork, Banksy obtains two effects, the first is to widen the distribution of his work (the video), and the second is to increase the value of all his artworks. It seems that the artist significantly contributes to his own formation, as Caws and Deville argued. 87. The performing aspect of an act of destruction has a spectacular side, too, since it can attract attention in a much more pervasive way than an act of construction. Creative destruction affirms a secularised and desacralized art. When Bailey Bob Bailey proposes to destroy the Christmas tree ritual (Caws and Deville, 2017), he is staging the paganisation of a sacred rite that was finally swallowed up by the consumer civilization. Banksy does the same. 88. Creative destruction is a paradigm mostly used by modern power that has understood its economic and political potential, just think of the wars to stabilise regions of the world and to the process of reconstruction and management. 89. The relationship between art and destruction has always given back an aesthetic of entropy, chaos, and unrepeatability. So far, the destruction of artwork has been an act generating entropy,
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mainly the reduction of materials into pieces, or their unidirectional transformation. A process able to create an aesthetic of wreckage, of decomposed rupture that perfectly suits the informal research of one’s own time. 90. Through this work, Banksy goes beyond the well-known paradigm of destruction. The object used to carry out the Banksy’s destruction is a real symbol of the rational and industrialized principle of destruction: the office shredder machine, the object that administered world appointed to destruct its secrets when it is too late to hide them. Aesthetics experiences it in a revolutionary way. The visible result of this destruction is not shapeless chaos of materials, but an orderly, industrialized, tidy, rational and logical destruction that is totally dispossessed of the power of material transformation that stays intact in the perceptive capacity of the work, icreasing its dissonance. 91. The presence of dissonance in our contemporary life is so repeated and habitual that there seems to be no valuable aesthetic experience that is not veiled by pain (Iannelli, 2010). 92. Therefore, such artwork is not the result of its destruction but its refit, its reconfiguration according to a precise aesthetic canon offered by an office technology. 93. “The form of modern art will be adequate to the truth content of time” (Hegel, 1997). 94. One question has remained unanswered: what is the truth that this artist is telling us? The truth is that “society, as the collective condition that strives for order in a vain effort to defy the entropy of being, is a construction of boundaries. As much as it is expected of artists to follow the rules like anyone else, the license we grant creativity is ultimately about giving artists some tacit permission to constantly stretch, challenge, and, if need be, defy this unending accumulation of boundaries. Even if the artist is expected to follow the general rules like all the others, he is tacitly granted the license to move, challenge – if necessary – violate these countless boundaries. Someone has to do it, and although it is to be expected that criminals, fools and children will do it, all in all we prefer an artist to do it. So, the best way to know a limit is to find someone who is pressing to break it” (McCormick, 2015).
SUPERARE L’OPERA ATTRAVERSO L’ARTE, SUPERARE L’ARTE ATTRAVERSO L’OPERA Gianluca Marziani
Superare l’opera attraverso l’arte... detto così sembra lo statement concettuale di qualche monstrum enciclopedico alla Goshka Macuga, in realtà si tratta della sintesi da copertina sul più virale, impattante e iconico artista vivente (step 1). Per precisione, sul più potente e universale progetto artistico (step 2) del millennio in corso, ovvero, BANKSY. (step 1) Artista vivente... Banksy varca il limite biologico con l’eliminazione totale della sua immagine corporea, usando un proprio sistema binario (firma + comunicazione) per gestire la filiera artistica. Di regola i progetti nascono in segretezza, vengono quindi realizzati e poi spalmati sui media digitali, timbrando in tal modo l’autenticità autografa dell’operazione. Lo statement sui social incarna la firma d.o.c., certificazione identitaria e appropriazione debita che accende il motore mediatico. Dietro gli statement potrebbe esserci un singolo, una coppia o un collettivo, noi sappiamo soltanto che l’autore viene da Bristol, si firma Banksy, nasce nel 1974 (?) ed è di sesso maschile (?). Un’ambiguità semantica che ribalta l’identikit fotografico da artista vivente: senza faccia nessun ostacolo identitario nella trasmissione ereditaria del marchio, nella gestione connettiva del progetto, nel sistema virale del processo. Ci fidiamo dello statement, e questo ci basta, anche se non conosciamo il motore operativo, i luoghi dove le decisioni avvengono, gli spazi in cui Banksy vive, le
abitudini sue e del proprio entourage. Ci atteniamo ad esili informazioni di corridoio, un vociare sparso con cui si alimenta la mitologia senza che il vivente diventi vivo. Banksy esiste, di fatto, tramite un logofirma, e forse neanche morirà visto che un logotipo (step 5) non smette di respirare. Partito da una tag, passato per la complessità radiante del logo, il marchio Banksy non ha paragoni per impatto e conseguenze; soprattutto, l’artista è tra i pochissimi ad aver investito il capitale umano nella perfetta fusione tra opera e marchio. Consideriamo quel logotipo il cervello/ cuore del processo creativo, in grado di intrecciare tag (denominazione), marchio registrato (origine) e motore semantico (controllata). BANKSY D.O.C. (step 5) Logotipo... In un mondo di necessari e catartici ghost artist, il primo richiamo esterno è la maschera bianca di Guy Fawkes per gli “hacktivismi” di Anonymous, il feticcio militante che annulla l’identità singola per creare anonimato virale. La differenza con il loro approccio orizzontale è che Banksy prevede una gerarchia in cui qualcuno decide in modalità blindata, fuori da qualsiasi influenza esogena. Un antagonista più calante rimane il Subcomandante Marcos, figura anonima che si nascondeva nella giungla del Chiapas, celandosi dietro video virali e passamontagna. La rivoluzione zapatista aveva un proprio sistema gerarchico, motivo per cui sarebbe stata difficile la moltiplicazione di notizie non autografe. In modo simile, il sistema Banksy alimenta l’anonimato univoco e decide cosa lasciar defluire all’esterno. Un ottimo esempio sono le mostre commerciali che l’autore non autorizza ma non ostacola, affinché si crei un sistema distributivo del pensiero con un’intuizione imprenditoriale ad alto profitto derivato e nessuno sforzo diretto. Il suo logotipo si è trasformato in un crossbrand che può legarsi ad uno stencil, una scultura, un oggetto riciclato, un multiplo, un’installazione, uno statement: ad accomunarli è la modalità omogenea con cui agisce, la detonazione sociale che provoca, le conseguenze culturali e commerciali che produce. Si pensi ad un logo come Supreme, il progetto più accostabile alla filosofia eventualista e ipermediale
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GOING BEYOND THE ARTWORK THROUGH ART, GOING BEYOND ART THROUGH ARTWORK Gianluca Marziani
Going beyond the artwork through art... In this way, it seems the conceptual statement of some Goshka Macuga encyclopaedic monstrum, whereas, in truth, it is the epitome of the most viral, impactful, and iconic living artist (step 1). More precisely, the most potent and universal artistic project (step 2) of this millennium: BANKSY. (step 1) Living Artist... Banksy goes beyond the biological limit, entirely removing his body image and using his own binary system (signature + communication) to handle the artistic chain. Usually, the origin of his projects is secret; then, they are created and finally spread out on digital media, thus establishing the authenticity of the operation. The social media statement embodies his genuine signature, his identity certification, and due appropriation that starts up the mass media. These statements could conceal an individual, a couple, or a collective. We only know that the author comes from Bristol, he signs as Banksy, he was born in 1974 (?), and he is a male (?). A semantic ambiguity overturning the photographic identikit as a living artist: no face means no identity obstacles during the brand hereditary transmission, the connective handling of the project, the viral system of the process. We trust the statement, and this is enough for us, even if we do not know the operative motor, the places where decisions are made, the
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spaces where Banksy lives, as well as his habits and his entourage’s. We stick to faint rumours and common gossips that feed the myth, although the living person does not become alive. Banksy exists, in fact, through his logo-signature, and perhaps he will not even die since a logotype (step 5) does not stop breathing. Starting from a tag and passing through the logo radiant complexity, the Banksy brand has no comparison in terms of impact and consequences. Above all, the artist is one of the very few who has invested his human capital in the perfect fusion between artwork and brand. We should consider that logo the brain/heart of the creative process, able to intertwine tag (name), registered trademark (origin), and (controlled) semantic engine. BANKSY GENUINE. (step 5) Logotype... In a world of vital and cathartic ghost artists, the first external appeal is the white mask by Guy Fawkes for the Anonymous’ “hacktivism”, the militant fetish erasing the individual identity to create the viral anonymity. The difference with their horizontal approach is that Banksy expects a hierarchy with someone deciding in an armoured mode outside of any exogenous influence. A waning antagonist is Subcomandante Marcos, an anonymous figure hidden in the Chiapas jungle and concealed behind viral videos and balaclava. The Zapatista Uprising had a peculiar hierarchical system that made it difficult to multiply the non-authentic news. Similarly, the Banksy system encourages unambiguous anonymity and decides what to let flow out. The commercial exhibitions are excellent examples: the artist does not authorize them but not hinder them, thus setting a system of thought distribution with a high-profit entrepreneurial intuition and no direct effort. His logotype was transformed into a crossbrand that can be linked to a stencil, a sculpture, a recycled object, a multiple, an installation, a statement: the common thread among them deals with the homogeneous way of acting, the social detonation it triggers, the cultural and commercial consequences it causes. Just think of a logo like
(step 2) Progetto artistico. Ognuno di noi tende ad attribuire un volto al nome fantasmatico che opera nei campi creativi, che si tratti di scrittori (Thomas Pynchon), musicisti (SBKRT, Burial), designer (Martin Margiela) o artisti. Non è storia odierna quella delle identità celate, appartiene alla natura umana il desiderio di scomparire dietro un nome, privilegiando la libertà identitaria e lo sdoppiamento di un moniker ad alta sincerità. Se aggiungiamo il contesto urban in cui Banksy si è formato, si giustifica l’indole alla segretezza che, di solito, elimina ripercussioni legali e alimenta la mitologia di un’arte notturna, rapida, autarchica. Da qui il controllo inflessibile della privacy facciale, una capacità quasi leggendaria di celare l’identità pubblica per mantenere a regime il proprio sistema binario (firma + comunicazione). Artista e progetto diventano pura fusione in cui qualcuno (l’artista, un assistente o altri) agisce come cellula/matrice (step 8) ed evita gli obblighi di presenza autografa. Banksy opera per connessioni esogene, sfruttando una rete aperta ma a controllo diretto che certifichi le versioni originali e stigmatizzi i fake (o almeno ciò che l’artista decide di considerare falso).
dipende dagli obiettivi virali che l’autore si prefigge. Immaginate una matrice simile alla banconota che va in rotativa e produce denaro in quantità variabile: per Banksy ogni opera(zione) (step 3) somiglia a quel prezioso elemento solido del poligrafico, con la differenza che la sua matrice non necessita di hardware pesanti ma di un contesto e un’azione. Staccare una porzione di muro con un Banksy originale corrisponde alla presa (non parlo di furto) di un vero/falso, proprio perché si sta prendendo l’esecuzione senza matrice, un’immagine che lo stesso Banksy potrebbe riutilizzare in modi e contesti diversi. L’opera prelevata, a quel punto, vive come feticcio ma perde il suo valore identitario, ed è così anche nei casi in cui il mercato la certifichi e ne dichiari un peso monetario (ecco l’ambiguità costante tra vero e falso, tipica di una finanza che agisce in forma amorale). Stesso discorso per le sculture e le installazioni, dove la volumetria cambia la gestione fisica ma non il legame d’origine con la matrice ideativa. Punto di partenza sembra l’arte concettuale degli anni Settanta, quel processo mentale con cui produrre opere reali (wall drawings per Sol LeWitt, stencil testuali per Lawrence Weiner, neon colorati per Dan Flavin...). In pratica, il valore economico risiedeva nel contratto poiché il processo certificava l’esposizione e la vendita di un’idea e non di un manufatto. Si rompeva il neon? Bastava ricomprarlo con le stesse caratteristiche del neon originale. Cambiavi casa? Il muro di Sol LeWitt veniva rifatto nella nuova abitazione e la precedente parete perdeva il valore d’opera, rimanendo un intonaco senza tenore economico. Banksy riparte da qui e dalle serigrafie a smalti firmate Andy Warhol, tracciando una rigenerata dimensione concettuale, un new entry level nei gangli finanziari del presente liquido, al punto da ricreare un perfetto cortocircuito sul criptovalore delle opere nell’epoca della riproducibilità digitale (step 7).
(step 8) Cellula/matrice. L’opera esiste esclusivamente nella sua matrice ideativa, nel momento in cui Banksy inventa un contenuto in forma visuale. Da quel frangente l’opera può avere una singola vita in un singolo contesto ma anche moltiplicarsi per repliche o variazioni, tutto ciò
(step 7) Riproducibilità digitale. Il punto che rende Banksy un unicum è proprio il contesto digitale del nuovo millennio. I device tecnologici stanno plasmando costumi e habitat della comunità umana, al punto da trasformare i rituali, il gioco, gli spostamenti, le abitudini stagionali. Tutto si lega
di Banksy. È un caso di crossbrand che trasforma qualsiasi feticcio su cui viene cucito, ampliandone la preziosità limited e il valore monetario. L’artista britannico imprime le sue immagini su facciate, serrande, veicoli, fogli, insegne, creando un immediato riassetto del valore, una crescita esponenziale che simula la speculazione finanziaria su derivati e futures. Banksy somiglia ad un soggetto finanziario ad alto reddito ma con elevata sostanza etica, un crossbrand vivente alla continua ricerca di obiettivi sensibili da far implodere. Banksy è uno di quelli che produce reazioni a catena, e non è cosa da poco nell’arte contemporanea.
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Supreme, the most comparable project to Banksy’s eventualist and hypermedia philosophy. It is a case of cross-brand able to transform any fetish on which it is sewn, thus increasing its small preciousness and money value. The British artist prints his images on façades, shutters, vehicles, sheets, signs creating a quick value rearrangement, an exponential growth that simulates the financial speculation on derivatives and futures. Banksy is similar to a highincome financial entity but with high ethical sensitivity, a living cross-brand always seeking sensitive objectives to implode. Banksy is one of those able to produce chain reactions, and this is not insignificant in contemporary art. (step 2) Artistic Project. Each of us tends to give a face to a ghostly name operating in creative fields, whether writers (Thomas Pynchon), musicians (SBKRT, Burial), designers (Martin Margiela), or artists. Hidden identities belong to human history. The desire to disappear behind a name belongs to human nature that prefers to have a free identity, even if shared with a deeply sincere moniker. If we add the urban context where Banksy was formed, the secrecy is justified to skip the usual legal consequences and to feed the myth of a quick, autarkic night art. Hence the inflexible control of his facial privacy, an almost legendary ability to conceal his public identity to keep his binary system (signature + communication). Artist and project become pure fusion: someone (the artist, an assistant, or others) acts as a Cell/ Matrix (step 8) and avoids the duty of being present. Banksy works through exogenous connections exploiting an open but directly controlled network that certifies the original versions and discredits the fakes (or at least what the artist decides to consider a fake). (step 8) Cell/ Matrix. The artwork exists only in its ideational matrix when Banksy creates a content in a visual form. From that moment, the artwork can have only one life in one single context, but it can also be replicated or varied upon the viral objectives set by the author’s self. Imagine a matrix similar to a banknote that goes on
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a rotary press able to produces money in variable quantities. For Banksy each Art -operation (step 3) is similar to that precious and solid product of the Mint, even if his matrix does not need any heavy hardware but just a context and an action. Detaching a wall portion with an original Banksy (I am not speaking of a theft) is equal to taking a true/false since it is just the execution and not the matrix, an image that Banksy could use again in different ways and contexts. Hence, the peeled off artwork survives like a fetish but loses its identity value, even when the market certifies it and states its money value this is the constant swinging between true and false typical of finance that acts in an amoral way. It is the same for sculptures and installations, where volumes change the physical handling but not the original link with the ideational matrix. The starting point seems to be the conceptual art of the Seventies, the mental process to produce real works (wall drawings for Sol LeWitt, textual stencils for Lawrence Weiner, coloured neon for Dan Flavin...). Actually, the economic value was held by the contract since the process certified the display and sale of an idea and not an artefact. Did the neon break? Just repurchase it with the same characteristics as the original neon. Did you change your home? Sol LeWitt’s wall was rebuilt in the new house, and the previous wall lost its artwork value turning into plaster without any economic content. Banksy starts from here and from the enamel silkscreens by Andy Warhol marking out a regenerated conceptual dimension, a new entry-level in the financial connection of our liquid days being able to recreate a perfect short circuit on the artwork cryptovalue in the age of digital reproducibility (step 7). (step 7) Digital Riproducibility. The digital context of the new millennium is the point that makes Banksy unique. Technological devices are shaping the customs and habitats of the human community, succeeding in changing rit-uals, games, movements, and seasonal habits. Everything is linked to speed, multi-control, apparent simplification of times, and ways of living. Actually, humankind is going too fast
alla rapidità, al multicontrollo, ad un’apparente semplificazione dei tempi e modi vitali. In realtà l’umanità va troppo veloce se consideriamo quanto impiega il cervello per adattarsi ad un nuovo habitat antropologico. Da qui il delirio di eccessi egotici, ossessioni, superficialità, un immenso calvario del narcisismo che produce assuefazione e fa perdere di vista le urgenze reali. Banksy si infila nel limbo tra cultura analogica e digitale, diventando un tubo di connessione, un motore meccanico ad alta conduzione idraulica. Avvicina hardware e software con equilibrio dinamico, in bilico tra la sua formazione (lui è parte del Pre Millennium Tension di cui cantava Tricky) e la realtà liquida dei giovani millennial. Banksy non abbandona la stazza fisica dei progetti ma sfrutta appieno il tema virale dei social media. Il suo sistema binario armonizza memoria e futuro con prassi metodica, sfruttando i trucchi tecnologici ma contando su operazioni fisiche, caparbie, retromaniache (Simon Reynolds docet). Lo stencil è la matrice che storicamente permette alla street art di guadagnare spazi con rapidità esecutiva e giustezza progettuale. Significa, per artisti come Banksy, agire in squadra senza che sia l’artista in persona ad eseguire il lavoro. Teoricamente potrebbe non aver mai realizzato nessuno dei progetti conosciuti, così come non ci chiediamo se Damien Hirst o Maurizio Cattelan possiedano doti tecniche rispetto ad opere che si definiscono nell’idea. Lo stencil si propone come strumento politico in una guerriglia urbana che vede gli artisti nel ruolo di detonatori estetici, ghost dogs che operano sui bordi ma conoscono bene i centri. Stencil come griglia predefinita e concettuale, un warholismo nomade che Banksy ha trasformato in un subwoofer di risonanza globale. Un basso planetario che tatua il muro per farlo riprodurre, da chiunque e ovunque, in formato virtuale e pixelato, dentro la vera stampante del nuovo millennio, ovvero, i nostri smartphone che non consumano carta e mandano Walter Benjamin in pieno cortocircuito filosofico. (step 3) Opera(zione)... per secoli si è parlato di opere d’arte e ancora succederà in futuro, anche
se i nuovi processi di comunicazione permettono speculazioni teoriche una volta impensabili. Nel caso di Banksy, se parliamo di progetto artistico e matrice ideativa, dovremmo auspicarci un altro termine che contenga il senso ultimo dell’autore. Oper(azione) mi sembra la più sensata, quella in cui l’opera, intesa quale oggetto iconografico, apre il suo contenuto al processo dinamico che la contraddistingue. Antagonismo è parola difficile da gestire, riguarda l’attitudine che guida un artista, il suo approccio rispetto al mondo, il coinvolgimento dell’opera su temi socialmente e politicamente forti. Qualcuno confonde il successo di alcuni autori con la perdita dell’antagonismo d’origine, come se il grande guadagno levasse l’integrità del pensiero primigenio, non considerando che l’apoteosi del culto antagonista risiede nel destabilizzare al massimo grado un obiettivo sensibile. Banksy ha visto crescere la sua fama senza mai cambiare approccio, restando lo stesso che inventava operazioni a Bristol vent’anni prima. Semmai, sono aumentate le reazioni a catena che ogni progetto provoca, al punto da incarnare un soggetto politico (step 4) che sposta interessi collettivi e smuove questioni governative. Banksy fa paura al potere che, al contempo, gode nel trovarsi al centro dei suoi target iconici. È una perversione che da sempre caratterizza i potentati, una specie di controcanto etico in cui l’artista stigmatizza ciò che rende tautologico il potere stesso. Si direbbe un cul-de-sac comunicativo, un meccanismo che Banksy gestisce così bene da restarne fuori in maniera proattiva, trovando sistemi speculativi che convertano il suo successo in un paradosso contro il potere che poi lo acquista in aste e compravendite. Basti l’esempio del Walled Off Hotel che porta turismo sensibile in una zona ad alto rischio militare, creando economia sulla linea del fuoco incrociato, in zona Betlemme, a due passi dal terrore reale. Banksy spinge l’antagonismo al punto di massima flessione, creando un’equazione tra l’integrità del messaggio e l’audience da rockstar planetaria. Un caso unico e raro, diverso da tutti per il modo in cui destabilizza e rimodula le regole dell’aristocrazia artistica. Il cosiddetto Art System
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if we consider how long it takes the brain to adapt to a new anthropological habitat. Hence the delirium of selfish excesses, obsessions, superficiality, a huge ordeal of narcissism that gives rise to addiction and makes lose sight of the real urgencies. Banksy enters the limbo between the analogue and digital culture, becoming a connecting tube, a mechanical motor with high hydraulic conductivity. His attitude towards hardware and software is in dynamic balance poised between his education (he is part of the Pre Millennium Tension sung by Tricky) and the liquid reality of the millennial youth. Banksy does not break up with massive projects but fully exploits the viral theme of social media. His binary system balances memory and future through methodical practice, exploiting the technological tricks but relying on physical, stubborn, and retro-maniacal operations (as with Simon Reynolds). The Stencil is the matrix that historically allows the street art to gain space thanks to quick execution and design accuracy. For artists like Banksy, it means acting as a team without the artist himself performs the work. From a theoretical viewpoint, he could have never made any of his known projects, just as we do not wonder if Damien Hirst or Maurizio Cattelan possess the technical skills required for the works defining the idea. The Stencil is used as a political tool in an urban guerrilla identifying the artists as aesthetic detonators, ghost dogs working at the edges, but knowing very well the centres. Hence, the Stencil becomes a predefined and conceptual grid, a sort of nomadic Warholism that Banksy has turned into a subwoofer with a global resonance. A planetary bass tattooing the wall to make it reproduce by anyone and everywhere, in a virtual and pixelated format by the real Millennium printer: our smartphones that do not use paper and send Walter Benjamin in a total philosophical short-circuit. (step 3) Art-operation... For centuries, we have talked of artworks, and it will happen again in the future, although the new commu-nication processes allow theoretical hypotheses inconceivable in
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the past. Speaking of Banksy, if we talk of artistic project and ideational matrix, we should use another term that includes the author’s ultimate sense. I think that Art-operation fits best to a work understood as an iconographic object that opens its content to a dynamic process that marks it off. Antagonism is a problematic word to handle since it deals with the attitude driving an artist, the way of approaching the world, and the involvement of the work on active themes from a social and political viewpoint. Someone mixes up some authors’ success with the loss of their original antagonism as if making big money means losing the integrity of the earliest thought, thus not considering that the climax of the antagonist cult lies in the deep destabilisation of a sensitive objective. Banksy has seen his fame grow without ever changing his approach, remaining the same as he invented his attacks in Bristol twenty years ago. If anything, the chain reactions triggered by each project have increased to the point of embodying a political subject (step 4), moving the collective interests and governmental issues. Banksy frightens the power, and, equally, the power enjoys being the core of his iconic targets. It is a peculiar perversion of moguls -a kind of ethical opposite where the artist marks out the tautological facet of power itself. It could be a kind of cul-de-sac of communication. A mechanism flawlessly handled by Banksy that allows him to stay proactively out of it finding speculative systems that turn his success into a paradox against the power that buys his artworks in auctions and trades. An indicative example is the Walled Off Hotel that brings sensitive tourism to an area of high military risk building an economy on the crossfire line of the Bethlehem area, a stone’s throw from real terror. Banksy pushes antagonism to the ultimate flexion point creating an equation between the message integrity and the audience of a World Famous Rock Star. A unique and rare case: he is different from any other in his way of destabilizing and remodelling the rules of the artistic aristocracy. The so-called Art System treats him with distance and snobbery but cannot avoid him since his attacks are too pop, and even Sotheby’s
lo tratta con distanza e snobismo ma non può farne a meno, considera troppo pop le sue operazioni eppure Sotheby’s lo vuole nell’asta più importante di stagione. La Tate Modern, se facesse una sua mostra epocale, avrebbe file di spettatori per chilometri, risolvendo problemi di budget e creando nuovi target di pubblico, senza intaccare il profilo qualitativo che la contraddistingue. Ma ciò non accade e forse non accadrà a lungo, mentre qualsiasi bookshop che si rispetti riempie i suoi scaffali con libri, cataloghi, multipli e altri oggetti a tema Banksy (Indovinate quali sono i libri e gli oggetti più venduti nei bookshop dei migliori musei nel mondo?). Banksy fa saltare il banco del conformismo culturale, al punto da essere una superstar britannica che non viene omaggiata dal più importante museo del Regno Unito. Tutti ne parlano, tanti “aristoguy” lo collezionano di nascosto, il suo potere cresce ma la sua autonomia, la sua ragione inclassificabile, il suo menefreghismo per le regole non vengono digeriti dal Sistema. Mi viene solo un dubbio: se Banksy lasciasse tutti i diritti di sfruttamento commerciale al miglior offerente, Gagosian e Hauser & Wirth farebbero o no carte false per averlo in scuderia? La risposta la conosciamo già, e forse lo vedremmo subito nella Turbine Hall della Tate Modern. Magari con le sei lettere del suo nome in formato mastodontico, sei giganteschi rollercoaster per la più spericolata, adrenalinica, assurda operazione installativa del nuovo millennio. Per ora sono piccole speculazioni teoriche, un domani chissà... Banksy crea fenomeni di adorazione nascosta, simili alla passione del porno che pochissimi dichiarano ma che moltissimi perseguono. Mi piace considerarlo la miglior perversione praticabile del sistema artistico, un soggetto del desiderio che mescola istinto percettivo e pratica mediale, semplicità e complessità, alto superficiale e basso profondo. Banksy pratica un’arte dove lo spettatore aderisce alle contraddizioni, ai doppi/tripli sensi dei claim, all’ironia immancabile, al catastrofismo motivato, al cinismo ridanciano, ricordandoci che sarà una risata a seppellirci, e che forse dovremmo prenderci tutti meno sul serio. Ridere, ridere, ridere: restando umani.
Così, mentre moda e tecnologia si infiltrano nei nostri desideri attraverso la sensorialità del logo, Banksy precede i nostri desideri per instillarci il dubbio sul presente, sulle reali necessità umane, sulle patologie di un mondo con troppa finanza e poca sostanza. L’artista accende il faro sul dilemma etico, ci stuzzica e punzecchia come un grillo narrante, arrivando dove altri non riescono, dicendo ciò che molti non hanno il coraggio di affermare. Viviamo in una bolla percettiva, anestetizzati da ciò che vogliono farci credere, storditi dai riti di sopravvivenza in un mondo sempre più fagocitante. Quando uno come Banksy tira fuori il marcio attorno a noi, talvolta dentro di noi, accade qualcosa di strano ma logico: una parte di noi ne comprende la veggenza e appoggia il suo talento, una parte fragile, invece, si impaurisce e prova a indebolirlo, minando una plausibile verità che toglierebbe senso al (poco) senso degli spiriti più fragili. È una tipica leva che, destabilizzando l’avversario, riconferma il proprio valore senza opporre una reale dialettica. Sta accadendo proprio questo nell’ambito della teoria artistica: da una parte la galassia curatoriale che ancora parla di “graffitista”, di opere da pub, di fenomeno mediatico (come se il resto non lo fosse), di epoca culturalmente debole; dall’altra coloro che ne captano la dimensione complessa, le ampiezze veggenti, la trasversalità rispetto ad ogni possibile definizione.
wants him in the most prestigious auction of the season. If Tate Modern organized an epoch-making exhibition, visitors would queue for miles solving its budget problems and creating new target audiences without affecting its distinctive qualitative profile. But this does not happen -and perhaps will never happen for a long time, while any self-respecting bookshop fills its shelves with books, catalogues, multiples, and other Banksy-themed objects (Guess what the books and objects most sold in the best world’s museum bookshops are?). Banksy upsets the rules of cultural conformism, becoming a British superstar not honoured by the most famous museum in the United Kingdom. Everybody talks about it. Secretly, many aristo-guys collect his works. His power grows, but the System does not digest his independence, his unclassifiable reason, his lack of respect for rules. I have a doubt: if Banksy left all the trade exploitation rights to the highest bidder, would Gagosian and Hauser & Wirth jump through hoops to have him in on board, or not? We already know the answer, and perhaps we will immediately see his artworks exhibited in the Turbine Hall of the Tate Modern. Probably with his six letters name will be shown in large format: six huge rollercoasters for the most reckless, adrenaline-filled, absurd installation of the new millennium. So far, these are just small theoretical speculations, but tomorrow, who knows...
(step 4) Soggetto politico. Banksy attiene alla sfera degli artisti con un codice di militanza etica. Non esiste una sola operazione priva di contenuti forti su questioni morali: e i temi riguardano l’infanzia e la famiglia, la guerra e il sopruso, la vecchiaia come risorsa, il gioco come fonte di salvezza e benessere interiore, l’ecologia e l’animalismo per un futuro possibile... Banksy ama l’esercizio a tempo pieno della libertà individuale, diventando una password morale che invita al dissenso, alla riflessione profonda, alla presa di coscienza su molteplici urgenze collettive. L’azione ha carattere politico ma non chiede mai aderenze drammatiche, al contrario agisce con una logica alla Monty Python, dissacrando al punto da erodere il potere stesso, come un virus che infetta le istituzioni in modo nascosto e randomico. Banksy
Banksy creates phenomena of hidden devotion, like the passion for porno that only a few people declare but much more pursue. I like to consider him the best practicable perversion in the artistic system. Asubject of desire that mixes keen instinct and media practice, simplicity and complexity, high surface, and deep bass. Banksy practices an art where visitors adhere to contradictions, double/ triple senses of the claims, unfailing irony, motivated catastrophism, cynicism of the back door, reminding us that a laugh will bury us, and that, probably, we should take ourselves less seriously. Laughing, laughing, and laughing: staying human.
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So, while fashion and technology slip into our wishes through the logo perception, Banksy
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anticipates our desires instilling doubts on the present, on actual human needs, on pathologies of a world with too much finance and too little substance. The artist puts the spotlight on the ethical dilemma. He teases and punches us like a narrating cricket, going where others do not go, saying what many do not dare to say. We live in a conscious bubble. We are anaesthetized by what they want us to believe. We are stunned by the survival rituals of an increasingly engulfing world. When someone like Banksy pulls out the rot around us, something of strange but logical happens in us: one part understands his visionary mind and supports his talent, but the other fragile part is frightened and tries to weaken him, undermining a plausible truth that would remove meaning from the (small) sense of the most fragile spirits. It is a typical lever of those who reaffirm their value through the opponent destabilization but without opposing any real dialectic. This is what is happening in the field of artistic theory: on the one hand, the curatorial galaxy still speaking of “graffiti artist”, works goods for pubs, media phenomenon (as if the rest were not), cultural-weak era; on the other, those who understand his complex dimension, his broad visionary mind, his over-sectorial ability in comparison with every possible definition. (step 4) Political subject. Banksy is one of the artists clung to a code of ethical militancy. No one of his art-operations exists without substantial moral issues. He deals with childhood and family, war and abuse of power, old age as a resource, game as a source of salvation and inner well-being, environmentalism, and animalism for a possible future... Banksy loves the full-time exercise of individual freedom. He becomes a moral password that invites dissent, to deeply reflect, and to raise the awareness of the various collective emergencies. His action has a political nature that never asks for dramatic adherence but rather acts in the Monty Python way desecrating until power is eroded, like a virus infecting institutions through a hidden and random method. Banksy distils the initial virus, cherishes it, and prepares it for the world. Just at
distilla il virus iniziale, lo carezza e predispone al mondo; a quel punto, per renderlo virale, ci pensano i media, le reazioni popolari, lo sfruttamento inconsulto, le derive commerciali e l’ingordigia finanziaria. Sono gli altri a completare l’operazione, dando densità politica ad un vero detonatore visivo.
mnemonica del suo effimero occuparsi di suolo pubblico. Se consideriamo gli interventi urbani come qualcosa di giustamente temporaneo, solo le serigrafie ufficiali diventano cellule di replicazione del virus iconico, alimentando il proselitismo popolare e l’intensificazione degli effetti collaterali.
Post Franchising. Banksy realizza pochissimi progetti espositivi con la propria firma, lasciando che altri nel mondo diffondano il suo verbo attraverso le mostre. Solitamente si costruiscono esposizioni con le serigrafie (step 6) disponibili sul mercato, in aggiunta ci sono alcuni reperti ufficiali dei suoi progetti, qualche raro quadro e alcune sculture o frammenti scenografici. Non esistono mostre autorizzate in forma ufficiale, anche se l’artista alimenta indirettamente un sistema che lo supporta senza suoi costi e impegni in prima persona. Ovvio che le mostre siano materia scottante in cui cose ben fatte si alternano a pessimi progetti commerciali. Banksy si mantiene ambiguo e distante rispetto ai progetti esogeni, usando il silenzio (anche se talvolta segnala le mostre che reputa sbagliate o denuncia quando si sfrutta il merchandising senza permesso) in maniera operativa. Nel frattempo, libero da impegni espositivi, si dedica ai progetti endogeni, la parte che potremmo definire identitaria e identificabile, ciò che traccia le linee portanti del suo pensiero e apre, volta per volta, nuovi percorsi concettuali.
Street art. Chiariamo un punto di centrale importanza: Banksy non è uno street artist in senso canonico, forse non lo è mai stato, nemmeno quando la città era il suo terreno di caccia creativa. Ricalca temi canonici della grammatica street, è vero, ma solo perché gli spazi pubblici permettono un’amplificazione epica dei messaggi. Lo definirei uno street artist allo stesso modo in cui considero urban la metodologia di Jenny Holzer, Barbara Kruger, David Hammons, Gabriel Orozco... tutti artisti che hanno creato codici di comunicazione nei luoghi collettivi, senza legami con la metodica virale delle tag. Sia chiaro, i suoi stencil parietali sono metodo urbano ma il suo sistema binario è differente da chiunque altro. Banksy ha le sue ispirazioni e i suoi metodi urbani, Brad Downey in particolare, indietro fino al triphop bristoliano, ai testi teorici di Eduardo Paolozzi, alle incursioni londinesi di Richard Hamilton, al postwriting di Futura 2000, ai prodromi nati a New York nei primi Ottanta (Paolo Buggiani, Richard Hambleton, Les Levine)... ma al dunque sono piccole tracce di una sinusoide complessa, anomala, linguisticamente eterogenea. Mi sembra il più concettuale degli artisti ad alto impatto collettivo, vicino alla pratica curatoriale del suo amico Damien Hirst. Non è un caso che proprio loro abbiano rifiutato il monopolio dei galleristi, rompendo la filiera tradizionale in favore di uno spam gestionale sul libero mercato. Entrambi stigmatizzano il ruolo dei galleristi, la loro asfissiante speculazione rispetto alla ridotta capacità di produrre contenuti. Banksy e Hirst hanno hype differenti ma solo perché il secondo ha gravitato, fin dagli anni Novanta, tra i gangli del sistema ufficiale, mentre il primo ha sempre fatto le cose per conto proprio, fregandosene del control freak di qualche gallerista billionaire. Ha ragione Hirst? Ha ragione Banksy? Direi due facce della stessa frattura con un sistema in crisi.
(step 6) Serigrafie. Spesso il pubblico chiede se esistano in mostra opere originali oltre alle serigrafie incorniciate. In verità nulla è più vero e banksiano delle tirature con timbro autentico: perché nascono da un precedente illustre, Andy Warhol coi suoi ritocchi a smalto su serigrafie, il primo ad aver moltiplicato una matrice (foto di partenza) con una logica industriale e un nuovo principio di unicità seriale. Banksy ha prodotto oltre quaranta immagini nella sua stamperia londinese, una sorta di metaprogetto che traccia la geografia “militare” del suo sistema d’ingaggio mediatico. Nel gioco di paradossi a catena, le stampe diventano la forma più limpida e autografa di feticcio banksiano, la certificazione
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this point, the media, the popular reactions, the inconsistent exploitation, the commercial drift, and the financial greed make it viral. The operation is completed by other players, thus giving a political density to a real visual detonator. Post-Franchising. Banksy designs very few shows with his signature, allowing other players in the world to spread his concepts. Usually, the silkscreens (step 6) available on the market, some official findings of his projects, some rare paintings, and sculptures or scenic chips build the expositions. No officially authorized exhibitions are agreed, even if the artist indirectly feeds a system that supports him without his personal and economic commitment. Of course, his expositions are hot stuff: wellmade projects alternate with wrong commercial operations. Banksy maintains an ambiguous and distant attitude towards any exogenous projects, silence is his usual modus operandi – although he sometimes highlights the expositions he considers wrong or criticises the unauthorized use of the merchandise. In the meantime, free from exposition commitments, he devotes himself to endogenous projects, which can be defined as his identity and distinguishing part able to mark out the main lines of his thought and, time by time, opens new conceptual paths. (step 6) Silkscreens. Visitors often ask whether any original works are exhibited in addition to the framed silkscreens. In truth, nothing is more real and unique than printings holding Banksy’s authentic stamp since they come from an important precedent: Andy Warhol and his enamel touch on screen prints – the first to multiply a matrix (starting photo) with an industrial logic and a new principle of serial uniqueness. Banksy has produced over forty images in his London-based print house, a sort of meta-project marking the “military” geography of his system of media engagement. In the game of chain paradoxes, silkprints become the brightest and most personal form of the Banksy’s fetish, the mnemonic certification of his ephemeral way of dealing with public property. If we consider his urban operations
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as something really temporary, only official silkscreens become replication cells of his iconic virus feeding the popular proselytism and boosting the side effects. Street art. We should make clear a point of pivotal importance: Banksy is not – and perhaps has never been – a street artist in its strict sense, even when the city was his creative hunting ground. Of course, he follows the typical themes of the street language, but only because public spaces allow an epic amplification of his messages. I could consider him a street artist in the same way that I feel urban the methodology of Jenny Holzer, Barbara Kruger, David Hammons, Gabriel Orozco... i.e. artists who have created communication codes in collective places, without links to the viral method of tags. For clarity sake, his wall stencil is an urban method, but his binary system is different from anyone else. Banksy has his inspirations and urban techniques: Brad Downey, in particular, then back to the Bristolian trip-hop, Eduardo Paolozzi and his theoretical texts, Richard Hamilton’s London incursions, Futura 2000 post-writing, the early Eighties trailblazers born in New York (Paolo Buggiani, Richard Hambleton, Les Levine)... but they are just small traces of a complex, anomalous, and linguistically heterogeneous sinusoid. To me, Banksy seems the most conceptual of the artists with a high collective impact, close to the curatorial practice of his friend Damien Hirst. It is no coincidence that they rejected the monopoly of gallery owners, breaking the traditional chain in favour of the managerial spam on the free market. Both blame the role played by the gallery owners, their smothering speculation over their limited capacity to produce contents. Banksy and Hirst have different hypes just because, since the Nineties, the latter acted within the mainstream system, while the former has always made things on his own, not caring of the freak control of some billionaire gallery owner. Is Hirst, right? Is Banksy, right? I’d rather say two sides of the same fracture in a system in crisis. Fake Cancellation. The direct control of the chain involves a precise evaluation of every
Eliminazione del falso. La filiera a controllo diretto implica la valutazione chiara di ogni singola operazione. In tal modo diviene impossibile, per chiunque al di fuori dell’entourage, dichiarare vero ciò che non esce da casa Banksy. Aver eliminato il divismo facciale significa maggior libertà d’azione e controllo, significa poterci essere senza che il pubblico lo sappia, significa concentrarsi sui contenuti senza dispersioni mondane. E poi con Banksy si sta trasformando l’idea stessa di vero e falso: è lo statement sui social che dichiara o meno il valore autografo, anche se permangono diverse ambiguità che lo stesso Banksy non chiarisce ma alimenta in silenzio, capendo bene il beneficio della contraddizione aperta. Il grande caos commerciale toglie l’eccesso di aura attorno al feticcio e lo assimila ad una biologia elettronica, una specie di criptovaluta dai valori fluttuanti, una sorta di Gioconda dai destinatari open source. In fondo, Banksy enfatizza il delirio odierno per l’opera come status di presenza, semplice oggetto da selfie che certifica l’obiettivo raggiunto. E foto fu, potremmo dire oggi nella febbre da museo social. Merchandising. Qui risiede il cuore operativo del suo potere finanziario. Tramite la Pest Control, Banksy controlla permessi, licenze e produzioni di oggetti che utilizzano immagini e claim visivi sotto copyright. Esiste contraddizione, è vero, tra le sue idee sul copyleft e lo spregiudicato monopolio del patrimonio creativo. Ma contraddirsi in maniera lineare è un’altra lezione banksiana, un gioco che utilizza le stesse meccaniche della comunicazione istituzionale, ormai capace di affermare due polarità opposte con la medesima coscienza del vero. I guadagni del merchandising raggiungono vette miliardarie, con una logica che ricalca il sistema dialettico tra fashion system e falsificazioni made in China; al contempo, Banksy reinveste in operazioni ad alta valenza etica. Vi basti l’esempio di Gross Domestic Product, un temporary store londinese che vende opere di varia natura, usando il ricavato per comprare una nuova nave di salvataggio migranti, in sostituzione di quella confiscata dalle autorità italiane.
La contraddizione di Banksy è la sintesi specchiante di tutti noi, di quanto siamo coacervo di paradossi conviventi. Il suo giocare tra alto e basso, mainstream e antagonismo, pop e tragedia, non è altro che lo specchio cosciente del nostro status liquido in un mondo fisico e al contempo virtuale. Banksy somatizza il presente occidentale sulla propria pelle invisibile. Lo rende glitterato e sanguinante, glamourous e cannibalico, onirico e drammaticamente vero. Gioca a sovrapporre il paradosso dentro la stessa immagine, liberando la contraddizione dal suo vincolo ideologico. Ci sta dicendo che ogni nostra scelta genera contraddizione, con la teoria e la pratica sempre più distanti tra loro. Professiamo l’ecologismo e guidiamo auto in città, ostentiamo monogamia mentre il marketing ci chiama alla poligamia sessuale, postiamo selfie e critichiamo i personaggi che lo fanno per mestiere... potremmo andare avanti per pagine e pagine ma direi di fermarci alla nostra immagine in uno specchio. Guardiamoci negli occhi, in silenzio, pensando un istante a quanto sia tutto una gigantesca distrazione di massa, un’astrazione finanziaria, un mondo che senza contraddizione sarebbe già deflagrato. La contraddizione è la salvezza dell’umanità contemporanea. E Banksy, dall’alto del suo invisibile declamare, ci mette ogni volta davanti ad uno specchio deformante in cui scorgiamo ciò che potremmo o dovremmo essere. Il quadro riflette ogni spettatore con la sua coscienza, la sua idea di mondo, le sue piccole e grandi certezze. Siamo talmente contraddittori da aver reso virtuosa l’ambiguità di un artista come Banksy. Ci lamentiamo del lamento e in un attimo riempiamo lo stomaco di cibo e alcool, pensando di non avere responsabilità diretta sul mendicante appena incrociato. Da qui la consapevolezza che solo l’arte stigmatizzi il problema con una soluzione secca e impattante, un colpo in faccia con ripercussioni in ordine sparso, spesso ininfluenti sul futuro ma talvolta prodromi di conseguenze reali. Banksy ci sussurra che l’arte serve ancora a qualcosa, non solo ad arredare una bella casa, e che la funzione d’uso sia il collante tra il presente dell’opera e il futuro delle sue reazioni.
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single operation. So, it becomes impossible for anyone outside the artist entourage to declare real something not released by the Banksy house. Removing the face worship allows greater freedom of action and control. It means being able to be present without the public knows it. It means being focused on contents without worldly distractions. Moreover, Banksy is changing the very idea of genuine and fake since it is just the social media statement that declares or not the original value, even if there are still several ambiguities that Banksy himself does not clarify but feeds in silence, well understanding the benefit of open contradiction. The tremendous commercial chaos cancels the aura excess around the fetish, making it similar to electronic biology, a sort of fluctuating crypto-value, a sort of Mona Lisa with open-source recipients. After all, Banksy emphasizes today’s delirium for the artwork as attendance status, a simple selfie certifying the goal achievement. And there was the photo! We could say today in the social museum fever.
way of playing between high and low, mainstream and antagonism, pop and tragedy, is nothing more than the conscious mirror of our liquid status living in both physical and virtual worlds. Banksy somatises the Western present on his invisible skin. He makes it glittery and bleeding, glamorous and cannibalistic, dreamlike, and dramatically real. He plays superimposing paradoxes in the same image, setting contradiction free from its ideological constraint. Banksy is telling us that every choice we make generates an opposition where theory and practice are more and more distant from each other. We declare being ecologists, but we still drive cars in the city. We flaunt monogamy, while marketing eggs us on sexual polygamy. We post selfies but criticise VIPs, who do it for business... we could go on for pages and pages, but I prefer to stop at our image in a mirror. Let’s look us into our eyes, in silence, thinking for a while that it is just a huge mass distraction, a financial abstraction, a world already deflagrated without contradiction. The contradiction is the salvation of contemporary humankind.
Merchandise. This is the operational heart of his financial power. Banksy manages permissions, licenses, and production of objects that use images and visual claims under copyright through Pest Control. It is true, his ideas on copy-left clashes with the unscrupulous monopoly of his creative property. But the direct contradiction is another lesson taught by Banksy. A game using the same rules of institutional communication that is now able to affirm two opposite polarities as if both were true. Merchandise gains reach billionaire peaks under the logic typical of the dialectical system between the fashion system and the counterfeit products made in China and Banksy’s simultaneous reinvestments in operations of high ethical value. Just take the example of Gross Domestic Product, a London temporary store that sells different kinds of artworks and uses the proceeds to buy a new migrant rescue ship to replace the one confiscated by the Italian authorities.
And from the top of his invisible declamation, Banksy puts us in front of a deforming mirror where we look at what we could or should be. The painting reflects each viewer with his or her conscience, his or her idea of the world, his or her small and big certainties. We live so many contradictions that we made the ambiguity of an artist like Banksy virtuous. We are moaning about moans, still, in a while, we fill our stomach with food and alcohol, thinking of not being directly responsible for the beggar we have just met. Hence, the awareness that only art can stigmatise the problem with a dry and impactful solution, a big blow to the face with scattered consequences, often insignificant for the future, but sometimes triggering real effects. Banksy whispers us that art is still useful for something – not just for furnishing a beautiful house, and that its function of use is the glue between the present of the artwork and the future of the relevant reactions.
Banksy’s contradiction is the mirroring synthesis of all of us as a motley of living paradoxes. His
Going beyond art through the artwork... After an excursus on the topos theory defining its value
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Superare l’arte attraverso l’opera... terminato un excursus tra i topoi che definiscono il suo valore e la sua potenza mediatica, direi che Banksy supera la stessa arte che finora abbiamo conosciuto. Ne riformula regole, usi e costumi, ricreando una filiera che elimina gli imbuti produttivi del modello tradizionale. Ha ideato un modello proprio che reinventa l’esistente, modulando ciò che il presente tecnologico ci mette a disposizione. Banksy usa strumenti e materiali che tutti conosciamo, senza perdere aderenza con oggetti fisici e tangibili, con forme semplici e quasi banali, con un mondo lo-fi privo di utopie fantasy. Lo capiscono tutti in quanto usa la grammatica degli oggetti e la sintassi delle storie condivise. Si alimenta di cronaca e realtà, ribaltando storie che toccano l’umanità intera. Non
esiste pratica esoterica nel suo sistema visuale, nessuna difficoltà di approccio superficiale, tutto risulta leggibile e impattante, nello stesso modo con cui la Pop Art si definiva attraverso il close-up sugli oggetti commerciali. La profondità esiste, sia chiaro, ma è un gioco di layer sottostanti, da praticare con metodo riflessivo. Sotto la superficie si nasconde la complessità eterogenea, un intreccio di possibili letture che indirizza il progetto su varie piattaforme analitiche. La sua forza sta nell’aver capito che in un mondo digitale come il nostro, l’arte doveva fermarsi un attimo prima della sua digitalizzazione, nascendo solida per poi diventare liquida. Un’arte facile in apparenza ma complessa oltre l’apparire, ovvia eppure controversa, empatica per attitudine e cattiva per natura. Un’arte dai molti effetti collaterali.
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and its media power, I would say that Banksy goes beyond the same art we have known so far. He rewrites rules, habits, and customs, recreating a chain that overcomes the production funnels of the traditional model. He created his own template that reinvents the existing and modulates means provided by the present technology. Banksy uses tools and materials that we all know, without losing any contact with the physical and tangible objects, with the simple and almost banal forms, with a lo-fi world without fantasy utopias. Everyone understands him because he uses the language of objects and the syntax of shared stories. He feeds on news and reality, reversing stories that move the entire humanity. No esoteric practice is present in his visual system, no difficulty in a
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superficial approach: everything is easy to read and impactful, just like the close-up on mundane objects defined the Pop Art. To be clear: depth exists, but it is a game of underlying layers practicable with a reflexive method. A heterogeneous complexity lies beneath the surface in an interweaving of possible readings able to drive the project towards various analytical platforms. His strength lies in having understood that in a digital world like ours, art had to stop for a while before being digitised, since it was born solid and has to become liquid. An art that appears easy but that is complex and controversial beyond its appearance, and it is empathetic by attitude and bad by nature. Art with many side effects.
BANKSY SI TOGLIE LA MASCHERA PER NOI Acoris Andipa
Nel nostro mondo mettiamo grande impegno nel tentare di essere noi stessi. Ma cosa significa in realtà essere noi stessi? Considerando oltretutto che abbiamo discusso per secoli su quanto è difficile essere veramente noi stessi. No, in un modo o nell’altro indossiamo tutti una maschera e queste maschere aderiscono al nostro essere talmente bene, che non dobbiamo neanche preoccuparci di indossarle. Eppure le indossiamo, nella paura di essere nudi di fronte agli altri, o peggio ancora, nudi di fronte a noi stessi. Cosa ci succede quindi quando entriamo in contatto con un artista come Banksy? Un artista che indossa letteralmente una maschera? In occasione delle sue rare interviste pubbliche o nel film Exit Through the Gift Shop, che lui stesso ha diretto, Banksy ha sempre indossato una maschera che gli consente di poter dire e fare cose che noi tutti vorremmo poter dire e fare. Potrebbe essere questa la ragione per cui così tante persone in tutto il mondo vedono in questo artista un eroe? Si tratta di una forma di ammirazione del tipo: “Vorrei poterlo fare anch’io, ma non posso, quindi grazie a Dio qualcuno lo fa al posto mio?” Se a questo aggiungiamo che “un’immagine parla più di mille parole” possiamo percepire più chiaramente il potere attrattivo che questo artista dispiega. Affrontando le questioni più controverse del nostro eterno presente con opere d’arte sarcastiche e commoventi, Banksy prima ci fa sorridere, e poi sussultare, basta osservare ciò che presenta alla nostra attenzione: povertà, ingiustizia, disuguaglianza, guerra, politica e l’intero orizzonte delle questioni sociali, storiche del presente. Certamente proviamo empatia per chi realizza opere, installazioni e interventi pubblici che ci consentono, per lo più inconsapevolmente, a osservare e ascoltare
le verità del nostro mondo. Se proviamo ad andare oltre, concedendo a noi stessi un’introspezione che lo scorrere del nostro ordinario generalmente non ci concede, forse potremmo iniziare a scorgere alcune verità che ci riguardano direttamente. L’idea stessa di verità sta affrontando un momento difficile nella nostra idea di vita associata. In primo luogo, facciamo fatica a toglierci le nostre maschere e ad essere sinceri con noi stessi, e proprio quando sopraggiungono quei rari istanti in qui crediamo di poterci ritrovare, veniamo colpiti dalla furia pervasiva e implacabile dell’immagine pubblicitaria, dei social media e dell’informazione. Banksy elimina gran parte di questo rumore, proponendo la cruda verità: lo stato mercantile come nuova religione (Christ with Shopping Bag), il dogmatismo delle fedi tradizionali (Toxic Mary), il desiderio di amore e sicurezza (Girl with Balloon), la schizofrenia dei nostri media (Paranoid Pictures), ecc. Quanto più osserviamo l’opera di questo artista, tanto più riusciamo a percepire il lavoro sulla sua libertà che ci restituisce attraverso la maschera; permettendoci di levare per un attimo la nostra, e così facendo, di guardarci per come siamo. Sono quelli i momenti in cui ci troviamo come sospesi: realizzando la consapevolezza della maschera che indossiamo, e offrendoci la possibilità di osservare il mondo senza filtri. Se per noi è sempre più difficile distinguere tra chi siamo veramente e come ci presentiamo al mondo, allo stesso modo, questo sembrerebbe essere un sorta di destino del mondo: è sempre più difficile per noi distinguere il reale dal simulato. Inoltre, la capacità manipolativa dei social media, giornali e televisioni, che ci inondano incessantemente e in gran quantità dei loro contenuti, ci troviamo sempre più spaesati e incapaci di discernere. Quante volte ci chiediamo: “ma è vero?”. La questione del vero e del falso non è una novità. Questo dibattito sull’ethos va avanti da millenni: dall’antica Grecia a Roma, dall’Egitto alla Persia e oltre. Quel che forse è ancor più sorprendente, è che nel XXI secolo rileviamo la necessità di descrivere (o giustificare) la vastità della zona grigia che si estende tra giusto e sbagliato, tra verità e menzogna. Sottoporre
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BANKSY REMOVES THE MASK FOR US Acoris Andipa
In our world we have put great stress on being authentic. But what does this actually mean? Especially as we have discussed for centuries in darkened corridors that we are almost never our ‘true’ selves. No, we all wear masks of one kind or another and some of these masks are so well-fitting that we do not even realise we are wearing them at all. Yet wear them we do, in fear of being naked to others and, perhaps more disconcerting, naked to ourselves. So what happens to us when we engage with an artist such as Banksy who literally wears a mask at rare public interviews or in his film, Exit Through the Gift Shop, so that he can say and do things that we all wished we could say and do ourselves. Could this be one reason why so many people around the world have made a hero of this artist? Is this a form of admiration like “I wish I could do that, but I can’t, so thank heavens someone has and is taking us along for the ride?” When we add to this that “a picture speaks a thousand words” we can more clearly see the attraction that this artist offers us all. Addressing challenging and ever-present issues with poignant and humorous one-liner artworks, Banksy makes us first laugh then wince, as we consider what is actually being presented before us: poverty, injustice, inequality, war, politics and a whole spectrum of social issues, historical and present day. Of course, we warm to such a person who cleverly mastermind’s artworks, installations and public events that draw us, mostly unknowingly, into looking at and hearing some worldly truths. If we go further and allow ‘me’ to go deeper within
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myself than our busy lives normally permit, we could begin to see some personal truths too. Truth, or trueness, has a tough time in our society. Firstly, we struggle with taking our own masks off and being true to ourselves, and then just when we start believing that we can find ourselves in those glimpsing moments, we are hit with the juggernaut of relentless advertising, social media and the pervasiveness of information. Again, Banksy cuts through much of this noise by delivering us statements of ugly truth: commercialism being the new religion (Christ with Shopping Bags), the dogmatism of traditional faiths (Toxic Mary), the longing for love and security (Girl with Balloon), the schizophrenia of our media (Paranoid Pictures), etc. The more one looks at the art the artist offers us, the more we can see the freedom this artist who wears a mask allows us to fleetingly remove our own and look within. In that moment we are in stasis: we may realise that we do each wear a mask, and we can, from time-to-time, allow ourselves to take it off and see ourselves and the world more clearly. If it is difficult for us to differentiate between who we really are and what we present to the outside world, then similarly, the world suffers the same fate: it is difficult for us to distinguish between what is real and what is fake out there. With the easy manipulation of social media, newspapers and TV channels, and the sheer volume they relentlessly spew out, we increasingly find ourselves lost or unable to distinguish between the two. How often we ask ourselves “but is it true?”. The question of truth and lies is not a new one. These ethical debates have been going for millennia: from ancient Greece, Rome, Egypt, Persia and beyond. What is perhaps more astounding is that in the 21st century we find the need to describe (or excuse) the vastness of grey between what is right and wrong, truth and lie. Misleading people by telling another and irrelevant truth (but not answering the actual question) has become so pervasive in our lives that psychologists have given it a term of its own: paltering.
le persone a presunte verità, che risultano false e non costituiscono risposte alle nostre domande, è diventata una pratica così frequente nella nostra esistenza che la psicologia ha avuto la necessità di coniare un termine apposito: paltering (“agire con doppiezza”, n.d.t.). Sperimentiamo il paltering quotidianamente, nel discorso politico, oramai quasi comico, rispetto alla sua pretesa di replicare a domande complesse con risposte semplicistiche e false certezze, omettendo di fatto le vere risposte alle questioni poste. Nel corso del tempo, gli artisti hanno reagito con il proprio lavoro a questa produzione di nonsense: nel passato in modo più discreto, ora in modo più evidente, mettendo a frutto la loro posizione di privilegio alla quale riconosciamo la facoltà di criticare, contestare e irridere tali comportamenti. Banksy fa proprio questo, unisce abilmente satira e immagini struggenti, e in questo modo fa emergere quanto siano ridicoli gli aspetti discutibili del nostro mondo. Le frustrazioni che tutti proviamo di fronte alla stupidità del discorso politico, del costo umano delle guerre o dell’ingiustizia del lavoro minorile, vengono affrontate da Banksy sia attraverso la sue opere, che attraverso il suo agire. Iniziative come Dismaland in Gran Bretagna e il Walled Off Hotel in Israele sono solo due esempi. Imprese in grado di attirare l’attenzione dei media globali, che sembrano tuttavia concentrarsi maggiormente sugli aspetti satirici piuttosto che sul piano del pathos. C’è un lato ironico nel fatto che Banksy utilizzi come canale di diffusione delle sue immagini e dei suoi messaggi, gli stessi media che veicolano il nonsense costituito da notizie false o irrilevanti sui nostri telefoni, tablet e TV. Costituisce fonte di invidia per l’industria della pubblicità, social media, e PR l’idea che le sue opere o la sua ultima azione diventi virale in pochi minuti. Come riesce Banksy a diventare così mediale? Forse il motivo è che in fondo le persone conoscono la verità, tuttavia sembrano aver bisogno di essere stimolate o scosse, o forse perché ci sentiamo confortati da qualcosa che ci appare finalmente autentico e limpido rispetto ai contenuti indistinti che ci vengono veicolati dalle tecnologie digitali del tempo
reale. Certamente questa questione ha anche del paradossale ed è già stata molto dibattuta. Come può un artista rimanere autentico, specialmente se coinvolto in temi come la povertà e le questioni sociali, mentre vende arte a celebrità, controlla l’emissione di certificati di autenticità e interviene con una performance pubblica nel corso di un’asta che si traduce in un aumento del valore del suo intero lavoro? È impetuosa l’esplosione della richiesta per soddisfare clienti, collezionisti (distinguo i due come figure separate e differenti) e mostre museali. Vendere arte per qualche migliaio di sterline è una cosa, vendere pubblicamente per 10 milioni di sterline cambia notevolmente le regole del gioco. Tuttavia, Banksy, in quanto comunicatore unidirezionale rispetto al pubblico, rifiutando di essere rappresentato da una galleria, continua a infrangere le regole, e in questo modo smaschera il mercato stesso dell’arte. Forse secondo l’artista “mentendo” al mercato, ovvero regolandolo con il proprio portato di regole e condizioni, è possibile ristabilire una sorta di equilibrio delle nostre convinzioni di verità. Rispetto agli enormi proventi generati dall’arte sembra possibile accettare questa dicotomia solo a patto che Banksy continui a regalarci nuovi progetti, nuovi lavori di street art pubblica e ulteriori opportunità per ricordarci alcune verità. Si tratta dunque di un ragazzo che ha frequentato scuole private? Un socialista allo champagne, un eroe paragonabile a Robin Hood? O semplicemente un artista che si sia trovato nel posto giusto, al momento giusto? Importa davvero? ... Attraverso le sue “bugie”, Banksy apre la porta alle verità di cui tutti abbiamo bisogno e in questo modo ci offre la possibilità di togliere la nostra stessa maschera, anche solo per un momento.
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We experience paltering every day of our lives, not least, in the comedic interactions of politicians who respond to difficult questions by giving another truthful fact without actually answering the question they have been asked. Through the ages, artists have responded to such nonsense in their own ways. Subtly in the past, more brazen now; making use of their position which affords them the privileged opportunity to criticise, argue and mock such behaviour. Banksy does just this, an artist who cleverly fuses satire with poignant imagery that slices open the ridiculousness of what is clearly questionable with our world. The frustrations that we all share when we see stupidity in politics, the human cost of war, or the injustice of child labour. Banksy tackles such topics both through his art and his projects. His undertakings with Dismaland in England and the Walled Off Hotel in Israel are just two such examples. These grab the attention of the global media, though here too the media often misses the truth, focussing more on the satire and less on their truthful poignancy. Here too there is also some irony, the very tool that distributes the nonsense of fake or useless news to our phones, tablets and TV’s now becomes a conduit for Banksy to carry his images and messages back to us. He is the envy of many an advertising executive or social media PR as his artwork or latest stunt goes viral in minutes. Why? Perhaps people see a truth which they already know deep down but still have the need to be jolted or reminded, or perhaps they take solace from something that finally feels authentic and clear from the streams of noisy digital feeds. Of course, there is also paradox here and it has been much debated before. How can an artist remain authentic, especially when involved with such themes as poverty and social issues, whilst selling art to celebrities, controlling the issuance of certificates of authenticity and undertaking public stunts at auction that results in increasing the value of the artworks? The explosion in demand
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to satisfy buyers, collectors (I distinguish the two as very separate) and museum shows is furious. Selling art for a few thousand pounds is one thing but selling publicly for £10 million pounds changes the game significantly. Yet, Banksy, being a one-way communicator to his constituency, and refusing to be represented by an art gallery, continues to break the rules, removing the mask of the art market itself. By the artist “lying” to the market: bringing with him his own set of rules and conditions, perhaps this rebalances our belief in authenticity. As for the vast monies being generated, we can accept this dichotomy if Banksy continues to give us future projects, public street art and further opportunities to remind ourselves of some truths. So, is he a private school boy, champagne socialist, Robin Hood hero, or an artist who was in the right place, at the right time? Actually, does it really matter? ...through his “lies” he elbows the door open to truths we all need to be reminded of, and he gives us a chance to remove our own mask, if only for a moment.
La forma dell'arte moderna sarà adeguata al contenuto di verità dell'epoca.
The form of modern art will correspond to the truth content of its time.
G.W.F. Hegel
G.W.F. Hegel
Se vuoi dire qualcosa e vuoi che la gente ti ascolti, allora indossa una maschera. Se vuoi dire la verità, allora devi mentire.
If you want to say something and have people listen, then you have to wear a mask. If you want to be honest then you have to live a lie.
Banksy
Banksy
Un uomo non è del tutto se stesso quando parla di persona. Dategli una maschera, e vi dirà la verità.
Man is least himself when he talks in person. Give him a mask and he will tell you the truth.
Oscar Wilde Bugie... e di nuovo bugie... mi stupisce la quantità di bugie che ci siamo detti stamattina. “Ci sono ancora altre cose da scoprire” disse allegramente Poirot. Agatha Christie
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Oscar Wilde Lies... and again lies... it amazes me, the amount of lies we had told to us this morning. “There are more still to discover”, said Poirot cheerfully. Agatha Christie
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QUATTORDICI ANNI FA... Acoris Andipa
Un giorno di quattordici anni fa, il mio telefono squillò presto come al solito. Iniziavano cosi le conversazioni quotidiane con i mercanti d’arte, clienti e collezionisti. Quel giorno chiesi a tutti se qualcuno avesse mai sentito parlare di un artista chiamato Banksy. Il misterioso mondo underground dei graffiti e della street art era affascinante ed era costituito da molte voci, una in particolare stava attirando l’attenzione di chiunque fosse disposto a fermarsi e ad ascoltare. Per me tutto iniziò nel 2005 quando vidi un’immagine di Kate Moss raffigurata nello stile iconico della Marilyn Monroe rappresentata da Andy Warhol nella sua serie di stampe e dipinti. Mi fece sorridere e la misi da parte sulla mia scrivania. Qualche giorno dopo mi imbattei in un’immagine molto diversa, straziante e inquietante: il suo titolo era Napalm. Un’immagine toccante e attuale, un’interpretazione della fotografia del 1972 che ritrae la bambina vietnamita gravemente bruciata dai bombardamenti al napalm. In questa versione la bambina era affiancata da Topolino e Ronald McDonald. Volevo sapere chi fosse l’artista, da quel momento iniziai a interessarmi a Banksy. Sono un collezionista che ha avuto la ventura di fare il mercante d’arte. Una condizione molto frustrante: procurarsi di che vivere vendendo l’arte che avrei preferito tenere per me. Più esploravo la produzione di Banksy, più mi veniva voglia di raccontare il suo lavoro ai miei collezionisti. Alla fine del 2006 avevo in programma una mostra di Damien Hirst presso la mia galleria, all’ultimo momento decisi di ampliare il concept della mostra in modo da poter includere le opere di Banksy e così scoprire cosa pensassero i miei collezionisti del suo lavoro. Sarebbero rimasti sorpresi o avrebbero provato disagio nel trovare uno street artist tra artisti di questo livello? In qualche modo, sono sempre stato circondato da collezionisti animati da un vero amore per l’arte che acquistavano, intrattenendo sempre conversazioni curiose e interessanti riguardo ogni acquisizione piuttosto che discutere del prezzo di vendita. Quindi forse non avrei dovuto sorprendermi, dopotutto, della loro reazione. In occasione dell’inaugurazione della mostra, intitolata Damien Hirst e i suoi contemporanei, tutte le opere di Banksy furono vendute nel giro di un’ora a collezionisti illuminati che condividevano il fascino che provavo per questo artista. Non conoscevano Banksy e la sua arte, semplicemente gli piacevano le opere per quello
che erano. È iniziato cosi un viaggio che continua ancora oggi: portandomi a contribuire ad un processo che ha condotto un movimento underground all’attenzione di quegli amanti dell’arte che normalmente non entrerebbero in una galleria; e iniziando collezionisti affermati ad un nuovo mondo artistico. Ho dovuto inseguire le opere di questo artista sfuggente. Questa pratica è stata piena di alti e bassi, divertimento e delusioni, culminati in un ulteriore episodio di modifica di progetto espositivo occorso nel 2007 e dovuto alla programmazione di una mostra personale di Banksy raccogliendo una collezione per la galleria. Il sabato successivo all’inaugurazione, mi trovavo a pochi minuti a piedi dalla mia galleria, avevo in mano una tazza di caffè e il giornale, quando vidi una lunga e composta fila di persone. Chiedendomi di cosa si trattasse, attraversai le centinaia di individui di ogni età e nazionalità. Con mia grande sorpresa... si, la fila conduceva alla porta di Andipa Gallery. Nelle settimane successive dovetti accogliere oltre 35.000 persone che mi costrinsero a ricorrere a un servizio di sicurezza per gestire la folla. È con una certa ironia che constatai che le persone in fila avevano più bisogno di essere protette dagli abituè dello shopping di Knightsbridge piuttosto che dalle auto di lusso che sfrecciavano nella strada. Da quel momento in poi si avviò un processo naturale. Giravano voci che Banksy avesse abbandonato il suo mercante d’arte per unirsi ad Andipa! Sarebbe stato bello, ma molto improbabile allora come ora. Operatori video, reti televisive e quotidiani internazionali si riversarono in galleria oltre gli orari di apertura e chiusura. Il mercato cresceva ancora e ancora senza alcun apparente progetto sottostante. Il mercato semplicemente lo aveva adottato e aveva iniziato a farlo correre ancora e ancora... Decisamente un periodo felice. Ho presentato il lavoro di Banksy a collezionisti con passioni diverse che fino a quel momento avevano collezionato solo artisti come Picasso, Lichtenstein, Hockney, Hirst e altri importanti pittori internazionali e tuttavia, erano lì, ad includere Banksy nelle loro magnifiche collezioni. Sfortunatamente però, quando il mercato cresce e diventa redditizio, generalmente opera un cambiamento spontaneo. Le motivazioni non sono sempre chiare. Le intenzioni non sono sempre così trasparenti. L’arte spesso diventa al contempo una merce e un trofeo. È un peccato che non importi cosa produca l’artista, quanto siano impegnate le opere o il lavoro pubblico che affronta i temi delle inadeguatezze sociali: ciò che interessa alla maggioranza delle persone è il suo valore economico. Oltre un certo punto, piuttosto che il piacere che l’arte può dare o le istanze che pone, l’interesse riguarda principalmente il suo valore di scambio. Lo vediamo nell’esplosione di mediatori e siti internet che si proclamano mercanti affidabili di questo prodotto. Tutti sono ora esperti di Banksy. Tutti consulenti d’arte. Sono felice che il mio telefono abbia squillato quattordici anni fa... e abbia fatto partire questo viaggio entusiasmante ancora oggi come all’ora. 64
FOURTEEN YEARS AGO... Acoris Andipa
Fourteen years ago, my phone rang early as usual. The start of daily conversations with dealers, clients and collectors. Today I was asking if anyone had heard of an artist by the name of Banksy? The mysterious, underground world of graffiti and street art was alluring and had many voices but one in particular was captivating anyone prepared to stop and listen. For me, it started in 2005 when I saw an image of Kate Moss in homage to Marilyn Monroe in the iconic series of paintings and prints by Andy Warhol. It brought a smile to my face and I put it to one side on my desk. A few days later I came across a very different image, this time harrowing and disturbing. Napalm was its title, poignant and topical; a disturbing interpretation of the heartbreaking 1972 photograph of a Vietnamese girl severly burnt from napalm bombing. In this version the child is flanked by Mickey Mouse and Ronald McDonald. I wanted to learn who was the artist and thereafter found myself hooked on Banksy. I am an art collector who happens to be an art dealer. A most frustrating combination: making a living selling art which I prefer to keep for myself. The further I explored the output of Banksy the more I wanted to tell other collectors about his work. At the end of 2006 I had already scheduled a selling exhibition of artworks by Damien Hirst, and in the last moments decided to broaden the concept so I could include the works of Banksy and learn what my collectors would think and say about this artwork. Would they be surprised or uncomfortable finding a street artist amongst household names? Somehow, I have always found myself surrounded by collectors who have a genuine love for the art they buy, engage in interesting conversations around each acquisition and rarely discuss selling. So perhaps I should not have been as surprised after all at the response. At the opening night of the exhibition, entitled Damien Hirst and his Contemporaries all the Banksy art works sold within the hour to mindful collectors who shared my new fascination for this artist. They didn’t previously know of Banksy or his art, they liked the artworks for what they are. And so 65
started a journey which continues today: having been part of the process of bringing an underground movement to the attention of art lovers that would not normally consider walking into an art gallery; and introducing established collectors to a new world of art. I pursued artworks by this elusive artist. Doing so was filled with highs and lows, fun and disappointments that culminated in yet another change to our exhibition program for 2007 by inserting a solo exhibition of Banksy art from the collection I put together for the gallery. On the first Saturday after the opening, I was several minutes’ walk away from the gallery, with my newspaper and cup of coffee in hand, when I saw a long line of people politely standing in a queue. Wondering what this was all about I walked past several hundred people of every age and nationality. How exciting until... yes, it started at the front door of Andipa Gallery. In the following few weeks we had over 35,000 visitors to the exhibition and employed crowd control to safeguard the queues. Ironically, the crowds needed more protection from irritated Knightsbridge shoppers than from the fast cars passing the narrow street. From there onwards everything took its own natural momentum. Rumours abounded that Banksy had left his only dealer to join Andipa! A nice thought but most unlikely then as it is now. Film crews, television networks and international newspapers filled the gallery before and after opening hours. The market escalated and escalated without any design. The market just took it up and ran with it... and ran and ran. Happy times. I introduced the work of Banksy to collectors from many backgrounds who had, until that time, only collected artists such as Picasso, Lichtenstein, Hockney, Hirst and other major international painters and yet, here they were, adding Banksy paintings to their magnificent collections. Unfortunately, however, when the market grows and becomes lucrative it also naturally changes. Motivations are no longer clear. Intentions not so truthful. Art becomes a commodity and a trophy. It is a shame that no matter what the artist produces, how engaging the artworks or public events which focus on social inadequacies – what most people read and talk of is their monetary value. It is no longer for the pleasure that this art can give or the questions that it can ask, it is now mostly about the value that it holds as a currency. We see this in the explosion of brokers and internet sites which self-proclaim to be trustworthy sellers of this commodity. Everyone is a Banksy expert. Everyone is an art consultant. But I’m still happy my phone rang fourteen years ago... what a fun journey it continues to be.
BANKSY: UN ARTISTA-FILOSOFO Francesca Iannelli
Writing graffiti is about the most honest way you can be an artist. It takes no money to do it, you don’t need an education to understand it, there’s no admission fee and bus stops are far more interesting and useful places to have pictures than in museums. Banksy, Banging your head against a brick wall, 2001
Nell’eterogeneo e variopinto panorama dell’artworld dei nostri giorni Banksy è senza dubbio l’artista più noto – anche ai non addetti ai lavori – e uno tra gli artisti contemporanei più prominenti e influenti. La sua notorietà è alimentata da un’arte che – seppur facilmente decodificabile – non rinuncia a veicolare significati fortemente critici nei confronti del capitalismo, del militarismo, del consumismo né a manifestare solidarietà con la difesa dell’ambiente, dei diritti umani e di ogni genere di libertà. Il suo stile ironico, iconico, irriverente è sempre contro. Come si legge nella citazione presa dallo Evening Standard e pubblicata da Banksy sulla quarta del suo Black Book Existencilism del 2002: “Superficially his work looks deep, but it’s actually deeply superficial”. La sua estetica politica, esplosiva, volutamente incoerente, è una potente e impietosa espressione delle dissonanze del nostro tempo, nel quale non mancano ambiguità e paradossi, ben visibili nella stessa arte di Banksy come acuta duplicazione del contemporaneo1. Consideriamo innanzitutto l’ironia che pervade molte delle opere esposte nella mostra Banksy. Building Castles in the Sky di Parma, come ad esempio Weston Super Mare del 2003. La serigrafia riproduce un anziano seduto su una panchina che sta per essere
travolto da una sega circolare, ignaro del pericolo. Banksy lancia un messaggio amaro che invita alla riflessione sull’incertezza della vita, sulla morte e sui pericoli sempre in agguato, ma lo fa a modo suo, facendoci sorridere. Questo è l’ingrediente segreto dell’arte di Banksy: riuscire ad affrontare argomenti scomodi, bollenti, spinosi e pesanti con estrema leggerezza. La stessa ironia attraversa opere come Grannies (2006), in cui due nonnette sono impegnate a lavorare ai ferri dei maglioni con scritte che inneggiano a uno stile di vita punk e vandalico. Come a voler dire: non fidarsi mai delle apparenze! Un cuore punk può battere anche lì dove non te lo aspetti. Fortemente ironica è poi anche l’opera Sales ends today (2007), concepita secondo una composizione che ricorda lo stile drammatico delle deposizioni di Cristo, ma con un contenuto alquanto profano: la fine dei saldi e l’insostenibile e inconsolabile disperazione dei consumatori. Una ironia amara aleggia infine anche attorno al soggetto della stampa Visit historic Palestine che rappresenta una inquietante tourist attraction: una torre di guardia israeliana trasformata in una giostra per bambini con la scritta The Israeli army liked it so much they never left. La stampa è acquistabile soltanto nello Walled Off Hotel di Betlemme, aperto nel 2017 dall’artista in uno dei luoghi più incandescenti al mondo, ossia davanti al muro che separa Palestina e Israele e dunque in un luogo lugubre, carico di sangue e distruzione. Passiamo poi a considerare un altro elemento distintivo della sovversiva produzione di Banksy: l’iconicità. Non si tratta di costruire utopici castelli in aria che non avranno alcuna speranza di realizzarsi, ma di sollecitare i fruitori alla riflessione critica attraverso opere pungolo, immediate e fortemente iconiche. Come osservano Stefano Antonelli e Gianluca Marziani, l’approccio che attraversa la produzione artistica di Banksy è “animato dal principio di realtà e non dal principio utopico che ha acceso la creatività nel Novecento”2. Banksy ha infatti un obiettivo molto chiaro: spiazzare i suoi fruitori, togliere loro la terra sotto i piedi e farli volare via con l’immaginazione verso cieli migliori. La sua arte provocatoria spiazza innanzitutto per originalità.
BANKSY: AN ARTIST/ PHILOSOPHER Francesca Iannelli
Writing graffiti is about the most honest way you can be an artist. It takes no money to do it, you don’t need an education to understand it, there’s no admission fee and bus stops are far more interesting and useful places to have pictures than in museums. Banksy, Banging your head against a brick wall, 2001
On the heterogeneous and multicoloured landscape of the art world in our time, Banksy is without a doubt one of the most prominent and influential contemporary artists, and the one most well-known even to those not in the business. His fame is fed by an art that, although easily decipherable, does not shy away from conveying meanings highly critical of capitalism, militarism, and consumerism, or from showing solidarity with defending the environment, human rights, and every kind of freedom. His ironic, iconic, and irreverent style is always against something. As we read in the quotation from the Evening Standard published by Banksy on the back cover of his 2002 Black Book Existencilism: “Superficially his work looks deep, but it’s actually deeply superficial”. His aesthetic – political, explosive, and intentionally inconsistent – is a potent and merciless expression of the dissonances of our own time, in which there is no lack of ambiguity and paradoxes, quite visible in Banksy’s own art as an acute duplication of the contemporary1. Let us first consider the irony that pervades many of the works on display at the exhibition Banksy. Building
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Castles in the Sky in Parma, such as for example 2003’s Weston Super Mare. The screen print depicts an elderly man sitting on a bench, about to be cut by a circular saw and unaware of the danger. Banksy leaves a bitter message that invites reflection upon the uncertainty of life, death, and the dangers always lying in wait, but he does so in his own way, bringing a smile to our face. This is the secret ingredient in Banksy’s art: being able to handle hot topics, subjects that are uncomfortable, thorny, and heavy, with extreme lightness. The same irony traverses works like Grannies (2006) in which two little old grandmothers are engaged in knitting sweaters stitched with words singing the praises of a punk and vandalistic life style, as if to say: “Never trust appearances! A punk heart can beat where you’d least expect it”. Another highly ironic work is Sales Ends Today (2007), conceived in a composition reminiscent of the dramatic style of the depositions of Christ, but with a rather profane content: sales coming to an end, and the consumers’ unbearable and inconsolable desperation. Lastly, a bitter irony flutters around the subject of the print Visit Historic Palestine, which depicts a disturbing tourist attraction: an Israeli guard tower transformed into a chair swing ride with the writing The Israeli army liked it so much they never left. The print can be purchased only in the Walled Off Hotel in Bethlehem, opened by the artist in 2017 in one of the world’s most incandescent places: opposite the wall separating Palestine and Israel, and therefore in a lugubrious place loaded with blood and destruction. We may now consider another distinctive element of Banksy’s subversive output: iconicity. It is not a matter of building utopian castles in the air that have no hope of being built, but of spurring users to critical reflection through provocative, immediate, and highly iconic works. As Stefano Antonelli and Gianluca Marziani have observed, the approach that traverses Banksy’s artistic output is “animated by the principle of reality and not by the utopian principle that illuminated creativity in the twentieth century”2. Banksy in fact has a very clear objective: to throw his viewers off balance, to take the ground from beneath their feet, and to lead them to fly off with imagination
Basta un solo elemento estraniante o una posa inusuale, come in Flower Thrower (2003), a mettere in discussione ogni cosa: perché non lanciare fiori, anziché pietre o molotov? Perché non aspirare alla pace anziché dare per scontata la necessità della guerra e della violenza? Il titolo dell’opera è indicativo: Love is in the air! I cieli di Banksy sono scossi da venti di pace, di solidarietà e di amore, ecco perché la sua poetica, o meglio la sua filosofia artistica, può dirsi aerea, ma non in senso negativo, come fosse inafferrabile e impalpabile e dunque inefficace. Piuttosto Banksy riesce a sollevare qualsiasi macigno, a desacralizzare le figure simbolo della sicurezza urbana con Rude Copper (2002), a far riflettere sull’ipocrisia delle missioni di pace con Happy Choppers (2003), a demitizzare l’utilizzo di armi per ottenere ordine in Flying Copper (2003), a criticare la retorica mediatica e politica che tinge di rosa ogni spettrale conflitto in Bomb Love (Bomb Hugger) del 2003. Nel Black Book Cut it out del 2004 trionfa sovrana la sua anima anti-militarista, lì dove scrive che le persone assetate di sangue non dovrebbero far altro che mordersi la lingua. Ma iconica è l’arte di Banksy anche per la capacità di sedurre il suo pubblico con il quale, nonostante l’anonimato, ha creato una forte complicità, consolidata sia attraverso il suo profilo Instagram, che conta ben 11,1 milioni di followers, che attraverso i suoi alter-ego animali: innanzitutto i tanti ratti che distribuiscono ovunque messaggi anarchici e inneggiano alla libertà. Anche durante la pandemia del 2020-21 i ratti hanno continuato a parlare per lui, tra riflessioni sulle difficoltà dello smart-working – espresse visivamente da 9 scatenati topolini che impazzano in bagno e dal laconico commento “My wife hates it when I work from home” postato sul profilo Instagram dell’artista – e inviti a indossare correttamente la mascherina nella “performance” If you don’t mask, you don’t get nella metropolitana di Londra. Come confessa nel suo Black Book Existencilism la sua fantasia di vendetta sociale consiste nell’immaginare che un giorno un coraggioso branco di ratti, fatto di perdenti e disperati, si uniscano e ben equipaggiati riescano a cambiare le sorti della
società. Questa rivoluzione dal basso che vede impegnati in prima linea gli emarginati coinvolgerebbe le figure più disparate dei dimenticati, alcune delle quali esposte a Parma: dal ratto sentimentalista di Love Rat del 2004 a quelli complottisti di Radar Rat del 2008. Ma Banksy spiazza anche per semplicità, per quella leggerezza che non è mai a-contenutistica, come nell’opera più iconica e popolare: Girl with Balloon (2004-05). Descriverla non serve: è un pezzo di poesia, una perfetta sintesi della natura umana, fatta di sogni, desideri, speranze che volano via, a volte per avverarsi, a volte per infrangersi ad alta quota. Inoltre va aggiunto che l’arte di Banksy è fortemente irriverente e contamina senza alcuno scrupolo volti celebri con elementi contro-intuitivi o situazioni destabilizzanti, come fa in Queen Vic (2003) con la conservatrice Regina Vittoria in versione lesbica, con reggicalze e stivali neri di pelle, impegnata in un “queening” che la vede seduta “regalmente” sul volto di un’altra donna. Oppure in Turf war (2003) con Churchill in stile punk con cresta verde. Il titolo dell’opera allude alla guerra per un pezzo di terra, come a dire che dietro ogni grande o piccolo conflitto c’è sempre l’avidità di espandersi. Ma anche il mondo dell’arte, del cinema e della fotografia è preso di mira: film cult, opere leggendarie e fotografie che hanno fatto storia vengono citate, contaminate e stravolte in base a nuove esigenze comunicative. Così avviene in Soup Can (2005) in cui le risonanze delle Campbell’s Soups di Warhol sono martellanti o in Pulp Fiction (2004) in cui Travolta e Jackson impugnano delle banane anziché delle pistole. Allo stesso modo, in Napalm (Can’t beat that feeling) del 2004 una metamorfosi estetica stravolge la fotografia tristemente celebre di Nick Út che ritrae la piccola Kim Phúc dopo un bombardamento sudvietnamita al napalm nel giugno del 1972. Accanto alla bambina nella serigrafia di Banksy, invece dei suoi coetanei in fuga come nello scatto di Út, trionfano Mickey Mouse e Ronald Mc Donald, due icone pop dell’immaginario americano ma anche due simboli di un imperialismo culturale ed economico di scarsa qualità, globalmente apprezzato senza alcun gusto, che fungono da maschere del consumismo e capitalismo americano, le
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toward better skies. His provocative art disorients first of all for its originality. A single alienating element or an unusual pose, as in Flower Thrower (2003), is enough to cast doubt on everything: why not throw flowers instead of stones or Molotov cocktails? Why not aspire to peace instead of taking for granted the need for war and violence? The work’s title – Love is in the Air! – is indicative. Banksy’s skies are shaken by the winds of peace, solidarity, and love, and that is why his poetics, or, better, his artistic philosophy, may be called aerial, but not in a negative sense, as if ungraspable and impalpable, and therefore ineffective. Rather, Banksy is able to lift any weight; to desacralize the symbolic figures of urban safety with Rude Copper (2002); to raise reflection on the hypocrisy of peace missions with Happy Choppers (2003); to demythologize the use of weapons for achieving order in Flying Copper (2003); and to criticize the media and political rhetoric that sees all spectral conflict through a rose-tinted lens in 2003’s Bomb Love (Bomb Hugger). In the 2004 Black Book Cut it out, his anti-militarist soul reigns supreme when he writes that bloodthirsty people should just bite their tongues. But Banksy’s art is also iconic for its ability to seduce his public with which, despite his anonymity, he has created a strong sense of complicity, consolidated through his Instagram profile that boasts no fewer than 11.1 million followers, and through his animal alter egos: above all the many rats that distribute messages everywhere and sing the praises of freedom. During the 2020-21 pandemic, the rats continued to speak for him, between reflections upon the difficulties of smart working – visually expressed by 9 unrestrained mice running amuck in a bathroom accompanied by the laconic comment “My wife hates it when I work from home”, posted on the artist’s Instagram profile – and invitations to be properly masked in the If You Don’t Mask, You Don’t Get “performance” on the London Underground. As he confesses in his Black Book Existencilism, his fantasy of social revenge consists of imagining that one day, a courageous horde of vermin, of powerless losers, will gang up, get some good equipment, and change society’s destiny. This revolution from below, in which the alienated are
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on the front lines, would involve the most disparate figures of the forgotten; some of these figures are on show in Parma: from the sentimentalist rat in 2004’s Love Rat to the plotting ones in 2008’s Radar Rat. But Banksy also throws us off balance with his simplicity, that lightness that is never against content, as in the most iconic and popular work Girl with Balloon (200405). There is no need to describe it: it is a piece of poetry, a perfect synthesis of human nature, made of dreams, desires, and hopes that fly away – at times to come true, and at times to be shattered at high altitudes. It is also to be added that Banksy’s art is highly irreverent and scrupulously contaminates famed faces with counterintuitive elements or destabilizing situations, as he does in Queen Vic (2003) with a lesbian version of the conservative Queen Victoria in garters and black leather boots, engaged in a “queening” in which she is “royally” seated on another woman’s face. Or in Turf war (2003), depicting a punk Churchill sporting a green Mohawk. The work’s title alludes to the war over a piece of turf, which is to say that an eagerness for expansion always lies behind every conflict great or small. But the world of art, cinema, and photography is also targeted: cults, legendary works and photographs that have gone down in history are quoted, contaminated, and overturned on the basis of new communicative needs; we see this in Soup Can (2005), with its striking resonances of Warhol’s Campbell’s Soup cans, or in Pulp Fiction (2004), depicting Travolta and Jackson holding bananas instead of pistols. In the same way, in 2004’s Napalm (Can’t beat that feeling), an aesthetic metamorphosis sadly overturns Nick Út’s famed photograph depicting the young girl Kim Phúc after a South Vietnamese napalm bombing in June 1972. In Banksy’s screen print, she is accompanied not by the other fleeing children as shown in Út’s picture, but by a triumphant Mickey Mouse and Ronald McDonald, two pop icons of American imagery, but also two symbols of low-quality cultural and economic imperialism, globally appreciated and tasteless, serving as masks for American consumerism and capitalism whose consequences – not only ideological but social and
cui conseguenze non sono solo ideologiche ma sociopolitiche possono intaccare la vita di chiunque, come avvenne a Trảng Bàng. Ma come si diceva non mancano i paradossi, seppur filosoficamente fondati: Banksy combatte attivamente il consumismo, si ribella alle grandi corporation, attraverso l’attivismo artistico vuole proporre una antagonistica poetica anti-sistema ma il suo stesso nome è ormai un brand, mentre quelle tra le sue opere concepite per essere commercializzate sono contraddistinte da un certificato di autenticità e possono arrivare a prezzi da capogiro. Essendo un artista senza volto ha dovuto costruire con attenzione la sua maschera, come chiarisce nel Black Book Existencilism del 2002: “If you want to say something and have people listen then you have to wear a mask”. La brand identity è dunque ben definita, potente ed efficacissima, Banksy tuttavia se ne serve come fosse un Robin Hood dell’artworld, ossia per i suoi intenti di denuncia e per stravolgere delle dinamiche consolidate. Così avviene anche nell’uso del copyright, sbeffeggiato nei Black Books ma poi ribadito con forza dalla società Pest Control che autentica le sue opere. D’altra parte, il rapporto con l’istituzione museale è alquanto ambiguo, scandito tra repulsione e attrazione, museofobia e museofilia. Nel 2003, travestito da anziano signore, Banksy si autoinvitò in un santuario dell’arte mondiale appendendo nella Tate Britain un suo Vandalised Oil Painting non privo di targhetta descrittiva, per poi installare un topo con occhiali, altoparlante e zaino nel Museo di Storia Naturale di Londra, conferendogli il titolo di Banksus Militus Ratus, per proseguire i suoi blitz nel 2005 in alcuni tra i più prestigiosi musei del mondo – dal MoMA, al British Museum fino al Louvre – dove ha deciso di collocare abusivamente dei suoi pezzi. In mostra a Parma è esibita una cartolina che documenta l’incursione al British, dove Banksy aveva collocato Early Man Goes to Market, un pezzo di cemento con il disegno a pennarello di un uomo primitivo che con un carrello da supermercato avanza verso un bisonte ucciso da due frecce. L’opera venne rimossa
dal museo, ma quando Banksy divenne noto a livello mondiale fu stampata una cartolina del Peckham Trolley a cura dello stesso museo “violato”. A questo punto però la Pest Control intervenne per ricordare al British che non aveva alcun diritto su quell’opera, visto che la sua collocazione nel museo era avvenuta per “autoproclamazione”, con un gesto in stile neoduchampiano. Si tratta di una evidente presa in giro della (pseudo) sacralità che contraddistingue i confini dell’istituzione museale e del delirio di onnipotenza che divora i guru dell’artworld contemporaneo che pensano di poter stabilire in solitudine quel che è arte e quel che non lo è, in base a delle logiche economiche e a linguaggi autoreferenziali. Al contrario, come ha magistralmente mostrato l’estetologo Arthur C. Danto3 l’artworld è un sistema molto più complesso: una trama in divenire, in cui passato e presente sono in continua sinergia e dove non si può comprendere la produzione contemporanea se non considerandola secondo criteri artistico-filosofici. E Banksy una sua filosofia ce l’ha, la si potrebbe definire una “filosofia della libertà condizionata”, in bilico tra ribellione e ufficialità, come ben testimonia il gioco di seduzione con i musei che lo spingerà nel 2009 al Bristol Museum a realizzare la sua prima mostra ufficiale, interamente auto-finanziata per garantire l’entrata libera, di cui a Parma sono esposte tre diverse locandine. A più di un decennio di distanza si può affermare che quel writer divenuto oramai leggendario non ha più alcun bisogno di giocare a nascondino con l’establishment museale, ma certamente ora sono i direttori di musei che hanno bisogno di lui – con o senza la sua autorizzazione – riconoscendogli di essere una star mediatica e un comunicatore geniale, capace di attirare folle di pubblico lì dove solitamente circolano solo esperti e pochi appassionati. Già solo questo elemento basterebbe a dimostrare la potenza comunicativa dei graffiti. Nei suoi Black Books Banksy lancia però ulteriori messaggi in tal senso, innanzitutto partendo da una constatazione piuttosto eloquente che contraddice la famosa “teoria della finestra rotta” di Wilson e Kelling, per cui una zona “vandalizzata” sollecita altri atti criminali e incita al degrado. Al contrario le aree adornate con graffiti o le case sulle quali sono comparsi dei “pezzi” valgono molto di più
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political as well – can impact anyone’s life, as took place at Trảng Bàng. As already pointed out, there is no shortage of (albeit philosophically well-founded) paradoxes: Banksy actively combats consumerism, rebels against large corporations, and through artistic activism aims to propose an antagonistic, anti-system poetics. Yet his own name is now a brand, while his works conceived for sale bear a certificate of authenticity and can bring dizzying prices. Being an artist without a face, he has had to carefully build his mask, as clarified in the 2002 Black Book Existencilism: “If you want to say something and have people listen then you have to wear a mask”. The brand identity is therefore well defined, potent, and highly effective. But Banksy wields it as if he were an art world Robin Hood, which is to say for his intents of denunciation and to overturn established dynamics. This also takes place in the use of copyright, mocked in the Black Books but then forcefully restated by the Pest Control company that authenticates his works. On the other hand, his relationship with the museum institution is a rather ambiguous one, an alternation of repulsion and attraction, museophobia and museophilia. In 2003, dressed as an elderly man, Banksy invited himself into a shrine of world art, hanging his Vandalised Oil Painting in the Tate Britain, with a descriptive label, too; he installed a mouse with glasses, megaphone, and backpack in London’s Museum of Natural History, giving it the title Banksus Militus Ratus; and in 2005 he continued his blitzes in some of the world’s most prestigious museums – from MoMA to the British Museum and the Louvre – where he decided to illicitly place his pieces. On display in Parma is a postcard documenting the raid on the British Museum, where Banksy placed Early Man Goes to Market, a block of cement with a drawing in marker of an early man pushing a shopping cart towards a bison killed by two arrows. The work was removed by the museum, but when Banksy became world famous, a postcard of the Peckham Trolley was printed by the “violated” museum itself. At this point, however, Pest Control took action to remind the British Museum that
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it had no right to that work, given that its placement in the museum had taken place by “self-proclamation” – a gesture in neo-Duchampian style that clearly mocks the (pseudo) sacrality that marks the boundaries of the museum institution, and the delirium of omnipotence that devours the gurus of the contemporary art world who think they can establish in solitude what art is and what it is not, based on the logic of economics and on self-referential languages. To the contrary, as art philosopher Arthur C. Danto has masterfully shown3, the art world is a highly complex system: an ongoing texture, in which past and present are in continuous synergy and where contemporary production cannot be understood without considering it in accordance with artistic and philosophical criteria. And Banksy does have a philosophy, which may be defined as a “philosophy of conditional release”, poised between rebellion and officialdom. His game of seduction with museums bears witness to this, bringing him to the Bristol Museum for his first official show in 2009 (three different posters for which are on display in Parma), entirely self-financed to guarantee free admission. More than a decade later, it may be stated that this now legendary graffiti writer no longer needs to play hide-and-seek with the museum establishment; it is now the museum directors that need him, with or without authorization, recognizing him as a media star and ingenious communicator capable of attracting crowds of viewers where usually only experts and a handful of enthusiasts circulate. This element alone would suffice to demonstrate the communicative power of graffiti. In his Black Books, however, Banksy launches additional messages in this sense, starting first of all from a rather eloquent observation that contradicts Wilson and Kelling’s famous “broken windows theory” by which a “vandalized” area encourages other criminal acts and incites decay. To the contrary, the areas adorned with graffiti or the houses upon which the “pieces” appeared are worth quite a bit more on the real estate market. Of course, this situation can only raise reflection upon the contradictions in Western society, given that it prosecutes “artistic vandalism” while indirectly legitimating it, encouraging it, and exploiting it by speculating on it.
sul mercato immobiliare. Ovviamente tale situazione non può che far riflettere sulle contraddizioni della società occidentale, visto che questa persegue il “vandalismo artistico” ma poi indirettamente lo legittima, lo incoraggia e lo sfrutta, speculandoci sopra. Last but not least: tutte le opere esposte a Parma provengono da collezioni private. Ciò ricorda che lo spazio d’azione di Banksy non è esclusivamente quello urbano, ma è anche quello più snob e vorace del collezionismo mondiale. Pur sapendo – come afferma in Banging your head against a brick wall del 2001 – che non vi è nulla di più “onesto” che omaggiare la società con dei graffiti, Banksy strizza l’occhio all’artworld ufficiale ed elitario, per colpirlo con i suoi stessi strumenti, come ha fatto nel 2018 durante una asta milionaria di Sotheby’s a Londra, distruggendo con un sistema analogo al tritadocumenti una versione su tela della più poetica delle sue opere: Girl with Balloon. D’altra parte, chiunque colleziona Banksy dovrebbe accettare che l’opera acquistata – seppur raggiungerà un valore commerciale folle – non avrà mai quel medesimo
spirito di contestazione, di protesta, di speranza di un “pezzo” realizzato nello e per lo spazio urbano, condiviso con chiunque per sollecitare la coscienza critica della comunità e abbandonato al destino incerto della strada: tra “stacchi” famelici, venerazione collettiva, atti iconoclastici e tagging. Qualsiasi mostra dedicata a Banksy può dunque avere un indiscutibile e prezioso valore documentaristico, può consentire di riflettere sugli infiniti temi e contraddizioni che attraversano la sua arte e la nostra società, può incrementare la Banksymania dei fan più devoti. Ma “l’altro” Banksy – l’eroe della comunicazione “criminale”, consapevole dell’importanza del valore immateriale delle sue opere, della carica detonante dei muri e del potere democratico e virale dei social – rimane il Banksy delle incursioni urbane. Libero, ribelle, imprendibile, etereo preferisce un angolo di marciapiede postato sul suo profilo Instagram a qualsiasi vetrina istituzionale e ci ricorda, con la carica filosofica dei suoi stencil – come ha fatto nell’estate del 2021 a Oulton Broad – che, volenti o nolenti, snob o straccioni Siamo tutti sulla stessa barca, contaminata, malata, bisognosa di urgenti cure.
Utilizzo qui il termine duplicazione nel senso della Verdopplung hegeliana, per cui l’arte è una forma di raddoppiamento critico del proprio tempo. 2 S. Antonelli, G. Marziani, Banksy, Giunti, Firenze 2021, in press. 3 Da Artworld del 1964 a What Art Is del 2013.
Last but not least: all the works on show in Parma come from private collections, reminding us that Banksy’s space of action is not exclusively the urban, but also the snobbier and more voracious one of global collecting. Although knowing – as he states in 2001’s Banging Your Head Against a Brick Wall – that there is nothing more honest than to pay homage to society with graffiti, Banksy winks at the official and elitist art world, striking it with its own tools as he did in 2018 during an auction bringing millions at Sotheby’s in London, by destroying with a document shredder-like system a canvas version of one of the most poetic of his works: Girl with Balloon. On the other hand, anyone who collects Banksy should accept that the purchased work – even though it will reach an insane commercial value – will never have that same spirit of protest, of grievance, of hope for a “piece” made in and for the urban space, shared with anyone in order to spur the critical conscience of the community, and abandoned to the uncertain destiny
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1 I use the term “duplication” in the sense of Hegelian Verdopplung, by which art is a form of critical doubling of one’s own time. 2 S. Antonelli, G. Marziani, Banksy, Giunti, Firenze 2021, in press. 3 From 1964’s Artworld to 2013’s What Art Is.
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of the street: subjected to ravenous “detachments”, collective veneration, iconoclastic acts, and tagging. Any show dedicated to Banksy can therefore have an undeniable and valuable documentary value. It can raise reflection upon the infinite themes and contradictions traversing his art and our society. It can augment the Banksymania of his most devout fans. But the “other” Banksy – the hero of “criminal” communication, mindful of the importance of the intangible value of his works, of the detonating charge of walls and the democratic and viral power of the social media – remains the Banksy of urban raids. Free, rebellious, ungraspable, and ethereal, he prefers a corner of sidewalk posted on his Instagram profile over any institutional display case and, with the philosophical load of his stencils, reminds us – as he did in the summer of 2021 at Oulton Broad – that, willingly or unwillingly, whether snobs or dressed in rags, We’re all in the same boat: one that is contaminated, sick, and requiring urgent care.
BANKSY E L’EMANCIPAZIONE DELLO SPETTATORE Chiara Canali
Alle radici delle opere di Banksy possiamo rintracciare il costante riferimento a un movimento filosofico e sociologico che si sviluppò alla fine degli anni Cinquanta del Novecento e in cui si propugna una nuova forma di azione artistica e di spettatorialità attiva: il Situazionismo. Per “trascinare lo spettatore all’attività e diminuire il ruolo passivo del pubblico”1, il principale teorico del gruppo, Guy Debord, rivendica l’autonomia dell’esperienza soggettiva tramite la creazione di situazioni in cui l’individuo possa riscoprire il proprio ruolo attivo. Per fare ciò risulta centrale il concetto di détournement: decontestualizzare un’opera per inserirla in un contesto nuovo che le assegni significati e valori differenti rispetto a quelli originari. Il détournement ha un ruolo centrale anche nei messaggi lanciati da Banksy: prendere “qualcosa” che è a tutti familiare, sovvertire la linearità del discorso per ricollocarlo in una prospettiva lontana da quella originaria. Una sorta di ossimoro che, applicato al campo delle arti visive, ha la capacità di scuotere il fruitore dall’apatia, rendendolo capace di associazioni mentali inedite. L’esempio più plateale di utilizzo di questa tattica volta allo straniamento è stata la creazione di Dismaland, nell’estate 2015. Dismaland si configurava come un gigantesco parco dei non divertimenti, l’alternativa distopica all’aureo “Disneyland”. All’interno erano presenti diciotto controattrazioni quali una ruota panoramica con evidenti segni di deterioramento, un mezzo antisommossa adibito a scivolo, una giostra supervisionata da un macellaio, una vasca con barconi colmi di migranti,
il castello della Bestia e la Bestia (simbolo del parco divertimenti ufficiale) lasciato incompleto. Il pubblico si mostrò entusiasta dell’installazione di Banksy, mentre la critica ufficiale la tacciò di essere arte brutta, noiosa e sarcastica2. D’altra parte, l’intento di Banksy si mostrò, probabilmente, raggiunto: caricare il messaggio di valori sarcastici, critici e sovversivi per risvegliare le menti dal torpore mediatico. Con il concetto di détournement il pensiero situazionista indica la deviazione del dato dal contesto in cui, questo, generalmente si colloca. L’operazione ha il preciso scopo di affrancare l’uomo dall’ideologia dominante che si impossessa del suo senso critico. Secondo il Situazionismo, infatti, il contesto geografico in cui si vive ha profonde ripercussioni sulla psiche dell’individuo e il luogo principe per individuare la dimostrazione della psicogeografia è la metropoli. La continua pressione dei media e il bombardamento pubblicitario indirizzano gli abitanti verso il medesimo stile di vita, i medesimi impulsi e il medesimo pensiero unico. La deriva situazionista, che si configura come una sorta di “smarrimento” del pensiero, necessario perché l’uomo riscopra se stesso, avviene grazie alla pratica del détournement: vengono compiute citazioni ma in contesti lontani da quello originario. Il risultato finale consta in uno scarto di senso che porta alla costruzione di nuovi significati. In tutte le opere di Banksy il détournement lavora in sottofondo, ma vi sono quattro categorie di produzioni in cui i suoi effetti divengono particolarmente visibili: nel Brandalismo, nelle incursioni nei musei, nella modifica temporanea del paesaggio urbano attraverso performance e installazioni e nella residenza artistica compiuta a New York. 1. BRANDALISM: WE ARE PEOPLE, NOT TARGETS3 “Brandalism” è un termine che viene coniato in Inghilterra nel 2012, quando un gruppo di 25 artisti indipendenti decide di sottoscrivere il manifesto del movimento. Lo scopo è creare la più grande campagna anti-pubblicitaria della storia: il termine Brandalism deriva infatti dall’unione delle parole “brand”, ovvero i marchi, i loghi delle grande industrie produttrici di beni di consumo, e di “vandalism”, ovvero tutti gli atti volti al danneggiamento di beni materiali. Si legge nel Manifesto del Brandalism sul sito internet:
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BANKSY AND THE EMANCIPATION OF THE SPECTATOR Chiara Canali
In the roots of Banksy’s works, we can see constant reference to a philosophical and sociological movement that developed in the late 1950s, advocating a new form of artistic action and active viewership: Situationism. To “draw the spectator to the activity and diminish the passive role of the public,”1 the group’s main theorist, Guy Debord, claimed the autonomy of subjective experience through the creation of situations in which individuals might rediscover their own active role. Essential for doing this is the concept of détournement: decontextualizing a work in order to introduce it into a new context that assigns it values and meanings different from the original ones. Détournement also plays a central role in the messages launched by Banksy: to take “something” that is familiar to all, and to subvert the linearity of the discourse in order to relocate it to a perspective far from the original one. A sort of oxymoron applied to the field of the visual arts, it has the ability to shake viewers out of their apathy, making them capable of totally new mental associations. The most blatant example of the use of this tactic aimed at estrangement was the creation of Dismaland in the summer of 2015. Dismaland was configured as a giant “bemusement park,” a dystopian alternative to the golden “Disneyland.” In it were eighteen counter-attractions, such as a Ferris wheel showing clear signs of deterioration; an anti-riot vehicle turned into a children’s slide; a merry-go-round overseen by a butcher; a pond with boats filled with migrants;
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and the Castle of Beast and the Beast (the theme park’s official symbol), left incomplete. While public was enthusiastic over Banksy’s installation, official criticism decried it as ugly, boring, and sarcastic art2. On the other hand, Banksy’s intent was likely achieved: to load the message with sarcastic, critical, and subversive values in order to reawaken minds from their media-induced torpor. In Situationist thought, the concept of détournement indicates the datum’s deviation from the context in which it is generally placed. This operation has the precise purpose of liberating people from the dominant ideology that takes possession of their critical sense. In fact, according to situationism, the geographical context in which one lives has profound repercussions on the individual’s psyche, and the principal place in which to see the demonstration of psychogeography is the metropolis. Bombarded with advertising and continuous media pressure, its inhabitants are guided towards the same lifestyle, the same impulses, and the same, single thought. The situationist dérive, configured as a sort of “loss” of thought necessary for people to rediscover themselves, takes place thanks to the practice of détournement: citations are made, but in contexts far from the original one. The final result lies in a deviation of meaning that leads to the building of new meanings. Although détournement operates in the background in all of Banksy’s works, there are four categories of production in which its effects become particularly visible: in Brandalism, in his pranks in museums, in his temporary modification of the urban landscape through performance and installations, and in his artistic residency in New York. 1. BRANDALISM: WE ARE PEOPLE, NOT TARGETS3 The term “Brandalism” was coined in England in 2012, when a group of 25 independent artists decided to sign the movement’s manifesto. The purpose was to create history’s biggest anti-advertising campaign: the term Brandalism was in fact created by fusing together the words “brand” – which is to say the trademarks and logos of the large industries manufacturing consumer goods – and “vandalism,” or all acts aimed at damaging material goods.
“Questo è il nostro grido di battaglia, la nostra guerra semiotica, la nostra rabbia contro la mis-filosofia del consumo e le macchine del corporativismo predatorio che bloccano il sole, che bruciano la nostra atmosfera. Noi rubiamo questo spazio (al capitalismo), e ve lo restituiamo gratuitamente per la comunicazione di futuri possibili”4. Secondo gli aderenti al movimento, che si riallacciano al concetto di psicogeografia di matrice situazionista, la sovraesposizione ai media nei luoghi pubblici modifica in modo nefasto il comportamento dell’individuo. Tale modificazione, inoltre, avviene in maniera inconscia, perciò senza che il soggetto possa esprimere il proprio consenso oppure opporvisi. Il Brandalism è una “ribellione contro la dittatura visiva della cultura e dello spazio”5 detenuta dai sistemi corporativi, che deve avvenire tramite la pratica del “subvertising”, cioè l’arte di sovvertire le pubblicità, per riprendere il controllo della società dal punto di vista visivo. Banksy non è tra gli artisti che aderiscono esplicitamente al movimento sottoscrivendone il manifesto nel 2012, tuttavia afferma, in merito al Brandalism: “Ogni messaggio che è collocato in uno spazio pubblico e che non puoi scegliere di non guardare è tuo. Ti appartiene. Lo puoi prendere, rimaneggiare e riutilizzare. Chiedere il permesso è come chiedere di conservare una pietra che qualcuno ti ha appena tirato in testa”6. Esempi lampanti di adesione pratica al Brandalism sono molte opere di Banksy, tra cui Napalm (Can’t beat that feeling), Burger King Kid, Thirsty Burger King, Sale Ends Today o la gigantesca installazione di Dismaland di cui abbiamo già parlato. 2. LE INCURSIONI NEI MUSEI (MODIFIED CANVAS) Banksy compie numerose incursioni nei musei per lasciare opere magistralmente modificate (Modified Canvas) e osservare la reazione del pubblico. Probabilmente le motivazioni che spingono l’artista a questa inusale pratica possono essere riassunte nella critica all’arte ufficiale e nella pratica del détournement al fine di “risvegliare i turisti” dal loro passivo torpore di spettatori. La critica che rivolge a coloro i quali detengono il potere negli ambienti artistici è quella di decidere cosa sia arte e cosa non lo sia; cosa mostrare al pubblico e cosa nascondere; ma, soprattutto, a quale costo rendere accessibile la cultura. La risposta all’elitarismo è un’arte
fruibile da tutti e a tutti accessibile: sia in termini economici che di comprensione del contenuto. L’arte deve smuovere e far muovere, l’arte non è, come a volte si crede, fine a se stessa: le opere di Banksy inducono all’azione, fosse anche solo il riflettere, e hanno quindi uno scopo e un’utilità. Per questo non possono essere scritte con linguaggi artistici inaccessibili o criptici, ma devono poter parlare a chiunque si accosti all’immagine, con lessico facilmente intuibile. Così Banksy porta il proprio pensiero al chiuso, nei musei, osservando divertito l’esito del proprio esperimento. Le incursioni dell’artista hanno toccato alcuni dei più importanti musei metropolitani, tra cui Museum and Art Gallery, Bristol; Tate Modern, Londra; British Museum, Londra; Louvre, Parigi; Metropolitan Museum of Art, New York; Museum of Modern Art, New York; Brooklyn Museum, New York; American Museum of Natural History, New York. 3. MODIFICA TEMPORANEA DEL PAESAGGIO URBANO Qui è opportuno fare un cenno ad alcune iniziative di vero e proprio dètournement urbano. Banksy utilizza la street sculpture per stupire i passanti e cogliere le loro espressioni incredule. L’installazione stradale a Londra con la presenza di coni segnaletici spartitraffico e il cartello dei lavori in corso con l’escalmativo e la scritta “Banksy” è durata sei giorni, durante i quali il traffico è stato deviato dal normale percorso (ricordando il Progetto per un muro temporaneo di barili metallici, realizzato in forma illegale in Rue Visconti a Parigi da Christo nel 1962, vera e propria barricata di barili, l’uno a fianco dell’altro, che provocò la completa chiusura al traffico della strada, destando una serie di reazioni diverse del pubblico). E ancora i cartelli “Pericolo balneazione/Presenza coccodrilli” e “Pericolo/Area Contaminata/Materiale radioattivo” affissi il primo nei pressi dei laghetti balneabili di New York, il secondo all’interno di un laghetto in St. James Park, nelle vicinanze di Buckingham Palace, hanno impedito ai turisti di immergersi nelle acque rispettivamente per 3 settimane e 22 ore. 4. BETTER OUT THAN IN (MEGLIO FUORI CHE DENTRO) Il 1 ottobre 2013 Banksy annuncia la sua residenza artistica indipendente di un mese a New York intitolata
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On its website, the Brandalism Manifesto reads: “This is our battle-cry, our semiotic war, our rage against consumer mis-philosophy, and the machines of predatory corporatism, that block out the sun burn our atmosphere. We steal this space (from capitalism), and we give it back to you for free for the communication of possible futures”4. According to the movement’s adherents, who draw on the concept of situationist-style psychogeography, overexposure to media in public places adversely modifies the individual’s behaviour. Moreover, this modification takes place unconsciously – and thus without the subject being able to express consent or opposition. Brandalism is a “revolt against the corporate control of culture and space,”5 a revolt that must take place through the practice of “subvertising” – that is, the art of subverting advertising in order to retake control over society from the visual standpoint. While Banksy is not among the artists who explicitly joined the movement by signing its manifesto in 2012, he stated, with regard to Brandalism: “Any advertisement in public space that gives you no choice whether you see it or not is yours. It belongs to you. It’s yours to take, rearrange and re-use. Asking for permission is like asking to keep a rock someone just threw at your head”6. Many of Banksy’s works are glaring examples of practical adhesion to Brandalism, including Napalm Girl, Burger King Kid, Thirsty Burger King, and Sale Ends Today, or the gigantic Dismaland installation already discussed. 2. MUSEUM PRANKS (MODIFIED CANVAS) Banksy has carried out numerous pranks in museums, leaving masterfully modified works (Modified Canvas) and observing the public’s reaction. The motivations leading the artist to this unusual practice may most likely be summarized in his criticism of official art and in the practice of détournement in order to “awaken tourists” from their passive torpor as spectators. The criticism he raises against those who hold the power in artistic settings is over their deciding what art is and is not; what to show the public and what to hide; but, above all, at what cost to make culture accessible. The response to elitism is an art usable
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by and accessible to all: both economically and in terms of understanding the content. Art must create disturbance and movement; art is not – as is at times believed – an end unto itself: Banksy’s works spur action – even if only reflection – and therefore have a purpose and a usefulness. For this reason, they cannot be written in inaccessible or cryptic artistic languages, but must speak to anyone who approaches the image, with an easily intuited lexicon. Banksy thus brings his thought into the closed environment, into museums, observing with amusement the result of his experiment. The artist’s pranks have involved some of the most important metropolitan museums, including the Museum and Art Gallery, Bristol; the Tate Modern, London; the British Museum, London; the Louvre, Paris; the Metropolitan Museum of Art, New York; the Museum of Modern Art, New York; the Brooklyn Museum, New York; and the American Museum of Natural History, New York. 3. TEMPORARY MODIFICATION OF THE URBAN LANDSCAPE Certain initiatives of full-blown urban dètournement bear mentioning. Banksy uses street sculpture to astound passers-by and to take in their unbelieving expressions. The street installation in London, with the presence of traffic cones and the work in progress sign with the exclamation point and the writing “Banksy,” lasted for six days, during which traffic detoured from its normal route (recalling Iron Curtain-Wall of Oil Barrels, done in illegal form on Rue Visconti in Paris by Christo in 1962: a barricade of barrels, one beside the other, that caused a complete blockage of road traffic and garnered a series of different reactions from the public). Then there were the “Swimming dangerous/beware of crocodiles” and “Danger/Contaminated Area/Radioactive material” signs – the former near New York swimming holes and the latter in a lake in St. James Park in the vicinity of Buckingham Palace – that kept tourists out of the water for 3 weeks and 22 hours respectively. 4. BETTER OUT THAN IN On 01 October 2013, Banksy announced his one-month independent artistic residency in New York, titled
Better Out Than In (Meglio fuori che dentro). L’artista presenta un’opera al giorno, annunciandolo attraverso il suo sito web e il suo account Instagram. A New York è subito “Banksy fever” al punto che interviene il sindaco a condannare l’iniziativa. Il titolo riprende una frase di Paul Cezanne: “nessuna immagine dipinta all’interno dello studio sarà mai come quelle dipinte fuori, all’aperto”. Il progetto consisteva nella realizzazione di un’opera al giorno per tutto il mese di ottobre e sul sito Internet avrebbe postato giornalmente una fotografia del lavoro appena realizzato con l’indicazione del luogo in cui si trovava. L’eterogeneità delle opere ha caratterizzato la sua permanenza a New York. Per ogni giorno infatti, Banksy ha sviluppato un’idea diversa, con un messaggio differente, e i suoi interventi hanno spaziato dai graffiti alla Video Art, dalle performance alle installazioni. Ha iniziato il 1 ottobre con uno stencil abbastanza riconoscibile per il suo stile: due ragazzini uno sopra l’altro che cercavano di raggiungere una bomboletta spray inserita in un cartello di divieto, con la scritta “Graffiti is a crime” (I graffiti sono un crimine). Il 2 ottobre ha reso omaggio al Writing newyorchese degli anni Settanta e Ottanta, ricreando una scritta in lettering Wildstyle. In tre giornate (6, 19, 25 ottobre) ha solamente pubblicato dei video sul suo sito Internet (il primo di forte impatto, rappresenta una denuncia alla guerra. Il video mostrava un gruppo di guerriglieri islamici che, pensando di abbattere un bersaglio nemico, atterrano invece l’elefantino Dumbo). In seguito ha proseguito con denunce contro le catene di fast food, contro gli allevamenti intensivi e il macello delle carni e molto interessante è stata la critica, decisamente tagliente e ironica, al sistema dell’arte. Il 13 ottobre Banksy ha infatti installato un banchetto a Central Park, con le sue opere messe in vendita da un anziano signore, a 60 dollari l’una, senza alcuna indicazione circa la paternità delle opere. Questa sua residenza a New York ha dato vita a una frenetica caccia al lavoro da parte di una massa di fan, detrattori, esperti d’arte e polizia le cui azioni si sono svolte simultaneamente online e off-line, come viene raccontato da Chris Moukarbel nel film Banksy does New York7. Instagram e gli altri social media sono serviti come strumenti di caccia collaborativi, in quanto costituivano spazi in cui i partecipanti hanno potuto condividere
informazioni, discutere sui lavori e scambiare riflessioni sulle performance. All’apparire di un nuovo progetto, le persone erano subito informate online e invitate a interagire con esso e discuterne virtualmente sui social media e per rintracciare fisicamente il lavoro nello spazio della città. Inoltre questa condivisione fisica e virtuale diventa anche virale perché incoraggia i partecipanti a diffondere ulteriormente i lavori sotto diverse modalità, dal selfie con l’opera alla fotografia che documenta la rimozione, in entrambi i casi ripostate poi sui social media. Potremmo persino dire, riportando il punto di vista di Monachesi e Turco, che la vitalità del lavoro di Bansky online, e delle sue azioni, può essere considerata come una caratteristica forma di persistenza di questa forma d’arte, che è per sua natura è transitoria ed effimera8. Better Out Than In ci introduce ad una riflessione sul rapporto tra Banksy e i social media come canali privilegiati in cui indirizza ormai tutte sue azioni di détournement. Molti dei suoi recenti progetti collegano fra loro partecipanti distanti e intrecciano spazi fisici e digitali. Secondo la teoria di Queisner9, è proprio l’ascesa dei social media a rimettere in gioco lo spazio fisico, a riportarlo al centro dell’azione politica e culturale. Le nuove tecnologie facilitano il controllo dello spazio fisico e allo stesso tempo forniscono agli abitanti delle città nuovi strumenti di emancipazione e comunicazione. Il valore delle immagini di Banksy risiede dunque anche negli effetti planetari che i messaggi producono nella sfera pubblica, in virtù della sua capacità di mobilitare una rete globale di partecipanti.
Guy Débord, OEuvres, Gallimand, Parigi 2006, p. 325. Dan Brooks, Banksy and the problem with Sarcastic Art, The New York Times, 10 settembre 2015. 3 http://brandalism.ch/manifesto/ 4 Ibidem. 5 www.brandalism.ch 6 Banksy, Wall and piece, L’Ippocampo, Milano 2011, pp. 194-195. 7 Chris Moukarbel, Banksy does New York, HBO, New York, November 2014. 8 Paola Monachesi, Marina Turco, New Urban Players: New Urban Players: Stratagematic Use of Media by Banksy and the Hong Kong Umbrella Movement, International Journal of Communication, N. 11, 2017, pp. 1448-1465. 9 Ibidem. 1 2
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Better Out Than In (Meglio fuori che dentro). The artist presented one work a day, announcing it over his website and his Instagram account. New York was immediately seized with “Banksy fever,” with the mayor even condemning the initiative. The title is inspired by a quote by Paul Cézanne, “All pictures painted inside, in the studio, will never be as good as those done outside”. The project was to produce one work a day for the entire month of October, posting on his website a daily photograph of the just-completed work, indicating where it could be found. The works during his stay in New York were characterized by their heterogeneous nature. In fact, for each day, Banksy developed a different idea with a different message, and his works ranged from graffiti to Video Art, from performance to installations. He started on 1 October with a stencil rather recognizable for its style: one child standing on another child’s back, attempting to reach a spray can that has been inserted into a prohibition sign bearing the writing “Graffiti is a crime.” On 2 October, he paid homage to New York graffiti-writing of the 1970s and 1980s, recreating Wildstyle lettering. On three days (6, 19, 25 October) he published only videos on his website (the first, impactful one denounces war. The video showed a group of Islamic guerrillas who, believing they are taking out an enemy target, have actually shot down the little elephant Dumbo). He then continued his denunciations against fast food chains, intensive animal breeding and animal butchery, and his decisively cutting and ironic criticism of the art system was no less interesting. On 13 October, Banksy installed a stand in Central Park, with his works put up for sale by an elderly man for 60 dollars apiece, without indicating who the artist was. This residency in New York engendered a frenzied hunt for his work by masses of fans, detractors, art experts, and police, whose actions were carried out simultaneously on- and off-line, as recounted by Chris Moukarbel in the film Banksy Does New York7. Instagram and other social media outlets served as collaborative hunting tools, since they constituted spaces in which participants were able to share information, discuss the works, and exchange
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thoughts on the performances. When a new project appeared, people were immediately informed online and encouraged to interact with it and discuss it virtually on the social media, and to track the work down physically in the city’s space. This physical and virtual sharing also went viral, because it encouraged the participants to further disseminate the works in different modes, from selfies with the work to photographs documenting its removal – in both cases then reposted via social media. Drawing on the perspective of Monachesi and Turco, we might even say that the vitality of Bansky’s online work, and of his actions, may be considered as a characteristic sort of persistence of this art form, which is by its very nature transitory and ephemeral8. Better Out Than In introduces us to a reflection upon the relationship between Banksy and the social media as privileged channels in which he now guides all his actions of détournement. Many of his recent projects have linked distant participants together, intertwining physical and digital spaces. According to Queisner’s theory9, it is preciesly the advent of social media that brings physical space back into play, and back to the centre of political and cultural action. The new technologies facilitate control over physical space and at the same time provide the cities’ inhabitants with new tools of emancipation and communication. The value of Banksy’s images therefore resides in the global effects that the messages produce in the public sphere, by virtue of his ability to mobilize a worldwide network of participants.
Guy Débord, OEuvres, Gallimand, Parigi 2006, p. 325. Dan Brooks, Banksy and the problem with Sarcastic Art, The New York Times, 10 September 2015. 3 http://brandalism.ch/manifesto/ 4 Ibidem. 5 www.brandalism.ch 6 Banksy, Wall and piece, L’Ippocampo, Milano 2011, pp. 194-195. 7 Chris Moukarbel, Banksy Does New York, HBO, New York, November 2014. 8 Paola Monachesi, Marina Turco, New Urban Players: New Urban Players: Stratagematic Use of Media by Banksy and the Hong Kong Umbrella Movement, International Journal of Communication, N. 11, 2017, pp. 1448-1465. 9 Ibidem. 1 2
Alle radici del linguaggio urbano At the roots of urban language
RICORDANDO FRANCESCA ALINOVI E IL MONDO DEI MURI DIPINTI Marzio Dall’Acqua
“Ho dedicato questa mostra a Francesca Alinovi. Francesca è la prima italiana che io abbia incontrato a New York. L’ho conosciuta nel 1979 quando curava una mostra di video itinerante in Italia. Nel 1980 provò a organizzare una mostra per un museo di Firenze con Diego Cortez. Più volte le fu rifiutata la proposta per problemi di budget. Alla fine Diego organizzò una mostra simile a New York, intitolata New York, New Wave. Fu la prima a esporre la nuova scena newyorkese. Incontrai Francesca a New York molte volte e le rilasciai parecchie interviste. Era, credo, l’unica tra i critici che io abbia incontrato ad afferrare ciò che stava accadendo a New York. Andava spesso da sola nel Bronx e faceva amicizia con i graffitisti di lì… Mi manca Francesca, ma soprattutto mi è mancata in Italia, perché so che sarebbe stata con me alla mostra. Così il libro e la mostra sono dedicati alla sua memoria”1. KEITH HARING, Diari, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2019, pp. 109-110.
Quella forma sotterranea di protesta gridata con bombolette spray dai muri, partita dal Bronx newyorkese sta percorrendo ancora il mondo, liquida e proteiforme. Al punto che i critici hanno cercato, al solito, di classificarla, di contenerla dando nomi diversi a queste correnti sinuose e ribelli per, in qualche modo, imbrigliarle, dirottandole nella valutazione delle sole potenzialità artistiche. Per riportarle anche nel mercato d’arte, che aborrivano. L’ufficialità è stata soprattutto sorpresa che dalle strade, dall’anonimato – che fu tipico del primitivo e più arcaico momento romanico –, dai muri grondanti colore sia venuta l’estrema rivoluzione artistica,
spazzando via con un sol colpo il labirintico gioco di specchi delle avanguardie che, a ondate sempre più esauste, venivano succedendosi nel secolo breve. Per di più un anonimato che spesso si celava in gruppi o gruppuscoli nei quali l’individuo si dissolveva, le cosiddette “crew”, equipaggio, squadra o gruppo non stabile, in perenne movimento sia esistenziale che artistico. All’inizio non vi erano più personalità creative che si imponevano, non più lotta tra artisti e galleristi, tra galleristi e collezionisti, tra critici che coltivavano questo ristretto orto di primizie raffinate, ma la rude violenza delle periferie, la ribellione e la rivolta gridata con rabbia, il rifiuto di inserirsi in qualsiasi tradizione, in qualsiasi filone di pensiero, anche se libertario, che possa essere una forma di autorizzazione, abbia seppur lontanamente l’assenso del potere – sentito anche semplicemente come gruppo di élite culturale – perché il desiderio di ciascun writer è di essere proprio sulla strada, proprio sotto gli occhi di tutti, proprio dichiaratamente di parte non piacevolmente aggraziato, divisivo, voce dei senza storia a cui attraverso gli occhi comunica di essere dalla loro parte, il comune sentire. Cadono i tradizionali valori di proprietà e di autorità e si infirma a fondo il concetto di mercato, anche quello apparentemente così elevato, dell’arte. Ma nel contempo queste opere esistono solo nella contemporaneità, nel presente di cui sono talora politicamente un commento, oppure un grido di opposizione, come espressione spontanea di un disagio e di un rifiuto, per cui nascono già con una vita breve, con un’esistenza effimera e labile, non destinata a durare. La prima tra noi che si è accorta di questo nuovo linguaggio è stata Francesca Alinovi (Parma, 28 gennaio 1948 – Bologna, 12 giugno 1983), ricercatrice presso il DAMS di Bologna, uccisa con 47 coltellate da Francesco Ciancabilla, artista a lei legato sentimentalmente secondo le definitive rilevanze processuali2. Una mostra come questa di Banksy dal suggestivo titolo Building Castles in the Sky, così vicina al sentimento e al desiderio di libertà che animava Francesca non può che essere sotto il segno del suo accorato e appassionato ricordo, poiché lei per prima ha portato questa arte delle strade e per le strade
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REMEMBERING FRANCESCA ALINOVI AND THE WORLD OF PAINTED WALLS Marzio Dall’Acqua
“I have dedicated this show to Francesca Alinovi. Francesca was the first person from Italy who I met in New York. I met her in 1979 when she was curating a video exhibition to travel through Italy. In 1980, she tried to organize a show for a museum in Florence with Diego Cortez. Repeatedly, she was turned down for the budget. Diego eventually organized a similar show in New York City called “New York, New Wave,” which was the first official show to showcase the new New York scene. I met Francesca many times in New York and did several interviews with her. She was one of the only critics who I ever met who grasped the whole sense of what was happening in New York. She travelled frequently by herself to the Bronx and made friends with graffiti writers there … I miss Francesca, but I especially missed her in Italy, because I know she would have been with me at my show. So the book and show are dedicated to her memory” 1. KEITH HARING, Diari, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2019, pp. 109-110.
That underground form of protest with cans of spray paint, originating out of the Bronx, is again travelling the world, liquid and protean. Critics have even sought, as usual, to classify it, to contain it, giving different names to these slippery and rebellious currents in order in some way to harness them, diverting them to assessment of their artistic potential alone – to bring them also back into the art market that they abhorred. Officialdom was surprised above all that the streets, anonymity – typical of the primitive and more archaic Romanesque moment –, the walls dripping with colour, gave rise to extreme artistic revolution, sweeping away in a single stroke the labyrinthine play of mirrors of the avant-gardes which, in increasingly spent waves, came in succession during the short century. Moreover, it was an anonymity often concealed in groups or
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splinter groups, in which the individual was dissolved, the so-called “crew,” the team or non-stable group, in a perennial movement that was both existential and artistic. In the beginning, there were no more creative personalities that imposed themselves, no more struggle between artists and gallery owners, between gallery owners and collectors, between the critics who cultivated this restricted garden of refined, early fruit, but the crude violence of the peripheries, rebellion and revolt shouted in anger, the refusal to be pigeonholed into any tradition, into any strain of thought, even if libertarian, that might be a form of authorization, that has even remotely the assent of power – also perceived simply as a group of the cultural elite. This is because what graffiti writer wants is to be right on the street, right in front of the eyes of all, declaredly partial and not particularly gracious, but divisive, the voice of those without history, to whom, through their own eyes, the writer communicates being on their side, and their shared feeling. The traditional values of ownership and authority lapse, and the concept of market – even the apparently lofty one of art – is voided to the core. But at the same time, these works exist only in the contemporary, in the present upon which at times they comment politically, or a cry of opposition, as a spontaneous expression of unease or rejection, by which they come into being already with a short life, with an ephemeral fleeting existence, not destined to last long. The first of us who realized this new language was Francesca Alinovi (Parma, 28 January 1948 – Bologna, 12 June 1983), a researcher at DAMS (arts, music, and the performing arts) in Bologna, who was murdered, stabbed 47 times by Francesco Ciancabilla, an artist romantically involved with her according to the definitive findings at trial2. A show like this one of Banksy, suggestively titled Building Castles in the Sky, so close to the sentiment and desire for freedom that animated Francesca, can only be in pursuit of her heartfelt and impassioned memory, because she was first to lead this art of and for the streets to be accepted, explained to if not then understood by the academy and university rigour. Some presentiments did appear, like that of the writer Norman Mailer (1923-2007) with the photographer Jon
ad essere accettata, spiegata se non capita allora, all’accademia, al rigore universitario. Certo alcune anticipazioni, come sempre, si possono cogliere quali quella dello scrittore Norman Mailer (1923-2007) con il fotografo Jon Naar (1920-2017)3. Ma è indubbio che Francesca Alinovi sia stata “col suo ‘entusiasmo da pioniera dell’arte’ […] protagonista della storia delle avanguardie fine anni Settanta e anni Ottanta; è stata un ponte tra la New York dei graffiti e la New Wave europea, una vera promoter della cultura underground di quegli anni”4. Francesca è uno spartiacque tra il momento più rabbioso e solitario, autistico nella giovanile irruenza, del bombing e quello del desiderio di comunicare, di cercare un contatto con chi guardava e viveva tra i murales5. Francesca è stata esploratrice di quella che lei stessa chiamava “L’arte di frontiera”, avendo chiara coscienza di quel suo essere avanzata al punto che non parlava più di confronto, di dialogo, ma di “contaminazione”, per cui l’arte non ha confini ed usa tutti i mezzi ed i linguaggi possibili, in una perenne fusione di ricerche e sperimentazioni, anticipando la multi etnicità e la multiculturalità che oggi stiamo vivendo. Eppure proprio in Emilia il movimento di rinnovamento dell’arte in chiave popolare aveva avuto un momento significativo che va ricordato. Nella stagione dei “muri del dissenso” – pensiamo alla Sardegna fine Sessanta – invece da ben altre premesse e radici culturali nasceva l’esperienza datata alla prima edizione nell’estate 1967, a Fiumalbo, in provincia di Modena, sulla strada dell’Abetone. È qui che per dieci giorni, dall’8 al 18 agosto, si svolse “Parole sui muri. Prima esposizione universale di manifesti”, organizzata dal sindaco del paese, Mario Molinari, assieme all’artista Claudio Parmiggiani, ai poeti sperimentali Corrado Costa e Adriano Spatola e al fotografo Franco Vaccari. L’iniziativa vede la partecipazione di oltre 100 artisti e poeti dediti alla sperimentazione interdisciplinare e provenienti da dieci nazioni differenti. Costa e Spatola da posizioni dadaiste, “parasurrealiste”, come è il titolo dell’unico romanzo di Adriano, edito da Feltrinelli nel 1964, si erano spostati verso Fluxus ed è sotto questo segno che Fiumalbo si realizza6.
Sintetizza così l’esperienza Eugenio Gazzola: “La rassegna di Fiumalbo, luogo di confine per eccellenza, posto sul valico appenninico tra due regioni e due origini, rappresentò il compimento della parabola che la nuova avanguardia aveva condotta tra le arti ‘di confine’, dove la parola era concretamente trasformata in immagine e oggetto, e il verso sostava come segnatura tra le immagini e sulle immagini”. Si parlava e discuteva quindi di “contaminazioni” tra le arti, tra i linguaggi7. Francesca Alinovi conosceva molto bene le avanguardie storiche e queste premesse, che ritroviamo nel fondamentale scritto, edito nel 1980, dal titolo significativo Dada anti-arte e post-arte che collega proprio le avanguardie storiche ai fermenti creativi del suo tempo. Abbiamo visto come l’esperienza di Fiumalbo sia vicina alla sua sensibilità, al suo modo di pensare e sentire, come rispondesse alla sua curiosità intellettuale, alla sua capacità di mettersi in gioco, di situarsi, anche emotivamente e umanamente, nelle diverse situazioni, quanto fiutasse l’aria del tempo, per cui concetti come “contaminazione”, “arti di confine” o “arte di frontiera”, la fluidità di una comunicazione contemporanea fossero costanti nel suo sentire e si rispecchiassero nel graffitismo, che essa scoprì, spiegò, rispettandolo, ed esaltò8. È in questo clima che si affermano i writers con il loro slang, identificabili per l’inconfondibile modo di vestire, la passione per lo skate e la musica HipHop, che si dedicano al graffitismo con le loro tag (firme), i throw up (sintesi del nome) e i coloratissimi “pezzi” iniziano a segnalare la loro presenza, ad impossessarsi degli spazi carpiti e conquistati clandestinamente, senza autorizzazione, senza distinguere pubblico e privato. Sono grida notturne, talora arrischiate al limite della sopravvivenza, variopinte di solitudine, di affermazione individuale che proclamano il diritto all’esistenza, amplificazione esterna delle fanzine autoprodotte in quegli anni, sono una forma di autismo che nega il dialogo, il confronto, ma nascondono anche appelli nella ricerca di una identificazione tra le tribù giovanili e di complici e sodali, nell’espropriazione di luoghi in una ripetitività ed enfatizzazione che insegue muri, sotterranei, linee
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Naar (1920-2017)3. But there is no doubt that Francesca Alinovi was “with her ‘enthusiasm as an art pioneer,’ […] a leading figure in the history of the avant-gardes of the late 1970s and 1980s; she was the bridge between the New York of graffiti and the European New Wave, a true promoter of the underground culture during those years”4. Francesca marked a divide between the angriest, most solitary and autistic moment in youthful impetuousness, of “bombing,” and the moment of the desire to communicate, to seek a contact with those who looked and lived among the murals5. Francesca was an explorer of what she herself called “Frontier art,” with clear awareness of its being advanced to the point that there was no more talk of confrontation or dialogue, but of “contamination.” Art, then, has no boundaries, and uses all possible means and languages, in a perennial fusion of research and experimentation, anticipating the multiethnicity and multiculturalism we are experiencing today. And yet, precisely in Emilia, the movement of the popular renewal of art had had a significant moment that bears recalling. However, in the season of the “walls of dissent” – consider Sardinia of the late 1960s – , quite different cultural roots and premises gave rise to the experience dating to the first edition in the summer of 1967, in Fiumalbo in the province of Modena, on the Abetone road. Here, for ten days, from 8 to 18 August, the show Parole sui muri. Prima esposizione universale di manifesti (“Words on walls. First universal display of posters”), organized by the town’s mayor Mario Molinari, along with the artist Claudio Parmiggiani, the experimental poets Corrado Costa and Adriano Spatola, and the photographer Franco Vaccari, was held. The initiative included the participation of more than 100 artists and poets devoted to interdisciplinary experimentation, originating from ten different countries. Costa and Spatola, from their Dadaist and “parasurrealist” (as per the title of Adriano’s only novel, published by Feltrinelli in 1964) positions, had shifted toward Fluxus and it was under this banner that Fiumalbo was developed6. Eugenio Gazzola summarized the experience in the
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following manner: “The show in Fiumalbo, a boundary place par excellence located on the Apennine pass between two regions and two origins, marked the completion of the parabola that the new avant-garde had led among the “boundary” arts, where the word was tangibly transformed into image and object, and the verse stood as a marking among images and on images.” There was therefore talk and debate over “contamination” between arts, between languages7. Francesca Alinovi was very well acquainted with the historic avant-gardes and these premises, which we find in the fundamental writing, published in 1980, meaningfully titled Dada anti-arte e postarte, which linked the historic avant-gardes to the creative ferment of her time. We have seen how the Fiumalbo experience approaches her sensitivity, her way of thinking and feeling, as if it responded to her intellectual curiosity, to her ability to put herself into play, to situate herself, even on an emotional and human level, in the various situations, as much as she breathed the air of that time, so concepts like “contamination,” “boundary art,” or “frontier art,” the fluidity of a contemporary communication, were constant in her feeling, and were reflected in graffiti writing, which she discovered, explained and, while respecting it, exalted8. It is in this climate that the graffiti writers asserted themselves with their slang, identifiable for their unmistakeable way of dressing and their passion for skateboarding and hip-hop music, who dedicated themselves to graffiti with their tags and their throw ups (stylized names), and their highly colourful “pieces” began to signal their presence, to take possession of the spaces seized and conquered clandestinely, without authorization, without distinguishing public from private. They are cries in the night – at times risky to the edge of survival, and multicolured – of solitude, of self-assertion, that proclaim the right to exist. They are the external amplification of the fanzines self-produced during those years. They are a form of autism that rejects dialogue and confrontation, but also conceal appeals searching for an identification among the tribes of youths, and for accomplices and allies, in expropriating places in a repetitiveness and emphasis
metropolitane e ferroviarie, mezzi di trasporto, edifici abbandonati e degradati, sognando una New York immaginata più che conosciuta e vissuta, fingendosi personaggi di fumetti mascherati in una lotta senza quartiere, mobili e liberi. Proprio come nei fumetti, nella fiction c’è il desiderio di esprimere nuovi concetti di giustizia, di proprietà e di rapporti con il potere, se occorresse, fino all’utopia. La faccia “più ruvida, sottovalutata e indigesta: il Bombing ovvero la pratica dell’aerosol writing in contesti esclusivamente non consentiti, dunque illegali, e il cui obiettivo unico è quello di scrivere il proprio nome perché lo legga il maggior numero di persone possibile” è quella che si manifesta all’inizio, assumendo quasi i connotati di una guerriglia urbana visiva e creativa. La scritta deve scandalizzare, suscitare emulazione, individuare correi, marcare il territorio ed insieme dettare le nuove regole che solo gli altri bomber possono capire e condividere, come non sovrapporsi, come un rispetto tra combattenti di bande rivali9. Verso la fine degli anni Settanta, la lotta all’interno del sistema di potere e delle opposizioni radicali diventa sempre più aspra, ma un gruppo di giovani vi si oppone, sottraendosi al dover parteggiare. È la strada che viene esaltata come spazio privilegiato ed il modello dei dazebao della Rivoluzione Culturale cinese (1966-68). Nel 1977 fanno la loro comparsa gli Indiani metropolitani che propongono azioni spontanee e illegali, che in qualche modo portano alla trasformazione vandalica di opere d”arte “ufficiali”10. Il caso più celebre fu quello del totem di Arnaldo Pomodoro in piazza Verdi a Bologna rivisitato. Nella stessa Bologna esce, nel medesimo anno, il volume Murales edito da Graphis, sintesi del reportage fotografico di oltre diecimila immagini di Cesare Grossi e Silvia Buscaroli con la collaborazione di artisti come Matta, Angeli, Dorazio e Ceroli11. Ma siamo ancora sotto l’influsso delle avanguardie storiche artistiche e della ricerca di una estetica alternativa, oppositiva “contro” come si diceva. Per l’affermazione
del graffitismo dobbiamo avanzare nel tempo e la presenza ed il ricordo di Francesca Alinovi, ancora una volta, è fondamentale. Francesca Alinovi mostrerà, partendo da New York, le radici originarie e le possibilità di sviluppo soprattutto di quello che si potrebbe chiamare Postgraffitismo, che si sviluppa in Europa ed in Italia alla fine degli anni Ottanta e agli inizi di quelli Novanta. Naturalmente da quegli anni le tecniche si sono venute evolvendo e complicando e sono nati addirittura manuali per insegnarle12. Inoltre ormai, diventata fenomeno globale e di moda, si arriva a pubblicare instant book che documentano gli interventi, a livello mondiale, di street art su tematiche particolari, di attualità se non di moda, come è il caso recente del Coronavirus13. Ormai, sempre in un circuito planetario e globale, essendo la street art ormai diventata, nella sua accezione degna di considerazione estetica e creativa14. Addirittura si propongono vere e proprie guide turistiche e app per scoprire i murales italiani15. Val la pena ricordare che anche a Parma il fenomeno inizia proprio alla fine degli anni Ottanta e ai primi del Novanta, diversificandosi su due strade diverse e, per un certo momento, parallele: quella delle gallerie d’arte e quella della pratica invece per e sulle strade16. Da una parte la Galleria del Centro Steccata di Parma, il 26 marzo 1992, nel segno ben esplicitato di Francesca Alinovi, inaugura un’esposizione intitolata Graffiti art, A-One, Basquiat, Koor, Haring, Rammellzee, Toxic. Era un modo non solo parmigiano, ovviamente, di riportare questa forma d’arte, questo linguaggio, al mercato che intrinsecamente aveva sempre rifiutato. Nello stesso momento “un gruppo di giovani skaters denominati City Rats, aveva da poco iniziato a “taggare” le mura della propria città, gettando le basi per la nascita di quella cultura Street che i writers odierni chiamano Old School, ovvero la vecchia scuola, quella delle origini”. Zedd era Fabio Cavallo, che con il fratello Marco, in arte MRC, Raid, Ava e Zampa costituì “la crew di via Nullo”, maestri del bombing.
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that chases walls, underground environments, subway and rail lines, abandoned buildings, public transportation, and abandoned and decayed buildings, dreaming of a New York more imagined than known and lived, pretending to be masked cartoon characters, free and mobile, in a struggle without quarter. And precisely as in the comics, in fiction there is the desire to express new concepts of justice, of ownership, and of relationships with power – if necessary, even utopia. The face that is “rougher, undervalued, and difficult: Bombing, which is to say the practice of aerosol writing in settings that are not permitted, and therefore illegal, whose only goal is to write one’s name so that it might be read by the greatest possible number of people” is what is manifested at the start, almost taking on the features of a visual and creative urban guerrilla warfare. The writing must scandalize, trigger imitation, identify accomplices, mark territory, and at the same time dictate the new rules that only other bombers can understand and share – like not overlapping, like respect between fighters from rival gangs9. Towards the late 1970s, the struggle within the power system and the radical oppositions became increasingly bitter, but a group of youths opposed it, refraining from having to take sides. This is the road that was exalted as a privileged space, and the model of the Dazibao of the Chinese Cultural Revolution (1966-68). The year 1977 saw the appearance of the Indiani Metropolitani, who proposed spontaneous and illegal actions that in some way led to the vandalistic transformation of “official” artworks10. The most renowned case was that of Arnaldo Pomodoro’s revisited totem in Bologna’s Piazza Verdi. Also in Bologna, that same year also saw the appearance of the volume Murales published by Graphis, a photoreporting summary of more than ten thousand images by Cesare Grossi and Silvia Buscaroli, with the collaboration of artists like Matta, Angeli, Dorazio, and Ceroli11. But we are still under the influence of the
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historic artistic avant-gardes and of the search for an alternative opposing aesthetic, an aesthetic “against” as it was termed. For graffiti writing to be confirmed, we must go forward in time, and the memory of Francesca Alinovi is once again essential. Starting from New York, Francesca Alinovi was to show the original roots and the possibilities for development above all of what might be called Postgraffiti, which evolved in Europe and in Italy in the late 1980s and early 1990s. Of course, since those years, techniques have been evolving and growing more complicated, and manuals to teach them have even come into being12. Moreover, having now become a global and fashion phenomenon, instant books are being published, documenting street art interventions around the world on particular themes, of current events if not fashion, as in the recent case of the Coronavirus13 – again in a planetary and global circuit, since street art has now become accepted as worthy of aesthetic and creative consideration14. Actual tourist guides and apps are offered in order to discover Italian murals15. It bears recalling that in Parma, too, the phenomenon began right at the turn of the 1990s, diversifying on two different and, for a certain moment, parallel roads: that of the art galleries and that of practice for and on the streets16. On the one hand Parma’s Centro Steccata Gallery, on 26 March 1992, following the path set out so well by Francesca Alinovi, inaugurated an exhibition titled Graffiti art, A-One, Basquiat, Koor, Haring, Rammellzee, Toxic. It was of course a way – not only in Parma – to bring this art form, this language, back to the market that had always intrinsically rejected it. At the same time, “a group of young skaters called the City Rats had recently started ‘tagging’ the walls of their own city, laying the groundwork for the birth of that street culture that today’s graffiti writers call Old School, the school of the origins.” Zedd was Fabio Cavallo, who with his brother Marco, alias MRC, Raid, Ava, and Zampa established “la crew di Via Nullo,” masters of bombing.
Keith Haring scrisse questo ricordo di Francesca Alinovi nei suoi Diari nell’anno 1984, allorché fu in Italia per la mostra personale organizzatagli a Milano alla Galleria Salvatore Ale con LA2, e la presenza alla Biennale di Venezia. La citazione è presa dal volume pubblicato da Mondadori nella collana “Oscar Saggi”, mentre la stessa opera era stata pubblicata nel 2001 nella collana “Piccola Biblioteca Oscar”. 1 R. Canditi, Il mistero di via del Riccio: il caso Alinovi, Aniballi Edizioni, Bologna 1984; A. Melchionda, Francesca Alinovi 47 coltellate, Pendragon, Bologna 2007; Francesca Alinovi, a cura di V. Santi e M. Bergamini, Postmedia Books, Milano 2019. 2 “The fait of graffiti”, words by Norma Mailer, photographs by Jon Naar, New York, Praeger, 1974, con fotografie scattate dal dicembre 1972 al gennaio 1973, opera ristampata più volte con traduzione anche francese, Parigi, Wasted Talent, Galerie du jour Agnes B., 2009 contemporaneamente ad una riedizione americana: Harpercollins, New York 2009. 3 A. Colaninno, G.R. Manzoni, Francesca Alinovi, in suo ricordo, Edizioni Di Felice Teramo 2017, pp. 56-57. 5 D. Dogheri, Street Art, in “Arte e Dossier”, inserto redazionale allegato al n. 315 del novembre 2014, Giunti Firenze, con relativa bibliografia. 6 Corrado Costa tra poesura e pittria, catalogo di mostra (Sale espositive Antico Foro Boario Ex Caserma Zucchi, Reggio Emilia, 9 aprile – 7 maggio 1995), a cura di R. Barilli, Mazzotta, Milano 1995; Corrado Costa. Le apparizioni dell’uomo invisibile, catalogo di mostra (San Ludovico, Parma 19 giugno – 13 luglio 2009), a cura di E. Gazzola, Mazzotta, Milano 2009; E. Gazzola, “Al miglior mugnaio” Adriano Spatola e i poeti del Mulino di Bazzano, Diabasis, Reggio Emilia 2008. 7 E. Gazzola, Il piatto orizzonte dell’avanguardia. L’Emilia delle lettere, in La repubblica dei poeti. Gli anni del mulino di Bazzano, a cura di D. Rossi, collaborazione di E. Minarelli con un DVD di R. Dagli Alberi e A. Scillitani, Camparotto Rifili, Pasian di Prato 2010, pp. 26-32, la citazione a p. 29. Per completare la bibliografia si cita: E. Gazzola, Parole sui muri. L’estate delle avanguardie a Fiumalbo, Diabasis, Reggio Emilia 2003; A. Acocella, Avanguardia diffusa. Luoghi di sperimentazione artistica in Italia 1967-1970, Quodlibet, Macerata 2016; Parole sui muri, a cura di C. Parmiggiani, A. Spatola, Geiger, Torino 1968, consultabile sul sito www.archiviomauriziospatola.com (16/02/2019), con una introduzione di M. Spatola. Si ricorda inoltre la mostra tenuta dai Musei Civici di Modena con il titolo Io sono una poesia. Parole sui muri e le arti negli anni Sessanta tra Modena e Reggio Emilia, tenuta dal 16 dicembre 2018 fino al 5 maggio 2019 che ha offerto uno spaccato del vivace clima artistico e culturale che caratterizzò le due città tra il 1962 e il 1972. Il catalogo della mostra è stato pubblicato da Sagep, Genova e Musei Civici di Modena, Modena, 2018. 8 F. Alinovi, Dada anti-arte e post-arte, G. D’Anna, Firenze 1980. La bibliografia più completa di Francesca Alinovi, oltre una ricca antologia di suoi scritti in Francesca Alinovi, a cura di M. Bergamini e V. Santi, Postmedia, Milano 2019, diviso in due parti: Arte mia e Arte di frontiera. 9 C. Piazza, Buio dentro. L’età leggendaria del writing underground a Milano (1987-1998), Shake edizioni, Milano 2013, citazione dall’introduzione. 1
Per la storia del movimento si veda il recente studio di A. Iacarella, Indiani metropolitani. Politica, cultura e rivoluzione nel ’77, Redstarpress, Roma 2018, che inquadra gli Indiani nel complesso del movimento del Settantasette e contiene una bibliografia aggiornata, cui senz’altro si rimanda. Si veda tuttavia, e in particolar modo, Lingue e Linguaggi. Gli Indiani metropolitani. Storie, documenti, testi e immagini, DeriveApprodi, n. 15, 1997. Per l’analisi delle strategie linguistiche e artistiche, nonché dei comportamenti adottati dagli Indiani in relazione alle avanguardie storiche si rimanda alla dettagliata analisi di Maurizio Calvesi in Avanguardia di massa (1978), volume riedito, nella sola parte relativa agli Indiani, da Postmedia (Milano 2018) e a C. Salaris, Il movimento del Settantasette. Linguaggi e scritture dell’ala creativa, AAA, Bertiolo 1997. I saggi di Umberto Eco relativi al Settantasette sono contenuti in Sette anni di desiderio (1976), Bompiani, Milano 2012. Per ulteriori approfondimenti sulle riviste degli Indiani si rimanda a R. Perna, Pablo Echaurren. Il movimento del ’77 e gli indiani metropolitani, Postmedia, Milano 2016. Si rimanda infine al volume di T. D’Amico e P. Echaurren, Il piombo e le rose. Utopia e creatività nel Movimento 1977, Postcart, Roma 2017. 11 M. Gianquitto, Graffitismo & Street Art, Bellavite editore, Missaglia (Lc) 2019, che delinea anche la storia, le caratteristiche e le prospettive. 12 A titolo esemplificativo si cita: B. Posters, The Street Art Manual, Lawrence King Publishing, London 2000. 13 X. Tapies, La street art ai tempi del coronavirus, L’ippocampo, Milano 2020. L’edizione originale in inglese edita a Londra da Graffito Books Ldt, sempre nel 2020. 14 A. Mattanza, Street Art. 20 grandi artisti si raccontano, introduzione di C. Versteeg, Edizioni White Star, Milano 2017. Per le problematiche sociali e culturali collegate, a titolo esemplificativo, si possono citare: per il contrasto ordine/disordine e degrado A. Dal Lago, S. Giordano, Graffiti Arte e ordine pubblico, Il Mulino, Bologna 2016; A. Cegna, Elogio alle tag. Arte, writing, decoro e spazio pubblico, Agenzia X, Milano 2018; per il tentativo di salvare il murales dal tempo: Tuttomondo di Keith Haring. La nascita della street art a Pisa. 1989-2020, a cura di R. Pasqualetti, G.G.M. Grassi, Edizioni ETS, Pisa 2020 e per il diritto d’autore: F. Naldi, Tracce di Blu, Sartoria editoriale, Postmedia, Milano 2020. 15 V. Arnaldi, Sulle tracce della street art. Viaggio alla scoperta dei più bei murales italiani, Lit Edizioni, Roma 2017. Val la pena ricordare che diverse città hanno redatto piante turistiche in questo senso, come Firenze e Roma, sia in veste tipografica che informatica, organizzato circuiti, veri e propri tour persino dedicati ad approcci particolari, come quelli romani in bicicletta. 16 Un’ottima sintesi storica: Al. Andrei, Lo sviluppo del Writing a Parma, in “Bollettino del Museo Bodoniano di Parma”, n. 12, 2006, pp. 317-327, la citazione successiva in questo testo p. 318. 10
88
Keith Haring wrote this recollection of Francesca Alinovi in his “Diaries” in 1984, when he was in Italy for the one-man show organized for him in Milan at Galleria Salvatore Ale with LA2, and his presence at the Venice Biennale. The Italian quotation is from the volume published by Mondadori in the “Oscar Saggi” series, while the same work was published in 2001 in the “Piccola Biblioteca Oscar” series. 2 R. Canditi, Il mistero di via del Riccio: il caso Alinovi, Bologna, Aniballi Edizioni, 1984; Achille Melchionda, Francesca Alinovi 47 coltellate, Pendragon, Bologna 2007; Francesca Alinovi, ed. V. Santi and M. Bergamini, Postmedia Books, Milano 2019. 3 The Faith of Graffiti, words by Norman Mailer, photographs by Jon Naar, New York, Praeger, 1974, with photographs taken from December 1972 to January 1973; the work was reprinted several times with translations into French as well, Paris, Wasted Talent, Galerie du jour Agnes B., 2009 at the same time as an American republication: HarperCollins, New York 2009. 4 A. Colaninno and G.R. Manzoni, Francesca Alinovi, in suo ricordo, Edizioni Di Felice, Teramo 2017, pp. 56-57. 1
D. Dogheri, Street Art, in “Arte e Dossier,” an editorial insert to no. 315 of November 2014, Giunti Firenze, with bibliography. 6 Corrado Costa tra poesura e pittria, ed. R. Barilli, Mazzotta, Milano, 1995, exhibition catalogue, Sale espositive Antico Foro Boario Ex Caserma Zucchi, Reggio Emilia, 9 April – 7 May 1995; Corrado Costa. Le apparizioni dell’uomo invisibile, ed. E. Gazzola, Mazzotta, Milano, 2009, exhibition catalogue in San Ludovico, Parma 19 June – 13 July 2009; E. Gazzola, Al miglior mugnaio Adriano Spatola e i poeti del Mulino di Bazzano, Diabasis, Reggio Emilia 2008. 7 E. Gazzola, Il piatto orizzonte dell’avanguardia. L’Emilia delle lettere, in La repubblica dei poeti. Gli anni del mulino di Bazzano, ed. D. Rossi, with collaboration from E. Minarelli and a DVD by R. Dagli Alberi and A. Scillitani, Camparotto Rifili, Pasian di Prato 2010, pp. 26-32; the quotation is on p. 29. To complete the bibliography, we cite: E. Gazzola, Parole sui muri. L’estate delle avanguardie a Fiumalbo, Diabasis, Reggio Emilia 2003; A. Acocella, Avanguardia diffusa. Luoghi di sperimentazione artistica in Italia 1967-1970, Quodlibet, Macerata 2016; Parole sui muri, ed. C. Parmiggiani, A. Spatola, Geiger, Torino 1968, which may be consulted at www.archiviomauriziospatola.com 16 February 2019), with an introduction by M. Spatola. Also noteworthy is the exhibition held by Musei Civici di Modena titled Io sono una poesia. Parole sui muri e le arti negli anni Sessanta tra Modena e Reggio Emilia, held from 16 December 2018 through 05 May 2019, which offered a glimpse of the lively artistic and cultural climate that characterized the two cities between 1962 and 1972. The exhibition catalogue was published by Sagep, Genova e Musei Civici di Modena, Modena 2018. 8 F. Alinovi, Dada anti-arte e post-arte, G. D’Anna, Firenze 1980. The most complete bibliography of Francesca Alinovi, in addition to the rich anthology of her writings in Francesca Alinovi, ed. M. Bergamini and V. Santi, Postmedia, Milano, 2019, divided into two parts: Arte mia and Arte di frontiera. 9 C. Piazza, Buio dentro. L’età leggendaria del writing underground a Milano (1987- 1998), Shake edizioni, Milano 2013, quoted from the introduction. 5
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For the movement’s history, see the recent study by A. Iacarella, Indiani metropolitani. Politica, cultura e rivoluzione nel ’77, Redstarpress, Roma 2018, which sets the Indiani within the framework of the 1977 movement, and contains an updated bibliography, to which reference is surely to be made. However, see in particular Lingue e Linguaggi. Gli Indiani metropolitani. Storie, documenti, testi e immagini, DeriveApprodi, no. 15, 1997. For analysis of the linguistic and artistic strategies, as well as of the behaviours adopted by the Indiani in relation to the historic avantgardes, see the detailed analysis by M. Calvesi in Avanguardia di massa (1978), republished volume, only in the part relating to the Indiani, by Postmedia (Milano 2018) and C. Salaris, Il movimento del Settantasette. Linguaggi e scritture dell’ala creativa, AAA, Bertiolo 1997. Umberto Eco’s essays on the 1977 movement are contained in Sette anni di desiderio (1976), Bompiani, Milano 2012. For additional analysis on the Indiani group’s magazines, see R. Perna, Pablo Echaurren. Il movimento del ’77 e gli indiani metropolitani, Postmedia, Milano 2016. Lastly, see the volume by T. D’Amico and P. Echaurren, Il piombo e le rose. Utopia e creatività nel Movimento 1977, Postcart, Roma 2017.
10
M. Gianquitto, Graffitismo & Street Art, Bellavite editore, Missaglia (Lc) 2019, also outlining the history, characteristics, and perspectives. 12 By way of example, we may cite: B. Posters, The Street Art Manual, Lawrence King Publishing, London 2000. 13 X. Tapies, La street art ai tempi del coronavirus, L’ippocampo, Milano 2020, the original English edition published in London by Graffito Books Ltd, also in 2020. 14 A. Mattanza, Street Art. 20 grandi artisti si raccontano, introduction by Chris Versteeg, Edizioni White Star, Milano 2017. For the connected social and cultural problems, by way of example we may cite: for the order/disorder and order/disorder and decay contrast, A. Dal Lago, S. Giordano, Graffiti Arte e ordine pubblico, Il Mulino, Bologna 2016; A. Cegna, Elogio alle tag. Arte, writing, decoro e spazio pubblico, Agenzia X, Milano 2018; for the attempt to save the murals from time: Tuttomondo di Keith Haring. La nascita della street art a Pisa. 1989-2020, ed. R. Pasqualetti, G.G.M. Grassi, Edizioni ETS, Pisa 2020; and for copyright: Fabiola Naldi, Tracce di Blu, Sartoria editoriale, Postmedia, Milano 2020. 15 V. Arnaldi, Sulle tracce della street art. Viaggio alla scoperta dei più bei murales italiani, Lit Edizioni, Roma 2017. It bears recalling that several cities, like Florence and Rome, have drawn up tourist maps in this sense, both in type and in computer format, and have organized circuits, and even genuine tours dedicated to particular approaches, like Roman ones by bike. 16 An excellent historical summary: A. Andrei, Lo sviluppo del Writing a Parma, in “Bollettino del Museo Bodoniano di Parma,” n. 12, 2006, pp. 317-327, the following quotation in this text, p. 318. 11
Ti me li
02
1998
Existencilism è anche il titolo di uno dei tre ormai rari black
1998
2003
Walls on Fire
books pubblicati dall’artista.
Walls on Fire
British Museum
Banksy, together with Inkie, a leading street artist in Bristol
Banksy reproduces a cave drawing on a stone fragment.
della Bristol anni ‘80, organizza Walls on Fire, la prima
2003
in the 1980s, organizes Walls on Fire, Britain’s first street
The work depicts the silhouette of a man, barely visible,
manifestazione di street art britannica. In un lungo weekend
British Museum
art event. Over a long weekend, artists from the United
while he runs behind a shopping cart. The work is signed
artisti, dal Regno Unito e da tutta Europa, disegnano su una
Banksy riproduce un disegno rupestre su un frammento di
Kingdom and all over Europe draw on a 365 metrelong
by Banksymus Maximus.
palizzata lunga 365 metri intorno a Harbourside, quartiere di
pietra. Nell’opera si vede la silhouette di un uomo, appena
fence around Harbourside, a neighbourhood in Bristol.
Bristol.
accennato nel tratto, mentre corre dietro a un carrello della
Banksy, insieme a Inkie, leader degli artisti di strada
spesa. Il lavoro è firmato Banksymus Maximus.
Turf War 1999
Banksy inaugurates the exhibition Turf War in a warehouse,
Mild Mild West
causing controversy due to the presence of live pigs and a
Turf War
Banksy paints one of his most well-known works on the wall
heifer painted red and covered in stencil drawings of Andy
Banksy dipinge sul muro del negozio di dischi Subway
Banksy inaugura la mostra Turf War in un magazzino,
of the store Subway Records: Mild Mild West. The piece is a
Warhol’s face. This gesture caught the attention of animal
Records uno dei suoi lavori più noti: Mild Mild West. L’opera fa
suscitando clamore per la presenza di maiali vivi e di una
reference to the St. Pauls riot, and depicts a bear throwing a
rights’ activists, who reacted by chaining themselves to the
riferimento alle “risse di St. Paul” e mostra un orso che lancia
giovenca verniciata di rosso, ricoperta da stencil con il
Molotov cocktail at police officers. A group of street artists
entrance. Just prior to the opening, Banksy left a message
una molotov contro alcuni poliziotti. Un gruppo di street
volto di Andy Warhol. Questo gesto richiama l’attenzione
called Appropriate Media threw red paint on the work in
alerting the presence of forty bottles of lousy red wine and
artist chiamato Appropriate Media lancia della vernice rossa
degli attivisti per i diritti degli animali, che reagiscono
protest, which was later cleaned by local residents. Today,
suggesting visitors not come to the exhibition without bringing
sul pezzo, in segno di protesta, poi ripulito dagli abitanti del
incatenandosi all’ingresso. Poco prima dell’apertura al
it’s one of Bristol’s most distinctive features.
one of their own.
quartiere. Oggi è un punto distintivo della città di Bristol.
pubblico, Banksy lascia un messaggio avvisando della
1999 Mild Mild West
presenza di quaranta bottiglie di vino rosso scadente e
2000
2004
2000
suggerendo al visitatore di non andare alla mostra senza
London
Ronald McDonald
Londra
portarne una propria.
Banksy moves to London and his rats begin showing up
Banksy goes to Piccadilly Circus and, dressed as Ronald
in the northern part of the city, where mostly the working
McDonald, attaches an enormous balloon with the fast food
Banksy si trasferisce a Londra e iniziano a comparire i suoi rat nelle zone nord della periferia urbana, quelle abitate dalla
2004
classes live. Banksy himself explained his choice of
company’s logo to a child mannequin, causing it to take flight.
classe lavoratrice. Banksy stesso ha spiegato la scelta dei
Ronald McDonald
subject: “They’re small, hated, persecuted and despised;
The happening, titled “McDonald’s is stealing our children,”
topi: “Sono piccoli, odiati, perseguitati e disprezzati, vivono
Banksy va a Piccadilly Circus e, travestito da Ronald
they live underneath the city, in sewers and landfills. Yet
lasted over nine hours and ended only when the large balloon
nel substrato delle città, nelle fogne e nelle discariche.
McDonald, attacca un manichino di bambino a un enorme
they’re able to bring entire civilizations to their knees, to
began to deflate; when the mannequin fell to the ground it was
Eppure sono capaci di mettere in ginocchio intere civiltà, di
palloncino con il logo della multinazionale, facendogli poi
colonize areas and dictate laws”.
run over by a bus.
colonizzare aree e dettare legge”.
prendere il volo. L’happening, intitolato “McDonald’s sta rubando i nostri figli”, dura ben nove ore e termina solo
First exhibition in Bristol
Banksy of England banknotes
Prima mostra a Bristol
quando il grosso pallone inizia a sgonfiarsi, finendo con tutto
Though he had already left Bristol, in late 1999, Banksy
Banksy produces a series of £10 banknotes, replacing the
Alla fine del 1999 Banksy aveva già lasciato Bristol, ma
il manichino sotto un bus.
returns a few months later for his first exhibition at the
face of Queen Elizabeth with Princess Diana and modifying
restaurant Severnshed, which had previously been a
the words “Bank of England” to “Banksy of England”. Some
vi torna pochi mesi dopo per la sua prima mostra al ristorante Severnshed, che in precedenza era una sorta di
Banconote Banksy of England
sort of floating hut. The artworks were all sold during the
report seeing wads of these banknotes in the crowd at
baracca galleggiante. I lavori vengono tutti venduti durante
Banksy produce una serie di banconote da dieci sterline,
inauguration. The curator, Robert Birse, said, “It was the first
the Notting Hill Carnival, even attempting to spend them
l’inaugurazione. Il curatore Robert Birse disse: “Era la prima
sostituendo il volto della Regina Elisabetta con quello della
time Banksy worked on a canvas; he had no notion of how
in various stores as if they were authentic. Banksy also
volta che Banksy lavorava su tela, non possedeva alcuna
principessa Diana e modificando il testo “Bank of England” in
to handle the support or how to prepare the drawings”.
uses them as invitations for the exhibition Santa’s Ghetto,
nozione su come trattare il supporto e su come preparare i
“Banksy of England”. Qualcuno racconta di aver visto durante
disegni”.
il carnevale di Notting Hill mazzette di quelle banconote tra
2002
an entire page of 50 uncut notes is on sale for £100 to
la folla, che tentava di spenderle nei negozi come fossero
Existencilism
commemorate Diana’s death. The banknotes appear in
2002
soldi autentici. Banksy le utilizza anche come inviti per la
On July 19, 2002, Banksy opens his first exhibition in
October 2007 at the Bonhams auction house, where one is
Existencilism
mostra Santa’s Ghetto, promuovendo l’associazione Pictures
Los Angeles, at 33 1/3 Books & Gallery. The exhibition
on sale for £24,000, and at the Reading Festival, thrown into
Il 19 luglio del 2002 Banksy apre la sua prima mostra a Los
on Walls, in cui mette in vendita per cento sterline un foglio
is called Existencilism, combining the words “stencil”
the middle of the crowd.
Angeles presso la 33 1/3 Books & Gallery. La mostra ha come
intero di cinquanta banconote non ritagliate in occasione
and “existence”. The show’s subtitle is, “graffiti, lies and
titolo Existencilism, termine che fonde la parola stencil con
della commemorazione della morte di Diana. Le banconote
deviousness”. Existencilism is where the artist presented
Museum invasions
la parola esistenza. Il sottotitolo della mostra è: “graffiti, lies
fanno la loro comparsa nell’ottobre del 2007 alla casa d’aste
some of his most popular images, like Love is in the Air,
Banksy goes into some of the most famous museums in
and deviousness”. Existencilism è la mostra in cui l’autore
Bonhams, che ne mette in vendita un esemplare al prezzo di
Queen Vic and Laugh Now. Existencilism is also the title
the world. The Louvre is the first museum hit: the video
presenta su supporto tradizionale alcune sue immagini
24.000 sterline e al Reading Festival, lanciate in mezzo alla
of one of the three now-rare black books published by the
cameras capture him attaching a portrait of the Mona
popolari come Love is in the air, Queen Vic e Laugh Now.
folla oltre le transenne.
artist.
Lisa plastered with a smiley face. In March, he goes to the
92
promoting the association Pictures on Walls, during which
93
Incursioni nei musei Banksy entra nelle più grandi istituzioni museali del mondo. Il Louvre è il primo museo colpito: le telecamere lo riprendono mentre attacca un ritratto della Gioconda con uno smile sul volto. A marzo è presente al MoMA, al Metropolitan Museum, al Brooklyn Museum e all’American Museum of Natural History di New York. In seguito, si reca alla Tate Gallery e a maggio al British Museum di Londra. Banksy entra travestito da pensionato e con il viso nascosto da un cappello; del tutto indisturbato affigge al muro i quadri che aveva portato con sé in una busta. Le telecamere a circuito chiuso lo riprendono mentre si guarda intorno e attacca le sue opere in mezzo a grandi capolavori. Al Brooklyn Museum affigge un condottiero settecentesco con in mano una bomboletta spray, alle cui spalle campeggiano graffiti pacifisti; al MoMA una warholiana lattina di Campbell Soup trasformata in una zuppa della Tesco; al Metropolitan un ritratto di gentildonna con una maschera antigas e all’American Museum of Natural History un vero scarafaggio con dei missili sotto le ali. 2005 Santa’s Ghetto La questione palestinese sta molto a cuore a Banksy, il quale crea Santa’s Ghetto, una manifestazione che ha come sede Betlemme e dove quattordici artisti provenienti da tutto il mondo, scelti dallo stesso Banksy, si recano a disegnare sul muro di separazione israeliana. Banksy ha dichiarato: “Il Governo israeliano sta costruendo un muro che circonda i territori palestinesi occupati. Si erge in altezza tre volte in più del Muro di Berlino e si estende per oltre 700 Km, la distanza tra Londra e Zurigo. Il Muro è illegale per il diritto internazionale e racchiude la Palestina nella più grande prigione all’aperto del mondo. É anche diventata la destinazione estiva dei graffitisti”. Zoo di Londra Banksy si infiltra nello zoo di Londra saltando dentro la gabbia dei pinguini per affiggere un cartello che recita: “We’re bored of fish” (Siamo stanchi del pesce). Non risparmia neanche il recinto degli elefanti su cui scrive: “I want out. This place is too cold. Keeper smells. Boring. Boring. Boring” (Voglio uscire. Questo posto è troppo freddo. Il guardiano puzza. Sono annoiato, annoiato, annoiato). 2006 Cabina telefonica Banksy sorprende gli abitanti del quartiere Soho di Londra, posizionando una cabina telefonica inglese, rovesciata a
terra e sanguinante, assassinata da un piccone. Anche se il Westminster Council ha subito provveduto a rimuoverla, la British Telecom dirama un comunicato stampa descrivendo così questa trovata: “Un formidabile commento visivo della trasformazione della British Telecom, da una compagnia di telecomunicazioni antiquata a un moderno fornitore di servizi di comunicazione”. Disneyland Banksy vola ad Anaheim in California, nel regno di Disneyland. Pagato il suo ingresso, senza essere visto si introduce nel recinto del Big Thunder Mountain, le montagne russe, sistemando accanto a un cactus, facendo in modo che fosse visibile dal trenino, una bambola gonfiabile vestita da prigioniero di Guantanamo (tuta arancione, testa coperta da un sacco nero e manette). C’è voluta un’ora e mezza prima che i visitatori del parco giochi e la sorveglianza si accorgessero dell’intrusione. Barely Legal Si tratta di una delle esposizioni che ha fatto più discutere, consacrando Banksy nel mondo: un’enorme elefantessa indiana, di trentasette anni, di nome Tai accoglie gli ospiti, dipinta con una fantasia damascata rossa e oro, riprendendo la tappezzeria della sala in cui è collocata. All’ingresso viene dato ai visitatori un cartellino con scritto: “C’è un elefante nella stanza. C’è un problema di cui non abbiamo mai discusso. Il fatto è che la vita non è più giusta. Un miliardo e settecento persone non hanno accesso all’acqua potabile. Venti miliardi di persone vivono sotto il livello di povertà. Ogni giorno centinaia di persone sono indotte a sentirsi male a causa di alcuni cretini matricolati che dicono loro quanto ingiusto sia il mondo, ma non fanno niente per cambiare le cose. Qualcuno vuole un bicchiere di vino?”. Banksy vuole cosi attirare l’attenzione sul problema della povertà globale. La mostra in soli tre giorni ha accolto settantacinquemila persone. Paris Hilton Paris Hilton chiede a Banksy di ritrarla come una vera ereditiera, ma Banksy le oppone un secco rifiuto. Cogliendo l’occasione dell’uscita del suo primo disco dal titolo “Paris”, ne acquista cinquecento copie in quarantadue negozi di musica di tutto il Regno Unito, modificandone la copertina e il libretto all’interno, sostituendolo con una parodia dello stesso. Un video mostra Banksy che entra travestito nei megastore della Virgin e compra una copia del cd. Tornato nel suo studio,
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MoMA, Metropolitan Museum, Brooklyn Museum and American Museum of Natural History in New York. Later, he shows up at the Tate Gallery, and in May, the British Museum in London. Banksy goes in dressed as a retiree with his face covered by a hat; undeterred, he attaches paintings to the walls that he brought with him in a bag. The CCTV cameras capture him as he looks around and hangs his paintings between major masterpieces. At the Brooklyn Museum, he affixes an 18th-century general with a can of spray paint in his hand, while behind the figure are pacifist graffiti marks; at the MoMA, he unveils a Warhol style can of Tesco soup; at the Met, he installs a portrait of a noblewoman with a gas mask, and at the American Museum of Natural History, a real cockroach with missiles under its wings. 2005 Santa’s Ghetto The Arab-Israeli conflict is very important to Banksy, who’s inspired to create Santa’s Ghetto, an event based in Bethlehem that includes 14 international artists chosen by Banksy to draw on the Israeli West Bank barrier. Banksy declared, “The Israeli government is building a wall that surrounds the occupied Palestinian territory. It’s three times higher than the Berlin Wall and extends for over 700 km, the distance between London and Zurich. The wall is illegal according to international law and encloses Palestine in the largest open-air prison in the world. It’s even become a summer destination for graffiti artists”. London Zoo Banksy infiltrates the London Zoo by jumping inside the penguin cage to hang a sign that reads, “We’re bored of fish”. He doesn’t skip the elephants either, declaring “I want out. This place is too cold. Keeper smells. Boring. Boring. Boring”. 2006 Telephone box Banksy surprises London’s Soho residents by leaving behind a British telephone box, tipped over and bleeding, murdered by a pickaxe. Even though the Westminster Council tried to remove it immediately, British Telecom circulates a press release describing the work as “a formidable visual commentary on the transformation of British Telecom from an antiquated telecommunications company to a modern supplier of communication services”.
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Disneyland Banksy flies to Anaheim, California, where Disneyland is located. Having paid his entrance ticket, without being seen, he sneaks into the rollercoaster Big Thunder Mountain, installing a blow-up doll dressed as a Guantanamo Bay prisoner (completely orange, its head covered by a black bag, and handcuffed) next to a cactus and ensuring that it can be seen from the train car. It took an hour and a half for visitors and security to realize it was there. Barely Legal One of the most widely-discussed exhibitions, consecrating Banksy’s position in the art world: Tai, an enormous, 37-year-old Indian elephant, welcomes guests, painted a pink and gold floral pattern to match the wallpaper of the room she’s in. At the entrance, visitors are given a leafet with the writing, “There’s an elephant in the room. There’s a problem that we’ve never talked about. The fact is that life is no longer fair. 1.7 billion people have no access to clean drinking water. 20 billion people live below the poverty line. Every day hundreds of people are made to feel physically sick by morons at art shows telling them how bad the world is but never actually doing something about it. Anybody want a free glass of wine?”. Banksy wants to shine a light on the issue of global poverty. In only three days, the exhibition had 75,000 visitors. Paris Hilton Paris Hilton asks Banksy to paint her as a true heiress, but the artist bluntly refuses. With the release of her first album, Paris, Banksy seizes the opportunity and buys 500 copies in 42 music stores across the United Kingdom, modifying the cover and inner sleeve by replacing them with a parody version. A video shows Banksy entering a Virgin Megastore disguised and buying a copy of the CD. Back in his studio, he scans the cover and inner sleeve, replacing the words with letters cut from newspapers, creating phrases like, “Why am I famous?”, “What am I for?”, and “90% of success is showing up”. Lastly, he replaces Paris Hilton’s face with her Chihuahua’s head. 2007 Sotheby’s Sotheby’s is the first auction house to sell seven works by Banksy. Ralph Taylor, specializing in contemporary art, declares, “Banksy is the fastest growing artist ever seen”.
scannerizza la cover e il contenuto interno, modificando le parole con un copia e incolla di lettere ritagliate dai giornali, scrivendo frasi come: “Perché sono famosa?” o “A cosa servo?” o “Il 90% del successo è nell’apparire”. Infine, sostituisce il volto di Paris Hilton con quello del suo chihuahua. 2007 Sotheby’s Sotheby’s è la prima casa d’aste a mettere in vendita sette lavori di Banksy. Ralph Taylor, specializzato nel settore dell’arte contemporanea, dichiara: “Banksy è l’artista di più immediata crescita mai visto di tutti i tempi”. 2008 Kate Moss A Londra il pezzo – ispirato da quello di Andy Warhol con i quattro volti di Marilyn Monroe – raffigurante la modella inglese Kate Moss è battuto a 210.550 dollari. La prima esecuzione del viso di Kate Moss risale al 2006, venduta da Sotheby’s per 50.400 sterline: in due anni il prezzo si è quadruplicato. The Cans Festival Per un intero week-end Londra vede arrivare i maggiori street artist del mondo per il Cans Festival. La location è stata tenuta segreta fino al venerdì stesso, quando viene reso noto che si sarebbe svolto nel tunnel di Leake Street, un sottopassaggio. I ventinove artisti che Banksy invita a partecipare potevano disegnare ciò che volevano nel rispetto degli altri e senza cancellare i pezzi altrui. The Village Pet Store and Charcoal Grill La mostra, organizzata in un negozio di animali a New York, espone degli “animatronics”. In vetrina, una gallina guarda i suoi pulcini tramutati in crocchette di pollo – simili ai Chicken McNuggets del McDonald – becchettare in una vaschetta di salsa barbecue e un coniglio si trucca davanti a uno specchio in miniatura. Ancora, bastoncini di pesce nuotano nell’acquario, hot dog si nascondono tra le rocce come serpenti, un leopardo appollaiato su un albero di cui rimane solo la pelliccia e il famoso uccellino dei cartoni animati, Titti, ormai anziano e grinzoso, dondola nella sua gabbietta. 2009 Banksy vs Bristol Museum É la prima mostra in un museo, ospitata nella sua città. Il direttore del museo racconta di aver accettato la proposta
dell’artista di organizzare un’esposizione dei suoi lavori. Per l’intera durata dell’allestimento Kate Brindley, responsabile dei musei e delle gallerie del consiglio cittadino, non ha mai incontrato l’artista tanto da pensare che fosse tutto un enorme imbroglio. Banksy esegue in loco settanta lavori, portandone altri trenta per un totale di cento opere tra sculture, installazioni, quadri e tele. L’artista dichiara: “Per la prima volta i soldi delle tasse degli inglesi vengono utilizzati per appendere le mie opere alle pareti anziché distruggerle”. Il Museo ha inserito nella collezione permanente due pezzi esposti. Banksy vs Robbo In un sottopassaggio lungo il Regent’s Canal, Banksy disegna un imbianchino intento ad incollare della carta da parati bianca che copre una grande scritta di Robbo che era lì dal 1985 e che nessuno fino ad allora aveva osato toccare. Inizia la guerra a colpi di spray. 2010 Pier Pressure Nei pressi del porto di Brighton i cittadini trovano una giostra per bambini differente dalle solite: un delfino impigliato in una rete è intento a saltare un bidone da cui fuoriesce del greggio. Rappresenta un’aspra polemica nei confronti della compagnia petrolifera British Petroil, ritenuta responsabile del disastro ecologico nel Golfo del Messico. Exit Through The Gift Shop Nel corso dell’edizione del Sundance Film Festival, del 2010, a sorpresa compare il film di Banksy Exit Through The Gift Shop. Gli ospiti arrivati per la proiezione della prima sono accolti da signorine che offrono, al posto dei classici popcorn, bombolette spray invitandoli a disegnare qualcosa sul fianco di un camioncino parcheggiato accanto al tappeto rosso. Uno dei protagonisti del film è Thierry Guetta, conosciuto come Mr. Brainwash; chi si aspetta di vedere il volto di Banksy rimane deluso. Il meccanismo è sempre lo stesso: parlare di sé attraverso gli altri, senza mai mostrarsi. Il docufilm è stato candidato agli Oscar. 2013 Better Out Than In (Banksy Does New York) Better Out Than In (Meglio fuori che dentro). Il 1° ottobre 2013 Banksy annuncia la sua residenza artistica indipendente di un mese a New York. L’artista presenta un’opera al giorno, annunciandola attraverso il suo sito
2008 Kate Moss In London, his piece depicting the English model Kate Moss – inspired by Andy Warhol’s four faces of Marilyn Monroe – is sold for 210,550 dollars. The first version of Kate Moss’s face dates to 2006, sold by Sotheby’s for 50,400 pounds: in two years, the price quadrupled. The Cans Festival For an entire weekend, London welcomes the top street artists in the world for the Cans Festival. The location was a secret until the start of the event, when it was revealed that it would be in the underpass in Leake Street. The 29 artists that Banksy invited to participate could design whatever they wanted, so long as they respect the other artists and don’t erase other works. The Village Pet Store and Charcoal Grill The exhibition, organized in an animal store in New York, displays “animatronics”. In the window, a hen watches her chicks-turned-chicken nuggets, a reference to Chicken McNuggets from McDonald’s, pecking at a bowl of BBQ sauce, and a rabbit puts on make-up in front of a mini mirror. Fish sticks are also seen swimming in the aquarium, hot dogs hide between rocks like snakes, the hollowed-out fur of a leopard is perched atop a tree and the famous bird Tweety, now old and wrinkly, dangles in his cage. 2009 Banksy Vs Bristol Museum The artist’s first exhibition in a museum, held in his home city. The museum’s director says that he accepted the artist’s proposal to organize an exhibition of his artworks. For the entire duration of the show, Kate Brindley, Head of Museums, Galleries and Archives for Bristol City Council, never met the artist, and even thought that the whole thing was a hoax. Banksy made 70 pieces on site and brought in an additional 30, for a total of 100 artworks, including sculptures, installations, paintings and canvases. The artist declared, “For the first time, the English taxpayers’ money is used to hang up my works instead of destroy them”. The museum added two of the pieces on display to its permanent collection at the end of the show. Banksy Vs Robbo In a tunnel along Regent’s Canal, Banksy depicts a painter pasting white wallpaper over Robbo’s large tag, there since 1985 and which no one dared to ever touch. The spray paint war begins.
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2010 Pier Pressure Near the port in Brighton, locals find a different kind of children’s ride: a dolphin snagged in a net is trying to jump over a tipped can with oil spilling out of it. The work represents the bitter controversy surrounding the oil company British Petroil, which was held responsible for the environmental disaster in the Gulf of Mexico. Exit Through The Gift Shop During the 2010 Sundance Film Festival, Banksy’s film Exit Through The Gift Shop makes a surprise appearance. As they arrive for the showing, guests are welcomed by young ladies offering spray cans instead of classic bags of popcorn, inviting them to tag something on the side of a truck parked next to the red carpet. One of the film’s protagonists is Thierry Guetta, known as Mr. Brainwash. Those hoping to see Banksy’s face are disappointed. The mechanism is always the same: talk about yourself through others, without ever showing yourself. The documentary was nominated for an Oscar. 2013 Better Out Than In On October 1, 2013, Banksy announces he will undertake a month-long residency in New York. The artist unveils a different artwork every day, announcing them on his website and Instagram. Banksy fever immediately takes over New York, to the point that the mayor condemns the stunt. The title Better Out Than In comes from a quote by Paul Cézanne: “All pictures painted inside, in the studio, will never be as good as those done outside”. None of the works made during this time survive. The project was narrated in the documentary Banksy Does New York. 2015 Dismaland From August 21 to September 27, Banksy opens Dismaland, a temporary project organized by the artist in the seaside town of Weston-Super-Mare, in Somerset (England). Prepared in secret, the project is a collective exhibition curated by Banksy and featuring his works. The event takes place at the Tropicana, a disused lido, where the artist has reconstructed a sinister and wearied version of Disneyland. Banksy describes it as “a family theme park unsuitable for children”. When Dismaland is dismantled, Banksy uses the materials to build an unauthorized village for refugees in Calais. For the project, Banksy unveils ten new pieces and invites 60 artists, 58 of which participate.
web e il suo account Instagram. A New York è subito “Banksy fever” al punto che interviene il sindaco a condannare l’iniziativa. Il titolo Better Out Than In riprende una frase di Paul Cézanne: “Nessuna immagine dipinta all’interno dello studio sarà mai come quelle dipinte fuori, all’aperto”. Nessuna delle opere presentate, infatti, sopravvive. Il lavoro è stato raccontato dal documentario Banksy Does New York. 2015 Dismaland Dal 21 agosto al 27 settembre 2015 Banksy apre Dismaland, un progetto artistico temporaneo organizzato dall’artista nella località balneare di Weston-Super-Mare nel Somerset (Inghilterra). Preparato in segreto, il progetto consiste in una mostra collettiva dove Banksy è sia curatore sia artista. L’evento ha luogo presso il Tropicana, un lido in disuso in cui l’autore ricostruisce una versione sinistra e annoiata di Disneyland. Banksy lo descrive come “un parco a tema familiare non adatto ai bambini”. Quando Dismaland viene smontata, Banksy usa i materiali di risulta per costruire un villaggio, non autorizzato, per rifugiati a Calais. Per Dismaland, Banksy presenta dieci nuovi lavori e invita sessanta artisti, di cui ne partecipano solo cinquantotto. 2017 Walled Off Hotel L’11 marzo 2017 Banksy annuncia l’inaugurazione del Walled Off Hotel a Betlemme in Palestina. Il nome significa letteralmente “hotel murato fuori” e fa il verso alla celebre catena di hotel di lusso Waldorf. Si tratta di una piccola pensione di Gaza davanti alla quale è stato innalzato il muro di separazione tra Israele e i territori palestinesi, dando così all’hotel “la peggiore vista del mondo”, slogan con cui l’artista pubblicizza la sua iniziativa. L’hotel contiene opere di Banksy e altri artisti, stanze a tema e uno shop in cui comprare materiale per fare street art.
2018-2020 La Girl with Balloon “fatta a pezzi” L’ultima opera dell’asta presso Sotheby’s a Londra del 5 ottobre 2018 è una celebre Girl with Balloon che raggiunge la cifra di 1,04 milioni di sterline. Nel momento in cui il battitore segna l’ultimo colpo di martello per assegnare la vendita, il suono di un bip risuona nella sala e un meccanismo tritadocumenti, nascosto nella poderosa cornice dell’opera, si mette in moto riducendo l’opera a striscioline. La scena, ripresa da varie telecamere che seguono l’asta e dal pubblico sbalordito, fa il giro del mondo e il gesto aggiunge un nuovo argomento al dibattito sul rapporto tra arte e mercato. Il commento dell’attualità e la rappresentazione del reale sono una vera cifra costitutiva per Banksy, che affronta sia i temi trattati che quelli esclusi dalle agende politiche. Ne sono testimonianza il lavoro recentissimo dedicato all’uccisione di George Floyd e l’omaggio a medici e infermieri in prima linea contro il Coronavirus, Game Changer, in cui un bimbo lascia nel cesto dei giocattoli Batman e Spider-Man, preferendogli un nuovo supereroe: l’infermiera della Croce Rossa col braccio alzato come un novello Superman. La M.V. Louise Michel Per rispondere alla crisi migratoria nel Mediterraneo, Banksy vara una nave: la Louise Michel. Dedicata all’emblematica scrittrice anarchica attiva nella Comune di Parigi, è un’ex imbarcazione della Marina francese personalizzata per effettuare operazioni di ricerca e salvataggio. È stata acquistata con il ricavato della vendita delle opere d’arte di Banksy, che l’ha poi decorata con un estintore.
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2017 Walled Off Hotel On March 11, 2017, Banksy announces the inauguration of the Walled Off Hotel in Bethlehem, Palestine. The name mocks the famous luxury hotel chain Waldorf. The project consists of a small hotel in Bethlehem across from the Israeli West Bank barrier, offering guests “the worst view in the world”, the artist’s slogan for the initiative. The hotel contains works by Banksy and other artists, themed rooms and a shop where guests can buy materials to make street art. 2018-2020 The shredded Girl with Balloon The last work to be sold at auction at Sotheby’s in London, on October 5, 2018 is the famous Girl with Balloon which goes for 1.04 million pounds. The moment the auction hammer strikes the final blow to close the bidding, a beeping sound resounds in the auction hall and a shredding mechanism hidden in the mighty artwork frame starts to move, reducing the work to strips. The scene, filmed by various cameras documenting the auction and witnessed by a stunned public, goes viral and the gesture adds a new topic to the debate surrounding the relationship between art and the market. The commentary on current affairs and the representation of reality are a typical element for Banksy, who deals both with the topics included in and those excluded from the political agendas: this is testified by the recent work dedicated to the killing of George Floyd and the homage to doctors and nurses on the front line against Coronavirus, Game Changer, showing a child discarding the figures of Batman and Spider-Man in a bin in favour of a new superhero toy: a Red Cross nurse with her arm raised like a new Superman.
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The M.V. Louise Michel To respond to the migratory crisis in the Mediterranean, Banksy launched a ship: The Louise Michel, dedicated to the emblematic anarchist writer active in the Paris Commune, is a former French Navy boat customised to perform search and rescue. It was bought with proceeds from the sale of Banksy artwork – who then decorated her with a fire extinguisher.
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Grannies 2006 Serigrafia su carta / silkscreen print 56x76 cm
Jack & Jill (Police Kids) 2005 Serigrafia su carta / silkscreen print 50x70 cm Banksy affronta spesso i temi legati all’infanzia. Nel suo libro Wall and Piece scrive: “Molti genitori sarebbero disposti a fare qualsiasi cosa per i loro figli, tranne lasciarli essere sé stessi”. È necessario partire da questo pensiero per comprendere il significato di un’immagine in cui due bambini saltano gioiosi in quella che sembrerebbe normalissima acqua. L’aspetto di un’infanzia spensierata è contraddetto dai giubbotti antiproiettile con la scritta “Police” indossati dai due ragazzini. Jack & Jill ha lo scopo di far lavorare la percezione sul paradosso che mette in tensione la presunta innocenza dell’infanzia, le preoccupazioni dei genitori e la tendenza ad una società “militarista” che eccede nella protezione familiare. Il giubbotto antiproiettile è usato spesso da Banksy: in una sua versione della colomba della pace dipinta in Palestina nel
Grannie in inglese significa “nonnina” ed è la crasi di “grand mother” con cui gli inglesi chiamano affettuosamente le loro nonne. Grannies appare per la prima volta nel corso della mostra Barely Legal a Los Angeles nel 2006 sotto forma di stencil su tela. Non è mai stata realizzata nello spazio pubblico ed è una delle immagini che fa maggiormente uso del tipico humor britannico. Impostata su sfondo rosa, mostra due nonne dall’aspetto amichevole che lavorano a maglia nelle loro poltrone. Il “cortocircuito” sono le scritte sui maglioni che stanno realizzando, frasi sovversive che rappresentano slogan militanti, di solito presenti nelle strade vandalizzate o come tatuaggi. Una delle nonne lavora a maglia un pullover con lo slogan “Punk’s not dead” (il Punk non è morto). Il pullover dell’altra nonna contiene le parole “Thug For Life” (delinquente a vita). Entrambe le nonne hanno un’espressione di soddisfazione, come se fossero compiaciute di partecipare ad una cultura sovversiva o, come l’ha definita Banksy, di “entry-level anarchy”.
2007, Armored Dove of Peace, il volatile indossa un giubbotto antiproiettile così come alcuni protagonisti della serie Family Target. Banksy often tackles themes tied to childhood. In his book Wall and Piece, he wrote, “A lot of parents will do anything for their kids, except let them be themselves.” This quote is necessary for understanding the meaning of this image that depicts two children jumping happily in what seems like normal water. The aspect of carefree childhood is contrasted with the kids’ bulletproof vests bearing the word “Police”. Jack & Jill focuses on the paradox that creates tension between the presumed innocence of childhood, the worries of parents and a “militaristic” society that impacts family protection. Banksy often uses bulletproof vests: in one of his versions of the dove of peace painted in Palestine in 2007, Armored Dove of Peace, the bird is wearing a bulletproof vest like the figures in the series Family Target.
Grannies appeared for the first time during the 2006 exhibition Barely Legal in Los Angeles, as a stencil on canvas. It was never made as an outdoor work and is one of the images that best uses typical British humour.
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Set against a pink background, the piece shows two friendly grannies, or grandmothers, knitting in their chairs. But look closely at the words on the shirts they’re making: they’ve knitted subversive phrases that represent protest slogans which usually show up in vandalized streets and as tattoos. One of the grannies is making a sweater with the phrase “Punk’s not dead”, while the other says “Thug for life”. Both women have an expression of satisfaction on their faces, as if they’re happy to participate in a subversive culture, or as Banksy called it, “entry-level anarchy”.
Grenade 1999 Spray su pannello / spray paint on panel 18x15 cm
Bomb Middle England 2002 Serigrafia su carta / silkscreen print 30x100 cm La traduzione letterale del titolo è: “bombardare l’Inghilterra centrale”. L’immagine descrive uno stereotipo con le anziane signore che giocano a bocce in campagna. Tuttavia, nella versione di Banksy le bocce sono state sostituite da palle di cannone con le micce accese. È il periodo dell’impegno britannico nella guerra contro l’Iraq: un’azione che, secondo Banksy, non interessa alcune classi sociali. L’obiettivo è una critica alla classe media britannica – da qui “middle” del titolo – nel suo sentirsi immune alla guerra, considerandola poco più di un gioco, evidenziando la pericolosità dei valori superficiali della classe media. Un ulteriore significato interpreta il titolo come un gioco di parole: “to bomb”, verbo in uso tra i writers per indicare la scrittura a spray “bombing”. Bomb Middle England è stata stampata come serigrafia nel 2004 ed è documentata come stencil monocromo su alcuni muri di Bristol. È stata oggetto di una controversia con la disegnatrice canadese Cinders McLeod, autrice della vignetta “Anarchic Granny” in cui una vecchietta si appresta a lanciare una palla di cannone con la miccia accesa nel gesto tipico del gioco delle bocce. Banksy ha scritto in Wall and Piece: “I cattivi artisti imitano, i grandi artisti rubano” appropriandosi, per l’appunto, di una frase attribuita a Picasso.
Weston Super Mare
Bomb Middle England is a title that doesn’t seem to give much away. The image depicts a British stereotype: a group of old ladies playing bowls on the green in the English countryside. However, in Banksy’s version the bowls have been replaced by cannon balls with lit fuses as a clear reference to war in a period of British military engagement in Iraq alongside US troops. The public debate around the British intervention has been lit but, according to Banksy, it does not seem to concern certain social classes. The artist seems to be criticising the British middle class for their seeming immunity to the atrocities of war, these horrors to little more than a game on a green. Other interpretations suggest that the old ladies represent the perilous nature of the superficial values and attitudes typically held by a middle class that populates central England. A further level of meaning can be read between the lines in interpreting the title as a play on words: “to bomb” is in fact also the verb used by graffiti artists to describe the act of spray painting on city walls, also known as “bombing”. The artwork was printed as a serigraph edition in 2004 and in the same period the image was also reproduced in the form of a monochrome stencil on city walls in Bristol. The work became a subject of significant controversy with Canadian illustrator Cinders McLeod, the creator of a cartoon entitled “Anarchic Granny” in which an elderly lady prepares to throw a lit fuse cannonball in a typical game of bowls, when viewed side by side the two works share a great deal stylistically speaking. Here it seems fitting to recall a phrase historically attributed to Picasso “The bad artists imitate, the great artists steal” that Banksy chose to include in the pages of his book Wall and Piece.
2003 Serigrafia su carta / silkscreen print 30x100 cm L’immagine, tra le prime e più oscure produzioni di Banksy, raffigura una persona anziana seduta su una panchina, con le mani incrociate sulle ginocchia e il bastone. Il soggetto sembra godersi la solitudine, ignaro della gigantesca sega circolare che sta per investirlo. In basso è possibile leggere Weston Super Mare. L’immagine appare per la prima volta nel 2000, dipinta come stencil su tela, in occasione di una mostra presso il ristorante Severnshed di Bristol. La composizione suggerisce che l’anziano, nell’atto di godersi il relax, è in realtà esposto ad un’unica prospettiva: la morte. Un’opera considerata criptica per molto tempo finché Banksy, nel 2015, realizza Dismaland, la sua gigantesca installazione artistica, proprio a Weston-Super-Mare, un’amena località balneare per famiglie nel sud dell’Inghilterra. È probabile che Weston-Super-Mare sia la località balneare dove l’artista trascorse parte della sua infanzia e che l’immagine restituisca l’idea poco divertente rimasta nella sua memoria ancestrale. Alcuni sostengono che una delle possibili interpretazioni sia il riferimento al memento mori, un invito a godere di ogni momento davanti alla morte sempre pronta a colpire. The image, one of Banksy’s earliest and murkiest, depicts an elderly person seated on a bench with their hands crossed over their knees and walking cane. The subject seems to be enjoying the solitude, unaware of the gigantic circular saw coming at them. Below, you can see the words Weston Super Mare. The image appeared for the first time
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in 2000, painted as a stencil on canvas, at the exhibition at the restaurant Severnshed in Bristol. The composition suggests that while relaxing, the subject is actually exposed to a single prospect: death. The work was long- considered cryptic until Banksy opened Dismaland in 2015, his enormous installation in Weston-Super-Mare, a pleasant seaside town for families in southern England. It’s likely that Weston-Super-Mare is where the artist spent part of his childhood, and the image embodies the unpleasant memory that he’s had of it all these years. Some believe that one of the possible interpretations is that it’s a reference to memento mori, an invitation to enjoy every moment as death can strike at any time.
Napalm (Can’t beat that feeling) 2004 Serigrafia su carta / silkscreen print 56x76 cm Questo lavoro è la post-produzione di una famosa fotografia della guerra in Vietnam, scattata l’8 giugno 1972 dal fotografo Nick Ùt, vincitore in seguito del premio Pulitzer. La fotografia originale colloca al centro dell’inquadratura la fuga dalla città di Tr ang ˀ Bàng della giovane Phan Thi Kim Phuc (9 anni all’epoca), ustionata dal napalm dopo un bombardamento dell’esercito americano. Phuc è ancora viva ed è stata al centro di un libro intitolato The Girl in the Picture, pubblicato nel 1996 da Denise Chong. Can’t beat that feeling (non puoi battere questa sensazione), l’altro titolo con cui è nota l’immagine, fa invece riferimento ad uno slogan che la Coca Cola utilizzò per una campagna di comunicazione negli anni ’90. Banksy investiga la relazione tra percezione e realtà, facendo perno sul paradosso e sulla contraddizione: nella sua versione la ragazza è vicina a due icone della cultura americana, Topolino e Ronald McDonald. Considerata tra le immagini più inquietanti di Banksy, con essa l’artista mostra come l’America percepisca sé stessa e come venga percepita dalle altre culture. L’unica versione su tela dell’opera è di proprietà di Damien Hirst.
This piece is an altered version of a famous photograph from the Vietnam War, taken on June 8, 1972 by the photographer Nick Ùt, who went on to win the Pulitzer Prize. The original photograph shows 9-year-old Phan Thi Kim Phuc escaping the city of Trang ˀ Bàng as she suffers burns caused by napalm bombs dropped by American forces. Phuc is still alive and is the main protagonist of the book The Girl in the Picture, published in 1996 by Denise Chong. Can’t Beat That Feeling, the other name of the work, is a reference to the slogan Coca Cola used for an advertising campaign in the 1990s. Banksy examines the relationship between perception and reality, focusing on paradox and contradiction: in his version, the girl is standing between two icons of American culture, Mickey Mouse and Ronald McDonald. Considered one of Banksy’s most unsettling images, the artist demonstrates how the United States perceives itself and how it’s perceived by other cultures. The only canvas version of the work is owned by Damien Hirst.
Napalm. Serpentine edition 2006 Serigrafia su carta / silkscreen print 29,7x41,6 cm Questa versione di Napalm viene realizzata da Banksy nel 2006 in occasione della mostra presso la Serpentine Gallery, in cui Damien Hirst espose la sua personale collezione d’arte che comprende diversi Banksy, chiamata Murderme Collection (Collezione Uccidimi), la mostra ha come titolo In The Darkest Hour There May Be Light. Per l’occasione, in questa versione l’artista aggiunge macchie di sangue. This Napalm version was created by Banksy in 2006 on the occasion of Damien Hirst exhibition at Serpentine Gallery, in which Hirst exhibited his personal art collection which includes several Banksy, called Murderme Collection, the exhibition was entitled In The Darkest Hour There May Be Light. In this version, Banksy adds blood stains.
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Festival (Destroy Capitalism) 2006 Serigrafia su carta / silkscreen print 56x76 cm Festival, meglio nota come Destroy Capitalism, è tra le immagini più oscure dell’artista britannico. Nell’opera alcuni individui formano una coda presso uno stand di merchandising, un fatto tipico nei festival musicali all’aperto come Glastonbury. In festival del genere l’artista, durante gli anni di Bristol, ha più volte prodotto e venduto merchandising contraffatto. Durante la collaborazione con i Blur per la copertina dell’album Think Tank, Banksy ha rivelato di aver venduto ai loro concerti t-shirt contraffatte della band. L’artista ha più volte fatto riferimento al proprio lavoro come ad un’attività il cui proposito è “to market the revolution”, ovvero, commercializzare la rivoluzione e i suoi ideali. L’immagine che appare per la prima volta nel 2006 come poster nella mostra Barely Legal a Los Angeles, rappresenta un commento sulla capacità del capitalismo di cooptare tutti quelli che cercano di portarlo in rovina e si riferisce al fatto che le sue edizioni, vendute per poche sterline
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presso Pictures On Walls, vedevano il loro valore aumentare sul libero mercato. L’ironia della sorte si materializzò quando nel 2013 Walmart iniziò a vendere sul proprio sito copie illegittime della stampa. Una volta che Banksy ne fu informato, intentò un’azione legale nei confronti del colosso americano che fu poi costretto a ritirare il prodotto. Festival, better known as Destroy Capitalism, is one of the artist’s murkiest images. In the piece, a group of figures form a line at a merchandise stand, a typical scene at open-air music festivals like Glastonbury. During his years in Bristol, the artist repeatedly made and sold counterfeit merchandise at these kinds of festivals. During his collaboration with Blur for the cover of their album Think Tank, Banksy revealed that he had sold counterfeit t-shirts at their concerts. More than once, the artist has referred to his own work as an activity whose purpose is “to market the revolution”. The image, which appeared for the first time in 2006 as a poster in the exhibition Barely Legal in Los Angeles, is a commentary on capitalism’s ability to coopt all those who try to ruin it, and references the fact that versions of it, sold for just a few
pounds at Pictures On Walls, increased in value on the free market. In perfect irony, in 2013, Walmart began selling illegal copies of the print on its website. Once Banksy was informed, he filed charges against the American corporation, which was forced to pull the item.
Lying to the Police is Never Wrong 2007 Spray e mixed media su tavola / spray paint and mixed media on board 35x41 cm L’opera è uno stencil testuale su rivestimento di finti mattoni in fibra di vetro. C’è scritto: “mentire alla polizia non è sbagliato”. Si tratta di un lavoro del 2007, quando l’artista è ancora immerso nella pratica vandalica del writing, il cui ambito di pertinenza è sempre la morale (il writing tratta il tema del fare cose sbagliate per dire cose giuste). Con Lying to the Police is Never Wrong Banksy ci fornisce un pacchetto concettuale e morale preconfezionato di cui lui stesso si fa garante. Usa la forma dello slogan (claim) con il quale ci dice cosa è giusto e cosa è sbagliato. Il rapporto tra Banksy e l’auctoritas è mediato dalla sua pratica. Nelle nostre democrazie occidentali avanzate, dipingere sui muri della città è considerato un atto criminale. La Bristol degli anni ’90 è una città in fermento, graffiti, mostre, feste, sidro, marijuana e i nuovi ritmi trip-hop dei futuri Massive Attack. Tuttavia, quell’atmosfera da avanguardia sfacciata finisce per subire un duro colpo. Nel 1989 un’intensa attività repressiva della polizia britannica, passata alla storia come Operazione Anderson, conduce all’arresto di
settantadue writers per atti vandalici, tra cui Inkie, leggenda del writing britannico e partner in crime degli esordi di Banksy. Il writer viene arrestato e gli comminano una multa da 250.000 sterline per i danni perpetrati, la storia dell’arresto e del processo a Inkie è raccontata dal documentario della BBC Drawing the Line. L’operazione fa ripiombare la scena di Bristol nel puro underground, ed è ormai chiaro come il graffitismo sia diventata un’attività con gravi conseguenze legali. C’era poco da scherzare all’epoca, se scrivevi sui muri finivi in galera e dovevi pagare multe da capogiro, e se l’idea era di continuare su quella strada, sarebbe stato meglio diventare un fantasma. È questo che ha in mente Bansky quando ci dice che mentire alla polizia, non è mai sbagliato.
commessi da persone che infrangono le regole. Sono le persone che seguono gli ordini, che sganciano bombe e massacrano villaggi. Come precauzione per non commettere mai più importanti atti malvagi, è nostro dovere solenne di non fare quello che ci hanno detto, questo è l’unico modo in cui possiamo essere sicuri”.
The relationship between Banksy and auctoritas is mediated by his practice. In our advanced Western democracies, writing on the city’s walls is considered a crime. Bristol of the 1990s was a city in turmoil: graffiti, exhibitions, parties, hard cider, marijuana, and the new trip-hop rhythms of the future Massive Attack. However, that brazen avant-garde atmosphere ended up suffering a hard blow. In 1989, intense repression by the British police, an action that went down in history as Operation Anderson, led to the arrest of 72 graffiti writers for vandalism. These included Inkie, a legend of British graffiti writing and a partner in crime at Banksy’s very beginning. The graffiti writer was arrested and fined £ 250,000 for the damage he caused; the history of Inkie’s arrest and trial is recounted by the BBC documentary Drawing the Line. The operation caused the Bristol scene to sink back into the pure underground, and made it clear that graffiti writing had become an activity with severe legal consequences. There was little to joke about at the time; if you wrote on walls you ended up in jail and had to pay dizzying fines. And if the idea was to continue down that road, one had better become a ghost. This is what Bansky had in mind when he told us that lying to the police is never wrong.
Bunny in Armoured Car 2002 Spray su tela / spray paint on canvas 60x60 cm L’artista realizza questo dipinto nel 2002 per rappresentare un mezzo corazzato britannico (Humber Mk IV 37mm) con orecchie da coniglio giallorosa e papillon azzurro. Nel lavoro di Banksy ci sono diversi dipinti che rappresentano mezzi da guerra ridicolizzati con fiocchi rosa, grandi cuori, orecchie da coniglio e altre exaptations mutanti che costituiscono il repertorio di queste macchine surreali alla Terry Gilliam, create per intrattenere, amare, divertire e di certo non uccidere. Siamo nel 2002 e Banksy si è da poco trasferito a Londra. L’anno precedente ha realizzato la sua prima mostra ufficiale al pub Severnshed, un’uscita che in qualche modo è stata il suo “addio” a Bristol, anche se vi ritornerà accolto come una superstar nel 2009, ma questo lui ancora non lo sa. Si tratta di uno stencil a quattro livelli (uno per colore) su tela, realizzato con molta probabilità nello studio londinese di Hoxton. È uno dei
The work is a text stencil on a fake-brick fibreglass wall, with the wording: Lying to the police is never wrong. The work dates to 2007, when the artist was still immersed in the vandalistic practice of graffiti writing, whose sphere of pertinence is always morality (graffiti writing deals with the issue of doing the wrong things in order to say the right things). With Lying to the Police is Never Wrong, Banksy provides us with a ready-made conceptual and moral package that he himself vouches for. He uses the form of the slogan (“claim”) with which he tells us what is right and what is wrong.
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suoi primi dipinti, tra quelli che mostrano uno stile più sbrigativo e punk, quelli in cui conta il contenuto non la forma, il perché non il come. Nel 2002 l’artista non è ancora conosciuto dal grande pubblico ma nella scena londinese è già leggenda. Lavora duramente per farsi un nome nella capitale britannica; i suoi stencil iniziano ad apparire nell’intero quartiere di Hoxton, poi allo Shoreditch e pian piano in tutta la città. Nel frattempo, mentre Damien Hirst gli ha dato in uso il suo ex studio a Hoxton, lavora come illustratore per alcune etichetta discografiche, tra cui la Wall of Sound. L’immagine del blindato con le orecchie da coniglio è stata la copertina del disco del 2002 Yellow Submarine del rapper britannico Roots Manuva. Il tema di Bunny in Armoured Car è la guerra. Nel 2002 i telegiornali parlano di Stati Uniti e Gran Bretagna che minacciano di invadere l’Iraq anche senza il mandato dell’Onu. Ciò che vediamo rappresentato è l’opinione, il commento, l’editoriale autonomo dell’artista su questo tema. Nel suo libro Wall and Piece sostiene che “I più grandi crimini nel mondo non sono
The artist did this painting in 2002 to depict a British armoured vehicle (Humber Mk IV 37mm) with bunny ears and a blue bowtie. Banksy’s work includes several paintings depicting military equipment rendered ridiculous with pink bows, large hearts, bunny ears, and other mutant “exaptations” constituting the repertoire of these surreal machines in the manner of Terry Gilliam: created to entertain, love, amuse, and certainly not to kill. It was 2002, and Banksy had recently relocated to London. The previous year he had held his first official exhibition at the Severnshed pub. In a certain way, this effort marked his “farewell” to Bristol, although he was to return as a superstar in 2009 – but he did not know this yet. It is a stencil in four levels (one per colour) on canvas, done most likely in the Hoxton studio in London. One of his first paintings, it is among those that show a more hurried and punk style, those in which it is content and not form, the why and not the how, that counts. In 2002, the artist, although still unknown to the general public, was already legendary on the London scene. He worked hard to make a name for himself in the British capital; his stencils began to appear throughout the Hoxton neighbourhood, then Shoreditch, and gradually all over the city. In the meantime, while Damien Hirst lent him his former studio in Hoxton, he worked as an illustrator for some record labels, including Wall of Sound. The image of the armoured vehicle with bunny ears was the cover of the 2002 disco Yellow Submarine by British rapper Roots Manuva. The theme of Bunny in Armoured Car is war. In 2002, the television news reported on the United States and Great Britain threatening to invade Iraq even without the UN’s mandate. What we see depicted here is the artist’s opinion, comment, and independent editorial on this issue. In his book Wall and Piece, he maintained that “The greatest crimes in the world are not committed by people breaking the rules. It’s people who follow orders that drop bombs and massacre villages. As a precaution to ever committing major acts of evil it is our solemn duty never to do what we’re told, this is the only way we can be sure”.
Happy Choppers 2003 Serigrafia su carta / silkscreen print 70x50 cm Happy Choppers appare per la prima volta nel 2002 come opera di street art nel centro di Londra, a ridosso del Whitecross Street Market. Da allora Banksy ha rivisitato il motivo dell’elicottero molte volte, facendone una componente iconica del suo repertorio. Tra il 2002 e il 2003 ha riprodotto l’immagine in un certo numero di forme e tecniche: dalle serigrafie in edizione limitata, ai dipinti, agli stencil su tela o integrati nei dipinti in stile. L’opera in serigrafia viene esposta per la prima volta nella mostra Santa’s Ghetto, collettiva natalizia che Banksy organizza insieme ad altri artisti nei primi anni 2000. Il lavoro raffigura uno squadrone di elicotteri d’assalto con un fiocco rosa che ne adorna il rotore. Il termine “chopper” proviene dall’espressione gergale con cui gli americani definiscono gli elicotteri d’assalto utilizzati durante la guerra di Corea. L’immagine propone, in forma di paradosso estetico, il tema dell’antimilitarismo caro all’artista. Banksy, nel libro Wall and Piece, scrive: “I più grandi crimini del mondo non sono commessi da persone che infrangono le regole, ma da persone che seguono le regole. Sono le persone che seguono gli ordini che sganciano le bombe e massacrano i villaggi”.
Happy Choppers appeared for the first time in 2002 as a work of street art in the centre of London, close to Whitecross Street Market. Since then, Banksy has revisited the helicopter motif many times, transforming it into an iconic feature of his repertoire. In 2002-2003, he reproduced the image in a variety of forms and techniques, from limited-edition silkscreen prints to paintings and stencils on canvas or integrated into his paintings. The silkscreen print was displayed for the first time in the exhibition Santa’s Ghetto, a Christmas collective show that Banksy organized together with other artists in the early 2000s. The work depicts a squadron of attack helicopters with a pink bow on the rotor. The term “chopper” comes from the American slang word for attack helicopters during the Korean War. The image suggests, as a visual paradox, the theme of antimilitarism, important to the artist. Banksy, in his book Wall and Piece, wrote, “The greatest crimes in the world are not committed by people breaking the rules but by people following the rules. It’s people who follow orders that drop bombs and massacre villages.”
the Iraq War and attests to how London, in that period, was enveloped by the long-term protest led by peace activist Brian Haw. The image can be seen from two perspectives: the first underlines the uselessness of the freedom of speech; it’s not a coincidence that millions of people, military members included, came together to protest the invasion of Iraq. The second suggests the paradoxical use of the military, employed to spread “peace and democracy”. In his book, Wall and Piece, Banksy wrote, “I like to think that I have the guts to make my voice heard, though anonymously, in a western democracy and to demand things that no one else believes in, like peace, justice and freedom...”
CND Soldiers
Sale Ends Today
2005 Serigrafia su carta / silkscreen print 70x50 cm
2007 Serigrafia su carta / silkscreen print 56x76 cm
CND Soldiers è uno stencil che Banksy ha realizzato nei pressi del Parlamento britannico nel 2003, rapidamente rimosso dalle autorità. Considerata la sua più iconica dichiarazione artistica contro la guerra, rappresenta la risposta al coinvolgimento della Gran Bretagna nella battaglia in Iraq e testimonia come Londra, in quel periodo, fosse investita da una seria protesta guidata dall’attivista per la pace Brian Haw. L’immagine può essere vista da due prospettive critiche: la prima sottolinea l’inutilità della libertà di parola, non a caso milioni di persone, inclusi i militari, si unirono alla protesta contro l’invasione dell’Iraq; la seconda suggerisce l’uso paradossale dei militari, adoperati per diffondere “pace e democrazia”. Nel suo libro Wall and Piece Banksy scrive: “Mi piace pensare di avere il fegato di far sentire la mia voce in forma anonima in una democrazia occidentale ed esigere cose in cui nessun altro crede come la pace, la giustizia e la libertà...”.
Sale Ends Today è una delle immagini meno conosciute di Banksy dove il suo sarcasmo è più evidente. La composizione mostra figure stilizzate in bianco e nero, campionate da scene bibliche dei dipinti del XVI e XVII secolo, con un gruppo di donne che si dispera davanti alla passione del Salvatore. Nella versione di Banksy il Salvatore biblico non è una persona, ma un banale cartello rosso il cui scopo è annunciare la fine dei saldi, ovvero, della vendita di merci a prezzi scontati. È questa, secondo Banksy, una vera e propria fonte di disperazione. L’immagine si riferisce alle ricadute sui comportamenti collettivi dell’egemonia di una cultura consumistica prodotta dal capitalismo, invitandoci a riflettere sulla relazione tra fede, religione e denaro, sottolineando come la produzione di senso, per secoli fornita dalla religione, è ora fornita dal denaro. L’immagine non è mai stata oggetto di esposizione pubblica non commissionata, ma è apparsa per la prima volta in pubblico sotto forma di serigrafia. Una versione di grandi dimensioni su tela è stata battuta all’asta presso Sotheby’s, a Londra, nel 2008.
CND Soldiers is a stencil that Banksy created near the Palace of Westminster in 2003, which was quickly removed by the authorities. Considered his most iconic declaration against war, it represents Great Britain’s response to getting involved in
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Sale Ends Today is one of Banksy’s least known images and where his sarcasm is most evident. The composition shows a group of women, taken from biblical scenes painted in the 16th and 17th centuries, stencilled black and white as they grieve before the Passion of Christ, but here, Christ is replaced by a banal red poster announcing the end of sales. According to Banksy, this is a true source of desperation. The image is a reference to the repercussions on collective behaviours due to the dominance of a consumer culture produced by capitalism, inviting us to reflect on the relationship between faith, religion and money, and underlining how the creation of meaning, for centuries provided by religion, is today defined by money. The image was never a work of street art, appearing for the first time as a silkscreen print. A large canvas version was auctioned at Sotheby’s in London in 2008.
golf merchandise is being sold. In the Black Book Banging Your Head Against a Brick Wall, the artist wrote, “We can’t do anything to change the world until capitalism crumbles. In the meantime, we should all go shopping to console ourselves.”
Golf Sale 2003 Serigrafia su carta / silkscreen print 35x50 cm
Walled Off Hotel Box Set Apparsa nel 2003, Golf Sale è una delle prime immagini pubblicate ufficialmente da Banksy. Non è mai stata realizzata come opera nello spazio pubblico, ma solo come serigrafia su carta e come stencil su vari supporti commerciali. Il lavoro manipola la fotografia Tank Man scattata da Jeff Widener a Piazza Tienanmen nel 1989, quando il fotografo ritrasse un giovane nell’atto di fermare una colonna di carri armati, intervenuta per sedare la protesta degli studenti cinesi. L’immagine di Widener è considerata in Occidente un simbolo iconico di opposizione non violenta al potere. Nella versione di Banksy la scena è in bianco e nero – tipico del suo stile del periodo – e il manifestante, oltre alla sua opposizione fisica, segnala ai carri armati che poco lontano si tiene una svendita di materiale da golf. Nel black book Banging Your Head Against a Brick Wall l’artista scrive: “Non possiamo fare nulla per cambiare il mondo finché il capitalismo non si sgretola. Nel frattempo, dovremmo andare tutti a fare acquisti per consolarci”. First appearing in 2003, Golf Sale is one of the earliest images officially published by Banksy. It was never made as an outdoor artwork, but only as a silkscreen print and as a stencil on various supports. The work modifies the photograph Tank Man, taken by Jeff Widener in Tienanmen Square in 1989, showing a young man standing in front of a column of tanks that had been deployed to suppress a student protest. Widener’s image is considered in the West an iconic symbol of non-violent protest. In Banksy’s version, the scene is in black and white – typical of his style in that period – and the protester, in addition to his physical opposition, signals to the tanks that nearby,
2017 Stampa digitale su carta e pezzo di muro / digital print on paper and wall section 23x23 cm
Dismaland print 2015 Serigrafia su carta / silkscreen print 18x25 cm Questo lavoro è stato presentato da Banksy in occasione dell’installazione artistica Dismaland, allestita nel 2015 presso uno stabilimento in disuso nella cittadina balneare britannica di Weston-Super-Mare dove è plausibile che l’artista abbia trascorso del tempo durante l’infanzia. Dismaland print è una collaborazione con il collettivo femminista anonimo di attiviste russe Pussy Riot; in particolare, l’opera qui esposta è l’esito della collaborazione con il membro delle Pussy Riot noto come Nadya, che ha aggiunto il simbolo anarchico costituito dalla “A” cerchiata. This work was presented by Banksy on the occasion of the Dismaland art installation, set up in 2015 at a disused factory in the British seaside town of Weston-SuperMare where it is plausible the artist spent time during his childhood. Dismaland print is the result of a collaboration with the anonymous Russian feminist activists collective Pussy Riot; in particular, the work shown here is the result of collaboration with the Pussy Riot member known as Nadya, who added the anarchist symbol constituted by the circled “A”.
Questo lavoro proviene dal Walled Off Hotel di Betlemme, una piccola pensione che è stata oggetto di un intervento di “restyling” da parte di Banksy nel momento in cui si è ritrovato un enorme muro davanti alle proprie finestre. Il muro è stato costruito da Israele in Cisgiordania per impedire formalmente l’intrusione di terroristi palestinesi nel proprio territorio e lambisce proprio il piccolo hotel. Banksy ne ha curato il rifacimento nel 2017 chiamandolo Walled Off Hotel (hotel murato fuori) - nome che vuole fare il verso alla celebre catena degli hotel Waldorf - usando come slogan per pubblicizzarlo: “L’hotel con la vista più brutta al mondo”. Walled Off Hotel Box Set rappresenta dei bambini nell’intento di divertirsi su una giostra, tuttavia questa giostra è costituita da una torre di guardia come quelle che sono presenti lungo tutto il muro di separazione. Come in molte altre composizioni, l’artista mette in contrasto l’innocenza giocosa dell’infanzia con gli esiti più controversi del mondo costruito dagli adulti, cercando di sottolinearne i paradossi e le contraddizioni che esprime. Il primo viaggio di Banksy documentato in Palestina risale al 2005, mentre nel 2007 invita un gruppo di artisti – tra cui l’italiano Blu – sotto il nome collettivo di Santa’s Ghetto per dipingere il famigerato muro di separazione. Le torri di guardia israeliane sono state inoltre oggetto di numerose piccole sculture prodotte dall’artista in vari materiali tra cui legno e lattine di Coca Cola denominate “Watchtower” (Torri di guardia). É possibile tutt’ora acquistare questo lavoro al prezzo di circa 150 euro, tuttavia è necessario recarsi a Betlemme per poterlo acquistare.
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This work comes from the Walled Off Hotel in Bethlehem, a small guest house that became the protagonist of a Banksy “restyling” project when a huge wall was built right in front of its windows. The wall was built by Israel on the West Bank as a move to formally prevent Palestinian terrorists from entering its territory. Banksy oversaw the renovation in 2017 and named the guest house the Walled Off Hotel – a name that imitates the famous Waldorf hotel chain – and that is effective as a slogan to publicise “the hotel with the worst view in the world”. Walled Off Hotel Box Set represents children intending to have fun on a carousel, but this carousel consists of a watch tower resembling those found along the entire separation wall. As in many other compositions, the artist contrasts the playful innocence of childhood with the most controversial outcomes of the adult world, seeking to underline the paradoxes and contradictions it contains. Banksy first journeyed to Palestine in 2005, and in 2007 he invited a group of artists – including the Italian artist Blu – to paint the infamous separation wall under the collective name Santa’s Ghetto. Israeli watchtowers have also been the subject of numerous small sculptures entitled Watchtower produced by the artist in various materials including wood and Coca Cola cans. It is actually possible to buy this artwork for 150,00 €, however it is necessary to go to Bethlehem to buy it.
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Soup Can 2005 Serigrafia su carta / silkscreen print 50x35 cm Soup Can appare per la prima volta come piccolo dipinto originale, collocato di nascosto dallo stesso Banksy su una parete del MoMA di New York nel 2005 con la didascalia: Tesco Value Tomato Soup. L’opera rimase esposta per sei giorni e in un’intervista l’autore dichiarò: “Dopo aver scattato la foto, sono rimasto cinque minuti ad osservare cosa succedeva, un mare di gente si è avvicinata, e, dopo aver osservato, si è allontanata con aria confusa e leggermente risentita... mi sono sentito come un vero artista moderno”. Tesco Value Tomato Soup è la post-produzione di una delle immagini più iconiche di Andy Warhol. Intrecciando l’arte con il mercato, le immagini di Warhol definirono un cambiamento epocale nell’arte contemporanea, sfidando la definizione di estetica, il ruolo dell’artista e i concetti di originalità e riproduzione. Mentre le Campbell Soup di Warhol appaiono prive di critica sociale, la Soup Can di Banksy rappresenta una critica al potere perverso del mercato. La relazione tra Banksy e Warhol è costituita da numerosi punti di contatto che hanno favorito un immaginario parallelo, sintetizzato dal britannico nella mostra Banksy vs Warhol del 2007 presso la galleria The Hospital di Covent Garden a Londra.
Soup Can was originally a small painting hidden by Banksy on a wall in the MoMA in New York in 2005 alongside the caption Tesco Value Tomato Soup. The work remained on display for six days, and in an interview the artist said, “After taking the photo, I stuck around for five minutes to see what would happen. A ton of people came up to look at it, then walked away confused and slightly offended... I felt like a true modern artist.” Tesco Value Tomato Soup is a modified version of one of Andy Warhol’s most iconic images. Bringing together the art world and the market, Warhol’s images defined a historic change in contemporary art, challenging the definition of aesthetics, the artist’s role and the concepts of originality and reproduction. While Warhol’s Campbell Soup appeared lacking in social critique, Banksy’s Soup Can is a critique on the perverse power of the market. A number of critics have drawn a parallel between Banksy and Warhol, summarized by former in his exhibition Banksy vs Warhol at The Hospital in Convent Garden, London, in 2007.
most beloved work. Banksy painted Girl with Balloon for the first time in 2004 as a stencil on the wall of a bridge in the Southbank neighbourhood in London. The artist signed the work on an electrical box, in the lower right-hand corner of the work, and accompanied the image with the words, “There’s always hope.” In his book Wall and Piece, the artist added, “When the time comes to leave, just walk away quietly and don’t make any fuss.” Another version of the stencil appeared in the London neighbourhood of Shoreditch, near the Liverpool Street station. The owners of the store where Banksy stencilled the artwork suggested detaching it from the wall to auction it off, but this sparked a wave of protest and the work was left alone. Ten years later, hidden behind an advertisement, an anonymous group removed the stencil. The work reappeared during the presentation of the exhibition Stealing Banksy? and was sold shortly thereafter.
Soup Can (Quad)
Girl with Balloon
2006 Serigrafia su carta / silkscreen print 70x50 cm
2004-2005 Serigrafia su carta / silkscreen print 76x56 cm La “ragazza con palloncino” è forse l’immagine più popolare di Banksy, votata nel 2017, in un sondaggio promosso da Samsung, come l’opera più amata dai britannici. Banksy dipinge per la prima volta Girl with Balloon, con la tecnica dello stencil, in forma non commissionata su un muro al lato di un ponte della zona di Southbank, Londra, nel 2004. L’artista firma l’opera su una cassetta elettrica, situata in basso a destra dell’opera, e accompagna l’immagine con un testo che recita: “C’è sempre una speranza”. Nel suo libro Wall and Piece l’artista aggiunge: “Quando verrà il momento di andare, allontanati in silenzio, senza fare tante storie”. Un’altra versione dello stencil viene collocata dall’artista nel quartiere londinese di Shoreditch, vicino alla stazione di Liverpool Street. I proprietari del negozio sul cui muro apparve il lavoro proposero lo “stacco” dell’opera per poterla rivendere in asta, suscitando una tale indignazione popolare che l’opera non fu rimossa. Dieci anni dopo, nascosto dietro un cartellone pubblicitario, alcuni privati rimossero lo stencil. Il lavoro riapparve durante la presentazione della mostra Stealing Banksy?, per poi essere venduto poco dopo.
Love Is In The Air (Flower Thrower) 2003 Serigrafia su carta / silkscreen print 50x70 cm
Love is in the air 2002 Spray su tela / spray paint on canvas 51x43x4 cm firmata “Banksy LA” datata 2002 numerata 1/5 tutto sul retro / signed “Banksy LA” dated 2002 numbered 1/5 all on the reverse
Girl with Balloon is probably Banksy’s most popular image, voted in a 2017 survey promoted by Samsung as the British’s
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Love Is In The Air, conosciuta anche con il nome di Flower Thrower (Lanciatore di Fiori) appare per la prima volta nel 2003 come stencil non commissionato a Gerusalemme, sul muro costruito per separare israeliani e palestinesi nell’area della West Bank. Un muro che, secondo l’artista “...essenzialmente trasforma la Palestina nella prigione all’aperto più grande del mondo”. Nel corso dello stesso anno realizza l’edizione qui esposta su fondo rosso. Love Is In The Air cita e manipola l’immaginario degli attivisti durante le rivolte universitarie che attraversarono Stati Uniti e Gran Bretagna nel periodo del Vietnam, e prende il titolo da una famosa canzone, pubblicata nel 1977, del cantante australiano John Paul Young. Banksy trasfigura l’estetica e ribalta l’esito violento del giovane militante collocandogli nella
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mano una figura retorica evocativa di pace e bellezza: il mazzo di fiori. Nel suo libro Wall and Piece, l’artista commenta l’opera così: “I più grandi crimini del mondo non sono commessi da persone che infrangono le regole ma da persone che seguono le regole”. Love Is In The Air, also known as Flower Thrower, appeared for the first time in Jerusalem in 2003 as a stencil; it was painted on the wall built to separate the Israelis and Palestinians in the West Bank. The artist sees the wall as something that “...essentially transforms Palestine into the largest open-air prison in the world”. The same year, Banksy made the version seen here, set against a red background. Love Is In The Air alludes to and transforms the typical image of activists participating in the student riots in the United States and Great Britain during the Vietnam War, and takes its title form the famous 1977 song by Australian singer John Paul Young. Banksy mutates the image and upends the
violent outcome of the young activist, placing a bunch of flowers in his hand, a symbol of peace and beauty. In his book Wall and Piece, the artist commented that, “The biggest crimes in the world aren’t committed by people who break the laws, but by those who follow the laws.”
che facciamo per proteggerci possano anche farci del male. A New Orleans, infatti, il disastro avvenne a seguito del cedimento degli argini che avrebbero dovuto proteggerla. Il lavoro è stato successivamente stampato in edizione serigrafica.
Rude Copper is one of the first works Banksy made on paper, published by Pictures On Walls in 2002. The policeman is shown flipping off the spectator. To put his works up in public spaces, Banksy inherently challenges the local authorities, personified in British culture by a Bobby, a typical policeman known in urban slang as the pejorative “copper”. The artist has come across many of them, and his stories about these encounters reveal the foundational principle of street art: to make something beautiful, you don’t have to ask permission. Banksy offers different interpretations, each one contradicting the other: the image gives us back an authority that, by mutating the common view, shows the policeman as “one of us”; it could also suggest an authority figure that, deviating from his role, leads others to not trust and to be more critical.
The title of this work refers to the affectionate name with which New Orleans inhabitants call their city (New Orleans). The image of a little girl under an umbrella, showing the rain falling from inside the umbrella itself, appears as mural painting in New Orleans, where Banksy goes in 2008, when the city tries to recover after the devastating passage of hurricane Katrina in 2005. A climate event that destroyed the city causing the largest public evacuation in US history. The mural painting is performed at the corner of St. Claude Avenue and Kerlerec Street in the Marigny district. Interviewed about this work, Banksy explained that the image speaks about how things we do to protect ourselves can also harm us. In New Orleans, in fact, disaster occurred following the collapse of the banks that were supposed to protect the city. The work was subsequently printed in a silk-screen edition.
Rude Copper
Nola 2008 Serigrafia su carta / silkscreen print 76x56 cm Il titolo dell’opera si riferisce all’appellativo affettuoso con cui gli abitanti di New Orleans chiamano la loro città (New Orleans). L’immagine di una bambina con l’ombrello, che mostra la pioggia cadere dall’interno dell’ombrello stesso, appare come dipinto
2002 Serigrafia su carta / silkscreen print 57x41 cm
murale nella città di New Orleans, dove Banksy si reca nel 2008 quando la città cerca di rimettersi in piedi dopo il devastante passaggio dell’uragano Katrina del 2005. Un evento che ha distrutto la città causando la più grande evacuazione pubblica della storia degli Stati Uniti. Il dipinto murale viene eseguito all’angolo tra St. Claude Avenue e Kerlerec Street, nel quartiere di Marigny. Intervistato su questo lavoro, Banksy ha spiegato che l’immagine parla di come le cose
Rude Copper (poliziotto maleducato) è uno dei primi lavori su carta di Banksy, pubblicato da Pictures On Walls nel 2002. L’agente di polizia è qui impegnato in un esplicito “Fuck You” nei confronti dello spettatore. Banksy, per collocare i suoi lavori non commissionati nello spazio pubblico, ingaggia una sfida con il controllo locale del territorio, impersonificato nella cultura
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britannica dal Bobby, il tipico poliziotto che nel gergo urbano viene apostrofato come “copper”. L’artista ne incontrerà diversi e ci fornirà numerosi resoconti dai quali emergerà il principio fondante della street art: per fare una cosa bella non devi chiedere il permesso. Banksy offre diversi piani di interpretazione in contraddizione tra loro: l’immagine ci restituisce un’autorità che, mutuando il linguaggio comune, mostra il poliziotto come “uno di noi”, al contempo suggerisce un’autorità che, trascendendo il suo mandato, porta gli altri a non fidarsi e ad assumere maggior senso critico.
della città. Quindi ne ho dipinte svariate e sono tutte state cancellate, ma una di queste si trovava sulla serranda metallica di un negozio che vendeva schifezze sette giorni la settimana e non chiudeva prima delle 21.00 e solo a quell’ora la serranda veniva giù. Questo mise lo stencil in una sorta di fascia protetta per i minori dato che l’opera era visibile solo dopo le nove”. L’immagine è stata esposta sotto forma di quadro per la prima volta nel 2003 in una mostra collettiva a New York alla Vanina Holasek Gallery.
città europee tra cui Berlino, realizzata a stencil ma anche su cartelli distribuiti al pubblico in occasione delle proteste antimilitariste. Seppur risalente al 2000, Banksy documenta alcune “Bomb Hugger” a stencil monocromo su muro pubblico nel 2003, realizzate nella zona est di Londra e poi a Brighton. Nel black book del 2004 Cut it Out, Banksy mette in relazione bombe e abbracci scrivendo: “Suicide bombers just need a hug” (Gli attentatori suicidi hanno solo bisogno di un abbraccio).
Queen Vic (Queen Victoria) is a 2003 work and one of the first images printed at Pictures On Walls, the artist’s print house, which opened its doors in 2003 at 46 Commercial Rd., London. Banksy is famous for satirizing power: the image depicts Queen Victoria as a lesbian engaged in “queening”. Queen Victoria once declared that women aren’t able to be gay and approved laws against homosexuality. The image, which suggests the hypocrisy behind the management of power, comes from a stencil located on the rolling shutter of a store between St. Mark’s Road and Brenner Street in Bristol in 2002. Banksy wrote, “Many thought the image of Queen Victoria was too disrespectful to paint in random places around the city. So I painted several of them and they were all erased, but one of these was on the metal shutter of a store that sold junk every day of the week and didn’t close before 9pm, and only then was the shutter rolled down. This ensured that the stencil was sort of protected just because of the minor fact that it could only be seen after 9pm.” The image was displayed on a canvas for the first time in 2003 in a collective exhibition at the Vanina Holasek Gallery in New York.
Bomb Love (Bomb Hugger) Queen Vic 2003 Serigrafia su carta / silkscreen print 70x50 cm Queen Vic (Queen Victoria) è un lavoro del 2003, una delle prime immagini stampate da Pictures On Walls, la sua print house che proprio nel 2003 apre i battenti a Londra al numero 46 di Commercial Road. Banksy è noto per la satira nei confronti del potere: l’immagine raffigura la Regina Vittoria, come
omosessuale, impegnata in una pratica detta “queening”. La Regina Vittoria avrebbe dichiarato l’impossibilità delle donne di essere gay approvando di fatto leggi contro l’omosessualità. L’immagine, che suggerisce l’ipocrisia nascosta dietro la gestione del potere, proviene da uno stencil collocato nel 2002 sulla serranda di un negozio tra St. Mark’s Road e Brenner Street a Bristol. Banksy scrive: “Molti pensavano che l’immagine della Regina Vittoria fosse troppo maleducata da dipingere in luoghi casuali
2003 Serigrafia su carta / silkscreen print 70x50 cm Quest’immagine ha un titolo ufficiale e uno adottato dal pubblico: quello ufficiale è Bomb Love, tuttavia il pubblico lo ha accolto come Bomb Hugger, ovvero, colei che abbraccia la bomba. L’immagine è stata pubblicata in 750 copie serigrafiche da Pictures On Walls, proprio durante le manifestazioni in Gran Bretagna per criticare l’intervento
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congiunto con gli USA contro l’Iraq. Su uno sfondo rosa pop, una bambina abbraccia una bomba come se stesse abbracciando un orsacchiotto. L’artista sta parlando della guerra nella versione fornita dai governanti e dai media allo scopo di giustificare l’attacco all’Iraq, ovvero, una guerra per “esportare la democrazia”. Nel black book del 2001 Banging your head against a brick wall, Banksy collega l’immagine ad un suo aforisma: “Un muro è un’arma molto potente, è la cosa più dura con cui puoi colpire qualcuno”. L’immagine è stata riprodotta in vari formati, è apparsa sui muri di
Like many of Banksy’s works, this image has an official title and one adopted by the public. The one attributable to the British artist is Bomb Love but the public have welcomed the title Bomb Hugger. It is one of the artist’s most popular and iconic images, published in a series of 750 serigraph editions in 2003 by Pictures On Walls – Banksy’s print house in London – in a year which saw great demonstrations in Great Britain in opposition to joint armed intervention with the US against Saddam Hussein’s Iraq. Against a reassuring pink pop background, a little girl hugs a bomb as though she’s hugging a teddy bear. The artist recounts the version of the war fed to the public in the stories told by the government, backed by the media during those years: carefully curated narratives formed to bathe the notion of war in a positive and reassuring light and justify the attack on Iraq in a war to “export democracy”. In the pages of his 2001 Black Book, Banging Your Head Against a Brick Wall, Banksy associates this very image to his aphorism that reads: “A wall is a very big weapon, it’s one of the nastiest things you can hit someone with”. As is typical of Banksy, this image has been reproduced by the artist in various formats on numerous occasions, appearing on walls throughout Europe in cities like Berlin, often being created with the distinctive stencilling technique but also distributed in leaflet form to the public during anti-military protests across Great Britain. Although the image originally dates back to 2000, Banksy’s archive includes some 2003 monochrome stencil reproductions of “Bomb Hugger” on public facing walls in East London and later, Brighton. In his 2004 Black Book Cut it Out Banksy reunites bombs and hugs, writing: “Suicide bombers just need a hug”.
Virgin Mary (Toxic Mary) 2003 Serigrafia su carta / silkscreen print 76x56 cm La Virgin Mary è anche nota come Toxic Mary a causa del simbolo del veleno sul biberon. Secondo alcuni l’immagine rappresenta una dura critica al ruolo della Religione nella Storia; secondo altri è una critica al modo in cui stiamo educando i nostri figli. L’opera riprende una Madonna con Bambino nello stile del Rinascimento. L’immagine presenta delle colature che riportano un elemento peculiare della street art. É una tipica immagine popolare che Banksy sottopone ad un “détournement”. Si tratta di un processo che consente di sfruttare immagini già cristallizzate nella memoria, manipolandole e collocando elementi che ne mettano in crisi il significato acquisito. L’esempio più celebre è la Gioconda con i baffi realizzata da Marcel Duchamp, mentre il termine “détournement” viene introdotto dal filosofo situazionista Guy Debord che lo interpreta così: “Il détournement è l’integrazione della passata e presente produzione artistica in una costruzione di ambito superiore”. Debord ritiene che il plagio sia un’operazione per sostituire un’idea falsa con una vera, pensiero che appare costitutivo del modus operandi di Banksy. L’opera viene presentata per la prima volta nel 2003 come dipinto a stencil su tela nel corso della mostra Turf War.
Banksy’s Virgin Mary is also known to the public by the name Toxic Mary due to the toxic hazard symbol that adorns little baby Jesus’ milk bottle. According to some interpretations the image is an explicit criticism of the role of religion. According to others, it makes a powerful statement about how we are educating our children today. The work recalls the classical Orthodox icon, the Madonna and Child, in a style typical of the Italian Renaissance. Reworked and elaborated by Banksy the image drips downwards in a particular stylistic nod to the artist’s early urban street art. This is one of Banksy’s most widespread and popular images to undergo an integrative process of “détournement” that characterises the artist’s portfolio. This post-production processing of images allows the artist not only to invent a language of his own to convey his messages, but to exploit images in their already crystallised state in the collective memory: expertly manipulating the composition by placing foreign elements into the frame that lock icons and amassed meanings in a state of conflict and crisis, generating new and alternative meanings and interpretations. The most famous modern example of the artistic use of this technique is arguably Marcel Duchamp’s Mona Lisa with a moustache. The term “détournement” was introduced by the situationist philosopher Guy Debord who interpreted it as follows: “the integration of present or past artistic productions into a superior construction of a milieu...” Debord also believed that plagiarism is a necessary operation implied by progress as a means to replace a false idea with a true idea, a thought that appears to be constitutive of Banksy’s modus operandi. The Virgin Mary was first presented as a stencil painting on canvas during the Turf War exhibition in a warehouse on Kingsland Road in East London during the summer of 2003.
that it conveyed an image of squalor in the neighbourhood. Banksy painted the work again on the same wall, covering the Transport for London’s image, but in this version, the protagonists were wearing banana costumes and armed with real pistols. It’s likely that the artist was familiar with Monty Python’s Flying Circus, producers of the 1969 screwball comedy sketch Self Defence Against Fresh Fruit, about acts of violence being committed with bananas, apples and oranges. Other hypotheses are that Banksy was inspired by the cover of the Velvet Underground’s 1967 album designed by Andy Warhol or that the piece is a reference to a common theme in the artist’s repertoire: monkeys.
Pulp Fiction 2004 Serigrafia su carta / silkscreen print 50x70 cm Pulp Fiction è un omaggio ai personaggi del film scritto e diretto da Quentin Tarantino. Il lavoro mostra i protagonisti Vincent e Jules fianco a fianco, pronti a sparare con banane al posto di pistole. Come Tarantino disinnesca il potenziale violento dei suoi film rendendolo parossistico, così Banksy traduce il paradosso in un codice statico, sostituendo le armi con delle inoffensive banane. L’immagine appare per la prima volta come lavoro di street art su un muro di Old Street a Londra nel 2002. Nel 2007 la municipalizzata Transport for London copre il lavoro, dichiarando che l’opera trasmette un’immagine decadente del quartiere. Banksy tornò a collocare il lavoro sullo stesso muro, coprendo a sua volta l’immagine di Transport for London, questa volta però facendo indossare ai protagonisti costumi da banana, armandoli di vere pistole. È probabile che l’artista avesse familiarità con i Monty Python’s Flying Circus, produttori nel 1969 della commedia demenziale Autodifesa contro la frutta, una parodia in cui gli atti di violenza vengono commessi con banane, mele e arance. Altre ipotesi sono che Banksy prese ispirazione dalla copertina dell’album dei The Velvet Underground, del 1967, disegnata da Andy Warhol o che si sia rifatto al soggetto ricorrente nei suoi lavori: l’associazione delle banane alle scimmie.
Turf War 2003 Serigrafia su carta / silkscreen print 56x41 cm L’immagine viene prodotta da Banksy nel 2003 in occasione della mostra Turf War, la prima esposizione rilevante di Banksy a Londra, organizzata in un magazzino di Kingsland Road. La mostra, aperta il 18 luglio, sarebbe dovuta terminare il 24 luglio, quindi pochi giorni dopo; tuttavia la polizia la chiuse due giorni dopo l’apertura poiché Banksy era formalmente ricercato da Scotland Yard. Il lavoro, di ispirazione punk, mostra Leonard Spencer-Churchill, primo ministro del Regno Unito durante la seconda guerra mondiale, immaginato dall’artista come un vero punk rocker. Banksy adorna la testa calva di Churchill con una cresta di capelli verde brillante che, pur facendolo somigliare ad un mohicano, rappresenta un riferimento ad un tratto erboso. In effetti per decodificare Turf War è necessario comprendere il doppio gioco di parole a cui fa riferimento il titolo. Turf è il termine anglosassone per indicare una zolla erbosa, ma la locuzione “turf war” è utilizzata nel linguaggio comune per indicare una guerra tra bande nell’ambito urbano. Legata al tema della guerra, l’immagine col suo titolo sembra voler significare che per l’artista l’essenza della guerra non è altro che una disputa tra due contendenti intorno ad un pezzo di terra.
Pulp Fiction is a tribute to the characters in the Quentin Tarantino film. The artwork depicts protagonists Vincent and Jules side-by-side, holding bananas instead of pistols. Just as Tarantino defuses the violent potential of his films by rendering them exaggerative, so too does Banksy interpret the paradox as a static iconography, replacing the weapons with harmless bananas. The image first appeared in 2002 as a work of street art on Old Street in London. In 2007, the city-owned Transport for London covered the work, declaring
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The image was made by Banksy in 2003 for the exhibition Turf War, his first show in London, organized in a warehouse on Kingsland Road. The exhibition, opened on July 18, was meant to close just a few days later, on July 24, but the police shut it down after only two days because Banksy was being formally sought by Scotland Yard. The piece, boasting punk influences, shows Winston Leonard SpencerChurchill, the Prime Minister of the United Kingdom during World War II, imagined by the artist as a punk rocker. Banksy topped Churchill’s bald head with a bright green mohawk that, despite making him seem like a Mohican, is actually a reference to grass. Indeed, to decipher Turf War, it’s important to understand the double wordplay of the title. Turf means a clump of grass, while the expression “turf war” is used to indicate a war between street gangs. Tied to the theme of war, the image and its title seem to mean that for the artist, the essence of war is nothing more than a dispute between two sides fighting over a piece of land.
antisommossa, ma con il volto della famosa faccina sorridente. Ritroviamo il simbolismo dello smile contrapposto al fucile, ovvero, come oppressione e minaccia si possano nascondere dietro un volto amico. Flying Copper restituisce la dualità della finzione di custode della pace che, allo stesso tempo, può trasformarsi in pericolo per la pace stessa, suggerendo così di praticare un sano scetticismo verso chi amministra il potere. Banksy’s Flying Copper is one of the artist’s first iconic images, made in a public space using various techniques. An installation of the work was made using gigantic figures, created with a stencil on contoured paper and hung to the ceiling during the exhibition Turf War, Banksy’s first major show, held in 2003 in a warehouse in London’s East End. Some of the silhouettes of Flying Copper were later put up around London and Vienna; an installation of the work then appeared again in London in front of Shoreditch Bridge. Part of this installation was removed anonymously and reappeared in the 2012 documentary How to Sell a Banksy. The image depicts a policeman in riot gear with his face covered by the artist’s famous “smiley” face. We find the symbolism of the smile contrasted with the gun, that is, oppression and threat can hide behind a friendly face. Flying Copper highlights the duality of the fiction of these custodians of peace that, at the same time, can transform into a threat to peace itself, encouraging viewers to practice a healthy dose of scepticism towards those in power.
Family Target 2003 Spray su tavola / spray paint on board 90x90 cm Il 2003 è l’anno in cui Banksy realizza questo stencil a due livelli su tavola, ed è l’anno in cui Stati Uniti e Gran Bretagna invadono l’Iraq dichiarando guerra a Saddam Hussein. Un milione di persone si era riversata in strada a Londra per chiedere di non combattere, Banksy stesso aveva partecipato alla manifestazione con numerosi interventi, come documentato nel suo black book del 2004 Cut It Out. L’Iraq fu aggredito e invaso, e ai militari fu lasciato il compito di raccontarci i mezzi moderni di una nuova forma di guerra.
Entrarono così nel nostro lessico le bombe intelligenti, quelle in grado di colpire il bersaglio, il target, con precisione chirurgica. La realtà veicolata dai media mostrò il solito spettacolo della guerra con civili e bambini morti, danni collaterali secondo il potere, veri e propri target secondo Banksy. Molto del suo lavoro consiste nel produrre immagini per smascherare l’ipocrisia del potere, una sorta di pubblicità al contrario, una pratica contropersuasiva veicolata dalle immagini. Two thousand and three was the year when Banksy made this two-level stencil on board, and it was the year when the United States and Great Britain invaded Iraq, declaring war on Saddam Hussein. One million people poured into
the streets of London demanding not to fight, Banksy himself took part in the demonstration with numerous interventions, as documented in his 2004 Black Book Cut It Out. Iraq was attacked and invaded, and soldiers were left with the task of explaining to us the modern equipment of a new form of warfare. Thus the term “smart bombs” – bombs capable of striking their target with surgical precision – entered our lexicon. The reality conveyed by our media showed the usual spectacle of war with dead children and civilians – collateral damage, according to power, and the real targets according to Banksy. Much of his work consists of producing images to unmask the hypocrisy of power, a sort of reverse advertising – counterpersuasion conveyed by images.
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Flying Copper 2003 Serigrafia su carta / silkscreen print 100x70 cm Il “poliziotto volante” di Banksy è una delle prime immagini iconiche dell’artista, realizzata con varie tecniche, in forma non commissionata nello spazio pubblico. Un’installazione di Flying Copper era visibile sotto forma di gigantesche figure, realizzate a stencil su cartone sagomato e appese al
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soffitto, in occasione di Turf War, la prima grande mostra di Banksy che si tenne nel 2003 in un magazzino nell’East End di Londra. Alcune sagome di Flying Copper furono poi collocate nelle strade di Londra e Vienna; in seguito, sotto forma di installazione non commissionata, l’opera è riapparsa a Londra sul fronte dello Shoreditch Bridge. Parte di quest’installazione fu asportata da ignoti ed è poi riapparsa nel documentario del 2012 How to sell a Banksy. L’immagine mostra un agente di polizia in assetto
group the Clash in 1979 that actually inspired this and several other works by the artist. In doing so, the artist’s visual language has taken on a distinctive style which lends itself to exploring the themes present in this image and other related works in which the artist refers to freedom of expression as being a powerful weapon. Among this series of works, the most explicit is arguably Choose Your Weapon an image which appeared in 2010 in South London, which depicts a man in a sweatshirt with a masked face leading a dog painted in style of the American artist Keith Haring: once again underlining the complex cultural mix that makes up the fertile terrain from which the artist’s images spring forth.
Rodeo Girl 2008 Giclee print su carta / giclee print on paper 30x39 cm Rodeo Girl viene realizzata da Banksy in occasione del Cans Festival che organizza nel 2008 presso un tunnel in disuso a Londra in corrispondenza di Leake Street, zona Waterloo. Il festival vede come protagonisti artisti che operano nello spazio pubblico con la tecnica dello stencil invitati da Banksy stesso e provenienti da tutto il mondo. Dall’Italia sono invitati Sten Lex, Lucamaleonte e Orticanoodles. A ogni artista che ha partecipato Banksy regala una di queste stampe, che firma e dedica personalmente a ciascuno di loro.
I Fought the Law 2004 Serigrafia su carta / silkscreen print 70x70 cm La scena principale è tratta dal video che documenta l’attentato del 30 marzo 1981 al presidente Ronald Reagan, messo in atto da John Hinkley fuori dall’hotel Hilton di Washington. Quest’uomo con problemi mentali, convinto che l’attrice Jodie Foster avrebbe amato il suo gesto estremo, sparò cinque colpi senza fare vittime. Tuttavia, nell’interpretazione di Banksy, la mano di Hinkley non è protratta verso la pistola ma verso un pennello mentre viene immobilizzato per aver scritto “I fought the law and I won”, ovvero, “ho combattuto la legge e ho vinto”. La scritta è in realtà il titolo di una canzone di Sonny Curtis del 1958 di cui Banksy cita la versione eseguita dai Clash nel 1979. Attraverso il tipico tratto compositivo dell’artista, ottenuto costruendo nuovi significati attraverso inedite relazioni tra riferimenti di natura popolare, i temi esplorati si collegano ai lavori in cui l’artista vede la libertà di espressione come un’arma potente. Tra
questi il più esplicito è Choose your weapon (scegli la tua arma) apparso nel 2010 nella zona sud di Londra, in cui un uomo con felpa e volto mascherato porta al guinzaglio un cane dipinto in stile Keith Haring, sottolineando così il mix culturale di cui è costituito il DNA dell’artista. The main scene depicted in this image is taken from the video documenting the March 30, 1981, attack on US President Ronald Reagan, outside the Hilton hotel in Washington. The would be assassin was a man named John Hinkley; struggling with mental health issues, he was convinced that actress Jodie Foster would have been positively impressed if he had succeeded in assassinating the President. Hinkley fired five shots with no fatalities. In Banksy’s interpretation of events, however, Hinkley’s hand reaches out not for a gun, as in the original video, but a brush lying immobile on the ground after having been used to write the words I fought the law and I won on the wall behind the crime scene. The phrase, also the title of this work, is actually the title of a song written by Sonny Curtis in 1958. But it is the version performed by British punk
Rodeo Girl was created by Banksy on the occasion of Cans Festival which he organized in 2008 in a disused tunnel in London at Leake Street, in Waterloo. The festival features artists working in the public space using stencil technique invited by Banksy himself from all over the world. From Italy, was invited, Sten Lex, Lucamaleonte and Orticanoodles. To each artist participated the festival, Banksy gives one of these prints he personally signs and dedicates to each one of them.
Cloud DJ 1998-1999 Spray e acrilici su tavola / spray paint and acrylic on board 71x74 cm Cloud DJ è uno dei primissimi lavori di Banksy. L’immagine in questa opera appare per la prima volta sui muri di Bristol e viene documentata nel libro autopubblicato da Banksy: Banging Your Head Against a Brick Wall come stencil su muro collocato in forma non autorizzata. Cloud DJ is one of Banksy’s earliest works. The image depicted appears for the first time on the walls of Bristol documented in Banksy’s self-published book: Banging Your Head Against a Brick Wall as an uncommisioned stencil on wall.
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Di-Faced Tenners 2004 Nel 2004 Banksy stampa un milione di sterline in banconote da dieci, chiamate Di-Faced Tenners. Il termine “Tenners” indica il taglio da dieci sterline, ovvero “Ten pounds”. L’altra parte del nome dell’opera è un gioco di parole: il termine “defaced” significa in inglese “sfregiato”. Tale termine fa riferimento al trattamento che Banksy riserva alla banconota originale e al fatto che l’artista sostituisce l’immagine della regina con quella di Diana Spencer, anche nota come Lady D. In questa prospettiva “Di-Faced” può anche essere letto come: “con il volto di D”. Possiamo dunque leggere “D-Faced Tenners” come banconota da dieci sterline raffigurante Lady D e allo stesso tempo, banconota da dieci sterline sfregiata. In alto, al centro della banconota, è possibile leggere la scritta “Banksy of England” collocata al posto di “Bank of England”. Questo lavoro è stato presentato per la prima volta al Notting Hill Carnival di Londra dove l’artista ha lanciato manciate di banconote alla folla (nello stesso anno Banksy ha ripetuto la performance al Reading Festival). Alcune delle banconote sono state utilizzate dal pubblico per
fare acquisti. L’avvenimento ha comportato una denuncia d’ufficio per contraffazione, motivo per cui l’artista è stato ricercato da Scotland Yard e l’opera considerata contraffazione di valuta corrente. In 2004, Banksy printed one million pounds’ worth of £10 banknotes, known as Di-Faced Tenners. The word “Tenners” is the slang used to refer to ten pound notes, while the other part of the title is a play on words: the term “defaced” is a reference to Banksy replacing the image of Queen Elizabeth with the face of Diana Spencer, known as Lady D. In this context, “Di-Faced” can also be interpreted as “with D’s face”. Essentially, “D-Faced Tenners” can be seen as either £10 banknotes depicting Lady D and at the same time, defaced £10 banknotes. Above, at the centre of the note, are the words “Banksy of England” in place of “Bank of England”. This project was presented for the first time at the Notting Hill Carnival in London, where the artist launched wads of banknotes into the crowd (the same year, Banksy did the same thing at the Reading Festival). Some of the banknotes were used by the public to make purchases. Forgery charges were filed against the artist, which is why he was sought by Scotland Yard, as the notes were considered legitimately counterfeited money.
L’ARCA DI BANKSY
THE ARK OF BANKSY
Gianluca Marziani
Gianluca Marziani
Gli animali sono soggetti privilegiati per Banksy, membri di una comunità aperta che rappresenta l’ingenuità istintiva, l’anarchia innata, la libertà di gridare ciò che gli esseri umani hanno perduto sotto il peso dell’anestesia sociale. Topi e scimmie trionfano per numero e narrazioni: e non è casuale che le due specie più simili a Noi siano le comunità zoofile preferite dall’artista britannico. Un favoloso bestiario di megafoni militanti che sbatte il mostro umano in prima pagina, ponendo il corpo peloso come fronte della dignità sociale, linea d’attacco che riconquista la città e la libertà di dire, fare, essere. Assieme a loro ritroviamo un alchemico serpente, diversi leopardi da quarto stato, un cane borghese, un elefante con schiena da mulo ma anche una metaforica papera di gomma, riuniti in fila ambientale a Palazzo Trinacria, sede espositiva della Fondazione Barbaro. L’architettura dello spazio riprende lo scheletro di una barca, allusione non tanto implicita al tema biblico che si connette all’immaginario urbano di Banksy, al suo codice antagonista con cui scatena azioni mediatiche e reazioni morali. Noè e Banksy dialogano idealmente prima del viaggio, nei minuti che precedono la traversata negli oceani della vita reale. La Terra del nuovo millennio è già sotto il diluvio, e questo Banksy lo capisce bene, timbrando i suoi avvertimenti etici su muri e spazi collettivi, evocando piccole apocalissi che Noè aveva intuito molto prima di lui.
In Banksy’s opinion animals are privileged subjects, members of an open community that represents an instinctive naivety, an innate anarchy, as well as the freedom to shout what human beings have lost because of the social anesthesia. Mice and monkeys triumph in numerically and narratively: it is no coincidence that the two species most similar to us are the British artist’s favourite zoophile communities. A fabulous bestiary of militant megaphones slams the human monster on the front page, placing their hairy body as the front of social dignity: it is a line of attack that recaptures the city and the freedom to say, to do, to be. Together with them we can see an alchemical snake, several fourth-estate leopards, a bourgeois dog, an elephant with a mule’s back, as well as a metaphorical rubber duck; they are all gathered in an environmental row at Palazzo Trinacria, the exhibition venue of the Barbaro Foundation. The architectural space recalls the skeleton of a boat, a not so implicit allusion to the biblical theme that connects to Banksy’s urban imaginary and his antagonistic code he triggers media actions and moral reactions with. Noah and Banksy ideally talk together before the journey, in the minutes preceding crossing in the oceans of real life. The Earth of the new millennium is already under the flood, and Banksy understands this well, stamping his ethical warnings on walls and collective spaces, evoking small apocalypses that Noah had sensed long before him.
from the repertoire of another street artist, the Frenchman Blek Le Rat, who throughout the 1980s threw them up around Paris with a vision similar to that of the British artist. Banksy’s Love Rat is depicted with a large paintbrush in his hand as he finishes painting a red heart on an invisible wall. The symbolism suggests that street art – it doesn’t matter how insignificant it can seem at first – is worthy of love and that these little contributions can have a positive impact on the surrounding community.
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Banksy draws a parallel between rodents and the condition of street artists and transforms the image of the rats designed by the French artist Blek Le Rat, who throughout the 1980s threw them up around Paris. This work is part of a series known as Placard Rats, which has appeared numerous times, especially in London. The Placard Rats series shows an indignant rat holding up a protest sign that says, in this version, “Get out while you can”. Others have phrases like, “Because I’m worthless” and “Welcome to hell”. Even though the rat is wearing a necklace with a peace sign, it seems to be intent on fighting against its marginalization.
Love Rat 2004 Serigrafia su carta / silkscreen print 50x35 cm I topi sono tra i soggetti più rappresentati da Banksy che su di loro scrive: “Esistono senza permesso. Sono odiati, braccati e perseguitati. Vivono in una tranquilla disperazione tra la sporcizia. Eppure sono capaci di mettere in ginocchio intere civiltà”. L’artista coglie un parallelismo tra i topi e la condizione dello street artist e ci mette in guardia dalle tranquille ma ambigue moltitudini. I topi di Banksy sono prelevati dall’immaginario di un altro street artist, il francese Blek Le Rat, che nel corso degli anni ’80 li dissemina per Parigi con una visione simile a quella dell’artista britannico. Love Rat di Banksy è rappresentato con un grande pennello in mano mentre ha terminato di tracciare il contorno di un cuore rosso su un muro invisibile. Il simbolismo suggerisce che la street art – non importa quanto insignificante possa sembrare a prima vista – è degna di amore e che questi piccoli contributi possono avere un impatto luminoso sulla comunità circostante. Rats are one of Banksy’s most oft-used motifs, “They exist without permission. They are hated, hunted and persecuted. They live in quiet desperation amongst the filth. And yet they are capable of bringing entire civilizations to their knees.” The artist draws a parallel between rats and the condition of street artists, making us aware of these tranquil but ambiguous artist. Banksy’s rats are borrowed
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Get Out While You Can 2004 Serigrafia su carta / silkscreen print 50x33 cm Banksy coglie un parallelismo tra i roditori e la condizione dello street artist e mutua l’immagine dei topi dallo street artist francese Blek Le Rat, che negli anni ’80 li dissemina per Parigi. Quest’opera è parte di una serie nota come Placard Rats (Topi con Cartello) apparsa innumerevoli volte, specialmente a Londra, in forma di street art non commissionata. La serie Placard Rats mostra un topo dall’aria indignata che solleva un classico cartello da manifestazione sul quale in questo caso leggiamo la scritta “Vattene finché sei in tempo”, in altri appaiono scritte come “Perché non valgo niente” oppure “Benvenuto all’inferno”. Sebbene il topo porti una collana con il simbolo della pace, sembra essere impegnato a combattere contro la sua condizione di marginalità.
Gangsta Rat 2004 Serigrafia su carta / silkscreen print 50x35 cm Il topo gangster di Banksy fa il verso ai rapper “gangsta” (come viene scritto in gergo urbano) americani degli anni ’90, icone della cultura hip hop che hanno influenzato l’artista nel suo periodo di formazione a Bristol. I topi sono tra i soggetti più frequentati da Banksy che di loro scrive: “Esistono senza permesso. Sono odiati, braccati e perseguitati. Vivono in una tranquilla disperazione tra la sporcizia. Eppure, sono capaci di mettere in ginocchio intere civiltà”. L’artista coglie un parallelismo tra i topi e la condizione dello street artist
a stencil sul finestrone centrale del club londinese Chill Out Zone dove le autorità locali ne chiesero la rimozione in occasione del Golden Jubilee della Regina Elisabetta, per i 50 anni della sua incoronazione. Insieme ai topi, le scimmie sono uno degli animali che l’artista utilizza più spesso per costruire i suoi significati, e sono spesso collegate al potere. Una celebre immagine di Banksy, infatti, rappresenta il parlamento britannico come interamente popolato da scimmie. Banksy ha così commentato questo suo lavoro: “La posizione più alta nella società britannica non è una ricompensa per il talento o il duro lavoro, ma un incidente di nascita... dio salvi la regina”, sottolineando come il compito di prendere decisioni per conto di un popolo non sia esito dell’impegno, ma del caso. È da rilevare come Banksy stesso indossa spesso una maschera da scimmia nei suoi ritratti pubblici.
e in qualche modo ci mette in guardia dalle tranquille moltitudini. I topi di Banksy sono prelevati dall’immaginario di un altro street artist, il francese Blek Le Rat che nel corso degli anni ’80 li dissemina per Parigi con una visione molto simile a quella dell’artista britannico. Il Gangsta Rat di Banksy è seduto accanto a un grande stereo portatile tipico della cultura hip hop denominato “boom-box”. Scarabocchiati sopra il topo, nella grafia dello “style writing” contemporaneo, leggiamo le lettere “P O W”, un riferimento alla print house di Banksy, Pictures On Walls, ma anche alla forma più conosciuta di questo acronimo: Prisoner Of War (prigioniero di guerra). The Banksy gangster rat mimics the American “gangsta” (according to urban jargon) rappers of the 90s, icons of hip hop culture who influenced the artist during his training in Bristol. The rats rank among Banksy’s most depicted subjects, he writes: “They exist without permission. They are hated, hunted and persecuted. They live in quiet desperation amongst the filth. And yet they are capable of bringing entire civilisations to their knees.” The artist captures a parallelism between rats and the condition in which street artists find themselves, which also serves to warn us about passive masses. Banksy’s rats are actually inspired by the vision of fellow street artist, French artist Blek Le Rat who during the 1980s disseminated his rodent inspired artworks throughout Paris with a fashion akin to that of the British artist. Banksy’s Gangsta Rat sits next to a large portable stereo, a typical hip hop accessory also known as a “boom box”. Scrawled above the rat in contemporary “style writing” are the letters “P O W”, a reference to Banksy’s print house, Pictures On Walls, but also to the better known form of this acronym: Prisoner Of War.
Radar Rat 2008 Stampa offset su copertina per vinili / offset litho on record sleeve 31x62 cm
Rubber Ducky 2006 Acrilici su tela / acrylic paint on canvas 91x91 cm Rubber Ducky è il nome con cui i britannici chiamano la paperella da bagnetto. I titoli delle opere di Banksy sono quasi sempre semplici didascalie di quanto rappresentato nell’immagine. Si tratta di un rarissimo dipinto a mano libera realizzato ad acrilico nel 2006. È uno degli anni in cui l’artista produce alcuni dei suoi più noti capolavori, giorni in cui la sua arte viene accolta dalle star di Hollywood che accorrono alla mostra Barely Legal a Los Angeles. La scena rappresenta una paperella in uno scenario da bagno domestico, sotto il pelo dell’acqua, tuttavia, vediamo emergere uno squalo. La metafora è evidente: il pesce grande si è già mangiato tutti i pesci piccoli, e ora si dedica alle paperelle. Banksy è uno dei pochissimi artisti che tratta il tema della protezione dell’infanzia nel crescere in un mondo in cui viene considerata un segmento di mercato, un prodotto del marketing globale. Ancora una volta l’artista produce un’immagine per scuotere la nostra etica, un
soft power iconico che ci sprona al contraltare critico nei confronti della mercificazione senza morale. Rubber Ducky. The titles of Banksy’s works are almost always simple captions of what the image represents – in this case, the child’s bath toy. This is a very rare freehand acrylic painting done in 2006 – one of the years when the artist produced some of his most wellknown masterpieces, days when his art was welcomed by the Hollywood stars flocking to the Barely Legal exhibition in Los Angeles. The scene depicts a duckling in a domestic bath setting; but we see a shark emerging beneath the surface of the water. The metaphor is clear: the large fish has already eaten the little fish, and is now turning its efforts to ducklings. Banksy is one of just a handful of artists who address the issue of protecting childhood growing in a world where it is considered a market segment, a product of global marketing. Once again, the artist produces an image to shake our ethics, an iconic soft power that spurs us towards a critical counterbalance against amoral commodification.
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Monkey Queen 2003 Serigrafia su carta / silkscreen print 50x35 cm Monkey Queen, letteralmente “Regina scimmia”, è un’opera realizzata in serigrafia nel 2004 in edizione da 750 esemplari commercializzati nel corso della mostra Turf War, tenutasi in un magazzino di Kingsland
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Road nella zona est di Londra nell’estate del 2003. In occasione della mostra un dipinto a stencil mostrava l’immagine della regina Elisabetta II con il volto da scimmia, inquadrata in un ovale sullo sfondo della bandiera britannica. Nella versione serigrafica Banksy, pur riprendendo i colori della bandiera britannica, modifica lo sfondo suggerendo la forma di un bersaglio per il tiro. La Monkey Queen è apparsa per la prima volta dipinta
Monkey Queen is an artwork that was published as a series of 750 serigraph editions in 2003 and sold during an exhibition entitled Turf War, which was held in a warehouse in Kingsland Road in East London in the summer of 2003. The exhibition featured a stencilled image depicting Queen Elizabeth II with the face of a monkey, framed in an oval on the background of the British flag. In the serigraph version Banksy, whilst reproducing the colours of the British flag, chose to modify the background to imply a shooting target. The Monkey Queen first appeared stencilled on the central window of the London club Chill Out Zone. Local authorities asked for its removal on the occasion of Queen Elizabeth’s Golden Jubilee on the 50th anniversary of her coronation. Along with rats, monkeys are a recurring animal motif which Banksy uses to construct meanings, serving in addition as an effective critique of power in various works. One particularly famous Banksy artwork represents the British parliament as entirely populated by monkeys. Banksy commented: “The highest position in British society is not a reward for talent or hard work, but a birth accident... God Save the Queen”, emphasising how the task of making decisions on behalf of the people is not a result of commitment, but accident. It should be noted here that Banksy himself often wears a monkey mask in his public portraits.
facoltà degli umani di creare arte. Anche i graffiti, non a caso, sono stati ridicolizzati con modi dispregiativi. Banksy, tuttavia, sostiene che la street art sia uno dei mezzi più potenti di espressione artistica nel discorso contemporaneo. Le parole sul cartello della scimmia suonano come una profezia, annunciando che un giorno gli indesiderati, gli umiliati e gli oppressi sorgeranno sul resto della società, e argomenta così: “Le persone che deturpano i nostri quartieri sono le società che scarabocchiano slogan giganti attraverso edifici e autobus, cercando di farci sentire inadeguati a meno che non compriamo le loro cose”.
Laugh Now 2003 Serigrafia su carta / silkscreen print 70x48,5 cm Laugh Now: “Ridi adesso, ma un giorno saremo noi a comandare”, questo recita il cartello sulla scimmia che appare per la prima volta nel 2002, commissionata da un locale notturno a Brighton. Da allora l’artista ha replicato l’opera innumerevoli volte in forma di street art non commissionata, installazione,
serigrafia e stencil su tela. Nella sua forma serigrafica viene esposta per la prima volta nella mostra Existencilism del 2002 presso la galleria 33 1/3 di Los Angeles. Le scimmie sono un soggetto ricorrente nell’immaginario di Banksy. L’artista sostiene che, dalla pubblicazione dell’Origine della Specie di Charles Darwin (1859), gli umani hanno fatto di tutto per ridicolizzare i loro parenti più stretti. La scimmia di Banksy testimonia l’arroganza dell’umanità nei confronti delle altre specie viventi, proponendo un parallelismo con la
Laugh Now: “Laugh now, but one day we’ll be in charge” is written on the sandwich board hanging around the monkey’s neck, which appeared for the first time in 2002 when it was commissioned by a nightclub in Brighton. Since then, the artist has replicated the work many times as non-commissioned street art, an installation, a silkscreen print and a stencil on canvas. As a silkscreen print, it was displayed for the first time in the 2002 exhibition Existencilism at the 33 1/3 in Los Angeles. Monkeys are a recurring theme in Banksy’s repertoire. The artist believes that, since the publication of Charles Darwin’s On the Origin of Species (1859), humans have done everything to ridicule their closest relatives. Banksy’s monkey attests to the arrogance of humanity towards other species, drawing a parallel between man’s ability to create art. Even graffiti was, not coincidently, ridiculed in disparaging ways. Banksy, however, believes that street art is one of the most powerful forms of artistic expression out there today. The words on the monkey’s sandwich board seem like a prophecy, announcing that one day the undesirables, the humiliated and the oppressed will rise from the ruins of society, and he argues, “The people who truly deface our neighbourhoods are the companies that scrawl their giant slogans across buildings and buses trying to make us feel inadequate unless we buy their stuff.”
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HMV (His Master Voice) 2003 Serigrafia su carta / silkscreen print 35x49 cm “La voce del padrone” è tra le prime immagini elaborate da Banksy, apparsa a Bristol come stencil di varie dimensioni e colori, nello spazio pubblico in forma non commissionata, e successivamente editata come serigrafia. HMV cita, manipolandolo, il logo della casa discografica britannica fondata nel 1920 a seguito delle vendite del grammofono a carica. Il logo originale mostrava un cane seduto di fronte al diffusore del grammofono con cui avrebbe ascoltato la voce del proprio padrone. Banksy si schiera dalla parte del cane che esausto affronta la situazione con un bazooka. La vena umoristica apre lo spazio a diversi piani interpretativi: da una parte ci suggerisce come affrontare modi di pensare obsoleti, dall’altra sottolinea il possibile esito delle tensioni per l’invecchiamento della popolazione occidentale e infine sembra suggerire come comportarsi di fronte a chiunque si definisca un padrone.
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His Master Voice is one of the earliest images made by Banksy, appearing in Bristol as a stencil in various sizes and colours, and later made as a silkscreen print. HMV is a modified allusion to the logo of the British record label founded in 1920 following the advent of wind-up gramophones. The original logo showed a dog looking curiously at a gramophone, listening to its owner’s voice. Banksy transformed the scene so that the dog, exhausted from listening, aims a bazooka at the gramophone. The humorous element to the work is open to various interpretations: on the one hand, it shows us how to confront obsolete ways to thinking, while on the other, it underlines the possible outcome of tensions over the aging western population; it could also suggest how to behave towards anyone who declares themselves to be the owner of something.
Barcode 2004 Serigrafia su carta / silkscreen print 50x70 cm
Mickey Snake 2015 Fibra di vetro, poliestere, resina, acrilici / fibreglass, polyester resin, acrylic 72x82x262 cm
Barcode, spesso chiamata anche Barcode Leopard Tiger, è un’opera creata da Banksy nel 2004 e commercializzata da Pictures On Walls nello stesso anno. È la prima immagine in cui l’artista utilizza il codice a barre, che poi sfrutterà in altre composizioni. Lo stencil è stato realizzato, in forma non commissionata, sul muro di una casa di Pembrock Road a Bristol, in una data imprecisata tra il 1999 e il 2000. L’opera è scomparsa nell’agosto del 2010 durante la ristrutturazione della proprietà, ma è riemersa quattro anni dopo in una scuola nelle vicinanze, dove una delle insegnanti ha rivelato che suo marito era stato uno degli operai sul cantiere. L’insegnante e suo marito riconobbero lo stencil, che doveva essere demolito, come opera di Banksy e ricevettero il permesso dal proprietario della casa di asportare il dipinto. Lo hanno tenuto nascosto sotto il proprio letto per quattro anni, fino a quando non è stato mostrato al pubblico. Un’altra rappresentazione dello stesso stencil è stata esposta durante la mostra Existencilism del 2002 presso la galleria 33 1/3 a Los Angeles.
entertainment multinational has often been the artist’s target for its intent to involve childhood in the representation of a world of fable and unreal rhetoric.
Il serpente che ingoia Topolino, Mickey Snake, è una delle sculture-installazioni presentate da Banksy a Dismaland, l’apocalittico parco a tema temporaneo aperto dall’artista nel 2015 a Weston-SuperMare, sud dell’Inghilterra. Il rapporto tra Banksy e la Disney è antico e controverso, la multinazionale dell’intrattenimento è stata spesso bersaglio dell’artista per il suo intento di coinvolgere l’infanzia nella rappresentazione di un mondo dalla retorica favolistica e irreale. The snake swallowing Mickey Mouse, Mickey Snake, is one of the sculptures-installations presented by Banksy at Dismaland, the apocalyptic temporary theme park opened by the artist in 2015 in Weston-Super-Mare, south of England. The relationship between Banksy and Disney is ancient and controversial, the
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Barcode, often called Barcode Leopard Tiger, was created by Banksy in 2004 and sold by Pictures On Walls that same year. It’s the first image in which the artist used a bar code, a recurring theme in his pieces. The stencil was painted onto the wall of a house on Pembrock Road in Bristol sometime between 1999 and 2000. The work disappeared in August 2010 during renovations to the property, but it came to light four years later in a nearby school, when one of the teachers revealed that her husband was a builder who had worked on the house. The teacher and her husband recognized the stencil, which was marked for destruction, as a Banksy and received permission from the owner of the house to remove it. They kept it hidden under their bed for four years, when it was finally showed to the public. Another version of the same stencil went on display during the exhibition Existencilism, held at the 33 1/3 in Los Angeles in 2002.
Untitled (Bloodhounds) 1998 Spray su tavola / spray paint on heavy board 22,8x71,1 cm Questo dipinto a stencil su tavola del 1998 non ha un titolo ma è noto come Bloodhound. Alcune fonti sostengono sia il primo dipinto mai venduto da Banksy. Il nome Bloodhound è quello che usano i britannici per indicare la razza canina dei segugi, e Bansky usa quest’immagine per criticare quegli artisti, ma più in generale tutti coloro che seguono il sistema piuttosto che metterlo in discussione: da qui i segugi. Il lavoro appare sotto forma di stencil in giro sui muri di Bristol nei primi anni ’90, quando Banksy scrive cose tipo: “La realtà è che i 30 cm del nostro cervello vengono violati ogni giorno da intere squadre di esperti del marketing, perciò i graffiti sono una reazione proporzionata contro chi ci vende obiettivi irrealizzabili, in questa società ossessionata dallo status e dal terrore del fallimento”. Il dipinto è uno dei primissimi stencil di Banksy: essenziale, monocromo, accompagnato nelle versioni stradali dalla seguente citazione del regista britannico
David Terence Puttnam: “Da nessuna parte troverete una statua di un critico o la biografia di un comitato”. Although untitled, this painting stencilled on wood in 1998 but is known as Bloodhound. Some sources maintain it is the first painting Banksy ever sold. With this imagery, Banksy criticizes those artists, but more generally all those who follow the system rather than question it, just as the Bloodhound tracks a scent. The work appeared in the form of a stencil on walls around Bristol in the early 1990s, when Banksy was writing things like: “…in reality, the 30 square centimeters of your brain are trespassed upon every day by teams of marketing experts. Graffiti is a perfectly proportionate response to being sold unattainable goals by a society obsessed with status and infamy.” The painting is one of Banksy’s very first stencils: essential, monochrome, accompanied in the street versions by the following quotation from British director David Terence Puttnam: “Nowhere in the world will you find a statue of a critic, or the biography of a committee.”
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povertà. Ogni giorno centinaia di persone sono sottoposte a dolore fisico da idioti che alle mostre d’arte gli parlano di quanto sia brutto il mondo senza tuttavia fare davvero qualcosa al riguardo. Qualcuno vuole un bicchiere di vino gratis?”.
Heavy Weaponry 2003 Spray su tela, firmata AP 01/03 / spray paint on canvas, signed AP 01/03 30x30 cm Il titolo del dipinto è Heavy Weaponry, che significa Artiglieria Pesante. Banksy raffigura un elefante con un missile nucleare posizionato sul dorso. Si tratta di una composizione che appare nel repertorio banksiano sin dagli esordi. Negli anni ’90 questo stencil era visibile in giro per i muri di Bristol, a volte accompagnato dalla scritta “What part of thermo-nuclear war don’t you understand?” (quale parte di guerra termonucleare non capisci). Per comprendere l’uso dell’elefante è necessario riconoscere che l’elefante nella stanza è un’espressione tipicamente anglosassone, usata come metafora per indicare un problema evidente che tutti ignorano. Banksy lo ha dipinto in molte versioni, le prime avevano sullo sfondo un codice a barre con il testo “London, New York, Bristol”, ovvero, i nomi delle città in cui aveva dipinto.
L’immagine è diventata anche un suo logo, alcune delle serigrafie riportano l’immagine dell’elefante nel timbro a secco che marca l’opera. L’artista utilizza a piene mani gli animali nella sua rappresentazione del mondo: scimmie, topi, papere, squali, tutte metafore di precise identità sociali che operano nel mondo. Banksy sembra particolarmente interessato alla figura dell’elefante. In un suo intervento del 2005 nello zoo di Barcellona, entra nel recinto dell’elefante e scrive su un muro “boring, boring, boring” (mi annoio, mi annoio, mi annoio) e “keeper smells” (il guardiano puzza). Nella sua mostra Barely Legal a Los Angeles del 2006, ad attendere gli ospiti vip è Tai, un’elefantessa indiana di 38 anni dipinta con un motivo da carta da parati. In quest’occasione Banksy usa l’elefante per calare nella realtà una metafora visiva con un preciso scopo. Riporta quanto segue: “C’è un elefante nella stanza. C’è un problema di cui non parliamo mai. Il fatto è che la vita non sta diventando più giusta. 1,7 miliardi di persone non ha accesso all’acqua potabile. 20 miliardi di persone vivono sotto la soglia di
In Heavy Weaponry, Banksy depicts an elephant with a nuclear missile positioned on its back – a composition that has appeared in the Banksian repertoire since the beginning. In the 1990s, this stencil was visible on walls around , at times accompanied by the words “What part of thermo-nuclear war don’t you understand?”. The elephant is an allusion to the expression “an elephant in the room,” referring to an obvious problem that everyone ignores. Banksy painted it in many versions. The first ones had a barcode in the background, with the text “London, New York, Bristol” – that is, the names of the cities where he had painted. The also became one of his logos; some of the screen prints show the elephant’s image in the engraved stamp marking the work. The artist makes full use of animals in his depiction of the world: monkeys, rates, ducks, sharks – all metaphors for specific social identities operating in the world. Banksy appears particularly interested in the figure of the elephant. In a 2005 action of his at the Barcelona zoo, he entered the elephant cage and wrote “boring, boring, boring” and “keeper smells” on the wall. In his Barely Legal exhibition in Los Angeles in 2006, the VIP guests were welcomed by Tai, a 38-yearold Indian elephant painted with a wallpaper pattern. On this occasion, Banksy used the elephant to bring a visual metaphor into the world of reality, with a precise purpose, saying: “There’s an elephant in the room. There’s a problem we never talk about. The fact is that life isn’t getting any fairer. 1.7 billion people have no access to clean drinking water. 20 billion people live below the poverty line. Every day hundreds of people are made to feel physically sick by morons at art shows telling them how bad the world is but never actually doing something about it. Anybody want a free glass of wine?”
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Eph em e Influences and
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Illustrazioni per dischi / Illustrations for record sleeves 46 copertine per vinili da 12” / 3 copertine per vinili da 7” / 12 copertine per cd 46x12” record sleeves / 3x7” record sleeves / 12 CD sleeves
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1. One Cut – “Cut Commander” – 12” EP on Jamie Eastman’s Hombré label, released in 1998. Banksy and Jamie were friends and Banksy moved to London with Eastman in 1998. One Cut was a trio made up of REDS, Risky Biz and Masterchef. 2. Capoeira Twins – “Four (4 x 3) / Truth Will Out” – promotional 12” single in a limited
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edition of 100 copies with cover spray painted by Banksy, released on John Stapleton’s Blowpop Record label in 1999. One Cut – “Hombrémix” – Remix album only released on CD in 1999 on the Hombré label. One Cut – “Armour Plated, X-rated” – Promotional CD, released in 2000, or One Cut’s album ”Grand Theft Audio”. The CD has a different track order from the finally released LP. One Cut – “Grand Theft Audio” – Double LP, released in 2000. One Cut – “Mr. X / Rhythm Geometry” 12” EP, released in 2000.
7. One Cut – “Underground Terror Tactics” – 12” EP, released in 2000. 8. Monk & Canatella – “Do Community Service” – Trip hop CD, released in 2000 by Bristol duo Simon Russell and Jim Johnson under the name Monk & Canatella. 9. Various Artists – “We Love You... So Love Us” – Released on the Wall of Sound label that would replace Hombré as Banksy’s preferred label in 2000. It was released on CD and as a limited edition LP (1000 copies). 10. Dynamic Duo / Nasty P – “Skateboards” – A promotional four-track CD released
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in 2000 to advertise Clown Skateboards with two tracks each by Dynamic Duo (Niall Dailly, Bryan Jones) and Nasty P (Paul Rutherford). The cover shows Banksy’s “Insane Clown”. 11. Dynamic Duo – “Styles by the Dozen” – 12” EP with Banksy’s “Insane Clown” motif on the label. 12. Various Artists compilation – “We Love You... So Love Us Too” – CD compilation on the Wall of Sound label with Banksy’s “Cop Under Fire” image. Released in 2000. 13. Various Artists – “We Love You... So Love Us Too” – Four-track compilation 12” EP with the same Banksy image as the CD on the label. 14. Roots Manuva – ”Yellow Submarine” – 2001 single-sided 12” single on the Ultimate Dilemma label by Roots Manuva (a.k.a. Rodney Hylton Smith). 15. Skitz – “Badmeaningood, Vol 1” – 2002 compilation double LP by Skitz (a.k.a. Joe Cole) of remixes. 16. Roots Manuva – “Badmeaningood, Vol 2” – 2002 compilation double LP of remixes. 17. Blak Twang – “Kik Off” – 2002 LP with cover design by Banksy by Tony Olabode under the moniker Blak Twang. 18. Blak Twang – “Kik Off” – 12” single from the “Kik Off” album with different Banksy design from the LP. 19. Blak Twang – “Trixtar” – 2002 12” single. 20. Blak Twang – “Trixstar (Remix) feat. Estelle” – 2002 remix of Blak Twang’s “Trixstar” single. 21. Blak Twang – “So Rotten” – 12” EP, released in 2002. 22. Röyksopp – “Melody A.:M:” Promotional double LP with cover image sprayed by Banksy. Released by Wall of Sound Records in 2002 in a numbered, limited edition of 100 copies. The first few were sprayed with dark green paint, while the later ones were sprayed with a paler green. 23. Blur – “Think Tank” – 2003 double LP with cover art commissioned by Parlophone Records, Banksy’s first designs for a major label. 24. Blur – “Think Tank” – 2003 promotional CD in card sleeve hand stamped with Banksy’s “Petrolhead” character. 25. Blur – “Think Tank” – 2003 promotional fourtrack 12” EP with the “Petrolhead” image stamped on the record label. 26. Blur – “Out of Time” – One of three limited edition vinyl 7” singles released from the “Think Tank” album with new Banksy design. This one on black vinyl. 27. Blur – “Crazy Beat” – The second limited
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edition 7” single from the “Think Tank” album. Released in 2003 on red vinyl. 28. Blur – “Good Song” – the third limited edition 7” single from the “Think Tank” album also released on red vinyl. 29. Blur – “The Observer” – Promotional fivetrack CDEP that accom-panied the Observer newspaper on Sunday 21st September 2003. 30. Various Artists compilation – “Off the Wall: Ten Years of Wall of Sound” – 2003 tripple LP with gatefold cover showing some of the artist who recorded for the label. It is said that it is Banksy himself on the cover with his back to the photographer while spraying the wall. 31. Scratch Perverts – “Badmeaningood, Vol 3” – Double LP from 2003 on the Ultimate Dilemma label by Scratch Perverts (a.k.a. Prime Cuts and Tony Vegas). 32. Peanut Butter Wolf – “Badmeaningood, Vol 4” – another double LP of remixex by Chris Manak (a.k.a. Peanut Butter Wolf). Released in 2003 on the Ultimate Dilemma label. 33. Various Artists compilation – “We Love You... So Love Us Three” – A Wall of Sound compilation CD released 2004. 34. Various Artists compilation – “Peace Not War” – A CD in a card cover that accompanied the magazine “The Big Issue” in February 2004 to advertise the Peace Not War Festival that month. The cover features Banksy’s “Girl Hugging a Bomb”. These CDs were all sellotaped to the magazine. 35. Benjamin Zephaniah – “Naked” – Digipak CD with booklet showing many of Banksy’s original designs. 36. Dirty Funker – “Let’s Get Dirty” – 12” remix of The Knack’s 1979 single “My Sharona” with front cover image of Banksy’s portrait of Kate Moss against a red background and against a green background on the reverse. The first pressing, released in 2006 had no artist or record title on the cover. Dirty Funker is DJ Paul Glancy. 37. Dirty Funker – “Let’s Get Dirty” – The second pressing (2006) has the artist and title on Dymo strips across Kate’s eyes on the front cover and across her mouth on the rear cover. The second pressing is more common than the first. 38. Banksy & DangerMouse – “Paris Hilton” – Banksy redesigned the cover of Paris Hilton’s 2006 CD “Paris” to make her appear bare-breasted and added satirical comments inside the CD booklet, while DangerMouse recorded new music for the CD. Five hundred copies were placed in HMV stores all across the British Isles. This is one of the original 500 copies on
CD-Rom. There was a second edition of 1000 copies pressed on proper CDs. 39. Talib Kweli & Mad Lib – “Liberation” – 2007 LP with Banksy’s “Flag” image. 40. Me&You – “Floating Heavy Edits” – TM Juke and Robert Luis a k a Me&You remix four songs on this 12” EP from 2007. The label uses Banksy’s “Grannies – Punk’s Not Dead” print. 41. Danger Mouse – “From Man to Mouse” – This unofficial double LP from 2007 that uses a modified “What Are You Looking At?” Banksy design which he made for Danger Mouse. 42. Dirty Funker – “Future” – five limited edition covers for his 2008 EP “Future” showing Banksy’s “Radar Rat” with the ripples in different colours on white, frey or brown covers. 43. Banksy – “The Banksy Years” – Limited edition (1000 copies) interview album released in 2008. 44. Queen & Cuntry – “Don’t Stop Me Now” – Unofficial, limited edition 12” single covering Queen’s “Don’t Stop Me Now” With Banksy’s “Queen Victoria” on the cover. 45. Kate Bush (Ashley Beedle Remix) – “Running Up That Hill”. Unofficial, singlesided 12” single with Banksy’s “Good Song” design. 46. Hot Chile / Anarchist – “Sin Da Da Da / Anarchy 2008” – 12” split single from 2008 with Banksy’s “Rage-Flower Thrower” on one side and “Radio Mouse” on the reverse. 47. Dirty Funker – “Flat Beat” – Unofficial, limited edition 12” single from 2009 with Banksy’s “Happy Choppers” on a blue background on the front and against a yellow background on the reverse. 48. Danger Mouse – “Keep It Real / Laugh Now” – Unofficial, limited edition 12” single with four different colour variations; gold, silver, brown and green. 49. Danger Mouse – “Keep It Real / Laugh Now” – Promotional 12” single with plain white background. 50. Terrance K – “Hot Line” – Digital only release EP from 2013 showing Banksy’s “Massacred Telephone box”. This is a digital reproduction of the cover image. 51. Junichi Masuda – “Pokèmon” – 12” test pressing of his “Pokèmon” LP using Banksy’s “Rage-Flower Thrower image, but throwing a Pokèmon ball instead of flowers. Limited edition of 100 copies. 52. Boys in Blue – “Funk tha Police” – Unofficial, limited edition 12” single with Banksy’s “Rude Copper” image on the cover. 100 unnumbered copies.
Precision Bombing (t-shirt)
Visit Historic Palestine comes from the Walled Off Hotel opened in Palestine by Banksy in March 2017. Hotel’s name sounds like the famous Waldorf luxury hotel and consists in a small venue in Bethlehem, in front of which Israel government build a wall to separate Israel from Palestinian territories, contributing to give the hotel “the worst view in the world”, a slogan with which the artist publicizes his initiative. The hotel contains works by Banksy and other artists, themed rooms, a souvenir shop where you can buy the poster and a shop where you can buy paint and tools to make your own street art.
1999 Serigrafia su t-shirt / silkscreen on t-shirt 60x45 cm
Ghetto Superstore 1999 Serigrafia su t-shirt / silkscreen on t-shirt 60x45 cm
T-shirt Dismaland 2015
Visit Historic Palestine 2017-2018 Stampa offset su carta / offset lithography on paper 60x42 cm Visit Historic Palestine proviene dal Walled Off Hotel aperto in Palestina da Banksy nel marzo 2017. Il nome dell’hotel significa letteralmente “hotel murato fuori” e fa il verso alla celebre catena di hotel di lusso Waldorf. Si tratta di una piccola
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pensione di Betlemme, davanti alla quale è stato innalzato il muro di separazione tra Israele e i territori palestinesi contribuendo a dare all’hotel “la peggiore vista al mondo”, slogan con cui l’artista pubblicizza la sua iniziativa. L’hotel contiene opere di Banksy e altri artisti, stanze a tema, un negozio di souvenir dove è possibile acquistare il poster e uno shop dove comprare materiale per fare street art.
Black Books 2001-2004 Tra il 2001 e il 2004 Banksy pubblica tre piccoli volumi noti come black books. Il titolo del primo volume del 2001 è Banging Your Head Against a Brick Wall (sbattendo la tua testa contro un muro di mattoni), nel quale in seconda di copertina si legge una vera e propria dichiarazione d’intenti: “the quickest way to the top of your business is to turn it upside down” (il modo più veloce di arrivare in cima ai tuoi affari è di capovolgerli). Nel 2002, in occasione dell’omonima mostra presso la 33 1/3 Gallery di Los Angeles, pubblica Existencilism: un volume dedicato “a tutti coloro che nutrono un disprezzo viscerale per il buon senso”. Nel 2004 pubblica, infine, Cut It Out che dedica a Casual T, musicista e produttore americano. I tre volumi contengono immagini, ma anche testi, aforismi, poesie, favole e in generale il pensiero dell’artista.
common sense”. In 2004, he published Cut It Out, dedicated to Casual T, the American musician and producer. The three books contain images, text, aphorisms, poems, fairy tales and the artist’s general thoughts.
Heavy Weaponry 1999 Serigrafia su t-shirt / silkscreen on t-shirt 60x45 cm
Between 2001 and 2004, Banksy published three small volumes known as Black Books. The title of the first volume, released in 2001, is Banging Your Head Against a Brick Wall, its cover featuring a declaration of his intentions: “the quickest way to the top of your business is to turn it upside down”. In 2002, for the namesake exhibition at the 33 1/3 in Los Angeles, he published Existencilism, dedicated to “all people with a vicious disregard for
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“TV has made going to theater seem pointless, photography has pretty much killed painting, but graffiti has remained gloriously unspoilt by progress”. As documented by Banksy himself, the intervention lasts eight days. Museum staff notices the intruder, remove the piece and store it in museum’s warehouses. Banksy will comment: “now it is housed in the permanent collection”. Thirteen years later, in May 2018, British Museum curator Ian Hislop organizes an exhibition about story of dissent, subversion and satire. For the occasion, Banksy is asked to exhibit the piece and produce a celebratory postcard, Banksy authorizes. Peckham Trolley card is sold out in a few days.
Peckham Trolley, Postcard 2016-2017 Stampa offset su legno sagomato / offset litho on shaped board 12x18 cm Nel 2005 Banksy si introduce come visitatore al British Museum per installare abusivamente sul muro del museo un pezzo di cemento con disegnato a pennarello una figura umana che spinge un carrello per la spesa. Proprio come fosse un reperto del museo, l’artista colloca una didascalia che recita: “Arte Murale. Londra Est. Questo esemplare straordinariamente ben conservato di arte primitiva risale all’era Post Catatonica e si ritiene che raffiguri l’uomo primitivo mentre si avventura verso i territori di caccia fuori città. L’autore è noto per aver creato un consistente numero di opere nel Sud Est dell’Inghilterra con lo pseudonimo Banksymus Maximus, tuttavia di lui si conosce poco altro. Purtroppo, la maggior parte di questo tipo di arte non è sopravvissuta. È stata perlopiù distrutta da zelanti funzionari municipali incapaci di riconoscere il merito artistico e storico di imbrattare i muri”. Nel libro Wall and Piece, l’artista accompagna così le immagini che documentano questa azione: “La tv ha fatto sembrare inutile andare a teatro, la fotografia ha praticamente annientato la pittura, mentre i graffiti sono stati gloriosamente risparmiati dal progresso”. Come documentato da Banksy stesso, l’intervento dura otto giorni.
Keep Back 1999 Serigrafia su t-shirt / silkscreen on t-shirt 60x45 cm
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Il personale si accorge dunque dell’intruso che viene rimosso e conservato nei magazzini del museo, Banksy commenterà: “ora è ospitata nella collezione permanente”. Tredici anni dopo, nel maggio 2018, il British Museum affida al curatore Ian Hislop l’organizzazione di una mostra che racconti una storia del dissenso, sovversione e satira. Per l’occasione viene chiesto a Banksy di poter esporre Peckham Trolley e produrre una cartolina celebrativa, Banksy autorizza. La cartolina posta in vendita, viene esaurita in pochi giorni. In 2005 Banksy introduced himself as a visitor to British Museum to illegally install on a wall a piece of cement drawn with a felt-tip pen depicting a primitive man pushing a supermarket trolley. Just like other museum pieces, the artist places a caption: “Wall art. East London. This finely preserved example of primitive art dates from the Pots-Catatomic era and is thought to depict early man venturing towards the out-of-town hunting grounds. The artist responsible is known to have created a substantial body of work across South East of England under the moniker Banksymus Maximus but little else is known about him. Most art of this type has unfortunately not survived. The majority is destroyed by zealous municipal officials who fail to recognize the artistic merit and historical value of daubing on walls”. In the book Wall and Piece, Banksy accompanies images documenting the action:
Banksy Vs Bristol Museum poster 2009 Stampa offset su carta / offset print on paper
Self-Portrait
Rodeo Girl poster
2010 Stampa offset su carta / offset litho on paper 66x51 cm
2008 Stampa offset su carta / offset litho on paper 70x50 cm
Banksy Vs Bristol Museum poster 2009 Stampa offset su carta / offset print on paper
Banksy Vs Bristol Museum poster 2009 Stampa offset su carta / offset print on paper
Er... 2015 Stampa su tovaglia da tè / print on linen teacloth 40x60 cm
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Welcome (Gros Domestic Product) 2019 Mixed media / mixed media 64x42 cm Il lavoro consiste in uno zerbino su cui è stata cucita la scritta “welcome” (benvenuto) utilizzando il materiale con cui sono realizzati i giubbotti di salvataggio in mare. Lungo la bordatura nella parte posteriore, sono cucite le cordure che sostengono le fibbie per poterlo usare come giubbotto. Si tratta di un multiplo in edizione limitata, realizzato in collaborazione con Love Welcoms, un’azienda digitale che commercializza, con un’estetica contemporanea, oggetti realizzati da rifugiati nei campi profughi o da artigiani in territori di guerra. Il lavoro è stato messo in commercio nel 2019 con la solita modalità sorprendente: a ottobre 2019 Banksy realizza una performance dal titolo Gross Domestic Product (Prodotto interno lordo); affitta un negozio in disuso nel quartiere londinese di Croydon per esporre in vetrina una serie di oggetti, tra questi lo zerbino; dopodiché lancia un sito web che chiama, appunto, Gross Domestic Products, dove è possibile acquistare gli oggetti in questione. O meglio, è possibile iscriversi a una lotteria dalla quale saranno estratte le persone che poi potranno acquistare gli oggetti. Alcuni dei fortunati che hanno partecipato alla lotteria e hanno avuto la possibilità di acquistare le opere, le hanno poi messe in vendita per realizzare un profitto
(ed è ciò che accade poiché Banksy mette in vendita al pubblico le sue opere molto al di sotto del prezzo di mercato). Questo lavoro proviene da un anonimo acquirente estratto a sorte, di certo non un collezionista ma un tipico fan di Banksy. Rompendo la dicotomia collezionismo e ricchezza, Bansky scardina questa consuetudine, con nuove posizioni e ruoli in un mondo che va ripensato a fondo. Quasi superfluo sottolineare il contenuto di Welcome, ovvero, il fenomeno delle migrazioni lungo la rotta del mediterraneo, parlando di chi abbandona la propria casa e la propria memoria domestica. Banksy, non limitandosi alle azioni concettuali, ha acquistato una ex nave da guerra francese che ha armato per eseguire attività di soccorso in mare lungo le rotte critiche del mediterraneo. La nave si chiama Louise Michel, in memoria di una storica attivista francese; sulla fiancata la più popolare bambina di Banksy trattiene un salvagente e non più un palloncino a forma di cuore. The work consists of a mat stitched with the word “welcome” using the material with which life vests are made. The straps supporting the buckles are sewn along the rear edging, so it can be used as a life vest. This limited-edition multiple work was done in collaboration with Love Welcomes, a digital company that, with a contemporary aesthetic, markets objects made by refugees in refugee camps, or by craftspeople in war zones. The work was marketed in the usual
surprising way: in October 2019, Banksy had a performance titled Gross Domestic Product, renting an unused shop in ’s Croydon neighbourhood to display a series of items, including the mat, in the window; he then launched a website called Gross Domestic Products, where the items in question could be purchased. Or more accurately, users could enter a lottery from which the people who could then purchase the items would be drawn. Some of the lucky lottery winners who had the opportunity to purchase the work put them up for sale to make a profit (and this is what happens, because Banksy sells his work to the public far below market prices). This work is from an anonymous, randomly drawn purchaser – not a collector but a typical Banksy fan. By breaking the collecting/wealth dichotomy, Bansky demolishes this custom with new positions and roles in a world to be deeply rethought. The content of Welcome barely needs explaining: the phenomenon of migrations along the Mediterranean route, addressing those who abandon their homes and their domestic memory. Not limiting himself to conceptual actions, Banksy purchased a former French warship which he refitted to carry out rescue activities at sea along the critical Mediterranean routes. The ship is called Louise Michel, in memory of a historic French activist; its flank is painted with Banksy’s most popular girl holding a heart-shaped safety float, and no longer a balloon.
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T-shirt Catalog 1999 Stampa offset su carta, rilegato / printed booklet 21x14,8 cm
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L’esibizione delle opere di Banksy oscura completamente il concetto della mostra, così come tutti gli altri artisti partecipanti, agli occhi dei media. Quasi nessun accenno a Brad come autore, così come alle questioni sollevate dal suo lavoro, riguardanti i meccanismi del mercato dell’arte e la natura dell’indipendenza artistica. Le richieste per acquistare le opere di Banksy giungono numerose alla Galleria Bethanien. Nella serata finale della mostra, Brad Downey interviene nuovamente: distrugge una delle opere, lasciando solo un mucchio di gesso, pittura e parti di muro – insomma, un mucchio di spazzatura, che fino a quel momento portava le tracce di un’opera d’arte ambita e apprezzata. Inoltre, ritaglia tre parti del muro, in base alla posizione dei dipinti del 2003, tenendole nascoste da allora. Nel 2019, dal suddetto mucchio di spazzatura, ricostruisce l’opera Flying Copper. E quest’anno, per la prima volta in assoluto, possiamo vedere le fotografie iperspettrali dell’opera di Banksy del 2003, prodotte con l’aiuto del Centro di restauro di Lubiana e dell’Istituto Jožef Štefan. Testo di Karlo Hmeljak
Brad Downey, Toxic Mary 2003-2020 Fotografia iperspettrale, gesso, cemento, pittura, lightbox, trasparenza, vetro / hyperspectral photography, plaster, concrete, paint, light-box, transparency, glass 151x231x25 cm
Brad Downey, Diver 2003-2020 Fotografia iperspettrale, gesso, cemento, pittura, lightbox, trasparenza, vetro / hyperspectral photography, plaster, concrete, paint, light-box, transparency, glass 151x231x25 cm
Brad Downey, TV Girl 2003-2020 Fotografia iperspettrale, gesso, cemento, pittura, lightbox, trasparenza, vetro / hyperspectral photography, plaster, concrete, paint, light-box, transparency, glass 151x231x25 cm
Brad Downey, Flying Copper 2003-2019 Gesso, cemento, legno, resina, pittura, terra, colla / plaster, concrete, wood, resin, paint, dirt, glue 306x196 cm Nel 2003 Brad Downey viene invitato a una mostra sulla Street Art presentata presso il
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Kunstraum Kreuzberg/Bethanien di Berlino: è la sua prima visita in Europa. La mostra comprende anche opere di Bansky, all’epoca ancora poco conosciuto. Quando nel 2011 viene invitato dalla stessa galleria a partecipare alla mostra di gruppo Do Not Think, intraprende un progetto di restauro per riportare alla luce le opere di Banksy, celate sotto numerosi strati di pittura dei successivi anni.
In the year 2003 Brad Downey is invited to the Street Art exhibition at the Berlin’s Kunstraum Kreuzberg/Bethanien, his first ever visit to Europe. The exhibition also included Banksy, who is then not yet famously infamous. In the year 2011, when he is invited to participate in the group exhibition Do Not Think at the same gallery, he embarks on a restoration project to uncover the works of Banksy, hidden under the many years of subsequent paint. The uncovering of Banksy’s works completely overshadows the concept of the show and all other participating artists in the media reports. Brad’s authorship goes largely unmentioned, as do the questions raised by his work, regarding the workings of the art market and the nature of artistic independence. Many requests for acquisition of Banksy’s work are sent to Gallery Bethanien. On the final night of the exhibition Brad Downey performs another intervention: he destroys one of the works and leaves behind only a pile of plaster, paint, and parts of the wall – in short, a pile of trash that once carried the traces of the suddenly coveted and valued work of art. In addition, he cuts out three parts of the wall based on the location of the paintings from the year 2003 and keeps them hidden ever since. In the year 2019 he reconstructs the work Flying Copper from the aforementioned pile of trash. And this year, for the first time ever in public view, we can see the hyperspectral photographs of Banksy’s work from the year 2003, produced with the help of the Ljubljana Restoration Centre and the Jožef Štefan Institute. Text by Karlo Hmeljak
ACKNOWLEDGEMENTS OF LENDERS
1. Jack & Jill (Police Kids), 2005, Collezione privata
37. Gangsta Rat, 2004, Collezione privata
2. Grannies, 2006, Collezione privata
38. Radar Rat, 2008, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/25
3. Grenade, 1999, London (UK), Collezione privata
39. Rubber Ducky, 2006, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/07
4. Bomb Middle England, 2002, Collezione privata
40. Monkey Queen, 2003, Collezione privata
5. Weston Super Mare, 2003, Collezione Roberto Simeone
41. Laugh Now, 2003, Collezione privata
6. Napalm (Can’t beat that feeling), 2004, Collezione privata
42. HMV (His Master Voice), 2003, Collezione privata
7. Napalm. Serpentine edition, 2006, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/16
43. Mickey Snake, 2015, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/30
8. Festival (Destroy Capitalism), 2006, Collezione privata
44. Barcode, 2004, Collezione privata
9. L ying to the Police is Never Wrong, 2007, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/13
45. Untitled (Bloodhounds), 1998, Bristol (UK), Robert Clarke
10. Bunny in Armoured Car, 2002, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/01
47. Illustrations for record sleeves, Stoccolma (Svezia), Richard Forrest Collection of Record Cover Art
11. Happy Choppers, 2003, Collezione privata 12. CND Soldiers, 2005, Collezione privata 13. Sale Ends Today, 2007, Collezione Roberto Simeone 14. Golf Sale, 2003, Collezione privata 15. Dismaland print, 2015, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/14 16. Walled Off Hotel Box Set, 2017, Collezione privata 17. Soup can, 2005, Collezione privata 18. Soup Can (Quad), 2006, Genova, Collezione privata 19. Girl with Balloon, 2004-2005, Collezione privata
46. Heavy Weaponry, 2003, Collezione privata
48. Precision Bombing (t-shirt), 1999, London (UK), Collezione Andipa 49. Ghetto Superstore, 1999, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/17 50. T-shirt Dismaland, 2015, Collezione privata 51. Visit Historic Palestine, 2017-2018, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/34 52. Black Books, 2001-2004, Collezione privata
20. Love is in the air, 2002, UK, Collezione privata
53. Heavy Weaponry, 1999, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/19
21. Love Is In The Air (Flower Thrower), 2003, Collezione privata
54. Keep Back, 1999, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/18
22. Nola, 2008, Genova, Collezione privata Stefano Agnese 23. Rude Copper, 2002, Collezione privata
55. Peckham Trolley, Postcard, 2016-2017, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/27
24. Queen Vic, 2003, Collezione privata
56. Banksy Vs Bristol Museum poster, 2009, Collezione privata
25. Bomb Love (Bomb Hugger), 2003, Collezione privata
57. Banksy Vs Bristol Museum poster, 2009, Collezione privata
26. Virgin Mary (Toxic Mary), 2003, Collezione privata
58. Banksy Vs Bristol Museum poster, 2009, Collezione privata
27. Pulp Fiction, 2004, Collezione privata
59. Self-Portrait, 2010, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/28
28. Turf War, 2003, Collezione privata
60. Rodeo Girl poster, 2008, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/26
29. Family Target, 2003, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/32 30. Flying Copper, 2003, Collezione privata 31. I Fought the Law, 2004, Collezione privata 32. Cloud DJ, 1998-1999, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/09 33. Rodeo Girl, 2008, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/15 34. Di-Faced Tenners, 2004, Collezione privata 35. Love Rat, 2004, Collezione privata 36. Get Out While You Can, 2004, Collezione privata
61. Er..., 2015, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/29 62. Welcome (Gros Domestic Product), 2019, Collezione privata 63. T-shirt Catalog, 1999, Brentwood (UK), John Brandler, BGi/08 64. Toxic Mary, 2003-2020, Courtesy Brad Downey 65. Diver, 2003-2020, Courtesy Brad Downey 66. TV Girl, 2003-2020, Courtesy Brad Downey 67. Flying Copper, 2003-2019, Courtesy Brad Downey
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