JULIAAN LAMPENS: il paesaggio interno

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JULIAAN LAMPENS il paesaggio interno



JULIAAN LAMPENS il paesaggio interno

POLITECNICO DI MILANO scuola di architettura e società corso di laurea in architettura ambientale anno accademico

relatore:

2014/2015

ALESSANDRO DE MAGISTRIS

tesi di laurea di

ANDREA LIGATO


1_Juliaan Lampens


INDICE • Introduzione: perché Juliaan Lampens • Biografia • Gli studi e il disegno • Costruire in Belgio dopo la II Guerra Mondiale • La casa in Belgio • Expo 58 “Review of the world with a view to a more human world” • Gli anni ‘60, la svolta verso l’architettura moderna • Juliaan Lampens e i Maestri del Modernismo • High level precise Brutalism • Il Paesaggio Interno • Riscoperta ed eredità • Progetti • Casa Lampens - Van Hove • Notre Dame de Kerselare • Casa Vandenhaute - Kiebooms • Casa Van Wassenhove • Intervista a Jo Van Den Berghe • Conclusione • Note • Regesto delle opere • Indice delle illustrazioni • Bibliografia

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INTRODUZIONE L’architettura di Juliaan Lampens ha generato in me una forte curiosità, fin dal primo momento in cui ne sono venuto a conoscenza. Questa “scoperta” è stata in realtà del tutto casuale, ma una volta avuto un piccolo assaggio della sua opera durante una lezione, è nato in me il desiderio di approfondire questa figura misteriosa, lontana dalla narrazione storiografica tradizionale e da qualsiasi altra cosa avessi visto finora nei miei anni da studente d’architettura. L’espressività materica e in particolare i suoi open-plan sono gli elementi che più mi hanno colpito dell’architetto belga, e proprio questo secondo punto è quello su cui ho cercato di soffermarmi maggiormente, facendone un’analisi prima a livello generale, ed enfatizzandolo poi nello studio delle sue case più famose. Nella prima parte della tesi, ho studiato il contesto, sia a livello Nazionale che Regionale, in cui Lampens è cresciuto e ha mosso i suoi primi passi da architetto; in un Paese singolare come il Belgio, è stato fondamentale analizzare le questioni politiche, culturali e sociali che tanto hanno influenzato e influenzano tuttora la storia dell’architettura di questa piccola Nazione europea, per lo più assente dalla storiografia didattica. Ho scelto invece di soffermarmi di meno su ciò che avveniva nel resto dell’Europa, all’epoca centro del Modernismo, poiché Juliaan Lampens viene sempre descritto come una figura schiva, restia al viaggiare, e pertanto il suo approccio verso i suoi colleghi stranieri contemporanei e i grandi Maestri del tempo, può essere interpretato come superficiale e basato principalmente su riviste d’architettura. Questo approccio conservatore contrasta sicuramente con la sua pratica architettonica, e quella che si delinea fin dall’inizia è quindi la figura di una persona piena di contraddizioni.

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BIOGRAFIA Juliaan Lampens nasce nel 1926 a De Pinte, una cittadina delle Fiandre Orientali, vicino a Gand. Fin da piccolo manifesta un eccezionale talento per il disegno, tanto da portarlo a sognare un futuro come pittore; lo stesso professore consiglia al padre, un carpentiere da cui eredita uno spiccato senso per l’attività pratica, di iscrivere il giovane Juliaan alla scuola d’arte. Lampens viene così iscritto alla Scuola di Belle Arti di Sint-Lucas a Gand nel 1940, sebbene non nel corso di Pittura ma in quello di Disegno architettonico. Questo corso gli offrirà un’educazione decisamente tradizionale, ancora legata allo stile Neo-Gotico, le lezioni di disegno a mano libera erano considerate le più importanti ed erano indirizzate a far apprendere appieno le forme e le proporzioni del Gotico e di altri stili tradizionali; agli studenti veniva richiesto giornalmente di eseguire schizzi di facciate di edifici storici di Gand. Come si può immaginare, anche gli esercizi di progettazione avevano fortemente a che fare con lo stile Gotico, solo negli ultimi anni di corso erano permesse timide sperimentazioni con forme pseudo moderne. Lampens ha così la possibilità di conoscere a fondo, tramite l’attenta osservazione e il disegno, il centro storico di Gand e la sua architettura, ma al contempo acquisisce una cultura architettonica limitata e che prende in considerazione la modernità solo in minima parte. In quegli stessi anni il Belgio viene invaso dall’esercito tedesco e la città di Gand viene occupata, le truppe naziste si insediano alla Sint-Lucas; in questo periodo nell’istituto le pubblicazioni in inglese e francese vengono sostituite da libri tedeschi, riguardanti l’architettura monumentale promossa dal regine nazista e l’architettura tradizionale tedesca. Solo con la liberazione della città nel 1944 e la fine della guerra ricompaiono nella Scuola le pubblicazioni straniere, senza però riuscire a sbilanciare l’istruzione verso una prospettiva più moderna e internazionale, verso la quale è ancora presente un certo scetticismo. Questo rifiuto è in gran parte dovuto, nelle cattoliche Fiandre, alla convinzione per cui il rinnova-

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2_Il centro storico di Gand con le Cattedrali Gotiche intervallate dal Belfort, la torre dell’orologio

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mento culturale doveva porre le proprie basi su una forte fede religiosa. Nel 1948 l’ingegnere Brother Urbain diventa direttore dell’Istituto Sint-Lucas, assumendo sin dall’inizio una posizione più aperta. Se da un lato infatti era convinto che un’architettura moderna si sarebbe dovuta sviluppare dai valori propri della cultura cristiana, si rendeva conto dall’altro che il rinnovamento era inevitabile e desiderabile, seppur auspicato in continuità con l’esistente. Un compito non facile secondo Urbain, che notava il caos e i contrasti della società del suo tempo, vacillante tra il collettivismo e l’individualismo. Ad ogni modo Brother Urbain mostra sempre più interesse verso gli sviluppi dell’architettura contemporanea, seguendo le riviste specializzate e viaggiando con frequenza all’estero, in particolare in Italia, in Svizzera, in Francia e nei vicini Paesi Bassi; prende contatti con August Perret, di cui ammirava l’opera, e Hans Van Der Laan. A tutto questo corrisponde un graduale approccio all’architettura Moderna da parte della didattica della Scuola, tanto da agganciarsi al dibattito di quegli anni circa la via da seguire per i futuri sviluppi dell’architettura: “la plasticità attraente ed emozionale” di Le Corbusier o la “razionalità incline all’immaterialità” di Mies Van Der Rohe1. Questo periodo viene a coincidere con gli ultimi anni da studente di Lampens, che viene finalmente lasciato libero di tentare progetti meno tradizionali all’interno dei vari corsi alla Sint-Lucas; Juliaan si svincolò da queste scelte proponendo ogni volta due progetti diversi, uno tradizionale e uno moderno. Si laurea nel 1950. Conclusi gli studi Juliaan Lampens si stabilisce a Eke, una frazione del comune di Nazareth, poco a sud di Gand, dove inizia la sua attività lavorativa e dove vive tuttora. A partire dal 1974 inizia a lavorare presso la stessa università che lo ha formato, la Sint-Lucas di Gand, dove dal 1985 al 1991 acquisisce il ruolo di professore a tutti gli effetti. Sempre nel 1991 viene organizzata una retrospettiva del suo lavoro 1. Queste due definizioni fanno riferimento a quanto scritto da Francis Strauven in “Juliaan Lampens” (ASA, Bruxelles, 2010)

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3_Un edificio del centro storico di Gand, con la tipica facciata fiamminga

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all’International Art Campus De Singel di Anversa, dal semplice titolo “Juliaan Lampens 1951-1990”, mentre nel 1995 gli viene assegnato il Great Architecture Prize (Grote Architectuurprijs) of Belgium2. GLI STUDI E IL DISEGNO I dieci anni che separano il 1940 dal 1950 sono per Juliaan Lampens gli anni dell’istruzione. Su suggerimento del maestro della cittadina di De Pinte, che aveva notato l’eccezionale talento nel disegno di Juliaan, Lampens fu iscritto alla Scuola d’arte S. Lucas di Gand, ma nell’indirizzo dedicato al disegno tecnico; il padre infatti, essendo un carpentiere, vedeva in questo corso migliori prospettive per il futuro rispetto ad altri indirizzi più artistici. Finite le scuole superiori, Lampens entrò nella Facoltà di Architettura dello stesso Istituto. La Scuola, fondata nel 1862, si basava sugli ideali Arts and Crafts e sulla lezione di Viollet-le-Duc. L’educazione dispensata in questa scuola era decisamente tradizionale, fortemente legata al neo-gotico, e incentrata sul disegno a mano libera, strumento indispensabile per connettere l’idea progettuale con la sua materializzazione; l’architetto che questa scuola formava era prima di tutto un costruttore. Gli studenti erano tenuti a rappresentare ogni giorno vecchi edifici del centro storico di Gand, attraverso disegni di facciate nella totalità e in dettaglio, per familiarizzare con le forme e proporzioni del Gotico. Di conseguenza, anche i corsi di progettazione esigevano lavori sviluppati seguendo questo stile; solo durante l’ultimo anno era permessa qualche libertà di sperimentazione con forme moderatamente moderne. Il giovane Lampens non percepiva tutto questo come un peso, la passione per il disegno gli faceva apprezzare il compito sopra citato e nel suo ultimo anno di studi si svincolò dalla scelta lavorando contemporaneamente a due progetti, uno secondo lo stile Neo-Gotico e uno moderno. Si laureò con lode nel 1950. 2. “Awards de L’Architecture 1995, Grand Prix d’architecture de Belgique: Juliaan Lampens” A+ 133 (Aprile-Maggio 1995), pag. 18. L’articolo è costituito dal commento della giuria premiante.

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4 - 5_Aquerelli su sottobicchiere

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Nello stesso anno si stabilì a Eke, una piccola cittadina a sud di Gand, dove aprì il suo studio. Riceve fin da subito numerose commissioni per i progetti di modeste case di campagna, che realizza in un sobrio stile regionalistico; Lampens sembrava avviato verso una carriera che gli avrebbe portato un buon successo economico, la sua architettura incontrava infatti il favore trasversale di tutte le fasce sociali della popolazione. Alcuni dei suoi primi lavori vengono esposti ad un mostra di ex studenti della S. Lucas: in questa occasione l’allora Direttore dell’Istituto, enfatizza ancora una volta le capacità grafiche di Lampens e l’importanza che il disegno assume nel suo modus operandi:”The drawings show how much care the designer gave to the game of proportion, to the ponderings of volumes, to the square and to the void, to detail and to the colour”3. La pratica del disegno a mano libera è stata sempre fondamentale nel lavoro di Juliaan Lampens, non avendo mai dimenticato le visite in cantiere con il padre da bambino, questo esercizio l’ha sempre spinto a non limitarsi a schizzi preliminari, ma a disegnare personalmente i dettagli dei propri progetti a dimensioni reali. Jo Van Den Berghe, che da giovane aveva lavorato nello studio di Lampens, racconta che l’architetto era solito segnare, aiutandosi con il righello, alcuni punti di questi dettagli 1:1 che poi univa a mano libera. In poco tempo era in grado di eseguire disegni di grande efficacia; ai dettagli affiancava sempre annotazioni poetiche, suggestioni e piccole prospettive d’ipotesi di progetto, per controllare simultaneamente il dettaglio e la sua applicazione. Lo stesso interesse era, ed è tuttora, rivolto ai disegni estemporanei: schizzi architettonici non rivolti a progetti da realizzare e disegni liberi, a volte astratti, a volte raffiguranti figure femminili. Lampens stesso riferisce in un’intervista ad Hans Ulrich Obrist4 di non percepire differenze tra queste diverse tipologie di disegni, definiti “fonti inesauribili di ispirazione”, la sua ricerca si rivolge comunque alla “struttura”. 3. Schets, 1951-52, n.1, pag.15 4. L’intervista è contenuta nel libro “Juliaan Lampens” (ASA, Bruxelles, 2010)

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6_ Due esempi di case “tradizionali” progettate da Juliaan Lampens negli anni ‘50

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COSTRUIRE IN BELGIO DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE Nel capitolo precedente si è accennato al successo ottenuto da Juliaan Lampens nei suoi primi dieci anni di attività come architetto di case tradizionali. La situazione che si era creata in quegli anni era infatti molto favorevole da questo punto di vista, sia in termini di possibilità di costruire sia in termini di gusti. Tutto questo si spiega tornando indietro al Belgio dell’immediato dopoguerra. Sono anni di piena confusione, dominati da un clima reazionario che non lasciava spazio alcuno al rinnovamento, la guerra aveva causato profonde ferite nella vita sociale e culturale; le generazioni più anziane fecero della ricostruzione la loro priorità. Quello che si voleva era tornare indietro, ripristinare la situazione antecedente la guerra, dimenticarla trovando conforto nei vecchi valori. Tutto questo portò ad una riconferma dei valori cristiani, molto vivi soprattutto nelle Fiandre, che influenzarono notevolmente anche le scelte relative all’ambito architettonico e urbanistico. Nel 1948 salì al governo il Partito cristiano-democratico CVP (Christelijke Volksparti) che avviò una politica di recupero dei valori cristiani: uno degli obiettivi del loro programma era la “sproletarizzazione” dei lavoratori, intesa come l’allontanarli il più possibile da qualsiasi forma di collettivismo: per raggiungere questo scopo era necessario che ognuno potesse avere la propria casa privata. Il CVP si prodigò affinché le famiglie non fossero costrette a vivere in complessi abitativi collettivi, considerati quasi immorali, e mirarono a deconcentrare spazialmente la popolazione. Seguendo questo ideale liberale, quasi ottocentesco, approvarono una legge, la Legge De Taeye, che incoraggiava la costruzione di abitazioni private tramite prestiti ipotecari a tassi favorevoli e premi per i cittadini. La disponibilità di terreni edificabili non era infatti un problema all’epoca per l’amministrazione, la quale concedeva facilmente permessi per lottizzare aree agricole; anche nell’elaborazione dei piani regolatori, in realtà molto limitati, si provvedeva a creare una riserva di terreni per i futuri ampliamenti. Ai cittadini venne data quindi massima libertà nel costruire, ma invece

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di approfittarne per adottare tipologie abitative nuove e originali, preferirono rifugiarsi in progetti più tradizionali. I meno abbienti che aspiravano a risalire la scala sociale esprimevano questa loro intenzione ispirandosi alle abitazioni delle classi più elevate; lo stesso accadeva per la classe media, in una sorta di gara semantica, dove lo scopo era anticipare la propria agognata ascesa ad un determinato livello. Queste architetture, che avevano la loro massima espressione nella facciata principale, si presentavano come il più evidente degli status symbols; un modo per emergere e differenziarsi dai propri vicini. L’architettura moderna non prese parte a questa competizione5. Con l’inizio del ventesimo secolo l’architettura cessava di rientrare nelle questioni ritenute importanti dalle autorità, e non vi era nessun tipo d’interesse verso la “qualità dell’architettura”. Il complicato dibattito circa la regionalizzazione e la federalizzazione dello stato impegnò così tanto la politica da farle tralasciare altre questioni essenziali quali i piani regolatori: le decisioni apparivano più conseguenza di un atteggiamento pragmatico che di una chiara visione politica. Sembrò addirittura, anche in tempi più recenti, che la pubblica amministrazione si fosse impegnata spesso e volentieri per non affidare gli incarichi più importanti alle figure di spicco nel campo dell’architettura belga; quando lo stato si proponeva come committente dettava poche condizioni, lasciando molta libertà ai progettisti, che venivano selezionati con modalità non trasparenti e fortemente politicizzate. Solo in pochi casi ci si affidava ad incarichi plurimi o a concorsi, come se si volesse evitare l’aperta concorrenza. Con il CVP questa tendenza varia solo leggermente, in quanto l’architettura diventa un mero strumento politico di controllo della popolazione. Tutto questo ebbe conseguenze rilevanti anche sul piano dell’urbanistica, in particolare nelle Fiandre: qui si osserva tutt’oggi una notevole frammentazione dell’edilizia e saturazione dei terreni. Non esisteva allora una legislazione urbanistica che limitasse l’iniziativa privata e si assi5. Francis Strauven analizza questa scelta politica e ciò che ne deriva in: “Juliaan Lampens” (ASA, Bruxelles, 2010); “Architetti contemporanei in Olanda e nelle Fiandre” (Stichting Ons Erfdeel, Rekkem, 2000); “Hoe België zijn hiudigaanblik kreeg”, in “Wonen/TABK”,12, 1980

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7_ Case a schiera a Eke, Nazareth. Si nota subito la facciata completamente chiusa della casa al centro della foto

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8_ Casa singola a Eke, Nazareth

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stette quindi ad un susseguirsi di case unifamiliari senza sosta. Fintanto che c’era una strada, era possibile costruire. In un saggio per la rivista giapponese “A+U” 6, Maarten Delbeke afferma infatti che il miglior modo per comprendere la produzione architettonica moderna e contemporanea nelle Fiandre è viaggiando per le sue strade di campagna. In questa “produzione” a cui fa riferimento, si inserisce anche l’opera di Lampens. LA CASA IN BELGIO Con la sua politica anti sociale, il CVP amplifica e istituzionalizza quella che gli storici chiamano “mentalità belga”7 e che descrivono come individualistica, poco avvezza al senso della collettività e decisamente scettica verso la cosa pubblica. Il cittadino belga considera la propria casa come il miglior investimento possibile e spesso si occupa personalmente della sua costruzione, magari aiutato da qualche parente; è molto legato al suo villaggio natale tanto da passare tutta la vita lì o nei suoi dintorni, in questo senso Juliaan Lampens non rappresenta certo un’eccezione. La casa ha rappresentato infatti, già dagli inizi del ‘900, l’impegno progettuale principale all’interno della storia dell’architettura belga, le stesse vicende dell’Art Nouveau a Bruxelles sono legate alle case private e ai rispettivi committenti. Così mentre Horta e Hankar8 progettavano una casa dopo l’altra, Berlage realizzava ad Amsterdam, su incarico del comune, la Borsa e Hector Guimard decorava la metropolitana di Parigi. Il confronto sul tema “committenza” con i paesi limitrofi è di conseguenza spontaneo: il privato opposto all’amministrazione pubblica, l’architettura residenziale opposta a quella per gli edifici pubblici, realizzazio6. Maarten Delbeke “Getting Lost. A Note on the Semiotics of the Belgian Architectural Landscape” A+U 392 (Maggio 2003) pag. 8

7. Hans Ibelings, Francis Strauven “Architetti contemporanei in Olanda e nelle Fiandre” (Stichting Ons Erfdeel, Rekkem, 2000)

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ni di notorietà limitata opposte ad altre di grande risonanza. Questa tendenza non si esaurisce con la fine dell’Art Nouveau, ma si protrae fino a giorni nostri, passando anche per il Movimento Moderno belga. Nel panorama architettonico di questa Nazione si possono individuare due tipologie abitative principali: la casa a schiera e la villa isolata. La casa a schiera è un Tipo sviluppatosi già nelle prima metà del 1800, all’epoca della formazione dello Stato belga, come uno degli effetti della Rivoluzione Industriale, ed è stata per lungo tempo una delle maglie fondamentali dell’architettura urbana, grazie anche alla sua economicità, alla sua limitata occupazione di suolo, al fatto di condividere le murature laterali e di una limitata dispersione di energia (vedi info su case a schiera). Attualmente queste case corrono principalmente lungo le arterie stradali fuori dalle città e dai villaggi. La forma più classica di questa tipologia abitative è quella che si affaccia direttamente sulla strada, senza il filtro di un giardino: è di conseguenza un edificio dall’aspetto ermetico. Wim Cuyvers su A+U9 descrive in modo ironico queste case, soffermandosi sulle decorazioni un po’ kitsch che i belgi utilizzano per personalizzare queste facciate; la prima stanza che da proprio sulla strada è invece la meno curata, “sembra essere sempre vuota[...]raramente utilizzata”. Il retro dell’abitazione gode di ben poca considerazione, il piccolo giardino viene utilizzato per costruirci su piccole casette supplementari adibite a magazzini, realizzati in maniera improvvisata. Ma l’elemento più significativo di queste case è costituito dalle facciate laterali, murature completamente chiuse, che Cuyvers chiama “Waiting facades”. La particolarità che queste facciate assumono in Belgio è quella di possedere una chiusura a priori imposta dal proprietario stesso, senza che ci sia necessariamente la volontà futura di affiancarci una 8. Paul Hankar (Frameries, 11 dicembre 1859 – Bruxelles, 17 gennaio 1901) è stato un architetto e designer belga tra i principali rappresentanti dell’Art Nouveau in Belgio. Con la fine dell’Art Nouveau, la nuova generazione di architetti belgi prende le distanze dalle forme di Horta e trova maggiore affinità con l’opera di Hankar. Una pubblicazione utile per conoscere questo architetto è “Paul Hankar : la naissance de l’art nouveau” di Francois Loyer (Archives d’architecture moderne, Bruxelles, 1986) 9. Wim Cuyvers “The Belgian House The Waiting Facade and the Field of Fire” A+U 392 (Maggio 2003) pag. 20-21

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nuova abitazione da parte di altri, e così queste facciate si ergono ad isolare i loro inquilini e allo stesso tempo ad attendere disponibili l’arrivo di un vicino, attesa che può durare a lungo e a volte anche per sempre. La villa isolata si afferma sempre di più dopo il 1945 con il crescere della mobilità, e promossa dalla politica del CVP come il traguardo assoluto al quale ogni individuo possa aspirare. Se da un lato non c’è stata all’epoca l’intenzione di gestire questa espansione tramite provvedimenti urbanistici, dall’altro erano ben presenti e rigidi i regolamenti edilizi, che spesso implicavano limitazioni di tipo estetico come forma del tetto e tipologia dei materiali da utilizzare. È anche vero che queste limitazioni non venivano percepite più di tanto, dato che pochi all’epoca si sarebbero immaginati di costruire qualcosa di diverso dalle case tradizionali, bastava essere leggermente originali rispetto al vicinato, ma senza esagerare. Data la superficie solitamente limitato dei lotti, il giardino è in realtà un semplice spazio residuo, e la privacy risulta essere addirittura inferiore che nelle case a schiera. Il limite del lotto viene quindi rimarcato attraverso siepi, alberi o murature che assumono il ruolo di vere facciate ancor più che le facciate della casa, devono nascondere la casa agli occhi dei passanti, ma allo stesso tempo permettere ai proprietari di dare un occhiata verso l’esterno. Prima della piena affermazione della villa isolata si assistette ad un periodo di transizione in cui erano ancora visibili i segni delle “Waiting facades”, nonostante le case si fossero già separate le une dalle altre le facciate laterali continuarono per un po’ ad essere completamente chiuse, o comunque a presentare poco e piccole aperture. Juliaan Lampens nella sua carriera si è occupato quasi esclusivamente della progettazione di case private, tutte facenti parte della tipologia “villa singola”. Tra queste si distingue però la Casa Van Wassenhove dove, a causa delle dimensioni limitate della parcella, l’architetto ha creato una casa a schiera singola in cui le due pareti laterali sono completamente chiuse, compensando questa caratteristica con un “paesaggio interno” che è invece completamente aperto.

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9_ Una casa singola a Eke che riprende le dimensioni e le caratteristiche delle case a schiera limitrofe

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EXPO 58:”Review of the world with a view to a more human world” “Every healthy Belgian visit the world’s fair. It was due in part to the world expo of modern architectural styles that such works became accepted and established in Belgium. The masses saw the possibility of technology and started to believe in modern architecture, and I felt the climate was reading to building in a modern way in Belgium”10. Con queste parole Lampens spiega l’influenza che l’Expo del 1958 tenutosi a Bruxelles ebbe sulla sua architettura e sulla popolazione belga. L’architettura moderna in Belgio, seppur presentando progetti interessanti, non aveva mai avuto finora un grande apprezzamento in Belgio ed era rimasta relegata a pochi esempi, per lo più abitazioni private, magari situate in piccoli sobborghi di campagna, che si ergevano come elementi isolati, come alieni, all’interno di un panorama architettonico ancora ampiamente legato ad un ideale di “casette” tradizionali in mattoni con tetti sporgenti a due falde. Quello che invece si presenta agli occhi dei visitatori viene definito “Expo style”, uno stile caratterizzato da colori acidi, solai sospesi, riferimenti tecnologici e chimici, una celebrazione delle forme e dei materiali. Tutto questo non si origina in realtà in occasione dell’Expo, né in Belgio, ma si intensifica in questo evento e ancor di più all’interno della sezione belga. La risposta del pubblico a questo linguaggio formale disomogeneo è comunque positiva: l’architettura moderna diventa popolare anche in Belgio11. Numerose sono le nazioni che partecipano con proposte moderne, con l’intenzione di mostrare il proprio progresso e la propria adesione al tema dell’esposizione: la Repubblica Federale Tedesca si 10. Angelique Campens, Hans Ulrich Obrist, Francis Strauven e Joseph Grima “Juliaan Lampens” (ASA, Bruxelles, 2010)

11. “Expo 58 : between utopia and reality” (Bruxelles City Archives, Racine editions, Bruxelles, 2008) supervisione di Gonzague Pluvinage. Il capitolo dedicato all’architettura e alla grafica è stato scritto da Rika Devos e Mil De Kooning

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10_ Vista aerea del sito di Expo 58 con l’Atomium

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presentò con un padiglione costituito da una serie di volumi vetrati che manifestavano il desiderio di trasparenza; questo progetto di Egon Eiermann e Sep Ruf interpreta un detto tedesco del tempo “Coloro che costruiscono trasparente, costruiscono democraticamente”. Gli olandesi Jacob Bakema e Joop van den Broeck mostrarono attraverso l’architettura l’abilità del loro Paese nel superare la distruzione causata dalle guerra, i padiglioni francese e del Lussemburgo mostrarono invece un ingegnoso sistema strutturale. I progetti che incuriosirono e influenzarono di più Lampens furono quelli per il padiglione norvegese di Sverre Fehn, dove il massiccio utilizzo di vetro creava un gioco d’interazioni tra riflesso e trasparenza, una relazione tra materia e luce; la spazialità si originava da una sapiente utilizzo minimo di materiale. La struttura lignea era sorprendentemente sobria ed entrando si rimaneva colpiti da una luminosità “nordica”. Del padiglione giapponese, progettato da Kunio Maekawa, apprezzò la semplicità e il modo i cui la natura veniva portata all’interno della costruzione. Anche qui si mostrava chiaramente la struttura, di cui l’elegante copertura costituiva l’elemento principale, mentre il giardino interno, che riproponeva il giardino delle antiche case giapponesi, era visibile solo entrando nel padiglione. Un altro progetto che non passò inosservato agli occhi di J. Lampens fu il Padiglione Philips, di Le Corbusier e Iannis Xenakis, in cui pannelli di cemento prefabbricati andavano a formare eleganti superfici iperboliche.

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11_ Padiglione Philips, progettato da Le Corbusier e Iannis Xenakis 12_ Padiglione della Repubblica Federale tedesca, Egon Eiermann e Sep Ruf

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13 - 14_ Padiglione norvegese, Sverre Fehn

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15 - 16_ Padiglione giapponese, Kunio Maekawa

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GLI ANNI ‘60: la svolta modernista I tentativi di avvicinamento all’architettura moderna da parte di J. Lampens iniziarono già durante i suoi primi dieci anni di attività, ma questo tipo di iniziativa suscitò stupore e incomprensione tra i clienti. Per contro si dovette ben presto confrontare con le ambizioni dei committenti e con il loro desiderio di affermarsi declinando, questa volta con successo, le loro richieste in un più sobrio stile Arts and Crafts. Col tempo iniziò a percepire come scorretto anche questo compromesso, come una forma di decorazione anacronistica, che non aveva niente a che fare con la nuova visione della vita che si stava delineando nelle pubblicazioni internazionali. Sentiva invece il desiderio di contribuire apertamente a questi nuovi sentimenti, di liberarsi completamente da tutto ciò che era superfluo e di concentrarsi sulla sostanza delle cose. È per questo motivo che tra un lavoro e l’altro iniziò ad abbozzare progetti ideali, per se stesso o per clienti fittizi, nei quali lentamente abbandonò tutto ciò che non gli interessava più della sua architettura fino ad allora: le decorazioni, il gusto per il rustico e i vari elementi simbolo di quella “scalata sociale” che tanto premevano ai suoi clienti. Ma la scelta più sorprendente fu quella di rifiutare lo stile di vita comune e il solito modo di usufruire della propria abitazione: la casa non sarebbe più stata una collezione di stanze diverse separate da corridoi e saloni, ma un luogo dove il “vivere insieme” doveva tornare alla sua essenza, alla semplicità ormai persa e ad un maggior contatto con la natura. La casa progettata per se e la propria famiglia a Eke nel 1960 è il simbolo di questa svolta. INFLUENZE Come precedentemente anticipato, Expo 58 giocò un ruolo fondamentale nella carriera di Lampens. Bisogna sottolineare però che la sua architettura successiva non ebbe mai a che fare con l’eccessivo

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formalismo presente all’esposizione universale, ma funse soprattutto da input nell’avvicinare la popolazione belga all’architettura moderna. Lampens aveva infatti già iniziato a progettare seguendo le sue idee radicali, ma questi progetti erano rimasti sempre su carta, non compresi dai clienti; l’unica opera dell’Expo direttamente accostabile al lavoro dell’architetto fiammingo era il padiglione norvegese di Sverre Fehn. Altri architetti che influenzarono l’opera di Lampens furono Marcel Breuer, Alvar Aalto, Eero Saarinen, Oscar Niemeyer; si interessò a quest’ultimo grazie ad un numero della rivista francese “L’Architecture d’Aujurd’hui” pubblicato nel 1947 e che conteneva un articolo sull’architettura brasiliana. Rimase colpito in particolare dai disegni e dalle fotografie del complesso di Pampulha. Con l’architetto sud americano, anche lui abile disegnatore, condivideva l’interesse versa l’espressione scultorea dell’architettura e il potenziale estetico del calcestruzzo armato, oltre a “the curves, structures and ondulations of a woman’s body”12. Mies Van der Rohe e Le Corbusier furono però i più importanti: Lampens considera il primo “un ingegnere”, di cui il ruolo di architetto fu solo un aspetto della sua carriera, tanto che nel tempo preferì orientarsi verso il secondo, “un artista” nella cui architettura vedeva una forte componente emozionale. Tutto il lavoro di Lampens è mosso dal desiderio di trovare un punto di contatto tra i due maestri, “emotional rationality”13. La sua architettura è la combinazione della razionalità miesiana con il potere espressivo di Le Corbusier: i dettagli sono razionalisti, enfatizzanti gli elementi archetipi del costruire, il Muro, il Tetto, la Colonna; eppure Lampens non aspira alla purezza geometrica tipica dell’opera di Mies, ma la struttura architettonica nel suo complesso si avvicina più a quella del maestro sviz12. Dall’intervista con Hans Ulrich Obrich in “Juliaan Lampens”

13. Like Bijlsma “Living towards nature. Houses by Juliaan Lampens” in OASE 55 (NAi010 publishers, Rotterdam, 2001) pag. 109-118

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zero. L’espressività è ottenuta tramite la forma, la matericità, tramite forti contrasti tra chiusure e aperture, luce e oscurità, pieno e vuoto. L’architetto belga è poi un grande estimatore dell’architettura Romanica, apprezzandone la semplicità, la relazione tra la trasparenza e la chiusura, la relazione tra la spazialità e il modo in cui l’interno determina il volume esteriore e infine, il gioco di luce-oscurità che dona serenità e compostezza all’edificio. HIGH-LEVEL PRECISE BRUTALISM Quella a cui si assiste in questo periodo è una convivenza strana tra una paura diffusa, memore del recente conflitto mondiale e della Guerra Fredda in corso, e una cultura consumistica, di “aggressiva felicità”14; a tutto questo corrisponde in architettura una coesistenza formale di apertura e chiusura. L’intuizione del Brutalismo fu quella di cogliere da questa ambiguità l’importanza del senso di chiusura inteso come “sicurezza” e del senso di apertura inteso come “libertà”. Alcuni progetti dell’epoca come la “House of the Future” di Alison e Peter Smithson15 e lo stesso Padiglione Philips di Le Corbusier, esemplificavano con diverse modalità il pensiero del “dopo guerra/Guerra Fredda” mostrando un’architettura della paranoia ma che allo stesso tempo tendeva ancora verso un’utopia. Con la “House of the Future” ad esempio, i due coniugi inglesi immaginavano come sarebbero potute essere le abitazioni 25 anni avanti rispetto a loro, case futuristiche in materiali plastici che, tra le varie caratteristiche, sembravano evocare un bunker. Il motivo del bunker diverrà infatti molto popolare nei tardi anni ‘50, 14. Beatriz Colomina “Domesticity at War” (The MIT press, Cambridge, 2007). Colomina scrive in questo libro:”Post war architecture was not simply the bright architecture that came after the darkness of the war. It was aggressively happy architecture that came out of the war, a war that anyway was as ongoing as the Cold War” 15. “Alison & Peter Smithson : a critical anthology” a cura di Max Risselada (Ediciones Poligrafa, Barcellona, 2011)

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17_ House of the Future, Alison e Peter Smithson

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18_ Casa Van Wassenhove, particolare della muratura sud e della copertura

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poi ancora negli anni ‘60 e ‘70, proprio per l’architettura domestica. Queste nuove case univano insieme le caratteristiche formali del bunker con uno stile progettuale da società consumistica incentrata su un forte individualismo; questo accadeva, per esempio, recuperando quel binomio Apertura-Chiusura che è stato prima citato: la casa era totalmente chiusa sul lato rivolto alla strada, mentre era aperta completamente verso la natura nel lato opposto. L’architettura di Juliaan Lampens, è stata solitamente definita come Modernista o Brutalista, l’architetto invece non si è mai sentito realmente parte di una qualche categoria, seppur ammette che il Brutalismo è lo stile a cui si avvicina di più. “High-level precise Brutalism” è il termine con il quale descrive la sua architettura, facendo ad esempio un confronto con il “Brutalismo grezzo” di Le Corbusier, il quale rifiuta i dettagli. Il Brutalismo di J.L “...shows the materials itself, has precisely calculated elements, and has no brutality”16. L’immagine archetipo che influenzò in questo senso Lampens fu quella dei bunker costruiti dall’esercito belga sulla costa: “the integration with the sea and the nature is just perfect”. L’uso massiccio del calcestruzzo armato a vista, gettato in casseri lignei, conferisce alle sue case questo aspetto da bunker, insieme alla caratteristica chiusura verso il lato “pubblico” a cui fa da contrappunto la totale apertura verso il paesaggio, e verso l’interno stesso dell’edificio. Oltre al calcestruzzo Lampens ha sempre lavorato principalmente con vetro e legno, utilizzando i vari materiali sempre in modo onesto, valorizzando le loro qualità: ogni materiale ha già in se le sue potenzialità di utilizzo e J.L. ha sempre voluto rispettare queste caratteristiche intrinseche; ogni elemento costruttivo mostra la propria funzione strutturale nel modo più elementare possibile. Questa politica dei materiali è riscontrabile anche nell’arredamento e negli elementi che costituiscono l’interno dei suoi edifici. Lampens è sempre stato molto preciso sull’argomento “materiali”, in certe 16. Dall’intervista rilasciata ad A+U “The Essence of Architecture in Lines and Materials”, in A+U 523 (Marzo 2014) pag. 8-13

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occasioni preferì addirittura abbandonare l’incarico assegnato poiché non gli fu possibile convincere i clienti a portare avanti la sua idea di progetto. IL PAESAGGIO INTERNO “The landscape is the first commissioner and the last cooperator”17. Con questa frase si comprende l’atteggiamento di Juliaan Lampens nei confronti del paesaggio, un dato di fatto con il quale ha sempre voluto relazionarsi silenziosamente, con un gesto architettonico il meno invasivo possibile. Spesso avvicinandosi ai luoghi dove ha costruito, sembra che il sito sia rimasto intatto, quasi inviolato, solo ad una seconda occhiata è possibile notare l’anonima muratura di calcestruzzo armato che nasconde alla strada pubblica un open-plan senza compromessi. Sul lato privato la progettazione è attenta a non concedere il minimo segnale di separazione tra interno ed esterno, l’architetto cerca quasi di convincerci che la differenza tra questi due ambienti non esista. Le vetrate, che nei suoi progetti per abitazioni costituiscono la quasi totalità delle pareti, enfatizzano questa continuità, insieme ad una serie di elementi che mostrano la dedizione di Lampens verso i dettagli ed il paesaggio. Gli spazi sono connessi tra di loro senza l’interferenza di oggetti e strutture superflue: i serramenti delle porte e delle finestre sono integrati nelle travi e nei pilastri, le pareti divisorie sono al tempo stesso armadi. La copertura non presenta sporgenze, dall’interno è visibile solo il limite inferiore della spessa trave che inquadra l’orizzonte; solo i doccioni emergono, spesso enormi, sempre scultorei, invitandoci a seguirli con lo sguardo e rivolgerlo al cielo. Non esistono differenze di quote tra interno ed esterno, il pavimento in cemento e il terreno fuori sono una cosa sola. L’architettura acquista un ruolo fondamentale nel permettere l’esperienza del paesaggio, J.L. progetta con l’intento di 17. Dall’intervista rilasciata ad A+U “The Essence of Architecture in Lines and Materials”, in A+U 523 (Marzo 2014) pag. 8-13

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rendere percettibile il contesto da ogni punto della casa. La sua architettura non è fatta di suddivisioni interne o stanze propriamente dette, ma di uno spazio unico in cui opera assegnando una posizione ad elementi singoli: una parete, un oggetto d’arredo, una superficie di un determinato materiale; siano essi all’interno dell’abitazione o all’esterno. Tra la natura e l’architettura s’instaura un dialogo mediato dal giardino, in alcuni progetti i confini del lotto vengono enfatizzati con alte siepi, filari di alberi o murature in cemento o mattoni che sospendono il giardino tra interno ed esterno. Esso è già parte del paesaggio e allo stesso tempo è l’estensione dello spazio abitato: “A house and a garden must complete each other”18 sostiene Lampens, e continua dicendo che agli architetti non è permesso fare un qualcosa di predominante nei confronti della natura. Il giardino è per lui prima di tutto un frutteto e un orto, mentre con la progettazione che porta a risultati prettamente decorativi, si dimentica l’essenza stessa del giardino e della necessità di cibo che un tempo soddisfaceva; in linea con questo pensiero, la casa perde ogni prerogativa di status symbol e ritorna ad una semplicità oramai perduta nel Belgio del dopoguerra, sia come manufatto in se sia per il tipo di vita che propone al suo interno. La casa si riavvicina all’archetipo della Capanna di Laugier, è un rifugio ancor prima che un’abitazione. Un riferimento a questa caratteristica è presente sia nel libro di Angelique Campens, dove nel suddividere il corredo di immagini che accompagna gli scritti compare la definizione “Functional Shelter”, sia nel numero di A+U dedicato all’architetto belga, dove invece Jo Van Den Berghe propone due classificazioni per i progetti di Lampens: la “Tenda” e la “Grotta”19. La prima tipologia appare più leggera, come se si appoggiasse soltanto al terreno, più aperta, e non interrompe il 18. Dall’intervista rilasciata ad A+U “The Essence of Architecture in Lines and Materials”, in A+U 523 (Marzo 2014) pag. 8-13

19. Jo Van Den Berghe “The Landscape – the Tent and the Grotto” in A+U 523 (Marzo 2014) pag. 20-21

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19_ Casa Derwael - Thienpont, schizzo di studio per la pianta

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20 - 21_ Casa Derwael - Thienpont. Nella prima immagine si nota il gioco di trasparenza/riflessione delle membrane di vetro; nella seconda foto si osserva il soggiorno e il camino scultoreo, che racchiude uno spazio intimo in cui rilassarsi davanti al fuoco

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paesaggio ma partecipa ad esso. Al suo interno l’ambiente circostante sembra fluire senza interruzione. La “Grotta” si pone invece in separazione dal paesaggio, proponendone uno al suo interno, che si discosta da ciò che lo circonda; l’architettura è visivamente più imponente e massiva. Lampens si rifà a questi due archetipi già dal suo primo lavoro modernista e nel tempo assume un pieno controllo di queste istanze, la propria abitazione è infatti il primo esempio di “Tenda”, ma quello più significativo è senza dubbio la Casa Vandenhaute - Kiebooms (1967), mentre la Casa Van Wassenhove (1974) è la massima espressione della “Grotta”. Prima di questo progetto se ne trova un altro classificabile allo stesso modo, è la Cappella di Kerselare (1966). I lavori più tardi dell’architetto belga risultano invece più complessi e non esplicitamente classificabili come l’una o l’altra tipologia, ma rappresentano piuttosto una fusione dei due archetipi. L’idea di “paesaggio continuo” espressa da Lampens può sembrare in accordo con la dottrina Modernista. In realtà, mentre questa intende l’architettura come un’entità autonoma operante indipendentemente dal paesaggio20, gli edifici di J.L. sono fortemente legati al paesaggio fiammingo. Il legame con il paesaggio per Lampens si esplica anche in un ritorno ad uno stile di vita più semplice, comunitario ed egualitario, che si ispira alle famiglie contadine di una volta e al loro vivere insieme in piccole abitazioni, che prende le distanze dall’insistenza gerarchica e individualistica della borghesia. Nel fare questo l’architetto lavora con l’intento di ottenere degli interni completamente aperti, che incoraggiano e costringono la famiglia a vivere insieme, in uno spazio privo di privacy; le barriere tra i genitori e i figli scompaiono. Questa idea del vivere proposta da Lampens presenta diverse caratteristiche che cooperano tra di loro a formare un open plan totale, non ostacolato da elementi strutturali come pilastri o murature, e la posizione di ogni singola stanza (ammesso che si possa definire tale, in certi casi) è scelta 20. Questa definizione fa riferimento a quanto scritto in “Juliaan Lampens” (ASA, Bruxelles, 2010)

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22_ Casa Lampens - Dierick. Questa casa è stata progettata da Juliaan Lampens per il figlio Wouter, nel lotto adiacente si trova invece la casa dell’altro figlio, Dieter

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in modo da essere connessa con quella delle altre stanze, tanto che è possibile individuare un layout funzionale nonostante lo spazio sia continuo. Le pareti sono poche, semplici pannelli di legno o soluzioni più massive, in mattoni o calcestruzzo, ma comunque non arrivano mai a toccare il soffitto; una gerarchia è stabilita senza intaccare la sensazione di continuità, anche l’utilizzo di materiali diversi contribuisce a questo obiettivo. Spesso sono gli elementi di arredo a fungere da parete, gli armadi, i mobili della cucina, la libreria; tutti disegnati da Lampens stesso. Anche quando queste pareti sono perimetrali vengono mantenute più basse rispetto all’altezza interna, la chiusura nella parte superiore è affidata a pannelli di vetro. Il restante perimetro è chiuso da una membrana di vetro, il tetto appare così sospeso e si viene a creare un forte contrasto tra questa sospensione e la pesantezza della copertura, dettata dal calcestruzzo a vista. Nonostante l’aspetto rude di questo tetto, l’architetto lo rende sempre accogliente prolungandolo oltre il volume propriamente abitato, creando degli ingressi, delle nicchie, che invitano ad entrare con calma, dando il tempo di rimanere affascinati dal gioco di trasparenza/riflessione del vetro. All’interno, fatta eccezione per i pochi elementi fissi, la composizione può essere modificata liberamente: ad esempio, le stanze da letto sono sostituite da “unità per la notte”, ossia un letto con un modesto armadio affiancato, racchiusi da pannelli di legno; il tutto non viene fissato al pavimento, permettendo di riorganizzare lo spazio e il suo grado di privacy. Il rapporto tra vuoto e pieno, tra elementi fissi e elementi mobili, tra chiusura e apertura, massa e trasparenza si mantiene sempre equilibrato. È curioso come J.L. cerchi di mantenere tutto il più basso possibile: le sedute da lui progettate sono un esempio di questa intenzione, niente deve ostacolare la vista verso il paesaggio. Allo stesso tempo offre un punto di osservazione privilegiato, sembra voler rendere il fruitore parte del suolo; dove le sue idee si estremizzano, neanche le pareti impediscono di guardare al di fuori. La qualità scultorea della sua architettura è subito evidente e l’atmosfera che si viene a creare è unica. Siamo lontani dal funzionalismo prag-

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matico o intellettuale: la forma è subordinata alla funzione, ma essa si adatta a partire dalle sensazioni profonde. La costruzione diviene un insieme affascinante, capace di trasmettere sensazioni difficilmente riscontrabili in altri progetti; le proporzioni, la scala e la consistenza appaiono in tutte le loro sfumature e non sono date dal caso. L’architettura di J.L. è di una edificante semplicità. In questo caso la scala non è né troppo piccola né troppo grande, ma a misura d’uomo. Nel descrivere lo stile di vita tipico delle sue case, Lampens afferma che questo stile “has to do with the spirit”; ammette certo che vivere in un ambiente privo di privacy non comporta solo vantaggi, l’intimità forzata di queste case può non essere facile da sopportare, in particolare da famiglie con bambini, l’open plan richiede un approccio insolito rispetto ad una casa tradizionale, dove le attività di tutti i giorni si svolgono dentro a stanze chiuse21. Nei suoi progetti è necessario sviluppare una maggiore tolleranza e capacità ad adattarsi per vivere a contatto con i familiari, bisogna imparare ad appropriarsi dei propri spazi in assenza di partizioni visibili. Da quello cha ha constatato però nel corso della sua carriera e della sua vita stessa: “once you lived in such a house, you will want nothing else”22. Le case che progetta non sono grandi, occupano lotti dalle superfici comuni per un’abitazione belga, ma espandendo le sequenze spaziali e gli interni oltre i pannelli di vetro, offre uno spettro di esperienze magnifico. Lampens non vede nel lusso in sé una qualche qualità genuina dell’abitare, quello a cui si deve ambire è una generosità che derivi dall’esperienza di uno spazio infinito, da un luogo tranquillo nel quale ritirarsi. Ha riprova del successo della sua architettura domestica è il fatto che, in un fase più tarda della sua carriera, abbia iniziato a progettare per una seconda generazione, i figli dei suoi primi clienti, che sono cresciuti proprio in queste case. 21. Jo Van Den Berghe, durante il nostro incontro, ha raccontato che in più occasioni ci furono clienti non soddisfatti di questa concezione degli interni, che decisero quindi di abbandonare il progetto e rivolgersi ad un altro architetto. Lampens rivela inoltre, nell’intervista per A+U, che lui stesso preferì in certi casi ritirarsi dall’incarico, poiché non disponibile a certi compromessi con i committenti 22. Dall’intervista con Hans Ulrich Obrich in “Juliaan Lampens”

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23_ Casa De Vos - Smesman. Questa casa è molto semplice esternamente ed è anche meno riconoscibile rispetto ad altri progetti più famosi, eccetto per il doppio doccione inquadrato nella foto, posizionato su un lato della casa. Luc De Vos, figlio dei proprietari, è anch’esso architetto, ed è stato un collaboratore di Lampens per molti anni 44


24_ Casa De La Ruelle - Van Moffaert

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25 - 26_ Casa De La Ruelle - Van Moffaert. Interni

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27_ Casa Diane Lampens

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28_ National Boerenkrijg Museum, studio dell’interno

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29_ National Boerenkrijg Museum, pianta

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30_ Casa Velghe - Vanderlinden

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31_ Casa Velghe - Vanderlinden. Interno della sala principale

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32 - 33_ Biblioteca di Eke, Nazareth

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RISCOPERTA ED EREDITÀ Osservando i progetti di Juliaan Lampens si può immaginare come mai la sua architettura sia rimasta per lunghi anni fuori dai dibattiti a lui contemporanei, il suo approccio brutalistico si rivelò completamente diverso con le pratiche correnti all’epoca in Belgio, per quanto diverse, negli anni sessanta, settanta e ottanta. È anche vero che Lampens stesso non s’interessò mai a questo tipo di cose, anzi evitò volentieri di mettersi in luce, scelse di circondarsi di pochi collaboratori, due o tre persone, ed ebbe pochissimi contatti con altri architetti. Non fu mai interessato a viaggiare e vedere dal vivo le opere di altri famosi architetti, la sua interazione con il mondo dell’architettura moderna si basava principalmente su riviste come Bauen+Wonen, L’Architecture d’aujuord’hui , e più tardi anche Domus. I dibattiti a lui contemporanei, come la crisi dell’architettura moderna, che vedeva messo in dubbio il suo potere espressivo e la sua legittimazione, e che dovette quindi cercare nuovi fondamenti su cui basarsi; l’influenza politica, commerciale o della cultura popolare, l’importanza del contesto, erano tutti temi con i quali non si confrontò mai. Paul Vermeulen, nella prima monografia comparsa su Lampens, e Jo Van Den Berghe, propongono un’interessante visione dell’architetto belga, definendolo come un architetto “non moderno”, ma ancora legato nella sua pratica agli ideali Arts and Crafts, tanto presenti alla Sint-Lucas di Gand durante i suoi studi23. Sempre Vermeulen afferma nel suo libro:”He works far away from the fashionable centres. He was first of all the village architect of his own town Eke, where he restored the church-steeple and build the library”. Nonostante tutto, è proprio nella sua vecchia scuola che Lampens ritornò poi come insegnante. Liberato dal peso del confronto con i dibattiti del passato e osservato da una nuova prospettiva, Juliaan Lampens ha iniziato negli anni novanta 23. Paul Vermeulen “Juliaan Lampens 1950-1991 (deSingel, Anversa, 1991). Questo libro è stato pubblicato come catalogo della prima retrospettiva dedicata a Juliaan Lampens, tenutasi al museo deSingel di Anversa nel 1991. L’analisi sulla “natura” di Lampens a cui fa riferimento questa nota, viene proposta sia da Vermeulen nel suo libro che da Jo Van Den Berghe durante l’intervista contenuta in questa tesi. 53


ad esercitare una certa attrazione sui giovani architetti belgi e sugli appassionati di architettura. Sia i progetti che le realizzazioni hanno iniziato a rappresentare una sfida per i nuovi progettisti; la sua architettura così estrema ha rivelato il potenziale e i limiti dell’abitare, dell’onestà nell’uso dei materiali, nella forma e nella relazione tra interno e paesaggio.

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PROGETTI

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34_ Casa Lampens. Vista del vialetto d’ingresso, quello che si vede sullo sfondo è lo studio dell’architetto

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CASA LAMPENS - Eke, Nazareth - 1960 La casa che Juliaan Lampens progettò per la propria famiglia rappresenta un punto di svolta fondamentale nella sua carriera. Sebbene la realizzazione risalga al 1960, il desiderio dell’architetto belga di costruire questa abitazione era vivo già negli anni precedenti il 1958, quando già aveva iniziato a sviluppare le sue idee radicali, ma a causa dello scarso interesse generale verso l’architettura moderna, aveva sempre rimandato, con il timore che un progetto del genere sarebbe risultato all’epoca una provocazione eccessiva. Di questo stesso parere era il padre di Lampens, il quale si preoccupava del fatto che una tale realizzazione avrebbe potuto rovinare la reputazione ottenuta dal figlio e allontanare potenziali clienti. Alla fine del 1958, concluso l’Expo di Bruxelles, J.L. decise finalmente di dedicarsi alla progettazione e realizzazione definitiva di questo progetto, sicuro che con l’Esposizione i tempi fossero diventati maturi per proporre architettura moderna nelle tradizionaliste Fiandre. A questo proposito aveva già trovato un lotto adatto sul confine della cittadina di Eke, un terreno abbandonato per l’estrazione di argilla, utilizzato precedentemente da una fornace poi dismessa. Dalla strada, l’intero lotto sparisce dietro una fitta vegetazione, qui si apre un viale d’accesso pavimentato da ciottoli, affiancato da pioppi; la casa viene scorta lentamente e quasi con fatica, poiché le piante rampicanti crescono sull’unico muro perimetrale della casa, che chiude completamente il lato est. Questo muro, in calcestruzzo armato a vista, si piega a diventare un’enorme piastra, quasi quadrata, che funge da copertura; il viale d’accesso termina proprio sotto questo tetto piano, creando uno spazio coperto di oltre cinque metri per sette in cui è possibile posteggiare un’automobile. Questo spazio presenta inoltre un’appendice quadrata che si inserisce ancora di più verso il centro della casa, e si trova racchiuso da tre pareti dal rivestimento ligneo: quella di fondo è completamente chiusa, le due laterali offrono due porte d’ingresso, che si manifestano solo per la presenza di due grossi pomelli perfettamente sferici, posizionati molto in basso rispetto ad una

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35_ La pianta qui presentata non corrisponde alla realizzazione definitiva. Durante la costruzione della casa infatti, Lampens ha continuato ad apportare modifiche al progetto, dimostrando la sua inarrestabile capacitĂ di ricerca della migliore soluzione progettuale

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normale maniglia. Da un lato l’ufficio di Juliaan Lampens, dall’altro la casa. Il primo è uno spazio stretto e allungato: la parete verso l’interno presenta lo stesso rivestimento ligneo sopra citato, mentre quella opposta, che corrisponde alla muratura in calcestruzzo, è rivestita da pannelli di lavagna verdi e rossi dove Lampens era solito eseguire schizzi, segnare brevi annotazioni e disegnare dettagli a grandezza naturale. I lati corti sono invece costituiti da un unico pannello di vetro, al quale è accostato, verso sud, il tavolo da lavoro dell’architetto. Lo studio è l’unico ambiente della casa che può essere interamente attraversato con lo sguardo, è una sorta di “cannocchiale” che permette di scorgere quelle che ci aspetta dall’altro lato del lotto, altrimenti coperto dalla casa. L’intero progetto si sviluppa su una griglia strutturale di 2,7 m per 2,62 m, composta da cinque moduli sulla direzione nord - sud e sei in quella est - ovest, è quindi un rettangolo di circa 14 m per 16 m. Nella maggior parte dei punti d’incontro degli assi sono posizionati i pilastri, dei profili ad H in acciaio di 0,1 m per 0,1 m; sono questi, insieme al muro esterno già citato, che reggono l’intero peso della copertura. Le partizioni interne e le restanti pareti perimetrali, leggere o in mattoni, si fermano solo ad un’altezza di 2,1 m; le seconde terminano con una fascia vetrata. Di questo schema, la parte adibita ad abitazione occupa un rettangolo di 3 moduli per 6. Questa sezione, concepita come un ambiente unico per cinque persone, al di sotto di una grande piastra apparentemente fluttuante, si presenta in pianta con un layout a chiocciola, adattato alle dimensioni dei moduli; come tale sono presenti delle zone maggiormente rivolte all’esterno e altre più dirette verso l’interno. Le prime si trovano sul lato ovest e sud, affacciate sul giardino e sullo stagno, e corrispondono alla zona giorno con il tavolo per pranzare e il soggiorno con camino: questo è costituito da un grosso tubo metallico davanti ad una parete in mattoni grezzi, contenuta ai lati da due pilastri in acciaio, questa parete non arriva a toccare il soffitto ma in compenso si ripete orizzontalmente, diventando una porzione di pavimento che occupa un intero modulo. L’enfasi materica di questo spazio lo trasforma in una sorta

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36_ L’unica parete della casa che sostiene la copertura. Dalla trave in calcestruzzo armato che delimita il tetto, si protrude il doccione metallico

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di altare, a questo sono affiancati una serie di oggetti, sopratutto bottiglie, che assumono lo status di cimeli, ricordi di incontri e di ospiti; il tutto sembra ricordare le descrizioni di Wim Cuyvers24 che ci riportano all’essenza dell’abitare belga. Intorno a questo si trovano i due divani progettati da Lampens stesso, che assomigliano più a due basse panchine, senza schienale, rivestite di tappezzeria grigia. Sul lato ovest, lo spazio dedicato ai pasti è reso riconoscibile semplicemente per la presenza di un tavolo dall’aspetto imponente: questa caratteristica è data dai materiali utilizzati, una spessa asse in legno di ciliegio dalla finitura lucida, che appoggia su una corta ma alta trave in acciaio. Una semplicità unica e allo stesso tempo scultorea, che l’architetto utilizzerà anche in altri progetti. A questo tavolo si contrappongono delle sedute altrettanto semplici, anch’esse progettate da Lampens e riproposte in altri progetti, ma decisamente più leggere. Sono degli sgabelli, senza schienale, nella forma di un prisma a base triangolare, troncato su un vertice, realizzati in legno. Oltre a tutto questo è presente qualche sedia e pouf in vimini, una libreria e dei mobili bassi e aperti. La zona notte si trova interamente sul lato nord della casa: qui non esistono delle vere e proprie camera da letto, i letti sono alloggiati in spazi chiusi da armadi e pannelli lignei. Questa sezione della casa si affaccia su un patio chiuso alla vista da una muratura in mattoni, che cinge anche parte della casa, e come le altre pareti, si alza di 2,1 m dal suolo. Le dimensioni della zone notte e di questo patio sono le stesse. Il nucleo centrale della casa, dalle dimensioni che occupano poco più di un modulo, contiene il bagno, le scale per accedere alla cantina interrata, e la cucina. Anche qui le partizioni in pannelli di legno non separano completamente i vari ambienti, ma terminano prima di raggiungere il soffitto. L’unico ambiente della casa realmente isolato è la cantina, nella quale Lampens si ritirava occasionalmente a dipingere quando in casa era troppo caldo. 24. Wim Cuyvers “The Belgian House The Waiting Facade and the Field of Fire” A+U 392 (Maggio 2003) pag. 20-21

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37_ Una delle porte che si trovano nella zona d’ingresso, al riparo sotto la copertura. Questa in particolare permette l’accesso allo studio dell’architetto, si nota come il grosso pomello sia posizionato molto piÚ in basso rispetto ad una normale maniglia.

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Non esistono finestre tradizionali, le facciate nord e sud sono completamente vetrate, così che l’interno fluisca senza interruzione nel giardino; nel lato sud questi pannelli di vetro non hanno neanche dei veri e propri infissi, i sostegni laterali scompaiono nei pilastri, mentre il pavimento e la copertura sono direttamente a contatto con il vetro. Le porte finestre che permettono di uscire sul giardino si trovano tutte sulle facciate laterali, lasciando così il prospetto principale decisamente pulito. A tutta questa trasparenza si contrappone la spessa trave in calcestruzzo che delimita la copertura. L’esterno della casa, che inizialmente poteva apparire severo, è addolcito dal muschio e dal caprifoglio che ricoprono totalmente la parete in calcestruzzo e parte della copertura, mentre l’interno è caldo e accogliente, tutto giocato sui toni del marrone, dal legno di ciliegio e dai mattoni del focolare. Il pavimento è in moquette grigia mentre l’interno della copertura è intonacato di bianco. Oltre al camino, il tetto presenta due fori circolari che lasciano entrare la luce dall’alto, uno in corrispondenza della cucina, l’altro dell’ingresso; l’illuminazione artificiale è costituita da una sorta di mattoni bianchi di vetro, più o meno raggruppati. In una casa che non presenta quasi pareti, le prese e gli interruttori per queste luci sono dei semplici bottoni posizionati a terra, che possono facilmente essere azionati con la pressione del piede25. Completano il costruito, affiancati al viale di accesso, due cilindri di calcestruzzo utilizzati come deposito attrezzi; un altro deposito si trova invece tra lo studio dell’architetto e la casa, a chiudere l’ingresso coperto dal retro. Il layout del progetto prende le sue origini dal paesaggio, il giardino non viene toccato e continua quindi a mostrate i segni del suo utilizzo nel tempo. Il viale d’ingresso fiancheggiato da pioppi, gli alberi superstiti di un antico frutteto, la vasca d’acqua che era in precedenza una riserva d’argilla, riportano alla memoria il passato industriale del sito. Il costruito interferisce con la vista di 25. Questo accorgimento è presente anche nella Casa Van Wassenhove. Attualmente la Fondazione Juliaan Lampens e il Museo Dhondt-Dhaenens, che ha preso in gestione l’abitazione, stanno avendo alcuni problemi nel ristrutturare questa casa, proprio per via delle prese di corrente, che non vengono più accettate poiché non considerate a norma dalle nuove normative belghe. 63


38_ Vista del soggiorno, verso il giardino sul lato sud della casa. I termoconvettori ai piedi delle vetrate contrastano con l’idea di continuità tra interno ed esterno, elemento caratterizzante dell’architettura di Lampens. Nei progetti successivi nasconderà il riscaldamento sotto grate lignee, sempre posizonate ai lati dello sapzio abitato 64


questo piccolo lago, tenendolo nascosto quasi fosse un segreto. Diversi elementi di Mies Van Der Rohe e Le Corbusier sono sintetizzati in questo progetto: del primo si nota la conformazione della pianta, basata su uno spazio aperto intorno ad un nucleo centrale e all’utilizzo di un rigido sistema a griglia; del secondo ritroviamo un riferimento al Brutalismo nell’uso del calcestruzzo e dei mattoni, nella copertura che ricorda il gesto di una mano aperta e l’effetto scultoreo dei doccioni. Un tocco personale, forse più umano e pragmaticamente legato all’essenza dell’abitare lo si ritrova invece nel calore dell’interno, del rivestimento ligneo delle pareti e nel mobilio, anch’esso in legno. Qui Juliaan Lampens ha vissuto dal 1960 fino a pochi anni fa, i suoi figli sono nati e vissuti qui e una volta lasciata la loro casa natale, il padre ha provveduto ha progettarne di nuove per loro, a riprova del suo successo.

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39_ Dettaglio del pilastro ad H con il telaio del serramento inserito tra le ali 40_ Camera da letto

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41_ Vista dello stagno nel giardino 42_ Ingresso laterale

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43_ Prospetto sud

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44_ Prospetto sud 45_ Vista del giardino dalla zona soggiorno

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46_ La zona pranzo, con il tavolo e gli sgabelli progettati da Juliaan Lampens

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47_ Lo studio di Juliaan Lampens, con il tavolo da lavoro rivolto verso il giardino e i pannelli di lavagna colorati

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48_ Sezione verticale e orizzontale della facciata vetrata

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49_ Schizzi preliminari

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50_ Facciata principale della Cappella di Notre Dame de Kerselare

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NOTRE DAME DE KERSELARE realizzazione 1964-66

concorso

1961,

nuovo progetto e

La cappella gotica di Notre Dame de Kerselare fu innalzata sulla cime della collina di Edelare, a sud di Oudenaarde, già nel 1460. Nel 1570 il Barone di Pamele ordinò di ampliarla, come omaggio alla Madonna, che in una apparizione lo aveva salvato da un attacco da parte di un coccodrillo durante il pellegrinaggio in Egitto. Il coccodrillo fu imbalsamato e posizionato all’interno della chiesa come statua votiva. Nel 1961 la cappella venne completamente distrutta da un incendio, in seguito a questo fatto si decise non di ricostruirla, bensì realizzarne una completamente nuova, tramite l’organizzazione di un concorso nazionale. Julian Lampens, incoraggiato dalla recente realizzazione della propria casa, decise di partecipare e risultò vincitore, insieme al suo ex professore Rutger Langaskaens, anche se con modalità non proprio ortodosse: il progetto che fu presentato in commissione e che vinse il primo posto, era infatti un progetto per una chiesa più tradizionale rispetto alle reali intenzioni dei due architetti, con tanto di torri campanarie. Una volta vinto, questo progetto venne presto messo da parte e Lampens ne realizzò un altro senza il controllo della commissione, confrontandosi solo con il parroco e distraendo gli altri con finti schizzi del primo progetto. Diversamente dalla precedente, la nuova chiesa è più distaccata rispetto alla strada, in una leggera depressione, e si staglia sul piatto panorama della campagna fiamminga, segnato solo da filari di pioppi, con una forza espressiva impressionante, grazie anche alla sua forma insolita che si eleva in diagonale verso il cielo. Il vialetto che conduce all’edificio sale leggermente, poi devia scendendo verso una piazza pavimentata in cemento a livello della chiesa; avvicinandosi a piedi è inoltre possibile raggiungere un prato rialzato che offre una chiara visuale sulla facciata principale della cappella e del suo interno. Questo lato, esposto a sud-est, è completamente vetrato, tagliato in due orizzontalmente da un balcone in calcestruzzo che sorregge la campana, il resto della costruzione è interamente in calcestruzzo, segnato dalle assi di legno che

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51_ Pianta: 4-spazio per i fedeli, 5-altare e sedute per i sacerdoti, 6-sala d’attesa per il confessionale, 7-ingresso alle sale riservate ai sacerdoti, 8-sacrestia, 9-ingresso, 10-confessionale, 11- servizi, 12-sala delle candele, 13-vasca d’acqua, 14-vasca di scolo acqua, 15-scale

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costituivano il cassero e dai giunti tra le varie gettate volutamente irregolari. La forma della chiesa che sembra invitare il visitatore ad entrare, la copertura aggettante che crea uno spazio coperto, il fatto che questo lato sia l’unico a permettere la vista dell’interno e la presenza della piazza antistante suggeriscono che qui si trovi l’ingresso. In realtà la conformazione spaziale è decisamente atipica, il visitatore deve spostarsi lungo uno dei due prospetti laterali dell’edificio per raggiungere un apertura che da verso una vasca d’acqua, da cui può quindi trovare l’ingresso vero e proprio, sul lato interno della muratura. Una vola dentro ci si trova subito davanti la parete vetrata, questa volta osservata dall’interno. Si è immediatamente colpiti dalla violenta espansione zenitale dell’edificio, la vetrata raggiunge i dieci metri di altezza e la copertura continua ad alzarsi anche all’esterno, aumentando la pendenza sul finale; osservando il resto dell’interno, si scopre di ritrovarsi invece in uno spazio completamente diverso, che esprime intimità. Sul fondo della sala principale, dove la copertura scende, si trovano l’altare e le sedute per i celebranti, anche queste in calcestruzzo; dal muro che separa questa sala delle altre funzioni, aggetta una mensola su cui si trova il tabernacolo. Questo ambiente, centro del culto, viene illuminato dalla luce che sembra arrivare da lontano, dal davanti e dagli ingressi sul retro, anch’essi vetrati. Ad enfatizzare la sacralità del luogo, un monumentale camino quadrato fa entrare la luce dall’alto, direttamente sopra l’altare. La membrana di vetro non presenta infissi, delle lastre di vetro, ortogonali alla facciata fungono da sostegni verticali. Davanti alla vetrata, i fedeli possono prendere posto su semplici panche in calcestruzzo, tra queste una croce si staglia contro la luce dell’esterno, in un angolo una scala a chiocciola permette di uscire sul balcone. Non ci sono altri elementi che arredano l’interno, lo spazio è per lo più vuoto, ma non per questo manca di carattere26; non ci sono decorazioni, offerte votive, che 26. Attualmente questo vuoto è stato intaccato riempiendo la chiesa di sedie per i fedeli, le panche originariamente previste da Lampens erano effettivamente poche. Sono tuttora presenti ma spostate rispetto al progetto originale

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52_ Prospetto ovest 53_ Prospetto est, si nota l’ingresso tra i due volumi

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tendono ad abbondare in questi luoghi di pellegrinaggio, solo l’essenziale; l’esterno è altrettanto brutalista, solo la sottile croce sulla sommità della copertura suggerisce la funzione dell’edificio, che in nessun modo ricorda la precedente cappella o altri edifici ugualmente adibiti al culto. Dietro allo spazio dedicato all’altare, una serie di tre setti murari paralleli, che si fermano ben prima di raggiungere il soffitto, creano “stanze” strette e lunghe, che contengono le altre funzioni tipiche in una chiesa: il primo “corridoio” ospita il confessionale e la relativa sala d’attesa, nel secondo si trova invece la Sacrestia e alcuni locali di servizio per i sacerdoti. L’ultimo muro è anche la parete di chiusura della chiesa, che delimita la vasca d’acqua citata in precedenza, sull’altro lato è chiusa da uno stretto spazio coperto in cui è possibile lasciare delle candele. La superficie che ricopre questo corridoio esterno è in continuazione con la copertura della chiesa, i setti laterali continuano invece fino a morire in terra, delimitando una seconda, più grande, vasca. Non è possibile trovare un riferimento per questa piccola chiesa di Edelare, l’idea che ispirò il progetto di Lampens fu infatti troppo insolita e originale. Per quanto rifiutò il recupero delle tradizioni legate alle cappelle di pellegrinaggio, non sfuggi completamente al folklore locale. Come ammise in seguito in un’intervista, la chiesa nel suo complesso doveva ricordare l’immagine di un coccodrillo con le fauci spalancate e forse senza ispirarsi troppo a queste vecchie leggende, le rinvigorì con nuova linfa. Nonostante questo curioso aneddoto, la chiesa presenta una chiara monumentalità, in contrasto con le tendenze di quel tempo in Belgio, spinte soprattutto da Marc Dessauvage, l’architetto più importante nel campo ecclesiastico tra i contemporanei di Lampens. Questa monumentalità non presenta comunque nulla di classico, trionfale, ma mantiene un carattere umano ed autentico, come se l’architetto avesse voluto applicare anche qui quei concetti di “rifugio” e “grotta” che tanta importanza hanno nella sua architettura residenziale. La forza espressa dal Brutalismo di questo edificio è un qualcosa di primitivo, concretizza il desiderio di connessione tra architettura e natura, obiettivo primario di Juliaan Lampens. L’austerità e l’ortogonalità degli interni

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54_ La vasca d’acqua che separa i due volumi che costituiscono la chiesa

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manifestano l’importanza di ciò che si compie dentro questo edificio. Ogni anno migliaia di pellegrini visitano la Cappella, in particolare durante il Mese di Maggio. La cappella ha attualmente necessità di un restauro, a causa di problemi strutturali; la copertura è infatti sostenuta da numerosi pilastri reticolari gialli, visivamente invadenti, che rovinano non poco l’atmosfera di questo edificio. I lavori dovrebbero comunque iniziare a breve e dureranno cinque anni.

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55_ Acquasantiera all’ingresso della chiesa, è evidente il contrasto materico con la murtura in calcestruzzo grezzo

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56_ Interno della chiesa con il corridoio sospeso che taglia in due la facciata principale

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57_ Schizzo della Chiesa di Kerselare 58_ Dettaglio del serramento, il telaio superiore è fissato al solaio del balcone

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59_ Vista dell’interno, con le sedute per i sacerdoti, il tabernacolo e l’altare, illuminato da una ampia apertura nel solaio di copertura. Foto d’epoca 60_ Vista delle panche in cemento previste nel progetto d Lampens, tra di esse era posizionata una croce. Sullo sfondo si intravede il cilindro contenente le scale 85


61_ La facciata est della chiesa, con la campana inserita nel balcone

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62_ La facciata est come si presenta attualmente, vista dal prato sopraelevato. La copertura, sia esternamente che internamente, è sostenuta da vistosi pilastri metallici

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63_ La facciata est come si presenta attualmente, vista dal prato sopraelevato. La copertura, sia esternamente che internamente, è sostenuta da vistosi pilastri metallici

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CASA VANDENHAUTE-KIEBOOMS, Huise, 1966-67 Quando Gerard Vandenhaute visitò Juliaan Lampens, rimase molto colpito da lui e dalla sua casa, tanto che decise di affidargli l’incarico di progettare un’abitazione per se e la propria famiglia. Dopo una breve conversazione, Lampens propose al suo nuovo cliente di realizzare un edificio in cui spingere ancora oltre il concetto dell’abitare già sperimentato dall’architetto; la fiducia di Vandenhaute permise a J.L. di realizzare il suo progetto più radicale27. Il lotto si trova schiacciato tra una strada di campagna, rialzata di circa un metro e mezzo, e un campo di grano. La casa è un edificio quadrato, di 14m di lato, fortemente orizzontale, che si discosta visivamente dalla strada con una muratura completamente chiusa in calcestruzzo; questa è l’unica parete dell’intera costruzione, ma rispetto a Casa Lampens qui la struttura si fa ancora più ardita. Infatti, se da nord l’abitazione appare introversa, gli altri lati sono completamente trasparenti e la superficie vetrata è interrotta solo da infissi verticali che sostengono i pannelli in vetro, ma non la copertura. Questa si appoggia quindi, oltre alla muratura già citata, su due pilastri cruciformi, posizionati ai due estremi della facciata sud. L’interno è completamente libero da elementi portanti e spinge fino all’estremo la ricerca verso l’open-plan che l’architetto ha avviato nella propria abitazione. Lo spazio viene immediatamente percepito come un unicum, sotto all’immensa piastra sospesa a 2,6 m di altezza; solo tre funzioni si inseriscono in maniera stabile nel layout, realizzati ovviamente in calcestruzzo: due cilindri di diverso diametro, aperti sulla sommità e tagliati ad altezza uomo, contengono il bagno e il WC (separati), mentre la cucina è idealmente chiusa da quattro pareti che scendono giù dal tetto, fermandosi appena sotto l’altezza degli occhi. Il baldacchino che si viene a creare racchiude inoltre una grande apertura che permette alla luce di illuminare questo 27. Dei quattro progetti presentati in questa tesi, questo è l’unico che non è stato possibile visitare, poiché i proprietari originali vivono tuttora in questa abitazione e non sono molto disponibili ad aprirla ai visitatori.

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64_ Pianta della Casa Vandenhaute - Kiebooms. I tre setti che impediscono la vista dalla strada sono gli unici muri veri e propri presenti nel progetto

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spazio; il mobile della cucina è costituito da un lungo tavolo continuo che unisce due piani sfalsati in altezza, all’interno dell’area delimitata ospita i fuochi e il lavandino, mentre la parte che si prolunga nel vuoto della casa è il tavolo da pranzo vero e proprio, anche qui sostenuto da un’alta trave, gli sgabelli di Casa Lampens sono invece sostituiti da panche in legno di ciliegio rette da porzioni di travi dal profilo ad H. Un ulteriore cilindro in calcestruzzo racchiude la scala a chiocciola che conduce in cantina. Intorno a questi elementi fissi la vita dei cinque componenti della famiglia può essere organizzata liberamente: gli spazi per la notte sono in realtà poco più che armadi con letto, racchiusi da pannelli lignei, e possono essere spostati a piacimento, così come la “zona soggiorno” e lo studio. Anche qui c’è l’intenzione di non creare ostacoli visivi, le “stanze mobili” raggiungono la stessa altezza dei cilindri in calcestruzzo e i divani della zona giorno sono delle repliche di quelli utilizzati nella Casa Lampens, senza schienale. L’obiettivo è raggiunto: il paesaggio può essere vissuto da ogni punto dell’interno. Nell’esperienza della vita di tutti i giorni, il confronto tra elementi mobili e immobili è dinamico ma bilanciato, l’arredo fisso determina in modo strategico il passaggio fra ambienti notte, giorno e ingresso, riporta il vivere ad un’essenzialità quasi primitiva, come a voler rimarcare l’importanza dell’Acqua e del Fuoco, ospitati nel bagno e nella cucina, e quindi della Natura. Anche il concetto di “famiglia” subisce una variazione, sembra perdere ogni aspetto gerarchico, le barriere tra genitori e figli si abbassano, si trasforma in “comunità”. Tra una funzione e l’altra non ci sono barriere acustiche, le condizioni sembrano anche qui primitive, si discostano da ogni tipo di convenzione sociale moderna, cercando una semplicità che l’architetto sente come perduta, una complicità lontana dall’individualismo borghese, tra i membri stessi della famiglia e tra l’uomo e la natura. La qualità del progetto risiede anche nella continuità tra paesaggio esterno e interno, in questo fluire mediato solo dalla membrana di vetro. L’attenzione ai dettagli è visibile, i serramenti, solo verticali, sono necessari a reggere il vetro e offrire resistenza al vento, senza però appropriarsi di altre velleità, i profili oriz-

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65_ Il tetto avanza rispetto all’interno creando un ingresso coperto. Qui un monumentale doccione quadrato incanale l’acqua piovana nella vasca

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zontali vengono nascosti inserendoli nel pavimento e nella copertura. Non esistono finestre nel senso tradizionale del termine, l’accesso e il ricambio d’aria sono affidati solamente a tre porte finestre, una per ogni lato vetrato. Un lungo tendaggio bianco permette di oscurare l’interno. L’aspetto di quest’abitazione tende maggiormente verso il Brutalismo rispetto a Casa Lampens, solo i mobili sono in legno; la muratura a nord non ha un rivestimento, il soffitto non è intonacato, entrambe queste superfici manifestano l’utilizzo di un cassero ligneo. L’illuminazione artificiale è affidata a piccoli bulbi in vetro bianco, che contrastano con la ruvidità del calcestruzzo; il pavimento è in cemento levigato, leggermente riflettente. Questa piastra si prolunga verso l’esterno a est e soprattutto a ovest, dove continua, in modo da formare un collegamento in leggera ascesa tra il piano della casa e quello della strada. Sempre sul lato ovest si prolunga la parete nord e la copertura, sostenuta qui da un’altra muratura in calcestruzzo armato, completamente chiusa e completamente esterna rispetto alla casa: si crea quindi un ingresso coperto, con l’abitazione che si impone come filtro attraverso il quale poter vedere il paesaggio circostante. In questo spazio la copertura si apre con un pluviale dalle dimensioni notevoli, quadrato, in calcestruzzo, che si ferma a metà altezza con un taglio a 45°, da qui l’acqua scende giù in una grande vasca circolare. Il progetto non interrompe la continuità del paesaggio, si appoggia sul terreno con timidezza, aspira ad essere “an absent presence”, dice Lampens; è nomadico nel suo aspetto esteriore e nel suo utilizzo nella vita di tutti i giorni, esprime l’archetipo della Tenda di cui parla Jo Van Den Berghe. Il prospetto è come ribaltato, la parte massiccia e pesante è sospesa sopra alla membrana di vetro, come fosse un baldacchino, un gazebo in cemento. Nonostante questa abitazione sia ardita e non convenzionale, è stata pienamente accettata, apprezzata e vissuta dai sui abitanti: la moglie scelse di non lavorare e di occuparsi dei figli, questi, nella loro infanzia, erano soliti giocare a calcio e girare con le loro biciclette in casa. In un’intervista rilasciata ad Angelique Campens per il suo libro, Wouter

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66_ Vista della facciata sud ed est della casa 67_ L’interno è completamente aperto, anche i due cilindri in foto, contenenti bagno e WC, si inseriscono nella casa senza chiudersi del tutto. I pannelli di legno delimitano invece gli spazi per la notte

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Vandenhaute28 ammette di aver percepito qualche limite nel vivere in questa casa, ma più che altro negli anni dell’adolescenza; durante l’infanzia ha invece apprezzato molto il fatto di aver avuto molto spazio libero a disposizione e, una volta adulto, ha ripetutamente notato le positività della casa, nel suo “tremendous sence of space, where you live together with nature”, e nelle sue proporzioni, perfettamente calibrate intorno alla figura umana, che non fanno percepire la casa ne come troppo piccola ne come troppo grossa, e che connette perfettamente tra loro i suo elementi. A conferma di questo, Lampens progettò e costruì anche per questa seconda generazione della famiglia Vandenhaute.

28. Figlio di Gerard Vandenhaute, cliente e poi amico di Juliaan Lampens

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68_ Ancora i due cilindri contenenti il WC e il bagno, sullo sfondo si vede il “baldacchino� in calcestruzzo che delimita la cucina

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69_ La cucina di Casa Vandenhaute - Kiebooms. Il tavolo da pranzo si allunga oltre i setti murari che scendono dal soffitto

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70_ Sezione lungo la direzione est-ovest 71_ La foto, scattata all’altezza di circa un metro e settanta, mostra come sia possibile cogliere l’intera casa e il paesaggio con un solo sguardo, da qualsiasi punto della casa

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72_ Dettaglio della parete vetrata e della muratura nord

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73_ Dettaglio dell’attacco a terra e del “canale” per l’inserimento del sistema riscaldante

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74_ Casa Van Wassenhove. La facciata sud è rivolta verso la strada e presenta infatti il garage con all’interno il portone d’ingresso

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CASA VAN WASSENHOVE, Sint-Martens-Latem, 1974 La casa Van Wassenhove è stata progettata da Juliaan Lampens intorno al suo proprietario, un insegnante single con la passione per l’arte. In questa occasione, il processo che ha portato alla definizione del costruito si è svolto in maniera inversa rispetto ai casi descritti in precedenza, il piccolo lotto selezionato inoltre, non è isolato o nascosto come quelli precedenti, ma è inserito in un contesto di case singole dall’aspetto tradizionale, tipicamente borghese. Lampens, ritenendo l’ambiente circostante non particolarmente dignitoso, scelse di lavorare creando un paesaggio interno, ripiegando la casa su se stessa, senza però rinunciare al suo già sperimentato open-plan; l’architettura diventa introversa, volta le spalle al paesaggio e si concentra sul suo universo interiore. Questa chiusura stile bunker si evidenzia subito in pianta: la casa è delimitata su tre lati da una doppia parete in calcestruzzo armato, intervallata da uno strato d’isolante, e si apre totalmente sul lato est; anche qui la membrana di vetro cerca di rendere il confine tra interno ed esterno più labile possibile, il telaio è inserito nelle murature laterali, in quella superiore e nel pavimento. Al centro di questa vetrata un pilastro metallico cruciforme sostiene la copertura e affiancata a questo si trova la porta, anch’essa in vetro ma con un vistoso serramento in legno. L’ambiente interno è movimentato da un gioco di quote che può essere ben compreso in sezione. Lo spazio principale si trova al livello del suolo e ospita il soggiorno e la zona pranzo: questa è in realtà riconoscibile solo per la presenza del tavolo e da una cappa in calcestruzzo che emerge dalla parete nord. La “cucina” non presenta infatti dei veri e propri mobili, ma tre semplici mensole lignee; è inoltre parzialmente nascosta dalla zona studio del livello superiore, un recinto quadrato in calcestruzzo che avanza verso la spazio sottostante. Il pavimento dello studio si prolunga idealmente a formare il tavolo, che in questa abitazione è in calcestruzzo, retto all’altra estremità dalla solita trave ad I. Al centro della pianta si trova un grosso setto murario, allineato con il pilastro cruciforme, che sorregge la copertura; affiancate a questo, due rampe di scale

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75_ Pianta: 1-veranda, 2-soggiorno, 2a-hobby, 3-cucina, 4-studio, 5-bagno, 6-WC, 7-spazio notte, 8-vasca di raccolta dell’acqua piovana

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danno accesso agli altri due livelli della casa, con una differenza di quota di 1,20 m. Il livello superiore è una sorta di corridoio, nel quale trovano posto: una zona notte delimitata da un basso e largo cilindro ligneo, leggermente aggettante sul soggiorno; il bagno e il wc, separati come da usanza nord-europea, sono schiacciati tra la parete ovest e due sottili setti in calcestruzzo. Davanti al bagno si trova un piccolo spazio con un armadio che da accesso alla zona studio di cui si accennava prima: questo spazio quadrato è diviso in due triangoli uguali, di cui uno occupato dalla scrivanie e da mensole, formate da semplici tavole di legno fissate al recinto di calcestruzzo. Questo livello superiore prende luce da una fascia vetrata che corre lungo tutta la parete ovest, sempre intervallata da un pilastro cruciforme e una finestra, in corrispondenza della zona bagno. Il livello inferiore è leggermente inserito nel terreno ed essendo al livello della strada, contiene i due ingressi alla casa. Uno è rivolto verso sud e quindi verso la strada, un vialetto collega infatti questa con il garage; a nord si trova invece un ingresso pedonale, ben evidenziato da una scalinata protetta da due grossi setti laterali. L’aspetto esterno è fortemente brutalista e imponente, nonostante le ridotte dimensioni, il materiale utilizzato è il calcestruzzo armato a vista, con i segni dei casseri lignei impressi sulle superficie, è il più chiaro esempio nell’architettura di Lampens dell’archetipo della “Grotta”. La sua potenza espressiva la rende sicura e protettiva, il mondo esterno sembra quasi lontano; l’apertura totale sul paesaggio della “Tenda” è stata rimpiazzata dalla compattezza e dallo studio capillare degli interni. La particolare forma di questa casa contribuisce a renderla scultorea: infatti la copertura si muove parallela ai livelli sfalsati dell’interno. Juliaan Lampens ha unito questa sua intenzione progettuale con il rispetto dei vincoli imposti dal Regolamento edilizio, che per quella zona imponeva l’uso di un tetto a falde inclinate. L’architetto ha giocato su quest’obbligo realizzando una copertura costituita da tre piani orizzontali a diverse altezze uniti da falde inclinate; sul lato est la copertura termina con una grossa superficie inclinata verso la casa stessa, le pareti nord e sud terminano proprio seguendo questa inclinazione di

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76_ Facciata est con veranda 77_ Prospetto nord

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45°, con il vertice di base che si appoggia a terra in corrispondenza del serramento. L’acqua piovana che si accumula in questa immensa gronda viene portata fuori tramite un’imponente doccione, che scende fino a circa un metro da terra, anch’esso inclinato di 45°, e poi cade su una grossa vasca circolare. Tutta questa parte della copertura si estende oltre la parete vetrata ad est creando una veranda esterna; anche a ovest, sul lato opposto, la copertura aggetta, questa volta leggermente, a proteggere il serramento a fascia, mentre si apre con un lucernario circolare in corrispondenza dello studio e della cucina.

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78_ Facciata ovest

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79_ Vista dell’interno. In primo piano sulla sinistra si nota il volume cilindrico che ospita la camera da letto, che aggetta sul livello principale della casa

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80_ Il bagno è uno spazio stretto tra la muratura ovest e due sottili e bassi setti, sempre in calcestruzzo

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81_ Vista dell’interno, dal secondo livello verso la cucina e il tavolo nel piano principale

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82_ Lo studio è un recinto quadrato in calcestruzzo. La scrivania è una tavola di legno che, insieme a due mensole, occupa metà di questo quadrato. Dalla parete nord fuoriesce la cappa della cucina

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83_ Schizzo di progetto per la Casa Van Wassenhove 84_ Vista della cucina, con il tavolo fisso in calcestruzzo. La forma triangolare della cappa prosegue nel mobile della cucina. Lungo il serramento si può vedere invece la grata lignea che chiude lo spazio per alloggiare il sistema riscaldante 113


85_ Sezione nella direzione est-ovest. Si vede l’articolazione dei tre livelli e come la copertura segue la morfologia degll’interno 86_ Dettagli dell facciata vetrata est

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87_ Particolare del soffitto in calcestruzzo armato, nel quale le lampadine si inseriscono come fossero incastonate 88_ Dettaglio disegnato a mano libera del serramento

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INTERVISTA A JO VAN DEN BERGHE Jo Van Den Berghe è nato nel 1961. Si è laureato presso la Scoula di architettura Sint.Lucas di Gand nel 1984 e nel 2012 ha ottenuto il Dottorato presso la Royal Melbourne Institute of Technology University. È stato allievi di Lampens a Gand, ed ha poi lavorato presso di lui dal 1984 al 1987. Attualmente affianca alla pratica di architetto quella di docente sempre alla Sint-Lucas di Gand (Università Cattolica di Leuven), ed è Visiting Professor presso la RMIT University di Barcellona. AL: Buongiorno, in questa intervista vorrei parlare soprattutto degli interni di Juliaan Lampens. Come è arrivato a questo tipo di open-plan così ardito e come lo proponeva ai suoi clienti? JVDB: Sicuramente questa sua pratica non era comune, soprattutto all’epoca in cui iniziò a sperimentare. Penso che principalmente presentasse la sua idea in termini di “Buon senso”, tramite una descrizione molto dettagliata dello spazio che aveva intenzione di creare; parlava della condizione dello stare insieme con la propria famiglia in un luogo ben determinato. Nelle sue case infatti il soggiorno ha sempre un ruolo fondamentale, e intorno ad esso si sviluppano gli spazi più privati, che però non sono mai completamente separati. Nonostante questo, nelle sue case si può trovare sempre un forte senso d’intimità, anche negli spazi comuni. La gente spesso si chiede come sia possibile, ma è proprio così, non è una questione di “Civilizzazione”, ma di “Cultura”. AL: Al giorno d’oggi si vedono, su riviste e siti di architettura, progetti descritti come Minimalisti, o il cui interno viene definito “open-plan”, ma confrontandoli con li lavoro di Lampens, sembra quasi che questi termini e gli stessi progetti siano più una questione di moda. Lei cosa ne pensa? JVDB: Penso che l’architettura di Juliaan Lampens vada più a fondo, non è fatta per le riviste patinate, e neanche per appartenere ad un determinato stile architettonico o Lampens ad un determinato gruppo

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di architetti, non era interessato a questa cosa; penso che questo fatto abbia contribuito alla sua limitata fama in passato. Nella pubblicazione di A+U ho scritto che non è mai stato un modernista, anche se non credo fosse d’accordo. Penso che lui volesse essere un modernista, poiché ammirava Le Corbusier, Mies Van Der Rohe, e anche Marcel Breuer; ma per il modo in cui lavorava era un architetto Arts and Crafts, un romantico architetto Arts and Crafts del diciannovesimo secolo. AL: Per il fatto che nei suoi progetti si enfatizza un concetto di famiglia forse meno moderno rispetto a quello attuale o della sua epoca? JVDB: Si, anche per questa idea romantica, questa aspirazione o forse utopia. Ma soprattutto per la modalità con la quale lavorava, il disegnare a mano, il disegnare dettagli a dimensioni reali, per il fatto di essere molto materico. Non volava avere niente a che fare con i computer, li odiava proprio. Inoltre la matericità e la fisicità del suo lavoro erano molto importanti, e questa fisicità era connessa a quella delle persone che vivono in quelle case, e alle loro relazioni. AL: Pensa che tutto questo fosse esclusivamente legato alla personalità dei suoi clienti, oppure sia possibile proporre questo tipo di abitare e di progettare ad un maggior numero di persone? JVDB: Penso sia possibile proporlo ad un maggior numero di persone, penso isa espandibile. I clienti non avevano idea di cosa aspettarsi da Lampens, almeno per quanto riguarda i primi progetti; ovviamente dopo che realizzò alcune case la gente iniziò a conoscere lui e la sua architettura, e a quel punto iniziarono ad affidargli incarichi proprio perché volevano abitare in una delle sue case, ma all’inizio non era così. Gradualmente, attraverso conversazioni e disegni con i clienti, questi iniziarono ad adattarsi all’idea che forse era possibile realizzare e abitare una diversa tipologia di casa. Non ha mai assistito a queste conversazioni con i clienti, ho lavorato per lui tra il 1984 e il 1987, in quel periodo abbiamo progettato una scuola ed un museo29 che poi non sono stati realizzati, ma penso che mentre fosse con i clienti parlasse a loro come se dovessero camminare, vivere nel paesaggio; ovviamen-

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te tra questo e l’interno c’era il vetro, ma solo perché era necessario, perché altrimenti sarebbe stato troppo freddo. Se avesse potuto non avrebbe utilizzato neanche il vetro. E poi faceva riferimento alla “Tenda”, spiegando che nel deserto, ad esempio, le persone vivevano tutte insieme in un unica tenda, o in Mongolia. Così riusciva a dimostrare che le sue proposte erano possibili. AL: Fino ad adesso ha parlato di paesaggio. Come si relazionava invece con il contesto costruito? JVDB: Non lo teneva in considerazione, non gli è mai piaciuto. Il Belgio è un territorio densamente costruito, oramai è saturo, non ha praticamente più paesaggio; guardava il contesto senza interessarsi troppo e senza esprimersi, parlava poco in generale. Proprio per compensare questa mancanza di paesaggio si concentrava sul paesaggio interno. Ad esempio non usava le aperture a fini compositivi, ma cercava di posizionarle e dimensionarle in modo da inquadrare qualcosa dell’esterno che fosse interessante, progettava dall’interno verso l’esterno. Spesso queste aperture erano grandi vetrate che si affacciavano sul paesaggio, o su un giardino o ancora su un patio, e quando progettava un patio era per sopperire alla mancanza di una vista dignitosa. AL: L’architettura di Juliaan Lampens è radicata nella tradizione belga e/o fiamminga? JVDB: Si, lo è. È fiammingo, è per questo motivo è più preciso rispetto ai francesi ad esempio. Era a metà tra i francesi e i tedeschi, infatti ha sempre cercato una sintesi tra Le Corbusier e Mies Van Der Rohe, del resto il Belgio stesso si trova tra la Francia e la Germania. Anche la scala a cui lavorava era diversa, in Francia ad esempio la scala è più vasta, anche il loro paesaggio è più vasto; mentre quello fiammingo è più piccole, come se fosse diviso in stanze, da siepi, alberi, edifici, in generale ha una scala inferiore, è più “costretto” dai suoi elementi, 29. I progetti a cui fa riferimento sono quelli per la Scuola media d’arte Sint-Lucas, Gand (1981-1987), e il National Boerenkrijg Museum, a Berlare (1979 -1987)

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pieno di dettagli. Questo era ed è il suo mondo, anche se non l’avrebbe mai ammesso all’epoca, affermava di “ripudiarlo” ma allo stesso tempo lo incorporava nella sua opera. AL: Lampens nelle sue case ha sempre realizzato una pianta libera, totalmente aperta verso il paesaggio ma al contempo totalmente chiusa sull’altro lato, verso la strada e il vicinato. Possiamo quindi pensare che ci fosse una certa contraddizione in questo, che ci fosse un qualcosa d’incompleto, o era proprio questa la sua intenzione? JVDB: Ti riferisci al lavoro di Archizoom, Andrea Branzi, per esempio? Loro erano molto radicali negli anni ‘70, Lampens deve aver visto i loro lavori. Aprivano totalmente lo spazio dell’abitare, fino al punto che il tuo soggiorno non era più il tuo soggiorno, ma ognuno poteva entrare, il che era molto radicale. Lampens non ha mai accettato questa pratica, perché riconosceva la necessità umana d’individualità, di protezione e di potersi ritirare in ogni momento dallo spazio pubblico. Con Archizoom lo spazio pubblico si fondeva con quello privato, completamente, e per Lampens questo non era possibile. Cercava invece il giusto compromesso tra apertura e chiusura, la gente ha bisogno di nascondersi di tanto in tanto, non ha mai voluto progettare uno showroom. AL: Possiamo ritrovare una connotazione politica nel suo lavoro? JVDB: Non direttamente, non ha mai fato riferimenti espliciti alla politica, ma ovviamente, implicitamente, c’è un aspetto politico che non può essere negato. Proporre un’architettura che faccia vivere insieme le persone in quel modo, è una qualcosa di diverso, ad esempio, da un approccio conservatore, che ritroviamo in una casa tradizionale, in questo senso c’è qualcosa di politico, ma non ne ha mai parlato apertamente, neanche in privato. Lampens era un rivoluzionario e allo stesso tempo conservatore, e di nuovo si nota la sua ambiguità. Ma non è mai basato la sua progettazione su un manifesto politico, e non era interessato a qualche tipo di circolo intellettuale, preferiva parlare con muratori o carpentieri, quello era il suo mondo.

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AL: Nei manuali di storia dell’architettura, troviamo alcuni esempi di open-plan altrettanto estremi già prima di Lampens, cosa aggiunge a questo tema l’architetto belga? JVDB: Non si è mai espresso molto su questo fatto, anche se doveva essere ben informato sul tema...ovviamente c’erano i Modernisti, Sverre Fehn ad esempio, è chiaro che vide il Padiglione norvegese all’Expo, e anche Jorn Utzon e ancora Mies. Ogni tanto poi commentava alcuni progetti di questi suoi riferimenti, ma per lo più diceva “Vedi, questa cosa è sbagliata, qui è troppo aperto” o “Come possono le persone vivere qui dentro se non metti quella sedia esattamente in questa posizione? L’intero concept svanisce!”. Ne parlava sempre in questi termini. Criticava anche la decorazione, l’ornamento, in questo senso era modernista; ma al tempo stesso era decisamente “ornamentale”, per le forme che creava con il calcestruzzo, il modo in cui trattava il dettaglio architettonico, era tutto connesso alla pratica costruttiva, e alle proporzioni. Non nel senso che s basava su rapporti prestabiliti come la Sezione Aurea, era una proporzione che derivava dall’intuizione; era veramente abile in questo, poteva prendere una matita, disegnare qualcosa, e guardandolo potevi renderti subito conto che era corretto così. AL: Come si svolgevano le sue lezioni? Erano completamente incentrate su progetti e revisioni o mostrava anche lavori suoi o di altri architetti? JVDB: Anche in queste occasioni parlava poco, guardava il tuo lavoro e se non gli piaceva semplicemente stava zitto. Se invece gli piaceva dava consigli molto mirati, usando metafore, è molto bravo ad usarle. A volte tracciava qualche linea sul tuo disegno per darti un suggerimento, un input e non criticava mai troppo il tuo lavoro, cosa che invece era molto comune all’epoca. Lui era capace di dare consigli davvero utili, con un paio di linee e poche parole...erano momenti intensi e tu come studente eri completamente assorto, e alla fine diceva “Prove-

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resti questo per me?”. E tu come studente, ovviamente, gli rispondevi di si. Questo era il suo modo di insegnare, senza grandi discorsi, senza lezioni teoriche. Quando faceva riferimenti, molto raramente citava lavori di altri architetti, più spesso invece cercava di trasmetterti una qualche sensazione, di farti immaginare situazioni semplici e concrete. A volte faceva riferimenti all’architettura egizia o gotica, per lui la buona architettura poteva essere trovata in quello che vediamo tutti i giorni. Lampens ricevette una buona educazione dal punto di vista tecnico, e questo fatto fu fondamentale per il tipo di architettura che sviluppò, e questo era anche il suo approccio nell’insegnare, a scuola e in studio. Ci faceva disegnare continuamente (a mano n.d.r.). CONCLUSIONE Come si è detto nell’introduzione, questa tesi è nata dalla curiosità verso questa architettura e i suoi interni; è stato poi interessante e stimolante scoprire, attraverso lo studio e l’osservazione diretta, come questi interni siano in realtà originati da un’attenta osservazione e una cosciente esperienza del paesaggio. Il viaggio in Belgio è stato inoltre un fantastico coronamento di questo lavoro e mi ha fornito l’occasione quasi unica di visitare personalmente alcuni dei progetti di Juliaan Lampens, e di incontrare il figlio Dieter, che per anni ha vissuto nella casa di famiglia e tuttora vive in una casa progettata dal padre. Tutto questo mi ha permesso di addentrarmi ancora di più nell’architettura dell’architetto fiammingo, percependone le varie sfaccettature, gli aspetti positivi, unici, contradditori e anche i limiti. Le parole di Dieter Lampens, al quale purtroppo non è stato possibile fare una vera e propria intervista, sono state decisamente esaustive in questo senso. Se gli si chiede com’è vivere in una casa progettata da Juliaa Lampens, risponde innanzitutto che per lui è la normalità, poiché in quella casa ci è nato e cresciuto; ma quello che gli interessa enfatizzare di più è la necessità di instaurare con i membri della propria famiglia, un rap-

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porto incentrato sul rispetto totale. Descrive la sua casa infatti, come una “casa dei cinque sensi, in cui è possibile vedere, percepire, sentire e respirare qualsiasi cosa... una casa in cui molte persone non potrebbero vivere, ma una volta provata, non si vorrà nient’altro”. Quello che emerge dai suoi racconti è la convinzione che quest’architettura produca un abbassamento delle barriere tra genitori e figli, caricandoli anche di maggiori responsabilità rispetto a coetanei abitanti in case comuni; con la stessa convinzione mi ha risposto che un’architettura di questo tipo è secondo lui in grado di rendere le persone migliori. Stupisce inoltre vedere come Juliaan Lampens fosse allo stesso tempo rivoluzionario e conservatore, e viene spontaneo chiedersi come sarebbe potuta essere la sua architettura se fosse stato maggiormente disponibile a confrontarsi maggiormente con i Maestri del Modernismo e con altri architetti a lui contemporanei. Certo è che il suo isolamento gli ha permesso di creare un qualcosa di unico e senza compromessi30. Stupisce ancora la pragmaticità della sua architettura, e la voglia di rifiutare ragionamenti complessi in nome di una progettazione totalmente dedicata all’abitare di tutti i giorni. Per concludere, mi piace pensare che questa tesi, seppur nel suo piccolo, possa in qualche modo contribuire alla diffusione di questa architettura così singolare, in linea con quanto sta già facendo Dieter Lampens, con la Fondazione che ha creato per gestire e pubblicizzare il lavoro del padre. REGESTO Il regesto contenuto in questa tesi non contiene l’intera produzione dell’architetto belga, come del resto quelli inseriti nelle poche pubblicazioni a lui dedicate. Dei lavori precedenti al 1960 infatti, si ritrovano soltanto pochi esempi, mentre non vengono mai riportati i progetti tradizionali che 30. In realtà, come verrà spiegato nel Regesto, Lampens continuò a progettare case più tradizionali anche dopo il 1960, con l’intento di ottenere guadagni più sicuri rispetto a quelli derivati dai suoi progetti brutalisti.

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si è visto costretto a realizzare dopo il 1960, in parallelo alle sue case Brutaliste. Joseph Grima, descrivendo la casa Vandenhaute- Kiebooms, riporta questa significativa frase di Lampens:”Like everyone else, I needed to pay the bill...You can’t push the envelope on every project. It requires very particular circumstances”. Molti dei progetti portati avanti durante la sua carriera non furono inoltre realizzati e dei tre concorsi vinti, solo quello di Notre Dame de Kerselare fu successivamente costruito. I progetti in grigio non sono stati realizzati. • Casa unifamiliare, Nazareth, 1945 • Due case unifamiliari, Nazareth, 1948 • Negozio di vestiti Van Hove, Nazareth, 1951 | riqualificazione

• Casa Vermaerke, Nazareth, 1953 | Lampens costruì numerose case tradizionali negli anni successivi alla laurea. Questa casa presenta due livelli, con un tetto dalla forte pendenza e la struttura in legno visibile sul prospetto principale. È stata demolita nel 2007.

• The Modern Ardennes House, 1957 | concorso indetto dal National Housing Institute, menzione speciale per l’originalità

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• Casa Cooreman, De Pinte, 1958 | Questa casa rappresenta la transizione tra i progetti tradizionalisti e quelli modernisti di Lampens. La copertura a due falde è fortemente asimmetrica, ma l’utilizzo di ampie vetrate su parte della facciata rendono equilibrato il prospetto. Da questo prospetto parte un terrazzo che continua su tutta la parete laterale, decorato triangoli bianchi e neri alternati.

• The European House, 1960: concorso internazionale organizzato per la Fiera Annuale delle Fiandre, progetto preliminare per un edificio residenziale, terzo posto

• Centro sportivo Watersportbaan, Gand, 1960 | concorso nazionale, quarto premio • Communal Credit of Belgium, Bruxelles, 1960 | concorso

• Casa Lampens - Van Hove, Nazareth, 1960

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• Notre Dame de Kerselare, Oudenaarde, 1961 (concorso), 1966 (realizzazione)

• Istituto Europeo Euratom per elementi transuranici, Karlsruhe (Germania), 1961 | concorso internazionale, terzo classificato • Casa Delbeke - Bourgeois, Kortrijk, 1962

• Opera House Madrid, Madrid, 1964

• Casa Dhondt - Sax, Oosterzele, 1966

• Casa Vierstraete, Gand, 1967

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• Casa Vandenhaute - Kiebooms, Zingem, 1967

• Casa Claus, Maarkedal, 1968 | La casa è posizionata sul punto più alto del lotto. La facciata principale è completamente chiusa, in mattoni, con due entrate separate per la parte privata e l’ambulatorio medico; la casa è distribuita su tre livelli che seguono la pendenza del terreno. Questi livelli si sovrappongono e tra loro si trova un’ulteriore piano asimmetrico. Al piano terra si trova l’ambulatorio e la cucina, al livello intermedio il soggiorno, completamente vetrato, e a quello superiore la zona notte, uno spazio unico dove le varie postazioni sono separate da armadi; scale in calcestruzzo collegano questi ambienti. Le pareti sono realizzate in mattoni, i soffitti e il mobilio in legno.

• Sint-Kruis-Male Church, Bruges, 1968

• Casa Diane Lampens, Gavere, 1968 | La casa che Lampens progettò per la sorella ricorda per certi aspetti la propria. La pianta presenta un muro in mattoni, alto circa 2 m., che disegna una spirale, che inizia e termina nell’ingresso/posteggio auto. La pianta prende ispirazione dalla compatta casa modello di Eduard Ludwig, presentata ad Expo 58. Sul lato sud, il patio occupa metà dell’intera dimensione dell’edificio, mentre l’interno è un rettangolo in cui pannelli e armadi lignei costituiscono le partizioni, senza arrivare a toccare la copertura romboidale. L’ambiente è dominato dai toni 126


caldi del legno di ciliegio, della tela e dei mattoni. Lo spazio tra il muro e la copetura è chiuso da una fascia di vetro. In questa casa Lampens torna ad un disegno della pianta chiaro e controllato stile Mies; la forma del tetto è la risposta ai regolamenti edilizi che impongono una copertura a falde.

• Residenze estive Sint-André, Koksijde, 1969

• Casa De Vos - Smesman, Nazareth, 1969

• Casa Pijpaert, Nazareth, 1969 • Biblioteca pubblica di Eke, Nazareth, 1970 | L’austera facciata di questo parallelepipedo in calcestruzzo è geometricamente divisa in triangoli e quadrati, le scale di accesso al primo piano, che contiene attualmente l’archivio della Fondazione Juliaan Lampens, seguono la diagonale che taglia questo prospetto. Questi due piani sono contenuti in uno spazio unico a doppia altezza, così che la luce può entrare dalle aperture del solaio. Le pareti laterali sono realizzate in calcestruzzo cellulari, mentre il rivestimento interno della copertura, il mobilio, le sedute e i tavoli sono in legno.

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• Casa Jozef Vandenhaute, Zingem, 1970

• Sgabello, 1970 | Questo sgabello triangolare in legno è stato realizzato originariamente per la Biblioteca di Eke, ma si è poi conquistato il ruolo di elemento di arredo universale sia nei progetti successivi che in quelli precedenti. Oltre che come seduta si presta ad essere utilizzato come tavolino e cestino dei rifiuti; è stato progettato in diversi formati, così che possa funzionare anche come banco o tavolo vero e proprio. In un secondo momento Lampens modificò il progetto originale tagliandone un vertice e rendendolo più facile da afferrare.

• Country house Claus, Maarkedal, 1971

• Istituto universitario di Anversa, Anversa,1972: concorso nazionale, in collaborazione con Lode Verbeke, Emmanuel Gautut, Walter Verschueren. Vincitore della prima fase

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• Ufficio turistico, Blankenberge, 1972

• Casa Derwael - Thienpont, Gavere, 1973 | La casa si trova in un sobborgo residenzile di Gand, è un quadrato di 16 m di lato, organizzato strutturalmente su una griglia di 4x4 m. Arrivando si è accolti da un’area d’ingresso coperta molto ampia. L’interno è spazioso e lo sguardo può coglierlo per intero, al centro della casa c’è un grosso camino in calcestruzzo che nasconde un salotto per rilassarsi guardando il fuoco; la zona notte è invece addossata sulla parete ovest. Questa e la muratura opposta sono entrambe i mattoni, mentre altre tre pareti, tutte parallele, sono realizzate con un sistema leggero poi rivestito da grossi pannelli di legno. Nessun muro arriva a toccare la copertura, dove è necessario una fascia vetrata chiude lo spazio lasciato vuoto, inoltre queste pareti sono rivolte esclusivamente verso la direzione est-ovest, mentre quella sud-nord presenta solo vetro.

• Casa Claus, Nazareth, 1973

• Casa Bauters, Maarkedal, 1973

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• Casa Van Wassenhove, Sint-Martens-Latem, 1974

• Casa Libeert, Komen,1975

• Municipio e Centro Amministrativo, Lokeren, 1975 | concorso nazionale, in collaborazione con Lode Verbeke, Emmanuel Gautut, Walter Verschueren, Vincitore della prima fase

• Casa /atelier Wallaert, Wannegem-Lede, 1976

• Casa Vandenhaute - Vereechen, De Pinte, 1976

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• Biblioteca Nazionale Pahlavi, Tehran, 1976 | concorso internazionale, progetto preliminare, progetto finale non affidato

• Casa De Meyere - Dhondt, Merelbeke, 1978

• Casa Merckaert, Geraardsbergen, 1978 | La casa si trova su un sito in pendenza, il garage e lo spazio utilizzato come deposito sono infatti parzialmente interrati; il soggiorno da accesso ad una terrazza, che consiste in una struttura lignea sospesa. Il soffitto interno non è rivestito in legno come in tanti altri progetti Lampens, ma mostra invece le travi in calcestruzzo, lunghe 14 m e alte 70 cm. L’interno è fortemente brutalista, solo i mobili della cucina, in legno, fanno da contrappunto al calcestruzzo; dietro la parete della cucina si trovano le stanze da letto e il bagno, al posto delle porte, l’accesso è filtrato da tende.

• Loft Lauwers, Nazareth, 1979 | Questo loft è situato all’interno di un edificio industriale; entrando si è subito immersi nell’open-space dell’hangar. Una porta scorrevole permette l’accesso all’abitazione vera e propria, dove l’uso ragionato di calcestruzzo, mattoni imbiancati e legno, la spazialità e la scala umana le conferiscono un aspetto domestico. Una scala in legno conduce al primo piano dove si trovano il soggiorno e la cucina, in un unico ambiente, mentre il pianerottolo funge da accesso alla camera da letto con bagno. La muratura dell’hangar è stata aperta per creare un affaccio sul paesaggio 131


e per fornire all’interno un consistente apporto di luce. Il rivestimento ligneo del soffitto si piega seguendo le necessità delle funzioni che ospita, contribuendo ad unificare gli ambienti.

• National Boerenkrijg Museum, Berlare, 1979 -1987 | in collaborazione con Jo Van Den Berghe | Il progetto per questo museo può sembrare formalmente abbondante, osservandolo in pianta, in realtà si tratta di una composizione ragionata per riduzione. Il museo è costituito da due pareti, posizionate sul confine di uno stretto lotto; superata questa entrata, le due pareti si allontanano e si piegano a formare un grande unico spazio che si affaccia sul lago, attraverso una membrane di vetro progettata per essere il meno visibile possibile, sempre secondo lo stile di Lampens. Si genera cos’ un luogo in cui il visitatore può soffermarsi ad osservare il paesaggio e la collezione del museo.

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• Scuola media d’arte Sint-Lucas, Gand, 1981-1987 | concorso, primo classificato | Questo progetto è localizzato sul limitare del centro storico di Gand, un edificio esistente viene riqualificato ed integrato con nuovi edifici in calcestruzzo sul alto della strada. Il centro medievale di Gand è costituito da una serie di piazze che si intersecano entrando una dentro l’altra, Lampens apre quindi l’edificio pre-esistente per proporre una nuova piazza che si aggiunge al gioco di spazi descritto sopra. Lo spazio pubblico della strada s espande e si interseca con quello nuovo al centro della scuola, invitando i passanti ad entrare in un luogo pensato come culturalmente vivo, e dove poter ammirare le mostre e le attività portate avanti dagli studenti. Il progetto è poi stato abbandonato al momento di iniziare i lavori.

• Housing Sociale Stawon, Amsterdam (Paesi Bassi), 1983 | concorso internazionale, in collaborazione con Marianne Eeckhout

• Casa De La Ruelle - Van Moffaert, Sint-Martens-Latem, 1988 | Per questa espansione di una casa prefabbricata, Juliaan Lampens si ritrova a doversi confrontare con un lotto particolarmente ristretto e confinato. Il nuovo blocco che realizza ospita una biblioteca/studio, una camera da letto con camerino e bagno, ed è separato dall’abitazione originale, posizionato tra essa e la strada. La nuova pianta prende la forma di un triangolo equilatero, con il vertice verso la strada troncato, solo la trave del tetto aggetta terminando la figura, e dall’interstizio che si genera parte un monumentale doccione che fa cadere l’acqua piovana nella solita vasca circolare. Al centro della pianta, un nucleo in calcestruzzo è stato modellato a formare scrivania, mensola e scale, dividendo idealmente la zona soggiorno da quella dedicata allo studio; la zona notte è invece nel piano seminterrato. Il lato che si rivolge

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alla case pre-esistente è completamente vetrato. La realizzazione è stata eseguita con grossi blocchi in calcestruzzo cellulare Ytong lasciati a vista, tanto da permettere a Lampens di vincere nel 1992, il Terzo Concorso per l’Architettura Ytong.

• Casa Lampens - Dierick, Gavere, 1990 | Le due case per i figli di Lampens sono state realizzate su due appezzamenti di terra adiacenti. Questa in particolare si sviluppa completamente in orizzontale, ed è costituita da un semplice volume a forma di parallelepipedo con il lato rivolto verso la valle della Schelda completamente vetrato, sovrastato da un’alta trave che corre lungo tuto il prospetto. La casa è posizionata sul punto più alto del lotto, realizzata in calcestruzzo, con qualche elemento in legno al suo interno.

• Casa Lampens - Hartmann, Gavere, 1992 | Questa seconda casa si sviluppa invece verticalmente, si trova ai piedi della collina che costituisce il lotto, tanto che il livello superiore viene a coincidere con quello della casa orizzontale. L’aspetto è quello di una torre ermetica, realizzata interamente in mattoni locali, mentre il materiale principale all’interno è il legno. Sul lato ovest della casa si trovano tre piani, il soggiorno è al primo, lungo il lato sud; mentre l’accesso è affidato al garage.

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• Residenza estiva Vandenhaute, Koksijde, 1997 | in collaborazione con Luc De Vos

• Centro Artistico e Musicale di Jyväskylä, Jyväskylä (Finlandia), 1997 | concorso, in collaborazione con Luc De Vos, Patrick Saelens, Jo Van Den Berghe, Koen Dekeyser

• Casa Velghe - Vanderlinden, Deinze, 2002 | in collaborazione con Luc De Vos | Questa casa è l’ultima realizzata da Juliaan Lampens, come tale l’architetto ha voluto incorporare in essa tutti gli elementi caratteristici della sua architettura, creando un compromesso tra la severa Casa Vandenhaute-Kiebooms e la scultorea Casa Van Wassenhove. Il lotto triangolare si trova sulla riva del fiume Lys e la casa occupa l’intero lato est di questo lotto, chiudendolo alla strada attraverso una muratura in blocchi di calcestruzzo cellulare sormontata da un’alta trave in calcestruzzo armato. La muratura continua anche sul lato sud, nascondendo il giardino dai terreni confinanti. Il volume principale contiene in un unico spazio l’ufficio, il soggiorno con camino, la cucina con il tavolo da pranzo, la camera da letto padronale e il relativo bagno. Un’appendice della casa che si estende verso nord contiene invece il garage, un altro bagno e due camere singole. In questa casa Lampens utilizza per la prima volta sistemi come la pompa di calore, pannelli radianti per il riscaldamento, un sistema di ventilazione e schermi solari; integrandoli comunque secondo il suo stile personale.

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• Casa Vandenhaute - Van Eylen, Leuven, 2003 | in collaborazione con Luc De Vos

• Casa Russo, Uccle, 2012 | in collaborazione con Luc De Vos

• Monumento E17, Nazareth, 2012 | in collaborazione con Luc De Vos

RETROSPETTIVE E MOSTRE (una selezione) • Juliaan Lampens 1950-1991: Retrospectieve tentostelling | deSingel International Arts Campus, Anversa (Belgio), 1991 • Juliaan Lampens, architecte | Istituto superiore vallone per l’architettura S. Luca, Liegi (Belgio), 1996 • Belgische architecten-oeuvres | Accademia di Belle Arti e Dipertimento di Progettazione architettonica, Maastricht (Paesi Bassi), 1998 • Retrospectiva Juliaan Lampens e 10 jovens arquitetos Belgas: la Mostra Internacional Rio Arquitetura (MIAR) | Rio de Janeiro (Brasile), 2003 • Juliaan Lampens: Bouwkunst | Museo di Deinze e Regione del Lys, Deinze 136


(Belgio), 2005 • Juliaan Lampens, from embryo to realisation | Scuola di Architettura San Luca, Gand (Belgio), 2006

FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI • 1, 4, 5, 6, 19, 20, 21, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 28, 29, 30, 31, 46, 49, 51, 57, 72, 73, 75, 85, 86, 88: fotografie di Sven Everaert, Filip Dujardin, Pierre Noel, disegni e schizzi della Fondazione Juliaan Lampens tratte da A+U Architecture and Urbanism “Juliaan Lampens” n. 523 (Marzo 2014) • 2, 3, 7, 8, 9, 18, 23, 32-45, 47, 52-56, 58, 61, 62, 74, 76-82, 84, 87: fotografie eseguite dall’autore • 10-12: da “Expo 58 : between utopia and reality” (Bruxelles City Archives, Racine editions, Bruxelles, 2008) supervisione di Gonzague Pluvinage • 13,14: fotografi tratte da Christian Norberg-Schulz, Gennaro Postiglione “Sverre Fehn: opera completa” (Mondadori Electa, Milano, 2007) • 15,16: fotografie di Setgysels e Dietens tratte da Jonathan M. Reynolds “Maekawa Kunio and the emergency of Japanese modernist architecture”, University of California Press, Berkeley, 2001 • 48, 64, 70, 71, 83: fotografie di Jan Kempenaers; fotografie disegni e schizzi della Fondazione Juliaan Lampens tratte da Angelique Campens, Hans Ulrich Obrist, Francis Strauven e Joseph Grima “Juliaan Lampens” (ASA, Bruxelles, 2010) • 63, 65-69: fotografie di Jan Kempenaers tratte da Angelique Campens “Juliaan Lampens a fundamentalist vision of living” Domus 937 (Giugno 2010), pag. 24-30 • Le fotografie e i disegni utilizzati nel regesto sono tratti da A+U Architecture and Urbanism “Juliaan Lampens” n. 523 (Marzo 2014) e Angelique Campens, Hans Ulrich Obrist, Francis Strauven e Joseph Grima “Juliaan Lampens” (ASA, Bruxelles, 2010) 137


BIBLIOGRAFIA • Angelique Campens, Hans Ulrich Obrist, Francis Strauven e Joseph Grima “Juliaan Lampens” (ASA, Bruxelles, 2010) • Paul Vermeulen, Juliaan Lampens e Gerard Vandenhaute “Juliaan Lampens 1950-1991 (deSingel, Anversa, 1991) • Marc Dubois “Belgio: architettura, gli ultimi vent’anni” (Electa, Milano, 1993) • Phaidon Press Editori “10x10/3: 100 Architects, 10 Critics” (Phaidon Press, Londra, 2009) • Hans Ibelings, Francis Strauven “Architetti contemporanei in Olanda e nelle Fiandre” (Stichting Ons Erfdeel, Rekkem, 2000) • Mil De Kooning, con un’introduzione di Geert Bekaert “Horta and after, 25 Masters of Modern Architecture in Belgium” (Dipartimento di architettura e pianificazione urbana, Università di Gand, 1999) • “Expo 58 : between utopia and reality” (Bruxelles City Archives, Racine editions, Bruxelles, 2008) supervisione di Gonzague Pluvinage • Diane Hendrikx, Muriel Verbist “Belgian Architects and their houses” (Luster, Anversa, 2011) • Wolfgang Jean Stock “European Church Architecture 1950-2000” (Prestel, Monaco, 2002) • Wolfgang Jean Stock “Architectural guide: Christian sacred buildings in Europe since 1950” (Prestel, Monaco, 2002) • A+U Architecture and Urbanism “Juliaan Lampens” n. 523 (Marzo 2014) • Like Bijlsma “Living towards nature. Houses by Juliaan Lampens” in OASE 55 (NAi010 publishers, Rotterdam, 2001), pag. 109-118 • Angelique Campens “Juliaan Lampens a fundamentalist vision of living” Domus 937 (Giugno 2010), pag. 24-30

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• Patrick Saelens “L’architecture de Juliaan Lampens: la dialectique d’une vision de l’habitat” A+ 114 (gennaio-Febbraio 1992), pag. 68-73 • A+ “Awards de L’Architecture 1995, Grand Prix d’architecture de Belgique: Juliaan Lampens” n. 133 (Aprile-Maggio 1995), pag. 18 • Maarten Delbeke “Getting Lost. A Note on the Semiotics of the Belgian Architectural Landscape” A+U 392 (Maggio 2003) pag. 8 • Wim Cuyvers “The Belgian House The Waiting Facade and the Field of Fire” A+U 392 (Maggio 2003) pag. 20-21

Nel concludere questa tesi voglio ringraziare Dieter Lampens e Jo Van Den Berghe per la pazienza e disponibilità mostratami durante il mio viaggio in Belgio.

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JULIAAN LAMPENS il paesaggio interno ANDREA LIGATO


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