Gibellina città resiliente

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Gibellina cittĂ resiliente



Movimento di resilienza italiana

Gibellina cittĂ resiliente progetto fotografico di Andrea Repetto a cura di Giorgia Salerno

10 ottobre 2015 Baglio Di Stefano Gibellina


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Š 2015 Andrea Repetto - immagini Giorgia Salerno - testi




Gibellina citta’ resiliente, progetto fotografico di Andrea Repetto a cura di Giorgia Salerno

¶ Nel gennaio del 1968 la valle del Belìce viene sopraffatta da un violento terremoto, che distrugge quasi interamente la città di Gibellina la notte del 14. Tutto quello che accade dopo è il tentativo di una rinascita della città di Gibellina per volere di Ludovico Corrao che ne fu sindaco e promotore. Attraverso un appello inviato alla comunità intellettuale internazionale, Corrao, invoca aiuti concreti per Gibellina. Nel corso degli anni, artisti e architetti giungono nella cittadina del Belìce per donarvi un omaggio, per progettare e ricostruire i luoghi distrutti, operazione che, anche sotto il profilo economico, vide svariate lotte parlamentari. La realizzazione delle opere d’arte fu quasi in gran parte autofinanziata dagli artisti e resa possibile solo grazie alla collaborazione degli abitanti. Lo Stato, infatti, proibì l’uso di fondi pubblici per le opere d’arte e grande fu la critica mossa a Ludovico Corrao per la sua ardua impresa. In pochi compresero la connessione fra le opere d’arte e la ricostruzione della città, l’importanza di una rinascita e collaborazione fra il mondo della cultura e quello rurale dei contadini, oltre all’esigenza

di coinvolgere lo Stato intellettuale e fare di Gibellina la prima città d’arte in Italia. Ventuno anni dopo, circa, tra il 1989 e il 1990, Gibellina, ricostruita, ospita quattro fotografi che si confrontano sulla lettura della città nuova, che in parte si presentava ancora come un cantiere aperto e baluardo di una possibile e concreta rinascita. Mimmo Jodice, Guido Guidi, Rossella Bigi e Giovanni Chiaramonte mostrano quattro differenti visioni di Gibellina, ognuno con una propria interpretazione che da vita al testo Gibellina utopia concreta. Mimmo Jodice e Rossella Bigi scelgono il bianco e nero per loro fotografie. Jodice ci racconta la fase di transito nel rapporto fra le nuove architetture e gli abitanti di Gibellina (e la loro quasi ritrovata serenità) che vivono fra i cantieri degli edifici ancora in costruzione. La vita prosegue comunque, sembrano comunicare le sue fotografie dei panni stesi, dinanzi all’ancora in costruzione Meeting di Consagra e l’intimità dell’interno di un appartamento. Il suo è un doppio sguardo su Gibellina, quello degli abitanti su una terra in rinascita e una visione più esterna, come quello dell’artista Beuys che ripercorre i luoghi della tragedia alla ricerca di una natura simbolo di immortalità. Rossella Bigi si avvale di una visione più intima ed estetizzante. Il suo sguardo è nella maggior parte dei casi decentrato, quasi come un volersi mettere da parte, per dar spazio ai nuovi luoghi della Gibellina riscostruita. La sua è una Gibellina fatta di persone ed edifici abitati, di una quotidianità normalizzata mostrata dai ragazzi che proseguo-

no nelle loro attività, come l’andare a scuola e il giocare a calcio o dal contadino che lavora la terra fino al dettaglio di una bilancia per la vendita della frutta. Non a caso il titolo del suo report fotografico è Riti di fondazione portando alla luce la ritualità di una classica quotidianità di un piccolo centro. Guido Guidi e Giovanni Chiaramonte, invece, impiegano entrambi l’uso della fotografia a colori. Guidi sceglie di fotografare le macerie e l’incuria nella quale versa Gibellina in ricostruzione. Il colore è livido e plumbeo. I suoi sono scorci di una terra che a vent’anni dal terremoto ancora è in attesa di compimento. Un cantiere a cielo aperto, dimenticato anche dai suoi abitanti, abituati ormai alla sua incuria. Nella maggior parte delle immagini di Guidi non ci sono individui ma solo edifici in costruzione e attrezzature industriali. Al contrario Chiaramonte predilige i colori di una giornata assolata. Giochi di simmetrie e piani in movimento, raffronti fra elementi artificiali e naturalistici sono le sue caratteristiche. Si intravede un arcobaleno, una pianta di basilico in mezzo alle sterpaglie, un accenno di rigogliosa natura e uno scorcio di una scala che conclude in una apertura di cielo. È una Gibellina speranzosa, in costruzione, in attesa di una nuova luce. Oggi a venticinque anni dalla pubblicazione di Gibellina, utopia concreta, Andrea Repetto omaggia Gibellina con una sua rilettura fotografica del testo del 1990, donando una connotazione forte alla città distrutta e riscostruita: Gibellina città resiliente.


Repetto dà inizio al suo progetto fotografico con una visione notturna, una panoramica dall’alto della città nuova, dove spicca, fiera e illuminata la ‘Stella’ di Consagra, simbolo del trionfo di Gibellina e della sua rinascita e dell’intera valle del Belìce. È il simbolo di una vittoria, di una città che venne rasa al suolo proprio di notte, mentre ignari i suoi abitanti vi dormivano. Repetto nella sua lettura, con rispetto ed ammirazione, riesce a fotografare il silenzio che oggi, a distanza di quasi cinquanta anni da quelle urla che sconvolsero l’intera valle del Belìce, appare come un dono da salvaguardare e la gratificazione di una terra ferita che mai potrà dimenticare. Sceglie poi l’alba come sfondo della città, non a caso l’inizio di un nuovo giorno, di una nuova luce: è la narrazione di una rinascita. Una Gibellina ancora assopita che con lentezza si accinge al suo risveglio. Le luci che illuminavano in notturno la città diventano più fioche per dar spazio alla luce naturale. È quasi giorno, una finestra aperta a metà, il sole sta per tornare su Gibellina. Le sculture di Consagra sono lì, come se lì fossero sempre state, si mescolano e mimetizzano alle case abitate ancora dormienti. In tutta la loro verticalità, fiorenti, nella lettura del fotografo, dialogano in una danza con le opere di Carla Accardi, pronte ad affrontare un nuovo giorno. Il progetto fotografico di Andrea Repetto è una puntuale testimonianza del grande operato della ricostruzione di Gibellina. Con grazia e maestria rilegge le opere scultoree e architettoniche di una città che fu interamente ricostruita dal nulla ponendo uno dei

principali problemi della sua rifondazione: la memoria. Lo stesso Corrao intervenne su come sarebbe stato possibile architettonicamente conservare la memoria di una terra distrutta e da ricostruire interamente in un altro luogo. La scelta dunque fu drastica e dopo anni di baraccopoli si optò per case più grandi e dotate di ogni comodità che i contadini nella città vecchia non erano abituati ad avere. Gli stessi cittadini furono i costruttori delle proprie case, diventando la forza manuale cui si deve la città nuova. Le vie si allargarono e riscossero un grande successo nei cittadini di Gibellina, molti dei quali dopo il terremoto avevano abbandonato la propria terra e vi avevano fatto ritorno solo molti anni dopo. Lo Stato, infatti, dopo la tragedia del terremoto offriva navi per fuggire altrove, in Australia, in Venezuela. La sfida era restare a Gibellina contro ogni speranza, ricordava lo stesso Ludovico Corrao e ridare la speranza era fondamentale per resistere. La narrazione di Andrea Repetto è lineare e continua nel suo percorso, in una condivisione armonica di strutture abitative e urbanistiche, vedute larghe e raffronti simmetrici, il suo sguardo diviene il nostro sguardo, rendendoci così, protagonisti della storia che ci sta narrando. È la storia di una città nella quale le imponenti architetture, perfettamente integrate nel contesto urbano, mostrano fieramente il loro animo resiliente e rendendo Gibellina cosi unica ed eclettica. Ogni scultura - architettura è la testimonianza della nuova Gibellina che vuole ricominciare a vivere e rinascere dopo la trage-

dia vissuta. Ogni artista chiamato da Ludovico Corrao, progetta edifici, sculture, costruzioni ed opere come fiori dell’arte e della cultura nel deserto del terremoto, del destino dell’oblio come li definì lo stesso Corrao. E così Melotti dà vita ad una melodia gioiosa nel suo Contrappunto, la torre civica di Alessandro Mendini, al segnar dell’ora emette, invece, il suono di canti e voci popolari siciliani. Ci troviamo a percorrere le strade della chiesa Madre dalla forma sferica, progettata da Ludovico Quaroni, e nei dettagli mostrataci da Repetto, che rompe la staticità classica della struttura e ne conferisce un valore sacro e spirituale, centrale nella vita degli abitanti di Gibellina. Osserviamo l’Aratro di Arnaldo Pomodoro che omaggia la vita rurale, principale attività nella terra siciliana, per non dimenticare il valore e l’importanza della terra, quella stessa terra che una notte di gennaio nel 1968 scosse la vita di tutti gli abitanti di Gibellina. Anche le palme svolgono un ruolo primario nella terra siciliana e riprese dal fotografo come spesso elementi di connessione fra le abitazioni e le nuove architetture. Le palme, piante di cui tanto parlò Ludovico Corrao, sono segno della bellezza di Dio…, rimando al mondo islamico,….una stazione di sosta, un topos dell’anima, un punto di approdo e di partenza del cammino degli uomini..un simbolo di perfezionamento spirituale, ..un miraggio, ..un miracolo..un posto segreto a cui si accede attraverso il deserto […]. Un deserto creato dalle macerie e dall’incomprensione della politica che non condi-


vise l’idea di Corrao e l’importanza di seminare fiori della cultura, …perché germogli una civiltà nuova aperta al mondo contemporaneo, a tal punto da vietare l’utilizzo di piccoli fondi per l’edilizia pubblica per la realizzazione di opere d’arte, negando il diritto alla cultura. Un destino inesorabile che purtroppo con fatica, ancora oggi, la cultura si trova ad affrontare per contrastare la desertificazione della memoria e identità del patrimonio storico artistico nazionale. Una città si ricostruisce negli anni, nei secoli affermava Corrao che fino a pochi giorni prima della sua morte si augurava il completamento del Cretto di Burri e una continuità di sviluppo e cambiamento per la città di Gibellina che affidava alle future generazioni. Un lascito morale per la sua continua rinascita. È la storia di una battaglia vinta dal legame fra il popolo e la cultura, ma una lotta ancora oggi, da portare avanti, nella speranza di non cadere nel tragico destino dell’oblio, come per l’attesa del restauro del Cretto, che ripercorre l’assetto viario della città vecchia e versa in stato di abbandono o la tutela, la valorizzazione e la manutenzione di tutte le architetture di Gibellina, non più nuova. All’appello di Corrao, sostenuto da Leonardo Sciascia, risposero molti uomini di cultura e artisti come Carlo Levi, Ignazio Buttitta, Arnaldo Pomodoro, Carla Accardi, Joseph Beuys e tanti altri e vien da chiedersi se non sia il caso di interpellare nuovamente una coscienza culturale intellettuale italiana verso la quale Repetto, attraverso la sua lettura fotografica, si fa nuovo promotore. Ogni fotografia si manifesta come un ulteriore appello, per non dimenticare e far si

che quell’utopia torni ad essere concreta. Non solo una Gibellina resiliente dunque nella fotografia di Andrea Repetto, ma l’auspicio di una mentalità resiliente, pronta a rinnovarsi continuamente, al rialzarsi dopo le cadute e alla ricostruzione dopo la distruzione, riprendendo i temi che furono cari a Ludovico Corrao. È un dialogo attuale fra artisti quello tra il fotografo e le sculture di Gibellina che punta l’accento sul lascito di un grande patrimonio culturale e mantenendo vivo il dibattito dell’eredità formativa e intellettuale che ne deriva. Una lettura profonda, quella di Andrea Repetto, che mostra di aver compreso nell’intimità la sicilianitudine di cui parlavano Sciascia e Corrao, un popolo complesso, poliedrico, per sua natura ricco di una cultura millenaria, che vive il dramma tra la certezza di una prosperità che esistette già e che potrebbe ancora esistere per quanto di potenziale ricchezza egli ebbe da Dio e la continua constatazione di un destino di avvilente miseria a cui l’hanno legato le dominazioni, [..] capace di reagire ai grandi movimenti ma dalla mentalità chiusa nel suo essere territorialmente limitata. Un popolo che porterà sempre con sé la sua sicilianitudine anche lontano dalla sua terra, nel bene e nel male. G.S.




































































































apparati biografici

Andrea Repetto (1962) alterna la propria attività fotografica tra professione e ricerca ed è particolarmente attivo nella diffusione della cultura fotografica. Da alcuni anni lavora sul concetto di presenza-assenza dell’uomo, realizzando diversi progetti in costante evoluzione, tra cui “andato via” e “vernice fresca” accomunati da un metodo di indagine derivato dalla sociologia contemporanea. Fa parte del Movimento di Resilienza Italiana. Sue fotografie sono conservate in collezioni pubbliche e private, tra cui la Bibliothéque Nationale de France e la Fondazione Orestiadi di Gibellina. Vive e lavora a San Cristoforo (AL).

tra le pubblicazioni meritano menzione: “Scrivia, fotografie lungo il corso del torrente” (1999), “Cuore di Cabanè” (2003), “A+d’Autore – Monferrato terra senza confini” (2006), “Pastres pastori bergers” (2007), “Lezioni di paesaggio” (2009), “Ovada Incontemporanea Festival - Diario 2008 di Andrea Repetto” (2009), “Album – La Casaccia” (2011), “Ovada” (2012), “Anne-Karin Furunes – Shadows” (2014). www.andrearepetto.it




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