OVADA INCONTEMPORANEA FESTIVAL - DIARIO 2008 DI ANDREA REPETTO

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OVADA INCONTEMPORANEA FESTIVAL

diario 2008 di andrea repetto

testi di emanuela celauro tiziana piccioni


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OVADA INCONTEMPORANEA FESTIVAL

diario 2008 di andrea repetto

testi di emanuela celauro tiziana piccioni


OVADA INCONTEMPORANEA FESTIVAL diario 2008 di andrea repetto organizzazione Gruppo Due sotto l’ombrello testi di Emanuela Celauro e Tiziana Piccioni fotografie ed ideazione di Andrea Repetto stampa:Litograf Novi Ligure copyright © 2009 - riproduzione vietata


Poter sostenere l’operato del Gruppo Due Sotto L’Ombrello, in particolare in occasione del Festival OVADA INCONTEMPORANEA, è diventata una specie di missione. E un’Amministrazione deve saper scommettere, puntando sulla qualità e la cultura che, indubbie, caratterizzano ogni evento della rassegna. E che di anno in anno vede un crescendo, anche in termini di risposta di pubblico e di interesse mediatico. Una politica per la città, rivolta alla gente, deve esser lieta di fare anche operazioni culturali apparentemente di nicchia, non frequentate come uno stadio calcistico, ma indubbiamente partecipate e ricche di fermento e curiosità. E dunque è immenso il piacere con cui rinnovo la disponibilità e l’interesse verso questo Festival, nonché la gratitudine verso tutti coloro che, nel e del Gruppo, lavorano per la buona riuscita degli eventi. Il Festival inoltre da’ lustro e visibilità alla nostra Città, la esporta in senso internazionale e introduce il Mondo intero in OVADA. Quindi continuiamo, ogni anno, sempre con l’inquietudine di dare di più, e meglio. Ogni volta. Jules Renard, scrittore francese vissuto a cavallo tra il diciannovesimo e ventesimo secolo, con l’ironia che sempre lo contraddistinse, scrisse “Non essere mai soddisfatti: l’arte è tutta qui”. L’augurio dunque è di non esser mai davvero soddisfatti, perché così si continuerà a creare, e a desiderare oltre. Giovanni Battista Olivieri Assessore alla Cultura Città di Ovada



Prima di tutto il silenzio Negli ultimi anni è lo “Spazio sotto l’ombrello” di scalinata Sligge a farla da padrone. La sede storica di via Gilardini aspetta silenziosa, saggiamente conscia d’essere conchiglia per piccoli eventi perla, raccolti e poco frequentati. In realtà facce di una stessa medaglia i due luoghi comunicano continuamente e sono fulcro entrambi del Gruppo. L’aria si è spostata un poco, giù da questa scalinata, aprendo una grande porta a vetri, che più di noi, risente di caldo e freddo, di stagioni e segnali del tempo. Dietro a tendoni spessi e scuri, dietro a grandi vetrate che si sentono vetrina e specchio insieme, c’è questo luogo che anima Ovada e che si prende chiunque ne varchi la soglia. Già, come la polena, tra le tante immagini di questo diario fotografico 2008, questa donna pesce che si prende il mare e le sue burrasche e che di acqua e sale ha i capelli, che scongiura e allontana i tifoni e le maree, così le Sligge, come tutti quanti chiamiamo questo scrigno, si prendono le paure, le ansie, i desideri e le volontà, le aspettative e il fermento che ognuno di noi ha dentro sé. E tutto questo sentire, tutto questo provare, in fondo questo essere, in Sligge si cucina ben bene, non si scongiura e non si allontana, piuttosto vi lievita. Insomma, alle Sligge, in fin dei conti, si fa pane e biscotti. Del resto, un ex biscottificio quale storicamente è, conserva aromi e fantasmi che non possono svanire. Di cremor tartaro nei muri a sgretolarsi ce ne dev’essere ancora molto. E più che lievitar non si può far. Così ogni giorno, a tutte le ore, c’è qualcuno che impasta, e con impalpabile farina di fantasia, modella il proprio pensiero facendone rumori, suoni, note, scarabocchi, ideogrammi e infin parole, macchie tinte, campiture colorate e disegni, goffe mosse, movimenti e quindi danze, vagheggi, obiettivi e dunque scatti.


Ed è qui dentro, certo con vite anche altrove vissute, fatte di tavole imbandite, uffici e file alla posta, letti in cui dormire, gabinetti nel mondo dislocati, pianoforti con gatto incorporato, viaggi, voli -virtuali o meno questi tanti-, sacchetti della spesa da portare, bambini da allattare, mani tra la terra a rinvasare fiori da salvare, animali da accudire e biciclette in giro per Ovada o oltre,di qua e di là dai fiumi, è qui dentro appunto, che nasce, piano, in silenzio, ogni cosa di due sotto l’ombrello. Insomma, biscottificio e sala parto. Certo è, vi chiederete, come conciliare il silenzio con la sala parto? Il pane è chiaro, caldo e silenzio ne fanno soffici forme, ma tutto il resto? Ebbene, avete un po’ ragione. La partenza è il silenzio. Approdo la nascita. Prima di tutto il silenzio. Molto più interiore, molto più sottile dell’assenza di suoni. Il silenzio dentro le Sligge è oltre lo scricchiolio della porta, la goccia dal rubinetto, il respiro sottile o forzato dei suoi abitanti. E’ il silenzio di chi si apre, non di chi si chiude. E’ il quotidiano esercizio di guardarsi dentro, di cercare, inquieti ma fermi, il granello di sabbia da ricoprire, di tempo e pazienza, per farne il gioiello. Così, nascono tante cose, anche questo festival, fatto di sacrifici e sorrisi, di fogli che ti viene di buttare all’aria ogni tanto, di “machimmelofaffà”, di periodo di ferie per quasi tutti, di uffici da rincorrere e persone in fila indiana, di blocchi per le note a fare i conti infinite volte e qualità sempre da mantenere e aumentare. Ognuno ha il suo ruolo, impegni da svolgere, ore da rubare al sonno per sbrigare faccende, contatti da prendere, idee da gestire. Ognuno ricava nient’altro che la gioia, silente anche quella, dopo lo sbraitare, apparente, della sala parto. Perché quella polena che ci prende varcando la soglia, ci fa gruppo e società, ci restituisce quell’appartenenza, di genere innanzitutto, quell’essere che abbiamo già


scomodato, il fatto di sentire ed esperire, di fare, o almeno provare. Le Sligge e via Gilardini, l’essenza tutta di Due sotto l’ombrello, perché due luoghi, appunto, sotto un unico cielo. Prima di tutto il silenzio. E infine ancor esso, senza fragore alcuno, senza strilloni ad annunciare successi macchinati, senza il vociare nelle vie piene e luminose. Semplicemente silenzio. Ancora e infine. Come un serpente che si morde la coda, nostro uroboros di vita e morte, e rinascita ogni volta. Da silenzio a silenzio. Per poter ricominciare. Ogni volta. Ogni anno. Come il pane. La biga della ‘pasta madre’; ricominciare ogni volta. Per nuovo lievito. Nuovi calori e profumi. Per questo pane salato, avvolti, complici e immersi in questo mare, che se avrà perso già molto, di certo mai perderà il sale. Emanuela Celauro


Camminando col fotografo Accompagno Andrea in uno dei suoi primi giri a Porto Marghera. Camminiamo in mezzo ai cumuli di neve di pioppo sui marciapiedi, tra il riverbero di fuoco del sole che picchia su asfalto e cemento e lo stridio dei camion in manovra, tra sfarinati nelle narici e salso di laguna sul palato. Ce ne andiamo vagando così: Andrea dotato di strumentazione fotografica e io concentrata sul fotografo, lui assalito da una moltitudine di stimoli, tra i quali fare ordine e discriminare, e io di tanto in tanto attratta da oggetti abbandonati qua e là, ai quali tento di fare resistenza: oggi voglio seguire il fotografo, e con discrezione. È sua, però, la vera discrezione: di un genere che spiazza, specie se consideri che è lì per fotografare. Dice di essere felice, ma spaesato; a me, però, spaesato non sembra affatto. Mi pare, anzi, che egli diventi tutt’uno con le cose, inserendosi ora in una ed ora in un’altra piega della scena, di cui a poco a poco diventa parte, tanto che il gesto fotografico risulta nascere proprio da lì dentro, come necessario. Forse, però, è così che funziona, quando funziona; non ne so molto, non ho esperienza di frequentazioni con fotografi, e di Andrea conoscevo più che altro la produzione, una buona parte. Se faccio mente locale sui suoi lavori, penso al bianco e nero, al taglio orizzontale, alle danze di ombre e luci, al particolare che prende vita nelle visioni d’insieme, al ruolo cruciale degli elementi non centrali dell’immagine, all’attenzione sulla materia e, ancora, a quei contesti ricostruiti in percorsi composti di più immagini, le quali realizzano un racconto che ha tutta la vibrante forza della vicenda individuale e tuttavia la saggezza del punto di vista che sa di essere uno fra altri, solo uno possibile, però scelto, voluto, pensato, in quanto occasione, ogni volta unica, d’incontro.


Se penso al lavoro di Andrea Repetto mi sovviene un senso di trasporto forte, poi un invito insistente a situarmi proprio lì e la possibilità di mescolarmi a quella narrazione densa, fatta di immagini che sono quanto mai attive, producono cioè azioni, giocando tra presenza e assenza, tra vicinanza e lontananza, tra ciò che rientra sotto il dominio dei sensi e ciò che l’oltrepassa. Come ci ricorda Howard S. Becker in “Photography and Sociology”, del 1974, e come Andrea si trova in più occasioni a sottolineare, l’immagine che il fotografo produce dipende molto dalle sue “tradizioni professionali e condizioni di lavoro”, ma anche dalla “sua teoria su ciò che sta guardando, dalla sua comprensione di cosa sta investigando”. Il processo di costruzione delle immagini include, oltre a fasi di produzione in senso stretto, fasi preparatorie che per Andrea significano studio, conoscenza, da diversi punti di vista, artistici, scientifici, di senso comune. È un processo che si snoda da un progetto che prevede, poi, momenti di restituzione come irrinunciabile ampliamento del dialogo: da quello tra sé e le situazioni che fotografa a quello che include anche coloro che Andrea ama chiamare “lettori”, pensando a un pubblico più o meno attento al quale offrire un giro oltre i luoghi comuni, pur senza alcuna evasione dai contesti concreti. Soprattutto, però, il processo attraverso cui si arriva all’immagine fotografica, del quale Andrea ama sottolineare l’aspetto di selezione e di perfezionamento che concerne la parte di lavoro che potremmo definire di laboratorio, è un processo trasversale alle varie esperienze non solo del fotografo ma dell’uomo in toto, sempre intrise di quell’osservare il mondo, spesso vagabondando, come fa il flâneur baudelairiano, per usare una figura che ad Andrea piace molto. Gli è capitato più volte di rappresentarsi, nelle nostre conversazioni, prima che come fotografo, come persona che ama muoversi tra ambienti differenti, ricercando un rapporto profondo coi luoghi e coloro che li abitano, in una dimensione dove i tempi sono dilatati, i ritmi non sono dati, i percorsi si ramificano


e costruiscono lo straordinario dal consueto. Andrea non ama molto parlare di sé in chiave diacronica, dei suoi 30 anni di esperienza, ricchi di frequentazioni artistiche e di genuina ricerca; parla volentieri, invece, di quello che sta facendo ora e di come lo sta facendo, quindi della fotografia e del rapporto con altre discipline, della complementarietà tra i diversi modi di guardare il mondo…. Così mi racconta di quella parte del suo attuale lavoro che, per economia di parole, tra noi chiamiamo fotografia di loisir: immagini da situazioni di tempo libero ovvero, come egli dice, “eventi d’ arte o comunque momenti di... divertimento, ma pubblici”. Parla dunque del gioco di scena e retroscena, dandomi ancora una volta la misura di quanto la sua attività d’osservazione sia vicina a quella dello studioso di scienze sociali che va sul campo. Egli si muove “in mezzo alla gente, mescolandosi tra essa, facendone parte; ma lo spettacolo vero e proprio non è solo quello che si svolge sull’ eventuale palco, ma qualche metro più indietro, cioè considera il pubblico come parte della scena […]. La scena, cioè il luogo dove si svolge l’azione, non viene definita in maniera assoluta da colui che ne sarebbe il protagonista principale, perché è il backstage, cioè tutto quello che accade intorno ed è legato al fatto stesso, a definirlo di volta in volta”. La parte d’intervista da cui è tratto lo stralcio appena riportato è interessante perché, oltre a dire qualcosa sui criteri che trasformano taluni aspetti del mondo in soggetti fotografici privilegiati da Repetto, mette in evidenza un fenomeno sociale al quale non avevo prestato prima d’ora molta attenzione. In queste situazioni di loisir i partecipanti al pubblico mostrano di gradire d’essere fotografati, analogamente agli artisti di turno. Secondo l’esperienza di Andrea quel che in prima istanza accade è che il gesto fotografico promuove ad attore chi faceva parte del pubblico: tale passaggio di stato avviene proprio in virtù dell’essere parte del pubblico, e di un particolare pubblico, che partecipa a un determinato evento.


Si tratta, in seconda istanza, di quell’essere su una ribalta da parte di soggetti riflessivi, consapevoli di esservi. Possiamo ipotizzare che in questo modo essi adottino una sorta di tattica per rivendicare un ruolo attivo – nell’evento, ma forse non soltanto -, un proprio posto nello spazio pubblico. Non è il caso, però, qui di azzardare ipotesi interpretative sul mondo; limitiamoci ad una evidenza: l’intervento fotografico lascia emergere quelle che chiamerei, rifacendomi alla tradizione sociologica, rappresentazioni del sé in pubblico. Ecco allora che la presenza del fotografo non opera semplicemente quelle modificazioni del campo che qualsiasi osservatore opera. Qui tali modificazioni acquistano una valenza peculiare, perché nell’immaginario comune la fotografia registra ma anche diffonde, presentifica e amplifica, tanto più se si tratta di fotografia di eventi. Il fotografo, dunque, non solo ci rappresenta la propria comprensione di come identità individuali si raccontano attraverso gesti, sguardi, postura, prossemica, abiti e quant’altro l’occhio può cogliere, egli anche costruisce contesti privilegiati per lo studio del mondo sociale. Tiziana Piccioni


venerdĂŹ 1 agosto Ovada, Loggia di San Sebastiano, Inaugurazione della rassegna, opere di Valerio Berruti, Paolo Icaro, Medhat Shafik, Giuseppe Spagnulo Ovada, Quartiere Sligge, Evento collaterale, opere di Giancarlo Soldi e Chiara Benedetti











domenica 3 agosto Castello di San Cristoforo, spettacolo del Gruppo MUTA IMAGO









domenica 10 agosto Castello di Cremolino, concerto di Peppe Consolmagno







domenica 18 agosto Castello di Tagliolo Monferrato, concerto di Achille Succi Quartet









domenica 24 agosto Castello di Rocca Grimalda, concerto di Umberto Petrin







giovedÏ 28 agosto Ovada, Quartiere Sligge: ZTC Zona Traffico Contemporaneo, allestimento scenico di Antonio Pini e Giovanni Dolcino, attrice Gianna Toffoli; video di Francesco Leprino e Massimo Sardi; letture di Andy Rivieni, Emanuela Celauro e Vittorio Rebuffo; performance di Francesca Telli, allestimento multimediale di Paolo Solcia; concerto dell’ Orchestra Orizzontale















venerdì 29 agosto Ovada, Loggia di San Sebastiano, presentazione di Michele Mannucci del libro di Sandro Cappelletto “L’ Angelo del Tempo”; esecuzione musicale Ex Novo Ensemble, voce narrante Sandro Cappelletto; Ovada, Parco Pertini, lettura drammatica di Chiara Guidi









sabato 30 agosto Ovada, Quartiere Sligge, esecuzione musicale Ex Novo Ensemble, voce di Susanna Rigacci, letture di Sandro Cappelletto









finito di stampare nel mese di luglio 2009 presso Litograf, Novi Ligure


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