A12 - meeting sul paesaggio

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INDICE Il giudizio e le riflessioni della Regione Liguria

LO STATO DELLE COSE: Il paesaggio ligure tra tutela e trasformazione, pressione edilizia e abbandono. Capire e governare il conflitto

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Dino Biondi, Paolo Rocco, Giuseppe Ruzzeddu, Luana Lapini, Dip.Pianificazione Territoriale Carlo Ruggeri, Assessore alla Pianificazione Territoriale, Urbanistica, Infrastrutture e Logistica Franco Lorenzani, Direttore Generale Dipartimento Pianificazione Territoriale Pasquale Bruno Malara, Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria Claudio Burlando, Presidente Giunta Regionale

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Intermezzo con gli attori del teatro della Tosse

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SESSIONI PARALLELE Il paesaggio e la memoria Massimo Quaini, Università di Genova, Giuseppe Dematteis, Politecnico di Torino Ugo Baldini, Urbanista

LE IDEE: il paesaggio e la memoria, il paesaggio e il futuro, il paesaggio e l’architettura

LE AZIONI: le realizzazioni e gli impegni della Regione per il paesaggio

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Il paesaggio e il futuro Gioia Gibelli,Università di Genova Annalisa Maniglio, Università di Genova Mario Sartori, architetto esperto di partecipazione agenda 21 Paolo Rigamonti, urbanista Roberto Bobbio, presidente INU sezione Ligure

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Gioia Gibelli - Massimo Quaini: sintesi delle conclusioni delle sessioni parallele

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Il paesaggio e l’architettura Leonardo Mosso, architetto e artista Franz Prati, Università di Genova Andrea Balestrero, Gruppo A12 Architetti Associati Giorgio Rossini, Soprintendente beni architettonici paesaggio della Liguria Paola Nicolin, “Abitare” Massimiliano Marchica, “Domus”

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Le proposte e le azioni della Regione: i Piani, i progetti, le norme Franco Lorenzani, Direttore Generale Dipartimento Pianificazione Territoriale Carlo Ruggeri, Assessore alla Pianificazione Territoriale, Urbanistica, Infrastrutture e Logistica


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LE IDEE:

il paesaggio e la memoria, il paesaggio e il futuro, il paesagio e l’architettura

ANDREA BALESTRERO - Gruppo A12 Architetti Associati

Architettura e Paesaggio: cinque dicotomie e due progetti A12 è uno studio di architetti piuttosto atipico, fondato nel 1993 da quello che all'epoca era ancora un gruppo di studenti, fin dall'inizio ha iniziato a lavorare a scale molto diverse, cercando di incrociare diversi campi disciplinari ed esplorare i limiti dell'architettura tradizionalmente intesa ed i suoi punti di contatto con altre discipline, specialmente nel campo delle arti visive. Come contributo al dibattito sul tema “architettura e paesaggio” accennerò pertanto brevemente ad alcuni temi teorici presentati sotto forma di cinque dicotomie, per sottolinearne la rilevanza come termini di un processo dialettico e non come questioni risolte, che incrociano il lavoro di A12 e presenterò due progetti nei quali ci siamo confrontati con il tema del paesaggio a scale molto diverse, un progetto di riqualificazione urbana che si pone l'obiettivo di suggerire un nuovo linguaggio di trasformazione a scala territor iale e quella di un piccolo oggetto architettonico temporaneo che si confronta con il paesaggio in un gioco sottile tra armonia e contrasto. Frammentazione vs. Continuità Incrociando la lettura degli elementi presenti sul territorio con l'insieme dei documenti che se ne occupano dal punto di vista operativo e strategico emerge la dialett ica tra un'aspirazione alla continuità degli elementi ambientali e la condizione di frammentarietà che caratterizza la città

contemporanea1. Una difficoltà interpretativa ed espressiva che si ripercuote sulla incapacità di collocare molti degli spazi che abitiamo all'interno delle categorie con cui tradizionalmente si descrive la città e si affianca ad una contraddizione tra esigenze di continuità dei sistemi naturali, pri nci pal e res pon sab ile del la bio div ers ità , pre zio so indicatore dello stato di salute di un ecosistema, con la consistenza reale degli spazi che vedono mescolarsi città e natura. La condizione di “frammento” che ogni singolo elemento assume nella città contemporanea, la possibilità cioè di riconoscerne l'identità individuale, di isolarlo da un contesto di cui però è difficile ricostituire un'unità e da cui solo in parte è possibile desumere delle regole generali, è dunque un primo punto su cui riflettere. L'atomizzazione dei contesti urbani nasce da una duplice condizione di frammento, da un lato della realtà materiale in sé, dall'altro del soggetto che ne compie l'esperienza. Se la prima è al centro di analisi sistematiche ed approfondite solo a partire da tempi relativamente recenti, la seconda ha invece trovato già da tempo un posto all'interno della storia della filosofia e della cu lt ur a oc ci de nt al e, es se nd o ri te nu ta un a de ll e cara tter isti che all' orig ine dell a mode rnit à. La frammentazione, caratteristica intrinseca della nostra cultura, pone un problema progettuale sia nel dare significati compiuti all'ambiente umano, sia dal punto di vista della


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salvaguardia dell'ambiente. Ripercorrendo la storia della gestione dell'ambiente dal punto di vista normativo, ritroviamo questa dialettica nell'incrocio tra competenze amministrative a vari livelli e l'effettiva regolamentazione degli interventi di trasformazione. Ricostruire un'identità per il paesaggio contemporaneo è un'operazione che non può che partire da questa condizione di frammentazione. Ricostruire il paesaggio significa ricostruire un immaginario legato al paesaggio stesso aumentandone la leggibilità e la riconoscibilità, in qualche modo re-inventandolo. Tecnica vs. Architettura Nell'ambito del pensiero critico, lo sviluppo di una coscienza ecologica, l'interesse per il paesaggio e per tematiche quali l'eco-compatibilità, la sostenibilità, ecc., da un lato appare come uno degli aspetti dello sforzo della cultura contemporanea per allontanare l'angoscia per le condizioni del mondo, dall'altro rispecchia un atteggiamento derivante dall'idea illuminista della tecnicizzazione dell'architettura, che si può dire stia alla base della trasformazione urbana ottocentesca. Se, come afferma Benjamin a proposito del criterio estetico su cui si basarono gli interventi del Barone Haussman a Parigi, “esso corrisponde alla tendenza che si osserva

continuamente nell'Ottocento a nobilitare necessità tecniche con finalità artistiche” 2, oggi sembra spesso di assistere ad un rovesciamento dei termini della questione: mentre per la cultura borghese dell'ottocento un'idea diffusa quale quella del decoro, consentiva di mascherare scelte eminentemente tecniche, basandosi su una mescolanza di ragioni estetiche e morali3, oggi uno degli atteggiamenti più frequenti appare proprio il tentativo di eludere le difficoltà del progetto in una realtà che cambia attraverso il ricorso all'”invenzione” di questioni tecniche, propagandate come soluzioni per problemi più generali che non sempre vengono in realtà affrontati.

1 Una riflessione sulla continuità come concetto o figura fondamentale della storia urbana e sulla sua contrapposizione al frammento si trova in: Bernardo Secchi, Prima lezione di Urbanistica, Laterza, Roma Bari, 2000.

2

Walter Beniamin, Parigi Capitale del XIX Secolo, in Angelus Novus. Saggi e Frammenti, a cura di Renato Solmi, Einaudi Torino, 1962, (2° ed. 1995), pag. 157. 3

Richard Sennett ha analizzato il rapporto tra apparenza esteriore ed esistenza individuale e collettiva nella società urbana borghese del XVIII e XIX secolo rilevando nell'attaccamento alla forma una modalità di resistenza rispetto ai rapidi cambiamenti in atto nella società del tempo, cambiamenti che spesso erano più rapidi e profondi della capacità di comprensione di chi ne faceva esperienza diretta. (Richard Sennett, Il declino dell'uomo pubblico. La società intimista, Bompiani, Milano, 1982.)


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L'interesse per il paesaggio ed il giardino, il rinato interesse per il significato della presenza della natura nella città, al di là delle ragioni ecologiche, sembrano rivestire un valore simbolico come ultimo baluardo contro la banalizzazione ed omogeneizzazione dello spazio e per la difesa del diritto a condizioni di vita accettabili. In tutto questo le soluzioni più convincenti sono quelle in grado di creare relazioni significative tra tutti i livelli che costituiscono la complessità del progetto e questo ci può portare ad affermare che un bravo architetto del paesaggio non è tale perché buon “specialista”, ma perché capace di affrontare in maniera convincente i problemi della contemporaneità attraverso la trasformazione dello spazio, in maniera chiara, formalmente comunicativa, esteticamente valida e, ovviamente, tecnicamente pertinente. Forma vs. Quantità Anche in virtù di queste spinte tecniciste, l'approccio ecologico al paesaggio, pur rispecchiando un complesso sistema di valori, sembra fondamentalmente prescindere dalla forma4. Il ragionamento in termini quantitativi, sia esso ricondotto a questioni ecologiche o di standard urbanistici ci dice forse quanto effettivamente è “verde” la città, ma assai poco su quanto essa ci appare verde. E' assai comune ad esempio,

alla scala più ampia della pianificazione territoriale, la concezione di “figure ipotetiche” del verde basate sul principio della continuità (corridoi verdi, tangenziali verdi, cinture verdi, etc.), spesso difficilmente riconoscibili sul territorio nella loro compiutezza e talvolta esistenti più come astrazioni pianificatorie che come materializzazioni nello spazio. La scelta di non intervenire direttamente sulla forma dello spazio ha infatti come conseguenza l'impossibilità di avere garanzie certe sulle sue qualità, che sono delegate di volta in volta ad autori di trasformazioni puntuali, non sempre coordinabili in assenza di “razionalità sovra-ordinate” (quali quelle, ad esempio, in passato legate alle tecniche agricole o al la in fr as tr ut tu ra zi on e d el te rr it or io ) i n g ra do di condizionarle. D'altra parte un cambiamento generale della strategia di intervento che porti alla costruzione di processi piuttosto che ad interventi diretti sulla forma potrebbe far nascere anche una nuova concezione estetica, non più basata su un'immagine esteticamente coerente rispetto a canoni prestabiliti, ma costruita sulla capacità di mettere a punto “si ste mi” eco log ica men te cor ret ti, amb ien tal men te compatibili, che assicurino la conservazione del territorio ponendo ove necessario un rimedio ai danni provocati dall'azione dell'uomo, e dotati di un significato im-


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mediatamente comprensibile per chi li abita. Conservazione vs. Trasformazione Secondo il paesaggista Cristophe Girot, “l'architettura del paesaggio fino a tempi recenti non è stata altro che lo specchio di dottrine e credenze locali sulla natura. Queste credenze non erano solo parte di una tradizione radicata risalente all'epoca tribale, ma costituivano anche la semplice espressione di una comprensione arcaica del mondo circostante” 5. Ciò compor terebb e, nell'a mbito della progettazione del paesaggio, una incredibile inerzia culturale ed una forte resistenza all'innovazione progettuale. Questo peso del passato, se da un lato spinge a dare per scontato che determinate caratteristiche del paesaggio vadano comunque conservate anche quando palesemente incompatibili con le mutate condizioni socioeconomiche di un territorio, dall'altro, paradossalmente, finisce per condurre i progettisti alla riproposizione acritica di clichè estetici che, lungi dall'essere radicati profondamente nella storia di un territorio, semplicemente ne costituiscono un'immagine stereotipata. Appare evidente in realtà come i concetti tradizionali di bellezza e i principi di organizzazione del territorio provenienti dal passato non siano più una base adeguata per progettare la trasformazione del paesaggio, è necessario rendere attuali questi canoni estetici o trovarne dei nuovi. Per fare

questo non si può che concentrare l'attenzione sul presente e sul quotidiano, sull'ambiente che ci circonda, anche nei suoi aspetti più prosaici o banali, sulla natura profonda e sulle implicazioni culturali dei suoi processi di trasformazione. Solo così è possibile arrivare a comprendere il significato del paesaggio contemporaneo. Guardare vs. Usare Nel concetto contemporaneo di paesaggio il significato visuale prevale spesso rispetto a quello materiale e d'uso. Questo atteggiamento presenta aspetti contraddittori, soprattutto quando implica la riconsiderazione del ruolo dei territori agricoli. Il concetto di paesaggio vive di una doppia natura e coinvolge da un lato il rapporto tra territorio fisico e modalità di occupazione e trasformazione dello stesso, mentre dall'altro è inscindibilmente legato alla propria immagine. È un concetto talmente forte da guadagnare autonomia rispetto ad altre categorie estetiche: rispetto all'idea di paesaggio, infatti, naturale e selvatico o coltivato e artificiale, possono avere lo stesso peso. Non solo, ma, come afferma il geografo Jonathan Smith, proiettandosi

4 Si veda ad es. Ian L. Mc Harg, Progettare con la natura, Franco Muzzio editore, Padova, 1989. 5

Thies Schröder, Changes in scenery. Contemporary landscape architecture in Europe, Birkhäuser, BaselBerlinBoston, 2001, pag. 6.


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in una dimensione temporale e storica, il paesaggio decontestualizza del tutto il suo essere artificiale per assumere l'aspetto di qualcosa di assolutamente naturale6. Oggi le modalità di percezione e questa autonomia del paesaggio sono portate alle estreme conseguenze: se chi occupa stabilmente un paesaggio, vi vive e vi lavora, da sempre lo percepisce in maniera distratta in quanto territorio che si fonde con l'esperienza della vita quotidiana, chi ne è estraneo: “il turista, lo spettatore, lo stato, l'autorità amministrativa, il progettista e il pianificatore, vede il paesaggio come un oggetto, una cosa da guardare, non solo dal punto di vista scenico, ma anche strumentale e ideologico” 7. Dunque il paesaggio in quanto tale nasce solo attraverso un atto “artistico”8 e considerarne la doppia natura come manufatto ed immagine che si sostituisce al concetto romantico di paesaggio, interrompe il suo legame con la questione dell'identità locale e individuale. Di fronte a ciò, quello a cui assistiamo oggi è forse la mancanza di modelli paesaggistici aggiornati per cogliere la realtà che ci circonda come paesaggio anche in senso estetico. L'estetica contemporanea ha però almeno in parte superato la centralità dell'atto visivo come elemento di giudizio. Secondo James Corner è possibile riavvicinare il progetto del paesaggio ai fenomeni insiti nel concetto espresso dal termine tedesco Landschaft, coinvolgendo in maniera mag-

giore le consuetudini e le esigenze dell'uso come prima ragione d el progett o di trasfor mazione : “Similmente possiamo dire che i giardini sono meno definiti dall'apparenza formale quanto dall'attività di giardinaggio, così come i terreni agricoli derivano la loro forma dalle esigenze della coltivazione e le città dai flussi, dai processi e dalle forze dell'urbanizzazione. Nel paesaggio della quotidianità e del lavoro, l'azione e l'evento sono concetti prevalenti rispetto all'apparenza ed al segno” 9. 6

Jonathan Smith, The lie that blinds: destabilizing the text of landscape , in James Duncan, David Ley, Place/Culture/Representation, Routledge, London, 1993, pagg. 78-92, cit. in James Corner, Eidetic Operations and New Landscape, in s. a., a cura di, Recovering Landscape. Essays in Contemporary Landscape Architecture, Princeton Architectural Press, New York, 1999, pagg. 156-157. 7

James Corner, Eidetic Operations and New Landscape, cit., pag. 155.

8

Alain Roger, in Court traité du paysage (1997, cit. in: Alain Roger, Artificiazione, in Fare Paesaggio “Lotus Navigator”, n° 5, maggio 2002, pag. 83.), introduce il concetto di artificiazione che riguarda sia la trasformazione diretta della natura sia quella operata attraverso un mezzo artistico e che viene mediata dallo sguardo. Per Roger questo processo, che è da lui analizzato soprattutto per i suoi significati estetici, sta alla base della costruzione del concetto di paesaggio che non necessariamente appartiene a tutte le culture. 9

James Corner, op. cit., pag. 159. Il termine Landschaft indica il paesaggio come ambiente abitato, e comprende sia gli aspetti materiali che culturali e formali della sua trasformazione attraverso il lavoro, è nel testo contrapposto all'inglese arcaico landskip (paesaggio in quanto immagine pittorica).


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FATTORE K Il progetto Fattore K (dove K sta per Capanòn, capannone in dialetto veneto) costituisce innanzi tutto un interessante esempio di collaborazione tra pubblico e privato nella riqualificazione di un territorio degradato. Il sindaco del comune di Zermeghedo (VI), luogo balzato negli anni '90 agli onori della cronaca economica internazionale come caso studio rappresentativo dello straordinario sviluppo produttivo del Nord Est italiano, ha infatti deciso che la rinascita di un territorio ormai in crisi non poteva che passare attraverso la riqualificazione dei suoi distretti produttivi. Di quegli spazi cioè che, pur occupando un'area decisamente maggiore dell'abitato e pur avendo contribuito in massima parte a realizzarne la ricchezza, sono vissuti dai propri abitanti come luoghi “altri” rispetto alla propria identità. Per ottenere questo risultato si è messo in piedi un programma di convenzioni tra ente pubblico e operatori privati che, a fronte di nuova possibilità edificatoria in area produttiva, in aggiunta alle urbanizzazioni di legge, si impegnano a realizzare una serie di opere volte al miglioramento della vivibilità e dell'immagine delle aree produttive. L'obiettivo di Gruppo A12 è consistito innanzi tutto in una riflessione sulle regole di costruzione del paesaggio (in questo caso del tutto artificiale) e nel tentativo di ricostruire una logica in grado di restituire un nuovo senso/significato al territorio al di là dei singoli interventi puntuali.


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Inevitabilmente, date le caratteristiche del territorio Vicentino che vedono alternarsi vecchi paesi, grandi aree industriali e zone agricole, ciò ha portato ad un approccio più tipologico volto alla definizione di interventi di trasformazione ripetibili ed estendibili a tutti i territori dotati delle medesime caratteristiche. Concretamente ciò ha preso la forma di un abaco di possibili interventi inteso come un alfabeto di elementi fisici da disporre sul territorio secondo una grammatica di modalità

applicative che permettono di adattarsi alle caratteristiche specifiche di ogni luogo. Sulla base di questo documento è stato portato avanti il progetto di una prima fase di ampliamento dell'area industriale che prevede la realizzazione di una fascia di mitigazione ambientale e interventi per il ripristino delle condizioni di sicurezza idraulica, con l'obiettivo specifico di costituire una nuova identità forte per un margine urbano attualmente indefinito e vissuto come terra di nessuno.


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Progetto di riqualificazione area industriale e barriera di mitigazione ambientale - Zermeghedo (VC) 2006-2009 Con studio AUA e Fuoribiennale


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DEEP GARDEN Deep Garden è un piccolo padiglione temporaneo realizzato a Venezia in occasione della XI Biennale di Architettura ne ll 'a mb it o de l pr og et to di ar te pu bb li ca “E ne l Contemporanea 2008”, curato da Francesco Bonami. Il progetto, giunto alla seconda edizione, prevede la realizzazione di installazioni temporanee realizzate da artisti internazionali nello spazio pubblico, con un tema comune: l'energia nelle sue più varie forme. In quest'ottica il piccolo giardino che abbiamo costruito in mezzo alla laguna di fronte ai giardini della Biennale, luogo di

calma e dispositivo riflettente che si fonde e si confonde con il paesaggio, rispecchiandone il dinamismo di luogo contemporaneo in perenne movimento, è un omaggio a Venezia, luogo simbolo di un paesaggio che si è costruito nei secoli attraverso una continua lotta nei confronti delle forze della natura e quindi con un atto di violenza nei confronti del territorio stesso per piegarlo alle esigenze dell'uomo. In questo ci siamo sforzati di utilizzare le tecniche costruttive e gli elementi tipici dell'architettura veneziana non tanto in senso compositivo e formale, quanto concettuale ed abbiamo usato luce, colore, natura, acqua, movimento come veri e propri materiali del progetto.


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Padiglione temporaneo - Enel Contemporanea 2008 - Venezia Viale dei Giardini della Biennale Foto: Giulio Sarchiola - courtesy Enel Contemporanea 2008


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