In Altum

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Pubblicazione bimestrale durante l'anno scolastico da Settembre a Giugno - Poste Italiane Sped. in A.P. art. 2 comma 20/c L. 662/96 - Bergamo - Aut. Trib. BG n. 427 del 15.5.1964 - NUOVA SERIE - N. 137 - ANNO 30 - Novembre-Dicembre 2011 PERIODICO DELLE SUORE ORSOLINE DI SAN GIROLAMO IN SOMASCA - DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE: 24128 BERGAMO - VIA BROSETA, 138 - TEL. 035250240 - FAX 035254094 - e-mail: inaltum@orsolinesomasca.it - www.orsolinesomasca.it

“È

ore” t a v l a S o n i u v er p to a n (Lc 2, 11 )


Redazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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La Parola... Dio con noi a cura di don Davide Rota

Verbum caro...

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Educhiamoci: Investiamo in “paradisi” che contano a cura di Giusi Tartaglione

Educarsi ed educare alla solidarietà, alla generosità, all’ascolto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Dopo “Madrid 2011” a cura di Suor Barbara Ferrari

Radici

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I santi sono coloro che lasciano passare la luce... a cura di Assunta Tagliaferri

Madre Teresa di Calcutta

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...Una bella notizia... Il cammino di un angelo dalla terra al cielo

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Convegno Superiore di Comunità . . . . . . . .

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Santo Natale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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a cura di Elisa Faga Plebani

Direttore responsabile: Anna Maria Rovelli Redazione: Pasquale Diana, Chiara De Ponti, Elisa Faga Plebani, Maria Marrese, Veneranda Patelli, Concetta Rota Bulò. Hanno collaborato a questo numero: Alberto Ceresoli, Angela Pirri, Angelo Bonaiti, Antonio Gabrieli, Assunta Tagliaferri, Barbara Ferrari, Chiara Daniela Picello, Davide Rota, Eraldina Cacciarru, Federico Taroni, Franca Galiazzo, Giusi Tartaglione, Kelly Borges, Laura Diana, Lissy Galiazzo, Luciano Galiazzo, Mario Bonacina, Mauro Barisone, Oreste Fratus, Pietro Galiazzo, Sara Gabrieli, Sarah Taroni, Selena Maffioletti, Teresinha Tavares. In copertina: Natività, Regina Kugler (Rio Pusteria, BZ) Realizzazione: STUDIO EFFE - Mozzo (BG) Stampa: PRESS R3 - Almenno San Bartolomeo (BG)

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Voci di casa nostra Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . India . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bolivia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Brasile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Libri in vetrina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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a cura di Maria Marrese


Redazionale “Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia»”. (Lc. 2, 9-12)

“… una grande gioia… è nato per voi un Salvatore!...”. È questo l’annuncio dell’angelo. Per noi, abituati al concreto delle cose, “salvatore” è uno che ha poteri, che ha la possibilità, anzi la certezza, di essere superiore agli altri… Ma, all’annuncio gioioso, l’angelo aggiunge qualcosa che veramente sembra un controsenso: “… troverete un bimbo avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. Un bimbo “salvatore”?, un bimbo adagiato in una mangiatoia, in un ambiente riservato agli animali, anziché in una cameretta accogliente, adagiato in un lettino ben preparato dalle teneri mani di una mamma gioiosa? Per chi non ha fede, per chi ha perso il senso del mistero, per chi vive avvolto e travolto da migliaia di notizie senza senso, quanto sopra non può sembrare una delle tante storielle narrate dai mass-media? Ne deriva che il Natale, con negozi carichi di ogni specie di oggetti più o meno utili, con Babbi natale trascinati da renne, con luminarie a non finire, si riduce ad una festa soltanto un po’ diversa dalle altre… Ma per chi ha fede, per chi come voi, cari amici lettori, sente vivo il bisogno di Qualcuno che lo sostenga nelle difficoltà di ogni giorno, il Natale è veramente un momento particolare di gioia, di serenità, di speranza: “È nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”. Ecco la gioia dell’annuncio: È nato Cristo Signore! È Lui il Salvatore, Lui, il Figlio di Dio, fatto uomo per ciascuno di noi, per vivere con noi nel cammino quotidiano condividendo le nostre fatiche, per dare senso alla nostra vita; Lui, Gesù, il Creatore dell’Universo, il Figlio prediletto del Padre, ma nostro fratello! Buon Natale così, cari amici. Buon Natale! Sia, il Bimbo nato in una stalla, Colui che vi dona serenità, forza, coraggio, certezza: è il nostro augurio più affettuoso.

Buon Natale! La Redazione


La Parola... Dio con noi

Verbum caro...

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Il Verbo si fece carne e Un’idea, un concetto, un’idea finché resta un’idea è soltanto un’astrazione. Se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione. (Giorgio Gaber)

Il Natale questo celebra: il farsi carne, storia, vicenda umana del Verbo increato di Dio, il che è già straordinario, magnifico. Ma non basta, e lo sanno bene sia Dio che il Figlio suo Gesù, il Verbo: occorre, infatti, spingersi oltre fino a rendere possibile il sogno di Gaber: “Se potessi mangiare un’idea, la parola” allora sì che tutto cambierebbe! E, perché tutto possa cambiare, Dio chiede alla Parola-Gesù di lasciarsi letteralmente mangiare da coloro che l’accolgono.

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I

l noto cantautore milanese esprime, in questa canzone, un desiderio non solo suo, ma universale: che le idee, i concetti, e di conseguenza le parole che li rivelano, diventino talmente veri, autentici e concreti da poter essere addirittura “mangiati” e, perciò, assimilabili. Gaber giustamente intuisce che questo diventa possibile solo a condizione che i concetti, le idee e le parole smettano di essere ciò che sono, per trasformarsi in qualcos’altro, per diventare eventi, storia, vita, addirittura cibo, carne, corpo, qualcosa che si possa non solo ascoltare, ma anche vedere, toccare, anzi mangiare. Assurdo o impossibile? Gaber sembra pensarla così, ma ciò che, a prima vista, appare irrealizzabile, forse non lo è. Difatti – per fare un esempio – sono tanti i genitori che, pur senza rendersene conto, proprio questo fanno ogni giorno coi figli o col coniuge. Ogni papà o mamma con due dita di testa e di cuore sa, infatti, che non basta dare ai figli cibo e vestiti, perché occorre anche l’insegnamento e l’educazione. Ma sa pure che parole, prediche, consigli e raccomandazioni lasciano il tempo che trovano se non sono accompagnati da testimonianza e da buon esempio. Cosa vuol

dire? Vuol dire che in qualche modo si deve, anzitutto, diventare ciò che si dice, essere ciò che si insegna, il che esige coerenza fra pensiero, parola, azione: per cui ciò che si pensa è anche ciò che si dice e ciò che si dice è anche ciò che si fa. A questo proposito è illuminante un racconto tratto dai “fatti e detti dei Padri del deserto”: “Quando padre Giovanni fu in punto di morte, fu attorniato dai fratelli monaci i quali volevano che lasciasse loro in eredità una parola breve e salutare, per poter giungere come lui alla perfezione di Cristo. Ed egli disse sospirando: «Non ho mai compiuto la mia volontà, ma quella di Dio. E non ho mai insegnato a nessuno qualcosa che non avessi prima compiuto io stesso»”. Questo racconto ci insegna che, allo stesso modo del santo monaco, un genitore, educatore, prete, guida… è


La Parola... Dio con noi

venne ad abitare in mezzo a noi bravo se non si limita a procurare al figlio, all’alunno, al fedele, al seguace, il cibo necessario al nutrimento e l’insegnamento per l’educazione, ma se in qualche modo egli stesso si fa alimento e insegnamento. I figli, infatti, diventano uomini “mangiando” la vita e la persona dei genitori: perciò è scandaloso che oggi, del piatto preparato con amore dalla mamma, i bimbi dicano “che schifo!” senza venire ripresi, anzi! riuscendo a creare sensi di colpa nella genitrice che neppure si rende conto che, a fare schifo, non è solo il cibo, ma lei che l’ha preparato. Bisogna, purtroppo, ammettere che i genitori d’oggi hanno un ben scarso concetto di se stessi se lasciano che il pargolo li insulti senza reagire! E da gente con un così basso livello di considerazione, che si può pretendere? A questo punto, se abbiamo capito il senso della canzone di Gaber, occorre capire cosa sia giusto fare: per questo guardiamo Colui che è Creatore, Signore, Padre, cioè Genitore Supremo di tutto e di tutti: Dio. Quando Dio decide di rivolgere la sua Parola all’uomo, sa fin troppo bene che non si può limitare a dare consigli, inviti, raccomandazioni o a promettere premi o castighi… tutte parole, in fondo, anche se divine. Lui sa bene che non basta, ma è necessario che la sua Parola per noi diventi così concreta da risultare visibile, udibile, palpabile persino. Ecco perché quando Dio decide di parlarci non è una parola che ci rivolge, ma una Persona, Gesù: lo esprime bene Giovanni

nel Vangelo quando la presentazione del Verbo (= Parola) culmina nella frase: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo visto la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv. 1, 14). Perché la Parola di Dio è Persona: non qualcosa che si può solo ascoltare, ma Qualcuno che si può anche vedere – “abbiamo visto la sua gloria” – e persino toccare, come fa Tommaso col corpo risorto di Gesù.

Il Natale questo celebra: il farsi carne, storia, vicenda umana del Verbo increato di Dio, il che è già straordinario, magnifico. Ma non basta, e lo sanno bene sia Dio che il Figlio suo Gesù, il Verbo: occorre, infatti, spingersi oltre fino a rendere possibile il sogno di Gaber: “Se potessi mangiare un’idea, la

parola” allora sì che tutto cambierebbe! E, perché tutto possa cambiare, Dio chiede alla Parola-Gesù di lasciarsi letteralmente mangiare da coloro che l’accolgono. Per questo, dopo la moltiplicazione dei pani, alle folle che l’ascoltavano nella Sinagoga di Cafarnao, Gesù fa una rivelazione sorprendente: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna… Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv. 6, 54-56). Parole che risultano incomprensibili per i discepoli e scandalose per la folla, ma che, invece, sono del tutto conseguenti e persino logiche. La Parola, per essere autentica, deve farsi cibo, alimento; deve diventare così concreta da poter essere vista, toccata, addirittura mangiata e, quindi, Gesù si fa mangiare. Lo fa istituendo l’Eucaristia perché noi, ripetendo il suo gesto, possiamo alimentarci di quella Parola che diventa in grado di produrre in noi la rivoluzione totale, completa, quella che fa passare dal dominio del peccato e della morte a quello della vita e della gioia. Il Cristo, Parola-Pane-Corpo così assimilato dal cristiano, diventa in lui fonte di vita nuova, completa, anzi eterna, divina; quella vita che rivoluziona tutto e tutti; che rende credibili le nostre parole e che, infine, invita noi cristiani a diventare, a nostra volta, alimento, cibo per la fame del prossimo. Don Davide Rota

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Educhiamoci: Investiamo in “paradisi” che contano L’arrivo del Natale evoca in tutti noi sentimenti ispirati al bene, all’amore per il prossimo. Sentiamo noi stessi il bisogno di “sentirci” più buoni, di fare qualcosa per gli altri. Spesso, però, questa esigenza di donare, rapportata alla società in cui viviamo, si traduce in qualcosa di materiale e si è portati a confondere la generosità e la solidarietà con il “donare” in senso materiale. Fare dei regali graditi, spesso anche costosi, ci fa sentire generosi.

Educhiam N Nessuno sapeva quando quell’uomo fosse arrivato in città. Sembrava sempre stato là, sul marciapiede della via più affollata, quella dei negozi, dei ristoranti, dei cinema eleganti, del passeggio serale, degli incontri degli innamorati. Ginocchioni per terra, con dei gessetti colorati, dipingeva angeli e paesaggi meravigliosi, pieni di sole, bambini felici, fiori che sbocciavano e sogni di libertà. Da tanto tempo, la gente della città si era abituata all’uomo. Qualcuno gettava una moneta sul disegno. Qualche volta si fermavano e gli parlavano. Gli parlavano delle loro preoccupazioni, delle loro speranze; gli parlavano dei loro bambini: del più piccolo che voleva ancora dormire nel lettone e del più grande che non sapeva che Facoltà scegliere, perché il futuro è difficile da decifrare... L’uomo ascoltava. Ascoltava molto e parlava poco. Un giorno, l’uomo cominciò a raccogliere le sue cose per andarsene. Si riunirono tutti intorno a lui e lo guardavano. Lo guardavano ed aspettavano. “Lasciaci qualcosa. Per ricordare”. L’uomo mostrava le sue mani vuote: che cosa poteva donare? Ma la gente lo circondava e aspettava. Allora l’uomo estrasse dallo zainetto i suoi gessetti di tutti i colori, quelli che gli erano serviti per dipingere angeli, fiori e sogni, e li distribuì alla gente. Un pezzo di gessetto colorato ciascuno, poi senza dire una parola se ne andò. Che cosa fece la gente dei gessetti colorati?: qualcuno lo inquadrò, qualcuno lo portò al Museo civico di arte moderna, qualcuno lo mise in un cassetto, la maggioranza se ne dimenticò”. È venuto un Uomo e ha lasciato anche a te la possibilità di colorare il mondo. Tu che hai fatto dei tuoi gessetti? (Bruno Ferrero, I gessetti colorati)

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moci

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rima di avventurarci nella riflessione sulla triade di valori che dà gusto e spessore alla vita, e che potrà illuminare anche il cammino nel tempo di Natale, prima di recuperare i “gessetti colorati” che quell’Uomo ha lasciato anche a ciascuno di noi, soffermiamo la nostra attenzione su alcuni numeri del Documento “Educare alla vita buona del Vangelo”, che racchiude gli Orientamenti pastorali della Chiesa italiana per il decennio 2010-2020. Leggiamo al n. 4: “In piena docilità allo Spirito, come Chiesa, vogliamo operare con disponibilità all’ascolto e al dialogo, mettendo a disposizione di tutti la buona notizia dell’amore paterno di Dio per ogni uomo. Occorre investire, con l’apporto delle diverse componenti del mondo scolastico, ecclesiale e civile, in una scuola che promuova, anzitutto, una cultura umanistica e sapienziale, abilitando gli studenti ad affrontare le sfide del nostro tempo. In particolare, essa deve abilitare all’ingresso competente nel mondo del lavoro e delle professioni, all’uso sapiente dei nuovi linguaggi, alla cittadinanza e ai valori che la sorreggono: la solidarietà, la gratuità, la legalità e il rispetto delle diversità. Così la scuola mantiene aperto il dialogo con gli altri

soggetti educativi - in primo luogo la famiglia - con i quali è chiamata a perseguire obiettivi convergenti. Il carattere pubblico non ne pregiudica l’apertura alla trascendenza e non impone una neutralità rispetto a quei valori morali che sono alla base di ogni autentica formazione della persona e della realizzazione del bene comune. In questa prospettiva, è determinante la formazione degli insegnanti, dei dirigenti scolastici e del personale amministrativo e ausiliario, chiamati ad essere capaci di ascolto delle esperienze che ogni alunno porta con sé, accostandosi a lui con umiltà, rispetto e disponibilità”. E, di seguito, al n. 53: “Oggi è necessario curare in particolare relazioni aperte all’ascolto, al riconoscimento, alla stabilità dei legami e alla generosità. Ciò significa: – cogliere il desiderio di relazioni profonde che abita il cuore di ogni uomo, orientandole alla ricerca della verità e alla testimonianza della carità; – porre al centro della proposta educativa il dono come compimento della maturazione della persona; – far emergere la forza educativa della fede verso la pienezza della relazione con Cristo nella comunione ecclesiale”.

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Educhiamoci: Investiamo in “paradisi” che contano In questo numero tratteremo l’importanza di

Educarsi ed educare

alla solidarietà, alla generosità, all’ascolto

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’arrivo del Natale evoca in tutti noi sentimenti ispirati al bene, all’amore per il prossimo. Sentiamo noi stessi il bisogno di “sentirci” più buoni, di fare qualcosa per gli altri. Spesso, però, questa esigenza di donare, rapportata alla società in cui viviamo, si traduce in qualcosa di materiale e si è portati a confondere la generosità e la solidarietà con il “donare” in senso materiale. Fare dei regali graditi, spesso anche costosi, ci fa sentire generosi. E’ pur vero che la nostra società vive anche di tradizioni, che non sono del tutto sbagliate. Tutti noi siamo cresciuti nella magica convinzione che, la notte di Natale, Gesù Bambino venga a portarci i doni; che Babbo Natale, con la sua slitta e le sue renne, scenda dalla montagna e ci faccia dono di quanto da noi è più desiderato, addirittura che riceva le nostre lettere e che cerchi di esaudire ogni nostro desiderio. Tutto ciò non è sbagliato in sé, perché racchiude il messaggio di “donare” ma, mentre un bambino riesce a percepire il senso del dono in un giocattolo che desidera, quando cresce è importante che capisca che tutto non può fermarsi a quello. Dobbiamo chiederci: di che cosa hanno veramente bisogno i nostri figli, i nostri

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alunni e tutti coloro che ci stanno vicino? Cosa dobbiamo donare per essere veramente generosi? Verso dove deve tendere la nostra generosità? Non è necessario essere un missionario, dedicare la propria vita agli altri per essere generosi e solidali: non tutti abbiamo questa vocazione, ma credo che ciò che vale non sia il numero di persone a cui doniamo, ma quanto amore diamo. Si può stringere il proprio raggio di azione e donarci nel vero senso della parola alle persone a noi più vicine: se ognuno di noi facesse questo, nessuno si sentirebbe solo. Ma cosa dobbiamo donare agli altri, in che cosa possiamo manifestare la nostra generosità e la nostra solidarietà? Il punto di partenza non deve essere il “nostro” bisogno: dobbiamo andare oltre il nostro egoismo nel donarci al prossimo. Prendiamo esempio da Maria: la sua accoglienza perfetta ha permesso

che la Parola si incarnasse per la salvezza del mondo. “E il Verbo - la Parola si fece carne”. Gesù nasce per donarsi a noi, tutta la sua vita terrena è dono per l’umanità, fino al sacrificio estremo della morte. E’ il massimo della generosità. Noi, esseri terreni e imperfetti, non miriamo certamente a questo, ma la nostra vita e la nostra quotidianità ci offrono tante occasioni per donarci agli altri in modo sincero, per capire i loro bisogni, le loro necessità, non necessariamente materiali, e fare il possibile per offrire il nostro contributo. La generosità non è uno scambio. Nella nostra mentalità, istintivamente, ci aspettiamo la riconoscenza: quando compiamo un atto solidale o generoso, ci aspettiamo di essere ricambiati. Nel cap. 14 del Vangelo di Luca, troviamo questo insegnamento di Gesù: “Quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla resurrezione dei giusti”. Gesù proclama la beatitudine di chi non è ricambiato. Fai i regali proprio a quelli che non possono restituirteli: la beatitudine sta proprio nel fatto che non te li possono restituire. La radice della felicità consiste in una generosità che non


Educhiamoci: Investiamo in “paradisi” che contano cerca il contraccambio. La ricchezza è nel donare, non nel ricevere. Siamo generosi e solidali se doniamo ciò di cui l’altro ha bisogno, senza aspettarci nulla in cambio. Ma, per capire ciò di cui il nostro prossimo necessita, dobbiamo “ascoltare” i suoi bisogni. La generosità e la solidarietà cominciano dall’ascolto. Naturalmente ascoltare non significa solo usare l’udito, ma capire ciò che i nostri figli, i nostri alunni, ci stanno dicendo, quali sono le loro vere intenzioni. L’importanza dell’ascolto inizia da quando il bambino nasce. Quale genitore, nei primi giorni di vita del proprio figlio, non ha “ascoltato” il suo pianto per cercare di “capire” quale fosse il suo “vero” bisogno? Il neonato comunica prevalentemente attraverso il pianto ma, quando cresce, impara a parlare e ad esprimere i propri pensieri. Il nostro ascolto verso il bambino deve, quindi, cambiare: l’uso della parola solo apparentemente semplifica la comunicazione. Dico “apparentemente”, perché il linguaggio favorisce la comunicazione solo se “ascoltiamo” quello che il bambino ci dice con la stessa dedizione con cui ascoltavamo il suo pianto da neonato, con lo stesso impegno e con lo stesso desiderio di capirlo nel profondo. E’ proprio nell’infanzia che si pongono le basi per un ascolto vero: se ci facciamo sfuggire l’occasione di ascoltare i nostri figli o i nostri alunni quando sono piccoli, tutto diventa più complicato e difficilmente recuperabile nell’adolescenza, età in cui l’ascolto diventa fondamentale in quanto il messaggio dell’adolescente non è più limpido e innocente come quello del bambino, ma cela sentimenti contrastanti, spesso in conflitto tra loro. Ascoltando i nostri figli e i nostri alunni, li educhiamo all’ascolto e li aiutiamo a diventare, a loro volta, dei buoni ascoltatori da adulti. Purtroppo la società in cui viviamo, la vita frenetica, i miti fasulli portano le

persone ad ascoltare soprattutto se stesse, a costruire un sé immaginario che cercano di imporre al prossimo. Il risultato è che si può coesistere, e addirittura convivere, senza mai capirsi veramente. Se non c’è ascolto, il dialogo tra due persone diventa un “dialogo tra sordi”. Ci vuole qualcosa di più di un buon ascolto per cogliere i segnali che ci danno i nostri figli e tutte le persone che ruotano attorno alla nostra vita personale o lavorativa. Affinché l’ascolto sia efficace, attivo ed empatico è necessario “mettersi nei panni dell’altro” cercando di entrare nel punto di vista di chi ci parla e cercare di condividere le sensazioni che manifesta. L’ascolto non implica “giudizio” e nemmeno la necessità di darsi da fare per risolvere il problema. Se noi ascoltassimo i nostri figli nel vero senso della parola, se non ci fermassimo solo alle loro richieste materiali, ma cercassimo di capire, dall’ascolto dei loro sentimenti, i loro veri bisogni, costruiremmo rapporti più veri e felici. Ogni rapporto genitore-figlio, maritomoglie, insegnante-alunno, dovrebbe basarsi su una comunicazione fondata sull’ascolto efficace. Ascoltare è donarsi, è un affettuoso regalo che facciamo alle persone che amiamo e a tutti coloro che stanno cercando di dirci qualcosa. Ma spesso è un regalo anche per chi ascolta, perché l’ascolto efficace favorisce il rispetto reciproco, costruisce relazioni vere, genera idee e crea fiducia. Essere solidali e generosi significa ascoltare e donare se stessi. Per diventare persone più felici è importante anche l’ascolto della Parola di Dio. Nel Vangelo, il valore dell’ascolto è una beatitudine: “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc. 11, 28). Per essere buoni cristiani, siamo chiamati ad “ascoltare” la Parola del Signore, cercando di capire cosa Dio ci chiede veramente, per poterla osservare e godere del dono della felicità.

Quest’anno vorrei che i miei figli, dentro la letterina per Babbo Natale, mettessero i desideri del loro cuore, vorrei che chiedessero l’amore immenso e incondizionato di mamma e papà, la solidarietà del proprio fratello, l’affetto dei nonni e degli zii, il rispetto dei propri amici, l’accoglienza di una scuola che li faccia sentire sereni, il dono degli insegnanti che, giorno dopo giorno, con sacrificio e pazienza, li aiutano a crescere. Forse a loro potranno sembrare dei doni insoliti perché tutto questo ce l’hanno già, ma devono imparare, con il nostro aiuto, ad apprezzarlo.

E spero che sotto l’albero di Natale, anziché trovare tanti giocattoli spesso inutili, trovino tutto ciò di cui hanno veramente bisogno: l’amore delle persone che Gesù Bambino ha donato loro mettendole nel cammino della loro vita, che ogni giorno li “ascoltano” e li aiutano a diventare persone vere. Giusi Tartaglione docente e genitore

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Dopo “Madrid 2011”

Radici Nell’aria alberga un non so che di eterno e presente, difficile da definire: sarà il vapore del respiro della storia che s’alza da questa nostra terra così provata socialmente, economicamente, politicamente; sarà il fumo delle rovinose catastrofi naturali che hanno colpito la nostra nazione e stanno imperversando in tanti paesi del mondo, rendendoci vittime impotenti di una rivoluzione climatica che scuote le nostre coscienze e ci interpella sul senso della vita, sul senso di una fraternità e di una solidarietà universali che sono l’identità di ognuno, espressione delle radici profonde che abitano dentro noi: l’essere figli, fratelli, aggrappati alla storia, all’amore, alla fede, alla speranza. …Nell’aria alberga il tema di questo secondo numero: le radici. Parleremo di cosa significa per me, per te che leggi, per le giovani generazioni, l’essere radicati. Ci accompagnerà ancora Mauro con le sue riflessioni di vita. Come sottofondo, la canzone di Zucchero: “Chocabeck”. Tutto questo per scambiarci pensieri, affinché i cuori si incontrino nello spazio etereo delle idee, che anelano a divenire concreta storia … Ci chiediamo:

Cosa significa mettere le radici? Dove essere radicati? Come essere radicati? Quando essere radicati? Perché essere radicati?

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Dopo “Madrid 2011”

“Come dunque avete accolto Cristo Gesù, il Signore, in lui camminate, radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, sovrabbondando nel rendimento di grazie” (Col 2, 6-7)

Leggiamo negli Orientamenti Pastorali dell’Episcopato Italiano per il decennio 2010-2020, al n° 9: “Considerando le trasformazioni avvenute nella società, alcuni aspetti, rilevanti dal punto di vista antropologico, influiscono in modo particolare sul processo educativo: l’eclissi del senso di Dio e l’offuscarsi della dimensione dell’interiorità, l’incerta formazione dell’identità personale in un contesto plurale e frammentato, le difficoltà di dialogo tra le generazioni, la separazione tra intelligenza e affettività. Si tratta di nodi critici che vanno compresi e affrontati senza paura, accettando la sfida di trasformarli in altrettante opportunità educative. Le persone fanno sempre più fatica a dare un senso profondo all’esistenza. Ne sono sintomi il disorientamento, il ripiegamento su se stessi e il narcisismo, il desiderio insaziabile di possesso e di consumo, la ricerca del sesso slegato dall’affettività e dall’impegno di vita, l’ansia e la paura, l’incapacità di sperare, il diffondersi dell’infelicità e della depressione. Ciò si riflette anche nello smarrimento del significato autentico dell’educare e della sua insopprimibile necessità. Il mito dell’uomo “che si fa da sé” finisce con il separare la persona dalle proprie radici e dagli altri, rendendola alla fine poco amante anche di se stessa e della vita. Le cause di questo disagio sono molteplici – culturali, sociali ed economiche – ma, al fondo di tutto, si può scorge-

re la negazione della vocazione trascendente dell’uomo e di quella relazione fondante che dà senso a tutte le altre: «Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia». Siamo così condotti alle radici dell’“emergenza educativa”, il cui punto cruciale sta nel superamento di quella falsa idea di autonomia che induce l’uomo a concepirsi come un “io” completo in se stesso, laddove, invece, egli diventa “io” nella relazione con il “tu” e con il “noi”. Tale distorsione è stata magistralmente illustrata dal Santo Padre: «Una radice essenziale consiste - mi sembra - in un falso concetto di autonomia dell’uomo: l’uomo dovrebbe svilupparsi solo da se stesso, senza imposizioni da parte di altri, i quali potrebbero assistere il suo autosviluppo, ma non entrare in questo sviluppo. In realtà, è essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall’altro, l’‘io’ diventa se stesso solo dal ‘tu’ e dal ‘noi’, è creato per il dialogo, per la comunione sincronica e diacronica. E solo l’incontro con il ‘tu’ e con il ‘noi’ apre l’‘io’ a se stesso”. Dopo la provocazione di questo breve numero, cerchiamo di far risuonare dentro le parole evidenziate e lasciamo al linguaggio della musica il felice compito d’accompagnare questa sorta di decantazione.

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Dopo “Madrid 2011” CHOCABECK

(Zucchero Fornaciari, dall’album Chocabeck)

Noi faremo l’amore Tre nel cielo e due nel sole Noi faremo l’amore Dentro il mare e dentro il pane Nella bocca e negli occhi Far l’amore nelle mani E nei baci e nei cuori fiori a far così Ti ricordi l’amore Quella luce dell’amore! E sì e no oh oh oh We gotta make it together oh oh oh L’amore che eh eh eh eh Ci consuma e ci lega. Noi faremo l’amore Due nel cielo e tre nel sole Con la bocca e col cuore Fiore fai così Ti ricordi l’amore Quell’odore dell’amore! E sì e no oh oh oh We gotta make it together oh oh oh L’amore che eh eh eh eh Ci consuma e ci piega Ecco io laggiù laggiù Da ragazzino ne sapevo di più Di più di più L’amore fu Un calcio in culo E tante stelle lassù Amore che non so chi sei Che sette, otto, nove, dieci sarai Mi manca sai Il chocabeck, il chocabeck. E sì e no oh oh oh We gotta make it together oh oh oh L’amore che eh eh eh eh Ci consuma e ci frega Ecco io laggiù laggiù Da ragazzino ne sapevo di più Di più di più L’amore fu La banda in testa E tante stelle lassù Adesso che Non so chi sei Che sette, otto, nove, dieci sarai Mi manca sai Il chocabeck, il chocabeck.

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Grande Zucchero! Quattro parole in croce, una capacità di entrare dritto nel mondo dei sentimenti con flash di immagini così vere, con versi che vanno oltre le regole metriche per dire la verità che ci abita: l’amore ricevuto, l’amore dato, l’amore senza se e senza ma, l’amore che si costruisce insieme (tre nel cielo e due nel sole), l’amore che è vedere con gli occhi del cuore, che è responsabilità ed operosità di mani semplici, l’amore che ci consuma, ci lega, ci piega, ci frega (nel vero senso della parola: per il suo essere pura illogicità). Non possiamo essere persone, se non ci radichiamo qui: in questo amore che abbandona il suo respiro nella storia di ciascuno. Cosa significa radicarci?

Essere radicati vuol dire proprio ritornare alla fonte dell’equilibrio, alla sorgente della capacità di comprendere chi siamo; vuol dire percorrere la strada dell’esistenza a ritroso, fino all’origine di noi, interrogarci sul senso della vita, prenderci in mano e giocarci. Dove radicarci? “Dove è il tuo tesoro, dove poni le tue radici, sarà anche il tuo cuore!” Sembra risponderci Gesù (Mt. 6, 21). Ci si radica in terra buona, ci si radica nei valori che tengono in piedi la casa della nostra fragile esistenza. Ci si radica nel bene dell’amore, abbiamo sentito nel canto, in un bene che sposa una forma d’educazione severa e sobria: i “due calci in culo” sono la concretezza di un “voler bene” che mira a far crescere persone tutte d’un pezzo, che è capacità di accontentarsi ed essere felici anche solo guardando le stelle; un bene che è memoria del “chocabeck”, di quelle sante parole genitoriali che hanno contribuito alla costruzione della personalità: Zucchero ricorda che il padre, alla domanda: “Pa’, che c’è da mangiare oggi?”, rispondeva con crudezza e semplicità: “Di chocabeck!”, cioè “Niente!”. Il “mi manca sai il chocabeck” è quasi la considerazione nostalgica del bisogno di tornare al passato, perché le radici della nostra persona ne bevano la linfa e trovino la forza e le motivazioni per andare avanti. La memoria è il motore del presente e spalanca al futuro. Si dice che i giovani abbiano


Dopo “Madrid 2011” smarrito la memoria storica. Penso non sia del tutto vera questa espressione: devono solo ricuperare e rispolverare tutto ciò che è custodito dentro. Come seme. Come essere radicati? Prendo spunto dai fatti degli ultimi giorni per rispondere (è quasi la metà di novembre mentre scrivo ed ho sotto gli occhi le immagini e le parole degli articoli che riportano le catastrofi naturali). Come essere radicati? Con forza e tenacia. La forza e la tenacia delle radici degli alberi che si fissano al terreno ed impediscono che dilavi, non la forza e la tenacia dell’acqua e del fango che distruggono. La forza e la tenacia di quei giovani che spalano il fango per ridare alla città che sentono propria, perché lì sono le loro radici, il volto di sempre, non la forza e la tenacia dell’indifferenza. Andiamo oltre… Quando essere radicati? Sempre. Perché non corriamo il rischio d’essere tagliati e gettati via. Perché non viviamo la vita da distratti, illusi, parassiti. Sempre. Perché siamo persone e non potremmo vivere diversamente. Perché siamo chiamati a dare senso e ragione alla nostra esistenza. Se vivessimo senza radici nella storia, che assume il volto di una famiglia, della scuola, della società, del lavoro, degli amici, di Dio stesso, saremmo vento e tempesta, dispersi nel tempo, inconsi-

stenti, inutili, da gettare nelle tenebre, come il servo del Vangelo che non ha trafficato i suoi talenti. Perché essere radicati? La risposta la troviamo in ciò che Mauro scrive. Lasciamo a lui la penna.

Colloquio con un sopravvissuto Che cosa hai fatto allora che non avresti dovuto fare? «Nulla» Che cosa non hai fatto che avresti dovuto fare? «Questo e quello questo e quell’altro: Qualcosa» Perché non l’hai fatto? «Perché avevo paura» Perché avevi paura? «Perché non volevo morire»

Hai ancora qualcosa da dire su quel che non hai fatto? «Sì: Chiederti che cosa avresti fatto tu al mio posto». Non lo so e non posso giudicarti. So soltanto una cosa: domani nessuno di noi vivrà se anche oggi non faremo nulla. (Erich Fried)

Qualcun altro è morto perché tu non volevi morire? «Credo di sì» Tutti quanti tendiamo a criticare quello che ci sta intorno. Spesso, quando incontriamo le persone o gli amici, l’argomento che affrontiamo più frequentemente è la critica. Critichiamo il sistema, il mondo in cui viviamo, chi ci rappresenta, l’amico che non ci ha telefonato, il datore di lavoro etc. etc. e ci mettiamo sempre un po’ in disparte come spettatori co-protagonisti. I problemi che vediamo e critichiamo sembrano essere fuori dalle nostre possibilità o, come dicono alcuni scrittori: “fuori di noi”. Credo che se tutto ciò di malvagio e tutto ciò che ci sta attorno lo riteniamo “fuori di noi”, allora è giunto il momento di lavorare sulla nostra persona, di cominciare a pensare che prima di cambiare il mondo o criticarlo è necessario cambiare noi stessi per cominciare ad essere protagonisti. Cercare di comprenderci, di trovare il nocciolo che è dentro di noi, è un viaggio affascinante e infinito, in un pianeta misterioso. Comprendere da dove veniamo, perché siamo al mondo, quale sia il nostro ruolo sembrano domande scontate, ma se provassimo a pensarvi seriamente, scopriremmo di avere a che fare, il più delle volte, con uno sconosciuto. Dentro ognuno di noi, ne sono sicuro, c’è molto di più di quello che esprimiamo: ognuno di noi ha dentro di sé un potenziale grandissimo e meraviglioso. Ogni uomo è meraviglioso. Il problema sta nel fatto che, non essendone consapevole, si pone in disparte. Migliorare e conosce-

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Dopo “Madrid 2011” Perché, dunque, radicarci? Per cambiare il “fuori di noi” partendo dal “dentro di noi”… re se stessi, per migliorare ciò che ci sta intorno, è una formula semplice in fondo. Ogni volta che chiedevo al caro Don Oreste Benzi (fondatore della comunità Papa Giovanni XXIII di Rimini), di intervenire su un problema o di fare qualcosa su situazioni che giudicavo sbagliate, o che mi infastidivano, la risposta era sempre la stessa: “Perché non fai tu qualcosa; chi te lo impedisce?”. Questa risposta mi metteva sempre di fronte ai miei limiti, alle mie capacità, però mi faceva anche pensare: “E se avesse ragione? Forse potrei esserne capace…”. Già, il fatto di domandarmi “Ne sono capace?” implicava una poca conoscenza di me stesso. Spessissimo si sente dire: “Magari potessi farlo; fortunato lui che ha fatto quella scelta; eh… potessi farlo anche io…” e allora ecco la risposta: “Chi te lo impedisce?”. Dicono: “Eh, ma ci vuole coraggio!”. È vero, ma se avessimo la consapevolezza totale di noi stessi, il coraggio sarebbe aiutato. Esistono tanti modi per trovare se stessi, per conoscersi. Io non ne ho la formula: ognuno di noi dovrebbe trovarla da solo. Pankaj Mishra, in un suo libro, scriveva: “… cambiare atteggiamento ed investire meno energie nel pensare a ciò che ci viene “fatto”, concentrandoci sull’apporto che possiamo dare, sulle qualità e le risorse che possiamo (e dobbiamo) sviluppare. Quindi è un partire da sé, da una prospettiva egocentrica di sé, come luogo di assorbimento di tutto quello che ci sta attorno e di cui possiamo beneficiare o che ci disturba, per scoprirci fulcro da cui si irradia una diversa consapevolezza: la consapevolezza che i cambiamenti avvengono in noi e poi si esprimono fuori di noi. Serve a poco lamentarsi, serve a molto offrire un contributo affinché ciò che non ci piace possa cambiare… in meglio”. Anche il mio percorso alla ricerca delle mie radici non è terminato: è un viaggio che non finisce mai ed è molto confortante rendersi conto e scoprire ogni giorno qualcosa di più di noi: ci aiuta a capire quanto siamo infiniti e quante cose abbiamo da offrire. Una cosa però l’ho imparata, ed è domandarmi ogni volta che vorrei fare qualcosa e ho dei dubbi: “Chi me lo impedisce?”.

Ci lasciamo con questo compito: radicarci in Colui che si è radicato a sua volta nel tempo. Perché Dio Gesù si è radicato? Perché una cosa l’aveva imparata: “Chi gli avrebbe potuto impedire di amare l’uomo?”. Quando Dio Gesù si è radicato? Quando è arrivata la pienezza dei giorni, quando i giorni avevano raggiunto una maturazione tale che erano pronti all’evento della Sua salvezza, quando incontrava la sua gente e ne leggeva i bisogni di unità, di redenzione, di speranza, di amore. Come Dio Gesù si è radicato? Dimenticando la sua prerogativa d’essere uguale a Dio per farsi servo dei servi, humus per la terra argillosa e poco fertile dei cuori incontrati. Si è radicato incarnandosi, cioè facendosi fango, tutt’uno con i deboli e i poveri. Dove Dio Gesù si è radicato? Nella fragilità, nel limite, in una terra di peccato, perché ricrescesse con Lui il nuovo albero della vita, dal quale l’uomo potesse cogliere i frutti. E vivere per sempre. La conclusione è un po’ strana, ma è voluta. Solo radicandosi in Dio Gesù, che parla nella storia, ognuno di noi può comprendere appieno se stesso, perché il nostro “io”, entrando in contatto con un “tu”, dà vita alla relazione, alla comunione, al dialogo. Di queste realtà abbiamo bisogno! Per essere persone! Per essere giovani! Mauro Barisone e Suorbì sr.b@tiscali.it

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I santi sono coloro che lasciano passare la luce...

GONXHA AGNESE BOJOXHIU, per tutti

Madre Teresa di Calcutta L’usignolo del Signore

che cantò le sue lodi nella luce del meriggio e nell’oscurità della notte

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adre Teresa nasce a Skopje, da genitori albanesi, il 27 agosto 1910. La sua famiglia era benestante per cui Agnese poté frequentare le scuole di base e anche le superiori. Ma la sua famiglia, oltre che benestante, possedeva e viveva una profonda fede cattolica che si traduceva in una concreta vita di carità. Il papà soleva ripetere alla sua famiglia e specialmente ai suoi figli: “Io vi darò tutto e non vi lascerò mancare nulla; ma voi, siate generosi. Amate i poveri e soccorreteli sempre”.

Agnese, con sua sorella e suo fratello cresce, quindi, con sotto gli occhi molteplici esempi di bontà, di generosità e di fede praticata e vissuta. Si trova bene in famiglia ed è bene inserita nel gruppo parrocchiale guidato dai Gesuiti che, nel 1925, quando Agnese Bojoxhiu aveva solo 15 anni, raggiungono Calcutta come terra di missione. La giovane Agnese si entusiasma nel sentir leggere le lettere dei missionari e si offre come volontaria: pronta a partire per l’India. Raggiungerà Calcutta a vent’anni e morirà a ottantasette, dopo aver visitato parecchie volte tutto il mondo, sempre partendo da Calcutta.

Missionarie della Carità, fondato dalla Beata Madre Teresa di Calcutta. Essa mi accoglie nella Casa Madre del suo Istituto in Calcutta, appena fuori la Cappella rettangolare che custodisce il corpo di Madre Teresa. Nella prima parte di questa Cappella, proprio di fronte all’entrata, un mausoleo di marmo bianco protegge le spoglie della Beata. Sulla lapide una semplice scritta: “Mother Teresa of Calcutta” con due date: “1910-1997”. Una semplice candela, vicina al nome, si consuma lentamente mandando bagliori di luce attraverso il vetro

SISTER ADRIANA Significativa mi sembra la testimonianza di Madre Adriana che riporto di seguito e che ho raccolto io stessa a Calcutta durante il mese di ottobre 2009. Sister Adriana appartiene all’Istituto

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che la protegge; sembra un cristallo: quella povera luce manda riflessi come fosse un raggio di sole che si stacca da un globo infuocato, proprio come fu la vita di Madre Teresa. Sulla parete di fronte, un grande Crocifisso con scritto accanto “I thirst”

(ho sete). E’ lo stemma delle Missionarie della piccola Madre di Calcutta; è stata la bandiera per la quale Madre Teresa ha combattuto per tutta la sua vita. Ha fatto tutto per amore di Gesù perché questo Dio, che si è fatto uomo, ha sete: desidera ardentemente che tutti gli uomini si salvino. Un poco più in là, un altare sul quale, durante il giorno o la notte, viene celebrata o adorata l’Eucaristia. Dietro, separata da una semplice tenda, vi è un piccolo museo con alcune delle tante foto di Madre Teresa, alcune sue lettere, i suoi sandali e la modestissima borsa di tela che soleva accompagnarla durante i suoi trasferimenti. Ma tutto, in questa Cappella, parla di lei. Si percepiscono i suoi silenzi osservando la piccola statua di Madre Teresa accovacciata per terra sopra il cuscino che fu testimone delle sue lunghe ore di adorazione davanti all’Eucaristia. Noti così la povertà che essa ha esaltato in tutte le lingue e che le sue Suore hanno conservato come una preziosa reliquia della loro Fondatrice. Si

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respira un’aria gioiosa che si legge sul volto delle Suore che incroci o con cui si parla. Tutto in questo ambiente parla della nostra Beata: del suo ideale, della sua vita, delle sue preghiere e dell’eredità che ha lasciato alle sue Suore. Sister Adriana viene da Gussago (provincia di Brescia) e vive a Calcutta nella Casa Madre delle Missionarie della Carità, come Consigliera del proprio Istituto. Si ferma volentieri a parlare con noi. Gussago è poco lontano da Rovato (BS) e mia mamma era di Rovato per cui… Quando si vive lontano dalla Patria, la nostalgia qualche volta ci prende... Mi permetto di chiederle quale sia stato il buon vento che l’ha portata in India. E, prima ancora: chi o che cosa, l’hanno spinta a bussare alle porte delle Missionarie della Carità. La risposta più immediata è un grande sorriso che illumina il suo volto, proprio per essere fedeli all’insegnamento della loro Madre Fondatrice che non aveva esitato a proclamare pubblicamente: “La pace incomincia con un sorriso”.

Sister Adriana si racconta, così, semplicemente, senza esibizione e senza atteggiamenti come fanno i bambini quando si chiede loro che cosa hanno sognato, proprio come se la sua fosse stata la scelta più facile e più comune. Le parole di Sister Adriana si susseguono come i paracarri di una strada. Dice: “Ad ogni pensiero, generalmente, corrisponde un’azione e ogni atto ha le sue conseguenze. Dopo aver incontrato e conosciuto Madre Teresa, non si può vivere come se nulla fosse successo”. Sister Adriana era, infatti, uno dei millecinquecento giovani a cui il cardinale Colombo di Milano aveva affidato l’incarico di preparare coreograficamente lo Stadio di Milano in occasione della “Festa della Vita” del 23 aprile 1977. Per tale Festa, era stato scelto lo stadio di San Siro ed era stata invitata anche Madre Teresa di Calcutta. Per la prima volta uno stadio calcistico della capienza di quello di San Siro, è così diventato, per un pomeriggio, una grande chiesa all’aperto, un tempio bellissimo e raccolto in cui si è potuto pregare bene e coinvolgere tutti i presenti. Sister Adriana ha collaborato nella preparazione coreografica dello stadio. L’incontro, pubblicizzato e sostenuto dalle Chiese lombarde, voleva celebrare la Vita. La parte esteriore della Festa, è stata la parte che tutti hanno ammirato e che ha richiesto, a questi 1500 giovani, tanti sforzi e tanta creatività senza contare il tempo e le notti passate a programmare. Furono, però, le parole forti della “piccola, grande” Suora di Calcutta, che aveva sposato la causa dei poveri tra i più poveri, che risvegliarono una certa inquietudine dentro l’animo di Adriana: “Le parole della nostra Madre fondatrice aveva-


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no il potere di scuotere gli animi. Andavano diritte al cuore come una freccia. Riportava tutto all’essenziale, a ciò che veramente conta. La nostra Madre era una persona veramente piena di Dio. Lo si sentiva anche fisicamente. E non si trattava di una suggestione psicologica. La sua testimonianza era troppo trasparente: coinvolgeva e faceva riflettere… Da questo giorno è incominciata la mia conversione. Madre Teresa soleva ripetere che, quando si tratta di pregare, non aveva paura di essere strumentalizzata da nessuno. Io ho incominciato a pregare e a cercare. Non mi sono più fermata di fronte agli ostacoli, all’indifferenza, alle lusinghe, alle incomprensioni. Madre Teresa parlava spesso delle vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa. Spesso, infatti, veniva richiesta di pronunciarsi circa la crisi di vocazioni nella Chiesa. E lei soleva rispondere con chiarezza: “… I giovani oggi non vogliono più solo ascoltare… Quando una ragazza viene a dirmi che desidera farsi Suora, le rispondo: vieni a vedere come viviamo e con chi lavoriamo. Poi potrai decidere”. I giovani vogliono vedere, constatare, verificare, toccare, se è possibile. Madre Teresa fu ed è, per moltissimi giovani, una proposta concreta di vita. E Sister Adriana è lì, semplice e sorridente, a dimostrare che il nostro tempo non è arido di vocazioni come si vorrebbe far credere… Sister Jefa la incontro, invece, il giorno seguente; anche lei italiana e anche lei attratta dal fascino indescrivibile che esercita Madre Teresa sull’animo giovanile. Viene dalla Sicilia e si trova a Calcutta da poco più di un anno. Il suo volto giovanile, circondato dal bianco velo con le righe azzurre, sem-

bra un bellissimo fiore in bocciolo che deve ancora manifestare tutta la sua bellezza e la sua fragranza. Al contrario di Sister Adriana che venne colpita come da un fulmine dalla trasparenza di Madre Teresa, Sister Jefa conosce le Missionarie della Carità in seguito ad una sua lunga e sofferta ricerca personale. Era giovane e da poco aveva conseguito una laurea in Lettere moderne. Aveva anche lavorato facendo qualche supplenza nell’ambito della scuola. Si trovava bene e non aveva problemi particolari. Veniva da una buona famiglia nella quale si vivevano i valori religiosi, anche se in forma tradizionale. “Andavo a Messa tutte le domeniche con la mia famiglia”, dice Sister Jefa, “ma la parola del Vangelo non illuminava la mia vita. Mi sembrava che non avesse nulla da dire alla mia vita e a quella dei miei genitori o del mio ambiente. Tutto formalmente sembrava in ordine; tutti avevano un lavoro e facevano il proprio dovere: ci si rispettava e non vi erano delle ragioni vere e proprie per essere inquieti e cercare soluzioni diverse da un buon matrimonio e di un posto di lavoro, onorabile nella società. Ma io, invece, ero inquieta e non potevo più nascondermi dietro l’adolescenza, che ormai mi ero lasciata alle spalle, e neppure dietro l’incomprensione dei genitori perché ho avuto con essi sempre un bel rapporto. Dentro di me, però, non riuscivo a guardare lontano e, tanto meno, a vedere il cielo sereno e il mio futuro… neppure potevo dirmi soddisfatta: mi sentivo come una rondine spaesata che non ritrova il nido dell’anno precedente e continua a girare e a cercare. Continuavo a guardare l’orizzonte come se la soluzione della mia inquietudine dovesse venire dall’alto”.

Invece la soluzione del suo problema venne da un fatto semplicissimo, proprio come fanno le noci quando sono mature; non occorre il vento perché si stacchino dall’albero e nemmeno che l’uomo scuota l’albero: sono pronte a lasciare la “madre pianta” per immettersi nel circuito della vita. L’occasione immediata le venne una domenica mattina, ascoltando la predica del suo Parroco che non disse nulla di straordinario… straordinario era soltanto lo stato d’animo suo che percepì l’invito del Signore in maniera luminosa: proprio come se, nel buio della notte, si fosse accesa una lampada che rende chiaro tutto. Ha incominciato a cercare concretamente e a chiedersi che cosa veramente volesse. Nessuno l’ha indirizzata dalle Missionarie della Carità, ma lei cercava qualcuno che facesse sul serio: qualcuno che la invitasse a donare tutto dietro un semplice: “… tutto quaggiù e l’eternità, assieme a dolori e sofferenze”. Le due Suore italiane, assieme a molte altre provenienti da tutti i paesi del mondo, gestiscono ora un “esercito” di Suore, di Sacerdoti e di Volontari che cercano di rendere un po’ meno tragica la vita ai tantissimi poveri che popolano ancora le città dell’India o delle periferie delle metropoli del mondo. LA GIOIA COME BIGLIETTO DI VISITA La piccola Suora di Calcutta è sempre lì, sorridente ed attiva, nonostante non sia più fisicamente presente, a consolare e ad invitare: vieni e vedi come e con chi lavoriamo… Difficile dire e capire come Madre Teresa sapesse farci stare tante cose nell’arco delle ventiquattro ore del giorno. Sicuramente rubando molte ore al sonno e al riposo, ma anche perché sa-

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peva scegliere fra le cose essenziali e quelle relative. Non dava importanza al fatto di essere la donna più famosa del mondo, insignita di tantissimi premi anche a livello mondiale, sociale e religioso. La sua umiltà era sincera; ma le sue parole scuotevano e andavano diritte al cuore di ogni problema che le veniva messo davanti. Lei sapeva ricondurre tutto a Dio. La sua vita, con quanto conta veramente, trovava origine e alimento nell’amore del Padre. La preghiera accompagnava tutta

la sua giornata. Mangiava poco, dormiva poco, non beveva fuori pasto: riduceva all’essenziale le sue esigenze e chiedeva al suo corpo tutto, proprio tutto quello che poteva dare senza indulgere sui suoi bisogni, stanchezze o rifiuti. Scrive padre Piero Gheddo, che di Santi un po’ se ne intende: “…Vivere accanto a Madre Teresa si percepisce quasi fisicamente - e non si tratta di una suggestione psicologica - di avere

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accanto una persona veramente Piena di Dio. E’ la sua testimonianza che la rende unica e così diversa da noi. Se noi tutti fossimo più vicini a Dio e vivessimo più di Dio e meno di noi stessi, il mondo sarebbe diverso. Non per merito nostro ovviamente, ma perché Dio potrebbe agire attraverso di noi come ha agito attraverso Madre Teresa”.

un occhio di riguardo per la famiglia: bisogna proteggerla, favorirla, accompagnarla, starle vicino, sostenerla. Lei ricordava con gusto la sua infanzia e la sua fanciullezza e non esitava ad affermare che lei era stata indirettamente incoraggiata a fare scelte coraggiose dal modo di vivere e di agire dei suoi genitori.

“I BAMBINI CHE NON VOLETE… DATELI A ME!…”.

I SANTI SONO COLORO CHE LASCIANO FILTRARE LA LUCE… Un bambino, dopo aver visitato con la sua insegnante la Cattedrale di Charter, alla sua maestra, che gli chiedeva che cosa l’avesse colpito particolarmente, rispose: “Mi sono piaciuti particolarmente i santi, perché lasciavano passare la luce!”. Madre Teresa aveva il potere di lasciare passare la luce di Dio e di mettere tutti a proprio agio, anche se lei ha vissuto a lungo nelle tenebre spirituali. Di fronte a lei nessuno si trovava scomodo. Scrive Van der Peet, che per molti anni fu il suo direttore spirituale: “Ogni volta che incontravo Madre Teresa mi sentivo del tutto a mio agio. Lei emanava pace e gioia, persino quando mi rendeva partecipe dell’oscurità della sua vita spirituale. Spesso rimanevo sorpreso dal fatto che una persona in così stretto contatto con tanti sofferenti e che attraversava lei stessa una notte oscura, potesse ancora sorridere e far sentire felice. Non potevo fare a meno di pensare che di fronte a me c’era qualcuno di cui Dio ha sognato in paradiso. Davvero un tocco di Dio! Eppure era una persona col più grande senso pratico che abbia mai conosciuto”. Di fronte a questa testimonianza, sembra rispondere idealmente Madre Teresa che scrive: “Il mio amore per Ge-

Molto spesso si è sentito dire che l’ideale di Madre Teresa non è a portata di mano di tutti. La cosa è comprensibile nel nostro mondo che programma tutto, anche quando uno deve nascere o morire!!!… Se è degno di vivere o se è meglio farlo morire!!! Ma per Madre Teresa le cose non stavano così. La nostra Beata, più che programmare le sue giornate, si fidava del Signore e si affidava in tutto a Lui. Non disdegnava nulla e aveva superato tutte le paure come un bravo alpinista che non esita a scalare un sesto grado. Ripeteva sempre, anzi gridava, che lei e le sue Suore erano pronte ad accogliere tutti i bambini che i genitori non volevano far nascere. Ma non solo: si impegnava a cercare e a trovare una famiglia per loro perché potessero crescere assaporando l’affetto e la protezione che danno un papà e una mamma ai bambini. Anche per questo sosteneva, in tutte le lingue e in ogni circostanza, che bisogna sempre avere


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sù continua a diventare più semplice e più personale. Come i nostri poveri, cerco di accettare la mia povertà; cerco di essere piccola, impotente, incapace di un grande amore; desidero amare Gesù con tutto l’amore di Maria, e il Padre, con l’amore di Gesù”. A Padre Van der Peet, invece, scriveva: “…E’ un bene che la croce ci conduca sul Calvario e non in un salotto… Comprendo sempre di più perché Gesù ci vuole miti e umili di cuore, come Lui: perché, senza la mitezza, non potremmo mai essere capaci di accettare gli altri, né amarli come Lui ama noi. Abbiamo bisogno di mitezza e di umiltà se vogliamo capire i poveri, amarli e servirli”. MESSAGGI PROFONDI E IMPEGNATIVI Madre Teresa sapeva trovare, però, il tempo e l’opportunità per far ridere e sorridere. Le persone si accalcavano attorno a lei, attratte dalla sua gentilezza e semplicità, ma anche dal suo “humor”. Per tutti aveva un minuto di tempo, una parola, un sorriso. Era capace di dare conforto. Lei voleva dare a tutti solo Gesù e non poteva farlo con un volto triste e un cuore scontroso. La sua presenza aiutava ad incontrare Dio facendo loro scoprire la Sua presenza anche in mezzo alle sofferen-

ze. Per questa ragione Madre Teresa non si stancava mai di ripetere alle sue Suore, ma anche negli incontri pubblici: “Noi non siamo assistenti sociali! Siamo contemplative nel cuore del mondo. Siamo ventiquattro ore al giorno con Gesù e desideriamo farlo conoscere perché tutti lo amino”. La fecondità del suo apostolato fu possibile al prezzo di molti anni di sacrificio. I suoi lunghi viaggi, le camminate quotidiane nei bassifondi, nella polvere e nella sporcizia, sono risultati un autentico passaporto per il Paradiso; stanca, affamata, assetata non tralasciava di sorridere e di capire chi si trovava a vivere un problema. Senza ventilatori nemmeno nelle estati più calde, in camere e cappelle piccole, passava lunghe ore in preghiera e in adorazione. Erano ore rubate al sonno, senza mai lamentarsi; anzi, offerte al suo Signore su di un piatto d’argento decorato dal suo smagliante e magistrale sorriso. MARIA, LA MADRE DI GESÙ, ERA IL MODELLO DI MADRE TERESA Infatti, non solo Maria era stata suo modello nella preghiera e nel servizio, ma anche in ogni aspetto della vita; per tutta la vita, infatti, Madre Teresa era stata una intrepida missionaria, come lo fu la Santissima Vergine. Aveva anch’essa sentito, come Maria, la voce di Dio che la chiamava al servizio dei poveri. Lei stessa era poi diventata una voce che implorava in loro nome. Armata solamente della sua grande fede, non temeva di affrontare i Leader mondiali per difendere gli interessi dei più poveri. Scrisse a G. Busch e a Saddam Hussein. “Vi imploro in ginocchio… di non fare la guerra!… Vi prego, lasciate che la vostra mente e la vostra volontà diventino la mente e la

volontà di Dio. Voi avete il potere di portare la guerra nel mondo o di costruire la pace. Vi prego: scegliete la via della pace”.

IL PENSIERO DI TORNARE A CASA, DA DIO, LA RIEMPIVA DI GIOIA Madre Teresa accettava come un privilegio tutte le sofferenze interiori, e non solo, che Dio le dava, offrendole per realizzare il fine che la sua Congregazione si era imposto. Tuttavia non viveva con un senso di impotenza e di rassegnazione passiva; trasmetteva piuttosto la gioia di appartenere a Dio e di vivere per Lui e con Lui. Credeva fermamente che la radiosa luce di Pasqua era il frutto delle tenebre del Venerdì Santo. Durante gli ultimi giorni della sua vita, quando tutto faceva presagire che il suo transito era vicino, una sua Suora le disse: “Madre, non possiamo vivere senza di te!”. Lei rispose semplicemente: “La Madre potrà fare molto di più per voi, quando sarà in Paradiso”. Dalle sue tenebre spirituali era uscito, ed esce ancora, una luce intensa e trasfigurante che induce il Cardinale Comastri a scrivere: “Cristo viveva in lei! Era una goccia di acqua pulita e trasparente”. Lasciava parlare Dio attraverso le sue opere per ricondurre tutto a Lui. Solo Lui può, infatti, convertire i cuori. Assunta Tagliaferri

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...Una bella notizia... Nel susseguirsi di notizie “nere”, sia da parte dei giornali, sia da parte delle TV, che non fanno che aggiungere ansia su ansia, il nostro Periodico, da questo numero, offre uno spazio di “belle notizie” segnalate dagli amici lettori; belle notizie che possano far conoscere le cose “belle” che veramente esistono, che veramente offrono serenità, speranza, gioia, luce in un mondo sempre più buio, carico solo di pessimismo.

Il cammino di La nuova Rubrica si apre con una “bella notizia”: la figura di una ragazza stupenda, Giulia Gabrieli: nata a Bergamo (Parrocchia San Tommaso) il 3 marzo 1997, colpita da sarcoma, ha lasciato la terra per il cielo il 19 agosto 2011, dopo due anni di grandi sofferenze vissute in modo eroico.

i G

Lasciamo la parola ai suoi genitori, alla sua amica più intima, ad un amico di famiglia…

S

alve a tutti, raccontare o parlare dei propri figli pensiamo che sia una delle cose più stimolanti e belle che si possa chiedere a dei genitori. Si inizia col dubbio di de-

La famiglia di Giulia

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scrivere i propri figli in poche righe e ci si ritrova poi a scrivere pagine. Con Giulia questo dubbio non esiste, c’è la certezza di avere tanto da scrivere quanto basta per consumare biro su biro e non fermarsi mai. Noi genitori proviamo a raccontarvi qualcosa di Giulia, certi che non è possibile racchiudere in qualcosa di definito la sua storia, i suoi insegnamenti e tutto ciò che ci ha lasciato. Anzi c’è da subito la difficoltà di capire da dove è giusto iniziare. Noi crediamo che sia giusto par-

tire o, meglio, ripartire nel ribadire ciò che abbiamo detto in occasione del funerale di Giulia. Si, a distanza di tempo da allora, noi genitori ribadiamo con voce ancor più forte il nostro grazie al

Giulia e il fratellino Davide


un angelo

dalla terra al cielo

a i l u i Signore nostro Padre per il grande dono di Giulia. Il suo soffio di vita è stato per tutti noi una grande testimonianza di fede e, per come essa ha saputo vivere gli anni della malattia, uno spunto di riflessione e confronto anche e soprattutto per i non credenti. Descrivervi i primi dodici anni di vita di Giulia trascorsi nello scoprire, nella normale quotidianità delle cose, la bellezza della vita stessa e quindi ad apprezzarla e ad amarla è relativamente più semplice. Basta pensare a come hanno vissuto o stanno vivendo i vostri figli quella età per ritrovare più o meno ciò che è stata Giulia. Magari con in più un’insolita grinta e determinazione nel capire ciò che la

circondava, un’attenzione particolare verso il prossimo e certamente con in più un sorriso coinvolgente. Dire in modo sintetico e adeguato come e ciò che è stata tutta la vita di nostra figlia non è semplice, ma c’è una preghiera dove in ogni riga ritroviamo Giulia:

La vita è un mistero, scoprilo La vita è promessa, adempila La vita è tristezza, superala La vita è un inno, cantalo La vita è una lotta, accettala La vita è un’avventura, rischiala La vita è felicità, meritala La vita è la vita, difendila

La vita è bellezza, ammirala La vita è un’opportunità, coglila La vita è beatitudine, assaporala La vita è un sogno, fanne realtà La vita è una sfida, affrontala La vita è un dovere, compilo La vita è un gioco, giocalo La vita è preziosa, abbine cura La vita è una ricchezza, conservala La vita è amore, donala

(Madre Teresa di Calcutta, Inno alla vita, letto dal papà di Giulia ai suoi funerali)

Un grazie e un saluto a tutti e in particolare a chi, leggendo questo Inno alla vita, ricorderà Giulia. Antonio e Sara, genitori di Giulia

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Grazie Giulia!

...Una bella notizia...

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Giulia con Chiara

ome prima cosa, Giuli, ti devo ringraziare per essere stata la mia migliore amica per undici bellissimi anni, per essere cresciuta con me, fin quando da piccole ci scambiavamo le scarpe a scuola, e per essermi sempre stata vicina nei momenti più importanti della mia vita… Grazie, Giuli, per avermi fatto ridere e vivere momenti indimenticabili… come le nostre vacanze insieme. Come si può dimenticare la vacanza a Iesolo? Due ragazzine di 5^ elementare che si divertono come matte a fare tuffi in piscina, ma anche lunghissimi bagni nel mare… e poi la sera ci si truccava e si andava a divertirsi facendo shopping di tutti i tipi e, naturalmente, con il gruppetto di amici! Oppure ad Asciano, dove abbiamo trascorso tanti pomeriggi a sfidarci a briscola e quando, una sera, per la prima volta, hai proposto a me e ai miei fratelli di recitare il Rosario. Tutti questi bellissimi momenti li abbiamo vissuti insieme prima della tua malattia ma, durante la stessa, il nostro rapporto si è rafforzato e abbiamo vissuto altrettanti momenti fantastici… sicuramente molto diversi, ma non per questo di minore efficacia. Come posso dimenticare il lungo viaggio a Medjugorie, io e te che passiamo dodici lunghe ore in auto sotto una copertina a parlare… Sì, ricordi?? Abbiamo fatto ogni tipo di gioco possibile… Poi tutti insieme, le nostre famiglie e gli altri amici che erano con noi, ci siamo affidati alla Madonna. Oppure di quando sei venuta a trovarci a scuola, hai parlato a tutta la classe della tua malattia, trasformando la lezione di francese in una lezione di vita. Grazie, Giuli, per essere sempre stata sorridente e serena in ogni momento difficile e di estrema sofferenza vissuta nei tuoi due anni di malattia. A volte eri tu a consolare me e a darmi la forza per continuare a starti vicina, anche quando mi spaventavo davanti ai tuoi cambiamenti fisici. Infine, Giuli, ti devo ringraziare a nome di tutti i ragazzi che hanno avuto la fortuna di conoscerti… grazie, Giulia, per averci insegnato il valore della preghiera… che non è per niente scontato per noi giovani, anzi è molto difficile da comprendere. Grazie perché ora possiamo continuare a pregare insieme a te. La tua Chiara

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Canteremo in e H

o visto Giulia per la prima volta mentre parlava al microfono al Santuario di Stezzano (BG) un sabato di Avvento dell’anno scorso. Un impegno mi aveva trattenuto fino a tardi e pensavo che non sarei arrivato in tempo per sentire la testimonianza di questa ragazza di tredici anni di cui mi avevano parlato cari amici. Ho deciso di lasciar fare a Dio e mi sono diretto ugualmente al Santuario. Parcheggio, entro, faccio la genuflessione e... Giulia inizia a parlare! Ero arrivato in tempo. Così come sono arrivato in tempo, per un disegno di Grazia per il quale non sarò mai abbastanza riconoscente, per conoscere e condividere, nel modo in cui è stato possibile, gli ultimi mesi della vita terrena di Giulia. Dio è Buono, instancabilmente Buono, nel donarmi i tesori della sua Grazia, le Luci della Sua Gloria. Sì, posso riassumere tutto, come ho detto a tanti amici ai quali ho parlato di Giulia, con questa parola: la Gloria di Dio. Nel cammino di Giulia, nella sua forza, nella sua dedizione alla vita fino in fondo, nel suo aver capito e scelto Dio, nella sua gioia entusiasta e nella sua debolezza, nel suo consumarsi e consegnarsi sull’altare dell’amore, sofferto e grato, trascinando tutti dietro a sè e ferendo di infinita tenerezza il cuore di Dio, nella dignità luminosa con cui ha vissuto la prova fino agli ultimi giorni... in tutto questo (anche, davvero, nella sua morte) ho visto la Gloria di Dio, la Luce di Dio, l’infinita Potenza dell’Amore di Dio e la sua Bellezza, la Gioia infinita del Cielo che il mondo non conosce, la Gioia che niente e nessuno può vincere… Gioia che a Giulia appartiene ora come traguardo perchè apparteneva allora per scelta.

“... lungo la notte ho cercato l’amato del mio cuore; ho cercato... e ho trovato l’amato del mio cuore. L’ho stretto fortemente e non lo lascerò” (Cantico dei Cantici 3, 1.4)

Se la vita di Giulia è come una pagina, malattia e sofferenza sono state (insieme a tutto ciò che c’è stato nei suoi quattordici anni) delle righe ben marcate dentro le quali Giulia e Dio hanno scritto il loro canto d’Amore e si sono promessi e donati senza fine


...Una bella notizia...

terno la misericordia del Signore l’Uno all’altra. Ogni persona è fatta per amare, per “sposarsi”, per “sposare” l’amore. Solo così, dedicandosi, trova il suo compimento, la felicità. Ferita dalla malattia, Giulia non ha dimezzato la sua passione per la vita ma, con ancora più intensità, ha desiderato la pienezza della gioia. Ha scelto Gesù, gli ha ripetuto il suo sì ad ogni passo, si è lasciata conformare a Lui. Un giorno Gesù appare sfigurato, sfinito e sanguinante a Santa Faustina e le dice: “La sposa deve essere simile al Suo Sposo”. Giulia, negli ultimi mesi, dice: “Io ora so che la mia storia può finire solo in due modi: o grazie a un miracolo, con la completa guarigione, oppure incontro al Signore, che è una bellissima cosa. Sono entrambi due bei finali. L’importante è che, come dice la Beata Chiara Luce, sia fatta la volontà di Dio”. Sul retro dell’immaginetta-ricordo di Giulia, i suoi genitori hanno messo una frase che, proprio lei, ha detto nel periodo finale del suo cammino, pronunciando molto lentamente e decisamente le parole: “Fare la Volontà di Dio è vivere la Sua Parola. La Sua Parola è Amore. Fare la Sua Volontà è vivere nel suo Amore”. La sofferenza, la debolezza, l’impotenza, la finitudine e tutto ciò che per il mondo è fallimento e scandalo, l’hanno messa alla prova fino in fondo, eppure non le hanno portato via la gioia, ma l’hanno accresciuta perchè in tutto questo Giulia ha abbracciato Gesù, trovando la gioia vera. San Paolo dice: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti” (1ª Cor 1). E le parole che Dio rivolge a San Paolo valgono anche per Giulia: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2ª Cor 12, 10). Nei due anni di malattia Giulia non ha maledetto la sua situazione, ma l’ha assunta responsabilmente fino in fondo come ha fatto la Beata Chiara Luce Badano, morta nel 1990 a diciannove anni. Scrive Giulia di Chiara Luce: “Anche lei ha avuto un tumore... ha saputo vivere questa esperienza in modo così luminoso e solare, abbandonandosi alla Volontà del Signore, che per me è un grande esempio. Voglio imparare a seguirla, a

fare quello che lei è riuscita a fare. La malattia non è stato un modo per allontanarsi dal Signore, ma per avvicinarsi a Lui e al Suo grande Amore”.

“Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2, 20)

Giulia ha abbracciato la sua croce e l’ha portata con dignità. Anche tremando, anche cadendo sotto il suo peso. Si è rialzata ogni volta guardando avanti. Siamo testimoni di come Giulia ha portato la croce e di come la croce ha portato Giulia. Tra le frasi della Bibbia che pescava dal suo cofanetto per viverle durante tutta la giornata, questa si ripresentava con singolare insistenza: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11, 28-30). Giulia ha camminato. Non si è ripiegata su se stessa. Ha camminato mano nella mano con Maria e con Chiara Luce, tenendole fortissimamente. Più volte ha dato questa testimonianza… scrive: “Quando ho fatto la Cresima il don ci aveva spiegato che dobbiamo essere pronti a essere servi del Signore, a fare la Sua Volontà... questa cosa continuava a frugare nella testa: che cosa devo fare per essere la serva del Signore? Che cosa posso fare? E, di lì a due mesi, si è presentata la malattia. Io la malattia l’ho vissuta proprio come impegno da cresimanda e la sto portando avanti anche adesso. Infatti, ogni giorno le mie sofferenze e anche le mie gioie le affido tutte al Signore, perchè so che lì sono nelle mani giuste e le offro a tante persone”.

“Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24) Giulia offriva a Gesù giorno per giorno la sua sofferenza con la gioia che le veniva dal sapere che le sue sofferenze erano

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...Una bella notizia... utili agli altri. Offriva per i bambini malati, oppure per i giovani, per i sacerdoti, per i non credenti... Oppure lasciava a Gesù o Maria la scelta. “... Sai, mamma, quanto bene faccio con le mie sofferenze?”. E scriveva (... e diceva!) Giulia rivolgendosi ai giovani: “Potete farlo anche voi, ragazzi! Offrite le vostre giornate a tanti altri ragazzi che soffrono perchè non hanno la fede e hanno un grande vuoto! Dio ci dà questa grandissima forza: potete costruire grattacieli, scalare le montagne”.

“Volare alto” Giulia è dolce ed espansiva. Pura! Determinata. Sincera. Coerente. Protagonista della propria storia. Pensando a quando andrà all’incontro finale con Gesù, dice che gli chiederà di prenderla così come è:… Giulia Gabrieli! Scrive nel bollettino parrocchiale: “Sono sempre stata una ragazza normale e sognatrice, desideravo vivere un’avventura come nei film fantascientifici!”. Dice che ha capito l’importanza di vivere con tutta se stessa il momento presente, senza lasciarsi distrarre dalle ansie per il domani. Dice: “Noi non ci rendiamo conto di quanto quello che abbiamo valga veramente”. Parla con facilità. Ama conversare, dire ciò che ha in cuore. Questa è una risorsa decisiva che le ha permesso di crescere e maturare guardando in faccia, con il sorriso, gli altri e la realtà, ad ogni tappa! E’ sempre stata innamorata della vita e continua ad esserlo decisamente anche nella malattia. E’ felice di esistere. E’ coinvolgente, contagiosa. E’ cresciuta sentendosi amata e sa che l’origine di questo amore è Dio. Si sente fatta per la vita. E sa che la vita è fatta per la gioia. Per questo sa anche sdrammatizzare quando serve e sa accettare della vita anche ciò che è meno gradevole, ciò che non corrisponde a quanto prospettato, ciò che non si può cambiare. Dice che dobbiamo “volare alto”.

“Chi vorrà trattenere la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà” (Mc 8, 35)

Negli ultimi giorni, quelli in cui si affacciava consapevolmente al passaggio finale, l’ho vista amare con la tranquillità di chi è entrato nell’Amore vero, quello nel quale non si ha paura di perdere, quello nel quale si è liberi dalla paura, ci si

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protende, ci si dona, ci si abbandona senza riserve a Qualcuno di più grande. Si comportava, come dice il salmo 131, come un “bimbo svezzato, tranquillo e sereno nelle braccia di sua madre” dove niente lo turba perchè ha semplicemente e perdutamente confidenza in lei. “Quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore” (Fil 3, 7-8). L’ultima volta che sono stato a casa sua, tre giorni prima che concludesse il suo cammino terreno, stesa nel suo lettino, tra le altre cose ha voluto che si facesse la foto uno per uno con lei, abbracciati, la testa appoggiata alla sua... La mamma le faceva vedere nel display della fotocamera come era uscita la foto. Giulia osservava con attenzione e se non ne era soddisfatta voleva che si rifacesse. Con la sua ormai marcata difficoltà di pronuncia, dava suggerimenti su come perfezionare le Corone del Rosario che aveva fatto confezionare per prova ad alcuni di noi (le prime di una serie che dovrà aiutarla a portare la preghiera nel cuore di molti). Era sorprendente: tutto per lei aveva colore, perchè, là dove per il mondo ci sarebbe il grigiore della disperazione, c’era invece la Luce che lei sentiva affacciarsi dal Cielo. “Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8, 18). Quella sera abbiamo celebrato la Messa ai piedi del suo letto, anzi, sopra i suoi piedi. Quando, durante l’Offertorio il sacerdote ha invitato Giulia a mettere nel calice e sulla patena la propria vita, Giulia ha messo la sua mano sopra il calice, quasi dentro, ed è rimasta in silenzio con gli occhi chiusi per alcuni secondi. Era concentrata. In quel gesto metteva tutta se stessa.

“E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: ‘Abbà, Padre’!” (Rm 8, 15)

La preghiera è stata per Giulia, sin da bambina, un vero e sincero incontro con l’Amore di Dio. Poi... “Non c’è una parola che possa descrivere Medjugorje: posso solo dirvi che l’amore della Madonna è talmente grande, è talmente forte che esplode in preghiera, conversioni, amore verso il prossimo”. La preghiera diventa la vera malattia con la quale Giulia contagia tutti. Tutti ammalati di amore per Giulia e, per questo, di Dio. Tutti con il cuore inginocchiato a chiedere che Dio faccia la sua parte, e intanto Dio ottiene che ognuno di noi faccia la propria parte di figlio confidente e riconoscente.


...Una bella notizia... Scrive: “Ho tanti progetti da realizzare, a partire da un gruppo di preghiera per i giovani”. Vuole aiutare i giovani a trovare il tesoro vero della loro vita. Il tesoro che lei ha scoperto è così grande che non può tenerselo tutto per sè. Ha una buona notizia da dare. E non ci sono ostacoli che la possano fermare. Dice che l’amore, se c’è, è esplosivo e non puoi contenerlo. “L’Amore è il più bel sentimento, infatti: Dio è Amore!”. Neppure la difficoltà aggravata di pronuncia degli ultimi mesi le impedisce di parlare di Dio, della sua esistenza, della sua Bontà, per strappare qualcuno al freddo dell’incredulità. Dice che Dio è Onnipotente, ma nello stesso tempo è un Padre a cui dare del “tu”, un padre da abbracciare… da “stritolare...!”. ... “La mia sofferenza mi piace paragonarla a un bambino e un padre che camminano lungo una strada e a un certo punto si trovano davanti un gradino... allora il bambino porge la mano al padre... Io sono quel bambino... ma, grazie all’aiuto del Padre, della Mamma Celeste e di tutti i Beati e i Santi è possibile superare gli ostacoli... Ringrazio Dio di avermi dato la forza di lottare e andare avanti…”. Quando sto male, il pensiero che Lui è accanto a me, che mi starà sicuramente coccolando, mi fa venire un sorriso e mi aiuta a stare meglio...”. Nei momenti meno facili, di grande sofferenza fisica e interiore, questa confidenza in Dio si è fatta anche grido: ... “ma Dio dov’è? Adesso che sto malissimo, ho addosso di tutto, Dio dov’è? Lui che può alleviare tutti i dolori, perché non me li leva? Dov’è?...”. Quando poi Dio si fa sentire e le dà una consolazione, parlandole in modo chiaro attraverso un avvenimento inatteso, riconosce con entusiasmo che Dio la ama davvero tanto e ininterrottamente... ... Erano giorni in cui era molto provata, fisicamente e interiormente. A Padova, mette la mano malata (all’apparenza non diversa da una mano sana) sulla tomba di Sant’Antonio e in quel momento una signora sconosciuta mette la mano sulla mano di Giulia... “Non mi ha detto niente, ma aveva un’espressione sul volto come se mi volesse comunicare: ‘forza,

vai avanti, ce la fai, Dio è con te’. Sono entrata in lacrime, sono uscita con la gioia che Dio non mi ha mai abbandonata. Ero talmente disturbata dal dolore che non riuscivo a sentirlo vicino, ma in realtà penso che Lui mi stesse stringendo fortissimo. Quasi non ce la faceva più...”.

Eucaristia “Siate ricolmi dello Spirito, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo” (Ef 5, 20)

Negli ultimi mesi Giulia lavora con radicale convinzione e profusione di spirito alla stesura di una coroncina di Ringraziamento. La concepisce proprio nella fase più drammatica della malattia. A questo Dio di solito si chiede tanto, tutto… E’ giusto. Però... “mai che ci si limiti a dire grazie, senza chiedere nulla in cambio”. E’ tassativo: in questa preghiera non ci deve essere alcuna forma di richiesta a Dio. Ringraziamento puro. Lode pura. Per tutto ciò che Dio ha fatto. La porta a termine il giorno prima della sua partenza. Giulia, segnata dalla prova, come l’oro che si prova col fuoco, va incontro al Suo Sposo facendo dei suoi giorni un canto di lode. Giulia riceveva quasi quotidianamente la Comunione Eucaristica. E la parola Eucarestia vuol dire appunto “Rendimento di grazie”. L’ultima, ricevuta la sera del suo trapasso, mentre il Parroco intendeva spezzare la Particola per dargliene un piccolo frammento (vista l’estrema difficoltà a deglutire), l’ha voluta intera. Grazie Giulia, discepola sapiente di Gesù Crocifisso, voce chiara di Gesù Risorto, segno vivo della Gioia incontenibile del Cielo, trasparenza singolare della Bellezza di Dio Amore! Grazie Giulia, opera e gioia della Mamma Celeste e condiscepola forte dei Santi! Grazie Mamma Celeste, Madre di ogni Grazia! Grazie Signore... canteremo in Eterno la Tua Misericordia! L’amico Mario

Con questa “bella notizia” si dà l’avvio alla nuova Rubrica che, siamo certi, incontrerà il favore dei lettori e offrirà, a quanti lo desiderano, la possibilità di far conoscere “cose belle” anche se “minime”. Un grazie, fin da ora, a chi coglierà questo invito e invierà a IN ALTUM una bella notizia da pubblicare.

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Convegno Superiore di Comunità SOMASCA (LC) CASA MADRE

CONVEGNO SUPERIORE DI COMUNITÀ 23-25 settembre 2011

“Nella buona incominciata via del Signore...” (Regole 1855, XXXVI, 10)

SORELLE E MADRI PER CAMMINI DI COMUNIONE

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on il saluto affettuoso di Madre Letizia Pedretti, nostra Superiora generale, si è aperto a Somasca il Convegno formativo per le Superiore di comunità della nostra Famiglia religiosa in Italia. Lo scopo era quello di vivere insieme una “tre giorni” di riflessione e di dialogo sulla missione delle Superiore a cui è affidato il servizio di guida delle comunità.

LA PAROLA DI DIO è stata la base che ha dato significato e spessore a queste giornate. Il relatore Don Lorenzo Flori ci ha guidato nella riflessione biblica del passo “... Lui solo lo ha guidato” (Dt. 32, 12), evidenziando l’azione educativa di Dio verso il suo popolo, attraverso gli atteggiamenti che un padre ha nei confronti di un figlio: presenza, attenzione costante, tenerezza, pazienza e soprattutto saggezza nell’indicare la strada da percorrere per orientare ogni sforzo nella crescita verso il bene vero, quello che aiuta prima di tutto, a fare unità dentro di noi. Questo è l’elemento più importante per l’uomo di oggi, che si lascia facilmente disperdere e frantumare da un’infinità di cose: in questo modo egli si trova lontano da Dio, che è unità per eccellenza. Il rischio, quindi, è quello di fare scelte che portano, non solo i cristiani, ma anche i consacrati, a crearsi degli idoli, a rincorrerli e ad aggrapparsi ad essi come fossero la salvezza. Ne deriva, pertanto, una fede “idolatrica”, anche se si fa professione di una vita donata al Signore in una Famiglia religiosa. Il biblista ci ha fatto comprendere questo concetto

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mettendo in evidenza il versetto, “lo guidò da solo”. Ha introdotto il tema della solitudine del cristiano che è bella e buona, se motivata da una scelta: essa, allora, fa piena la vita. Buona e bella è la solitudine che diventa benessere anche fisico, se in essa si cerca “Lui solo”. Infatti è il tempo privilegiato dell’incontro personale con Dio, del dialogo a tu per tu con Lui; è il tempo dell’amore intimo e ardente di chi si affida totalmente a Dio solo e da Lui si lascia guidare comprendendo che Lui soltanto è l’oggetto più prezioso da amare. Da tutto questo deriva una nuova realtà esistenziale: l’unità del nostro essere, quell’unità di vita sperimentata da Gesù nella sua vita terrena, nella sua realtà di uomo, unità che fa di noi persone simili a Lui UNO ed UNICO!

Don Lorenzo Flori


Convegno Superiore di Comunità Il sogno di ogni educatore, allora, è quello di operare unità in se stesso e nelle persone che gli sono affidate. Quando lasciamo che Dio ci guidi, Egli fa di noi persone che realizzano l’unità. Egli ci chiede di diventare unici e opera in noi questa realtà meravigliosa attraverso la sua azione educativa quotidiana, nel pieno rispetto e discrezione. Per noi, Orsoline di Somasca, questa realtà educativa è esplicitata con forza e chiarezza nella nostra Regola di Vita, dove viene indicato: “mettano in Lui solo il loro amore”. Soltanto qui sta il segreto della nostra vera realizzazione personale di donne e consacrate. Nella seconda relazione Suor Maria Saccomandi, Vicaria generale dell’Istituto, ha proposto alla nostra riflessione il passo di Gv. 14, 5-6 “Come possiamo conoscere la via... Io sono la Via, la Verità e la Vita”. L’icona della strada ha fatto da sfondo al suo intervento, introducendosi con il quesito: come muoversi rispetto ai tempi di oggi?

...in attento ascolto...

Gli Orientamenti pastorali della CEI per il decennio 2010-2020 al n. 7 si esprimono così: “Il mondo che cambia provoca la fede e la responsabilità dei credenti. E’ lo stesso Signore Gesù che ci domanda di valutare il tempo, di interpretare ciò che avviene in profondità nel mondo di oggi, di cogliere le domande e i desideri dell’uomo”. Noi Religiose dobbiamo sentirci interpellate da tutta questa realtà così complessa. Infatti al n. 9, poi, sono ben delineati tutti gli aspetti problematici della cultura contemporanea: l’eclissi del senso di Dio, l’offuscarsi della dimensione dell’interiorità, la difficoltà del dialogo tra le generazioni, la separazione tra intelligenza ed affettuosità. Noi siamo chiamate, allora, a fare discernimento su tutti questi aspetti: disorientamento, ripiegamento di sé, desiderio di possesso e di consumo, ansia e paura, ricerca del sesso slegato dall’affettività, incapacità di sperare, il diffondersi della depressione anche tra i più giovani... La Vita Consacrata, vissuta fedelmente nella sequela di Cristo, può

e deve dare delle risposte a questi problemi. Esse si possono riassumere nella proclamazione di valori più grandi quali: l’incontro reale con l’altro, la fratellanza, la testimonianza della sequela radicale di Gesù, come ha ripetuto il Papa alla GMG di Madrid nell’incontro con le Religiose. E, per noi Orsoline, la radicalità evangelica è stata espressa dalla nostra Beata Fondatrice Caterina Cittadini nelle Regole del 1855 “Si ricordino le sorelle di non ritirarsi, rilasciarsi, raffreddarsi, stancarsi mai nella buona incominciata via del Signore...”. Quello della nostra Fondatrice è un forte appello alla qualità e a uno stile di vita evangelico, perché l’ardore della carità sia rinnovato ogni giorno con slancio del dono a Lui Solo in un costante cammino di santità “feriale”. E’ necessario, allora, tornare alla centralità della nostra vita per darle il significato pieno che le ha dato Gesù e, anche se la Vita Consacrata oggi va verso la precarietà, “è chiamata a intuire l’orizzonte dove sorgerà il sole in un mondo in cui sembra che la luce si spenga” (Bruno Secondin). L’ascolto della Parola di Dio, la gratuità, le relazioni autentiche e la comunione sono gli spiragli concreti che fanno intravedere il significato della sua esistenza all’uomo di oggi. Caterina Cittadini ci ricorda: “In Lui solo mettano il loro amore”, “La vera sposa cerca di conformarsi in tutto allo Sposo” (Regole 1855). E Gesù ci fa intravedere la strada sicura “Chi vede me vede anche il Padre” . E’ il cammino di

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Convegno Superiore di Comunità configurazione a Cristo, è l’incontro di volti, di eventi... Noi Consacrate siamo chiamate a percepire il “germogliare” della grazia di Dio e delle sue opere nelle strade della storia, attraverso l’integrità della nostra vita che non è chiusura nel proprio io, ma apertura a concepire e a generare vita, a intravedere la bellezza in tutti i suoi aspetti, a risvegliare la nostalgia di Dio con la forza della nostra semplice, ma convinta testimonianza di donne che vivono gioiosamente i valori del Vangelo. Madre Letizia, infine, ha sottolineato il senso profondo del nostro servizio alle Sorelle delle nostre comunità. Ha sottoposto alla nostra attenzione il passo di Lc. 22, 27 “Sto in mezzo a voi come colui che serve…”. Da qui la domanda “Che cosa chiediamo o vogliamo dalla Parola?”. La Parola illumina, forma il nostro sentire al cuore di Cristo e ci permette di trovare le risposte per svolgere il servizio che ci è stato affidato: nostro primo impegno verso le Consorelle è quello di aiutarle a riconoscere Cristo attraverso la Parola che ascoltiamo quotidianamente. Il Direttorio ci presenta, nei diversi momenti dell’anno, i tempi attraverso i quali ci è dato di cambiare il nostro cuore con l’incontro personale di Gesù nella sua Parola che ci rivela pienamente il volto di Cristo. La Parola ci rivela l’identità del Dio Trinità, la sua “casa”, il suo volto, la sua voce; ci rivela tutta la sua persona nella sua pienezza di uomo e Dio. Noi siamo sue serve... e, come tali, siamo segno visibile del Cristo servo, nonostante la nostra fragilità di creature, come San Pietro: è un’autorità posta nella debolezza, ma, quando incontra il volto di Gesù, è segno di unità e di fedeltà, di fede forte che conferma i suoi fratelli. Anche nell’Ultima Cena, mentre Gesù dona se stesso (Lc. 22, 27), la debolezza dei suoi discepoli attraversa il momento culminante della sua vita “Sorse una discussione tra loro per sapere chi fosse il più grande...” e Gesù con pazienza amorevole e tenace proclama “Io sono tra voi come colui che serve... uno di voi mi tradirà... uno di voi mi rinnegherà”. E, prima della Cena, Gesù dà ai suoi una lezione di servizio davvero memorabile: “Depone le sue vesti,

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lava i piedi ai suoi, poi riprende le vesti”. Ai nn. 4 e 14 della nostra Regola di Vita si legge che anche noi che abbiamo il compito di guida nella comunità, dobbiamo conformarci a Cristo per essere capaci di essere serve. Essere a servizio come pescatori... per liberare da tanti grovigli, essere pastori... per conoscere ciascuna Sorella per nome, essere saggi amministratori... per conoscere i talenti di ciascuno, perché la nostra comunità è immagine della comunità di Gesù, è la vocazione alla quale dobbiamo dare tutta la nostra attenzione e risposta ai bisogni delle Sorelle nelle situazioni più diverse. Madre Letizia ha presentato, infine, la necessità di vivere e testimoniare nelle nostre comunità la povertà, non soltanto in spirito, ma anche materiale. Ha citato espressamente la Regola di Vita nel passo in cui si legge “Viviamo uno stile di vita semplice e sobrio” sapendo che gran parte dell’umanità soffre e muore per la mancanza del necessario; anche da noi in Italia, in questo particolare momento di crisi economica, molte famiglie sono molto provate: la mancanza di lavoro, infatti, toglie la prospettiva di una vita serena e dignitosa. A conclusione di questo importante Convegno, la Santa Messa ha confermato ancora il messaggio presentato da Madre Letizia e da Suor Maria negli incontri: configurarsi a Cristo, fare la sua volontà e ricercarla costantemente con le Sorelle nella comunità in cui il Signore ci ha posto, ma sempre alla luce della Parola di Vita. Madre Letizia ha poi consegnato ad ogni partecipante una bella “candela colorata a tre fuochi” da portare nella comunità di appartenenza, a significare che il Dio Trinità deve essere per tutte noi, con la Parola “quotidiana”, luce di unità nel cammino apostolico che ci attende nei luoghi della nostra missione educativa. Un grazie sincero e affettuoso alla Madre e al suo Consiglio da parte di tutte le partecipanti per averci offerto l’opportunità di vivere in spirito di fraterna condivisione questo tempo di preghiera, di dialogo e di riflessione presso la Tomba della nostra Beata: è sempre un forte stimolo a proseguire nella “incominciata via del Signore” con rinnovata fiducia e speranza nell’aiuto di Colui che tutto può, nonostante i nostri limiti. Suor Eraldina Cacciarru


Convegno Superiore di Comunità

Il “Gruppo d’oro”

CINQUANTESIMO DI VITA RELIGIOSA 24 settembre

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el cuore delle tre giornate di Convegno delle Superiore, si è celebrata anche la Festa del 50° di Vita Religiosa di un gruppo di Sorelle. Tra le festeggiate c’era anche la nostra Madre generale, Suor Letizia Pedretti, pertanto la festa ha assunto per noi una connotazione particolare: essere oggi accanto a lei, guida della nostra Famiglia religiosa, è stato motivo di grande gioia e di riconoscenza per il dono del suo amorevole servizio. E’ stato molto bello lodare, cantare il Magnificat con lei e ringraziare così il Signore d’avercela data come Madre. Anche il cortile di Casa Madre era in festa, vestito da striscioni colorati appesi alle vetrate della casa; erano scritti a caratteri cubitali, i nomi dei luoghi della nostra missione educativa: Italia, Bolivia, Brasile, India, Filippine, Indonesia. I colori del cielo erano una cornice ideale per questa straordinaria occasione: l’azzurro splendido e il tiepido sole hanno permesso al gruppo delle festeggiate un’aperta accoglienza alle Suore, ai parenti e amici nel grande cortile: la gioia esplosiva di voci e saluti, di sorrisi e abbracci, sono stati i segni inconfondibili di una festa che si sprigionava in ogni angolo della casa con naturale entusiasmo.

Il momento della Concelebrazione eucaristica è stato quello che ha fatto percepire il significato profondo di questa giornata davvero speciale per tutte noi Orsoline. Il Preposito generale dei Padri Somaschi, Padre Franco Moscone, ha presieduto la Celebrazione condividendo la nostra gioia con tanti altri Sacerdoti concelebranti, innalzando insieme la preghiera di lode al Signore per i cin-

Rinnovazione corale dei Voti

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quant’anni anni vissuti da queste Sorelle nella fedeltà allo Sposo Amabilissimo. Nell’omelia ha presentato il grande dono della Vita Consacrata per la Chiesa e per il mondo intero, sottolineando con vigore la necessaria testimonianza dei religiosi nella professione pubblica dei Voti di castità, povertà e obbedienza. Ha usato, a questo scopo, un’espressione molto suggestiva ed efficace: i Voti religiosi devono essere come gli evidenziatori, che servono a manifestare la nostra specifica identità: essere donne di Dio, donne che gli appartengono. I Voti devono essere chiaramente dei segni concreti che dicono chi siamo e per chi viviamo. Inoltre, ha voluto sottolineare anche l’aspetto della maternità educativa che caratterizza la nostra spiritualità. Per questo ha fatto riferimento al Messaggio che il Santo Padre, Benedetto XVI, ha inviato in occasione del Giubileo somasco “HAI SPEZZATO LE MIE CATENE”. Infatti i Religiosi Somaschi, quest’anno, ricordano i 500 anni della liberazione dalla prigionia di San Girolamo, loro Fondatore, liberazione operata dalla Madonna alla quale egli si era rivolto con fede dopo un sincero voto di cambiare condotta di vita. Nel messaggio, il Papa mette in luce una caratteristica del Santo, quella dell’ “amore verso la gioventù, soprattutto quella più disagiata, che non può essere lasciata sola, ma per crescere sana ha bisogno di un requisito essenziale: l’amore. In lui - scrive ancora il Papa - l’amore superava l’ingegno e poiché era un amore che scaturiva dalla stessa carità di Dio, era pieno di pazienza e di comprensione: attento, tenero e pronto al sacrificio come quello di una madre”. In questa citazione Padre Franco ha fatto il parallelismo con il Carisma educativo delle nostre Fondatrici: nei Santi

di questa piccola parte di terra, quale è Somasca, sono stati l’amore e la carità vissuta con viscere di madre, a generare nuova vita nella gioventù abbandonata e orfana, a perpetuare fino ad oggi i prodigi di grazia per gli uomini e le donne, come hanno fatto San Girolamo e le sorelle Cittadini, che hanno voluto seguire i loro esempi, amando “con cuore di madre”.

Padre Moscone con le “cinquantenni”

Consegna dei due manoscritti

Un momento molto toccante, al termine della Celebrazione eucaristica, è stato anche quello della consegna a Madre Letizia (in prestito per quest’anno), di due manoscritti autentici della nostra Beata Caterina con la firma anche di Giuditta. Custoditi fino ad oggi nell’Archivio storico della Congregazione dei Padri Somaschi, sono per noi un segno della benedizione di Dio, proprio nel 10° anniversario della Beatificazione di Madre Caterina. Essi riguardano una sua duplice richiesta fatta ai Padri Somaschi: quella di collegare e prelevare l’acqua della loro sorgente e quella di sistemare, nella Chiesa parrocchiale, alcune panche perché le orfane e le ragazze del Collegio potessero seguire meglio le Celebrazioni. Questo gesto è stato accompagnato da un caloroso applauso. Padre Franco ha indicato come le richieste, contenute nei manoscritti, fossero “feriali”, ma indicative di due esigenze vitali: l’acqua e la preghiera. L’acqua è il segno di grazia che ci fa Figli di Dio e le panche sono il mezzo per chiedere, nella preghiera, la linfa vitale per vivere di Lui. La Messa, animata dal coro del Duomo di Bergamo, magistralmente diretto dal maestro Mario Valsecchi, è stata resa speciale dalla rinnovazione dei Voti in forma collettiva delle Sorelle del 50°, seguita dal canto del Magnificat e dalla significativa processione offertoriale. Si è conclusa con il


Ecco, faccio una cosa nuova; proprio ora germoglia; non ve ne accorgete? (Is 43,19)

N

ella lode a Dio, fedele e provvidente, che ci ha custodito e sostenuto in questi 50 anni di vita religiosa, il grazie a tutti e a ciascuno per il bene regalatoci, per il dono della presenza e della preghiera. Il Signore continui a far germogliare in ogni cuore l’eterna novità del Suo amore.

Con fraterna riconoscenza

e Grazi

! Somasca 24 settembre 2011

grazie di Madre Letizia per i celebranti e per tutti i partecipanti alla Celebrazione e dalla solenne benedizione. Nella cornice del bel parco di Casa madre, le festeggiate hanno potuto abbracciare parenti e amici e gustare un aperitivo. Il pranzo, infine, è stato il degno coronamento di questa giornata speciale che, non soltanto ha avuto nel taglio della torta una bella sorpresa, ma anche quello di un ulteriore dono di Padre Franco per la Madre e la Congregazione: una formella in bronzo raffigurante San Girolamo, coniata per la speciale celebrazione del Giubileo somasco. A Madre Letizia, in occasione del suo 50°, sono stati donati alcuni “segni” particolari di affetto e riconoscenza: un cofanetto che raccoglieva in tre fascicoli gli auguri personali scritti da ciascuna Suora dell’Istituto; l’arredo sacro dell’altare per la Cappella di Casa Generalizia, il supporto per la lampada del Santissimo Sacramento e un completo di calice, pisside e patena, in ceramica sarda con disegni simbolici legati alla sacralità antica della Sardegna, destinati a Casa Madre. La gioia di questa giornata, davvero straordinaria, è stata suggellata dal dono dell’unità, segno visibile di quel dono che, nel Carisma educativo, ci fa tutte Spose di un unico Sposo, Gesù Cristo: a Lui il nostro più vivo grazie per averci scelte, per averci rese Sorelle di questa piccola Famiglia religiosa, ma grazie soprattutto perché ci fa sentire il Suo amore speciale: esperienza che non trova adeguate parole per essere espresso. Suor Eraldina Cacciarru

Convegno Superiore di Comunità

“Cinquant’anni d’oro…” UNA MINIERA DI DONI PREZIOSI RICEVUTI E DONATI NELLO SCORRERE DEL TEMPO DI QUESTI LUNGHI ANNI CHE HANNO SEGNATO LA NOSTRA VITA Oggi, 24 settembre 2011, è festa per la nostra Famiglia religiosa. Il Signore che compie ogni giorno, nella nostra vita, i miracoli del Suo amore, ci offre l’occasione di manifestare a Dio la nostra gratitudine per il significativo traguardo di 50 anni di Vita religiosa di un gruppo di dieci Sorelle, tra cui Madre Letizia, Superiora generale, Suor Domitilla, impegnata nella missione in Bolivia e Suor Pieranna già nella “Casa del Padre”,. Per tutte solo una parola: Grazie! Per ciascuna di noi c’è una storia che non si può raccontare, né scrivere: la conosce solo “Colui che scruta il cuore dell’uomo”, sono le righe dritte, scritte tra le righe storte di noi peccatori - educatori nei vari luoghi del mondo. Una cosa ci consola. I bilanci di Dio sono sempre positivi… frutto del suo amore misericordioso. Per questo sgorga spontaneo dal nostro cuore: “Grazie, Signore. Tutto è dono tuo!”. Nel nostro cuore c’è sicuramente il vivo ricordo di quando abbiamo risposto “SI”, prima di intraprendere il cammino. Allora, non c’era in noi presunzione, ma solo la fiducia di non essere mai sole, la volontà di fare un umile servizio, la risposta affettiva e piena di stupore per essere state chiamate al dono totale di noi stesse. La nostra lode va al Signore, quale segno di gratitudine, per i germogli di bene seminati lungo il nostro cammino di Vita religiosa in questo 50° anno di viaggio con Lui. CINQUANT’ANNI DI VITA RELIGIOSA: GIOIA, STUPORE, GRAZIE! Si fa memoria del cinquantesimo non per sottolineare una data qualsiasi della propria vita, ma proprio quella di consacrazione alla chiamata alla Vita religiosa. E’ come un dono da riscoprire: si immerge lo sguardo nel vissuto, quello del cuore che sa percepire la lunghezza e ci si sofferma, si comprende l’importanza della memoria e, come d’incanto, ogni aspetto diventa un evento, si ricompone a dare ragione e bellezza ai percorsi “del prima” e

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Convegno Superiore di Comunità “del dopo” restituendo la chiarezza di ciò che Dio disegnava e che, solo con Lui, abbiamo potuto vivere, superare, accogliere, amare, continuare il cammino con serenità. Ogni volta, il miracolo dell’Amore, perché Lui c’era e possiamo solo dire “Grazie”. Allora, all’inizio, il movimento autentico vitale dello stare insieme ci chiamava a passare dalla presenza del dono della vita attraverso la difficile arte del riconoscere l’altro, dell’assumerci delle responsabilità nei suoi confronti, dell’accendersi della fraternità e del viverla esercitandoci all’amore. Ma questa dinamica comportava un prezzo da pagare: si entrava liberamente a far parte di una comunità e ci si accorgeva che essa era luogo dell’epifania, della povertà, della debolezza, anche del male che abita in ciascuno. A lungo andare, vivere una accanto all’altra e tenendo conto della Sorella ci aiutava a riconoscere tutto ciò che era in noi e ciò che ci abitava e ci limitava… Davvero la bontà, la bellezza, la felicità, richiedevano una lunga pazienza e una fiducia nell’altra, sempre da rinnovare a costo di sperare contro ogni speranza. In preparazione alla grande ricorrenza del Cinquantesimo, abbiamo vissuto insieme, “Gruppo d’oro”, un meraviglioso pellegrinaggio carico di emozioni e di preghiera: a Fatima e a Santiago de Compostela. Giovedì 15 settembre u.s. il volo decolla, si stacca da Malpensa, aeroporto della bella Italia, per atterrare nella luminosa Lisbona, capitale del Portogallo. Un giorno lavorativo per tutti, grandi e piccini, ma molto particolare per noi: un incontro fraterno delle “Suore d’oro”, accompagnate dalla sim-

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patica autorevolezza di Padre Gianantonio, Monfortano, e dalla bravura di Annabella, guida del Portogallo. Possiamo dire che la settimana trascorsa insieme è stata molto piacevole e i luoghi visitati incantevoli. Grande la serenità che ho letto sul volto dei pellegrini che arrivavano a piedi alla pace e alla tranquillità di Fatima, quando nella Cappella delle

apparizioni, è stata celebrata la Santa Messa dal Vescovo del Salvador,così alla mano e... umano. Il Rosario, con la fiaccolata della sera, ha rinnovato nel nostro cuore una sensazione di ben-essere. A farla da padrona in quell’aria silenziosa e raccolta era proprio la “Preghiera”. Di certo il pellegrinaggio a “Fatima” e a “Compostela” ci ha sollecitato a comporre il tutto nella grande do-

Lisbona, Castello di Belem

manda di perdono, nella Misericordia infinita di Dio che, quando perdona, cancella i nostri peccati, li dimentica e li seppellisce. Per lui non c’è un tempo del nostro stare in ginocchio, non ci sono momenti d’amore e momenti punitivi: Lui ama proprio mentre siamo deboli. “Lui sa”, ama e basta! Dopo questa lunga convivenza, proviamo un’emozione così vera, così grande da respirare l’infinito; non sono parole, è silenzio intorno a noi e, nel cuore, lo ascoltiamo e ripetiamo “Grazie”. La Sua fedeltà commuove nel profondo, l’unica vera costante entra dove il cuore si perde: 50 anni, Lui ci ha reso fedeli perché ci ha amate e continuamente ricreate col suo amore infinito. L’occasione di celebrare il Cinquantesimo non finisce, non ha lo stesso effetto di tanti compleanni. Ora non è più una frase presa in prestito questa “Io so a chi ho dato la vita” perché anche Lui ci conferma, sa che a noi, unicamente, ha dato la sua. Una del “Gruppo d’oro”

Braga, Santuario di Sameiro


Sant o Nat ale

(Protov. Giacomo, 21, 2)

‘‘

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Abbiamo visto una stella grandissima che splendeva tra queste stelle e le oscurava, tanto che le stelle non apparivano più. Così noi abbiamo conosciuto che era nato un re.


Il pr

“Vi è nato il Salvatore”

È

un annuncio ben strano quello che, nella notte d’Oriente di oltre due millenni fa, un Angelo ha dato al mondo per un neonato posto nella mangiatoia di una stalla: è un neonato povero, di una povertà agli estremi, “avvolto in poche fasce” (Lc. 2, 12) con accanto una Mamma giovanissima in adorazione di quel Figlio che, quando le era stato annunciato nove mesi prima, l’aveva a dir poco sconcertata.

“Non conosco uomo” (Lc. 1, 34), aveva risposto allo strano messaggero dell’Eterno. Eppure, non solo aveva accettato la maternità, ma da subito aveva amato questo Figlio, giunto da chissà dove, che si era intromesso nella sua vita di Vergine e che bastava allungasse le mani per stringerselo al cuore. E’ un mistero struggente quello del Natale, un mistero che ha avvinto Francesco d’Assisi nel XII secolo nella realizzazione di un “Presepe vivente” e che il popolo cristiano ha sempe poi cercato di far rivivere, nella sua forma evangelica e liturgica, nella rappresentazione dei Presepi. Il Presepio è un modo di “rivisitazione” staccato dai sentimentalismi ed ancora più distante della faccia profana di un Natale fatto di lustrini, regali, bombolette spray, di finta neve, di abeti luccicanti, di Babbi Natale che offrono cioccolatini e pompons di velluto. E’ totalmente estraneo a quella frangia di persone che rigettano tutto ciò che hanno ereditato dal passato e che ritengono di essere “nuove” perché considerano il Natale una festa come tutte le altre, la festa della tredicesima; persone che non sanno capire, o preferiscono non capire, il miracolo dei secoli, di un Dio che ha scelto di farsi Bambino per entrare nella storia dell’Uomo e con l’uomo condividere tutto fuorchè il peccato. Gli artisti, forse, ma l’Artista è già di per sé un raggio del Divino… Per entrare almeno un po’ nella rivisitazione del Presepe, basterebbe recarsi in Spagna a la


resepio Feria del Belem di Barcellona che è davanti alla Cattedrale e che sta lungo i viali del Parco, con alle spalle il grandioso tempio de la Sagrada Familia. Ogni anno, dal 13 al 24 dicembre, vi accorrono non solo i cristiani del luogo, ma anche i forestieri di varie regioni d’Europa e rappresentanti americani. Sono i siti dove artigiani “presepistici” pongono in vendita statue di legno, in

creta dipinta, in ferro, minipresepi in cassette, in gusci di noce, in conchiglie con Madonne e Gesù Bambini arabescati e incisi con tale minuzia che, per riconoscerne i particolari, devi usare la lente d’ingrandimento. A dirtene era, fino a poco più di un decennio fa, don Giacomo Piazzoli (Monsignor Presepio, lo chiamava la gente). Presidente dell’Associazione del Presepio

per l’Alta Italia e fondatore del Museo presepistico permanente di Brembo di Dalmine, ha curato una raccolta affascinante di presepi di tutto il mondo dove, non senza emozione, vi cogli, oltre allo spirito religioso dei vari popoli e paesi: cultura, folklore, estro creativo… Quando ti soffermi al Presepio bergamasco, trovi la tradizionale grotta illuminata, il fuoco che sembra vivo, il ruscello con il ponte. A sfondo, ecco la cascina della nostra Bassa, le nostre abetaie, la roccia delle Prealpi e, alta sulle Mura, la nostra Bergamo antica. Del resto, a Bergamo vi fu per due secoli un attivo artigianato di statuaria sacra che, per alcuni mesi all’anno, era impegnata a “creare” solamente statue del Presepio con personaggi vestiti con costumi lombardi del ‘700/’800. Caratteristiche erano le figure dell’uomo con la polenta, del caldarrostaio, dell’uomo con la carretta piena di mele, dell’arrotino, del calzolaio.


Nelle nostre chiese cittadine, ancora cinquanta/sessant’anni fa, era una “gara” quella del più bel Presepio, dove i bambini (ma anche genitori, nonni e innamorati) stavano un poco curiosi e un poco commossi a guardare, commentare, sognare e pregare. Altro che la sosta alle bancarelle d’oggi, tra la gente che schiamazza, compra, contratta e dove, non dico la nostra corposa parlata bergamasca, ma neppure trova più spazio la lingua nazionale… Allora, nella Chiesa di San Bartolomeo era immancabile incantarsi alla visione di Angeli sospesi nel cielo buio trapuntato di stelle lumino-

se! Che “andare e vieni” gioioso dopo la Messa, anche se poi era quasi di pragmatica la sosta al Balzer dove, ovviamente, l’argomento di conversazione era una qualche novità presepistica. E come non nominare almeno il Presepio che era all’Oratorio di Santa Maria delle Grazie, quello della Chiesa di Via Broseta o di Via Sudorno, quello dei Cappuccini… ma che sto a fare nomi se il Presepio era il “signore” della città, a cominciare da quello appena fuori dai Portici del Sentierone, allestito per iniziativa de “L’Eco di Bergamo”. Come ci teneva Mons. Spada! Ma anche ogni casa aveva il “suo” Presepe e, dove lo spazio era ridotto al minimo, bastava spostare l’armoire. Immancabile il muschio fresco, raccolto dai ragazzi sull’orlo dei prati delle Mura. Certo che in mezzo al consumismo d’oggi, vivo nonostante la crisi internazionale, i Natali dei ragazzi di un ieri non tanto lontano, col loro Presepio, magari ritagliato nel cartone, erano molto “più Natali” di gioia, con la voglia di essere più buoni e più a portata di mano.

Buon Nat ale

A tutti:

Elisa Faga Plebani


Voci di casa nostra

“In collaborazione con gli organismi diocesani e le associazioni umanitarie, promuoviamo percorsi formativi ed esperienze di volontariato che aiutino i laici, soprattutto i giovani, ad orientare cristianamente la loro vita nella dedizione ai poveri e ai bisognosi per l’avvento di un mondo di giustizia e di pace”. (Direttorio, n. 83)

BERGAMO ISTITUTO SCOLASTICO “CATERINA CITTADINI-MARIA REGINA” SCUOLA DELL’INFANZIA “CATERINA CITTADINI”

UNA BELLISSIMA GIORNATA IN FATTORIA La Scuola dell’Infanzia “Caterina Cittadini” si è data quest’anno un particolare obiettivo: UN GOMITOLO DI AVVENTURE CON IL TOPO LINO “Le cose di ogni giorno raccontano segreti a chi le sa guardare ed ascoltare” (Gianni Rodari) Osservare, ascoltare, annusare, toccare, gustare… per scoprire ciò che la natura dice e dona a ciascuno di noi.

In attuazione di tale obiettivo, si è vissuta anche una bellissima visita ad una fattoria... La sveglia suona presto stamattina: è sabato 1° ottobre, un sabato speciale… “Sveglia bambini! Ci siamo! Oggi si va alla fattoria con la scuola!!”. L’inizio non è dei migliori: i bambini, si sa, non conoscono fretta… e l’arrivo in fattoria è rocambolesco…, ma non ci perdiamo d’animo e, tra i soliti pianti e capricci, ecco finalmente davanti a noi la fattoria!! I bambini sono elettrizzati: “siamo arrivati!!!”. Il sole ci saluta già alto nel cielo e ci preannuncia una bellissima e calda giornata di inizio autunno.

...Ci incamminiamo sul percorso guidato...

Alice cerca subito le sue amichette, noi sistemiamo in un batter d’occhio il pranzo al sacco, e… via!!!: tutti alla scoperta di questo luogo incantato! Una guida molto speciale, con tanto di megafono ed in serbo una storia per ogni occasione, ci accompagna lungo il percorso. La prima tappa del nostro viaggio alla scoperta della natura è un labirinto magico: siepi ad altezza bimbo e indovinelli sugli alberi, sulle foglie, sui fiori; i semi sono posti ad ogni bivio. Ci dividiamo in due squadre miste di genitori e bimbi, per giocare tutti insieme a rispondere agli indovinelli e… i bambini sono preparatissimi!!! In pochi minuti ci guidano verso l’uscita di questo intricato labirinto! Si decreta la squadra vincitrice, che non è la nostra, ma poco importa: la visita continua! Ci incamminiamo nuovamente sul percorso guidato: i bambini saltano e corrono e… sorpresa: davanti a noi c’è un ponticello in pietra!!! … ma … cosa ci fa un ponticello in fattoria? Ben presto ec-

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Voci di casa nostra co la risposta: ci imbattiamo in uno spettacolo inatteso, un bellissimo laghetto artificiale con ochette e anatre che sguazzano indisturbate, accompagnate da qualche pesciolino che ci saluta allegramente saltellando a fior d’acqua! I bambini sono curiosissimi: “In braccio, in braccio, mamma!!”… “Guarda mamma, c’è anche una casetta in mezzo al lago!”. E’ la casetta delle anatre che, come per salutarci, ci sfilano davanti impettite con il loro piumaggio marroncino e i piccolini al seguito: tutti in fila e impettiti anche loro!!... … l’occhio di tutti viene, poi, catturato da una famigliola di oche che passeggia lentamente davanti a noi, godendosi questo caldo sole d’ottobre. La pace e la tranquillità di questo posto ci rapiscono. Siamo qui da poco meno di un’ora, ma la natura ci avvolge e ci cattura ren-

...riempiono di erbetta fresca

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dendoci, per un giorno, privilegiati spettatori di equilibri antichi. La città con il suo chiasso, il caos, la fretta e l’orologio che corre, è lontana mille chilometri… Il giro prosegue e la guida ci mostra, tra lo stupore e l’incanto dei bambini, la casa sull’albero di un folletto piccolino e misterioso, posta a ridosso di un piccolo ruscello. Il folletto di giorno non si fa vedere, ma di notte è tutto indaffarato a sistemare la sua casetta, “sshhh!!!, chissà dov’è?… non bisogna disturbarlo!”, dice la guida. Più tardi torneremo qui ad esplorare la casa sull’albero: un sali e scendi continuo dalla scaletta ripidissima che collega la casetta al vialetto in riva al lago. Il folletto, che da lassù vigila sulla fattoria e sugli animali che la abitano, probabilmente sale la scala saltellando, portando su e giù le sue provviste. I bimbi con entusiasmo la scalano rapidamente in cerca di questo piccolo e magico abitante della natura. Lasciata alle nostre spalle la casetta, ecco davanti a noi gli animali della fattoria: caprette, conigli, asinelli, cavalli, pecore e galline docili e pazienti gradiscono la nostra presenza, anche perché i nostri bambini riempiono le mangiatoie e i cortili di erbetta fresca!! Alcuni bambini esplorano tutto, ma… manca qualcosa…: cercano le mucche, proprio le mucche che non ci sono!! “Forse sono andate via con i fattori…” si rispondono da soli, mentre altri riempiono la mangiatoia degli asinelli di erba e paglia. Gli animali sembrano gradire molto e i bimbi sono felicissimi: corrono avanti e indietro dal prato con manciate di erba fresca e verdissima in mano, pronti ad imboccare letteralmente gli asinelli, fino ad ora forse conosciuti solo nella favola di Santa Lucia… ai bimbi non sembra vero di poterli accarezzare ed imboccare liberamente! E gli animali, poi,

con i bambini sembrano avere un feeling speciale… Dopo una breve pausa-pranzo, dove ognuno ha consumato il proprio pranzetto al sacco, i bambini si cimentano con le maestre nella preparazione di buonissimi biscotti… È strepitoso vederli all’opera: con quanta meticolosità e impegno preparano i loro dolcetti di mille forme diverse!… un po’ di burro, latte, farina e… la magia è fatta!! Adesso è l’ora dei giochi! Palloncini a volontà, bolle di sapone, balli sfrenati cavalcando animaletti di gomma… ed una corsa sulle spalle dei papà (e dei nonni!) cercando di afferrare palloni giganti, colorati e trasparenti, che fluttuano sopra le manine dei piccoli protagonisti di questa splendida giornata! La merenda è davvero speciale: i biscotti preparati dai nostri piccoli ‘pasticceri in erba’ sono deliziosi. Qualche ultima chiacchiera tra i genitori e la gita volge al termine. Ora che il sipario di questo magnifico spettacolo si sta abbassando, mentre riordiniamo le nostre cose, lasciamo giocare ancora un po’ i bambini in questo spicchio incantato di natura: lanciano piccole foglie nel ruscello che, mi fanno notare, corre veloce, e fantasticano con i racconti dei folletti… Ormai è proprio ora di andare: “Su andiamo bambini! Salutate le ochette, le anatre, i cavalli, i pesciolini e tutti gli animali che ora devono andare a nanna!”. Con negli occhi e nel cuore i colori, gli odori, e le vive immagini di questi simpatici, accoglienti e pazienti abitanti della natura, ci avviamo verso la nostra auto. I bambini si salutano e non appena poggiano la testa sul sedile si addormentano: sazi di avventure, continuano a saltare, giocare e colorare la fantastica magia della natura nei loro sogni. Laura, mamma di Alice


Voci di casa nostra SCUOLA PRIMARIA “CATERINA CITTADINI”

DUE GIORNI INDIMENTICABILI alla scoperta delle bellezze naturali e artistiche della Valle d’Aosta Il 29 settembre u.s. siamo partiti per la tanto attesa gita di due giorni, alla scoperta della natura incontaminata e dei meravigliosi castelli della Valle d’Aosta. Eravamo molto contenti ed emozionati di vivere questa bella esperienza: tutti desideravamo divertirci e ammirare le bellezze di questa Regione. Quella mattina ci siamo svegliati molto presto, perché il ritrovo era previsto per le ore 6.00, presso il piazzale di fronte alla nostra Scuola. Lì ci aspettavano le nostre maestre: Suor Danila, Mariassunta e Silvia. Quando è arrivato il pullman, abbiamo caricato i nostri bagagli poi, tutti eccitati, siamo saliti e abbiamo scelto il posto su cui sederci. Il viaggio è durato circa tre ore, ma il tempo è volato velocemente perché, dopo un iniziale momento di preghiera, ci siamo divertiti chiacchierando e cantando insieme. Durante il tragitto, fortunatamente, non abbiamo trovato traffico e siamo arrivati in anticipo, perciò ci siamo potuti svagare liberamente in un meraviglioso parco-giochi della zona. Poi è arrivato Donato, la nostra guida, che ci ha accompagnati a visitare il Castello di Fénis raccontandocene, in modo appassionante, la storia. Il Castello, di forma pentagonale, è circondato da una doppia cinta muraria. Il corpo centrale si sviluppa su tre piani, all’interno dei quali ci sono molte stanze che abbiamo potuto ammirare. Più tardi, dopo aver consumato il nostro pranzo al sacco, ci siamo diretti al Planetario, dove abbiamo visto un interessante filmato sull’Universo. Alla sera, dopo esserci sistemati nelle nostre camere in Hotel, Al Castello di Fénis, classe 5ª B

abbiamo cenato. Successivamente, ci siamo riuniti in una sala, dove abbiamo improvvisato uno show con tanto di karaoke e gara di barzellette: ci siamo divertiti un sacco!!! Dopo aver fatto una bella dormita, il giorno seguente ci siamo svegliati felici e pieni di energia per affrontare insieme una nuova giornata. Poco più tardi ci siamo diretti verso il Parco Nazionale del Gran Paradiso dove ci attendevano le guide che ci hanno accompagnato a fare un’escursione lungo un percorso, in mezzo alla natura, che ci ha condotto fino alle meravigliose Cascate di Lillaz. Nel pomeriggio abbiamo visitato Aosta, con i suoi numerosi resti romani. Donato ci ha fatto scoprire le bellezze di questa città mostrandoci i più importanti monumenti: l’Arco di Augusto, la Porta Pretoria, il teatro e la cinta muraria quasi interamente conservata. Inoltre, insieme alla guida, abbiamo ricostruito, con dei pezzi di legno, un ponte romano in miniatura. Dopo aver fatto un po’ di shopping, stanchi ma felici, siamo torna- ...ricostruzione di un ponte romano ti a casa. E’ stata un’esperienza indimenticabile perché ha contribuito a rafforzare i nostri legami di amicizia e ad arricchire le nostre conoscenze. Per questo ringraziamo le nostre care maestre e i genitori che ci hanno permesso di vivere insieme questa bellissima esperienza. I ragazzi delle classi 5ª A-B Al parco del Gran Paradiso, classe 5ª A


Voci di casa nostra SCUOLA SECONDARIA “MARIA REGINA” 29 ottobre-1 novembre

UN PELLEGRINAGGIO VERSO LUOGHI SACRI: UN ITINERARIO DELL’ANIMA!... SE L’UOMO NON CERCA SE STESSO NON PUO’ RICONOSCERE DIO. Forse, lettore, ti nauserai se ancora una volta ricominciamo a chiederci: chi è Dio? Già troppe volte è sorta questa domanda e ormai dubiti che si possa trovare risposta. Eppure si potrebbe affermare: Dio è il solo che mai può essere cercato inutilmente, neppure quando appare impossibile trovarlo. Potresti a buon diritto obiettare: “Io voglio sapere, non credere, non supporre. Voglio sapere. Voglio che Dio mi tenda la mano, mi sveli il suo volto, mi parli”. Il suo silenzio non ti parla?...Eppure quando si decide realmente di andare al di là di noi stessi, al di là dei luoghi comuni, quando si cerca di scavare in profondità per capire il senso della storia che viviamo, ancora oggi, in questa società che esalta l’uomo come servitore della propria intelligenza e artefice del proprio destino, si scopre alla fine la presenza di un primo motore immobile, energia e fonte di qualsiasi altro movimento. Ma, per conoscere Dio, occorre innanzitutto conoscere se stessi; il che è possibile solo con l’introversione, cioè ritraendo l’attenzione dalle ricerche esteriori e dirigendola dentro di noi, nel profondo silenzio della mente. Si può intraprendere questo viaggio interiore senza bisogno di lascia-

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re i propri affetti e la propria dimora, di abbandonare parenti e amici, o di rinunciare alla professione o vocazione di questa vita, di evadere dal mondo degli uomini; si può compiere questo grande pellegrinaggio dell’anima nonostante le occupazioni terrene. E’ ciò che abbiamo fatto noi, un gruppo (uomini, donne e ragazzi-ex alunni), tra cui Suor Carla Lavelli, Suor Floriana Ferrini e Suor Imeria Cortesi delle Suore Orsoline di Somasca. Abbiamo preso in mano le nostre singole vite e le abbiamo messe insieme, facendo un’esperienza di convi-

AllAbbazia di San Galgano

venza di quattro giorni in Toscana, riflettendo e meditando a San Galgano, a Vallombrosa, a Camaldoli, al Santuario della Verna e a Barbiana. Eravamo nomadi che cercavano gli angoli della tranquillità dai tumulti della civiltà, camminatori che cercavano la pace lungo il transito della vita che mostra solo l’apparente esteriorità, mentre la riflessione risvegliava in noi la volontà di verità, perché l’uomo, pur essendo nella verità, non è la Verità: la verità immutabile non è la ragione, cioè l’uomo, ma è la legge della ragione. Per cui, ritornare a se stessi e rinchiudersi nella propria interiorità significa aprirsi alla volontà di Dio. Nel nostro stare insieme in “luoghi particolari”, abbiamo compreso che amare l’Amore significa amare. Perciò la convivenza, la fraternità e la carità cristiana condizionano il rapporto tra Dio e l’uomo; in questo senso, l’Amore divino è la condizione


Voci di casa nostra che porta l’uomo non solo verso se stesso, ma conduce l’uomo verso l’altro uomo. Insieme abbiamo capito che, cercare ciò che è bene, vivere interrogandosi e contemplare il creato, sono tre aspetti che conducono l’uomo alla sua libertà, cioè il potere donato da Dio all’uomo di agire e di non agire, di porre da se stesso azioni deliberate. Quanto più si fa il bene, tanto più si diventa liberi e la libertà raggiunge la propria perfezione quando è ordinata da Dio, sommo Bene e nostra Beatitudine. La scelta del male è un abuso della libertà che conduce alla schiavitù del peccato. Infatti, l’unica scelta autentica è quella con cui l’uomo decide di aderire all’essere. E la causa del peccato è, in realtà, la rinuncia di tale adesione. Per concludere, al termine del pellegrinaggio abbiamo capito qual è lo scopo della vita di ognuno di noi: la finalità di ogni essere è amare, conoscere e servire. Don Milani ha detto: “Se dicessi che credo in Dio direi troppo poco perché gli voglio bene. E capirei che voler bene a uno è qualcosa di più che credere nella sua esistenza”. Angelo Bonaiti (ex alunno)

A Camaldoli

ISTITUTO SCOLASTICO “CITTADINI-MARIA REGINA”

“… ESCI DAL RICCIO E VIENI A TROVARCI” Festa della castagna Lo scorso 16 ottobre, si è tenuta, presso l’ampio cortile della Scuola Paritaria “Caterina Cittadini”, la tradizionale “Festa della Castagna”. Con l’arrivo dell’autunno e la ripresa della Scuola, gli alunni dell’Istituto hanno ripreso l’impegnativo percorso scolastico formativo; ma, come ogni fatica, anche l’impegno scolastico necessita di pause che, seppur piccole, risultano spesso rigeneranti per i ragazzi. Si è, quindi, voluto rinnovare l’appuntamento ottobrino che, anche quest’anno, così come in passato, ha fatto registrare grande partecipazione di genitori ed alunni della Scuola dell’Infanzia e della Primaria di primo e secondo grado. Il successo di pubblico è stato per altro favorito dalla splendida giornata, riscaldata da un insolito e colorito sole autunnale. Il motto di quest’anno “… esci dal riccio e vieni a trovarci”, preannunciava già gustosi banchetti a base di caldarroste, oltre che di panini caldi, pizzette e bibite; tutte pietanze che sono state sapientemente realizzate dai genitori facenti parte del Comitato organizzatore. Finalità primaria della Manifestazione è stata, comunque, quella di dar vita ad un evento dal sapore “aggregante”, all’interno del quale i ragazzi potessero vivere una giornata spensierata e fatta di divertimento, tutto comunque all’interno della stessa struttura che quotidianamente

li vede, invece, impegnati nel serio, e spesso faticoso, percorso scolastico. L’occasione ha, qundi, attirato numerose famiglie, con ragazzi e bambini

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Voci di casa nostra fortemente concentrati nel cimentarsi nelle numerose attrazioni allestite per l’occasione, come la pista per automobiline a pedali, il campetto da calcio e quello da hockey, i giochi di abilità, gli spazi volley e basket. Come noto a tutti gli alunni dell’Istituto, il tema portante dell’anno scolastico, da poco iniziato, è: “è tempo di…”: un’espressione che racchiude una serie infinita di significati e che si presta ad altrettanti interpretazioni, ma che vuol anche significare che nella vita ci deve essere spazio per dedicarsi agli altri, per coltivare le amicizie: la medesima finalità che si è voluta dare alla “Festa della castagna” di quest’anno.

Il tutto, quindi, nella tradizione della Scuola che, attraverso la preziosa opera direttiva di Suor Carla, Suor Leonilde, Suor Loredana, ha sapientemente organizzato un evento dalle lodevoli finalità ricreative con l’importante proposito di dar vita ad un incontro per cementificare i legami tra tutti coloro che “vivono” l’Istituto e che, allo stesso modo, sostengono e condividono gli ideali cristiani che la Scuola “Caterina Cittadini” rappresenta e vive, anche mediante l’importantissima formazione ed educazione scolastica propinata quotidianamente ai nostri figli. Un genitore

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PONTE SAN PIETRO (BG) SCUOLA PRIMARIA “CATERINA CITTADINI”

ADDIO VECCHIO GESSETTO... ORA SULLA LAVAGNA SI NAVIGA Alla Scuola primaria «Caterina Cittadini» di Ponte San Pietro la magia corre sul filo; non più quello bianco che un tempo usciva dal gessetto per «scivolare» incerto sulla grafite della lavagna, ma quello elettronico delle «LIM» (Lavagna Interattiva Multimediale), rivoluzionari supporti elettronici su cui è possibile scrivere, proiettare filmati, spostare immagini con mani o penne digitali, piuttosto che salvare la lezione sul computer per poterla riutilizzare e metterla a disposizione degli allievi. La «Caterina Cittadini» è una delle pochissime Scuole primarie della Bergamasca ad aver dotato le proprie aule di questo magico strumento che, tuttavia, consente di mantenere intatto il classico paradigma didattico incentrato sulla lavagna, potenziandolo con la multimedialità e la possibilità di usare un software didattico in modo condiviso. Le «LIM» – quelle in dotazione alla «Cittadini», modello più sofisticato, acquistate anche grazie a un contributo di diecimila Euro di un genitore – sono collegate a un computer, che riproduce le immagini utilizzando un videoproiettore. La «LIM» piace agli insegnanti perchè permette di usare metodi tradizionali di insegnamento in modo innovativo (il docente può utilizzare materiale didattico multimediale direttamente sulla lavagna, e non dietro a un computer); di salvare i percorsi didattici proposti, per successivi utilizzi e per la distribuzione agli studenti, diminuendo il tempo necessario alla prepa-

razione della lezione e dei materiali di studio; facilita la spiegazione di processi, la descrizione di situazioni e ambienti, l’analisi di testi grazie alla possibilità di visualizzarli in modo condiviso su uno schermo comune a tutti, assicurando l’attenzione sull’oggetto corretto; rende il momento di recupero più dinamico e interattivo, agendo su intelligenze diverse e migliorando i risultati come dimostrato da diversi studi; possono utilizzare facilmente approcci didattici diversi, grazie anche alla disponibilità di software didattici; perché manda in pensione gli odiati gessetti. Ma la «LIM» piace anche agli studenti perché hanno familiarità con il linguaggio delle immagini e dei filmati; perché le lezioni interattive sono più coinvolgenti e permettono di comprendere più rapidamente; perché hanno a disposizione diversi canali di apprendimento che stimolano le diverse intelligenze; perché spesso la «LIM» ha favorito attività didattiche di apprendimento collaborativo che li pongono al centro del processo di apprendimento. E poi con la «LIM» si può navigare sul web in classe: in questo modo si possono effettuare ricerche in rete coinvolgendo tutti i bambini. Ma cosa serve per usare la «LIM» in classe? Una lavagna interattiva multimediale, un computer, un videoproiettore, software e materiali per la didattica. L’istallazione prevede il collegamento del computer al videoproiettore e della lavagna al computer.


Voci di casa nostra Il videoproiettore - come ben si legge sul sito www.pianetascuola.it - riceve le immagini del computer e le proietta sulla «LIM». Le operazioni effettuate sulla «LIM» sono percepite da sistemi di rivelazione (magnetici, ottici, sonori, resistivi) e trasmesse al computer. Sono possibili tutte le operazioni normalmente effettuate con il mouse quando si lavora al computer. La «LIM» è generalmente dotata di software per creare presentazioni e lezioni multimediali in classe con facilità: normalmente sono sufficienti poche ore per apprendere le basi del funzionamento. Tutti i software in dotazione con le «LIM» hanno in comune alcuni elementi caratteristici: uno stage bianco in cui poter scrivere con la penna digitale in modo analogo all’utilizzo di pennarelli sulle lavagne bianche; inoltre, in questo spazio è possibile trascinare immagini e altri oggetti multimediali tratti dalla libreria; una libreria di immagini, filmati e animazioni che possono essere trascinati nello stage; alcuni oggetti sono già disponibili, altri possono essere importati dal docente. Una volta trasferiti negli stage possono essere ridimensionati, ruotati, clonati e utilizzati come base per creare schemi e mappe concettuali grazie all’utilizzo delle penne digitali. Ci sono, poi, alcuni strumenti che per-

mettono di attivare funzioni come la scrittura con tratti e colori differenti, la tracciatura di forme geometriche solide o vuote, l’attivazione di una tastiera virtuale e molti altri che variano a seconda del tipo di lavagna. Come si usa in classe? La «LIM» spiega ancora “pianeta scuola” - può essere utilizzata in diversi modi: per la didattica frontale con materiali multimediali, per attività che coinvolgono la classe come completare schemi o attività interattive e laboratoriali, per le interrogazioni, per la presentazione in modo innovativo di ricerche ed elaborati realizzati dagli studenti. Infine, può essere utilizzata per effettuare percorsi di navigazione su web in classe. Il docente o gli alunni coinvolti nell’attività didattica possono utilizzare i materiali multimediali in proiezione sulla lavagna, disegnando su di essi con le apposite penne digitali, trascinando oggetti e salvando gli elaborati al termine della lezione sul computer, per poterli consultare in seguito o utilizzare per realizzare tesine ed elaborati. È possibile realizzare fotografie istantanee dello schermo, per esempio fermando un filmato per catturare un fotogramma, aprirlo in un software di elaborazione immagini e analizzare in classe l’immagine per commentare i contenuti. Oppure è possibile avviare simulazioni laboratoriali interagendo

direttamente sullo schermo. Avendo a disposizione software didattici con simulazioni e attività interattive, gli alunni possono essere coinvolti nell’esplorazione virtuale di ambienti, sperimentare il metodo scientifico, operare in ambiti tecnologici. Il docente può utilizzare la lavagna per attività di recupero e interrogazioni, proiettando quiz interattivi o immagini e filmati che possono essere commentati e rielaborati dagli alunni, per esempio cartine mute, opere d’arte, reazioni chimiche, formule matematiche. La «LIM» è particolarmente adeguata alla presentazione di elaborati, poiché permette di proiettare foto, tabelle, filmati realizzati dagli alunni operando tutti i controlli direttamente dalla lavagna, rendendo più agevole e articolata l’interazione con i contenuti multimediali. I software in dotazione con le «LIM» permettono generalmente anche l’esportazione degli elaborati in un formato compatibile con il web, funzione che può essere utilizzata, per esempio, per pubblicare gli elaborati nel sito della scuola, mettendo a disposizione di tutti la conoscenza prodotta. Se il computer in uso con la «LIM» è connesso ad Internet, è possibile navigare nel Web usando un comune browser, come Internet Explorer o Mozilla Firefox. In questo modo si possono effettuare delle ricerche su

Il sorriso delle docenti della Scuola Cittadini.

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Voci di casa nostra LA MAGIA ENTRA IN CLASSE...

Timore, ma è subito gioia, scrivere sulla LIM.

Web coinvolgendo l’intera classe, con lo scopo di effettuare ricerche educando ad un uso corretto della rete, evidenziando oggetti di interesse e salvando istantanee del video per memorizzarle ed utilizzarle in un secondo momento per una sintesi o relazione. Insomma, come avrete facilmente capito, la “LIM” è una lavagna davvero magica, attraverso la quale l’interazione tra insegnante e allievo, tra insegnamento e apprendimento, raggiunge i massimi livelli. Immagini facilmente “catturabili” e video che scorrono come su un maxischermo rendono certamente più appetibile le nozioni che i piccoli studenti devono imparare, ma non dobbiamo dimenticare che la magia dell’insegnamento non sta nella tecnologia - neppure nella più sofisticata come quella che “muove” la LIM - ma nella mente e nel cuore dell’insegnante, il vero “motore immobile” dell’istruzione. Senza un cervello in grado di scegliere il metodo migliore per insegnare ciò che sa, senza un’anima per arricchire ciò che insegna, senza un cuore per capire chi gli sta di fronte seduto nei banchi, nessun insegnante potrà mai definirsi tale. E il povero gessetto? Se ne va in pensione, ma quanta nostalgia... Alberto Ceresoli (un papà)

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Lunedì, 12 settembre 2011: primo giorno di scuola. Il cortile della “Casa gialla” è pieno di bambine e bambini, di ragazze e ragazzi, pronti per l’avventura di un nuovo anno che si apre. Ore 8.30: si sale nelle classi e... una piacevole sorpresa accoglie gli alunni: al posto delle tradizionali lavagne, ecco le moderne LIM, ovvero le lavagne interattive multimediali. L’entusiasmo per la bella novità è alle stelle, tanto più che le LIM consentono tutta una serie di attività creative e interattive decisamente stimolanti. Per i più piccoli, questo grande schermo colorato, dove il mondo si fa “a portata di tocco” (grazie alla connessione Internet e alla tecnologia touchscreen) è pura magia. Per i più grandi, già avvezzi all’uso di strumentazioni hi-tech, è una gradita sorpresa avere a disposizione, per l’apprendimento, lo studio, la ricerca, dispositivi di ultima generazione che, potremmo dire, “parlano il loro linguaggio”, ovvero quello della multimedialità. E’ bello e stimolante, infatti, arricchire, per esempio, una tradizionale lezione di storia o di geografia con immagini, video, articoli, messi a

disposizione da diversi siti web dedicati ai ragazzi, oppure creati dalle stesse docenti. E… quando si può disporre di alcuni minuti di tempo, c’è sempre la possibilità di scovare in rete qualche gioco didattico on-line che permetta di rivedere, in modo divertente, quanto affrontato in classe. Gli alunni, grandi e piccoli, fremono nell’attesa di essere chiamati alla lavagna per prendere parte alle attività proposte; suoni e colori riescono a catturare l’attenzione di tutti, anche degli alunni più “difficili”. Potremmo anzi dire che sono proprio loro quelli che maggiormente traggono giovamento da questa piccola “rivoluzione” e questo fa delle “lavagne magiche” una risorsa davvero interessante. Certo, l’uso delle LIM richiede alle insegnanti un’adeguata preparazione perché, come in tutte le cose, non si può improvvisare (prima di un qualsiasi testo, inteso come supporto, tradizionale o multimediale che sia, viene sempre la testa di chi insegna...); tuttavia, con pochi, semplici accorgimenti, si possono già proporre attività intelligenti e simpatiche al tempo stesso, che rendano le lezioni meno statiche e più vicine alle esigenze degli alunni di oggi.

La LIM cattura lattenzione di tutta la classe: ed è sempre festa.

Selena Maffioletti (docente d’inglese)


Voci di casa nostra BERGAMO CASA GENERALIZIA INCONTRO MISSIONARIO - OTTOBRE 2011

COMMEDIA DIALETTALE Sabato, 15 ottobre u.s., il CAMSOS (Centro Animazione Missionaria Suore Orsoline Somasca) ha organizzato l’annuale incontro con gli “Amici” per relazionare sulle attività missionarie dell’Istituto e condividere unmomento di serenità con la Compagnia Dialettale “La Combricola Gino Gervasoni” che ha presentato la Commedia “LA MURUSA DEL ME’ OM”. Il teatro dell’Istituto di Via Broseta era letteralmente al completo (circa 300 persone). La Commedia, annunciata come “brillante”, è stata davvero un susseguirsi di eventi, attimi di suspance e con un sorprendente e originale finale. La Compagnia, “capitanata” dal Regista Gino Gervasoni, è attiva da circa vent’anni e, oltre alla buona vo-

lontà degli “attori”,la gente percepisce la preparazione e la passione che tutti i componentimettono affinché la recita sia di qualità; per non trascurare la scenografia molto ricercata e addirittura in grado di passare dal chiaro del giorno allanotte stellata! Tutto questo lo si deve anche alla tenacia di una componente del Consiglio CAMSOS, la Signora Mariarosa Gervasoni (in quest’occasione giocava in casa perché il Signor Gino è un suo cugino) che sempre si impegna a cercare e invitare Compagnie dialettali per i nostri, ormai tradizionali,incontri di primavera e autunno. Anche il Duca di Piazza Pontida, il Dott. Bruno Agazzi, ha portato il suo saluto, stimolando a sempre sostenere la cultura bergamasca. Questi appuntamenti sono certo momenti di sana distensione per tutti,

ma anche occasione per tener viva la memoria del grande lavoro che leSuore Orsoline svolgono nelle varie Missioni del mondo. Una testimonianza pertutte è stata quella portata da Suor Fiorentina che ha parlato del suo vivere dapiù di vent’anni in Bolivia. Oreste Fratus, vice-Presidente Camsos, ha poi relazionato su quanto, con le varie offerte, si è riuscito a mandare in Missione e su come sono importanti le adozioni a distanza. Per tutti l’appuntamento a ritrovarci nel mese di aprile p.v. per un’altra serata di… Buon Bergamasco! Oreste Fratus

Tutti insieme! Bravi!!!

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Voci di casa nostra CITTÀ ALTA

UN FELICE INCONTRO Il 24 ottobre u.s., mentre attraverso l’incantevole Piazza Vecchia, semprepopolata da gruppi di turisti intenti a scrutare ogni particolare che le guidesegnalano, noto un gruppetto di circa venti persone che seguono una guida parlante portoghese/brasilero. Poichè un pezzetto del mio cuore è brasilero, domando daquale città provengano e una signora mi risponde: “da San Paolo e precisamente daSanto André”; un signore, invece, mi dice di essere di Uberaba, nello Stato del Minas Gerais. No! non può essere combinazione! Proprio due città dove operano le Suore Orsoline di Somasca! e allora domando se, per caso, conoscono tali Suore. Alla mia domanda, anch’essi meravigliati che io faccia cenno a queste Suore,  mi confermano che, non solo le conoscono, ma collaborano attivamente con loro e… via ai nomi!... Suor Angela, Suor Brunilde, Suor Carmelita (chiedono come sta, dal momento che si trova in Italia per motivi di salute), Suor Kelly, Suor Deusilene, Suor Amparo. Essi collaborano anche con i Padri Somaschi e, appunto, si trovano inItalia, ospiti degli stessi, in Pellegrinaggio sulle orme di San Girolamo Emiliani, ricorrendo quest’anno il 500° anniversario della miracolosa liberazione per intercessione della Madonna, dal carceredell’allora milite Girolamo. A Somasca, essi hanno già visitato la tomba della Beata Caterina Cittadini. A questo punto mi presento e dico del mio legame con il Brasile e con le SuoreOrsoline. Ed ecco, ad uno ad uno dir-

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mi: noi di Santo Andrè siamo Fratel Elio, Esterela, Ladair; noi di Uberaba siamo Peterson, Judite, Adele, Claudio, Joana, Gleide. In un attimo i cuori di Brasile e di Italia vibrano nel nome delle Suore. E così ho spiegato loro, e al Padre Oddone che li accompagna, che,proprio in questa Piazza Vecchia e nel Duomo che hanno appena visitato, è passata anchela Fondatrice delle Suore, la Beata Caterina per andare dal Vescovo e per pregare in Duomo affinchè il “suo” Istituto potesse prendere… il volo. E oggi, in questo inizio del Terzo Millennio, si può vedere come il “granellino di senapa” sparso dalla Fondatrice, abbia attraversato l’Oceano per essere, tramite le sue Suore, un segnale vivo della Chiesa. Tutti hanno avuto espressioni cariche di affetto per quanto le Suore Orsoline fanno per il loro Istituto e per quanto fanno nelle attività Parrocchiali. Io, conoscendo questeSuore che operano in Brasile, non fatico a confermare che, quanto detto, non è opportunismo, ma è proprio il modo con cui lavorano queste persone “speciali”. E, anche questa è coincidenza?!? in questo anno in cui l’Istituto ricorda i dieci annidella Beatificazione di Caterina Cittadini? Ci siamo lasciati come vecchi amici (i Brasiliani poi sono maestri nel tessere rapporti), con l’impegno, da parte nostra, di farconoscere questo gioioso incontro e, da parte loro, di salutare a nome di Bergamo tutte le Suore che lavorano in Brasile. Io ringrazio il mio Angelo Custode che, proprio in quei momenti, mi ha fatto passare da Piazza Vecchia! Oreste Fratus

INDIA JYOTHI NILAYA UNO STUPENDO VIAGGIO… Abbiamo adottato Lissy nel 1997, quando aveva sette anni e quest’anno, che ne ha ventuno, siamo tornati con lei in India. E’ stata una decisione presa da tutta la famiglia e così, il 1° luglio, con destinazione Mysore, siamo partiti: noi due genitori, con i figli Pietro e Tommaso e la “sorella” Lissy. Con noi sono venuti i nostri cari amici Daniela e Vittorio con il figlio Stefano. Eravamo tutti emozionati, desiderosi di rivedere le Suore che avevano accolto Lissy quando era piccola e i luoghi dove essa era vissuta. Quando siamo arrivati nella casa di Mysore, subito ci ha colpito la statua della Madonna collocata nel giardino e ci siamo detti che era Lei che ci aveva dato la forza e la decisione di superare tutte le difficoltà per questo viaggio. Siamo stati accolti con molto calore e affetto da tutte le Suore: era come se fossimo ritornati a trovare dei parenti! Molte di loro si ricordavano di quando Lissy era piccola e ognuna raccontava qualcosa di lei. Suor Mary Kutty aveva una sua foto e gliel’ha data; Lissy, meravigliata e commossa, si chiedeva come la Suora avesse potuto conservare per tutti questi anni una sua foto. I gesti d’amore verso di noi e Lissy sono stati innumerevoli: ci siamo proprio sentiti amati da tutta la Comunità. Siamo pure stati molto colpiti da come la Comunità delle Suore, assieme alle Novizie, pregava: la


Voci di casa nostra giornata, infatti, era scandita dalla preghiera. Quando suonava la campanella tutte andavano in Cappella a pregare; non c’erano lavori più importanti: “Dio è al centro di tutto”. Un altro aspetto che abbiamo apprezzato è stata l’attenzione verso le bambine e le ragazze orfane: a Jyothinilaya ce ne sono quaranta e quaranta in un’altra Comunità che abbiamo visitato in seguito. Le bambine erano serene, gioiose e ci hanno accolto con delle danze molto belle. Ci siamo complimentati con le Suore di come riescono a seguire così bene le bambine ed esse tranquillamente ci hanno risposto che questo è il loro Carisma: il Carisma di Caterina e Giuditta Cittadini. Le Suore ci hanno accompagnato a visitare molti luoghi caratteristici e belli della zona e così abbiamo potuto apprezzare il fascino, la varietà delle culture, ma anche i mille volti dell’India e pure la sua spiritualità. Quando siamo andati a Kedamullore, abbiamo preso l’autobus di linea con… le porte sempre aperte e gente che saliva e scendeva alle varie fermate; ci è piaciuto moltissimo viaggiare come la gente semplice dell’India. Un’altra cosa che ci ha colpito molto è stato vedere quanti ragazzi e giovani ci sono per le strade quando è l’ora dell’andata o del ritorno da scuola: l’India ha proprio una società giovane.

Luciano, Lissy, Tommaso, Franca, Pietro

Mentre stiamo scrivendo, ci passano davanti tutti i volti delle Suore che abbiamo conosciuto: ci piace chiamarle “Donne di Dio” e ringraziamo il Signore di averle incontrate. Ci sentiamo il cuore pieno di speranza perché ci sono ancora persone che scelgono la strada del servizio totale agli altri. Noi eravamo molto affezionati a Suor Umbertina, mancata nel 2006, perché era lei che nel 1997 avevamo conosciuto quando siamo andati a prendere Lissy a Bangalore, di cui abbiamo assecondato il desiderio di rivedere le Suore che l’avevano aiutata da piccola. In questa occasione abbiamo capito quanto Suor Umbertina si sia donata all’India e alle “sue ragazze” che ora sono Religiose, vere “Donne di Dio”, che sanno affidarsi a Lui e spendersi per gli altri in diversi settori della vita. Un grazie di cuore va a tutte le Suore che abbiamo incontrato o rivisto: Suor Alphonsa, Suor Thresiamma, Suor Lissy, Suor Mary Kutty, Suor Mary, Suor Arogya, Suor Nakshatra, Suor Antony Mary, Suor Jessy, Suor Gretta, Suor Arokia, Suor Shanthi, Suor Anitha, Suor Supriya e tutte le altre... Un grazie anche a quelle che operano in Italia e che pure ci hanno aiutato. Un abbraccio grande e forte da tutti noi, Famiglia Galiazzo: Franca e Luciano con Tommaso, Lissy e Pietro

Vittorio, Daniela, Stefano

Evviva, sono i primi di luglio e noi, famiglie Picello e Galiazzo, siamo in India!!! Quale avventura misteriosa ci aspetta? Noi, Daniela, Vittorio e Stefano, nostro figlio, andiamo a conoscere Shanghitta, la nostra figlioccia che, tredici anni fa, abbiamo voluto amare e “adottare” a distanza. Usciamo dall’aeroporto di Bangalore e subito veniamo accolti con attenzione e simpatia da Suor Thresiamma; poi via in pullmino verso Jyothinilaya (Casa della luce) fra strade trafficate in cui tutti sembrano voler la precedenza; corrono, infatti, dalla parte sinistra della strada, strombazzano continuamente e si superano a destra e a sinistra in una maniera per loro naturale, ma che a noi europei fa spalancare gli occhi stupiti e pieni di apprensione. Arriviamo a Jyothi e troviamo accoglienza e calore da parte di Suor Alphonsa, delegata dell’India per l’Istituto delle Suore Orsoline di Somasca, da Suor Lissy, direttrice della Scuola, da alcune giovani Suore indiane e da quaranta bambine che sono state accolte perché sole o con famiglie in difficoltà. Siamo colpiti dalla loro serenità e semplicità, dalla gentilezza e dai sorrisi aperti e sinceri. Ci hanno subito messo a nostro agio cercando di non farci mancare nulla e preparandoci accurati e gustosi pranzetti, ben al di sopra delle nostre aspettative. Grazie carissime! Vi ricorderemo sempre!!!

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Voci di casa nostra Siamo andati a trovare Shanghitta nel suo villaggio, accompagnati da Suor Nakshatra, responsabile della Casa che accoglie le bambine e che ha fatto da interprete. Abbiamo camminato fra casupole basse al solo piano terra, minuscole e misere. Le persone - e soprattutto i bambini - ci salutavano con grandi sorrisi, mentre le donne, nel loro sari colorato, con i capelli tirati all’indietro, silenziose e dignitose davanti alla porta delle loro case, ci salutavano con cortesia. L’incontro con Shanghitta è stato bello ed emozionante. Con la mamma e la sorella, ci ha fatti entrare in casa, hanno srotolato una stuoia per terra nella stanza principale (ingresso, soggiorno e camera da letto) per farci sedere, ci hanno offerto del latte riscaldato e delle piccole buonissime banane.

La mamma di Shanghitta ha trentacinque anni e la sorella diciassette; è sposata da un anno perché nel loro contesto sociale è dignitoso per una donna sposarsi entro i diciotto anni. Ci siamo guardate con emozione e tanta curiosità; ho chiesto a Shanghitta cosa volesse fare da grande e lei: “La teacher” (la maestra), ha risposto spalancando due enormi occhi, ma seria e timida inchinando la testa. L’ho guardata annuendo, poi vedendo il suo attendere una risposta ho detto con fermezza: “Allora farai la teacher!”. Con un sorriso si è trasformata; ho visto nei suoi occhi stupore e meraviglia per la mia affermazione promettente; si è messa a saltare piena di gioia!! Ho visto e provato in me tutta la sua contentezza e la sua gioia mi ha toccato profondamente. Ho ricevuto molto da quell’incontro, molto di più di quello che avevo dato. In quei posti non ho visto tristezza, ho visto persone che non hanno niente, ma vivono serene… con dignità, con semplicità. Ho sentito questa loro “ricchezza” e ho invidiato questo loro “modo di vivere”, molto diverso da quello di noi europei che abbiamo tutto, ma che non godiamo di nulla. Daniela Picello

In casa di Shanghitta

Tutti insieme... con grande gioia!...

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BOLIVIA COCHABAMBA SCOPERTA DI UN BELLISSIMO PAESE... La Bolivia è un paese bellissimo e purtroppo poco conosciuto in Italia. Alcuni amici ci hanno convinto a visitarlo alcuni anni fa e siamo rimasti colpiti dalle tante cose da vedere: paesaggi spettacolari, città coloniali stupende e la magia di La Paz. Una vacanza non ci è bastata e siamo tornati una seconda volta. Poi siamo andati in pensione tutti e due e abbiamo deciso di fare qualcosa per questo paese straordinario. Da pochi giorni siamo tornati da Cochabamba dove, per il secondo anno consecutivo, abbiamo vissuto un mese di volontariato, ospiti delle Suore Orsoline di Somasca della Comunità “Virgen de Guadalupe”. Siamo stati accolti con grande affetto da tutti coloro che avevamo conosciuto l’anno scorso e abbiamo incontrato molta altra gente impegnata ad aiutare questo Paese. Abbiamo avuto la possibilità di visitare Centri di accoglienza per ragazzi abbandonati; abbiamo conosciuto il Direttore bergamasco di un carcere minorile, dove la priorità è educare con corsi che vanno dall’alfabetizzazione all’informatica, e pure abbiamo incontrato un professore universitario ticinese che, nel tempo libero, organizza attività sportive e culturali per ragazzi del quartiere. Il nostro lavoro consisteva in corsi di inglese presso l’Arcivescovado, in corsi di italiano presso le Suore che ci ospitavano e soprattutto in


Voci di casa nostra aiuti ai ragazzi della Parrocchia nel doposcuola. E’ stato bellissimo vincere la loro timidezza, conquistare la loro fiducia, soddisfare la loro curiosità e alla fine avere la loro amicizia. Ricordiamo con nostalgia i momenti magnifici che abbiamo vissuto con loro, i loro sorrisi e la loro gioia. Tra le cose curiose sicuramente non ci scorderemo di un concerto di musica religiosa. Pensavamo a Mozart o Pergolesi e invece era rock cristiano. Tutti: giovani, adulti, Suore ballavano scatenati e in allegria. Interessante è stata anche la visita del Cimitero nel giorno dei defunti. La gente si radunava disponendo pane di diverse forme e ogni genere di cibo davanti alle tombe con accompagnamento di mariachi, bande musicali, suonatori di flauto o violino. Le quattro settimane trascorse a Cochabamba sono state un’esperienza ricchissima che ci ha dato la possibilità di conoscere una realtà diversa, ma soprattutto ci ha fatto crescere umanamente e ci ha fatto sentire tanta voglia di ritornare l’anno prossimo. Sarah e Federico Taroni

BRASILE SANTO ANDRÈ COMUNITÀ “CATERINA CITTADINI”

GIORNO DI FESTA La festa del “giorno dell’infanzia”, svoltasi il 12 ottobre, si è rivelata ottima. I bambini che vi hanno partecipato appartengono a famiglie molto bisognose e povere: una realtà molto sofferta. Per far fronte a questa realtà, il Gruppo “Amici della Beata Caterina e Giuditta Cittadini”, unitamente alle persone di tutta la favela (quartiere), anche quest’anno ha promosso un pomeriggio di allegria, gioco e divertimento. E’ stato tutto bellissimo, anche la partecipazione dei giovani che, nelle strade, offrivano cibo, bevande e improvvisavano giochi per la realizzazione di questa piccola festa dedicata ai bambini. E’ stato fantastico vedere come tutte le persone si sono date da fare subito per aiutare in quanto potesse servire per la realizzazione della festa. Alcune donne si sono organizzate in squadre per preparare pranzo, torte, dolci, pop-corn e tanto altro! Vi hanno partecipato circa novecento bambini con le loro famiglie.

Noi Suore, in collaborazione con i laici, aiutiamo circa trecentocinquanta bambini e adolescenti che provengono da diverse favelas per partecipare ai nostri corsi di sostegno alla Scuola e poter mangiare, ogni giorno, un piatto caldo prima di tornare a casa. Impegnarci in questo modo ci rende molto felici, proprio come diceva la Beata Madre Caterina “Educare con il cuore di madre” e in obbedienza alle parole di Gesù “Dar da mangiare agli affamati”. Suor Angela Pirri Suor Teresinha Tavares Suor Kelly Borges

Sarah e Federico con Suor Mercedes e due Novizie

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O N D A Z I O N E

“Caterina Cittadini”

ONLUS

La Fondazione, in sintonia con gli obiettivi educativi dello Statuto, si impegna a promuovere la crescita integrale dei minori, a combattere il disagio femminile, a sostenere attività organizzate in vista del miglioramento delle condizioni di vita nei territori di missione Ad Gentes dellIstituto. Assume, in particolare, le seguenti iniziative: costruzione in terra di missione di strutture rispondenti al Carisma educativo dellIstituto; adozioni a distanza; interventi di solidarietà sociale; microrealizzazioni.

I Z A O D

E T R

NZA A T S DI

Già in atto da una quindicina di anni, l'iniziativa, estesa alla Bolivia, al Brasile, all'India, alle Filippine, allIndonesia dove operano le Suore Orsoline di Somasca, prevede l'assistenza a bimbi indigenti, sia a livello sanitario che scolastico.

Vuoi amare e aiutare un bambino a crescere? Vuoi sentirti padre o madre di chi non ce lha?

Gli adottati sono tutti conosciuti e assistiti dalle Suore che, periodicamente, ne danno notizia. Ad ogni richiedente viene inviata una scheda con la foto del bimbo/a adottato/a e brevi notizie sulla situazione familiare; è richiesto un impegno almeno quinquennale per dare all'adottato la possibilità della frequenza scolastica di base. È chiesta pure la disponibilità per la sostituzione dell'adottato qualora questi non fosse più reperibile o non avesse più necessità di aiuto. Sono previsti versamenti: - annuali (euro 230,00) - mensili (euro 20,00).

O

A

ONI

LIBERE

E Vuoi offrire il tuo contributo F F alla Fondazione a sostegno della “carità educativa” di Madre Caterina? Un fondo, alimentato da offerte libere, è destinato: • a iniziative di solidarietà sociale a favore di persone minorenni e maggiorenni svantaggiate; • a microrealizzazioni (fornitura di medicinali, di alimenti, di materiale scolastico ecc.).

a che qualsiasi somma, anche minima, d r o c i R è preziosa: è una goccia nel mare, ma il mare è fatto di gocce!

Ecco come puoi offrire il tuo aiuto alla Fondazione: • con bonifico bancario sul c/c n. 5300 IBAN: IT79 R054 2811 1090 0000 0005 300 UBI Banca Popolare di Bergamo intestato a Fondazione “Caterina Cittadini” O.N.L.U.S., con la specifica del versamento • con versamento sul c/c postale n. 42739771 intestato a Fondazione “Caterina Cittadini” O.N.L.U.S., con la specifica del versamento. Anche nel 2011 è possibile destinare il 5‰ a “Fondazione Caterina Cittadini” ONLUS segnalando il Codice Fiscale 95121540165 Ricorda che, essendo ONLUS la Fondazione, puoi detrarre la donazione dalle imposte per le persone fisiche ai sensi dellart. 13-bis del DPR 917/86 e per i redditi dimpresa ai sensi dellart. 65 dello stesso DPR.


Libri in vetrina

CARLO MARIA MARTINI

ENZO BIANCHI

ANTONELLO VANNI

Che cosa dobbiamo fare

Perché avete paura?

Padri presenti figli felici

Smarrimento e inquietudine delluomo contemporaneo

Rizzoli, 2011

Piemme, 2011

In una meditazione sulle Beatitudini e sui cinque grandi Discorsi del Vangelo di Matteo, il Cardinal Martini ci spiega cosa intenda per ritrovare “il fare del cuore”: “il fare indicato dalle Beatitudini è il primo agire pratico indicato da Gesù. Se le consideriamo attentamente, ci accorgiamo di essere di fronte a un agire delle situazioni e degli atteggiamenti. Atteggiamenti che consistono nell’essere poveri di spirito, miti, affamati e assetati di giustizia, puri di cuore”. Il fare, quindi, non del singolo gesto, ma un modo etico di vivere e di comportarsi. Attraverso i Discorsi, l’autore ci mostra quanto sia importante non solo per la nostra vostra vita, ma per la società intera, dare un nuovo senso all’esistenza, recuperando e dando valore al silenzio e all’ascolto dell’altro, riaffermando il valore di una dimensione contemplativa che ci permetta di discernere lucidamente il bene dal male e di individuare il percorso più opportuno per porre in essere una vera e pacifica convivenza delle genti e delle culture. L’autore, chiaramente, indica a questa umanità smarrita, la via da percorrere per vincere il Male in tutte le sue forme, il male singolo, quello delle “singole trasgressioni, peccati, delitti che avvengono ogni giorno”, il male collettivo rappresentato dalle “deviazioni singole che generano situazioni corrotte, e tali situazioni inducono a ulteriori peccati sia di individui sia di gruppi”, il male globale o culturale che consiste “nelle forme di peccato collettivo che giungono a giustificarsi e a legittimarsi con teorie che le fanno apparire addirittura utili o necessarie”. Cosa dobbiamo fare dunque? Da una parte è necessario “rifare il tessuto delle comunità lacerato da deviazioni interne, dall’altra occorre agire per riprendere a tessere le fila di una società umana più vivibile (sarebbe già molto!), combattendo senza tregua le trasgressioni singole, i mali collettivi e il peccato coagulato nelle ideologie”.

Come essere padri migliori per crescere figli sereni San Paolo, 2011

La lettura dei Vangeli è spesso, per molti di noi, limitata all’esperienza della Liturgia eucaristica: i brani selezionati rimangono momenti di riflessione, ma non riescono, il più delle volte, ad incidere sulla nostra vita, a divenire esperienza personale. Secondo Enzo Bianchi soltanto avvicinandoci ai Vangeli nella loro integrità, come racconto della vita di Cristo, essi potranno incidere sulla nostra esistenza: «Il racconto evangelico è l’offerta di una visione del mondo, ma anche di una pratica di umanità. La storia di Gesù è la storia della sua maniera di vivere il mondo, di abitare il corpo, di impostare le relazioni, di gestire la parola, insomma, di vivere l’umanità. Leggere i vangeli significa, pertanto, cogliere l’umano che è in Gesù e correlarlo alla propria umanità». Attraverso il Vangelo di Marco, che l’autore commenta con linguaggio chiaro e preciso, entriamo in contatto diretto con un Gesù in continuo movimento, colto nella sua umanità e, quindi, anche nella sua debolezza e fragilità. E, insieme a Lui, camminiamo in quel mondo pieno di tensione e di amore: guardando la sua vita riusciamo ad osservare meglio anche noi stessi, a fare finalmente di quel racconto un elemento portante della nostra storia personale.

Antonello Vanni, educatore e docente di Lettere, perfezionato in Bioetica presso l’Università Cattolica di Milano, dopo l’attenzione dedicata agli adolescenti nel suo libro Adolescenti tra dipendenze e libertà. Manuale di prevenzione per genitori, educatori e insegnanti del 2009, dove forniva consigli pratici e puntuali agli adulti su come prevenire ed affrontare le situazioni di dipendenza più diffuse tra gli adolescenti, ci offre un altro utile contributo per migliorare le relazioni all’interno della famiglia. Molti sono i luoghi comuni sui padri, gravati a volte di colpe e responsabilità di rapporti problematici con i figli; in altri casi, invece, spogliati di ogni ruolo e importanza. Questo libro cerca, quindi, di superare i pregiudizi e fare luce sulla figura paterna chiarendone in primo luogo la fondamentale importanza per una crescita equilibrata dei figli e per la creazione di rapporti positivi all’interno della famiglia. Scritto in un linguaggio semplice e chiaro, il libro analizza le dinamiche relazionali all’interno della famiglia, ma anche nel “mondo” dei nostri ragazzi fatto di molteplici interessi, stimoli e contatti. Come nel suo precedente libro, l’autore offre semplici, ma efficaci suggerimenti per riappropriarsi del ruolo di padre in modo da poter veramente aiutare i propri figli a diventare persone complete, mature e responsabili.

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a cura di Maria Marrese

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