Due donne un carisma

Page 1

gsh

Elisabetta Girelli

3

ANNO XVII

Due donne un carisma

Maddalena Girelli

agosto 2012


gsh Sommario 1) Anno della fede......................................................................................... pag 3

lettera apostolica “porta fidei” di benedetto xvi con la quale indice l’anno della fede.............................................................................................. » 4 la fede, luce della nostra vita.............................................. » 5

2) “La fede, lampada sempre accesa nelle mani di Maddalena ed Elisabetta Girelli.............................. » 8 3) La fede e la carità del buon esempio............................. » 10 4) “Non abbiate paura”.................................................................................... » 14

Pubblicazione sulla spiritualità delle sorelle Girelli - Anno XVII, 2012, n. 3 a cura della Compagnia S. Orsola Via F. Crispi, 23 - 25121 Brescia Tel. 030 295675 - 030 3757965 Direttore Responsabile: D. Antonio Fappani In copertina: paesaggio estivo

2


gsh Anno della fede Benedetto XVI ha annunciato un “Anno della fede” che avrà inizio l’11 ottobre 2012 - nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II - e si concluderà il 24 novembre 2013, solennità di Cristo Re dell’universo. Già Paolo VI aveva indetto un “Anno della fede” nel 1968, per il 19° centenario del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo. A 50 anni dal Concilio viene riproposta la centralità della fede, non per motivi celebrativi, ma per una ragione missionaria, a favore di tutti gli uomini, ma specialmente per quelle popolazioni di tradizione cristiana, che hanno bisogno di riscoprire il significato rinnovatore della fede, che vince l’indifferenza e la chiusura alla parola di Dio. In queste pagine offriamo alcuni spunti di approfondimento su questo tema, prendendo a guida le riflessioni spirituali delle Venerabili Sorelle Girelli.

3


gsh Lettera Apostolica “Porta Fidei” di Benedetto xvi con la quale indice l’anno della fede 1. La “porta della fede” (cfr At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. È possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita. Esso inizia con il Battesimo (cfr Rm 6, 4), mediante il quale possiamo chiamare Dio con il nome di Padre, e si conclude con il passaggio attraverso la morte alla vita eterna, frutto della risurrezione del Signore Gesù che, con il dono dello Spirito Santo, ha voluto coinvolgere nella sua stessa gloria quanti credono in Lui (cfr Gv 17,22). Professare la fede nella Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo – equivale a credere in un solo Dio che è Amore (cfr 1Gv 4,8): il Padre, che nella pienezza del tempo ha inviato suo Figlio per la nostra salvezza; Gesù Cristo, che nel mistero della sua morte e risurrezione ha redento il mondo; lo Spirito Santo, che conduce la Chiesa attraverso i secoli nell’attesa del ritorno glorioso del Signore. 2. Fin dall’inizio del mio ministero come Successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo. Nell’Omelia della santa Messa per l’inizio del pontificato dicevo: “La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza”. Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale 4


gsh unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone. 3. Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta (cfr Mt 5,13-16). Anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente, zampillante di acqua viva (cfr Gv 4,14). Dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli (cfr Gv 6,51). L’insegnamento di Gesù, infatti, risuona ancora ai nostri giorni con la stessa forza: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la via eterna” (Gv 6,27). L’interrogativo posto da quanti lo ascoltavano è lo stesso anche per noi oggi: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” (Gv 6,28). Conosciamo la risposta di Gesù: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Credere in Gesù Cristo, dunque, è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza (continua).

La fede, luce della nostra vita Il Santo Padre invita tutti noi a riscoprire il valore della fede nella nostra vita in un anno dedicato alla prima delle virtù teologali. Ci saranno incontri, esortazioni, riflessioni intese a farci approfondire il significato di un cristianesimo convinto e vissuto. In uno dei suoi insegnamenti, quanto mai efficace e particolarmente adatto a questo momento, Paolo VI scriveva: “Accendete un lume: la sua luce si effonde per virtù stessa dell’accensione. Così il cristiano: è un uomo in cui è stata accesa la fede; se egli è credente, egli è per ciò stesso un diffusore della sua propria luce, della sua propria fede.” (Paolo VI, In5


gsh segnamenti, 1972). Ma come far risplendere questa luce? Non vogliamo qui soffermarci sulla sostanza della fede, sulla definizione della sua natura, su un approfondimento teologico che sarà certamente sviluppato con ben altra consistenza nel corso dell’anno. Vogliamo invece riflettere su quella traduzione della fede nelle opere che rende visibile il nostro essere cristiani. Infatti è proprio il vissuto quotidiano a “rendere ragione della fede che è in noi”, come dice san Paolo; la Chiesa ha sempre indicato la strada generosa dell’aprirsi agli altri come quella privilegiata e sicura per raggiungere la personale salvezza. Nelle molteplici proposte concrete fatte ai cristiani, piace richiamare quella delle opere di misericordia corporale e spirituale, strumenti utilissimi per suggerire ed educare comportamenti generosi in linea con la fede professata non solo a parole. La riflessione ci può aiutare a cogliere il senso di quelle indicazioni in rapporto con le nuove povertà del nostro tempo. A prescindere dall’aiuto concreto che è sempre possibile – e doveroso – dare a chi ha fame o sete, a chi non ha casa né vestiti, a chi è malato o carcerato, c’è un’altra lettura delle opere di misericordia che le avvicina alle nostre giornate e all’ambiente in cui viviamo. Pensiamo, ad esempio, alla fame e consideriamola fame di amore. Essa è presente ovunque nelle nostre case e nelle nostre comunità. Del resto, non abbiamo anche noi bisogno di una parola buona, di uno sguardo affettuoso? Ma ogni volta che lasciamo cadere nel vuoto questa richiesta, ogni volta che rispondiamo in modo altezzoso e indisponente, noi nemmeno cerchiamo di saziare questa fame. E quanta sete di consolazione possiamo cogliere nei luoghi che frequentiamo! Lo stesso diffuso bisogno di parlare di sé, delle proprie difficoltà è sintomo di un malessere psicologico. Ascoltare questi assetati di consolazione, forse un po’ noiosi, ripiegati su se stessi, è una squisita opera di misericordia. L’accoglienza del forestiero non è solo quella dello straniero che è giunto tra noi, ma è anche e soprattutto l’accoglienza di coloro che ci stanno accanto e che la nostra insensibilità ha fatto diventare estranei: il vicino di casa, il parente, il collega, un membro della nostra comunità familiare, sociale o ecclesiale. Sforzarsi di parlare lo stesso linguaggio, di accettare una 6


gsh divergenza di opinioni con il proposito di superare queste differenze, è la forma più alta dell’ospitalità. Quanta nudità intorno a noi! C’è chi è nudo di cultura, di risorse mentali, di simpatia, di fede e di speranza, chi, chiuso nell’egoismo, è nudo di carità. Come potremo rivestire tutte queste nudità? Sorriso dopo sorriso, pazienza e ancora pazienza, forza, serenità: sono gli strumenti che abbiamo a disposizione, senza presumere di farcela da soli, senza disperare di riuscirci. Fra le molte che ci affliggono, c’è una malattia oggi tanto diffusa e insidiosa, la depressione, che si manifesta in alcuni momenti o attanaglia per anni una vita. Visitare questi malati significa accompagnarli con tanti gesti d’affetto, semplici, concreti, percepibili, significa testimoniare accanto a loro una speranza che non viene mai meno. E ci sono intorno a noi molti carcerati. Ci sono persone murate entro i loro conflitti interiori e i loro rimorsi, emarginate nell’ambiente di lavoro, prigioniere delle dipendenze di ogni tipo. C’è chi si costruisce intorno un carcere perché, dopo aver chiuso ogni accesso a una speranza più alta, si è attaccato alle certezze che crede offerte dal denaro, e non sa più volare. E c’è la prigione di chi non crede più a nessuno perché è stato tradito e umiliato e ha eretto intorno a sé come difese durezza e chiusura per non soffrire più. Le nostre opere di misericordia cercano solo di aprire uno spiraglio nel dolore di tante vite per dire: “Sono qui, sono vicino a te”. Ma per farlo in modo costante e sereno, quindi efficace, ci vuole una grande fede. Irma Bonini Valetti

VWX 7


gsh La fede, lampada sempre accesa nelle mani di Maddalena ed Elisabetta Girelli Educate alla fede in una famiglia profondamente religiosa, le sorelle Girelli si orientarono dalla prima giovinezza alla consacrazione di sé a Dio: non fu facile per loro scegliere la forma e il modo, ma il pensiero che le sorreggeva negli anni ardui delle decisioni, talvolta dell’aridità spirituale, fu quello di verificare la propria vocazione sul piano della carità operosa.: “Quanti mezzi di far del bene ci offre il Signore anche restando a casa!”. Le parole di Maddalena aiutano Bettina a fare chiarezza dentro di sé, fino a quando una improvvisa illuminazione le fa scoprire in modo definitivo la strada: “La società mi si presentò alla mente come il campo delle mie fatiche, il mondo come il grande ospedale di infermi a cui ero chiamata a rendere amorose cure. Distinsi in particolare tre cose: la cultura spirituale della gioventù, il bene che si può fare nelle case dei poveri e una cura speciale della fanciullezza pericolante”. Come è facile constatare, la vocazione delle due sorelle si realizza proprio nella carità che permette di verificare la purezza della loro fede e l’au-

8


gsh tenticità del loro dono verginale. Esaminare le scelte successive della loro vita intensamente operosa offre lo spunto per completare la precedente riflessione sulle opere di misericordia, a cui è possibile ricondurre l’esercizio della carità da parte delle Girelli. Dotate di molte ricchezze, esse erano state educate in una famiglia saggia come buone amministratrici. Le varie case in città, a Marone, a Carpenedolo non vengono semplicemente donate, ma organizzate e amministrate con cura; la Società Operaia Cattolica di Mutuo Soccorso non è soltanto finanziata in parte da loro, ma guidata in un giusto utilizzo dei fondi e soprattutto orientata a istruire le associate – operaie e domestiche – sulla legislazione riguardante il loro lavoro e sui regolamenti sindacali. Per essere testimonianza di fede vissuta, le opere di carità non possono ridursi, insomma, a sporadiche e occasionali elemosine, ma devono coinvolgere tutta la persona che, abituata a farsi carico delle attività intraprese, elabora attraverso una preparazione fatta di studio, di riflessione e di esperienza, uno stile veramente cristiano di intervento e di sostegno. Afferma Elisabetta con parole che suonano attualissime: “Se vi è un tempo in cui necessiti di far sentire ai cristiani quel comando di Gesù; “Risplenda la vostra luce innanzi agli uomini”, certo è il presente, poiché siam giunti a tanta debolezza, che quasi tutti temono vilmente che il mondo li abbia a riconoscere cristiani. Molti hanno il lume della fede, ma non hanno il coraggio di professarla. Prima di risolversi a fare un’opera buona, si pensa agli occhi che la vedranno..., a quel che ne dirà la gente del mondo, e troppo spesso la previsione di una diceria, di un sogghigno, di uno scherno, ritrae i cristiani dalle opere del divino servizio. Ispiriamoci a una santa franchezza per operare il bene a faccia scoperta, senza badare a ciò che il mondo pensi o dica di noi, coll’unico fine di dar gloria a Dio e di edificare il prossimo come Gesù Cristo ci comanda”. La sicurezza serena della fede vissuta si esprime quindi in un personale approccio all’opera intrapresa, nel coinvolgimento totale della persona e risplende per l’assoluta gratuità: sono le tre caratteristiche dalle quali deve essere animato persino il piccolo dono di un bicchiere d’acqua, che pure è apprezzato dal Signore. Irma Bonini Valetti 9


gsh La fede e la caritÀ del buon esempio I.

Il Signore istruisce i suoi apostoli e li esorta al buon esempio con quattro similitudini, paragonandoli al sale, alla luce, alla città posta sul monte ed alla lucerna sul candelabro, poiché era cosa troppo importante che coloro i quali dovevano ammaestrare le genti colla predicazione dell’evangelica dottrina ancora risplendessero per esempio della vita. E concluse questa bellissima istruzione dicendo: Risplenda dunque la vostra luce dinanzi agli uomini, affinché veggano le vostre opere buone, e glorifichino il vostro Padre celeste. Tali parole, sebbene siano state dette da Gesù Cristo agli apostoli, contengono istruzioni importantissime ancora per noi, mentre tutti siamo obbligati a dar buon esempio al nostro prossimo ed a procurare la gloria di Dio. Ma in modo particolare quelli che tengono il luogo di superiori debbono studiarsi di essere sale nell’e-

10


gsh sempio, e luce nella dottrina, poiché il retto ordine è questo: prima ben vivere poi ben insegnare. Altrimenti, dice San Bernardo, poco gioverà la lingua, che parla delle grandi cose se la mano non opera, ed una dottrina lucente con una vita tenebrosa. Esamina bene te stessa, anima mia, e vedi se quanto esigi dagli altri in te prima lo adempi. Forse ti lagni degli altri, perché indocili, distratti, imperfetti, ma tu possiedi tutte quelle virtù che vorresti in loro vedere? Ti sforzi almeno d’acquistarle? Oppur, quei vizi e difetti che negli altri riprendi, tu li hai già vinti?... Questo è forse il motivo che fa cadere vane tante istruzioni e correzioni che pur sarebbero ottime, se non mancasse l’esempio. E se il sale verrà meno, dice Gesù Cristo, con che si salerà? Come se dicesse: se mancherà il buon esempio, il quale condisce l’insipienza degli ignoranti, preserva i deboli dalla corruzione e desta nei popoli la sete e il desiderio di ben fare, con che si potrà supplire? Se tu dunque manchi al debito del buon esempio con chi sei tenuto a darlo, non potrai supplire a tale difetto con altro mezzo. Puoi ben dire molte belle parole ma resteranno senza frutto... O mio maestro divino, che voleste ammaestrarci con trent’anni di esempio in quella virtù che volevate poi insegnarci colle parole, fatemi la grazia di edificare il mio prossimo prima di istruirlo di correggerlo, affinché le mie parole non mi servano a maggior condanna. II. Considera questo comando che Gesù diede in quest’occasione ai suoi apostoli: Risplenda la vostra luce dinanzi gli uomini: affinché tu pure ti animi ad adempirlo alla meglio che ti sarà possibile. Intese il divino maestro di esortarli a manifestare con santo coraggio la santità della dottrina che avevano ricevuta, operando apertamente da veri discepoli e seguaci di Gesù Cristo. Onde li ammonisce di essere quasi città sopra il monte, quasi rifugio dei deboli ed oppressi, e lucerna sopra il candelabro non occultando il lume divino che avevano ricevuto, né sotto il moggio dell’umano timore, né sotto il letto della quiete e prosperità mondana. Ma dove sono quei fervidi e fedeli discepoli del Signore, che quasi città posta sul monte si fanno superiori a tutti pregiudizi ed alle massime 11


gsh e persecuzioni del mondo per mantenersi saldi nella fede e nei precetti divini?... Oh! quanti si vergognano di Gesù Cristo ed invece di risplender innanzi agli uomini con una vita veramente cristiana, invece di mettere la lucerna della fede sul candelabro della loro vita, cercano di nascondere questo lume benefico temendo vilmente che il mondo li riconosca per cristiani! Hanno il lume della fede, ma non hanno coraggio di manifestare la minima opera della fede; si vergognano alla presenza altrui di far divotamente il segno della croce, di osservare un precetto della Chiesa e cercano le tenebre per adempire i doveri di religione, per visitare le chiese ed accostarsi ai Santissimi Sacramenti. Ma quanti rispetti umani anche nella persona non del tutto mondana! Prima di risolversi al minimo bene sempre si pensa agli occhi che ci vedranno, a quel che dirà il mondo… e bene spesso la previsione d’una diceria, di un sorriso, di un menomo disprezzo ci ritrae dalle opere del divino servizio. E donde mai tanta miseria? Egli è senza dubbio perché ci manca quella rettitudine che è necessaria nel bene che facciamo! Ohimé! ben pochi hanno di mira unicamente la divina gloria; e però dove manca la lode ed approvazione degli uomini, il loro coraggio viene meno. Domanda costantemente la grazia di superare tutti gli umani riguardi, quando si tratta di professare colle parole, e colle opere la fede e la legge di Gesù Cristo. III. Considera infine la nobile meta che Gesù Cristo propone al tuo santo coraggio, affinché non ti avvenga mai la disgrazia di operar senza merito e senza premio. Non basta risplendere per bontà di vita innanzi degli uomini, se ci mancasse la santa intenzione di dar gloria al Padre celeste. Quante opere anche luminose si fanno, e gli uomini le veggono, le ammirano senza che nessuno si ricordi di attribuirle a Dio, di ringraziar Dio, di giovarsene a gloria di Dio! Abbi dunque una costante sollecitazione di indirizzar a gloria di Dio tutto il bene che fai, e se mai t’avvenisse d’esser lodato, subito riferisci quelle lodi a Dio. Alcuni temono di mancar d’umiltà nel riconoscere in sé qualche be12


gsh ne, e vorrebbero seppellirsi al mondo per mettersi al sicuro dalla vanagloria. Ma la vera umiltà, che San Francesco di Sales chiama maschia e forte, è quella che tenendoci immobili nella cognizione del nostro niente non c’impedisce per nulla di operare a gloria di Dio, restando indifferenti alle lodi ed ai biasimi delle creature. In tal modo risplenda pure la nostra luce dinanzi agli uomini, veggano pur le nostre opere buone; ma la gloria sarà tutta del nostro Padre celeste. Ah! dove ci perdiamo noi? Quanto è meschino ben sovente il fine del nostro operare! Quanto debole, scarso, ed incostante in noi il desiderio della divina gloria e del vantaggio spirituale del prossimo! Detestiamo tanti vanissini fini e tante intenzioni secondarie avute sino al presente nella pratica della virtù. Fissiamoci bene in mente il dovere gravissimo che abbiamo di edificare il prossimo colle nostre azioni, cercando non la sua stima ma la gloria del Signore nostro, il quale è l’unico autore e datore di ogni bene. Oh! sì, l’abbia il nostro buon Padre Celeste questa gloria; che il mondo riconosca dallo splendore d’una santa vita dei veri figliuoli. Deh! mio Signore, accendetemi in petto un grande zelo per la vostra gloria: uno zelo vivo, che mi spinga ad onorare fervorosamente; uno zelo coraggioso che vinca il mondo; uno zelo magnanimo che disprezzi tanto le lodi come il biasimo degli uomini, quando si tratta di servirvi e di onorarvi, e di procurare che siate conosciuto ed amato ancora da altri. (Elisabetta Girelli, La Scuola di Gesù Cristo)

VWX 13


gsh “Non abbiate paura” Nel nostro millennio, abbiamo forse più che mai bisogno delle parole del Cristo risorto: “Non abbiate paura”. Ne hanno bisogno i popoli e le nazioni del mondo intero. Occorre che nella loro coscienza riprenda vigore la certezza che esiste Qualcuno che tiene in mano le sorti di questo mondo che passa; Qualcuno che ha le chiavi della morte e degli inferi; Qualcuno che è l’Alfa e l’Omega della storia dell’uomo, sia di quella individuale sia di quella collettiva. E questo Qualcuno è Amore: Amore fatto uomo, Amore crocifisso e risorto; Amore incessantemente presente tra gli uomini. È Amore eucaristico. È fonte incessante di comunione. È solo lui a dare la piena garanzia delle parole: “Non abbiate paura”. L’uomo contemporaneo con fatica torna alla fede, perché lo spaventano le esigenze morali che la fede gli pone innanzi. E questa, in una certa misura è la verità. Il Vangelo è sicuramente esigente. Si sa che Cristo, a tale riguardo, non illudeva mai i suoi discepoli e coloro che lo ascoltavano. Al contrario, con molta fermezza li preparava a ogni genere di difficoltà interne ed esterne, e sempre tenendo conto del fatto che essi potevano anche decidere di abbandonarlo. Dunque, se egli dice “Non abbiate paura” certamente non lo dice per annullare in qualche modo ciò che esige. Anzi, con queste parole conferma tutta la verità del Vangelo e tutte le richieste in esso contenute. Allo stesso tempo però, rivela che ciò che egli esige non supera le possibilità dell’uomo. Se l’uomo lo accetta in atteggiamento di fede, trova anche nella grazia, che Dio non gli fa mancare la forza necessaria per farvi fronte. Il mondo è pieno di prove della forza salvifica redentrice che i Vangeli annunciano, con enfasi anche maggiore di quella con cui ricordano le istanze morali. Quante sono nel mondo le persone che testimoniano nella loro vita quotidiana la praticabilità della morale evangelica! L’esperienza dimostra che una vita umana riuscita non può essere che come la loro. Accettare ciò che il Vangelo esige vuol dire affermare tutta la propria umanità, vederne la bellezza voluta da Dio, riconoscendone però, alla luce 14


gsh della potenza di Dio stesso, anche le debolezze: “Ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio”. Queste due dimensioni non possono essere separate tra loro: da una parte le istanze della morale, poste da Dio all’uomo; dall’altra l’esigenza dell’amore salvifico, cioè il dono della grazia, cui Dio stesso in un certo senso si è obbligato. Che cos’altro è la redenzione di Cristo, se non proprio questo? Dio vuole la salvezza dell’uomo, vuole il compimento dell’umanità secondo la misura da lui stesso intesa, e Cristo ha il diritto di dire che il giogo da lui posto è dolce e il peso, in fin dei conti, leggero. È cosa molto importante varcare la soglia della Speranza, non fermarsi davanti ad essa, ma lasciarsi condurre (Giovanni Paolo II).

15


s hVenerabili Preghierag alle Sorelle Girelli per ottenere grazie!

Elisabetta Girelli

Maddalena Girelli

O SS. Trinità, sorgente di ogni bene, profondamente Vi adoro e, con la massima fiducia, Vi supplico di glorificare le vostre fedeli Serve Venerabili Maddalena ed Elisabetta Girelli e di concedermi per loro intercessione la grazia... Padre nostro, Ave Maria e Gloria N.B.: 1) Chi si rivolge al Signore con la suddetta preghiera, specie in caso di novena, affidi la propria intenzione all’intercessione di entrambe le venerabili sorelle. 2) Ottenendo grazie per intercessione delle Venerabili Serve di Dio Maddalena ed Elisabetta si prega darne sollecita comunicazione a: Compagnia S. Orsola - Figlie di S. Angela - Via Crispi, 23 - 25121 Brescia. Chi desiderasse avere questo inserto da distribuire in Parrocchia, può richiederlo telefonando allo 030.295675. Supplemento a “La Voce della Compagnia di S. Angela. Brescia”, agosto 2012, n. 3


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.