LA “RIVOLUZIONE” DI UNA DONNA NELLA BRESCIA DEL CINQUECENTO O moglie o monaca “Aut maritus aut murus”. O il matrimonio o la clausura. Il destino della donna, nella Brescia del Cinquecento di Angela Merici, era segnato fin dalla nascita. O moglie o monaca. Due vocazioni nobilissime, s’intende. Purché frutto di una scelta libera e lieta. Il punto è che in una società dove la donna era considerata una minorenne “a vita”, tanto da aver bisogno della figura del “mondualdo”, del tutore perpetuo, spesso né il matrimonio né la clausura erano vissuti come vocazione. Decisi dall’alto, diven- “Preghiera ”: Angela Merici vista dal pittore tavano una forma di pro- Calcinardi. tezione da un mondo ostile, segnato da continue guer- clausura potevano trasformarsi re, carestie, violenze, di cui le in strumenti per consolidare aldonne – specie se di umili con- leanze, aumentare il prestigio, dizioni – erano le vittime più in- conquistare il potere. In un caso difese. Se invece si aveva la for- o nell’altro, l’essere sposa o motuna di appartenere a una fami- naca non era più la risposta ad glia di rango, matrimonio e una chiamata d’amore. Era una 1
necessità o una convenienza. Ci voleva tutto il coraggio profetico di una santa per scardinare un mondo così rigidamente strutturato. Niente rivendicazioni femministe o inviti a ribellarsi all’autorità, sia ben chiaro. Angela Merici era tutt’altro che una sobillatrice. Con la saggezza di chi è capace di leggere, nelle pieghe della storia, il volere di Dio, Angela diede voce al desiderio di tante donne che, come lei, volevano dedicarsi al Signore senza rinchiudersi dietro la grata di un monastero. Oggi ci pare poca cosa. Non lo era ai tempi di Angela, tempi in cui la donna che non era sposata né monaca era ritenuta un essere inferiore, buona sola per i lavori domestici o per fare da attendente agli eserciti, con gli annessi e connessi di ordine morale che non fatichiamo ad immaginare. Senza protettori né riconoscimento sociale, si capisce perché tante ragazze preferissero la veste monacale senza vocazione o un matrimonio senza amore ad un’esistenza da serva o da sgualdrina.
che non le risparmiò calunnie nemmeno dopo la morte. È il destino che condivise, nel Cinquecento squarciato dalla ferita della Riforma protestante e dal diffondersi dell’eresia, con altri santi che volevano tornare a vivere il Vangelo. Sono gli anni di Ignazio di Loyola e della Compagnia di Gesù, della riforma dei Cappuccini, dei Teatini, dei Barnabiti e dei Somaschi. Sono gli anni delle “sante vive”, come Osanna Andreasi e Stefana Quinzana, terziarie domenicane, mistiche con il dono delle stigmate. Gli anni di Laura Gambara, che a Brescia avrebbe dato vita alla Casa della Carità per raccogliere orfane ed ex prostitute. Gli anni del Movimento del Divino Amore, nato a Genova nel 1497 al fine di radicare nei cuori il “divino amore”, ossia la carità. Dalla città ligure si diffuse a Roma, dove, nel 1515, si fece promotore di un Ospedale degli Incurabili, destinato ai malati di sifilide, il ributtante morbo del degrado morale. Anche a Brescia ne venne avviato uno a partire dal 1521; tra i sottoscrittori, c’erano due degli amici che Angela incontrerà arrivando in città dalla natìa Desenzano, Giovanni Chizzola e Girolamo Patengola.
La Chiesa tra lacerazioni e rinnovamento Quella percorsa da Angela Merici fu una strada in salita, 2
Brescia, specchio del suo tempo
“Tenete l’antica strada… e fate vita nova”
Un’alta densità di iniziative “dal basso”, insomma, che suppliscono alle mancanze di un clero troppo spesso impreparato, che ha abbandonato la cura delle anime e della celebrazione dell’eucaristia. L’ignoranza religiosa del popolo era terreno fertile per le idee eretiche, ma pure per reazioni superstiziose fuori da ogni controllo, capaci di accusare di stregoneria anche chi si impegnasse in qualche azione evangelizzatrice ritenuta troppo originale. Brescia, che tra il 1516 ed il 1540 è il tessuto sociale in cui va ad incarnarsi il nuovo carisma di Angela Merici, è lo specchio perfetto di queste contraddizioni, divisa tra la raffinatezza delle case nobiliari e la miseria del popolo, tra l’ansia di rinnovamento della diocesi e l’assenteismo dei vescovi veneziani, tra il lassismo dei costumi e il moltiplicarsi di “luoghi pii” per l’assistenza ai malati, ai poveri, agli orfani, alle donne. Nel 1535, quando, a sessant’anni suonati, dopo una gestazione durata tutta la vita, Angela fonda la “Compagnia di Sant’Orsola”, il rischio di essere tacciata di eresia era più che una lontana possibilità.
E invece Angela seppe dar vita ad una realtà estremamente moderna – una forma di consacrazione secolare che avesse la stessa dignità di quella conventuale – dentro un percorso di fedeltà alle prime comunità cristiane e in obbedienza alla Chiesa. “Sappiate – detterà, ormai prossima alla morte, al fedele segretario Gabriele Cozzano nei ‘Ricordi’, rivolgendosi alle vergini incaricate del governo della Compagnia – che avete a difendere e salvaguardare le vostre pecorelle dai lupi e dai ladri, cioè da due sorte di persone pestifere: dagli inganni della gente mondana o falsi religiosi, e dagli eretici. È meglio seguire senza pericolo il certo che l’incerto col pericolo. Tenete l’antica strada e usanza della Chiesa ordinate e confermate da tanti Santi per ispirazione dello Spirito Santo. E fate vita nuova. Quanto alle altre opinioni che adesso sorgono e sorgeranno, lasciatele andare come cose che non vi riguardano. Ma pregate e fate pregare, perché Dio non abbandoni la sua Chiesa, ma la voglia riformare come a Lui piace”. 3
ANGELA DIVENTA “SUR ANZOLA” L’infanzia alle Grezze
cinque figli, di cui Angela era la penultima, ma anche qui ci muoviamo nell’incertezza - si trasferisce in campagna, alle Grezze. Dal registro delle “rasse”, le denunce delle infrazioni al regolamento comunale, si viene a sapere che il Merici possedeva delle capre, un paio di bovini e sei porcellini. Insieme al podere, era un patrimonio che poteva garantirgli una certa tranquillità economica.
Donna carismatica, madre spirituale di duchi e di nobili, Angela Merici cresce in un ambiente lontanissimo dalla vivacità cittadina. Della sua infanzia conosciamo solo quel che ha confidato a Giovan Antonio Romano, il mercante che la ebbe ospite in casa sua a Brescia per quattordici anni. Come sovente accade ai santi, storia e leggenda si sono mescolate e anche la figura della Merici non è stata risparmiata da errori di interpretazione. Angela nacque, pare nel 1474, a Desenzano sul Garda, nell’allora Lombardia Veneta, così chiamata perché sotto il dominio della Serenissima. Il padre Giovanni era cittadino di Brescia, un titolo che aveva forse ereditato e che rappresentava un segno di prestigio. La madre Caterina de’ Bianchi era sorella di ser Biancoso di Salò, notaio e membro del Consiglio cittadino. Angela era nata nella casa ai piedi del castello, ma ben presto la famiglia – padre, madre e
L’attrattiva per le Vite dei santi L’attrattiva per la vita ritirata maturò in Angela precocemente, nutrita dalle letture delle vite dei santi che papà Giovanni faceva ad alta voce la sera attorno al focolare. Il libro più diffuso era la “Legenda Aurea” di Jacopo da Varazze, con pagine dedicate alle feste della Madonna, di Cristo, dei martiri e dei Padri della Chiesa. Stampato a Venezia nel 1474, poteva già essere arrivato nelle mani del Merici. Angela divenne a sua volta una vorace lettrice. Pur non avendo ricevuto alcun insegna4
Il quadro rappresenta la famiglia Merici. Risale al 1834; opera di Pietro Rizieri Calcinardi, si trova nella cappella del Duomo di Desenzano dedicata alla Santa.
bambina, come la famosa “fuga nel deserto” che Angela fece, forse con un fratellino, per imitare gli eremiti penitenti. Ma il tempo della spensieratezza finisce presto. Ha tra i 17 e i 18 anni quando perde i genitori e la sorella maggiore. Dalle “rasse” sappiamo di una Merici che era stata accusata di aver rubato dei fichi e danneggiato il campo di un contadino. Forse si trattava d’una monelleria. Fatto sta che Angela temeva per la salvezza dell’anima
mento sistematico, capiva anche il latino. Ma non sapeva scrivere. Per lasciare alle sue figlie una Regola di vita e un testamento spirituale, dovrà dettare i suoi insegnamenti al fido segretario Gabriele Cozzano, “litterarum professor” e Cancelliere della Compagnia.
La preghiera per la sorella Le letture paterne dovettero ispirare anche i suoi giochi da 5
della sorella e pregava ardentemente per lei. È in orazione, al Machetto, non lontano dalle Grezze, quando le appare una schiera di angeli, tra cui riconosce la sorella, “tutta felice et trionfante”.
custodire quella purezza del cuore cui inviterà le sue figlie, per diventare “vere e intatte spose del Figliol di Dio”.
Quei capelli “alla moda” di Venezia
Del periodo passato dallo zio a Salò, Angela parlerà, ormai anziana, a Giovanni Tribesco, giovane prete di Sant’Afra, la chiesa bresciana della Compagnia di Sant’Orsola. Per invitarlo ad abbracciare la penitenza, gli racconta di quando, nonostante la fatica delle faccende domestiche, non esitasse ad affrontare lunghi digiuni. Qui gli agiografi hanno calcato la mano, dando di Angela l’immagine di un’anoressica ante litteram, benché dietro il velo della santità. Angela fin da ragazza praticava sì il digiuno, ma il digiuno canonico prescritto dalla Chiesa, che in certi periodi dell’anno liturgico consentiva un solo pasto principale, la colazione e una cena leggera. Certo anche questa modalità, se prolungata, diventava faticosa per una ragazza, che per di più si asteneva dalla carne tutto l’anno. Ma non è affatto vera la storia della scelta tra tre noci, tre castagne o tre fichi come pasto giornaliero.
Lavoro, preghiera, penitenza
Con la morte dei genitori, Angela e un fratellino sono accolti in casa dello zio Biancoso a Salò. È un ambiente elegante e raffinato, dove la ragazza non passa inosservata. Aveva infatti una bella capigliatura biondo-rame, in linea con l’ultima moda in arrivo da Venezia. Mentre le altre donne ricorrevano ai più svariati stratagemmi per schiarirsi i capelli, Angela cercava di offuscarne i riflessi con cenere e fuliggine. Era un espediente per difendere contro possibili pretendenti la scelta di verginità che aveva maturato. In occasione di una gita all’isola dei Frati, si racconta avesse gettato un pugno di terra su un’insalata di fiori ed erbe che le era stata offerta. Se l’aneddoto fosse vero, ci conferma il temperamento vivace di Angela, pronto a prendere posizioni impopolari quando si tratta di 6
angelo di Dio”. Con l’arma dell’umiltà, Angela vince il demonio, che sparisce all’istante. Il fatto stavolta è certo, perché è Angela a riferirlo ad un altro amico bresciano, Agostino Gallo, che col Romano sarà tra i testimoni del “Processo Nazari”, il primo istruito nel 1568 in vista della canonizzazione.
Se si fosse privata del cibo, oltre a suscitare la giusta opposizione della famiglia, avrebbe dato adito a pettegolezzi, cosa da cui Angela si guardava bene. Non voleva scambiare l’ascesi con l’esibizionismo.
“Sur Anzola” vince il demonio Per legittimare il suo desiderio di una vita ritirata, chiese di entrare nel Terz’Ordine Francescano dell’Osservanza. La decisione non precludeva il matrimonio, per cui non fu difficile ottenere il consenso dagli zii. I frati, dal canto loro, dovettero aver prove certe della serietà della giovane, per ammetterla in un impegno che era richiesto “a vita”. Angela inizia così a vestire la tunica di bigello da terziaria e a portare il lino bianco sul capo: per tutti, diventa “sur Anzola”. Ma si sa che quando ci si appresta a servire il Signore bisogna anche prepararsi alla tentazione. Satana le appare in forma di angelo bellissimo. Con prontezza, la giovane si stende con il volto a terra, gridando: “Va’ nell’Inferno, nemico della croce, perché riconosco che non son degna di veder alcun
La visione al Brudazzo Anche quando tornerà a Desenzano, la vita continua a scorrere tra lavoro, penitenza, preghiera ed opere di carità. Donna nubile che vive e lavora nel mondo, ma col cuore tutto rivolto al cielo, sta preparando, senza saperlo, il terreno per la missione che Dio vuol affidarle. Una chiamata l’ha già avuta. Si trovava nei campi per la mietitura, al Brudazzo. Come d’abitudine, a mezzogiorno, l’ora della pausa, si era allontanata per pregare. Ed ecco una visione di angeli e vergini che salgono e scendono dalla terra al cielo, gli uni suonando, le altre cantando. Una delle giovani – per alcuni biografi la sorella – le annuncia che anche lei avrebbe fondato una compagnia di vergini. 7
Ed ecco una visione di angeli e vergini che salgono e scendono dalla terra al cielo, gli uni suonando, le altre cantando... Ad Angela Merici viene cosĂŹ annunciato che fonderĂ una compagnia di vergini.
A BRESCIA UNA “APOSTOLA NUOVA” A casa Patengola
nuova realtà, il diplomatico Giacomo Chizzola. C’è Gabriele Cozzano, che di Angela diventerà segretario e, alla sua morte, si batterà per difendere l’onore della Compagnia e della sua Fondatrice. E c’è quel Giovan Antonio Romano, di professione “varotaro”, ossia commerciante di stoffe e pellicce (“varus” in latino è lo scoiattolo), che, trasferitosi da Ghedi in città, vede in Angela una madre spirituale e le chiede di trasferirsi a casa sua. La Merici, profonda conoscitrice dell’animo umano, aveva capito che questo giovane di 23 anni, celibe, non avvezzo alle tentazioni della vita urbana, aveva bisogno di una guida. Ed accettò.
Nel 1516, quando Angela arriva a Brescia, la città è tornata sotto il dominio della Repubblica di Venezia e si sta riprendendo dopo il “sacco” di quattro anni prima, culmine degli scontri tra le truppe francesi di Luigi XII e la Lega Santissima formata da Venezia, Spagna, Impero e Svizzera. “Sur Anzola” lascia Desenzano in obbedienza ai superiori francescani, da cui dipende come terziaria, investita di un compito preciso: confortare madonna Caterina Patengola, che aveva perso il marito e i tre figli, e si trovava a dover allevare la nipotina Isabella, rimasta orfana. In casa Patengola Angela diventa subito un faro luminoso che attira la stima degli amici della nobildonna. Qui allaccia i primi contatti, che si riveleranno preziosi per la futura Compagnia di Sant’Orsola. C’è il nipote di Caterina, Girolamo, che, morendo, lascerà in eredità alle vergini alcuni dei suoi beni. C’è il protettore della
Una santità discreta Era giunta in città per una missione temporanea di conforto, in ossequio ai suoi obblighi di terziaria. Invece Brescia divenne sua patria di elezione e culla della sua opera. Angela è ospite del Romano, in contrada Sant’Agata, dal 9
1517 al 1529. Ma non è donna da approfittarne. Sull’esempio dell’apostolo Paolo, dà il suo contributo all’andamento della casa, probabilmente nelle faccende domestiche. Sono le testimonianze del Romano, del Cozzano e di Agostino Gallo, l’altro bresciano che avrà l’onore di ospitare “sur Anzola”, a permetterci di tracciare un quadro della vita quotidiana della santa. Una vita umile, nascosta, eppure fuori dal comune, capace di attirare la stima dei popolani come dei gran signori. Angela dormiva su una stuoia, per terra, con un pezzo di legno come cuscino. Portava il cilicio, ma è falso che bagnasse la camicia con acqua gelata prima di indossarla. Mangiava solo cereali, frutta, verdura. Si riservava di bere un solo dito di vino a Natale e Pasqua, ma non prendeva mai carne. Quel che proporrà alle sue figlie vent’anni dopo, lo prova in prima persona. Le sue rinunce non sono aridi formalismi fini a sé stessi. Angela vuol lasciare il più possibile indietro la sua volontà per far posto all’Amato, allo Sposo, all’unico bene che è Gesù. E lo fa con letizia, in piena libertà e con equilibrio. “Se uno indiscretamente affligge il
proprio corpo, sarebbe come se facesse un sacrificio con qualcosa di rubato”, dirà nella Regola. E l’osservazione non è da poco, in un tempo in cui anche la religione rischiava di diventare, con le forme spettacolari di predicazione degli eretici, più un fenomeno da baraccone che un’autentica sequela di Cristo.
La Parola e l’Eucaristia “In questi tempi pericolosi e pestiferi non troverete altro ricorso che rifugiarvi ai piedi di Gesù Cristo, perché se è lui che vi governerà e vi insegnerà, sarete istruite”. Sta tutta in questa raccomandazione contenuta nei “Ricordi” il segreto di Angela Merici. La sorgente di ogni sua parola e di ogni sua azione è Gesù, incontrato nella preghiera, nella Parola di Dio e nell’Eucaristia. Il Gallo dirà che “leggeva una quantità de libri santi” e che “si comunicava tutti quei dì che poteva, stando al Sacramento più ore alla settimana a udir delle messe”. Anche in questo Angela dimostra la sua modernità. Non solo per il fatto che lei, una donna, e per di più senza istruzione, sapesse leggere ed inter10
pretare la Scrittura, al punto che andavano a consultarla teologi, predicatori, religiosi. Anche a voler fare la Comunione spesso a quel tempo si rischiava di essere tacciato per un “originale”. Come terziaria, Angela aveva più possibilità di accedere ai sacramenti, ma erano comunque occasioni limitate. Nemmeno le regole monastiche erano più generose: erano previste 12, al massimo 14 comunioni l’anno! Bisognerà aspettare la seconda metà del 16° secolo per arrivare alla pratica della comunione mensile. Immaginiamo dunque quale doveva essere la gioia dell’umile sposa di Gesù quando poteva accostarsi all’Eucaristia. Il bresciano Bertolino Boscoli al “Processo Nazari” racconterà che – lui aveva 16 anni – nella chiesa di San Barnaba, durante la messa, aveva visto Angela in estasi alzarsi da terra di quasi un palmo, “et così stete per un pezzo con gran maraviglia…”.
Compagnia è un invito alla sequela di Gesù per amore, non un programma di cose da fare. Complici alcuni biografi animati da grande devozione, ma poveri di rigore scientifico nella ricerca delle fonti, Angela è passata alla storia come una catechista ed una istitutrice di fanciulle. Anche la Regola originaria andò perduta, cosicché, per lungo tempo, venne considerata come autentica la Regola riformata dal cardinal Borromeo per la Compagnia di Sant’Orsola di Milano, ispirata dai nuovi dettami del Concilio di Trento e dall’avvio delle Scuole della Dottrina Cristiana, nelle quali le “Orsoline” erano tenute ad insegnare nei giorni di festa. Quando poi, in Francia, le Compagnie – trasformatisi nel Seicento in Ordine monastico – cominciarono a fondare scuole e collegi per fanciulle, l’equivoco crebbe e si dilatò, finendo anche negli atti del processo di canonizzazione. Ancora nel Messale Romano del 1973, alla voce Angela Merici, si leggeva che fondò un istituto femminile sotto il nome di Sant’Orsola per l’assistenza materiale e spirituale delle orfane e delle fanciulle povere. Niente di più fuorviante.
Chiamate a rispondere all’amore di Cristo Rispondere con slancio alla chiamata d’amore di Cristo e conformarsi il più possibile a lui. Il testamento che Angela Merici lascerà alle vergini della 11
Una “apostola nuova” in tempi corrotti
la” quella che Angela esercita nella Brescia del suo tempo, cercata dal popolo come dai nobili, dagli ignoranti come dai teologi. “Erano quelle sue parole – continua il Cozzano – infuocate, potenti, e dolci, e dette con tal nuovo vigore di grazia, che ognuno poteva ben esser costretto a dire: Quivi è Dio”.
Certamente, Angela è animata da una pedagogia dello Spirito che ne fa una grande educatrice. Ma per le vergini della sua Compagnia non aveva in mente un apostolato preciso, né risulta che lei fosse coinvolta direttamente nelle attività dei “luoghi pii”. Il suo ideale di vita era quello delle prime comunità cristiane, degli apostoli, della Madonna. Per questo il Cozzano la definirà “Apostola nuova, per i nostri corrottissimi tempi”. Lievito nella pasta, lucerna che non può stare sotto il moggio, Angela è stata una contemplativa nell’azione. Incontrare, incoraggiare, ammonire, accompagnare era il suo unico vero interesse. Perché, nel volto dell’altro, vedeva il suo Gesù, che l’aveva amata e scelta nonostante la sua indegnità. “Con amor materno – sono sempre parole del Cozzano – abbracciava ogni creatura. E chi era più peccatore, quello era il più carezzato da lei, perché, se non poteva convertirlo, almeno, con dolcezza d’amore, lo induceva a far qualcosa di bene o a far meno male”. È una “maternità della paro-
L’incontro con Francesco Sforza Arrivavano le persone più diverse, per sedare discordie familiari, preoccupate per i figli, incerte sul modo di fare testamento, tiepide nella fede. Angela ascoltava tutti, aveva una parola per tutti. La sua era una “catechesi ad personam”, fatta di finezza psicologica e intuito profetico. Se si trattava di difficoltà pratiche, con le sue conoscenze riusciva a provvedere ai bisogni. Se c’era da riportare sulla retta via un peccatore, sapeva dosare severità ed accoglienza. Aveva un dono particolare per confortare il dolore. Perfino Francesco II Sforza, duca di Milano, mentre si trovava a Brescia nel giugno del 1528, aveva chiesto un colloquio con lei. Figlio di Ludovico il Moro e Beatrice d’Este, a otto anni 12
“L ’incontro con lo Sforza ” di Pietro Rizieri Calcinardi (opera del 1834).
Peccati e peccatori
aveva visto il padre prigioniero, aveva conosciuto il dispotismo del fratello e l’esilio. Nel 1522 era finalmente riuscito a tornare a Milano, ma per poco. Gli spagnoli e i francesi si contendevano la città, il popolo era decimato dalla peste. Con la vittoria di Carlo V, nel 1525 aveva iniziato un triste vagabondaggio, finché i veneziani gli avevano ceduto Cremona e là si era insediato con la corte. Per quanto duca, doveva sentirsi un fallito. Al termine del colloquio, chiese ad Angela di accoglierlo come figlio spirituale, insieme a tutto il suo regno.
Durante una delle visite che periodicamente Angela faceva ai parenti a Salò, era andato a visitarla – più per curiosità che per fede – uno studente di diritto di Padova, tal Stefano Bertazzoli. Le si presentò vestito alla moda, con un cappello scarlatto dalla lunga piuma. Con le sue parole Angela “lo punse al cuore” – riporta il cappuccino Mattia Bellintani di Salò – al punto che, tornato a Padova, iniziò a studiare diritto canonico e poi si fece prete. Il Bellintani racconta anche 13
Con l’aiuto di Dio, Angela riusciva a metter pace anche laddove non pareva esserci speranza. CosÏ successe pure, con non poco clamore, per la diatriba tra Filippo Sala e Francesco Martinengo che nemmeno il duca d’Urbino Francesco Maria della Rovere era riuscito a sedare.
di un altro caso, quello di un sacerdote che viveva con una donna. Tutti i giorni andava, pentito, a chiedere aiuto alla Merici, uscendo dall’incontro in lacrime. Ma non sapeva “spezzare l’infernal catena” e morì in stato di peccato. Un insuccesso che dovette dare non poco dolore ad Angela e per il quale – immaginiamo – continuò a pregare, come aveva fatto da bambina per l’anima della sorella. Anche nella Regola, invitando le vergini a praticare l’orazione del cuore, suggerirà questa supplica da ripetere nel corso della giornata: “Degnati di perdonare i peccati anche di mio padre e di mia madre, e dei miei parenti ed amici, e del mondo intero”.
d’Urbino, Francesco Maria della Rovere, che allora si trovava a Brescia, capitano al soldo di Venezia. Le mogli, disperate, chiedono aiuto ad Angela, che riesce miracolosamente a ricomporre la lite. Ma forse ancor più eclatante fu la sua missione presso il duca Alessandro Gonzaga, fiero signore di Mantova. Nel 1521, con il Romano, Angela va in pellegrinaggio nella città ducale alla tomba di Osanna Andreasi, mistica stigmatizzata, beata dal 1515. Sulla via del ritorno, si ferma a Solferino, dove alloggiava il Gonzaga, per chiedere udienza: voleva ottenere la grazia per un cortigiano che era stato espropriato dei beni e bandito dal Ducato. Sordo ad ogni invocazione di pietà, Alessandro accoglie l’istanza della Merici. Più tardi, il figlio Ferdinando, futuro padre di San Luigi Gonzaga, avrebbe chiamato una delle figlie Angela. Un ricordo della donna che era riuscita a piegare la durezza del padre? Teniamo per buona la testimonianza del cronista bresciano Pandolfo Nassino: “Questa Madre sur Anzola a tutti predicava la fede del sumo Dio, che tutti se innamorava di lei”.
In udienza dal feroce Alessandro Gonzaga Con l’aiuto di Dio, Angela riusciva a metter pace anche laddove non pareva esserci speranza. Il Romano racconta di un fatto che doveva aver suscitato non poco clamore, accrescendo la fama di santità della terziaria francescana. Siamo intorno al 1525. Filippo Sala e Francesco Martinengo si erano sfidati a duello e a nulla era valsa la mediazione del duca 15
UNA SANTA GIÀ DA VIVA L’età dei pellegrinaggi
veo del Terz’Ordine. La visione al Brudazzo parlava di una compagnia di vergini. La sua vocazione non era ancora compiuta.
Nel suo servizio al prossimo, Angela portava nel cuore la visione del Brudazzo. Tra i tanti incontri, doveva aver incrociato anche i desideri di quelle ragazze che, com’era accaduto a lei in gioventù, volevano servire il Signore, ma non sentivano alcuna attrattiva per il chiostro. L’impresa però era ardua e i dubbi tanti. Si trattava di inventare per loro uno stato di vita totalmente nuovo e con sufficienti garanzie di protezione, senza poter contare su uno straccio di fondamento giuridico, visto che le uniche possibilità “legali” contemplate per la donna erano il matrimonio o la clausura. I pellegrinaggi che Angela affrontò a dispetto dei pericoli e dei disagi potevano rappresentare delle occasioni spirituali per chiedere al Signore lumi sulla via da seguire. E quale miglior preghiera di quella fatta nei luoghi dove Lui aveva vissuto, dove i primi martiri avevano dato la vita per amor suo? Angela aveva già abbracciato Gesù come suo sposo, ma da solitaria e nell’al-
In viaggio verso Gerusalemme Nel 1524, con il cugino Bartolomeo de’ Bianchi e il Romano, Angela si imbarca a Venezia sulla “nave pellegrina”, destinazione Gerusalemme. L’anno prima, su quell’imbarcazione era salito anche Ignazio da Loyola. Si trattava dell’unico mezzo per visitare il Santo Sepolcro, grazie ad uno speciale lasciapassare che la Serenissima aveva ottenuto dal sultano egiziano nel 1510, e che i turchi, dominatori della regione dal 1517, avevano ratificato. Ma in quel maggio del 1524 la “nave pellegrina” rischiò di non levare le ancore. Le piogge erano state così abbondanti da impedire al doge di uscire in bucintoro per la tradizionale cerimonia dello sposalizio col mare. Anche la marcia dell’esercito aveva subìto un arresto. Il Romano, diretto a Venezia per preparare la partenza, da buon com16
merciante aveva pensato di sfruttare l’occasione ed imbarcarsi per Lanciano, dove la Fiera attirava mercanti fin dalla Francia e dai Balcani. Se non che, arrivato in città, vede issato lo stendardo bianco con la croce rossa, segno che la nave per la Terra Santa sarebbe partita. Manda a chiamare Angela che, insieme a Bartolomeo, prende la via per Venezia. A Montebello Vicentino, trovano la strada sbarrata da un torrente, ingrossato dalle piogge. Una misera passerella era l’unica via per attraversare il fiume, ma il vetturino non voleva saperne di rischiare. Il cavallo - si racconta - si mosse da solo, trasportando Angela all’altra riva, in tempo per partecipare a Venezia alla cerimonia dell’accompagnamento al porto dei pellegrini, il giorno del Corpus Domini. Era il 26 maggio.
rienza. Sappiamo però che Angela giunse a Gerusalemme quasi cieca, in seguito ad un’infezione agli occhi contratta a Canea, sull’isola di Creta. Compì la sua visita “con gli occhi interiori” e rimase profondamente segnata dalla meditazione della Passione di Cristo, come dimostreranno i successivi pellegrinaggi a Varallo, dove un francescano ex custode di Terra Santa, Bernardino Caimi, si era riproposto di ricostruire le scene della vita di Gesù, dalla nascita alla crocifissione. Al Calvario, Angela pianse a lungo, baciando la terra dove era stata piantata la croce.
Le peripezie della “nave pellegrina” Se i pellegrini poterono tornare incolumi a Venezia – raccontò il Romano – fu solo grazie alle preghiere miracolose di “sur Anzola”. Il viaggio di ritorno è costellato da colpi di scena degni di un film. Prima, la sosta obbligata della comitiva a Rama, sulla strada che da Gerusalemme porta a Betel: un gruppo di armati, in combutta col governatore, erano soliti tenere prigionieri i pellegrini in cambio del pagamento di un pedaggio.
Al Santo Sepolcro, quasi cieca La data esatta della partenza non la conosciamo, né conosciamo nei dettagli la visita ai Luoghi Santi. Il Romano, che aveva affrontato il viaggio più per spirito d’avventura che di penitenza, nei resoconti insistette sui risvolti epici piuttosto che sul valore spirituale dell’espe17
Per nove interminabili giorni, il mare è scosso da una terribile tempesta. Le altre due navi affondano, mentre quella dei pellegrini con a bordo Angela Merici si salva. Il viaggio di ritorno dalla Terra Santa fu carico di pericoli e disavventure.
La “nave pellegrina” riesce a salpare da Giaffa, fa tappa prima a Cipro per caricare delle mercanzie, quindi a Candia, dove la tradizione vuole che Angela recuperi la vista davanti a un crocifisso miracoloso. Da qui, la nave riparte in flottiglia con altre due imbarcazioni la sera del 4 ottobre; ai passeggeri si era aggiunto il duca di Candia, che tornava a Venezia allo scadere del mandato. Per nove interminabili giorni, il mare è scosso da una terribile tempesta. Le altre due navi affondano, mentre quella dei pellegrini si salva, gettando in acqua la merce e le munizioni. In balìa delle onde, è trasportata sulle coste della Tunisia, poi verso Durazzo, dove un capitano turco sale a bordo con la scusa di rendere omaggio al duca di Candia; intanto i pellegrini – riferisce il Romano – raccomandavano l’anima a Dio. E fu solo grazie alla preghiera di Angela se poterono sfuggire all’agguato turco e finalmente approdare a Schiavonia, in Istria.
per riprendersi dalle fatiche del viaggio. È ospite al monastero francescano del Santo Sepolcro, ma la processione di gente che vuole incontrarla turba la clausura delle monache. Così si trasferisce nella foresteria dell’Ospedale degli Incurabili. Le sue doti umane e l’aurea di santità alimentata dal racconto dei pellegrini indussero i responsabili di quel “luogo pio” a chiederle di restare. Temendo l’intervento del patriarca Contarini – per spirito d’obbedienza all’autorità ecclesiale Angela non avrebbe saputo tirarsi indietro – con i compagni di viaggio lascia precipitosamente Venezia. Quando fa ritorno a Brescia è il 25 di novembre, festa di Santa Caterina d’Alessandria, la santa a cui Gesù Bambino aveva messo l’anello nuziale al dito. Lo stesso giorno, undici anni più tardi, Angela avrebbe fondato la Compagnia di Sant’Orsola. La data del rientro dalla Terra Santa e la festa della santa sposa di Cristo rimase come appuntamento fisso per l’ammissione delle nuove vergini.
La sua fama arriva a Venezia
A Roma per l’Anno Santo
Suo malgrado, Angela acquista notorietà anche a Venezia, dove con i due amici si ferma
Nel 1525 Angela parte di nuovo, diretta a Roma. Desidera ve19
nerare le reliquie esposte in occasione dell’Anno Santo e compiere il tragitto per ottenere l’indulgenza, che prevedeva, per i pellegrini italiani, la visita per quindici giorni alle basiliche di San Pietro, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo fuori le Mura. Nella capitale la riconosce uno dei compagni del viaggio in Terra Santa, messer Piero della Puglia, dignitario della corte pontificia. È lui ad introdurla in udienza da Clemente VII, che le chiede di rimanere “a beneficio dei luoghi pii”. Anche stavolta Angela si scusa e riparte per Brescia, tutta felice per l’incontro fatto. Le esperienze di pellegrinaggio saranno completate dalle due visite a Varallo, nel novarese. Conosciamo la data solo della seconda – agosto 1532 – che Angela condivise con Agostino Gallo e la sorella Ippolita. Nella comitiva di 14 pellegrini, secondo qualche biografo, ci sarebbero state anche alcune delle prime vergini della Compagnia.
messo fine alle ostilità tra Francesco I e Carlo V. Il sovrano spagnolo poteva venire in Italia per essere incoronato imperatore dalle mani del Papa, a Bologna. Il timore era che, passando per Piacenza, potesse deviare con l’esercito a Brescia e mettere l’assedio alla città. L’agronomo Agostino Gallo, la moglie Cecilia e la sorella Ippolita si rifugiano a Cremona ed offrono ospitalità ad Angela, che Ippolita conosceva da tempo e con la quale aveva intensificato i rapporti durante la vedovanza. Nel gruppo degli sfollati, c’era anche Girolamo Patengola.
Una guarigione miracolosa Ormai la fama di Angela la precede. A Cremona si ripete il solito via-vai di gente - dalla mattina alla sera, dirà il Gallo – compresi i nobili della corte dello Sforza in esilio. Angela non si risparmia. Intensifica le pratiche di penitenza e i digiuni, perché c’è da chiedere la grazia della pace. La sua salute ne risente. Si aggrava e pare giungere alla fine dei suoi giorni. Girolamo Patengola le dedica un’ottava, da collocare a mo’ d’epigrafe sul suo sepolcro. Il giovane amico legge i suoi versi alla moribonda:
Con gli sfollati a Cremona Nel 1529 Angela lascia Brescia, stavolta forzatamente. Il 3 agosto la Pace di Cambrai aveva 20
Angela, con la sua proverbiale discrezione, aveva ritenuto di lasciar libera la giovane coppia. Resta ospite dal Gallo per alcuni mesi, poi si trasferisce a San Barnaba e infine – insieme a Barbara Fontana, una delle sue prime discepole – in una stanzetta di proprietà dei Canonici Lateranensi presso la chiesa di Sant’Afra, che nella cripta custodiva diverse reliquie di martiri. Tra i Canonici c’era anche il confessore di Angela, padre Serafino da Bologna. Nel 1532, la svolta. Angela inoltra alla Sacra Penitenzieria Apostolica la richiesta di essere dispensata dall’obbligo di sepoltura in una chiesa francescana, dispensa che le viene accordata il 2 novembre. Continuerà a portare l’abito da terziaria e a farsi chiamare “sur Anzola”, ma si distanzia da uno stato di vita che non corrisponde appieno alla vocazione cui il Signore la chiamava dai tempi del Brudazzo. È in questo periodo che inizia a riunire alcuni gruppi di ragazze per degli incontri di formazione. Isabetta Prato, giovane e nobile vedova, le offre dei locali nella sua casa di piazza Duomo. Sarà il centro nevralgico, insieme a Sant’Afra, della futura Compagnia di Sant’Orsola.
“Quella che ‘l nome, l’opre, et la favella d’Angelo tenne, qui sepolta giace: Vergine visse in taciturna cella, godendo ivi la vera interna pace; di Dio diletta obediente ancella fu adversaria a ciò, ch’al senso piace; or vive lieta in cielo, incoronata di palme il crin, tra gli Angeli beata.” Al pensiero di essere vicina al Paradiso, il volto di Angela risplende come quello di un cherubino. D’un tratto recupera le forze, si mette a sedere sul letto e comincia a decantare la felicità della patria celeste, quando… si accorge di essere ancora viva e vegeta e scoppia a piangere, rimproverando il povero Patengola di averla ingannata. Un episodio da Fioretti francescani, che accresce la sua fama di santità.
A Sant’Afra Dopo quell’improvviso recupero di energie, Angela, che non era persona superficiale, si deve essere chiesta perché il Signore ancora non l’aveva voluta con sé. Intanto, passato il pericolo, aveva fatto ritorno a Brescia. Il Romano aveva preso moglie ed 21
LA COMPAGNIA DI SANT’ORSOLA Le prime 28 vergini
la del marito o del convento – ci sono quelle di ordine psicologico. La gente è abituata a riconoscere i consacrati dalla veste o dalla grata. Le vergini della Compagnia, invece, continuano ad abitare nelle proprie case, non hanno un abito comune e si guadagnano da vivere con il loro lavoro. Non sono appoggiate ad un ramo maschile (come accadeva per il Terz’Ordine) né emettono voti pubblici. C’era di che rischiare, a proporre uno stile di vita del genere. Le polemiche che infangarono il nome della Merici dopo la morte lo confermano. La Fondatrice fu accusata di essere un’orgogliosa e una sprovveduta. Addirittura, si dubitò della sua salvezza eterna.
“ […] benché la Compagnia fosse stata ispirata a lei fin da piccola, e divinamente presentata e posta in grandissimo desiderio, tuttavia mai l’ha voluta incominciare finché non è stata comandata da Gesù Cristo, finché egli non le gridato nel cuore, e non l’ha spinta e costretta a cominciarla e fondarla”. Il Cozzano, nel momento di disorientamento che seguì alla morte di Angela, nel 1540, così descrive la nascita della Compagnia di Sant’Orsola. L’origine è divina e l’ispirazione risale alla giovinezza. Ma l’iscrizione del nome nel libro della Compagnia delle prime 28 vergini avviene solo quando Angela ha 61 anni, il 25 novembre 1535. Una gestazione durata una vita. Delle ragioni della titubanza di Angela abbiamo già detto. Si doveva “inventare” una forma di consacrazione che avesse tutta la dignità della clausura, pur restando nel mondo. Oltre alle difficoltà pratiche – bisognava pur garantire una rete di protezione, venendo a mancare quel-
Orsola e Caterina, il coraggio e l’amore Per un’impresa tanto coraggiosa, ci voleva una patrona intrepida. Orsola era una delle sante più in voga del tempo, anche se la sua vicenda – quella che Angela ed i suoi contemporanei conoscevano – si nutriva 22
più di leggenda che di storia. Ritrovamenti archeologici successivi hanno smontato l’immagine dell’impavida principessa bretone, che affrontò il martirio alla guida di una schiera di undicimila vergini. Ora si sa che le vergini erano solo 11, ma questo non toglie valore alla testimonianza di una giovane che preferì la morte alla rinuncia della verginità per il Regno di Dio. Accanto alla santa chiamata Orsola perché doveva essere forte come un orso per battere il diavolo, Angela per la sua Compagnia sceglie Caterina d’Alessandria, la mistica sposa di Cristo. Il coraggio e l’amore. O, meglio, il coraggio dell’amore, è il tratto distintivo della spiritualità mericiana, che è sì esigente, ma gioiosa. Al Brudazzo la visione parlava chiaro: angeli e vergini che suonano e cantano. Ad Angela quella melodia rimase impressa in mente, tanto che era in grado di riprodurla. Non c’era posto per la tristezza per chi veniva eletta alla dignità di sposa di Cristo.
chiede quattro condizioni primarie, precisate nel primo capitolo della Regola, che oggi possiamo rileggere nella sua versione originale grazie al ritrovamento di un codice manoscritto custodito nella Biblioteca Trivulziana di Milano. Primo: che sia vergine. Secondo: che abbia “ferma intentione di servir a Dio in tal sorta di vita”. Terzo e quarto: che “la intre allegramente et di propria voluntade”. Siamo agli antipodi dalle usanze del tempo. La donna è invitata a scegliere – non altri per lei – e la scelta deve avvenire in letizia. Ma siccome Angela aveva a cuore il valore dell’obbedienza, precisa che le ragazze devono chiedere il consenso ai genitori e, in caso di diniego, toccherà alle vergini elette al governo verificare con la famiglia se esistono impedimenti legittimi al loro ingresso.
Spose del Figlio di Dio e regine del cielo La Merici non era una sprovveduta e sapeva di dover essere chiara nello spiegare la peculiarità del nuovo carisma, visto che nella scala sociale di allora la donna nubile era ritenuta un essere inferiore. “Poiché, fi-
Una decisione libera e gioiosa E difatti, per l’ingresso nella novella Compagnia, Angela 23
difficoltà, perché “quanto più un’impresa ha valore, tanto più fatica e pericolo comporta”.
gliole e sorelle dilettissime, Dio vi ha concesso la grazia di separarvi dalle tenebre di questo misero mondo e di unirvi insieme a servire sua divina Maestà – si legge nel Prologo della Regola – dovete ringraziarlo infinitamente che a voi specialmente abbia concesso un dono così singolare. Infatti, quante persone importanti, e quante altre di ogni condizione, non hanno né potranno aver una tale grazia!”. Ciò che per il mondo è debole e disprezzato, diventa un dono di grazia. “E tanto più, sorelle mie, bisogna che siamo vigilanti, in quanto l’impresa è di tale importanza che non potrebbe essercene una di importanza maggiore, perché ne va della nostra vita e della nostra salvezza, essendo noi chiamate a tal gloria di vita, da essere spose del Figliolo di Dio e da diventare regine in cielo”. Angela chiama spose delle donne che non sono né mogli né monache. È un rovesciamento di prospettiva inaudito. L’essenza della vocazione delle vergini di Sant’Orsola è rispondere, ciascuna, all’iniziativa d’amore di Cristo e diventare, tutte insieme, testimoni di quell’amore nel mondo. È una chiamata straordinaria, ma irta di
Obbedire allo Spirito Santo Per questo Angela dona alla Compagnia una Regola, “come via lungo la quale dovete camminare, e che è stata composta per il vostro bene”. Con la perseveranza, confidando in Dio, “non solo supereremo facilmente tutti i pericoli e le avversità, ma li vinceremo anche con grande gloria e gaudio nostro”. La santificazione, dice Angela, rovesciando un altro stereotipo del suo tempo, non è data una volta per tutte a chi consacra la vita a Dio. C’è una battaglia da combattere per custodire la verginità, che non è solo un fatto biologico, ma un atteggiamento che abbraccia tutta la persona, corpo, mente e cuore. E infatti Angela non parla di castità, ma di verginità, la “sorella di tutti gli angeli, vittoria sopra la concupiscenza, regina delle virtù e signora di tutti i beni”. Solo così si spiegano le indicazioni circa la modestia nel vestire, la discrezione nel comportamento, l’impegno a non rispondere con superbia, a non 24
mormorare o a non fare le cose malvolentieri. Sono delicatissime le note che Angela detta a proposito dell’obbedienza, che le vergini sono invitate – non comandate, si badi – ad osservare, nell’ordine, alla “santa madre Chiesa, perché dice la Verità”, al vescovo e al padre spirituale, alle governatrici della Compagnia, ai genitori – “ai quali consigliamo di chiedere perdono una volta la settimana in segno di sottomissione e per conservare la carità” – alle leggi e ai governanti. “E, sopra tutto: obbedire ai consigli e alle ispirazioni che di continuo ci suscita nel cuore lo Spirito Santo, la cui voce – precisa Angela – sentiremo tanto più chiaramente quanto più purificata e monda avremo la coscienza”. Una Regola tanto rivoluzionaria nei contenuti non poteva essere più fedele all’autorità della Chiesa. Nel periodo in cui Lutero scardina la gerarchia e la pratica dei sacramenti, Angela parla di messa quotidiana, di direzione spirituale, di confessione come “necessaria medicina delle piaghe delle nostre anime”.
nione d’amore tra Padre, Figlio e Spirito Santo è modello della fraternità che deve animare la Compagnia. Senza questa premessa, la Regola rischierebbe di sembrare un elenco di cose da fare e da non fare. Invece Angela, da buona madre nello Spirito, rafforza nelle sue figlie il senso di appartenenza ad una famiglia, una Compagnia per l’appunto, dove anche chi ha incarichi di governo è chiamato a viverli come un servizio d’amore. “Vi supplico di voler tener conto e d’avere nella mente e nel cuore tutte le vostre figliole, una per una, non solamente i loro nomi, ma anche la loro condizione e la loro natura, ogni loro situazione e tutto il loro essere. Cosa che non vi sarà difficile se le abbraccerete con viva carità perché il vero amore fa così”, detterà nel Testamento a quelle vedove della nobiltà bresciana che la Merici aveva inserito nel governo della Compagnia.
Un governo al femminile L’altra portentosa novità del disegno di Angela sta infatti in un servizio di autorità laicale, materno e femminile. Come le madri biologiche, anche se
L’autorità come servizio Il Prologo comincia con l’invocazione alla Trinità: la comu25
hanno molti figli, nutrono per ciascuno una cura e un amore particolare – dirà la Merici – “a maggior ragione le madri secondo lo spirito possono e devono comportarsi così, perché l’amore spirituale è senza alcun confronto molto più potente dell’amore se- Il quadro rappresenta Sant ’Angela in mezzo alle sue ficondo natura”. glie, che apre la sua Regola il giorno della fondazione Per governa- della Compagnia, come scritto sul lato del panchetto a re la Compa- sinistra. L ’autore è ignoto; il dipinto è esposto nella gnia, dispone cripta del santuario di Sant ’Angela Merici a Brescia. anzitutto che si eleggano quattro vergini che nelle” (ossia responsabili di un “siano come maestre e guide “colonello”, di un quartiere), nella vita spirituale”. Hanno il non sono dunque delle semplici compito di visitare ogni quindi- vigilanti, ma uniscono al comci giorni tutte le vergini sparse pito formativo quello di una per la città, di confortarle ed presenza costante, amorevole, aiutarle qualora si trovino in pronta a raccogliere problemi e difficoltà o nel caso in cui i ge- dubbi. Alle “colonelle” Angela, prinitori o i superiori di casa – alcune erano a servizio come do- ma di morire, dedicherà i “Rimestiche – le trattenessero dal cordi”, invitandole a costruire e fare del bene o le spingessero a a farsi custodi della comunione tra le vergini. “Ed io sarò semfare il male. Le vergini del governo, che pre in mezzo a voi, aiutando le prenderanno il nome di “colo- vostre preghiere”. 26
Il coinvolgimento delle vedove
Quattro “padri” per la Compagnia
Nel caso in cui non siano in grado di risolvere le controversie da sole, le “colonelle” sono invitate a rivolgersi alle matrone. Il governo prevede infatti anche l’elezione di quattro vedove, “prudenti e di vita onesta”, che “siano come madri nell’essere sollecite circa il bene e l’utilità delle figlie spirituali”. Angela è la prima, nella storia delle fondazioni religiose, ad attingere all’esperienza delle vedove, che, per il loro prestigio, fungevano da garanti della Compagnia di fronte all’opinione pubblica. Alle matrone la Merici dedica il Testamento o Legati, consapevole che senza concordia tra i membri al governo non ci può essere nemmeno concordia alla base. “Né altro segno vi sarà che si sia in grazia del Signore che l’amarsi e l’essere unite insieme”, le ammonisce. E ancora, quasi presagendo le tempeste che scuoteranno la Compagnia: “Non lasciate che cresca il seme della discordia, perché sarebbe una pestilenza di cattivo esempio per la città e anche altrove”.
Lo spirito pratico di Angela le suggerisce di completare il governo con l’elezione di quattro uomini, “di età matura e d’esperienza”, che “siano come agenti, e anche padri, per gli eventuali bisogni della Compagnia”. In una società prettamente maschile, era indispensabile poter contare su qualcuno che potesse intervenire sul piano giuridico, per difendere quelle vergini defraudate dell’eredità o del salario, e per altre questioni di carattere legale. Gli uomini non hanno ruoli centrali di governo, ma non ne sono esclusi. Quello della Compagnia, nella visione di Angela, è un governo nello stile della corresponsabilità, che, come in ogni famiglia, necessita di un padre come di una madre. Le cose cambieranno in seguito, con le modifiche alla Regola che porteranno ad evidenziare la figura del padre spirituale e del Vescovo, e il moltiplicarsi delle figure di riferimento, tramite l’elezione, per ogni quartiere, di una matrona in veste di superiora generale, di una vergine-maestra e di una vergine-“colonella”. 27
L’ATTUALITA’ DI ANGELA MERICI La stella sopra S. Afra
gente e fornire un’ulteriore garanzia alle vergini, propose di introdurre un segno esteriore – una cintura di cuoio – che permettesse di distinguerle, per la loro scelta di consacrazione, dalle altre donne che vivevano nel mondo. Contro questa proposta si schiera il Cozzano, insieme alla matrona Ginevra Luzzago e a un gruppetto di vergini. Hanno l’appoggio anche del vicario Ferretti, che minaccia di scomunica il gruppo della Lodrone. Nel 1544 arriva l’approvazione pontificia della Regola. Oltre ad autorizzare eventuali modifiche (punto a favore del partito della cintura), riconosce alle vergini della Compagnia il diritto di riscuotere la dote o ricevere un’eredità. Il nuovo stato di vita acquista legittimità, al pari del matrimonio e della monacazione. Morta la Lodrone, i gruppi rivali elessero due madri generali: il gruppo all’opposizione, quello che godeva dell’approvazione diocesana, scelse la Luzzago, l’altro Veronica Buzzi. Angela aveva promesso che non avrebbe mai abbandonato la Compagnia, che ne sarebbe stata
L’approvazione diocesana alla Regola è del 1536. L’anno dopo, la Compagnia si riunisce per il primo Capitolo: Angela viene eletta all’unanimità madre, ministra e tesoriera a vita. È lei stessa a nominare come successore la matrona Lucrezia di Lodrone. Ma la sua salute è sempre più fragile. Muore il 27 gennaio del 1540. La salma è trasferita in Sant’Afra. Per tre sere, una stella brilla allo zenit.
Lo scisma e la rinascita Angela non aveva avuto il tempo di nutrire la sua pianticella come avrebbe voluto. Il tono accorato dei Ricordi e del Testamento rivela la sua preoccupazione. E difatti subito si scatenano i veleni contro la Fondatrice; alcune vergini, disorientate, sono spinte ad abbracciare la clausura. Il governo reagisce come può. Angela era una donna carismatica, la Lodrone una donna di comando. Agì pensando al bene della Compagnia, ma finì con il provocarne la scissione. Per riacquistare credito agli occhi della 28
della cintura e il programma di ammissione in tre tappe. Sarà la visita apostolica del cardinal Borromeo a Brescia e la riforma della Regola, stampata nel 1582, a segnare una fase di espansione che si accompagna ad una parziale perdita della portata originaria del messaggio della Merici.
Una santa per l’oggi Troppo moderna, per quei tempi. Straordinariamente attuale, per i nostri. Angela si è mossa, come lo Spirito le ha suggerito, nelle maglie di un sistema codificato, permettendo – evento rivoluzionario – che delle donne potessero scegliere come spendere la propria vita e invitandole a testimoniare, laddove si trovavano, l’amore di Cristo per l’umanità. Si tratta, in fondo, di quella santità del quotidiano cui è chiamato ogni battezzato. È per questo che Angela continua ad esercitare oggi la sua “maternità della parola”, tra le donne che scelgono di seguirla come “spose del Figliol di Dio” e tra i laici affascinati dalla sua spiritualità. Una spiritualità in cui Dio non è il giudice severo che osserva dall’alto i destini dell’uomo, ma il Dio-Amore che sta sulla soglia, pronto ad abbracciare il figlio che vede da lontano.
Ritratto di S. Angela Merici eseguito da Alessandro Bonvicino detto il Moretto, il maggior rappresentante del Rinascimento pittorico bresciano. Rappresenta l'unico ritratto dal vero della Santa, eseguito subito dopo la sua morte. La sua realizzazione fu possibile grazie alla prolungata esposizione del corpo della Merici in S. Afra.
Madre per sempre. Si deve forse a un suo intervento dal cielo se lo scisma non portò alla rovina la neo-riconosciuta istituzione. Nel 1558, alla morte della Luzzago, viene eletta Bianca Porcellaga. È la riunificazione. Con la nomina della Buzzi nel 1569 e di Isabetta Prato nel 1572 la Compagnia è traghettata verso la fase istituzionale. Viene fatta stampare la Regola dall’editore Turlino nel 1569, che rispecchia l’originale, salvo l’introduzione 29
La vita 1474
Angela Merici nasce a Desenzano sul Garda (Brescia), penultima di cinque figli. Il padre Giovanni, cittadino di Brescia, possedeva alcuni terreni e del bestiame in questa zona. Passa l’infanzia nella cascina in località “Le Grezze”. La sera, il padre legge i libri spirituali sulle vite dei santi, che lasciano in Angela un ricordo vivissimo.
1492
Perduti nel giro di poco tempo i genitori e la sorella maggiore, con il fratellino viene accolta a Salò in casa degli zii materni. Fugge l’eleganza dell’ambiente salodiano e si fa terziaria francescana: per tutti diventa “sur Anzola”. Torna a Desenzano, dove si occupa della casa, dei campi e delle opere di carità. Al Brudazzo, ha una visione di angeli e di vergini; una di loro le predice che fonderà una Compagnia di vergini.
1516
I superiori francescani la inviano a Brescia per svolgere una missione di conforto in casa di Caterina Patengola, che ha perso il marito e i figli. Molti in città cominciano a rivolgersi a lei per avere consigli e come mediatrice per redimere le controversie.
1517
Fino al 1529 è accolta nella casa del giovane mercante Giovanni Antonio Romano. Il Romano sarà tra i testimoni del “Processo Nazari” nel 1568, il primo tentativo di raccogliere elementi sulla biografia di Angela in vista della canonizzazione.
1524
Parte per il pellegrinaggio in Terra Santa insieme al Romano e al cugino Bartolomeo. All’inizio del viaggio perde quasi completamente la vista; la recupererà solo durante il ritorno, pare di fronte ad un crocifisso miracoloso.
1525
È pellegrina, alla volta di Roma. Incontra Papa Clemente VII, 30
che la invita a restare per prestare servizio nei “luoghi pii” per l’assistenza ai malati. Angela rifiuta, come aveva fatto di fronte ad un analogo invito a Venezia l’anno prima. 1529
Temendo che le truppe spagnole di Carlo V assedino Brescia, sfolla a Cremona, ospite di Agostino Gallo, anche lui futuro testimone al “Processo Nazari”. Intensifica le penitenze ed i digiuni per impetrare la pace, al punto che si ammala ed è in fin di vita. Si riprende miracolosamente. Continua la sua opera di “maternità della parola”, ricevendo anche i nobili della corte in esilio di Francesco Sforza, che le si era affidato come figlio spirituale.
1530
Tornata a Brescia, è accolta nella casa del Gallo, prima di trasferirsi presso San Barnaba e, infine, in un locale annesso alla chiesa di Sant’Afra, dove inizia a riunire gruppi di ragazze che desiderano consacrarsi a Dio pur restando nel mondo. Una nobildonna rimasta vedova, Isabetta Prato, mette a disposizione un oratorio per gli incontri nella sua casa in piazza Duomo.
25/11/1535
Nel giorno della festa di Santa Caterina d’Alessandria, nasce la Compagnia di S. Orsola con l’ammissione delle prime 28 vergini. Angela detta la Regola al segretario Gabriele Cozzano, che la sottopone al vicario episcopale Lorenzo Muzio. L’approvazione diocesana arriva l’8 agosto 1536.
18/3/1537
Primo Capitolo della Compagnia: Angela è eletta madre generale, ministra e tesoriera a vita.
1539-‘40
Le sue condizioni di salute peggiorano. Detta al Cozzano i “Ricordi” per le colonelle e il “Testamento” per le matrone.
27/1/1540
Muore a Brescia e viene sepolta nella chiesa di Sant’Afra, ora santuario a lei dedicato.
24/5/1807
È proclamata santa. Il suo carisma continua con la Compagnia di Sant’Orsola, Istituto Secolare di diritto pontificio dal 1958, e con gli Istituti di suore Orsoline sparsi in Europa e Oltreoceano. 31
Bibliografia TESTI: MARIANI L. E TAROLLI E. (a cura di), “Gli scritti di Sant’Angela Merici”, ed. Queriniana, Brescia, 1996, ed. Queriniana, Brescia, 1996. TAROLLI E. (a cura di), “Angela Merici. Lettere del Segretario (1540-1546)”, ed. Ancora, Milano, 2000. ANGELI P., “La profezia di Angela Merici. Una sfida per il nostro tempo”, Ed. Paoline, Milano, 2005. MARGONI A., “Angela Merici. L’intuizione della spiritualità secolare”, Ed. Rubbettino, Catanzaro, 2000. STUDI: Mariani L., Tarolli E., Seynaeve M., “Angela Merici, contributo per una biografia”, Ed. Ancora, Milano, 1986.
COMPAGNIA DI SANT’ORSOLA ISTITUTO SECOLARE DI SANT’ANGELA MERICI FEDERAZIONE recapito c/o Casa Betania via S. Vittore, 49 - MILANO e-mail: fed.comp@libero.it www.istitutosecolareangelamerici.org
A lato, l ’urna con il corpo di Sant ’Angela Merici nella chiesa a lei a dedicata a Brescia. 32