INDICE 0. INTRODUZIONE
p.6
1. LA SARDEGNA E I SUOI PAESI 1.1 Il sistema insediativo sardo, la sua crisi e l’inizio dello spopolamento
p.10
1.2 Dinamiche dello spopolamento oggi
p.21
1.3 Le opportunità e le strategie di intervento
p.46
2. LA SFIDA DELLA SOSTENIBILITA’ 2.1 L’impatto ambientale delle città
p.58
2.2 Gli ecoquartieri
p.60
2.3 Certificazioni ecologiche per quartieri
p.88
3. L’ECOMUNITA’ 3.1 Introduzione al modello
p.98
3.2 Assi strategici
p.101
3.3 Protocollo
p.110
4. IL CASO STUDIO 4.1 La scelta del sito
p.120
4.2 L’ecomunità Meilogu Sud
p.134
4.3 Conclusioni
p.153
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
0. INTRODUZIONE Il presente manuale si offre come uno strumento per contrastare il fenomeno dello spopolamento dei paesi sardi attraverso la sostenibilità e l’innovazione. Esso si rivolge sia alle amministrazioni pubbliche che ai cittadini che, singolarmente o in gruppo, intendano interessarsi a questi temi nell’ottica di una fattiva applicazione delle linee progettuali proposte. A partire da un’analisi del problema e delle strategie messe in atto ad oggi per tentare di limitare la marginalizzazione delle Aree Interne della Sardegna, il manuale individua le opportunità offerte da queste aree, in particolare in relazione alla loro elevata qualità ambientale e al patrimonio sociale e culturale che rappresentano, e propone una rivitalizzazione delle stesse basata sull’offerta di modi dell’abitare più sostenibili e attenti al territorio. Tale strategia di rigenerazione territoriale si basa su una duplice constatazione: da un lato quella della crescente sensibilità nei confronti della sostenibilità ambientale e del conseguente aumento della domanda di insediamenti più sostenibili, dall’altro quella della possibilità di implementare il sistema insediativo sardo, con i suoi piccoli nuclei compatti distribuiti su un territorio poco antropizzato, per proporre stili di vita innovativi e rispettosi della dimensione ambientale e allo stesso tempo contribuire al recupero di un patrimonio sociale, storico e culturale significativo. Il manuale analizza i moderni strumenti della progettazione sostenibile alla scala urbana, proponendo una serie di esempi di ecoquartieri e certificazioni urbane di sostenibilità. Lo studio di questi esempi si concretizza in un modello di sviluppo sostenibile pensato espressamente per i paesi della Sardegna in via di spopolamento: l’ecomunità. Questo modello individua una serie di assi strategici e pratiche sostenibili attraverso cui realizzare gli obiettivi di rigenerazione precedentemente descritti e propone la collaborazione e la gestione congiunta del territorio da parte di gruppi più o meno numerosi di paesi sardi. Infine, il manuale propone un’applicazione concreta del 5
modello dell’ecomunità alla regione storica del Meilogu. Questo sito di progetto viene individuato come caso significativo sia per l’intensità con cui è investito dal fenomeno dello spopolamento, sia per le opportunità di sviluppo che potrebbe offrire, grazie alla relativa prossimità con centri di rilievo quali Sassari e Alghero, alle potenzialità storico-naturalistiche del territorio e alle tracce di intraprendenza economica e sensibilità ambientale che sembra mostrare da qualche anno.
6
7
1. LA SARDEGNA E I SUOI PAESI 1.1 Il sistema insediativo sardo, la sua crisi e l’inizio dello spopolamento La Sardegna è sempre stata un territorio a bassa densità, caratterizzato tuttavia in passato da una struttura interna consolidata nel tempo ed equilibrata. Complici la storica fragilità dell’armatura urbana e la prevalenza del tessuto rurale, oggi il sistema insediativo sardo risulta profondamente indebolito e le Aree Interne subiscono un processo di spopolamento e marginalizzazione apparentemente inesorabile. Nel 1861 e almeno fino a un secolo più tardi (come mostrano i dati demografici dell’epoca e gli studi effettuati su di essi) la regione era costellata da nuclei insediativi piccolissimi e compatti tra i quali spiccavano città grandi e medie su cui si imperniavano le reti insediative. I centri abitati si concentravano nella fascia occidentale dell’isola, lungo l’asse di comunicazione punico-romano il cui tracciato è oggi ricalcato dalla SS131 che collega Cagliari e Sassari. I paesi sardi si presentavano come impianti edilizi minuti ma complessi, segnati dalla netta separazione fra il piccolo spazio destinato alla vita sociale, al lavoro e alla residenza e il vasto territorio agricolo e boschivo, privo di segni apprezzabili di urbanizzazione e presenza insediativa diffusa. Era un territorio sostanzialmente privo di infrastrutture, segnato prevalentemente dagli elementi naturali della morfologia del terreno. La popolazione complessiva, pari nel 1861 a 609.015 abitanti, si distribuiva sul territorio in modo disomogeneo, con una densità abitativa media di poco superiore ai 20 abitanti/kmq (già ben al di sotto della media nazionale) che raggiungeva però valori inferiori ai 10 abitanti/kmq in alcune regioni storiche come quelle del Cixerri, del Sulcis, del Sarrabus, del Gerrei, dell’Ogliastra, delle Baronie, del Monte Acuto, della Gallura e del Nuorese. A partire dagli inizi del Novecento, le successive modificazioni economiche ed insediative (bonifiche, nascita dei primi 9
Carta 1
10
11
2. LA SFIDA DELLA SOSTENIBILITA’ 2.1 L’impatto ambientale delle città La sostenibilità, come possibile risposta alla crisi ambientale e al cambiamento climatico, è un tema ormai diffuso da diversi anni, la cui importanza in chiave economica, sociale e ambientale è, almeno sulla carta, universalmente riconosciuta. La definizione di sviluppo sostenibile, da cui deriva il concetto di sostenibilità, risale al 1987, ad opera della Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo (Commissione Bruntland) del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente. Secondo questa definizione, si intende per sviluppo sostenibile uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere le possibilità delle generazioni future di realizzare i propri. L’approccio dettato da questo concetto rappresenta un tentativo di conciliare le istanze di sviluppo economico e sociale richieste dalle comunità e le necessità di salvaguardare l’ambiente, tenendo conto della limitatezza delle sue risorse e dell’impatto esercitato dall’uomo su di esso. L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, adottata dai leader mondiali nel 2015, costituisce il nuovo quadro di sviluppo sostenibile globale e stabilisce 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (OSS). L’undicesimo degli obiettivi individuati, Sustainable Cities and Communities: Make cities inclusive, safe, resilient and sustainable, si riferisce direttamente alla sostenibilità delle città in cui viviamo e molti altri degli obiettivi fissati dall’ONU riguardano più o meno apertamente gli impatti ambientali, economici e sociali dell’habitat che l’uomo ha costruito per sé: la città. Secondo dati forniti dallo stesso ONU, le città sono responsabili dell’80% dei consumi di energia, del 70% dello sfruttamento di risorse e del 75% dei rifiuti e delle emissioni di carbonio globali. Inoltre, fin dal 2007, più del 50% della popolazione mondiale si concentra nelle città, che pure occupano solo una porzione pari a circa il 2% della superficie terrestre. 57
Tuttavia la densità abitativa, pur essendo un fattore amplificante per gli impatti ambientali come per qualsiasi prodotto dell’attività umana, non basta a spiegare la mancata sostenibilità degli insediamenti urbani, attribuibile piuttosto ad una gestione dello spazio, del territorio e delle risorse spesso poco efficiente e lungimirante. Da questa constatazione, in base alla quale i grandi impatti ambientali delle città deriverebbero da problemi eminentemente architettonici di organizzazione e qualità dello spazio [es. urbanizzazione rapida e non pianificata, edilizia di scarsa qualità, inefficienza dei trasporti, mancanza di servizi, inadeguata gestione dei rifiuti e delle acque], nascono numerose esperienze che, in linea con le strategie ONU e con il rilevamento del grande impatto ambientale delle città, tentano di ripensare i modi e i luoghi in cui viviamo e di proporre insediamenti e stili di vita più sostenibili. Da questo filone di ricerca nascono esperienze come quelle degli ecoquartieri e delle certificazioni ambientali urbane o di quartiere, che, riferendoci principalmente alla situazione europea, cercheremo di analizzare nei paragrafi successivi, al fine di trarne utili spunti per la definizione di un modello di sviluppo sostenibile per i paesi sardi, che possa rilanciarli come possibile alternativa alle città poco sostenibili in cui viviamo. 2.2 Gli ecoquartieri Se i numeri legati all’impatto ambientale delle città nel mondo sono quelli riportati poco sopra, la situazione non cambia, ma anzi si accentua ulteriormente, se si restringe il campo di analisi alla sola Europa. Le città ospitano circa il 70% della popolazione europea, utilizzando l’80% delle risorse energetiche. Esse producono l’85% del PIL europeo, ma sono anche i luoghi dove la disoccupazione, la segregazione, la povertà e l’inquinamento sono più accentuati. Per questo ormai da anni, in Europa, si dibatte sull’impatto ambientale dei centri urbani e sulla necessità di sviluppare politiche green. Gli ecoquartieri, esperienza nata sulla scia di questo 58
60
dibattito, si sono sviluppati a partire dagli anni Novanta. Essi sono quartieri concepiti ed edificati con l’obiettivo di portare nell’abitato un’elevata qualità di vita , creando al contempo le condizioni per una riduzione dell’impatto ecologico delle attività umane. Gli ecoquartieri sono pensati per aiutare gli abitanti ad adottare stili di vita più sostenibili, soprattutto per quanto riguarda la mobilità ed i consumi energetici delle case, aspetti ancora più fondamentali se si considera che più del 70% dell’impatto ambientale causato dalle singole persone è dato dal consumo energetico delle abitazioni, dalla mobilità e dall’alimentazione. Vengono solitamente individuate tre tipologie di ecoquartieri: i quartieri storici, dove gli interventi mirano a sviluppare soluzioni tecno-sociali compatibili con la geografia dell’area; zone rigenerate energicamente o strutturalmente, oppure aree nuove rivolte a élite responsabili o a collettivi di co-housing. Secondo la Carta di Lipsia delle Città Europee sostenibili, documento in cui vengono indicate le linee guida dell’approccio dell’UE allo sviluppo delle città, un ecoquartiere è tale quando: - azzera il consumo di nuovi suoli per usi urbani; - riduce al minimo i consumi di energia; - raccoglie e ricicla materiali e rifiuti; - controlla e organizza l’uso dell’acqua; - fornisce servizi e spazi di incontro favorendo inclusione sociale; - si interfaccia e si connette con altri quartieri; - ridefinisce lo spazio pubblico per dare priorità agli spostamenti pedonali e ciclabili; - riduce le emissioni inquinanti da traffico. In alcuni paesi Europei i quartieri sostenibili sono una realtà già da parecchi anni. Tra i primi paesi a investire nella transizione ecologica troviamo la Germania (e in particolare la città di Friburgo, che da anni si distingue per le politiche di forte impronta ambientalista), la Finlandia, la Danimarca e la Svezia, seguite da Francia e Inghilterra. In Italia i primi ecoquartieri si sono sviluppati in tempi più recenti, con interventi come Casanova a Bolzano, il 61
progetto She a Pesaro, Le Albere di Trento e Santa Giulia a Milano. Circa 30 anni di esperienza nella realizzazione di ecoquartieri, considerando i differenti contesti ma anche i tempi necessariamente lunghi che interventi su larga scala implicano, consentono di fare alcune considerazioni, utili ad implementare in futuro una pratica che ha già prodotto interessanti risultati nel campo della sostenibilità. Gli ecoquartieri rappresentano già oggi una prima concreta risposta alla mancanza di sostenibilità delle città in cui viviamo, segnando effettivi miglioramenti rispetto agli insediamenti tradizionali e diventando esempi di come qualità della vita, tutela del territorio, recupero dell’esistente, risparmio energetico, energie rinnovabili, servizi e senso comunitario possano svilupparsi parallelamente. Non trascurabile è inoltre il forte valore simbolico che tali interventi assumono, assurgendo spesso a simbolo dell’impegno profuso dalla città per una politica ecologica e sostenibile. In alcuni casi infatti gli interventi sostenibili messi in atto negli ecoquartieri hanno attirato l’attenzione non solo dei cittadini ma anche dei turisti, dando vita al fenomeno del turismo green, interessante anche per i risvolti economici che può avere nelle città che ne siano interessate. Pur nella complessiva e indubbia positività dell’esperienza degli ecoquartieri, alcuni aspetti sembrano essere ancora migliorabili: la limitata diffusione ma anche le ancora difficili applicazioni a comparti edificati esistenti e, in alcuni casi, l’interpretazione semplicistica del concetto di sostenibilità, che tiene conto quasi esclusivamente degli aspetti energetici, trascurando qualità spaziale e socialità. La diffusione degli ecoquartieri risulta ancora limitata rispetto alla necessità, soprattutto se si considera la bassa qualità media del costruito che caratterizza paesi come l’Italia. Ciò deve probabilmente essere imputato a ragioni di carattere politico ed economico e quindi, da una parte, alla mancanza di lungimiranza e capacità pianificatoria di molte amministrazioni, dall’altra, agli elevati costi che la progettazione e la costruzione di un ecoquartiere determinano, ripercuotendosi alla lunga anche sul costo 62
degli immobili, quando non vengano integrati interventi di social housing e adeguate attività partecipative. Tuttavia è anche opportuno evidenziare come, accanto a risposte tecniche ormai in grado di contenere le spese, i maggiori costi sostenuti inizialmente siano investimenti che daranno i loro frutti nel medio termine, riducendo spese e consumi, generando nuove economie e favorendo iniziative private parallele. Ulteriore non trascurabile ragione della limitata diffusione degli ecoquartieri può essere considerata anche la difficile applicazione ai comparti edificati esistenti, specialmente in un contesto, come quello europeo, già fortemente urbanizzato, in cui le necessità di riqualificazione superano spesso quelle di espansione. La riqualificazione ecologica di quartieri esistenti presenta senza dubbio problematiche tecniche, ambientali, economiche e sociali più complesse rispetto alla realizzazione ex novo (si pensi ad esempio alla difficile e costosa bonifica dei siti inquinati) ma può allo stesso tempo trarre benefici e imput dalle preesistenze, non solo fisiche ma soprattutto sociali (come si vede nell’interessante caso di Caseria de Montijo, a Granada, analizzato in seguito). Infine non sempre, nei suoi 30 anni di vita, l’esperienza degli ecoquartieri è riuscita a esprimere pienamente la complessità del concetto di sostenibilità, che riunisce in sé aspetti ambientali, economici e sociali. Non mancano i casi in cui la realizzazione di un ecoquartiere si è tradotta, nella pratica urbanistica e architettonica, in interventi esclusivamente attenti all’aspetto energetico e che, pur ottenendo risultati anche molto buoni in termini di prestazioni energetiche degli edifici e, eventualmente, uso di risorse energetiche rinnovabili, trascurano completamente aspetti come il verde, la mobilità, i servizi, che ricoprono un ruolo altrettanto importante nel determinare qualità della vita e sostenibilità di un insediamento. Di seguito vengono analizzati alcuni casi studio, scelti tra le esperienze ritenute più significative.
63
LOCALIZZAZIONE DEI CASI STUDIO
64
LEGENDA
65
66
76
3. L’ECOMUNITA’ 3.1 Introduzione al modello L’ecomunità è un modello di sviluppo sostenibile pensato per i paesi della Sardegna in via di spopolamento. Esso coniuga le intrinseche qualità ambientali, storiche e sociali di questi luoghi e gli strumenti dell‘innovazione e della progettazione ecosostenibile per rivitalizzare e ripopolare le Aree Interne della Sardegna e proporre modi dell’abitare che, senza pregiudicare i comfort e gli stili di vita moderni, riescano a essere più sostenibili per il pianeta. Un’ecomunità è costituita da una rete di almeno 6 comuni contigui, di cui almeno la metà in condizione grave o gravissima di spopolamento, ma allo stesso tempo dotati di un livello minimo di servizi e di un indice ambientale elevato (vedi paragrafo 1.2). I paesi facenti parte dell’ecomunità collaborano nella gestione del territorio, per conservare l’elevata qualità ambientale dei luoghi, per migliorare l’uso delle risorse e dell’energia, per garantire agli abitanti i servizi essenziali, per promuovere lo sviluppo economico, per sfruttare il patrimonio edilizio in disuso, per rivitalizzare le comunità e contrastare lo spopolamento. Il presente manuale individua una serie di assi strategici attraverso cui raggiungere gli obiettivi che il modello dell’ecomunità si prefigge; infine, nel protocollo dell’ecomunità, prescrive le modalità di intervento e le azioni necessarie per l’effettiva realizzazione dell’ecomunità. All’interno delle linee guida e delle norme così definite la gestione dell’ecomunità e tutte le decisioni specifiche (premialità e sanzioni incluse) che la realizzazione del modello richiede sono affidate ad un organo collegiale, il Consiglio dell’ecomunità. Questo sarà formato dai sindaci dei comuni interessati e da due rappresentanti di ciascun comune membro. Sindaco e rappresentanti dovranno mensilmente rendere conto dei progetti portati avanti dall’ecomunità in un’assemblea aperta a tutti gli abitanti di ciascun paese.
97
98
3.2 Assi strategici LOCALIZZAZIONE Il modello dell’ecomunità è pensato per i paesi della Sardegna e, in particolare, per i comuni situati nelle Aree Interne e in via di spopolamento. Il modello si applica a territori già almeno parzialmente antropizzati e urbanizzati, non comportando ulteriore consumo di suolo ma al contrario favorendo il recupero del patrimonio edilizio (e così delle riserve di energia, materiali e storia in esso incorporate), lo sviluppo delle comunità esistenti e la cura del territorio attraverso la messa a sistema di comuni caratterizzati da necessità e opportunità simili e da una certa prossimità fisica. La scelta di costruire un modello reticolare e scalabile di sviluppo sostenibile per i paesi sardi in via di spopolamento nasce dalla convinzione che il sistema insediativo sardo (fatto di piccoli nuclei compatti distribuiti sul territorio e posti a breve o media distanza gli uni dagli altri) che da anni mostra segni di difficoltà, possa, con un opportuno miglioramento dei servizi e dei trasporti e con l’introduzione di tecnologie volte alla preservazione delle risorse e dell’energia, offrire modi dell’abitare innovativi e sostenibili, combinando il controllo del territorio (reso possibile dalla distribuzione degli insediamenti) con la compattezza degli stessi (che consente ad ampie porzioni di territorio di conservarsi inalterate o prestarsi agli usi rurali). TUTELA DEL TERRITORIO Il modello prevede che ogni intervento, sviluppandosi come si è detto all’interno di aree già urbanizzate e lungo assi infrastrutturali esistenti (eventualmente potenziati), limiti al massimo le ulteriori interferenze con l’ambiente circostante, premurandosi tuttavia di verificare la compatibilità ambientale e i possibili impatti su aree protette, comunità ecologiche, specie in pericolo, corpi idrici e zone umide. Il modello dell’ecomunità include l’utilizzo di strategie migliorative (bonifica dei siti inquinati, ripristino dell’ambiente naturale, delle zone umide e dei corpi idrici, interventi di mitigazione e compensazione) per gli impatti ambientali eventualmente riscontrati in essere, con particolare atten99
100
zione ai fenomeni che potrebbero mettere a rischio l’incolumità di persone e strutture (rischio idrogeologico, frane, esondazioni). E’ inoltre consigliata la realizzazione di piani di gestione e manutenzione a lungo termine (10 anni) delle componenti ambientali, delle aree verdi, dei corpi idrici ecc. La tutela del territorio viene pensata dal modello non tanto in senso vincolistico ma piuttosto come “cura delle risorse territoriali”: attraverso la tutela ambientale passa infatti la “sicurezza del territorio”, precondizione – insieme ai servizi essenziali – per contrastare i fenomeni di abbandono e di declino demografico e rilanciare processi di sviluppo. E’ proprio la popolazione residente a rendere possibile ed efficace la messa in sicurezza del territorio, prendendosene cura in prima persona attraverso comportamenti proattivi e azioni quotidiane piuttosto che attraverso i grandi ma spesso tardivi e sporadici interventi pubblici. Allo stesso tempo un più stretto contatto tra la popolazione residente e il proprio territorio rappresenta un’occasione per cogliere possibili opportunità di crescita economica. In quest’ottica, al fine di promuovere la creazione di un legame tra tutela del territorio, sviluppo e lavoro, il modello dell’ecomunità si presenta come uno strumento per convogliare investimenti sulle comunità locali, sui settori dell’energia, della foresta, del cibo e dei sistemi ecosistemici, per restituire alle comunità la gestione e l’accesso alle risorse locali (accesso alla terra, utilizzo delle risorse idriche, la gestione dei vincoli), per favorire la coproduzione di servizi innovativi (ecoservizi), per valorizzare le risorse naturali e culturali favorendo lo sviluppo del turismo verde e naturalistico. (vedi LAVORO) GESTIONE DELLE ACQUE Legandosi ancora alla tutela delle risorse ambientali, il modello prevede strategie diverse per i vari aspetti legati alla gestione dell’acqua all’interno dell’area di progetto. In relazione alla conservazione e al ripristino delle zone umide e dei corpi idrici e alla gestione del rischio idrogeologico, l’ecomunità tutela la vita e la proprietà, promuovendo la conservazione degli spazi aperti e degli habitat e la qualità dell’acqua e dei sistemi idrogeologici (vedi TUTELA DEL 101
4. IL CASO STUDIO 4.1 La scelta del sito Il manuale si conclude con un’applicazione del modello di ecomunità. Il caso studio preso in esame non vuole presentarsi come esempio esauriente delle possibilità del modello, a sua volta suscettibile di miglioramenti e correzioni, ma piuttosto come prima verifica dell’attuabilità delle strategie proposte dal manuale, degli elementi da prendere in considerazione e dei possibili effetti degli interventi suggeriti. Nell’esempio studiato vengono trascurati, consapevolmente e in via temporanea, l’aspetto partecipativo, l’indagine sul campo e il coinvolgimento della popolazione e delle amministrazioni locali che sarebbero necessari per un’ottimale realizzazione del modello di ecomunità. La scelta dell’area sulla quale testare, con le limitazioni sopra chiarite, il protocollo proposto è ricaduta sulla regione storica del Meilogu, ritenuta significativa da vari punti di vista. La regione e i 15 comuni che la compongono, come riscontrato anche nel paragrafo 1.2, sono caratterizzati da episodi di spopolamento continuati nel tempo e presentano uno stato di malessere demografico grave se non gravissimo, posizionandosi tra le aree più periferiche della Sardegna. Anche gli indici di reddito, occupazione, servizi, istruzione e salute rimandano ad una condizione di deprivazione multipla sicuramente rilevante nell’inasprire il fenomeno dello spopolamento all’interno della regione storica considerata. Basti pensare che, tra i 15 comuni presi in esame, solo 3 (Bonorva, Pozzomaggiore e Thiesi) superano i 1000 abitanti. A fronte di ciò il Meilogu presenta caratteristiche peculiari che potrebbero consentire un’efficace applicazione del modello di ecomunità e rappresentare significative opportunità di ripresa per il territorio. (Carta 13) La posizione dell’area risulta particolarmente favorevole per la sua centralità e per la relativa prossimità a centri di rilievo come Sassari e Alghero ma anche alle principali vie di 121
Carta 13
122
123
Carta 14
124
125
Carta 15
128
129
Carta 16
130
131
Carta 17
132
133
Carta 19
138
139
Carta 21
144
145
Carta 24
150
151