Il filo rosso della memoria

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questo lavoro è dedicato a Celestina Tanzi, di San Donato, partigiana e donna che resta nel cuore di chi l'ha conosciuta. Dalle sue mani abbiamo ricevuto la nostra Bandiera e con essa una eredità preziosa: l'impegno per il futuro e l'orgoglio della memoria

Bologna

Anpi San Donato “Casali - Romagnoli”

il fi lo rosso della memoria


la memoria della Resistenza in San Donato Nelle strade del nostro quartiere donne e uomini hanno vissuto e combattuto per libertà e democrazia, molti sono morti. Eppure i più non sanno, non ricordano: troppo distratti o troppo giovani; oppure arrivati qui da altre città e altri paesi. Anche la narrazione pubblica cancella sempre più la memoria partigiana.

Abbiamo voluto restituire questa memoria al nostro San Donato - da sempre quartiere operaio, popolare, antifascista - riallacciando il filo rosso che - ne siamo convinti - lega quelle vicende e quelle vite del passato con i nostri ideali e il nostro presente.

Non volevamo spiegare la Storia: storici ed insegnanti lo fanno meglio di quanto mai potremmo fare noi; volevamo raccontare storie di persone, con un nome, un viso, un mestiere, insomma una vita perché tornino ad essere per questa comunità molto più di un nome su una lapide.

Ma soprattutto perché pensiamo che non ci sia bisogno di sottolineature o di enfasi: i fatti parlano da soli, per chi ha orecchie e cuore per ascoltarli. Due sono gli assi di questa narrazione: i luoghi e le persone.

I luoghi sono sia quelli legati agli eventi di quegli anni – la storia - che quelli in seguito dedicati ad essi – la memoria - cioè sia l’evento che il ricordo che ne abbiamo conservato: così il territorio è diventato un racconto, una storia di cui ci sentiamo parte. ricerca, editing, grafica: viviana verna

Le persone sono sia partigiani che vittime “civili” della violenza nazifascista, legati a San Donato per esserci vissuti o averci combattuto; o perché le loro famiglie sono venute a vivere qui e fanno parte di questa comunità.

Le loro storie abbiamo voluto raccontarle con semplicità, senza retorica, così che “arrivassero” con immediatezza anche ai più giovani, o ai nuovi cittadini che non hanno ancora familiarità con la nostra lingua e la nostra storia.

Abbiamo scelto di omettere i dettagli più crudeli, le immagini più tremende, perché speriamo che questi racconti possano appassionare e coinvolgere anche i più giovani nelle scuole, che è giusto che sappiano ma ai quali va risparmiata la visione dell’orrore. Siamo sicuri che resti intatta, chiara e forte, la verità dei fatti e il loro significato.

Abbiamo pensato allora ai cantastorie, che raccontando una storia di parole ed immagini, tenevano viva la memoria popolare. I nostri partigiani sono coloni, operai, camerieri, casalinghe, fornai, contadine: la Resistenza è stata lotta di popolo e deve restare nella memoria popolare.

Ecco allora il racconto delle vite di uomini e donne che sono morti ma, soprattutto, hanno vissuto "in direzione ostinata e contraria" all'ingiustizia e alla dittatura: dalle loro voci stiamo imparando qualcosa sul nostro presente e sulla dignità e il coraggio necessari per attraversarlo.

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il fi lo rosso della memoria

:: LA MEMORIA 1

GIARDINO PASELLI, via Repubblica - a Franco Paselli, neonato trucidato a San Martino di Caprara

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CASA DEL POPOLO CORAZZA, via Andreini n. 2 - al partigiano Leonildo Corazza

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GIARDINO BENTIVOGLI, via San Donato n. 68 - al partigiano Renato Bentivogli “Renè” GIARDINO SCHIASSI, via Sighinolfi - all’antifascista Omero Schiassi

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VIA GALEOTTI, via S.Donato/p.zza Mickiewicz - al partigiano Ermanno Galeotti VIA MASETTI, via S.Donato/via Michelino - al partigiano Corrado Masetti 13 LAPIDE CENTRO CIVICO ZANARDI a partigiani caduti di San Donato, il Quartiere 14 LAPIDE VIA PIANA, ai partigiani comunisti di San Donato dalla sezione P.C.I. nel 1951

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SCUOLA MATERNA ROCCA, via Gandusio - al partigiano Mario Rocca

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SCUOLA PRIMARIA ROMAGNOLI, via Beroaldo n. 34 - al partigiano Dino Romagnoli 6

SCUOLA MATERNA BARONCINI, via Benini n. 3 - alla partigiana Jole Baroncini

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SCUOLA PRIMARIA DON MINZONI, via Valparaiso n. 2 - a Don Giovanni Minzoni vittima del fascismo

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LAPIDE VERONICO, al Granatiere di Sardegna Romolo Veronico

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CIRCOLO ARCI GUERNELLI, via Gandusio n. 6 - al partigiano Guido Guernelli “Giulio”

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CIRCOLO ARCI TRIGARI, via Bertini n. 9/2 - al partigiano Mauro Trigari

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LAPIDE VIA SCANDELLARA, ai 13 partigiani morti nell’esplosione della base

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LAPIDE VIA PIOPPE, ai partigiani Aldo Arstani e Pietro Simoni “Nino”

:: LA STORIA

BASI VIA MONDO, via Mondo n. 45 e 47 - basi operative della 7^ brigata G.A.P.

CASA MUSI, via Mondo(,43?) - Giocondo e Paride Musi caddero entrambi per la Resistenza BASE SCANDELLARA, via Scandellara, 8 - base della 7^ G.A.P. distrutta da una esplosione CASA BARONCINI, via Rimesse, 25 - tutta la famiglia Baroncini prendeva parte alla Resistenza OFFICINE RIGHI, via San Donato, 65 - fu teatro di un importante sciopero 15

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CASA FELISATI, via San Donato, 12 - Egisto Felisati fu brutalmente ucciso in casa dalle Brigate Nere

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CASA BENTIVOGLI, via San Donato, 72 - Renato Bentivogli fu fucilato con altri 11 al poligono di tiro CASE ZAMBONI, via Piana, 57 - storiche case popolari, abitate da famiglie antifasciste SCALO FERROVIARIO San Donato - subì un pesante bombardamento, che costò 30 vittime BASE BENTIVOGLI, ex via Bassa dei Sassi - famiglia contadina che nascondeva i partigiani BASE BILACCHI, via San Nicolò di Villola - base della 4^ brigata Venturoli

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SEDE TODT, ex Vivaio - attaccata dai partigiani per liberare lavoratori destinati alla Germania STAZIONE SAN SISTO, via Calamosco/via S.Donato - sabotata per non farla usare ai tedeschi BASE RAMAZZOTTI, via Viadagola - tutta la famiglia apparteneva alla 4^ brigata Venturoli BASE BOLOGNESI, via Quarto di Sopra, 11 - rifugio e appoggio per la 7^ brigata G.A.P.

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la memoria della Resistenza in San Donato


:: anƟfascisƟ prima della Resistenza ::

i precursori Omero nasce nel 1877 a San Giorgio di Piano. Nel bar tabacchi dei suoi genitori, convinti socialisti, cresce in mezzo a discorsi su ideali socialisti e progresso dei lavoratori. Studia legge a Bologna con Giacomo Matteotti (sono intimi amici), poi gira l'Italia per organizzare le lotte dei mezzadri, così a 25 anni è schedato come "sovversivo". È appassionato e infaticabile: avvocato di sindacalisti e lavoratori impegnati nelle lotte, al fianco di Zanardi, il "sindaco del pane" nelle sue riforme. Con l'avvento del fascismo lo scontro con il regime non può tardare: nella notte del 24 gennaio 1921 gli squadristi devastano la Camera del Lavoro e distruggono anche il suo ufficio. È l'inizio di una persecuzione, i fascisti lo voglio morto: riesce miracolosamente a sfuggire ad un tentativo di assassinio. Alla fine deve espatriare e diventa "il socialista errante": nella lontana Australia continua a battersi per il socialismo e scrive per l'Avanti! Muore nel 1956. Sulla sua tomba si legge: "sostenne la libertà, l'umanità e la giustizia"

:: Omero Schiassi

:: Don Giovanni Minzoni ricerca, editing, grafica: viviana verna

Giovanni nasce a Ravenna nel 1885, dove suo padre ha una locanda. Nel 1909 diventa sacerdote. È cappellano militare nella Grande Guerra, dimostrando tale coraggio da ricevere una medaglia d'argento. Ama il dialogo e l’impegno sociale: aderisce al Partito Popolare, ma è amico di sindacalisti socialisti, è al fianco dei "suoi" contadini, sostiene il movimento cooperativo. Fa opera di carità ma anche di educazione: vuole per i ragazzi della parrocchia un'educazione diversa da quella fascista dei Balilla e fonda un gruppo scout, allora il segretario del fascio di Argenta lo minaccia: gli scout "in piazza non verranno!" E Don Giovanni: "finché c'è Don Giovanni, verranno anche in piazza". È forse la goccia che fa traboccare il vaso, quel prete è scomodo e va ammazzato: la sera del 23 agosto 1923 Don Giovanni cade sotto le bastonate di due squadristi, ha ancora la forza di trascinarsi per qualche metro, fino alla sua chiesa, dopo un'ora muore.

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:: il valore e la memoria ::

il “Biondo” e “Bolero” :: Ermanno Galeoƫ “Biondo”

Ermanno è nato nel ‘24 a Pian di Setta. Figlio di minatore, è aggiustatore alle Minganti. In fabbrica è nel sindacato antifascista. Dopo l’8 settembre è tra i primi giovani a fianco dei “vecchi compagni”, nasce la 7a Brigata GAP, Ermanno è il “Biondo”. Lui e la partigiana “Lina” sembrano una innocua coppietta mentre pedinano i gerarchi fascisti o fanno ricognizioni per i sabotaggi; i soldati fanno la guardia davanti al deposito di armi di San Luca, Ermanno e i compagni passano in silenzio dal retro; sotto il naso dei tedeschi al Meloncello portano il carretto cigolante pieno di esplosivo; attraversano il centro città con bombe a mano in sporte della spesa, un po’ di verdure a coprirle… e poi tante azioni, sabotaggi e colpi di mano.

Ma il 20 aprile ’44 il loro furgone pieno di munizioni incontra un posto di blocco alla Croce del Biacco, otto brigatisti neri armati di mitra: sono scoperti. Nello scontro a fuoco Ermanno è ferito, si nasconde in una buca, lo scovano: i fascisti lo finiscono a pugnalate e lasciano il suo corpo lì per giorni. Il “Biondo” è il primo caduto della 7a Gap, medaglia d'argento al valor militare: “…Richiamando su di sé il fuoco avversario, dava la possibilità al convoglio di proseguire e dopo aver da solo annientato numerosi avversari, cadeva colpito a morte…”

:: Corrado Maseƫ “Bolero”

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Corrado è di Zola. Fino a 21 anni ha fatto il calzolaio, poi nel ’36 la chiamata alle armi: combatte “per il Duce e il fascismo” in Spagna e poi nell’occupazione di Jugoslavia e Slovenia. È stato ferito, ma ha capito tante cose: tornato a casa sceglie di combattere sì, ma per sconfiggere nazismo e fascismo. Diventa “Bolero” e combatte in montagna, è coraggioso ed ha esperienza militare: è nominato comandante della 63a brigata Garibaldi. Nell’ottobre del ’44, dopo una feroce controffensiva nazista, l’ordine è di confluire a Bologna, si spera in un’insurrezione imminente. Si aprono la strada combattendo e nella notte tra il 29 e il 30 “Bolero” e i suoi devono passare il fiume a Casteldebole, ma il Reno è in piena, i compagni dall’altra riva tentano con una barca ma non c’è nulla da fare, allora si rifugiano in un capanno, in attesa.

Ma una spia fa una soffiata, le SS li circondano: 500 nazisti contro 19 partigiani! Non si arrendono: si battono per più di tre ore ma cadono ad uno ad uno.“Bolero” con i pochi superstiti tenta di spezzare il cerchio, ma cade colpito a morte. Da allora la 63a diventa la brigata Bolero e lui sarà medaglia d’oro al valor militare. A Casteldebole il sangue deve ancora scorrere: i partigiani feriti vengono torturati prima di essere finiti, un tedesco è morto e per rappresaglia i nazisti rastrellano 15 civili: li legano con fil di ferro e li ammazzano a mitragliate. I responsabili non verranno mai processati. Bologna

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:: la lapide di via Pioppe ::

Aldo e Nino :: Aldo Arstani Aldo è nato a Crevalcore, da mamma Maria e papà Callisto. Nel ‘44 ha19 anni, anche se nella foto sembra più grande, mentre sorride spavaldo con la sigaretta tra le dita: li ha compiuti il 28 febbraio. Tre mesi dopo, a maggio, si fa partigiano: 4a brigata Venturoli Garibaldi, quella che opera nella Bassa.

:: Pietro Simoni “Nino” “Nino” è di San Giovanni in Persiceto, lavora nei cantieri edili, fa l’operaio ferraiolo (che è quello che costruisce le armature di ferro per il cemento armato, un lavoro che si fa ancora oggi). Fino a quando viene chiamato a fare il militare ed entra nei carabinieri. Nella foto sembra orgoglioso della sua divisa fiammante! Va a Torino e poi di là a far la guerra in Jugoslavia, dal ‘39 al ’43. Poi “Nino” torna in Italia e entra nella Resistenza: battaglione Oriente della 4a brigata Venturoli Garibaldi, con i suoi compagni opera a Granarolo. ricerca, editing, grafica: viviana verna

È il 12 luglio del 44 quando Aldo e “Nino” vengono catturati dai fascisti allo scalo ferroviario di San Donato. Sono giorni difficili, in cui si susseguono le azioni armate in città, con il loro tragico seguito di esecuzioni sommarie. Anche i due ragazzi sono ammazzati subito e il 14 luglio il Carlino titola: “Fucilati sul posto perché in possesso di armi”

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:: combaƩenƟ di montagna ::

i tre figli di Maria ed Amedeo :: Giuliano Meliconi Giuliano è nato nel 1924, è il più grande dei tre figli di Amedeo e Maria. Nel gennaio del 1944 fa l’operaio a Bologna e non ha ancora 20 anni. Come tanti giovani scappa dalla città, anche per non essere arruolato con la forza nell’esercito filonazista della Repubblica Sociale, ma soprattutto per unirsi ai partigiani sugli Appennini. Giuliano allora si unisce alla brigata Giustizia e Libertà Montagna che combatte tra Gaggio, Porretta e Lizzano.

:: Gastone Meliconi

Gastone è di due anni più piccolo di Giuliano, dev’essere molto legato al fratello, in ogni caso li uniscono gli ideali e parte con lui per la montagna il 15 gennaio del 1944..

La guerra in Appennino è durissima, Giuliano e Gastone la affrontano insieme: insieme combattono nell’ultimo ll’ l i scontro, quello ll in i cuii vengono catturati, insieme vengono fucilati, a Monteacuto delle Alpi il 16 luglio del 1944. ricerca, editing, grafica: viviana verna

I documenti dell’esercito nazista registrano la loro morte e quella dei loro compagni, con un laconico “9 banditi uccisi”.

Il terzo figlio di Amedeo e Maria si chiama Amerigo. È nato un po’ dopo i fratelli più grandi, nel ‘32 e quando i fratelli vanno partigiani lui è solo un ragazzino che lavora la terra su in collina. Dal 3 settembre del 1944 comincia a collaborare con la 36a brigata Bianconcini, che opera nella sua zona: forse Amerigo ha già saputo della tragica morte dei suoi due fratelli maggiori, forse la sua lotta di resistenza è anche un atto di omaggio e di amore per Giuliano e Gastone. Sarà l’unico dei fratelli Meliconi a vedere la Liberazione.

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:: ancora morte a Pizzocalvo ::

la storia di Loris e Mario :: Loris Gennelli Loris è nato a Bologna nel luglio del 1914, i suoi genitori hanno nomi belli e austeri: Severo e Onesta. Loris ha conseguito la licenza elementare e poi è diventato manovale ferroviere. Tra i ferrovieri era forte lo spirito antifascista, e lui decide di entrare nella Resistenza: è il mese di giugno del 1944, Loris contatta i partigiani di Rastignano, a Pianoro, e fa il “grande salto”: con altri quattro compagni si nasconde a Monte Calvo, aspettando con ansia di essere trasferito in zona operativa e fare la sua parte. Ma un delatore li denuncia o un rastrellamento scopre il loro rifugio, forse non lo sapremo mai, in ogni caso nella notte del 14 agosto le brigate nere lo catturano. Subito lo portano a Pizzocalvo, nelle campagne di San Lazzaro, con altri partigiani catturati. Lì l’angoscia è ancora nell’aria: poco più di un mese prima le brigate nere fasciste e i nazisti hanno portato via otto uomini dalle loro case, senza motivo apparente e di loro le famiglie non sanno più nulla. Dopo la guerra sapranno che senza spiegazioni e sono stati uc uccisi e sepolti a pochi passi da lì. Due giorni dopo fascisti e tedeschi sono tornati coi camion camio ed hanno portato via tutto a quelle famiglie: "avevamo dei pulcini piccolini, pr anche quelli". Ed è ancora a Pizzocalvo che altro sangue scorre: Loris e gli altri hanno preso vengo vengono fucilati, la sua lotta di liberazione è finita prima ancora di cominciare.

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Mario è di Pianoro, il fatidico 8 settembre 1943 compie vent’anni. Anche lui ha la licenza elementare e fa l’operaio meccanico. È partigiano nella 62a brigata Camicie Rosse, dedicata al nome del partigiano “Pampurio”, caduto in combattimento. La brigata g combat combatte sull’Appennino tra la Toscana e l’Emilia. Anche lui cade nelle mani dei fascisti quello stesso 14 agosto ed è con Loris nel gruppo che viene portato a Pizzocalvo. Probabilmente non si conoscevano, Loris e Mario, ma credevano nelle stesse cose, avevano scelto di combattere per le stesse idee; sono saliti insieme a Pizzocalvo, sotto la minaccia dei fucili fascisti, forse conoscendo la sorte che li attendeva, e insieme quel 15 agosto del 1944 sono stati ammazzati.

:: Mario Rocca Bologna

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:: via Mondo, 43 ::

due fratelli parƟgiani :: Giocondo Musi Il più grande dei fratelli Musi nasce il 16 ottobre 1914, a Bologna. Fa il fornaio ed è comunista e per questo ha già fatto un anno di carcere nel 1931. Fa già attività clandestina antifascista prima dell’Armistizio, poi diventa partigiano: è comandante di battaglione della 1a brigata Irma Bandiera. Mentre si accinge a far saltare un ponte ferroviario è catturato e portato al carcere di San Giovanni in Monte; lì viene torturato, ma non tradisce i compagni. Poi, il 30 agosto del 1944, lo fucilano con altri 11 al Poligono di tiro di Bologna. I fornai hanno un bollettino sindacale clandestino,“La Riscossa”, e lì a Giocondo e agli altri colleghi caduti promettono: “Lottando per l'ideale per cui siete caduti vi vendichiamo e vi ricordiamo”. Giocondo lascia una moglie, Milena, e una bambina, Ivonne.

:: Paride Musi

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Paride è il secondo figlio di Amedeo M Musi e Medea Cremonini. È nato il 29 giugno 1927 e fa il postino. È orgoglioso del fratello partigian ian ed anche lui vuole fare la sua parte: senza dir niente ai genitori, molto presto va anche partigiano ui ad a arruolarsi ar lui nelle brigate partigiane: "cara mamma, ti prego di farti animo e coraggio... Caro Giocon sono convinto che tu biasimerai il mio operato ma che in fondo in fondo ne sarai conGiocondo, tento mai come in questo momento mi sento onorato di poterti abbracciare... Caro babbo pertento... don tu pure e acqua in bocca... Caro Franco dai retta alla mamma e cerca di darle ciò che donami no ho saputo darle io ...”. non Combatte sull’appennino bolognese, diventa ispettore organizzativo della brigata Stella Rossa Lupo. Anche Paride cade in combattimento, è il 18 luglio del 1944. E ha appena 17 anni.

“Distintissima signora...” a scrivere a Medea Cremonini in Musi è un cappellano dei partigiani dellaa Stella Rossa, don Luigi Tommasini: la lettera che arriva nella casa di via Mondo n. 433 annuncia a Medea, “mamma di eroi”, che suo figlio Paride è morto in montagna,, ucciso dai nazisti.

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:: una strada tante storie ::

via Piana o c i n o r e V o l o : : Ro m

Romolo fa il portalettere, ha 24 anni ed è sergente del 2° reggimento Granatieri di Sardegna. Adesso, dopo l’armistizio, è stato richiamato dall’esercito della R.S.I. Lui è partito, per forza, ma appena ha potuto è scappato ed è tornato a Bologna. È un disertore e sa di essere in pericolo: non sappiamo come e dove si nasconda Romolo, ma sappiamo che il 25 ottobre 1944 è in via Piana, incrocia una pattuglia fascista che lo ferma, forse lo identificano, di certo lo perquisiscono e gli trovano addosso una rivoltella: è spacciato. Lo uccidono sul posto, carcere e processo non sono previsti, la vita di Romolo finisce su quell’asfalto, dove pochi mesi prima era già scorso il sangue di una brutale esecuzione. Iroldo è nato nel 1909 ed è di Argenta. Ma vive Bologna e fa il muratore. I compagni lo conoscono come “A “Arold” ld”, capo plotone l t nella 1a brigata Irma Bandiera. “Arold” ha 35 anni quel 26 agosto del 1944, quando i fascisti lo freddano con un colpo alla nuca, in mezzo ad una strada. Quella strada è proprio via Piana e forse non per caso Romolo e Iroldo erano lì, magari venivano dalle case Zamboni, lì accanto, o vi erano diretti.Certo non per caso le pattuglie fasciste controllano la zona: un vero covo di “sovversivi”, le Case Zamboni! I fascisti devono vederle come il fumo negli occhi. Sono state costruite nel 1909, lo stesso anno in cui è nato Iroldo. I primi 16 “alloggi per i meno abbienti” di Bologna: un solo piano, i bagni all’esterno, per famiglie che vivevano in baracche ai margini della città. Gli umili, insomma, gli indesiderabili, il sottoproletariato, che dà al regime del filo da torcere: tra la gente di via Piana i fascisti trovano la più fiera opposizione, prima ancora di andare al potere. Nel 1921, mentre le squadracce seminano il terrore, un gruppo di fascisti di ritorno da una spedizione punitiva, vede una bandiera rossa issata sulle Case Zamboni e sale sui tetti per toglierla. Ma gli abitanti reagiscono, allora i fascisti fanno fuoco sulla gente che protesta. Ma in via Piana si era già organizzata l’autodifesa popolare contro lo squadrismo e dalle finestre rispondono al fuoco. Quando intervengono i carabinieri circondano le case e le perquisiscono. Arrestano 15 persone quel giorno, ovviamente nessun fascista.

:: Iroldo Regazzi

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In quelle case hanno vissuto antifascisti e partigiani. Non a caso la sezione del Partito Comunista di San Donato, che dopo la guerra era proprio là, vi pone una lapide in memoria dei partigiani comunisti caduti. E lo spirito indomito di quella via e dei suoi abitanti sopravvive in due scritte dell’epoca che, per quanto sbiadite, inneggiano ancora a “pace, lavoro e libertà” Bologna

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:: gli assassini delle Brigate Nere ::

quella casa in via S. Donato :: Egisto FelisaƟ

È nato all'inizio del 1903, all'alba del secolo e fa il cameriere. A 18 anni si iscrive al PCI: è il 1921 ed il PCI è appena stato fondato. Da quel momento Egisto si batte sempre contro il fascismo, con tutti i mezzi, prima a viso aperto e poi clandestinamente, da quando nel 1926 il fascismo "sopprime" il PC fino a che il Tribunale speciale lo condanna a 16 anni per essere iscritto al suo parPCI, tito e per aver “con attiva propaganda seriamente minacciato i sindacati fascisti”. 1 ed Egisto resta in carcere fino all'8 settembre 1943, quando viene liberato e E' il 1938 torna a casa dalla sua famiglia, in San Donato.

:: Giannina Molinari Giannina è nata nel 1907, è sp spo sposata con Egisto, mamma di una ragazza, e fa la bidella. È solidamente antifascista come suo marito e dopo la sua liberazione dal carcere decide insieme a lui di mettere la loro casa a disposizione della Resistenza. Anche Nella Baroncini, che con la sua famiglia diffonde la stampa clandestina e che per questo pagherà con la deportazione, ricorda quella casa e le riunioni a cui ha partecipato.

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Egisto è un noto comunista e antifascista, è tenuto d'occhio e sa di rischiare grosso. Ha già provato la galera fascista, ma lui è uno che non si arrende. Fino a che il 19 settembre 1944 cinque brigatisti neri irrompono nella sua casa e, dopo aver picchiato la moglie, lo uccidono nella loro camera da letto, alla presenza di Giannina e della loro figlia, che non potrà mai dimenticare quello spettacolo atroce. Quel terribile giorno del settembre 1944 Giannina viene picchiata, assiste impotente all'omicidio di Egisto e viene trascinata all'Ufficio politico investigativo della tristemente famosa sa Guardia Nazionale Repubblicana, in via Mengoli, noto luogo di torture. E qui ancora picchiata brutalmente, tanto da ammalarsi. Sarà poi liberata nell'ottobre del 1944 e potrà tornare da sua figlia.

“Autentico flagello della popolazione, ...le brigate nere erano composte dai seguaci più fanatici del partito. ...gli uomini di queste formazioni erano capaci di assassinare chiunque, di compiere qualsiasi iasi nefandezza quando sii trattava di eliminare un avversario politico.” E a parlare non è un partigiano, ma il generale von Senger, comandante tedesco della piazza di Bologna, che cacciò le due Brigate Nere dalla città: la crudeltà di questi eredi delle squadracce era troppo anche per loro! Bologna

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:: ribelli impenitenƟ ::

la lunga strage del poligono Renato è nato nel 1912. È di Malalbergo ma nel 1943 vive a San Donato. Fa il fontaniere e – dopo aver fatto i due anni di leva a 20 anni – è stato richiamato nel 1939: combatte in Albania e Grecia, torna alla fine del ‘42. Dopo l’8 settembre 1943 Renato riprende le armi, ma questa volta per combattere il nazifascismo: diventa partigiano della 1a Brigata Irma Bandiera. Tra il luglio e l’agosto del 1944 la guerriglia urbana dilaga: scontri, sabotaggi, attacchi ai convogli anche in pieno giorno. Fascisti e nazisti non stanno a guardare: partigiani e antifascisti torturati e uccisi, tanti arrestati e tra loro “Renè”. Ma la risposta preferita dei nazifascisti è la rappresaglia: per le recenti azioni partigiane il 30 agosto prelevano dal carcere Renato ed altri 11, tra i quali anche Giocondo Musi. Li portano al poligono di tiro, in via Agucchi: la loro sorte è segnata. Il giorno dopo è su “Il Resto del Carlino” la notizia della fucilazione dei “fuorilegge”.

:: Renato BenƟvogli “Renè”

:: Corrado Scardo

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Corrado è più giovane, è del ’20, fa l’operaio verniciatore. Anche lui è partigiano, ma combatte in montagna nella 66a brigata Jacchia. Viene arrestato dalle Brigate Nere e incarcerato a Bologna. È l’alba del 20 settembre 1944 quando Corrado ed altri 11 vengono prelevati senza preavviso dalle loro celle. Anche questa è una rappresaglia, sono spacciati. Tra i dodici, due sacerdoti. Don Natale Monticelli e don Ildebrando Mezzetti, che impartisce a tutti loro l’assoluzione. Poi sono messi al muro. Anche di queste morti “Il Resto del Carlino” dà notizia il giorno dopo: è stata fatta giustizia contro “alcuni ribelli impenitenti”, “sovversivi in flagranza di reato”. Allora il cardinale di Bologna

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scrive a Kesserling “mi è stato comunicato che un mio sacerdote con altri dieci è stato fucilato per la solita rappresaglia. Questa notizia mi ha angosciato… Ora mi giunge notizia che a questi undici si vogliono aggiungere altre nuove vittime… Vi scongiuro come vescovo e come italiano che risparmiate queste nuove vittime ... un atto di clemente giustizia sarà veramente apprezzato da questa città che, ve lo dico con tutta la forza dell'animo, è stanca di vedere scorrere così il sangue”. Non ci sarà risposta, se non altre esecuzioni.

:: Lino Rubbini

Lino vive a Medicina ed è bracciante, ha 22 anni nel 1944 ed è partigiano della 5a brigata Matteotti. I tedeschi catturano anche lui: è il 12 novembre e finisce in cella, ne uscirà solo per cadere anche lui, sei giorni dopo, contro quel muro del poligono di tiro. Bologna

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Non si hanno numeri esatti sui morti del poligono, almeno 270, forse di più: fu il sindaco Dozza, nel 1955, a volere che un monumento li ricordasse tutti.

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:: quelli della “vecchia guardia” ::

Primo e Adelmo: anƟfascisƟ :: Primo Gruppioni Primo è nato con il secolo, nel 1900. Ha 22 anni quando i fascisti prendono il potere con la Marcia su Roma. È iscritto al PCI e questo lo espone alle persecuzioni del regime: nel 1924 emigra in Francia, in cerca di un po' di libertà. Ma nel 1936 decide di tornare. Perché? Non lo sappiamo, ma possiamo immaginare che volesse dare il suo contributo all'antifascismo e di certo non piega la testa: i comunisti sono schedati e controllati, nel settembre del 1940 sulla sua pratica scrivono "Non ha dato fin’oggi prove sicure e concrete di ravvedimento. Viene vigilato". Nel giugno del 1944 Primo è in montagna, a vivere la bella avventura della libera Repubblica Partigiana di Montefiorino. Poi continua a combattere, nella Brigata Scarabelli della 2a Divisione Modena, fino a che - a 45 anni, a pochi giorni dalla Liberazione muore durante un bombardamento a Serramazzoni.

:: Adelmo Capelli

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Nasce nel 1881. Iscritto al PSI e sindacalista fin da giovanissimo, non poteva non scontrarsi con il regime fascista. Un tipo indomito, Adelmo: i fascisti lo arrestano nel 1930 perché canta Bandiera rossa (anche questo era un reato!), e di nuovo l'anno dopo per "grida sediziose": lui non ha paura di protestare. Liberato dopo un anno, non si rassegna alla dittatura di Mussolini ed ancora lo arrestano, per "offese al capo del governo". Di nuovo nel 1937, perché lo sorprendono per strada a cantare L'Internazionale. E infine nel 1938 "disegna emblemi comunisti, inneggia alla vittoria della Spagna repubblicana": condannato a cinque anni di confino in Lucania a Garaguso, come Primo Levi. Dopo il confino diventa partigiano. È il 1943 , ha 62 anni e si arruola nella 63a brigata Bolero Garibaldi. Ma i tedeschi lo catturano e lo imprigionano a Mauthausen. L’orrore del campo di concentramento ha la meglio su questo vecchio indomabile leone: Adelmo muore il 20 settembre del 1944.

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:: “mai viste besƟe simili” ::

Cà di Berna Siamo a Cà di Berna, vicino Lizzano, nel 1944. Qui vive Claudio, che ha 14 anni. Il papà è morto in S m miniera, lui vive con la mamma Maria Bernardini e due fratelli. Il quarto, Arturo, è nel lager di BBuchenwald. A Cà di Berna ci sono altre famiglie e in casa Piovani c’è anche una base partigiana. Il 27 settembre pioviggina, la gente sta chiusa in casa. Qualcuno dice che ssta arrivando una formazione tedesca. I partigiani e gli altri uomini decidono di nascondersi ffuori dall’abitato, donne, vecchi e bambini restano nelle case: nessuno immagina che siano in pericolo. Non possono saperlo, ma è l’avanguardia dei reparti di Walter Reder “il monco”, che lascerà una scia di sangue incancellabile fino a Marzabotto. L’ordine è lasciarli passare, ma qualcuno perde la testa e spara qualche colpo. Arriva il grosso del reparto SS e apre il fuoco, ma sulle case. Claudio è sulla porta di casa quando tutto comincia, la mamma gli grida di scappare e lui corre lungo il fosso. Tutti vengono spinti in una casa e comincia la carneficina: sparano alla testa a tutti, anche ai bambini. Poi i tedeschi fanno fuoco con un mortaio sulla casa e attraverso il buco fatto nel muro gettano granate. Prima di andarsene danno tutto alle fiamme. Mentre Claudio corre e si nasconde, continua a sentire gli spari che non si interrompono e presto anche il puzzo di bruciato e il rumore delle case in fiamme che crollano. Il massacro termina, Claudio torna nnella borgata: Cà di Berna è distrutta e 29 persone sono morte. Nella stanza, macchie di sangue sui muri e buchi di proiettili. Fra i morti anche la sua m mamma, zia Gelsomina e zia Augusta con il figlio adottivo Romolino, di 5 anni; m cci sono le tre cugine: Clementina di 14 anni, Delia di 21, 1, Lia di 22. E il corpo di un partigiano massacrato tra le case. ricerca, editing, grafica: viviana verna

:: Gelsomina Burchi Accorrono i vicini, i padri e i mariti, di corsa pazzi di terrore. C’è un bambino ancora vivo: Romolo Ugolini, ha due anni e :: un proiettile in testa ma respira ancora. Muore la sera, lo mettono in braccio alla sua mamma morta, con il fratellino Sergio, di 12 anni. Durante la notte le donne fanno la guar:: Lia Bernardini dia mentre gli uomini fabbricano le bare e scavano le fosse: tutti hanno paura che i tedeschi tornino, ma a quei morti verrà data sepoltura.

:: Maria Bernardini

ClemenƟna Bernardini

Un processo non sarà mai celebrato, le testimonianze e i rapporti finiranno nell’”armadio della vergogna”” con le voci e la domanda di giustizia di centinaia e centinaia di morti. Da quelle carte la voce di :: Delia una testimone arriva a noi: "Non ho mai visto bestie simili nella mia intera vita." Bologna

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Bernardini


:: parƟgiani di montagna ::

Febo e SaeƩa :: Dante Barilli “Febo”

Dante Barilli è calzolaio, è nato nel ‘14. Nel 1944 ha trent’anni, gli ingiungono di arruolarsi per la RSI, ne va anche della sicurezza della sua famiglia se rifiuta. Allora finge di partire, prende un treno ma di nascosto scende in via Cadriano, a Quarto. Con altri disertori come lui si nasconde nei campi e col buio cerca in paese qualche antifascista che li aiuti. Li accoglie la cascina della famiglia Gottardi, che diventerà una delle prime basi della Resistenza in zona: un nascondiglio fra le balle di paglia e poi vanno tutti ad unirsi alle brigate partigiane in montagna.

Dante lo ritroviamo nella brigata Bianconcini, è diventato "Febo". È settembre, gli alleati hanno sfondato la Linea Gotica in più punti, dall’altro lato i partigiani attaccano, ma Kesserling prima di arrendersi è deciso a scatenare l’inferno. A monte Battaglia si combatte per giorni, la compagnia di “Febo” protegge le retrovie, resiste dentro un cimitero, poi sfonda le linee tedesche e si riunisce agli altri. Ancora un giorno e una notte di battaglia, senza dormire, ormai sono tutti sfiniti ma decisi a resistere, intorno è un vero macello e anche “Febo” viene colpito da una raffica di mitra. Lo danno per morto, ma è solo ferito: sotto una pioggia a dirotto i suoi compagni lo trasportano verso i soccorsi, “Febo” resiste fino all’ospedale alleato. Purtroppo le sue condizioni si aggravano e morirà a Firenze.

:: Renato Torreggiani “SaeƩa”

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Renato è più giovani di Dante, è nato nel '20. Dopo le scuole elementari è andato a fare il bracciante. Ha fatto la guerra, tre anni nell'esercito, ma dopo l'8 settembre si è rifiutato, come tanti, di continuare a combattere per i nazifascisti ed è diventato partigiano: "Saetta". È vice comandante della compagnia di Ettore, Brigata Bianconcini. Con la sua compagnia l'11 ottobre è anche lui in Appennino, su quel fronte insanguinato: i partigiani vogliono sfondare le linee tedesche, per unirsi agli alleati. All'alba i tedeschi, guidati dai fascisti, arrivano di sorpresa a Ca’ di Gostino, sede del comando, e seminano la morte. Per tutto il giorno si combatte accanitamente nella valle, tanti sono gli atti di eroismo, ma i tedeschi sono troppo numerosi e ben armati, i partigiani subiscono anche il fuoco degli alleati, che non sanno che dietro i tedeschi ci sono loro, alla fine di quella battaglia non resterà che ritirarsi. Intanto però la compagnia di "Saetta" ha occupato Cà di Marcone, ma i tedeschi attaccano: si combatte a distanza ravvicinata intorno a quelle case, disputando metro per metro. "Saetta" è colpito, i compagni lo vedono cadere e morire, ma il suo corpo non sarà mai identificato. Forse riposa ancora là, sull'Appennino. Bologna

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:: se quesƟ sono uomini ::

la storia di Franco Paselli :: Dante Paselli

il 20 agosto 1944 a San Martino, sulle colline di Marzabotto nasce un bambino: è Franco, figlio di Dante e Anna, giovani sposi diciottenni. Nasce in un m mondo sconvolto dalla violenza: tutta la numerosa famiglia Paselli ha l lasciato la casa paterna di Casoni per rifugiarsi a San Martino più in a lì saranno più al sicuro, pensano. Dante è partigiano della Brigaalto: tta Stella Rossa, tutte le famiglie là hanno uomini nella brigata. Il ggiorno prima che nascesse Franco c’è stato uno scontro molto duro con i tedeschi; eppure la liberazione appare vicina. La sua mamma Anna ha fiducia che presto Dante tornerà a casa e la guerra sarà finita. E magari allora si farà a Franco la sua prima fotografia.

:: Anna Naldi bini indifesi, neppure i sono dirette allaa chiesa onne e soprattutto donne lizzata viene uccisa mbe gliate e con bombe ono morti ci sono

Ma il 29 settembre si avvicinano i rastrellamenti e gli uomini si nascondono nei boschi, anche nonno Duilio. Donne vecchi e bambini sono lasciati a casa: nessun uomo toccherebbe donne e bamtede tedeschi l’hanno mai fatto! Infatti la squadra passa e non succede nulla. Le SS di Casaglia, dove faranno strage di tutti coloro che vi si sono rifugiati, bbambini: il loro parroco Don Ubaldo è ucciso sull'altare, una ragazza parain chiesa, tutti gli altri vengono ammassati nel cimitero ed uccisi a mitraa mano. Di tutto questo i Paselli non sanno nulla, non sanno che tra quei anche loro parenti, compreso Claudio, il cuginetto di due anni di Franco.

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Ma i tedeschi del Maggiore RReder, "il Monco", vogliono lasciarsi dietro solo morte: il giorno do dopo arriva un'altra squadra, rastrella tutti e li ammassa davanti alla chiesa di San Martino. Franco è in braccio alla sua mamma Anna, terrorizzata. È in quel momento che arriva dal bosco suo papà, che sta venendo a trovarli. È ferito ad una gamba, ma vede la sua famiglia e corre incontro a sua moglie. Tra le SS c'è un italiano, lo sentono parlare in dialetto: indica Dante come partigiano e lui viene ucciso davanti ad Anna, che è come impazzita, comincia a gridare, viene spinta contro il muro con gli altri. Allora iniziano le mitragliatrici. Dopo, le SS passano tra i corpi per finirli uno ad uno con pistole o baionette. Anche Franco è trucidato. Ha 40 giorni e non conoscerà mai la vita. Chi, impietrito, li guarda nascosto nei boschi racconterà che, finito il "lavoro", le SS si fermano a riposarsi e fumare di fronte all’aia. I superstiti e i partigiani che tornano il giorno dopo per seppellire i morti scoprono l'ultima bestialità: sono stati tutti bruciati. Bologna

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:: Porta Lame e Bolognina ::

caduƟ in baƩaglia Guido è del 1906, fa il fontaniere e vive alle Case Zamboni, con la moglie Corinna e i figli Gastone di 17 anni e Rossana di 10. Partecipa alla lotta antifascista in città con coraggio, diventa poi un componente della 7a gap: il partigiano "Giulio". Il 7 novembre 1944 è nella base di vicolo del Macello, da giorni aspettano l'insurrezione vivendo come soldati in prima linea: turni di guardia, sveglia, rancio... "Giulio" è il cuoco della base. Ma i tedeschi li scoprono: all'alba attaccano, inizia la battaglia di Porta Lame. La base è circondata, bersagliata anche con mortai, cannoni e un carro armato Tigre. Tutti mantengono la calma e continuano a sparare, respingono attacchi su attacchi. Ma i muri crollano sotto i colpi, bisogna uscire subito e passare nell'edificio di fronte, ma c’è da attraversare un cortile che è sotto il tiro di una mitragliatrice appostata sul campanile di fronte: Guido e "William" escono per primi, per incoraggiare i compagni: ce la fanno! Ma gli altri esitano, il tratto è breve ma è sotto il fuoco nemico. Allora Guido di slancio torna indietro per convincerli, non si può aspettare: allora escono, passeranno quasi tutti, ma proprio "Giulio" cade sotto i colpi, con altri due. La battaglia continua e il sacrificio di Guido e degli altri non è stato inutile: alla fine l’accerchiamento è rotto e la battaglia è vinta: a Porta Lame sono morti 12 partigiani e diverse diecine di nazifascisti.

:: Guido Guernelli “Giulio”

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Quel giorno a Porta Lame c'era anche Daniele. Il suo nome di battaglia è "Diavolo", anche se a guardarlo nella foto fa tenerezza la sua faccia d'angelo: è un ragazzino, non ha neppure diciott'anni, ma è già praticamente un veterano. Dopo la battaglia bisogna ritirarsi in basi di ripiego, Daniele con altri 16 si rifugia in una base in piazza Unità n. 5. L'avanzata alleata si è fermata e fascisti e nazisti hanno modo di concentrarsi sulla caccia ai partigiani in città: è il 15 novembre e dalla finestra il comandante vede avvicinarsi un tedesco in sidecar che consulta una mappa, dietro di lui altri, poi carri armati, 18 autoblindo, una colonna di uomini in assetto di guerra... è l'inizio di un rastrellamento a tappeto, una situazione quasi disperata.

:: Daniele Chiarini “Diavolo”

Si distruggono le carte, si prendono le armi, i fascisti salgono le scale e sfondano le porte. Li trovano, picconano la porta, entrano ma sono ricacciati indietro. Comincia la sparatoria, i tedeschi usano anche le armi pesanti, bisogna uscire da lì! Daniele è al piano terra sulla porta, vuole tentare il tutto per tutto e affrontarli, ma non ha nessuna speranza contro le mitragliatrici, che lo ammazzano ad appena diciassette anni.

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:: la sporca opera dei delatori ::

“Topo” e “Camoscio” :: Vanes Pinardi “Topo” Vanes e Bruno sono fratelli: Bruno è più grande di due anni, nel 1943 ha 22 anni, ha la licenza elementare e fa l'operaio meccanico, mentre Vanes di anni ne ha venti ed è barbiere. Sono stati in guerra, uno granatiere e l'altro carrista. La loro è una famiglia antifascista, in particolare uno dei fratelli, Roberto, più grande di loro, è stato arrestato nel ‘35 dai fascisti e, considerato comunista, viene sempre “vigilato”. Adesso Vanes è stato richiamato alle armi dalla R.S.I. e non vuole partire. Ma per i renitenti c'è la pena di morte e Vanes si arruola, ma solo per disertare: torna a casa e diventa partigiano, insieme ai fratelli. Tutti nella 1a brigata Garibaldi, quella dedicata a Irma Bandiera, la "Mimma", torturata brutalmente e poi uccisa. Corticella allora è un paesino, solidamente antifascista: la gente li aiuta e li nasconde, quando un battaglione in trasferimento passa cantando Bandiera Rossa la gente applaude dalle finestre, i fornaciai della cooperativa danno asilo ai partigiani, alla fornace si fanno le bombe e nell'officina si cambiano targa e colore alle auto rubate ai fascisti.

Bruno Pinardi “Camoscio” ::

Ma in quell'autunno del '44 i rischi sono tanti, non solo rastrellamenti e posti di blocco: fascisti e nazisti promettono denaro e sale ai delatori, infiltrano spie, torturano i partigiani catturati perché denuncino i compagni e qualcuno - meno forte di tempra e di ideali – cede. ricerca, editing, grafica: viviana verna

La notte del 13 dicembre le brigate nere passano di casa in casa, tirano giù dal letto i partigiani, li portano via. Li comanda Gaspare Pifferi, torturatore ed assassino. Con loro, un uomo col volto coperto da una sciarpa, indica quelli da portare via. La sciarpa cade, viene riconosciuto: è Dante Amadori, un compagno! Forse non ha resistito alla tortura, forse era un fascista infiltrato... La rabbia e il senso di tradimento sono grandi. Subito sono a casa Pinardi: Roberto riesce a scappare da un finestrino e poi giù nel Savena Abbandonato, Bruno e Vanes invece vengono costretti a vestirsi, tra urla e colpi, portati via. . Tutti buttati su un autocarro, solo Romano Donati, il comandante della compagnia di Sant'Anna riesce a fuggire. Si prosegue per le fornaci, i fascisti circondano l'abitato con i mitra e prendono tutti. Poi portano tutti alla Casa buia, li aspetta la Facoltà di Ingegneria, ora luogo di torture. Ma Bruno e Vanes non ci arriveranno, i prigionieri sentono una terribile scarica di mitra fuori alla Casa Buia: Bruno e Vanes cadono ammazzati. La banda di Pifferi "concluderà la serata" denudando e torturando una partigiana. Bologna

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:: la storia dei Baroncini ::

“una tragedia nella tragedia della guerra” Adelchi Baroncini è operaio, lavora all'Officina Automezzi Riparazioni Esercito (O.A.R.E.), Teresa Benini, sua moglie, casalinga. Le loro tre figlie Jole, Angelina detta Lina e Nella sono impiegate, sanno scrivere a macchina: la loro casa, un alloggio popolare in via delle Rimesse 25, diventa subito un centro stampa e loro riproducono e distribuiscono propaganda antifascista e stampa clandestina, come l’Unità e La Lotta. :: Teresa Benini

:: Adelchi Baroncini

"Non ci sembrava giusto non fare niente", dice Nella. Ma è molto pericoloso e qualcuno fa una spiata: il 24 febbraio 1944 le SS arrestano Adelchi in Officinia e poi vanno a casa a prendere le quattro donne. Lina si prende tutte le responsabilità: le SS torturano lei e Adelchi per un mese. Poi vengono tutti deportati a Fossoli dove vedranno fucilare tanti compagni. Aldelchi viene deportato in Austria, a Mauthausen; finirà al terribile castello di Hartheim, dove sui prigionieri vengono eseguiti orribili esperimenti, che porteranno alla sua morte il 3 gennaio 1945.

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Dopo poco Teresa e le sue figlie vengono caricate con altre 41 donne in un carro bestiame: destinazione Ravensbrueck. Con il viaggio comincia l'inferno che le porta in un altro e tremendo mondo: è il lager. Teresa muore per prima di stenti. Jole è molto malata, dall'infermeria scrive a Nella:

:: Jole Baroncini “...Quando finirà dunque questa maledetta guerra, quando verrà quel giorno che ci troveremo alla nostra sgangherata tavola, ma ben apparecchiata di ogni ben di Dio? Vedere ancora papà là seduto con la sua tuta da lavoro, che alla domenica ci urtava tanto..." ”...Veramente se avremo fortuna di ritornare tutti, la mamma e papà non dovranno più lavorare no, noi siamo giovani, ci rimetteremo presto e lavoreremo, essi avranno tanto bisogno di riposo! Neppure in casa mamma dovrà più lavorare. Oh, se sapessi Nella quanto penso io a questo! Che soddisfazione fare per loro un po’ di sacrificio, dopo che loro hanno fatto tanto per noi!...” Il 4 marzo del 1945 la vita di Jole finì, a 28 anni, nella camera a gas. A Bologna torneranno, sole, Lina e Nella. Bologna

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:: una strage nascosta ::

San Ruffillo: il colpo di coda dell’odio :: Carlo Mazzacura “Mazza” Carlo è nato nel 1925 a Minerbio e fa il tornitore a Bologna. È comunista,ed è diventatoo partigiano: nome di battaglia “Mazza”. Combatte contro i nazisti, con la 36a brigata Bian-concini Garibaldi in Appennino. Dopo l’arresto dell’avanzata alleata tutto è diventato piùù duro lassù: i tedeschi possono concentrare le proprie forze nella caccia agli odiati partigiani,i, i “banditen”. È in quei mesi, all’inizio di gennaio del 1945, che Carlo viene catturato e portatoo a San Giovanni in Monte: resterà in quella cella per meno di un mese.

Negli stessi giorni di Carlo arriva nelle celle di San Giovanni in Monte anche Orfeo. Lui ha qualche anno in più, 25, ed è aiuto macchinista nelle ferrovie. Tanti antifascisti e partigiani sono ferrovieri: chi non è in brigata, fa comunque del suo meglio per combattere i nazifascisti, con sabotaggi o aiutando i prigionieri a scappare. Orfeo fa parte della 4a brigata Venturoli e fa la sua parte in quei mesi tremendi, fino a quando un delatore lo denuncia: anche questo sta accadendo troppo spesso in quest’ultimo inverno di lotta. Vengono a prenderlo e lo portano in una cella.

:: Orfeo Galle

ricerca, editing, grafica: viviana verna

Il 10 1 febbraio Carlo e Orfeo vengono prelevati, con altri a 53. Il registro del carcere dice che vengono affidati al “Comando tedesco SS”. Forse vogliono v deportarli in Germania... chissà cosa passa nella testa di quei 55 uomini. Invece le S li portano sul terrapieno della ferrovia, vicino alla stazione di San Ruffillo. La zona è deserSS ta: t è spesso bombardata, cannoneggiata, la popolazione è tutta sfollata. Il terreno è pieno di voragini per le bombe sganciate dagli alleati. Per i nazisti il luogo ideale per consumare un massacro nascosto. Carlo e Orfeo, con tutti gli altri, vengono uccisi a San Ruffillo: la buca di una bomba sarà la loro tomba fino alla fine della guerra. Lo stesso destino aspetta ancora quasi altrettanti uomini nei mesi seguenti: uno sterminio silenzioso, la città non sa. Solo dopo la guerra cominceranno ad emergere quei corpi e con essi la verità e qualcuno ricorderà di aver sentito quelle raffiche di mitra. Non tutti verranno identificati; a tutti loro è dedicata una lapide, su cui si legge: “da queste fosse rosse di sangue risuona la voce dei partigiani trucidati dai nazifascisti ad ammonire i vivi che non c'è civile grandezza senza libertà ed amore” Bologna

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:: Leonildo e gli altri, Luciano e suo papà ::

due famiglie nel ’45 Leonildo e la sua famiglia vivono nelle campagne di Calderara, sono coloni di un gerarca fascista. Ci sono i tre fratelli Leonildo, Eliseo e Adolfo, sua moglie Lodomilla e i loro 4 figli, tra cui Bruno e Corrado, partigiani. Tutti antifascisti: casa Corazza è una base partigiana. La proposta è stata di Bruno, il comandante partigiano “Bandiera”, ma Adolfo, Lodomilla e tutti gli altri hanno accettato con convinzione: un vano scavato nelle balle di paglia e quel cascinale diventa un rifugio sicuro per i partigiani, i Corazza non solo li ospitano, ma procurano loro da mangiare, li curano e papà Adolfo non fa mai mancare una bottiglia di grappa che distilla lui. Nel settembre 1944 la zona è piena di tedeschi, i rischi aumentano, sono giorni drammatici. Ma accadono anche cose belle: Leonildo si sposa con Albertina. Passano poco più di 15 giorni, all’alba di un nebbioso 3 dicembre un delatore guida brigate nere ed SS a casa Corazza, che viene circondata e perquisita. Per fortuna i partigiani sono appena partiti, ma i nazisti portano via tutti, si salva solo Corrado, che per fortuna non è lì. Per tutti, interrogatori e carcere.

:: Leonildo Corazza

Venti giorni dopo Adolfo e Lodomilla vengono rilasciati, troveranno la loro casa bruciata, dopo la guerra sapranno che Bruno è stato ucciso a Sabbiuno, il suo corpo gettato con gli altri nei calanchi. Leonildo e Eliseo a gennaio vengono ammassati senza spiegazioni con altri prigionieri su camion, destinazione il campo di transito di Bolzano e di lì a Mauthausen, Gusen. Il 5 maggio 1945 Mauthausen è liberato, ma solo Eliseo torna a casa, Leonildo è morto il 3 aprile, senza conoscere la figlia che Albertina sta portando in grembo.

:: Luciano Venturi “Lucciola” ricerca, editing, grafica: viviana verna

Luciano è nato nell’agosto 1928. Nel ’43 è solo un ragazzino di 15 anni che studia alle Aldini e lavora come meccanico alla Ducati, che dall’8 settembre 1943 è occupata dai nazisti e non produce ancora moto ma radio, antenne, macchine fotografiche. Eppure Luciano, così giovane, ha le idee chiare: vuole combattere il fascismo e si unisce alla Resistenza. Diventa il partigiano “Lucciola” nella 66a brigata Jacchia, a Monterenzio. Ma il 7 novembre del 1944 Luciano e suo padre Ettore vengono catturati dai tedeschi a Ozzano. È l’inizio di un incubo: rinchiusi a Bologna, nel carcere di San Giovanni in Monte. Da lì si usciva solo, a turno, per essere portati nella sede della Gestapo o in quella delle Brigate Nere ed essere interrogati e torturati. Ma da quella cella Luciano e suo padre escono, il 22 dicembre, per andare verso un destino peggiore: deportati a Mauthausen, poi a Gusen. Luciano non ce la fa, il ragazzino partigiano, che ha conosciuto l’inferno dei lager, muore il 7 aprile del 1945, ad agosto avrebbe compiuto 17 anni. Papà Ettore sopravvive, come Eliseo viene liberato il 5 maggio. A Gusen hanno lasciato un fratello e un figlio. Bologna

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:: morire all’alba della libertà ::

i ragazzi di via Scandellara :: Alfio

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Era il 18 aprile del ‘45, mancavano tre giorni alla liberazione di Bologna, per questo l’ordine era stato di avvicinarsi alla città, con armi ed esplosivi, e tenersi pronti alla battaglia finale. Nella base di via Scandellara c’erano i gappisti della 7a, da Medicina e Castenaso.

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All’improvviso un’enorme esplosione rade al suolo la base: 13 partigiani morti, tanti feriti. Ancora adesso non si sa cosa accadde, se fu sabotaggio o incidente. Certo c’erano tanti esplosivi. Dalle fotografie di quelle tredici vittime ci restituiscono lo sguardo dei ragazzi, alcuni giovanissimi. Di alcuni di loro non sappiamo molto, poco più del nome, di alcuni non abbiano neppure una foto, ne abbiamo scelta una “simbolica” .

:: Dante Brusa

Uno dei ragazzi di Scandellara, Dino Romagnoli “Pantera”, è di San Donato: famiglia antifascista, partigiana anche la sorella Adele. A lui sono dedicate le scuole Romagnoli. Dino muore non ancora diciottenne, come altri dei ragazzi di Scandellara: il più “vecchio” di loro non ha ancora compiuto 26 anni.

:: Rino Ma

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:: Dino Romagnoli “Pantera”

:: Giuseppe Zambrini

:: Walter Giorgi ricerca, editing, grafica: viviana verna

:: Sergio Marchi “Biondino” :: Enz

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Anpi San Donato “Casali - Romagnoli”

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:: Luciano Zonarelli :: Iliano

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:: Rossano Buscaroli “Sfracassa”

:: Giusep p e Za n i b oni “Pino”

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Siamo di buona Memoria. Siamo la forza di una grande storia di libertà, la Resistenza. Siamo il futuro che la Costituzione ci ha consegnato, respiro dei diritti, cultura civile, Democrazia. Pace. Siamo l’ANPI, La nuova stagione. Ringraziamo in primo luogo le persone che hanno voluto parlare con noi e raccontare. Abbiamo poi un immenso debito di riconoscenza con tutti coloro che da anni raccolgono informazioni e documenti e raccontano la Resistenza; in particolare dobbiamo citare Alessandro Albertazzi, Luigi Arbizzani, Luciano Bergonzini, Nazario Sauro Onofri: senza il loro lavoro noi non saremmo andati da nessuna parte. Ci teniamo a citare anche le principali tra le fonti sul web a cui abbiamo attinto: la banca dati della Certosa, il sito su la strage di Monte Sole, quello dell'ANPI di Pianoro e il sito Rai dedicato alle testimonianze dai Lager, oltre a wikipedia e wikimedia. A chiunque vorrà approfondire uno o più aspetti di quanto ha appena letto forniremo volentieri le complete indicazioni bibliografiche, cartacee e da web. Questa ricerca è in progress, chiunque vorrà condividere con noi informazioni e, soprattutto, i propri ricordi ci regalerà qualcosa di prezioso. Infine, questa mostra non avrebbe potuto esistere senza il tavolo di progettazione partecipata del Quartiere San Donato e il contributo degli sponsor, che sentitamente ringraziamo.


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