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03 PERIODICO del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia

DONNE TESTIMONIANZE

editoriale Memorie da salvare e da trasmettere Teresa Vergalli

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politica Candidature femminili alle regionali Eletta Bertani

PAROLE FATTI

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politica La scuola che sarà Maria Assunta Ferretti

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politica Valorizzare il femminile Natalia Maramotti

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05-12 generazioni 8 marzo 2010 Interventi di Maria Montanari, Alberto Pioppi, Anna Salsi, Rita Tamagnini, Mariella Compiani, Susanna Tamaro, Fiorella Ferrarini, Paola Varesi, Morena Vannini e Annita Malavasi


la Copertina

DONNE TESTIMONIANZE PAROLE FATTI

Lara (a sinistra) e Martina (a destra) Cavazzoni con lo zio Gaetano Cavazzoni Garibaldi, uno dei tre figli di Angiolina Ravazzini, la partigiana a cui è dedicata la sezione ANPI di Castellarano. La foto è stata scattata in occasione dell’inaugurazione della sede il 26 aprile 2009.

IV di Copertina Il disegno della IV di copertina è di Viola G, studentessa. Frequenta la II BUS GBC “Pascal” di Reggio Emilia.

Spedizione in abbonamento postale - Gruppo III - 70% Periodico del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia Via Farini, 1 - Reggio Emilia - Tel. 0522 432991 e-mail: notiziario@anpireggioemilia.it; presidente@anpireggioemilia.it sito web: www.anpireggioemilia.it Proprietario: Giacomo Notari Direttore: Antonio Zambonelli Caporedattore: Glauco Bertani

Comitato di redazione: Eletta Bertani, Ireo Lusuardi Collaboratori: Paolo Attolini (fotografo), Massimo Becchi, Riccardo Bertani, Bruno Bertolaso, Sandra Campanini, Nicoletta Gemmi, Enzo Iori, Enrico Lelli, Saverio Morselli, Fabrizio Tavernelli Registrazione Tribunale di Reggio Emilia n. 276 del 2 Marzo 1970 Stampa: Centroffset - Fabbrico (RE) Questo numero è stato chiuso in tipografia l’8-02- 2010 Per sostenere il “Notiziario”: UNICREDIT, piazza del Monte (già Cesare Battisti) - Reggio Emilia IBAN: IT75F0200812834000100280840


Sommario Editoriale - Memorie da salvare e da trasmettere, di Teresa Vergalli ............... 3 Generazioni - Maria Montanari, nonna ma donna, di Alberto Pioppi ................... 5 - Un bilancio per 3 generazioni, di Anna Salsi ................................. 6 - “Il mio e il nostro percorso...”, di Rita Tamagnini .......................... 7 - Festa della donna... Intervista a Mariella Compiani, professione operaia, a cura di Angelo Bariani .............................. 8 - La Costituzione è solo “una vuota scatola di cartone?”, un dialogo a distanza fra Susanna Tamaro e Fiorella Ferrarini ...... 9 - Il Museo Cervi come museo-laboratorio, di Paola Varesi e Morena Vannini ............................................... 11 - Bimbe in prima linea ................................................................. 12 - Diploma UDI a Italina Pasquali ................................................... 12 Politica - Tesseramento ANPI, per un ideale alto di società, di Luciano Cattini ...................................................................... 13 - Candidature feminili alle regionali. Un banco di prova, ................... di Eletta Bertani ......................................................................... 14 - La scuola che sarà, di Maria Assunta Ferretti ............................. 16 - Valorizzare il femminile per costruire una comunità forte, di Natalia Maramotti .................................................................. 18 - Inciucio o non inciucio, di Giancarlo Ruggieri ............................. 20 Avvenimenti - Festeggiati e 90 anni di Sirio e Mirko, di m. d. ........................... 22 - L’ANPI e la CGIL a Portella della Ginestra il 1° maggio 2010 ...... 23 Estero - Paesi scandinavi: fine di un paradiso?, di Bruno Bertolaso ......... 24 Cultura - Dopoguerra. L’UDI e il PCI, di f.p. ............................................... 26 Memoria - “Poi, se non eri con il Fascio eri un comunista...”, di Annita Malavasi ..................................................................... 31 - Albertina Soliani: “Abbiamo il coraggio del sogno, come allora!”. 66° anniversario della fucilazione di don Pasquino Borghi e di altri 8 antifascisti ............................ 32 - Ricordato il partigiano Nero, di Adriana Zoboletti ........................ 33 - Casa Rocchi a Roncolo, di Anna Rocchi Beggi ............................ 34 - La shoah nell’Europa occidentale fu cancellazione di un’antica civiltà, di a. z. ......................................................... 36 - C’è stato il giorno della memoria della shoah, di a. z. ................. 39 Lutti ............................................................................................. 40 Anniversari.................................................................................. 41 Offerte ........................................................................................ 44 Turismo ....................................................................................... 45 - Donne da “copertina” ................................................................ 46 Le rubriche - Primavera silenziosa, di Massimo Becchi ................................... 27 - Segnali di pace, di Saverio Morselli ........................................... 28 - Opinion leder, di Fabrizio “Taver” Tavernelli ................................ 30 - Reggio che parla, di Glauco Bertani ........................................... 42 - La finestra sul cortile, di Sandra Campanini ............................... 43

zo di Teresa Vergalli

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sommario

editoriale

Memoria da salvare

e da trasmettere Vicino a noi, tra Parma e Reggio, sappiamo che solo da anziane alcune partigiane torturate hanno confessato gli stupri e le violenze sessuali. Alcune hanno aspettato di essere vedove, nella convinzione che persino i mariti avrebbero potuto colpevolizzarle o disprezzarle... Questo è il momento giusto per affrontare il problema della trasmissione della memoria. I testimoni diretti diventano sempre più rari, ma proprio per questo bisogna rintracciarli e spingerli a testimoniare. E’ vero che ci sono dei rischi di imprecisione o deformazione delle vicende vissute, ma in alcuni casi la lontananza rende possibile raccontare le vicende più tragiche. Mi riferisco al recupero di episodi o drammi che le stesse vittime hanno voluto nascondere e che solo ora a tanta distanza, quando ormai non c’è nulla da perdere, trovano la forza di raccontare. Magari perché finalmente sentono che saranno creduti. Non per caso soltanto ora si trovano prove e tardive testimonianze sulle donne costrette nei lager a prostituirsi. Vicino a noi, tra Parma e Reggio, sappiamo che solo da anziane alcune partigiane torturate hanno confessato gli stupri e le violenze sessuali. Alcune hanno aspettato di essere vedove, nella convinzione che persino i mariti avrebbero potuto colpevolizzarle o disprezzarle. E’ urgente che le ANPI o chiunque abbia contatto coi giovani, spingano a queste ultime ricerche, ormai facilitate dai molteplici aggeggi tecnologici video e audio alla portata di tutti. Ovviamente poi occorre catalogare e raccogliere il tutto e metterlo a disposizione di storici o scrittori. Questo è anche il momento giusto per andare a frugare negli archivi e nei carteggi, ora in gran parte divenuti disponibili. Ci sono già lodevoli esiti di queste ricerche, come il lavoro di Storchi per il ripristino di tristi verità tra Reggio e dintorni. Sarebbe bene che enti o associazioni promuo-

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editoriale continua da pag. 3

Memoria da salvare

e da trasmettere Maya Sansa in “L’uomo che verrà” di Diritti - Foto di scena (Cosimo Fiore)

vessero premi o borse di studio in favore di pubblicazioni o tesi di laurea che affrontano onestamente questa nostra storia. Anche i film, come quello di Giorgio Diritti su Marzabotto o libri come quello di Enzo Biagi sui suoi quattordici mesi, potrebbero essere maggiormente pubblicizzati e utilizzati. Mi accorgo che sono già passata alla parte più urgente del problema, cioè a chiedermi come prevedere a chi affidare la trasmissione della memoria. Non possiamo aspettare che i libri di storia scrivano finalmente il capitolo della Resistenza. Anche perché dovrebbe essere definita più correttamente “Guerra di Liberazione”. Non possiamo permetterci il lusso di affidare al tempo la memoria di quei mesi tanto fondamentali. Non possiamo permettercelo proprio perché quella Liberazione non è completata. Un mio amico partigiano, di fronte alla meraviglia di chi ci vede ancora impegnati, ha osservato che noi siamo soldati che non possono andare in congedo. Non possiamo concederci il lusso del congedo perché non ci siamo battuti per un re o per un territorio da conquistare, ma per un ideale che ancora non è compiuto. E c’è di più. E’ un ideale che in questi tempi è più che mai in pericolo. Vogliamo ricordare quali erano i nostri sogni, o desideri? In modo imperfetto, istintivo o primitivo, consolidato poi dalle riflessioni successive, tutti volevamo la pace, per subito e per sempre. Tutti volevamo la giustizia, per gli umili prima di tutto. Poi la libertà, di pensiero di associazione, di studio. Tutto è stato scritto nella nostra Costituzione. Immagino che i Terracini, I Dossetti, gli Scalfaro, i Togliatti, i Nenni e i Parri, assieme alla nostra Nilde Iotti, abbiano potuto concepire e imporre quei meravigliosi diritti costituzionali perché dietro di loro ci eravamo noi, con quella Guerra di Liberazione, perché da quella rivolta di popolo loro legislatori potevano trarre forza. Tra parentesi voglio considerare che gli articoli sui diritti delle donne forse non sarebbero stati così chiari se le donne in quegli anni fossero state assenti, anziché più volontarie dei volontari, proprio perché più oppresse o dimenticate. Tutti vediamo con sofferenza che persino i concetti di pace, di libertà e di giustizia hanno subito stravolgimenti di significato. Giorgio Bocca, antico partigiano e pensatore, dice che viviamo ormai in un sultanato. C’è persino rassegnazione verso chi dileggia quei meravigliosi diritti scritti nella Carta e si permette di considerarli vecchi. Ecco perchè bisogna allestire in fretta la nuova schiera dei divul-

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gatori della memoria. Mi consola sapere che ci sono i figli nostri, veri o ideali, ormai coinvolti. Come Loris Mazzetti figlio ideale di Enzo Biagi, o Riccardo Mancini, figlio vero di un martire delle Fosse Ardeatine. Mi consola vedere tanti professori, che tra molte difficoltà, progettano percorsi di memoria se non altro per ovviare al fatto che la storia del novecento non arriva nei programmi di ogni ordine e grado. Nelle scuole, grazie a quegli insegnanti, ci sono i ragazzi che “fanno ricerca” intervistando, filmando, scrivendo, recitando. Citerò soltanto quelli della Colomba Antonietti che hanno scartabellato negli archivi della loro scuola per scoprire gli atti che hanno cacciato una preside ebrea ai tempi della legge razziale mussoliniana. Ed anche i ragazzi del Keplero, liceo scientifico, che recitando Primo Levi ricordano anche i moderni lager, cioè i centri di rimpatrio per extracomunitari. Soltanto piccoli esempi. Penso anche a tutti gli operatori degli Istituti storici, dei musei della Liberazione, delle Case della resistenza, delle Case della memoria, delle Cooperative culturali, ed anche ai tanti amministratori locali, che accompagnano, organizzano, sollecitano le iniziative più varie allo scopo di divulgare una consapevolezza che rifugge dalla retorica e dal “tutti buoni noi, tutti cattivi gli altri”, ma che mette l’accento sulla giustezza della scelta di fondo, quella che ha dato origine alla Repubblica e alla Costituzione: noi per la libertà di tutti e la pari dignità degli uomini, loro per la sopraffazione dei più forti sui più deboli. Questa è la differenza su cui riflettere, che ci conduce alle considerazioni sull’oggi, alla piena condanna dei rigurgiti di neofascismo, contro le distorsioni revisioniste e la dimenticanza. La memoria deve aiutarci in questo. Noi vecchi partigiani non andiamo in congedo proprio per ricordare ai figli e ai nipoti che si può passare dal sultanato all’autoritarismo oppressore, cioè a nuove forme di dittatura. I giovani devono conoscere quel nostro passato, che ha molte analogie e assonanze con questo nostro presente. La disinformazione, la suggestione del consumismo sprecone e dell’individualismo ostile, la miopia sulle vicende altrui e del mondo, la fretta e la superficialità nemiche della riflessione, l’esaltazione di ogni espediente anche illecito pur di prevaricare. Questi sono i pericoli. La terapia può essere soltanto la conoscenza dei propri diritti, la difesa tutti insieme della dignità di ognuno, la spinta collettiva su governo e amministrazioni, perché venga completato quel progetto di libertà e giustizia che sta scritto tanto bene nella nostra Costituzione. Teresa Vergalli


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Maria Montanari

NONNA MA DONNA Scrivere di mia nonna è insolito, e poi sul “Notiziario” ANPI ancora di più. È insolito perché tante cose che so ora di mia nonna prima non le sapevo. Per ora intendo questi ultimi otto/dieci anni. E non le sapevo perché lei, mia nonna, non le diceva. Avevo sentito parlare qua e là di Bloch e di scioperi, di pedalate pericolose durante la Resistenza e di qualche “ingiustizia” subita in quanto donna. Ma soprattutto, mia nonna era mia nonna. La nonna che tutti hanno anzi avevano, (perché la nonna di oggi è un’altra nonna) e cioè quella col grembiule, quella che cucina, che fa i cappelletti per la domenica e le torte da portare a casa, quella che con la bicicletta e la “sporta” di corda va alla cooperativa a fare la spesa, quella che ospita i nipoti per il fine settimana, quella che insieme ad altre come lei si trova una sera da una e una sera dall’altra a fare la sfoglia e i tortelli, quella che quando viene l’estate si “trasferisce” dietro i fornelli delle feste dell’Unità. Insomma, una Nonna con la maiuscola. E le cose non le diceva anche perché c’era mio nonno. Non che lui non volesse, anzi, ma era lei che “rispettava” il ruolo: se si parla di “roba seria”, allora parla Carretti, non io. E’ questo il pensiero che mi immagino lei abbia avuto per tanti anni. O forse bisognava chiedere di più, nei momenti giusti, e questo con le nonne e con le mamme, non si fa quasi mai.

Poi succede che il tempo, come una lama sottile, millimetro dopo millimetro, accorci l’orizzonte, e qualcosa nelle persone scatta. Poi succede che mio nonno va a resistere da un’altra parte, e tutto si scioglie: remore, rispetto, timori reverenziali, tutto è meno spesso, tutto è meno pregnante. E allora arrivano i convegni che parlano dell’importanza delle donne durante la Resistenza, e partecipa anche lei. Qui scopro che mia nonna andava in bicicletta fino a Brescello, anche più volte al giorno, per consegnare biglietti e manifesti ai resistenti, non senza essere fermata più volte dai fascisti curiosi. Arrivano le ricerche sulla condizione lavorativa femminile, e scopro che mia nonna è stata un’importantissima figura nelle lotte per il lavoro al calzificio Riva e poi alla Bloch. E poi, ed è questa la scoperta che più mi fa capire la specialità di mia nonna e che più mi piace come esempio di carattere forte e indipendente, ad un seminario sulla difficoltà di crescere donna in una società un po’ troppo maschile e bacchettona ascolto lei, Montanari Maria, mentre ricorda, con qualche affanno emozionale, due situazioni da lei vissute

in giovane età: un fascista di Villa Cella, in cerca di valori, non trovando nulla di prezioso a casa Montanari, vede che la bambina di sette anni, mia nonna futura, ha un grazioso orecchino e quindi, senza preoccuparsi di sganciarlo, glielo strappa dall’orecchio. Agghiacciante anche solo da immaginare, ma la bambina non ha pianto davanti al fascista. E quando a tredici anni, sempre a Cella, domiciliati a casa del prete amico, dopo essere stata a messa la mattina di Natale, la sera va a ballare al teatro. Cose da non fare, cose da far parlare male di una famiglia intera, cose da far decidere di cambiare casa a quella famiglia. Cose, per me qui nel futuro, bellissime. E poi tante altre cose ora so di lei, lei che continua a fare torte da portare in altre case, lei che discute col quadro di mio nonno, lei che “compete” con mia mamma non capendo che anche mia mamma è una donna e non solo una figlia, lei che ad un certo punto della vita, non è stata più solo “mia nonna” ma è diventata anche “Montanari Maria”. Alberto Pioppi

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Zelina Ro ssi (19231971)

, Rita: “Ho tutto cio che né mia mamma né mia nonna avrebbero mai potuto avere alla mia età, , pero ...”

(1946) Anna Salsi

Rit aT ama gn ini (198 2)

UN BILANCIO PER 3 GENERAZIONI Attraverso il vissuto di tre donne: Zelina Rossi (1923-1971) nonna, Anna Salsi (1946) mamma, e Rita Tamagnini (1982) figlia, percorriamo quasi un secolo per analizzare gli sforzi e le conquiste che le donne hanno strappato alla società per renderla , piu ricca e adeguata allo sviluppo civile. Zelina (la nonna) Innanzitutto va detto che le tradizioni familiari innovatrici di Zelina vengono dal lontano nonno, che fu il primo in paese a S. Michele della Fossa (Bagnolo) ad installare la luce elettrica in casa, quando vi era diffusa una concezione di paura e di avversione da parte della popolazione. Inoltre questo nonno innovatore imparò da solo a scrivere per comporre poesie. Da queste concezioni si sviluppò l’idea che ognuno dovesse contribuire a combattere la miseria e a fare qualcosa per lo sviluppo sociale. Da atei e non battezzati, ci si teneva estranei alla religione e ai preti, pur rispettando le idee religiose, perché la chiesa allora stava dalla parte dei padroni: incuteva condizionamenti alle scelte personali, familiari e di lavoro. In famiglia Zelina si trovò ad essere la più grande di tre figlie femmine e la parola d’ordine era che esse avrebbero dovuto sopperire alla mancanza di maschi e svol6

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gere tutte le mansioni organizzative della vita pubblica e privata, senza sensi di subalternità. Così Zelina Rossi si trovò, appena diciottenne, ad organizzare prima riunioni segrete nelle campagne della Bassa per affermare l’emancipazione femminile e raccogliere beni di approvvigionamento per i partigiani e poi come staffetta a Milano presso il CLN Alta Italia, in azioni pericolose, tra le quali il trasporto a Reggio, insieme a Mirca, in bicicletta e valigia a doppio fondo, con il ghiaccio sulle strade e superando tutti i posti di blocco tedeschi e fascisti, i famosi piani di insurrezione della Regione Emilia Romagna. Dopo la guerra Zelina Rossi sposò Carlo Salsi, perseguitato politico, confinato alle isole Tremiti per aver raccolto contributi per i combattenti antifranchisti in Spagna e partigiano commissario politico della 144a Brigata Garibaldi. Insieme da mezzadri poverissimi, dopo la

Liberazione, con tre figli, si impegnarono sempre sui temi politici per affermare i principi della Resistenza. Ricordo da piccola le grandi lotte di quei tempi per abolire la mezzadria e le rendite padronali, l’affermazione di un mondo libero dalle bombe atomiche e uno straordinario movimento femminile che pretendeva l’uguaglianza nei diritti tra uomo e donna. Per circa 25-30 anni ci fu un movimento straordinario di popolo nelle piazze, che contrastava le leggi antipopolari e le scelte imperialiste americane. Soprattutto si cominciò a costruire una rete di servizi per liberare la donna e permetterle di poter lavorare fuori casa. Fiorirono dopo la Liberazione asili autogestiti anche nelle campagne più sperdute della nostra provincia, dove i bambini cominciavano ad avere un’educazione collettiva. Questo fu un periodo molto fiorente che culminò poi a Reggio con l’organizzazione del famoso modello delle nostre scuole comunali


zo Anna (la mamma) Anna Salsi e la sorella gemella Paola, cominciarono a lavorare a 13 anni, come apprendiste in un maglificio a Correggio e poi in città. Entrarono successivamente nel movimento cooperativo e parteciparono da studentesselavoratrici, al famoso movimento del ’68, dove tutto si contestava, a cominciare dalla famiglia alla società, per creare un mondo più moderno e giusto e per avere più diritti. Oggi qualcuno guarda a quel movimento come un “fuoco di paglia”, ma esso ci insegnò il senso del dovere prima di tutto, a lottare per i nostri diritti, soprattutto con la consapevolezza che nulla è dovuto gratuitamente e tutto va conquistato. Una delle maggiori conquiste di quelle lotte è stato lo sviluppo della capacità critica individuale per distinguere le sirene del consumismo, del capitalismo e dell’informazione di regime, fornendo un bagaglio individuale ai giovani e rendendoli capaci di decidere con la propria testa. La generazione di Anna portò avanti le battaglie impostate dalle nostre mamme e si impegnò moltissimo, dando tutto ciò che si poteva, per creare un futuro migliore per i nostri figli, in termini di libero accesso all’istruzione e alle opportunità del lavoro e della vita. Abbiamo costruito sicurezza, ottenuto diritti sul lavoro e nella società, ma sono ancora poche le donne che vengono valorizzate per le loro reali capacità. La generazione che nacque a cavallo della Liberazione cominciò presto a lavorare e molti di noi sentirono il bisogno di affrancarci dal destino di sottocultura. In massa pretendemmo l’apertura delle scuole serali e così vi partecipammo a costo di grandi sacrifici. Anna entrò in CNA come sindacalista del settore artigiano e compì una straordinaria esperienza imprenditoriale. Raggiunta la pensione, forte del bisogno generazionale di cultura, fece l’esperienza universitaria. Dopo cinque anni ottenne la laurea all’Università di Modena e Reggio a seguito di un periodo bellissimo insieme ai giovani. Ora c’è l’impegno in ANPI e nel volontariato. Da una quindicina d’anni la nostra società ha cominciato un declino, forse dopo avere raggiunto l’apice dello sviluppo, segnalato come campanello d’allarme dal degrado della lingua italiana premonitore di un decadimento sociale, civile ed economico. Si perdono i diritti sociali e del lavoro, si destrutturano le istituzioni, è tornato l’attacco alle donne e alla loro libertà di circolare in sicurezza. L’informazione e la televisione nazional-popolare impongono il “velinismo”, la pubblicità usa il corpo femminile come oggetto del desiderio, cadono i veli ed i pudori, il voyerismo-(guardare dal buco della serratura) impera e le cose della persona più intime diventano pubbliche, per colpa della TV che produce fiction con stupidi modelli come se fosse realtà. Tutto ciò confonde le nuove generazioni, cui si offrono falsi miti e falsi modelli, ma che hanno bisogno del valori di libertà, giustizia e fraternità come ideali e modelli per una vita giusta e migliore. Anna Salsi

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e con una serie di conquiste civili ed economiche per le donne e la società tutta. La generazione che fece la Resistenza ci consegnò la libertà, le istituzioni democratiche e la consapevolezza di lottare per i diritti. Scusate se è poco.

Rita Tamagnini: “Ringrazio mia madre per avermi dato la possibilità di riflettere sul mio e sul nostro percorso” Ringrazio mia madre per avermi dato la possibilità di riflettere sul mio e sul nostro percorso. Solo ora, in questo periodo di crisi, mi rendo conto di quante siano le opportunità di crescita per me; mi riferisco ad una crescita umana e non materiale. Sono fortunata, ho potuto fare molte cose: ho avuto un’infanzia serena e giocosa, ho studiato in Italia e all’estero, ho amici sparsi in giro per il mondo, sono un ingegnere con un buon posto di lavoro, ed ho sempre saputo cosa fare e dove andare. Ho tutto ciò che né mia mamma né mia nonna avrebbero mai potuto avere alla mia età. Nonostante tutto questo, dopo aver corso tutta la vita per raggiungere dei risultati, sento che mi manca qualcosa di fondamentale: non ho la più pallida idea di che cosa significhi difendere i propri diritti, fare parte di una comunità, avere delle responsabilità verso questa comunità e condizionarla con le proprie azioni, ma soprattutto mi manca il coraggio e la convinzione di poter cambiare ciò che mi sta intorno. Vorrei essere donna senza essere oggetto: il sempre riproposto modello femminile ammiccante, che sa utilizzare solo la sensualità, non fa che sminuire le potenzialità della donna. Vorrei avere le stesse opportunità dei miei colleghi uomini: a parità di percorso scolastico e di impegno, le opportunità di crescita professionale sono inferiori. Vorrei liberarmi dai modelli imposti e dai cliché: dover essere belli, giovani, magri, sorridenti, ricchi per indurci a comprare determinati prodotti e a credere a falsi bisogni dettati dal mercato. Vorrei poter vivere la mia felicità e non la felicità altrui. Spero di essere ancora in tempo per poter imparare da mia madre come “nutrirmi” di cose essenziali e come poter affrontare con coraggio le difficoltà del mio tempo. Rita Tamagnini

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8 marzo 1908/8 marzo 2010

Il mio slogan per l’8 marzo è: diffondiamo consapevolezza-prendiamo posizione.

Festa della donna: un seme per una società diversa “Con questa festività s’intendono ricordare le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, ma anche le discriminazioni e le violenze che ancora oggi esistono. Forse è presto per la definirla festa ... Le donne possono inventare una moderna forma di lotta: seminare e far crescere l’idea di un modello sociale dove le persone siano consapevoli del proprio peso nella società. Subito ... Il futuro di tutti è già domani e credo che le donne abbiano, insieme ai giovani, gli strumenti e tutte le motivazioni per arrivare a trasformare la Giornata internazionale della donna nella vera Festa della Donna”.

Intervista a Mariella Compiani, professione operaia Che cos’è oggi “La festa della donna?” Il termine “festa” suscita l’idea di un risultato positivo totalmente raggiunto e non credo che l’attuale condizione delle donne, in varie parti del mondo, si possa considerare ottimale. Oltre un secolo fa iniziò la discussione sulla questione femminile e sulla rivendicazione del voto alle donne. Venne istituita la Giornata internazionale della donna e nel corso degli anni si stabilì di celebrare la ricorrenza l’8 marzo. Con questa festività s’intendono ricordare le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, ma anche le discriminazioni e le violenze che ancora oggi esistono. Forse è presto per definirla “festa”.

Qual è stato il percorso delle donne negli ultimi decenni? La mia età, cinquant’anni, mi consente una visuale che comprende il passato (secolo scorso) e, col dovuto disincanto, il presente. Il passaggio di memoria tra le generazioni è fondamentale e sempre più indispensabile. Chiunque abbia ascoltato i racconti di nonne e vecchie zie, può capire che nessun libro di storia

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trasmetterà mai l’intensità delle passioni, dei sacrifici, della forza di lottare che avevano le donne di un tempo. Ricordo Erminia, recentemente scomparsa, che fino allo scorso anno è andata nelle scuole a raccontare la sua testimonianza sulla guerra, sui partigiani, sull’eccidio cui aveva assistito durante la ritirata dei tedeschi nella seconda guerra mondiale. Quelle donne hanno mosso la storia. Negli anni ’50 distribuire mimose o diffondere “Noi donne”, mensile delle donne italiane, era considerato un gesto “atto a turbare l’ordine pubblico”. L’8 marzo ’72 un gruppo di donne manifestanti è stato caricato dalla polizia e disperso a manganellate. Erano gli anni del femminismo e la “colpa” delle donne era quella di rivendicare il diritto di amministrare se stesse. Unità e determinazione hanno consentito di conquistare diritti imprescindibili che, allora come oggi, nessuno regala. Di nuovo la storia si è mossa.

Qual è la condizione delle donne oggi? In molte parti del mondo la violenza sulle donne è purtroppo protagonista. La

condizione nei paesi occidentali è diversa, ma il disincanto di cui parlavo prima mi porta a vedere una situazione molto difficile anche se apparentemente meno drammatica. Focalizzando l’attenzione sulla realtà circostante, mi dispiace constatare come la tendenza prevalente sia di “delegare”. La costante denuncia di difficoltà quotidiane di ogni genere non si trasforma in “movimento”. Ci si aspetta sempre che sia qualche altro soggetto a risolvere le questioni. Non funziona così. La vita insegna che tutto va conquistato. Ad oggi la donna lavora, per scelta e/o per necessità, ma ha quasi sempre a suo carico anche la cura della famiglia. Orari di lavoro e servizi sociali non si conciliano. Gli stipendi sono bassi e le spese alte… risultato: frenesia. Questo vale per chi ha ancora un lavoro, poiché la crisi ha prodotto un danno incalcolabile nel mondo del lavoro e, alla fine, saranno le donne ad aver pagato il prezzo più alto. Occupate e non, intorno abbiamo il vuoto. Di politica vera, ideali, energia, idee e volti nuovi, concretezza… Vuoto. E’ impegnativo lottare per raggiungere obiettivi!


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La Costituzione è solo

“una vuota anima di cartone?” Roma-Campo de’ Fiori, 8 marzo 1972. Jane Fonda alla manifestazione della festa della donna. Poco dopo la polizia carica, manganella e disperde le manifestanti che inalberano cartelli sui propri diritti di autodeterminazione

Tamaro: “La patina di buonismo, del politically correct, evita di mettere a fuoco ciò che è più importante, e cioè che il male è dentro di noi, è una della nostre possibilità e che, per crescere, dobbiamo decidere in che modo rapportarci ad esso [...] Forse bisogna tornare a considerare il fatto che l’educazione ha bisogno soprattutto di due qualità: la semplicità e la coerenza...”

Cosa si può fare? Credo che la donna debba essere consapevole del proprio peso nella società e non cedere alla rassegnazione, come troppo spesso avviene. Le donne possono inventare una moderna forma di lotta: seminare e far crescere l’idea di un modello sociale dove le persone siano consapevoli del proprio peso nella società. Subito. Finora ci siamo crogiolati in un falso benessere ed ora vediamo la grandezza del fallimento di un modello sociale ed economico che la cultura liberista ha concretizzato col nostro consenso o col nostro silenzio. Non siamo immuni da responsabilità. Il mio slogan per l’8 marzo è: diffondiamo consapevolezza-prendiamo posizione. Ognuno si assuma responsabilità e agisca in base alle proprie possibilità per costruire un modello sociale a misura di essere umano. Servono dignità, coraggio, fiducia, solidarietà e rispetto per muovere ancora la storia. Il futuro di tutti è già domani e credo che le donne abbiano, insieme ai giovani, gli strumenti e tutte le motivazioni per arrivare a trasformare la Giornata Internazionale della Donna nella vera Festa della Donna. a cura di Angelo Bariani

Ferrarini: “Ma questo male ci circonda e il potere insano genera mostri e disuguaglianze e l’organizzazione dello Stato non può rinunciare a porsi dinnanzi ad un sistema di principi e di norme che regolano la vita dell’uomo in quanto cittadino...”

Pubblichiamo una parte dell’articolo di Susanna Tamaro dal titolo Tra Costituzione e coscienza apparso sul “Corriere della Sera” del 18 novembre 2009 con la risposta di Fiorella Ferrarini.

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eggendo, nei giorni scorsi, la notizia e i commenti sulla nuova proposta di insegnare la “Cittadinanza e costituzione” nelle scuole, mi sono trovata a fare alcune riflessioni. Nei miei anni di scuola si studiava educazione civica, materia in realtà alquanto negletta anche dagli insegnanti che il più delle volte preferivano assorbirla nelle materie più importanti – italiano, storia, latino – sempre in affanno nel programma sui tempi. Non conosco dunque la Costituzione, e confesso di non averla mai letta neppure in seguito, malgrado ciò mi considero una persona che continua, nonostante le vicende pietose che ci circondano e ci avviliscono, a rispettare le leggi dello Stato, a credere nell’importanza del bene comune e ad amare il mio paese, pur rattristata dalla vergogna a cui tutti i cittadini per bene – che sono,

per fortuna, la maggioranza – vengono sottoposti da una classe politica il cui primo tratto, al di là delle parti, sembra essere quello dell’immaturità. Così non posso non chiedermi, quali sono le cose che concorrono davvero, nell’educazione, a fare di un bambino un essere capace del vivere civile? Sono forse la grande quantità di corsi e discorsi che invadono da anni la scuola italiana – sulla tolleranza, sul multiculturalismo, su un generico irenismo, ed ora anche sulla Costituzione? Lo dubito, anzi ho la sensazione che tutta questa marea di ossessivo buonismo rischi di produrre effetti opposti. Per quale ragione si deve rispettare il diverso, si deve preferire sempre la pace, si deve essere buoni quando è piuttosto evidente che il mondo è dei violenti e che la corruzione paga molto più

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Pub Pubblichiamo una parte dell’articolo di Susanna Tamaro dal titolo Tra CostituSus zione e coscienza apparso sul “Corriere zion della dell Sera” del 18 novembre 2009 con la risposta di Fiorella Ferrarini. risp

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dell’onestà? Ci salverà forse la conoscenza degli articoli della Costituzione da questo degrado? Credo che tutti questi corsi non siano molto diversi delle guarnizioni di una torta di gesso esposta nella vetrina di una pasticceria. Ci sono ciliegine, canditi, panna montata, tutto sembra molto appetitoso ma in realtà, sotto quella torta, c’è solo una vuota anima di cartone. Forse bisogna tornare a considerare il fatto che l’educazione ha bisogno soprattutto di due qualità: la semplicità e la coerenza. La semplicità è la cenerentola di tutte le teorie educative partorite negli ultimi decenni dai pedagoghi; come le sorelle della fiaba, l’hanno rinchiusa in un sottoscala e da lì si guardando bene di farla uscire. La semplicità è guardare in faccia la natura dell’uomo e capire di cosa ha bisogno, questa natura, per crescere il più possibile armoniosamente [...]. In qualsiasi campo si operi, la via semplice è sempre la più difficile perché ci lascia inermi, sforbiciando via tutto ciò che non è

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essenziale, e, tutto ciò che allontana dal cuore del problema. ema. La patina di buonismo, del politicallyy correct, evita di mettere a fuoco ciò che è più importante, e cioè che il male è dentro di noi, i è una ddella ll nostre possibilità ibili à e che, per crescere, dobbiamo decidere in che modo rapportarci ad esso. Si tratta di una scelta individuale che è in stretta relazione con l’idea di coscienza. E la coscienza conduce a quel nucleo misterioso dell’uomo che lo rende essere capace di libertà. […] Crescere vuol dire saper scegliere e sapere che, scegliendo, si rinuncia a qualcosa. Ma sono proprio quelle rinunce a costruire l’impalcatura solida della vita. In un mondo bulimico che sempre più prospetta l’esistere come una corsa convulsa in cui afferrare più cose e più occasioni possibili, in cui ci viene proposto di essere tutto e il contrario di tutto, e che questo sia conciliabile, il discorso della scelta diventa quanto mai necessario. La scelta, naturalmente, richiede l’entrata in campo di un’altra grande derelitta di questi tempi, la volontà. E’ la volontà che ci permet-

ara Susanna, è il primo giorno dell’anno e, appena sveglia, sono corsa con entusiasmo, come per ritrovare un’amica, a leggere avidamente il tuo articolo. Il sottofondo musicale è dato dall’alleluia della S. Messa in S. Pietro e le parole in latino del Vangelo mi accompagnano (adesso veramente sono distratta dall’immagine di te durante l’incontro con Papa Giovanni Paolo II, inusitatamente vestita da alta montagna…) . Reggio Emilia è una terra straordinaria, ricca di sana solidarietà – da solidus – e di un innato spirito di lotta contro le ingiustizie ma anche capace di generare dialogo e confronto autentico e accoglienza. Alla mia terra sono strettamente legati don Giuseppe Dossetti, Nilde Iotti e Meuccio Ruini, ben tre dei padri costituenti; puoi immaginare la profonda diversità tra i primi due che pure hanno avuto un confronto ininterrotto, difficile ma capace di composizione negli articoli più importanti della Carta e ben oltre, fino all’incontro di Monteveglio, vicino a Marzabotto dove è avvenuto il terribile eccidio da parte dei tedeschi e dove Dossetti ha fondato la sua comunità, che mantiene salde radici anche a Ramallah in Palestina. Perché sento di dirti queste cose? Per sottolineare il contesto in cui vivo e mi riconosco e per ammettere che condivido pienamente il tuo articolo ma anche che mi sembra non completo: dobbiamo coltivare con amore e far crescere quelle qualità che corrispondono alla verità della persona e che tanto sono misconosciute e violate. Bene. Siamo chiamati all’esercizio della semplicità, della coerenza e della volontà. Bene. Il male è dentro di noi e i conflitti vanno riconosciuti e gestiti. Bene. Ma questo male ci circonda e il potere insano genera mostri e disuguaglianze e l’organizzazione dello Stato non può rinunciare a porsi dinnanzi ad un sistema di principi e di norme che

10 marzo 2010

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te ddi scegliere, che ci permette di costruire e di dare un senso preciso ai nostri giorni. Senza esercizio della volontà, la nostra vita Sen diventa qualcosa di non molto diverso da dive quella degli oggetti di plastica che cadono nei fiumi e vengono trascinati dalla corrente fino ad arenarsi in un’ansa. E’ vero, viviamo in tempi complessi, tempi in cui avvengono mutazioni di portata straordinaria e queste mutazioni ci intimoriscono, ci fanno temere che le vie usuali dell’educazione non siano più in grado di creare gli uomini di domani. Ed è forse proprio questo timore a far proliferare sistemi educativi sempre più farraginosi e astrusi, sempre più omologanti, volti a inseguire il nuovo, qualunque esso sia. Quest’ansia, però, ci fa dimenticare che la natura profonda dell’uomo è sempre la stessa e che costruire senza aver prima fissato le fondamenta dell’etica vuol dire innalzare possenti edifici sulla sabbia. […] Susanna Tamaro

regolano la vita dell’uomo in quanto cittadino e che, guarda un po’, non sono state donate da Carlo Alberto di Savoia ma rappresentano l’eredità di una lotta di LIBERAZIONE in cui tutte le forze politiche, le più diverse, persino i monarchici hanno combattuto insieme. E poi per due anni i comunisti e i socialisti e i liberali e il partito d’azione e i democristiani e… si sono confrontati e per mesi hanno meditato sull’articolo 3 della nostra Costituzione e sull’articolo 11 e sulle norme che definiscono le nostre istituzioni, i loro limiti, le garanzie… ecc., ecc. Basta così? No, di sicuro. Se questi articoli restassero lettera morta la pace sarebbe davvero una bandiera e gli articoli si limiterebbero a “vuote anime di cartone”. Ed ecco che irrompe la vita: ed ecco il ruolo delle chiese, della famiglia e della testimonianza feconda e attiva, ed ecco che si chiede ad una scuola viva di sperimentare pace e accoglienza e amore per il pellegrino e capacità di appropriarsi di un linguaggio “pacifico” in senso etimologico e di educare “costruendo i fondamenti dell’etica”. E allora la cultura diventa capacità di porsi di fronte alla realtà con atteggiamento critico, costruttivo e costruttore. Ben venga l’insegnamento della “cittadinanza attiva” dunque, in una scuola che stanno disgregando. E che gli articoli della nostra Costituzione siano conosciuti e praticati e amati e in certe parti anche cambiati. E che si diventi capaci di diventare cittadini impegnati in pienezza, in una civitas per il bene comune. Se me lo consenti ti invierei un testo scritto da un ragazzo, Mattia Stella, Lettera al nonno sulla Costituzione. Chissà che non cominci anche tu ad amarla e che senta tutto il sapore di questa magnifica “torta regalo” piena di anima e di vita. Con immutato affetto Fiorella Ferrarini


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Il Museo Cervi

come Museo Laboratorio... Oggi i Musei intendono essere altro dai luoghi di pura (e passiva) fruizione cui una lunga tradizione ci ha abituati. Secondo la definizione dell’ICOM (International Council of Museums, l’organizzazione internazionale dei musei impegnata a preservare, ad assicurare la continuità e a comunicare il valore del patrimonio culturale e naturale mondiale, attuale e futuro, materiale e immateriale ), infatti, il Museo è “un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo; è aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali dell’umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazione, diletto”. Ne emergono, chiare, alcune parole chiave: patrimonio, accoglienza, ricerca, educazione, diletto, dove la vera novità (oramai relativa a dire il vero, perchè pratica acquisita della maggior parte dei musei) è nel “diletto”, che fa del museo un luogo davvero lontano dal contenitore finalizzato alla sola conservazione del patrimonio, sia esso materiale o immateriale. E’ forse questa nuova declinazione, che ha come ricaduta la più viva fruizione da parte del pubblico, che giustifica in parte l’aumento nella nostra regione del numero dei musei medio piccoli, come dicono le statistiche: c’è dunque un’esigenza diffusa di memoria, che individua nel museo un luogo in cui una comunità può confrontarsi con la propria storia e la propria identità, e un’occasione per riconoscersi in una o più memorie. Anche il Museo Cervi cerca di collocarsi con le sue attività entro questo nuovo panorama, individuando nella ricerca, nella educazione, nella conservazione, e appunto nell’intrattenimento culturale, le sue mission specifiche. Sono finalità che si definiscono bene a partire dal 2001, al momento del riallestimento del Museo Cervi, quando si struttura un nuovo rapporto con l’utenza, a partire da un percorso di fruizione finalmente organizzato. Se è, infatti, vero che Casa Cervi diventa un Museo in modo quasi spontaneo, per volontà popolare, secondo un lento processo che inizia già negli anni ’50 del secolo scorso (percorso singolare, che lo rende nel tempo più vivo e libero di tanti altri Musei) è anche vero che solo nel 2001 si può parlare davvero di museo “per la storia dei movimenti contadini, dell’antifascismo e della Resistenza nelle campagne”. Il riallestimento è frutto di un lavoro di ricerca e di un progetto di comunicazione articolato, dove a partire dalla vicenda della famiglia

Cervi, si indaga poi il contesto storico di riferimento secondo diversi livelli di lettura, cui corrispondono altrettanti momenti di approfondimento. Ma quel che è più importante è che per la prima volta Casa Cervi dialoga con l’esterno, inaugurando una riflessione nuova sul suo rapportarsi con l’utenza, soprattutto quella delle generazioni più giovani, e sul suo rapportarsi con il mondo della scuola. Così come la scuola, i Musei sanno bene quanto sia problematico oggi l’insegnamento della storia, e di come sia fragile il sistema di legittimazione che lo sostiene, a fronte di un mondo che cambia velocemente, per i legami tradizionali che saltano, per la globalizzazione, per i media invasivi, tanto per citare due esempi fra gli altri. Ed è anche per questo che il Museo Cervi si è sempre più caratterizzato negli ultimi anni come Museo Laboratorio, dove l’idea del fare, dell’interagire prevale sull’idea del tradizionale fruire passivo, mentre la visita diventa un’esperienza viva, e sempre diversa sulla base delle attività che il Museo organizza, e anche delle potenzialità che riesce ad esprimere lavorando sul proprio patrimonio. Questa modalità consente di rendere concrete alcune idee “care” al Cervi: 1 – il Museo come realtà in movimento, al quale si ritorna più e più volte per quello che di diverso esso sa esprimere attraverso le attività, e le letture stratificate dei suoi beni materiali e immateriali. 2 – il Museo come luogo dell’emozione. 3 – Il Museo come luogo di formazione dei nuovi cittadini. 4 – Il Museo multiculturale. Alla base di questo orientamento c’è la richiesta – da parte della scuola ma anche

della società civile – che i Musei provino anche a diventare un’occasione di formazione dei nuovi cittadini, luoghi di educazione ad una cittadinanza attiva e consapevole, dove diventa importante non solo l’insegnamento della storia, ma anche la capacità che ha il Museo di stare dentro al dibattito storico e culturale grazie a quello che organizza, alla “rete” che riesce ad attivare con gli altri luoghi e istituzioni di produzione di cultura. E’ su questo punto che i Musei oggi si devono spendere al più alto livello, cogliendo le sollecitazioni di una società che cambia, dove sono tante le resistenze da indagare e confrontare, secondo un approccio davvero multiculturale. Si protrebbe, quindi, sintetizzare, in esempi di ricaduta laboratoriale quello che oggi la Casa-Museo Cervi propone al suo studentevisitatore; le proposte di attività rappresentano per declinazione la vera specificità del luogo che rilegge e riflette oggi sul significato peculiare la sua specificità: lo studio per la storia dei movimenti contadini, dell’antifascismo e della Resistenza nelle campagne. In questo contesto è, quindi, possibile fare esperienza attiva di carattere teatrale, memoriale, archivistico, testimoniale, audiovisivo della vicenda familiare dei Cervi, sorta a modello nello spaccato di vita quotidiana e sociale del Novecento. Questo scenario di lavoro vorrebbe essere occasione di confronto, di dibattito per stimolare il giovane visitatore ad una consapevolezza responsabile nella partecipazione alla vita attuale. Una visita che supera la passività del frutirore attraverso un’esperienza dinamica ed attiva, una modalità ed un’occasione per congedarsi da questa riflessione con domande creative più che risposte formali. Paola Varesi Morena Vannini marzo 2010 11 notiziario anpi


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i loro diritti di future donne Il mensile, organo dell’Unione Donne Italiane, ha ospitato nel corso della sua storia le principali voci del femminismo italiano. Il primo numero della rivista venne stampato a Parigi nel novembre 1937 come foglio clandestino, per iniziativa dell’antifascista in esilio Xenia Sereni. Nel luglio del 1944 iniziarono le pubblicazioni regolari. Tra le collaboratrici e i collaboratori di “Noi donne” ricordiamo Ada Gobetti, Camilla Ravera, Nadia Gallico Spano, Anna Maria Ortese, Marguerite Duras, Giovanna Pajetta, Umberto Eco, Gianni Rodari, Maria Antonietta Macciocchi, Ellekappa. Nel corso degli anni Settanta la rivista ebbe il suo momento di massima distribuzione, arrivando a punte di seicentomila copie a

numero grazie alla diffusione militante. Il giornale fu protagonista delle battaglie per la parità di salario, per il divorzio, l’aborto e la tutela della maternità. Durante la direzione di Giuliana Dal Pozzo e di Miriam Mafai la periodicità diventò quindicinale e poi settimanale prima di tornare ad essere mensile nel 1981. Nonostante un tentativo di restyling nel 1998, nel gennaio 2000 la rivista fu costretta a sospendere la pubblicazione per difficoltà economiche. Oggi la rivista è di nuovo disponibile. Per info: www.noidonne.org (da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

1954 –Anna e Maura Ferrari, figlie dell’indimenticato Didimo, il partigiano Eros, in un scatto “militante”: la diffusione di “Noi Donne”, mensile dell’Unione donne italiane, rivista mensile italiana fondata nel 1944

Diploma UDI a Italina Pasquali Italina era la nonna del dott. Giuliano Bedogni, primario di endoscopia digestiva dell’Arcispedale Santa Maria Nuova. Nell’immediato dopoguerra Italina mise a disposizione il suo appartamento per la realizzazione di un asilo che accolse bambini usciti dalla guerra.

12 marzo 2010

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politica Iscriversi all’ANPI, Is

per un ideale alto di società TESSERAMENTO 2010 C’è una novità: “secondo quanto previsto dallo statuto dell’ANPI possono iscriversi diversamente da prima (ed anche impegnarsi in prima persona nelle attività), tutti coloro, non solo Partigiani o Patrioti”, ma giovani e meno giovani, che abbiano sentimenti antifascisti e vogliano far parte di una associazione che ha come finalità “la conservazione, la tutela e la volontà di mantenere la nostra società lungo i binari rappresentati dai valori che la Resistenza ha consegnato alle generazioni future”. Come ogni anno, anche quest’anno si è aperta la campagna di tesseramento dell’ANPI. Un fatto importante per la nostra associazione perché: 1) – ci permette di rafforzare l’organizzazione con nuovi iscritti, con nuove culture; 2) – ci rafforza finanziariamente perché di soldi, c n’è sempre bisogno per far funzionare l’apparato e le sue iniziative. Ma soprattutto c’è una novità, ancora poco conosciuta. “Secondo quanto previsto dallo statuto dell’ANPI possono iscriversi diversamente da prima (ed anche impegnarsi in prima persona nelle attività), tutti coloro, non solo Partigiani o Patrioti”, anche giovani e meno giovani, che abbiano sentimenti antifascisti e vogliano far parte di un’associazione che ha come finalità la “conservazione, la tutela e la volontà di mantenere la nostra società lungo i binari rappresentati dai valori che la Resistenza ha consegnato alle generazioni future”. Valori che hanno costituito la base fondamentale della Repubblica, della Costituzione, che sono patrimonio fondamentale della Memoria del Paese. Memoria e Costituzione oggi sono sottoposte ad un tentativo di revisione violenta da parte del governo e del suo presidente. Il tentativo strisciante, silenzioso, cioè, di stravolgere la Carta costituzionale e la sua storia. Poi le polemiche che vengono orche-

strate contro il Capo dello Stato “dalle smanie presidenzialistiche del capo del governo, dal suo modo di governare a colpi di decreti legge, dai suoi continui attacchi alla Costituzione” ecc. Il Presidente del Consiglio invece di proseguire sulla strada delle polemiche, dovrebbe imparare a dire parole chiare sulla Resistenza, non dimenticando mai che i “Partigiani sono stati determinanti e fondamentali per liberare il Paese dalla dittatura nazifascista, per riportare la democrazia in Italia”. Voglio ricordare alcune parole del Presidente Giorgio Napolitano: “Il valore della memoria e della storia sta nell’imparare quello che ci dicono le generazioni che ci hanno preceduto, nell’imparare quello che ci ha insegnato la storia”. In altre parole, bisogna stare attenti a non ripetere gli errori del passato. Voglio dire ai giovani che si avvicinano all’ANPI, di essere orgogliosi della sua storia, di questa terra reggiana che è stata un centro importante della lotta di Liberazione. Non per caso che sono usciti, da qui, tre padri costituenti Ruini, Dossetti e Nilde Iotti. Ed è proprio la Costituzione con i suoi valori che ci deve indicare la strada per affrontare positivamente la crisi odierna. Non dobbiamo lasciarci trascinare dall’indifferenza, perché l’indifferenza è nemica della Costituzione e della democrazia.

Mi voglio rivolger ai Resistenti di oggi: i lavoratori che stanno difendendosi dalla crisi e dai licenziamenti, chi protesta in favore della libertà di stampa, chi difende gli immigrati, perché anche loro siano rispettate come persone, perché non succeda più quello che è accaduto a Rosarno. Saper coniugare la Resistenza passata con la Resistenza attuale. Ecco perché vi invito a tesserarvi all’ANPI, per un ideale alto di società, in cui abbiano ancora un senso valori quali: Dignità della persona, Solidarietà, Diritto al lavoro, alla Scuola, alla Salute. Ma l’invito non si limita solo all’iscrizione, ma vuole essere un invito a partecipare attivamente a questo progetto, mettendo a disposizione una parte del proprio tempo libero per sostenere ciò che ha dato in lascito la Resistenza, in un momento storico in cui i suoi valori di principio sono minacciati. E’ un percorso che vuole essere un passaggio generazionale che vede insieme i Partigiani a chi, soprattutto giovani, vuol far sì che questo patrimonio di generosità e di lotta, di impegno sociale, di Resistenza non vada perduto. Andate dunque nelle sedi dell’ANPI del vostro quartiere ad iscrivervi, oppure passate dalla sede dell’ANPI provinciale via Farini n. 1, a Reggio Emilia. Luciano Cattini

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politica

Candidature femminili

UN BANCO DI PROVA

Abbiamo bisogno di consigliere e assessore che non siano “omologate” ad un modo di amministrare inteso come pura gesti gestione del potere, che non siano subalterne a logiche di parti partito o di corrente, ma di donne “libere ed autonome” nel pen pensare e nell’agire, che sappiano lavorare insieme, al di là de delle singole appartenenze partitiche e che sappiano umilm mente mettere capacità e talenti individuali al servizio delle a altre e dei cittadini. Solo così la politica ed il governo potrano, no essere ancora una “buona” politica ed un “buon governo”, fide all’altezza della storia della nostra bella regione e delle sfi che la attendono.

Le elezioni regionali sono alle porte. Viene segnalato dalla stampa come un dato nuovo il fatto che alcune donne di valore siano candidate Presidenti in importanti regioni: un esempio tra tutti: il confronto tutto al femminile tra Emma Bonino e Renata Polverini nel Lazio. E’, questo, un segnale che le donne stanno affermandosi ai livelli più alti in un campo, quello delle istituzioni, ancora tenacemente e fortemente maschile. Anche in Emilia Romagna le elette nel Consiglio regionale uscente o componenti della Giunta erano vere e proprie mosche bianche. E’ perciò auspicabile che le candidate sappiano alzare il livello del confronto, portandolo sulle idee e sui programmi concreti, sullo stile di governo. Quanto all’Emilia Romagna, in una campagna elettorale che si presenta particolarmente difficile, anche per le possibili ricadute della incresciosa vicenda che ha portato alle dimissioni del sindaco di Bologna Delbono, il centrosinistra dovrebbe comprendere che una forte e qualificata presenza di donne nelle sue liste, e soprattutto l’impegno concreto a sostenerle e a farle votare, può rappresentare per i cittadini un segnale significativo della volontà della politica di cambiare davve14 marzo 2010

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ro, cogliendo e valorizzando il peculiare punto di vista, le competenze ed esperienze di cui le donne sono portatrici. Cosa necessaria anche qui in Emilia, ove la forte e solida la tradizione di buon governo è messa alla prova dai grandi mutamenti intervenuti nella società e dagli effetti della crisi sul tessuto economico e sociale. Queste elezioni sono perciò un effettivo banco di prova della reale volontà di aumentare in modo consistente la presenza femminile nel Consiglio regionale e nella Giunta uscente, superando un gap di rappresentanza che non fa certo onore alla politica ed ai partiti in Emilia Romagna. Ma come stanno le cose per le candidature femminili del centrosinistra espresse da Reggio? Quali proposte stanno emergendo? Alla data in cui scriviamo, a lavori ancora in corso, e ci scusiamo per involontarie omissioni, nelle candidature espresse dai partiti del centrosinistra questa è la situazione. Dei cinque candidati del PD reggiano due sono donne: Laura Salsi e Roberta Mori. Laura Salsi, consigliera uscente, ha alle spalle una solida esperienza politica, è stata consigliera e presidente del Consiglio comunale di Reggio Emilia, in Re-


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Liana Barbati (IDV)

politica

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Laura Salsi (PD)

alle regionali:

femminili e Roberta M Mori (PD)

Marina Arrivabeni

FRANCESCA MONTECCHI (Federazione della sinistra)

gione si è impegnata per il sostegno ai centri antiviolenza e ha mantenuto un costante rapporto col territorio su questioni concrete come il lavoro, la sanità, la scuola, la mobilità. Roberta Mori, avvocato, è consigliera provinciale, è stata sindaco del Comune di Castelnuovo Sotto, è membro della Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo e presiede un’associazione di enti locali italo-svedesi. Liana Barbati, dell’IDV, insegnante, è da tempo impegnata in politica, è stata assessore alla Cultura ed ora è vicesindaco del Comune di Reggio. E’ indicata a far parte del “listino” del presidente Errani. La Federazione della sinistra (Rifondazione comunista e Comunisti italiani) esprime due nuove proposte: Paola Mistrali e Francesca Montecchi. Paola Mistrali è insegnante di lettere in un istituto superiore. Da dieci anni lavora nel campo dell’istruzione e dell’inserimento degli stranieri. Ora è presidente della corrispondente associazione di lingua e cultura italiana “Passaparola”. Si è impegnata con progetti educativi nella prevenzione delle tossicodipendenze in collaborazione col Provveditorato, enti ed associazioni della Provincia. Ha gestito un progetto italo-ucraino finanziato

Sara Cattini (Sinistra Ecologia e Libertà)

dalla Regione. Francesca Montecchi ha fatto parte delle “Donne dell’Ulivo” ed è stata consigliera di circoscrizione. E’ impegnata in varie attività sociali e di volontariato. È stata operatrice del CEIS e presidente della Cooperativa sociale “il Pane e le rose”. Ha fondato e presiede l’associazione culturale “Nuova Officina Incanto”. Sinistra Ecologia e Libertà propone due candidate: Marina Arrivabeni ha un lunga esperienza in ambito educativo (nido e scuola d’infanzia comunali e ora scuola primaria) e sportivo. Fa parte del Comitato “Altavoce” promosso da Donatella Chiossi, che si batte per una buona legge sul testamento biologico. E’ impegnata nella sua circoscrizione. Sara Cattini è studentessa universitaria all’Università di Parma. E’ iscritta all’ANPI perché crede nell’antifascismo e nei valori di libertà e democrazia. Le candidate citate hanno profili, storie personali, esperienze e competenze diverse tra loro, ma sono connotate tutte da passione politica, impegno concreto, credono sinceramente nei valori, per noi irrinunciabili, della Resistenza e della Costituzione. Chiediamo agli elettori e alle elettrici di sostenerle, di dar loro fiducia. A chi tra loro ce la farà ricordiamo che

la nostra provincia ha espresso nella sua storia grandi amministratrici della Regione, autorevoli e popolari, vere e proprie costruttrici del welfare emiliano, sempre e coerentemente dalla parte delle donne. Parliamo, tra le altre, di Ione Bartoli, di Riccarda Nicolini. Per questo chiediamo alle nuove candidate di raccogliere quel testimone. La sfida della credibilità, della autorevolezza e del consenso si gioca nella capacità di dare risposte concrete ai problemi e alle sollecitazioni che emergeranno da uno scambio continuo con le donne e con i cittadini. Abbiamo bisogno di consigliere e assessore che non siano “omologate” ad un modo di amministrare inteso come pura gestione del potere, che non siano subalterne a logiche di partito o di corrente, ma di donne “libere ed autonome” nel pensare e nell’agire, che sappiano lavorare insieme, al di là delle singole appartenenze partitiche e che sappiano umilmente mettere capacità e talenti individuali al servizio delle altre e dei cittadini. Solo così la politica ed il governo potranno essere ancora una “buona” politica ed un “buon governo”, all’altezza della storia della nostra bella regione e delle sfide che la attendono. Eletta Bertani

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Riforma o controriforma?

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A partire dall’anno scolastico 2010-11 la scuola secondaria superiore italiana, iniziando dal biennio, andrà incontro ad una trasformazione radicale per effetto dell’applicazione della riforma Gelmini, dal nome dell’attuale ministro dell’Istruzione. Di riforma della scuola secondaria si parla da tempo, ma in passato non si è mai arrivati ad una concreta realizzazione sia perché la materia ha dato luogo ad un acceso dibattito da cui sono emerse posizioni anche molto diverse tra di loro, sia perché sono mancate la volontà e la forza politica (nel senso di maggioranza parlamentare) necessarie alla sua attuazione. Ora una maggioranza c’è (e si muove almeno in questo contesto in modo compatto) e, quanto al dibattito, proprio non c’è stato, nel senso che la decisione non è stata preceduta da alcuna pubblica discussione in merito. E’ indiscutibile che la scuola superiore sia in stato di sofferenza, come testimoniano ad esempio le indagini internazionali sull’efficienza del sistema scolastico dei paesi avanzati: gli studenti italiani si trovano ad occupare regolarmente i posti bassi della classifica nella comprensione e nell’uso della lingua-madre, nelle conoscenze e nell’applicazione delle

16 marzo 2010

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LA SCUOLA che sarà la validitÀ della proposta va valutata, come giÀ osservato, caso per caso sulla base della concreta offerta formativa, cioÈ delle discipline proposte, dei programmi e del numero di ore assegnato a ciascuna di esse, e della sua rispondenza all’obiettivo di fornire allo studente le conoscenze di base, la consapevolezza di sÉ e del mondo necessarie ad inserirsi nella societÀ presente, a trovare un lavoro che risponda alle proprie attitudini, a essere un buon cittadino...

nozioni scientifiche, nelle abilità logicomatematiche. Questi cattivi risultati fanno pensare che di una riforma della scuola ci sia proprio bisogno e, quindi, si potrebbe dire, ben venga se l’attuale governo, approfittando dell’ampia maggioranza, si è deciso al gran passo. Ma dobbiamo davvero rallegrarci? Per rintracciare il preludio alla riforma bisogna riandare all’estate-autunno 2008, quando gli italiani hanno scoperto, spesso con qualche ritardo, che in piena stagione balneare (leggi 133/08 e 169/08) si era deciso di snellire la scuola, liberandola da un significativo numero di docenti, bidelli, personale tecnico. Questo provvedimento prevede, infatti, un taglio di 130.000 posti di lavoro in tre anni, tuttavia, quando giornalisti o sindacalisti “malevoli” hanno usato per riferirsi ad esso l’espressione “licenziamento”, sono stati corretti, facendo notare che non di licenziamento bisogna parlare, perché in effetti, dal punto di vista formale, licenziamento non c’è, ma semplicemente mancato rinnovo del contratto a termine. Questo significa che, se vogliamo prendere in considerazione la sostanza e non la forma, migliaia di precari perderanno in piena crisi la possibilità di mantenere

sé e la propria famiglia. Per giustificare operazioni di questo tipo si è detto che in Italia ci sono troppi insegnanti dequalificati e mal pagati rispetto al resto d’Europa e che bisogna andare ad un numero inferiore di docenti qualificati e meglio pagati, ma ne frattempo, in attesa dell’età dell’oro, ci si chiede come la scuola potrà sostenere un simile salasso. La risposta è in parte proprio la riforma Gelmini: c’è bisogno di meno insegnanti perché la riforma prevede meno ore settimanali a scuola. Nei licei gli studenti saranno a scuola 27 ore nel biennio e 30 nel triennio (con l’eccezione del liceo artistico che può arrivare fino a 35 ore); per gli istituti tecnici 32 ore settimanali. Per chiarire la questione ai non addetti ai lavori, è bene precisare che la qualità dell’offerta formativa dei vari istituti si misura anche sulla base delle discipline di studio previste dal piano orario e dal numero di ore a ciascuna di esse assegnato ogni settimana, per cui non basta la semplice presenza di una materia nel quadro orario per sentirsi come genitori e come studenti tranquilli, ma bisogna controllare attentamente quante ore settimanali siano previste per quella disciplina. Se, ad esempio, nel quadro


zo orario è attivata una seconda lingua straniera, è poi necessario controllare quante ore siano ad essa attribuite, perché se le sono assegnate due ore settimanali (anche di 60 minuti e non di 50 come accade ora), si può dubitare che il suo studio consenta ad uno studente un’adeguata conoscenza della seconda lingua straniera, a meno che l’allievo non appartenga ad una famiglia che può finanziare una vacanza studio all’estero. Quindi, per così dire, la coperta del “sapere”, che fuori dalla scuola continua ad allargarsi, è diventata nella scuola più stretta ed ogni disciplina cerca di tirarla a sé quanto possibile, ma ovviamente, come le leggi della fisica insegnano, più di tanto non si può. Un altro punto su cui il ministro Gelmini ha continuamente insistito è la necessità di mettere ordine in una situazione caotica. Negli ul-

timi trent’anni le scuole italiane, al di là delle etichette tradizionali come liceo scientifico, istituto commerciale e simili, sono cambiate profondamente dall’interno per effetto di una “riforma fai da te” che, in assenza di una riforma organica dall’alto, ha approfittato della possibilità offerta dalla legge di attivare piccole e grandi sperimentazioni per modificare il quadro orario, inserendo nuove discipline e aumentando il numero delle ore totali, per rispondere ai cambiamenti verificatisi nella società e nel quadro delle conoscenze (basti pensare alla rivoluzione informatica), nonché alle richieste provenienti dal tessuto produttivo locale che necessitava di tecnici qualificati. Ne è seguita una proliferazione di indirizzi, che la riforma si propone di ridurre qualche volta in contrasto proprio con la parola d’ordine del federalismo così cara a

taluni membri del governo, se è vero che in alcuni casi proprio l’imprenditoria e le forze politiche locali sono intervenute per impedire che la riduzione dai molti indirizzi di studio ai pochi tagliasse proprio le specializzazioni che rispondevano alle necessità produttive del territorio (ad esempio l’indirizzo enologico presente nella regione del Trentino-Alto Adige). La griglia generale in cui vengono fatte confluire le scuole italiane prevede, nel solco della tradizione scolastica italiana, una netta separazione tra licei ed istituti tecnici ed anzi un’accentuazione della differenza tra i due tipi di istituto. I licei saranno sei: artistico, classico, scientifico, linguistico, delle scienze umane e musicale-coreutico, con all’interno ulteriori sottosezioni. Gli istituti tecnici, in cui finiranno per confluire in parte anche gli attuali istituti professionali, saranno

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undici. La validità della proposta va valutata, come già osservato, caso per caso sulla base della concreta offerta formativa, cioè delle discipline proposte, dei programmi e del numero di ore assegnato a ciascuna di esse, e della sua rispondenza all’obiettivo di fornire allo studente le conoscenze di base, la consapevolezza di sé e del mondo necessarie ad inserirsi nella società presente, a trovare un lavoro che risponda alle proprie attitudini, a essere un buon cittadino. Il richiamarsi alla tradizione col dire che finalmente, dopo i disastri del Sessantotto, si ritorna al rigore di una volta è un’affermazione ideologica che cerca di ottenere un facile consenso intorno alla proposta avanzata, a prescindere dall’analisi concreta delle proposte. Maria Assunta Ferretti

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politica

Comunità forte, futuro sicuro: la frase caratterizza il programma del Sindaco e della Giunta in carica, la scelta conseguente è quella di istituire un assessorato alla “cura della comunità”.

Valorizzare il femminile per costruire una comunità forte Comunità forte, futuro sicuro Misurarsi con l’assessorato alla “cura della comunità”, che comprende anche il decentramento e i processi partecipativi, il commercio, la conciliazione dei tempi e le pari opportunità, è una palestra quotidiana di riflessione su come trasferire i due sostantivi “cura” e “comunità” nell’azione amministrativa. Sono partita dalla considerazione che le due parole mi sono familiari: la cura è la dimensione del femminile che attraversa tutte le culture a oriente e ad occidente, a nord e a sud del mondo; curare significa accudire, ma significa anche essere da sempre impegnate in una lotta quotidiana per pulire il mondo e per impedirne il deperimento. Occuparsi di cura della comunità significa innanzitutto potenziare la comunità della cura, nella quale per le donne è più facile riconoscersi. Se la cura è dimensione del femminile, e valorizzando quest’ultimo si valorizza la cura come strategia di relazione anche nell’amministrare, che cosa è

18 marzo 2010

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allora la comunità? La comunità è relazione. La relazione richiede tempo, ma la conciliabilità dei tempi di vita nella nostra società complessa diventa il presupposto per la costruzione del contatto sociale e della relazione umana, dunque curare la comunità significa anche occuparsi dei suoi tempi. Il percorso che l’amministrazione comunale di Reggio Emilia offre da marzo a maggio all’interno del tradizionale calendario di “Primavera Donna” è focalizzato su tre eventi, uno per ogni mese, che, collocandosi all’interno delle due parole chiave “cura “ e “comunità”, vogliono essere occasione di elaborazione culturale, di dibattito pubblico per determinare poi l’azione amministrativa. 19 marzo Il 19 marzo per l’intera giornata la città ragiona intorno alla maternità, ripartendo dalla centralità della riproduzione. Malgrado le attività riproduttive siano essenziali per ogni società, la teoria economica,

ma anche l’analisi politica, le hanno per lungo tempo lasciate in ombra. Nella nostra città il modello di welfare costruito dal dopoguerra ad oggi ha evitato questo errore, ma analizzare come la maternità si intrecci con il lavoro, la salute, la non maternità, la socialità, l’immigrazione, il sistema dei servizi, facendo partecipi dello stato dell’arte di tali rapporti attori diversi, è funzionale a due esiti: – uno pragmatico, ossia adattare i servizi, favorendo azioni di auto-aiuto e la conciliazione tra vita familiare e lavorativa (la cultura family friendly), ecc. – uno concettuale, ossia ricollocare in una posizione di eguale dignità produzione e riproduzione; valorizzando il “Reggio approach” (una modalità di approccio pedagogico nella scuola dell’infanzia, atta a promuovere la formazione, fin dalla più tenera età, favorendo la migliore integrazione possibile fra tutte le forme del linguaggio e delle espressività umane) come strumento strategico anche in una fase di crisi economica e indagando sul valore


zo economico del lavoro di cura. La collaborazione con i Musei Civici ha permesso poi di prevedere l’allestimento di una mostra in cui saranno raccolti ed esposti i materiali del museo di diversa provenienza culturale, geografica, cronologica, che riguardano la figura della madre. Nell’ambito dell’inaugurazione di questa mostra avverrà la presentazione del video Mothers, che nasce da un progetto europeo coordinato per l’Italia dall’IBACN della Regione Emilia Romagna. Il video valorizza reperti archeologici ed etnografici, quali testimoni di culti ancestrali della maternità e si confronta con la contemporaneità attraverso interviste a professionisti che si occupano della maternità e a persone comuni che portino ad esempio il proprio vissuto. 23 aprile Il 23 aprile sarà l’occasione per valorizzare l’etica della cura attraverso i rapporti con la scuola: Che cosa significa educare/insegnare in ottica di genere? Un’iniziativa che coinvolgerà docenti e studenti e studentesse. 28 maggio Il 28 maggio sarà l’occasione per capire meglio le esperienze degli osservatòri di genere quali strumenti per valorizzare le politiche di genere. Si tratta di costruire una mappa della presenza maschile e femminile in ogni settore della vita economica e sociale della città e monitorare stabilmente la presenza femminile e maschile ed il ruolo ricoperto dalle donne e dagli uomini nelle

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politica istituzioni, nella politica, nei sindacati, nelle associazioni datoriali, nel settore finanziario, nel mondo del lavoro. La conoscenza degli eventuali svantaggi di genere è il presupposto per orientare in modo adeguato l’azione amministrativa. 8 marzo Ma il fare comunità, anche nella gestione delle politiche di pari opportunità, parte dall’evento ludico che ogni anno tradizionalmente l’Amministrazione comunale di Reggio Emilia dedica alle donne della città per la ricorrenza civile dell’8 marzo. Si trattava di finalizzare anche tale evento alla costruzione di relazioni ed alla valorizzazione delle capacità delle donne della città. Ciò è divenuto possibile realizzando una produzione originale del Comune di Reggio Emilia, affidata alle attrici/registe reggiane (sono state ricercate tutte le attrici iscritte all’albo delle professioniste, si tratta di 26 persone, invitate tutte ad accettare la sfida; 16 hanno risposto affermativamente e stanno lavorando). Lo spettacolo sarà cofinanziato dal Comune di Reggio Emilia e da diversi partners e verrà realizzato in collaborazione con la Fondazione dei Teatri. Sarà in scena al Teatro della Cavallerizza il 7 marzo nel pomeriggio e con una replica serale. Nelle aspirazioni dell’Amministrazione comunale dovrà essere il primo di una serie di progetti che valorizzeranno il genio delle artiste reggiane, in ogni campo, in concomitanza con l’8 marzo di ogni anno. Natalia Maramotti

marzo 2010 19 notiziario anpi


politica

LE DUE ANIME DELLA SINISTRA

INCIUCIO O NON INCIUCIO In questa tormentata “temperie politica di sensi e bisogni nuovi” (Carducci), la strada della salvezza non può essere affidata nelle mani di astuti strateghi, privi di ideali, reduci da mille sconfitte e portatori di rovina, mentre più che mai riecheggiano le parole, ancora attuali, di un celebre canto: “Fischia il vento, infuria la bufera, / scarpe rotte, eppur bisogna andar!” Il 12 dicembre 1944 entrò ufficialmente in carica il secondo governo Bonomi, composto da comunisti, democristiani, liberali ed esponenti della sinistra moderata, che facevano capo allo stesso Bonomi. Si trattava, quindi, di una coalizione tra la destra conservatrice ed una parte della sinistra. Il partito comunista era ben rappresentato in tale compagine di governo, giacché i suoi esponenti occupavano alcuni ministeri chiave, quali le Finanze, l’Agricoltura, quello dell’Italia occupata, mentre lo stesso Togliatti era alla vicepresidenza. Rimasero fuori dalla maggioranza di governo i socialisti e azionisti, i quali avevano preferito rimanere fedeli sostenitori di una linea di radicale epurazione, piuttosto che occupare poltrone di ministeri

20 marzo 2010

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Togliatti al centro

altrettanto importanti ed influenti. Nel contempo, furono messe a tacere le voci più intransigenti, come quella di Scoccimarro, che, in seno al partito comunista, postulavano una più energica e coerente azione di epurazione. La mancata partecipazione dei socialisti e degli azionisti al governo e il nuovo corso comunista indebolirono alquanto l’attività di epurazione da poco avviata. (Hans Woller, I conti con il fascismo, L’epurazione in Italia 1943-1948, il Mulino, 1997, pp. 272 e segg.). Per ironia della storia, l’intransigente partito socialista venne poi trasformato da Craxi in un comitato d’affari, dedito ad ogni sorta di vessazione, alla più sfrenata vita mondana ed all’illecito arricchimen-

to. E da tale infausta metamorfosi nacque il berlusconismo oggi imperante, contrassegnato dal crollo di ogni ideale, dalla totale assenza di pudore e di ritegno etico. La vicenda politica sopra descritta integra un esempio di quella tendenza al compromesso tattico, oggi riemersa a proposito delle candidature per le prossime elezioni regionali. Infatti, un autorevole esponente del PD, rivendica, come giusta ed opportuna, tale filosofia politica, evocando, quale esempio asseritamente positivo, il compromesso intercorso tra le forze di sinistra e la DC, in merito all’approvazione dell’art. 7 della Costituzione. Si tratta, a ben vedere, di un esempio alquanto infelice. Infatti, l’art. 7 della Costituzione integra un grave vulnus al principio di laicità e di aconfessionalità, sul


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quale si fonda, come ogni Stato moderno, la Repubblica Italiana, ed inserisce nel tessuto della Carta fondamentale perniciose anomalie. In particolare, esso attribuisce un improprio rango costituzionale interno ad uno Stato estero, contempla una limitazione della sovranità dell’Italia nei rapporti con la Santa sede e conferisce un rango privilegiato ad una religione su tutte le altre. Le conseguenze di tale quadro normativo sono più che mai attuali: privilegi fiscali ed esenzioni, finanziamenti alle scuole cattoliche, insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali, pesante ingerenza del Vaticano nel procedimento di formazione delle leggi della Repubblica Italiana, nel nome di autoreferenziali “principi non negoziabili”, rivendicazione unilaterale di una pretesa superiorità morale dell’insegnamento della Santa Sede, portata invece a ben tollerare la scandalosa condotta di uomini di potere, in cambio dei descritti benefici. Ben può affermarsi, dunque, che l’art. 7 della Costituzione abbia tradito gli ideali di sovranità e di laicità, che nel Risorgimento avevano condotto all’Italia unita e nella Resistenza alla Liberazione dal fascismo ed alla instaurazione della Repubblica. Il compromesso tattico, dunque, non porta mai nulla di buono, come, in anni non lontani, insegnano il fallimento della Commissione bicamerale e, correlativamente, la mancata regolamentazione del conflitto di interessi. A ragione, quindi, tale propensione al sacrificio dei propri ideali in cambio di opinabili benefici viene icasticamente definita con il termine ormai di uso comune inciucio. Infatti, con tale vocabolo s’intende, nel gergo politico, pasticcio, imbroglio (Cfr.: Dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti, Rizzoli Larousse, 2004). In tale guazzabuglio si dibatte attualmente il PD, alla ricerca di valide e credibili candidature per le elezioni regionali e, nel contempo, di una più ampia piattaforma elettorale, atta a sorreggerle. Il dilemma, quindi, è se sia giusto o meno barattare ideali e principi di rigore morale e di buon governo con l’alleanza elettora-

le di forze politiche certamente più vicine all’attuale maggioranza di governo, della quale, del resto, hanno già fatto parte, che alla sinistra. Da ciò scaturisce un ineluttabile e drammatico quesito: la propensione dell’attuale dirigenza del PD ad allargare l’area del consenso verso il centrodestra moderato, che, peraltro, in alcune regioni correrà con le forze di maggioranza, comporterà la tenuta del centrosinistra nelle regioni attualmente amministrate, o almeno in gran parte di esse, ovvero determinerà il suicidio del partito, a causa della diffusa insoddisfazione dei suoi elettori ed iscritti, da più parti segnalata ed espressa? Ben diversa, a ben vedere, fu l’impostazione del problema delle alleanze politiche propugnate da Enrico Berlinguer e da Aldo Moro: l’incontro delle forze più illuminate del PCI e della DC, legate da ideali comuni, quali il rigore morale, la solidarietà sociale, la trasparenza, la partecipazione democratica, la progressività della imposizione tributaria, la laicità dello Stato. La storia, purtroppo, ha deciso diversamente e così, anche a causa della dabbenaggine della sinistra, che, pur al governo, non ha saputo essere convincente e coerente, si è passati dalla dilagante corruzione dell’epoca craxiana al berlusconismo, connotato dall’assoluta carenza di senso dello Stato, dalla chiusura verso i soggetti più deboli ed indifesi, dalla propensione a coltivare ed eccitare i più bassi istinti del popolo, dalla devozione opportunistica verso tradizioni religiose di mera facciata e dal disprezzo della legalità e del fondamentale principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge (Art. 3 della Costituzione). In questa tormentata “temperie politica di sensi e bisogni nuovi” (Carducci), la strada della salvezza non può essere affidata nelle mani di astuti strateghi, privi di ideali, reduci da mille sconfitte e portatori di rovina, mentre più che mai riecheggiano le parole, ancora attuali, di un celebre canto: “Fischia il vento, infuria la bufera, / scarpe rotte, eppur bisogna andar!” Giancarlo Ruggieri

Mauro Scocciamarro

Enrico Berlinguer

marzo 2010 21 notiziario anpi


avvenimenti Vezzano sul Crostolo - 23 gennaio 1920-2010

La torta

Bella Ciao e 180 anni di compleanno Festeggiati Sirio e Mirko

Via Vittorangeli, sotto la finestra di Mirko

Sabato 23 gennaio, al pomeriggio, gli amici di Istoreco e ANPI sono andati sotto la finestra di via Vittorangeli a Reggio ed hanno cantato Bella Ciao a suon di fisarmonica. La serenata era dedicata al partigiano Camillo Marmiroli (nome di battaglia Mirko) che compiva 90 anni. Ma la festa non poteva che cominciare! Dopo un primo brindisi augurale, il gruppo di amici si è recato a Ca’ Rosini (Vezzano S. C.) da un altro partigiano, Paride Allegri (Sirio), comandante della 76a SAP.

In casa di Mirko

Paride e Camillo sono nati lo stesso giorno del 1920 ed assieme hanno festeggiato la brillante somma di 180 anni. Altri amici protagonisti della Resistenza hanno onorato la festa quel giorno: Giacomo Notari, presidente provinciale ANPI, e i partigiani Fernando Cavazzini (Toni), Francesco Bertacchi (Volpe) e quattro generazioni, dai 20 mesi ai 90 anni hanno cantato le canzoni della resistenza accompagnati dalla fisarmonica di Paolo Simonazzi. Non poteva certo mancare la torta e la bandiera rossa come simbolo di un’epoca e di quei valori sociali che hanno segnato una pagina importante della storia italiana. Auguri a Paride e Camillo! (m.d.)

A casa di Sirio 22 marzo 2010

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avvenimenti

“Il mio cuore dopo tanti anni è a Portella della Ginestra e nella pietra e nel sangue dei compagni ammazzati”

L’idea scaturita e approvata a Chianciano nel giugno 2009 cammina e dopo l’incontro dell’ANPI con i dirigenti della CGIL, quell’idea si è trasformata in una vera e propria iniziativa nazionale. Per la prima volta dal 1947 al corteo e alla manifestazione del I Maggio a Portella della Ginestra (Piana degli Albanesi, Palermo) con l’ANPI, l’Antifascismo e la Resistenza con la loro memoria, i loro valori e principi, s’incontreranno con chi ancor oggi lotta contro la mafia, per i diritti del lavoro e la democrazia.

L’Anpi e la CGIL a Portella della Ginestra Per il lavoro contro le mafie Programma 30 APRILE 2010 Ore 16.30 Iniziativa politica e spettacolo teatrale al Teatro Biondo Ore 19.30 .................................................................... Serata libera

I MAGGIO 2010 Sistemazione nei pullman dagli hotel e partenza per Piana degli Albanesi Ore 9.00 ......... Deposizione corona di fiori al Cimitero di Portella alla presenza del Patriarca Ore 9.30 .............................Partenza Corteo dalla Casa del Popolo Ore 11.00 ...Sistemazione nei pullman per Portella della Ginestra Ore 11.30 ................................................................ Manifestazione Ore 13.00 ......................................... Pranzo e fine manifestazione

Per informazioni: ANPI Reggio Emilia tel. 0522 432991 dal lunedì al venerdì 8:30-12:00

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estero

Paesi scandinavi:

fine di un “paradiso” La famosa “flexisicurezza” che è stata per molti anni il modello sociale sull’uguaglianza dei cinque Paesi scandinavi, si sta progressivamente trasformando, assumendo una maggiore flessibilità e una minore sicurezza.

24 marzo 2010

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L’accord postbellico che dava L’accordo origine allo stato assistenziale, basato sulla generosità sociale sull’efficienza economica, sta e sull’ef mostrando netti segni di cedimostran mento sotto la spinta dell’esidelle classi più abbienti genza d dei Paesi Pae in questione, che reclamano una massiccia riduzioclaman ne delle imposte, abbinandola ad una loro riluttanza a “pagare”” per le classi povere del Paese. Lo scambio delle idee e delle esperienze, il confronto permanente tra i metodi ed i risultati degli uni e degli altri Stati membri, in un contesto di cooperazione politica e governativa, avevano conferito, nel periodo post-bellico, un senso quasi di famiglia a Danimarca, Finlandia, Norvegia, Svezia e Islanda, creando uno stato di cose ideale, atto a consentire di uniformare la politica sociale e di affrontare e risolvere i problemi della malattia, della vecchiaia, della povertà, della disoccupazione e di altro ancora delle rispettive popolazioni. L’ambizione comune dei succitati Paesi, in tale invidiabile contesto, non è mai stata quella di avere una società liberale o un’utopia socialista, ma quella di avviare una terza via, costru-

ita su un capitalismo riformato, nel quale tutte le forze politiche e sociali accettassero una società di mercato, che si opponesse ad una troppo marcata disuguaglianza sociale. Un tale stato di cose ha creato, peraltro, la convinzione ai commentatori politici, che negli stati nordici fosse in atto una chiara versione socialdemocratica dello stato assistenziale. La crisi economica degli anni ’80-90, la fine della “guerra fredda”, l’indebolimento politico della socialdemocrazia, la globalizzazione finanziaria hanno inevitabilmente reso più fragile il modello sociale “Norden”, assoggettato anche ad una forte spinta delle classi medio-alte dei Paesi in questione, fortemente tentate ad allinearsi su modelli assai meno generosi come quelli dell’altra parte dell’Europa occidentale. La disoccupazione, evento infausto per tutte le democrazie occidentali, nei Paesi scandinavi è stato da sempre combattuta con tutte le armi possibili. La massima flessibilità nel licenziare, concessa al datore di lavoro, la possibilità per il lavoratore licenziato di ricevere un’adeguata indennità per almeno quattro anni e di seguire,


Geir Haarde ex primo ministro islandese

estero

Ormai in tutti i Paesi scandinavi, sia pure con modalità diverse, il workfare (lavorare bene), sostituirà, con poche eccezione, il welfare (benessere) nei modelli sociali oggi, ma per poco ancora, in vigore. Il “paradiso” nei Paesi privilegiati del nord, da sempre invidiati dai Paesi del sud, verrà sostituito dall’”inferno”?

per scelta, corsi specifici per crearsi una diversa formazione professionale, erano diventati una solida diga, che aveva costantemente impedito la nascita di una eventuale, diffusa disoccupazione. Un siffatto sistema ha ben funzionato fino ad ieri e le misure, prima di allora adottate, sono passate nella quasi totale indifferenza dei media, dal momento che, in effetti, la disoccupazione quasi non esisteva nei Paesi nordici. La “flexisicurezza”, quindi, messa in atto in un periodo di espansione economica, veniva applicata nel contesto di una regolare progressione, senza mettere in discussione i diritti degli imprenditori e dei lavoratori e si manifestava come una forma sociale valida e di innegabile successo popolare. Con l’arrivo di crisi, sempre più ricorrenti la flexisicurezza ha cominciato a perdere importanti e positivi colpi; la flessibilità ha stentato a diffondersi più largamente, la sicurezza sociale ha retto con difficoltà ai colpi, che le sono stati inferti dalle più svariate parti. La vulnerabilità economica dei Paesi scandinavi è strettamente collegata alla loro dipendenza sull’andamento del commercio internazionale, nel cui contesto le esportazioni sono da tempo il faro, che illumina costantemente tutti i negoziati sociali interni e il cui calo, che ha sfiorato il 20 percento nell’ultimo anno, ha comportato non solo un numero sempre crescente di fallimenti di aziende grandi e piccole,

ma anche un decadimento economico generalizzato. Le imprese riducono i loro programmi, tagliano le spese giudicate superflue e riducono gli effettivi. Dallo scorso estate la disoccupazione è aumentata due volte più rapidamente che in Francia, raggiungendo in Danimarca, nel luglio 2009, la preoccupante cifra di 107.000 dei senza lavoro e colpendo in primo luogo la classe operaia. In questo Paese un semplice annuncio per un posto da centralinista in provincia, ha attirato più di novecento candidati. In otto mesi il numero di giovani disoccupati sotto i 24 anni si è quadruplicato, inoltre, coloro, che ancora lavorano, hanno visto ridursi di oltre il 2 percento il potere d’acquisto degli stipendi, tanto che in maggio i sequestri immobiliari che hanno coinvolto, prima di tutto, le giovani coppie, che si erano indebitate per comprare casa, hanno superato un livello mai raggiunto negli ultimi 15 anni. Lo scivolamento verso una destra rigidamente contraria all’integrazione delle minoranze immigrate e piuttosto indifferente verso i problemi delle classi più povere, hanno messo in seria difficoltà i movimenti ed i partiti di sinistra. Socialdemocratici, socialisti di sinistra e social-liberali hanno cercato spesso accordi tripartitici di governo, senza riuscire ad evitare scoraggianti sconfitte elettorali. A

fronte di tale situazione si è riscontrata una crescente debolezza di questi partiti, debolezza, a causa della quale, si sono evidenziate le palesi difficoltà all’opporsi decisamente alla politica xenofoba delle maggioranze di destra. Una significativa differenza di questo stato di cose, è oggi riscontrabile in Islanda, in cui la coalizione sinistraverdi viene data nettamente vincente nelle elezioni politiche del maggio 2010, dopo che forti ed insistite proteste di piazza, avevano visto il primo ministro islandese Geir Haarde, esponente del partito dell’Indipendenza di centro-destra, costretto alle dimissioni sue e di tutto il suo governo, a causa della incapacità del governo stesso di fare fronte alla crisi economica del Paese, malgrado fosse piovuto nelle casse dello Stato il sostanzioso aiuto di 2,1 miliardi di dollari da parte del Fondo monetario internazionale Anche il governo di centrodestra svedese, evidenzia qualche differenza nei confronti degli altri Paesi scandinavi, adottando una forte riduzione delle imposte, a vantaggio, in particolar modo, dei salari dei lavoratori, coll’intendimento palese di incentivare il lavoro e spingere i disoccupati alla ricerca di nuovi posti di lavoro. Ciò mentre si tagliano drasticamente i sussidi per malattia degli occupati. I governi scandinavi tutti,

peraltro, rendono sempre più rigide ed esclusive le iniziative, che prevedono forti tagli dei sussidi collegati all’occupazione, resi prima obbligatori per legge, onde costringere il disoccupato a darsi da fare più attivamente, per trovarsi una nuova occupazione, prima che scatti il periodo di attivazione del proprio sussidio. Se prima dell’adozione dei succitati tagli la politica sociale si proponeva di riqualificare la manodopera resa disoccupata, senza interruzione del salario, oggi i tagli suddetti si prefiggono lo scopo di obbligare il disoccupato e riprendere al più presto un lavoro, qualsiasi questo sia. Si cerca in tal modo di dissuadere il disoccupato a entrare, dopo tre mesi d’inattività, nel ciclo di attivazione dei sussidi. Nei casi di rifiuto di proposte di lavoro magari difficili, diverse da quelle praticate nel passato e lontane, anche, dal luogo di residenza, scatta la sospensione dell’erogazione del sussidio di disoccupazione. Ormai in tutti i Paesi scandinavi, sia pure con modalità diverse, il workfare (lavorare bene), sostituirà, con poche eccezione, il welfare (benessere) nei modelli sociali oggi, ma per poco ancora, in vigore. Il “paradiso” nei Paesi privilegiati del nord, da sempre invidiati dai Paesi del sud, verrà sostituito dall’“inferno”? Bruno Bertolaso

marzo 2010 25 notiziario anpi


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cultura

Dopoguerra. L’UDI e il PCI.

Una rete di solidarietà per i bambini del Sud vittime delle conseguenze belliche, di rivolte operaie sedate col sangue, di calamità naturali. Giovanni Rinaldi, tessendo sottili fili di memorie sparse, anni fa si è messo in cerca dei bambini che erano saliti su quelli che vennero definiti «I treni della felicità». Si trattava di una straordinaria rete di solidarietà sostenuta dalla neonata UDI (Unione donne italiane) e dal PCI che, a partire dal secondo dopoguerra, affidò per mesi (talvolta anni) a famiglie del Centro Italia oltre 70.000 figli del Sud vittime delle conseguenze belliche, di rivolte operaie sedate col sangue, di calamità naturali. Bambini che lasciarono le loro famiglie per essere ospitati da altrettante famiglie contadine, nei paesi del reggiano, del modenese, del bolognese. Lì vennero rivestiti, mandati a scuola, curati. Mezzo secolo dopo un cineasta, Alessandro Piva, e uno storico, Giovanni Rinaldi, si mettono sulle tracce dei sopravvissuti. Ne escono fuori due lavori confinanti e di documentazione tra storia di ieri e di oggi, il documentario Pasta nera e questo libro, frutto di appassionati viaggi e ricerche in diverse città del centro Italia. Scritto in presa diretta, il libro ricostruisce le storie di alcuni di quei bambini che su convogli sparuti arrivarono in un’altra Italia. Soprattutto di quelli rimasti a vivere nelle famiglie che li avevano adottati, scovati dall’autore nel corso dei suoi viaggi ad Ancona, Follonica, Ravenna, Lugo di Romagna. Come i bambini figli degli scioperanti di San Severo, arrestati nel 1950 per insurrezione armata contro i poteri dello Stato, per volontà del gover-

26 marzo 2010

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no Scelba. Sono Severino, Dante, Zazà, che oggi parlano ricordando i fanciulli che furono in un Paese più povero e semplice, dove mangiare un gelato o un piatto di pasta erano cose che potevano emozionare. Ma è anche la storia delle “due Italie” e di un Sud ancora socialmente arretratissimo. Fu proprio questo che spinse alcuni di quei bambini a fare una scelta drammatica: lasciare la propria terra e la propria famiglia, restare dove il destino e quei treni li avevano portati, sognando una vita migliore. La ricerca dei protagonisti dei “treni della felicità” continua. Rinaldi dopo la pubblicazione del libro prosegue nella sua ricerca di testimoni e protagonisti che hanno vissuto l’esperienza dell’accoglienza dei bambini nel secondo dopoguerra. Il suo auspicio è quello di ricevere da Istituzioni, Fondazioni e Associazioni, in particolare dell’Emilia Romagna, un sostegno per permettergli di lavorare al reperimento di informazioni, materiali e testimoni. Le testimonianze raccolte in videointerviste costituiranno la premessa per la costituzione di un archivio multimediale in cui far confluire anche i materiali manoscritti e le fotografie emersi dagli album familiari. Chi è interessato a narrare la propria storia o quella di parenti e amici è pregato di scrivere via mail a mosaico@gmail.com o inviare materiali a Giovanni Rinaldi Via Portogallo, 9 – 71122 Foggia. (f.p.)

Giovanni Rinaldi, I treni della felicità. Storie di bambini in viaggio tra due Italie, prefazione di Miriam Mafai, Ediesse, 2009, pp. 200, euro 10,00

Chi è Giovanni Rinaldi è nato a Cerignola (FG) nel 1954 e ha studiato al DAMS di Bologna con il Gruppo di Drammaturgia 2 guidato da Giuliano Scabia. Ha condotto numerose ricerche antropologiche utilizzando mezzi audiovisivi e fotografici. Tra le sue pubblicazioni: (con altri) Il gorilla quadrumàno. Il teatro come ricerca delle nostre radici profonde (Feltrinelli, 1974), (con R. Cipriani e P. Sobrero) Il simbolo conteso. Simbolismo politico e religioso nelle culture di base meridionali (Ianua, 1979), (con P. Sobrero) La memoria che resta. Vita quotidiana, mito e storia dei braccianti nel Tavoliere di Puglia (Aramirè, 2004 I ed. 1981). Autore di progetti culturali, tra i quali sono da ricordare il lavoro teatrale multimediale Braccianti. La memoria che resta e la rassegna letteraria e musicale Leggere la fatica di leggere. Ideatore del progetto «Casa Di Vittorio», è fondatore dell’omonima Associazione.


di Massimo Becchi

MORTI PER SPORT Molte le polemiche sulla deregulation della caccia e sui morti che questo “sport” causa

I

l 2010 è l’anno dedicato alla biodiversità: per tutta risposta il Senato ha votato un emendamento che sdogana la caccia senza limiti e senza regole. Ma la battaglia è ancora aperta per il voto alla Camera. Centocinquanta associazioni di cittadini si mobilitano per fermare la strage. Inoltre in cinque mesi di apertura si contano 30 morti e 87 feriti da armi da caccia. Le vittime della stagione venatoria 20092010, quella che ha messo a riposo le doppiette il 31 gennaio scorso, sono 117. In cinque mesi dall’apertura, che è iniziata il 1° settembre, si contano, come riferisce un dossier presentato al Senato dall’Associazione vittime della caccia, “30 morti e 87 feriti da armi da caccia”. Questo, mentre continuano le polemiche sulla cancellazione dei limiti concessi dall’articolo 38 del testo della legge Comunitaria approvato qualche giorno fa a Palazzo Madama. Anche se i ministri dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, e del Turismo, Michela Vittoria Brambilla, hanno proposto due emendamenti per il voto alla Camera. In Italia ci sono vittime per imperizia nel maneggiare armi durante la caccia e anche al di fuori dell’ambito venatorio sono soprattutto i cacciatori i responsabili. In ambito venatorio i feriti sono 72, di cui 54 cacciatori e 18 tra la gente comune, e 23 i morti (22 cacciatori e uno gente comune), in ambito extra-venatorio i feriti sono 15 (3 cacciatori e 12 gente comune) e i morti 7 (un cacciatore e 6 gente comune). A ottobre e novembre 2009 si è registrato il maggior numero di vittime: rispettivamente 25 feriti e 6, e 17 feriti e 4 morti. Ed è la nostra regione che detiene il triste primato in materia: si contano infatti il maggior numero di vittime (9 feriti e 4 morti), seguiti dalla Sardegna (8 feriti e 5 morti) e dalla Lombardia (8 feriti e 4 morti). Questo bilancio è destinato ad aggravarsi se passerà la riforma della caccia, che

prevede tra le altre cose, la cancellazione degli attuali limiti massimi della stagione venatoria e dunque permetterà l’estensione della caccia anche oltre i già troppi cinque mesi previsti. Questo si tradurrà, se la legge passerà anche alla Camera, nell’ennesima strage di animali selvatici, di uccelli migratori, di cuccioli ancora alle dipendenze dei genitori, significa subire i fucili dei cacciatori nelle campagne e nei boschi per un periodo ancor più lungo di quanto non lo sia già. Verrebbe inoltre compromessa la collaborazione fra mondo venatorio, ambientalista ed agricolo, già soggetta a forti tensioni, ora gestite nella nostra realtà all’interno dei quattro ambiti di Caccia che a Reggio si suddividono tutto il territorio provinciale. Neppure lo stesso ministro dell’Ambiente è d’accordo su questa norma, secondo cui bisogna evitare la deregulation e “rimediare al colpo di mano” del Senato con un emendamento che punta a ripristinare l’intesa e a eliminare la possibilità delle Regioni di definire deroghe al calendario venatorio senza sottostare alla validazione vincolante da parte dell’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale (ISPRA). Un altro emendamento del ministro del Turismo intende ripristinare i limiti della stagione venatoria, il calendario dal 1° settembre al 31 gennaio, stabilisce quali sono le specie cacciabili e reintroduce il parere vincolante del ministero dell’Ambiente per le deroghe. Come se non bastasse proprio in queste settimane il nostro Paese sta subendo una durissima procedura di infrazione europea che contesta all’Italia di concedere troppe deroghe e di non prevedere il divieto assoluto di caccia nei periodi di dipendenza dei cuccioli dai genitori e durante la migrazione degli uccelli. In sostanza il messaggio è che cacciamo troppo e male. Questa vertenza si è aperta quest’anno, che è proprio l’anno internazionale dedicato alla natura e alla biodiversità, catalizzando un ampio fronte di associazioni

e cittadini, che si battono affinché l’anno possa chiudersi con un bilancio positivo e perché il governo prenda atto che la maggior parte degli italiani, anche cacciatori, sono fortemente contrari ad ogni ulteriore concessione alla caccia e chiedono invece una maggiore tutela e rispetto per gli animali, la natura, la tranquillità e la sicurezza dei cittadini.

marzo 2010 27 notiziario anpi


SE VUOI LA PACE Come qualcuno ricorderà, i tragici fatti del G8 di Genova dell’estate 2001… “Se vuoi la pace, compra la pace” … Accolto da inequivocabili epiteti, urlati da pacifisti e famigliari delle vittime, l’ex premier Tony Blair … “La rivoluzione non abita più qui””, hanno titolato i giornali analizzando la situazione politica dell’Ucraina… Manifestanti NOTAV... – “Se vuoi la pace, compra la pace”. Sembrerebbe questa la parola d’ordine alla base della nuova strategia americana in Afghanistan. Da autorevoli personaggi (dal segretario di Stato Clinton al responsabile della Difesa Gates, fino al generale McChrystal, comandante in zona) si fa strada, infatti, l’idea che per vincere la guerra che dura da ben nove anni sia necessario affiancare all’aumento del contingente militare e del conseguente controllo del territorio una proposta di tipo “politico” in grado di ridurre in modo consistente le fila dei Talebani. In primo luogo, offrendo ai meno compromessi con Al Qaeda la possibilità di rientrare nella legalità e, addirittura, di far parte del governo. Dall’altra, proponendo ai cosiddetti insorgenti – soprattutto a quanti combattono più per fame che per fede – una somma di denaro ben superiore ai dieci dollari al giorno che prendono attualmente. Per fare questo e per cominciare ad affrontare la ricostruzione del Paese, occorre naturalmente tanto, tantissimo denaro: centinaia di migliaia di dollari destinati comunque a ridurre l’attuale esborso USA in Afghanistan, pari a 300 milioni di dollari al giorno. I toni si sono fatti pertanto più concilianti (“I Talebani fanno parte del tessuto politico afghano”, ha commentato Gates), le prospettive sorprendenti (“Credo che possa entrare nell’esecutivo chiunque guarda al futuro e non al passato”, ha affermato McChrystal), i toni tolleranti (“Vogliamo tendere la mano ai nostri fratelli disillusi che non sono membri di Al Qaeda e che sono pronti ad accettare la comune costituzione e i diritti che sancisce”, ha ribadito Hamid Karzai, Presidente afghano). La condivisione di questa nuova strategia ha fatto sì che la Conferenza sull’Afghanistan (la sesta in nove anni), tenutasi alla

28 marzo 2010

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fine di gennaio a Londra, si sia conclusa con un sostegno economico di 140 milioni di dollari e il solenne invito ai combattenti meno ideologicizzati a deporre le armi e a reintegrarsi. La risposta non si è fatta attendere e l’iniziativa è stata bollata dai miliziani pashtun come “becera propaganda dei guerrafondai USA”. Tuttavia, la prospettiva è di lungo periodo ed è il caso di dire (ops!) che chi vivrà vedrà. – Ma, a proposito di riconciliazione, il problema è che continuano ad operare in quel Paese alcune carceri speciali americane più o meno segrete, sedi di detenzione senza diritti per centinaia di persone. Funziona più o meno così: i sospettati di collaborazionismo con il nemico vengono prelevati di notte e spediti in prigioni collocate nelle basi militari, ove vengono sottoposti a “interrogatori duri”: percosse, isolamento, posture forzate, divieto di sonno, utilizzo dei cani, quando non vere e proprie torture. Ma come? Obama non aveva ordinato la chiusura di Guantanamo e di tutte le prigioni della CIA? Vero, ma in questo caso si tratta di carceri gestite dalla Forze Speciali, non toccate da alcun provvedimento. Questo modo di procedere è ancora più temuto ed odiato dei raids aerei ed ovviamente comporta la crescente ostilità della popolazione. Medici, funzionari governativi e la Commissione indipendente per i diritti umani in Afghanistan hanno confermato la corrispondenza al vero delle denunce di decine di ex detenuti. Da parte loro, le autorità americane replicano con la consueta disinvoltura: “La politica degli Stati Uniti è di realizzare un trattamento umano dei detenuti e che le condizioni di dei centri di detenzione sono in linea con

le norme internazionali di attenzione e custodia”. – Accolti da inequivocabili epiteti, urlati da pacifisti e famigliari delle vittime, l’ex premier Tony Blair e il suo ex portavoce Alistair Campbell (già soprannominato Dottor Bugia) sono comparsi dinanzi alla Commissione di inchiesta sulla guerra in Iraq aperta a novembre scorso per approfondire motivazioni e senso della partecipazione inglese al conflitto del 2003 e alle successive fasi. Da tale analisi non deriverà alcuna sanzione nei confronti delle persone “informate dei fatti”, ma solo la ricostruzione di una verità storica su una realtà che ormai con estrema chiarezza si sta rivelando assai diversa da quella fatta digerire all’opinione pubblica a suo tempo. Chi ha buona memoria ricorderà il dossier che nel 2002 tolse ogni dubbio anche ai più cauti: il possesso di armi chimiche e batteriologiche e la possibilità di attivarle in 45 minuti, la ricerca di tecnologie e materiali per la produzione di armi nucleari e, infine, il comprovato sostegno e il finanziamento al terrorismo di Al Qaeda. Ciò che è accaduto dopo ha dimostrato tutt’altro, ma i due compari pare non se ne siano accorti. Quindi, nessuna autocritica. Per Blair, anzi, le cose stavano proprio così come le ha raccontate alla sua opinione pubblica: “Viste le informazioni che erano a mia disposizione, non ero disposto a correre il rischio di lasciare in mano a un Paese pericoloso con armi di distruzione di massa”. E ancora: “Sono cosciente della responsabilità storica, ma non provo alcun rimorso e lo rifarei”, fino all’autoassolutorio finale, secondo il quale “milioni di iracheni ora stanno meglio di quando stavano sotto Saddam” e, comunque, non sarebbero state le truppe della coalizione


SE VUOI LA PACE ad uccidere i civili “ma i terroristi che volevano bloccare ogni progresso”. Per parte sua, il dottor Bugia ha rincarato la dose, difendendo “ogni singola parola contenuta del dossier” e ribadendo che “la Gran Bretagna dovrebbe essere orgogliosa di quello che è stato fatto in Iraq”. Delirio puro, verrebbe da dire. E si commenterebbe da solo se ci si trovasse di fronte a due vecchi arnesi della politica, ormai fuori gioco e dediti al giardinaggio. Il fatto è che Tony Blair ricopre tuttora un ruolo importantissimo, quello di inviato per la pace nel Medio Oriente su mandato dell’ONU, Unione europea, USA e Russia, ovvero in un incarico nello stesso scenario che lo ha visto protagonista degli interventi in Iraq ed Afghanistan. Un autentico insulto. Se il suo primo impegno, quello di contribuire alla risoluzione del conflitto israelopalestinese, è stato pressoché invisibile, il prossimo ci inquieta non poco: “L’Iran del 2010 è più pericoloso dell’Iraq del 2003. Vedo un grande pericolo posto dal programma nucleare di Teheran e dai legami di quel Paese con gruppi terroristici e la mia opinione è che non si possano correre rischi in questa vicenda”. Siamo messi bene. Proprio bene. – “La rivoluzione non abita più qui”, hanno titolato i giornali analizzando la situazione politica dell’Ucraina nell’imminenza delle elezioni presidenziali. A distanza di cinque anni, l’arancione – emblema della grande mobilitazione popolare nonviolenta che aspirava a un definitivo distacco dall’ingombrante abbraccio della Russia – si è definitivamente scolorito, lasciando posto al candido e angelico bianco della irriducibile ex leader del movimento Yulia Timoshenko e al bianco-azzurro del cosiddetto candidato di Mosca Viktor Yanukovich. Dell’eroe della rivoluzione arancione e presidente uscente, Viktor Yushenko, ormai solo ricordi: del suo avvelenamento da diossina, della sua resistenza ai precedenti brogli elettorali, della sua conflittuale coesistenza con la primo ministro Timoshenko. La sua stagione politica appare conclusa. Ma cosa è accaduto, che cosa ha fatto naufragare così repentinamente il sogno ucraino? Forse il fatto che a tanta voglia di cambiamento non sia seguita altrettanta capacità di gestione della transizione, vale a dire la necessaria riforma della classe politica, intimamente dipendente dal potere economico, e la problematicità dell’architettura costituzionale, costantemente bloc-

cata tra presidenzialismo e parlamentarismo (i contrasti di vertice in questi ultimi cinque anni lo hanno ampiamente dimostrato). Insomma, né il sistema di potere né la sua forma sono cambiati e nei fatti non vi è stata alcuna effettiva rivoluzione. Governi che in crisi frequente, elezioni anticipate, scandali di corruzione e nepotismo, una situazione economica disastrosa (il PIL lo scorso anno ha perso 16 punti e le banche hanno traballato pesantemente con la svalutazione della moneta locale) hanno gradualmente portato a una diffusa disaffezione nei confronti della politica e al cinismo tipico di chi ha creduto troppo in qualcosa e ora non crede più a nulla. A ciò si aggiunga l’illusione dell’ingresso in Occidente e il richiamo alla realtà di un rapporto di dipendenza con la Russia e, soprattutto, con il suo gas. Di questi tempi, a Kiev i voti si comprano a 12 euro, circolano dossier per delegittimare gli avversari e si preparano in anticipo accuse di brogli e future battaglie in tribunale e nelle piazze, mentre argomenti come pensioni, istruzione, disoccupazione ed inflazione attendono risposte concrete. Chi avrà la meglio, tra Yanukovich e Timoshenko, sarà chiamato a darne di credibili e praticabili agli occhi non solo del Paese, ma anche e soprattutto a quelli del Fondo monetario Internazionale che a tali risposte ha condizionato il massiccio sostegno economico che già ha garantito in questi anni. Comunque vada, come qualche autorevole commentatore ha scritto, queste saranno ricordate “non come elezioni di amore, odio, speranza o passione, ma solo di stanchezza e tristezza”. – Come qualcuno ricorderà, i tragici fatti del G8 di Genova dell’estate 2001 furono preceduti dagli scontri di Napoli del 17 marzo 2001, a margine dei quali 85 manifestanti – recatisi in ospedale per farsi medicare – furono prelevati a forza dalle forze dell’ordine (ordine…), ulteriormente pestati e condotti all’interno della caserma “Rainiero” ove le violenze continuarono tra un “ti squaglio viva, puttana”, un “comunista di merda”, un “frocio bastardo” e via insultando. A distanza di quasi nove anni, la sentenza per i 31 poliziotti incriminati di cotanta dedizione al dovere è arrivata. Monca, considerata la immancabile prescrizione che ha dato un colpo di spugna ai reati di violenza privata, lesioni ed abuso d’ufficio per dieci di essi. Deludente, visto che l’unica accusa

rimasta in piedi – sequestro di persona aggravato – ha portato alla condanna di soli undici imputati, tra i quali due funzionari presenti all’interno della caserma, Fabio Ciccimarra e Carlo Solimene (2 anni e otto mesi ciascuno). La storia si ripete: c’è chi vede il bicchiere mezzo pieno (è finita, come principio generale, l’impunità per i poliziotti che vanno oltre i loro doveri e la legge), e c’è chi lo vede mezzo vuoto (tante assoluzioni, ridimensionamento dei reati, promozione ad incarichi più prestigiosi e mantenimento in servizio dei funzionari condannati). E’ evidente che c’è ancora molto da fare per vedere applicato pienamente il concetto di giustizia a quanti infrangono la legalità quando, viceversa, dovrebbero garantirla. Per il momento, ci limitiamo a soffermarci su quanto dichiarato dal pubblico ministero Del Gaudio, sperando che esca dall’aula del tribunale per divenire finalmente un sentire condiviso: “Da questa sentenza i cittadini attendono di sapere se è lecito, per il nostro ordinamento, essere prelevati senza titolo dagli ospedali, trasportati in una caserma e rimanere lì trattenuti per ore, inginocchiati, picchiati, insultati”. – Che qualcosa si stia muovendo in questo senso, lo dimostra la recente condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria di un milione di euro inflitta dalla Corte dei Conti ai dirigenti della Questura di Torino che nel dicembre 2005 ordinarono una violentissima carica ai danni dei manifestanti NO TAV, accampati nel presidio di Venaus. Motivazione? “Aver leso l’immagine dello Stato con condotte violente ed arbitrarie”. La sentenza è davvero innovativa, in quanto ha tenuto conto di fatti ed immagini suscettibili di essere oggetto di inchiesta penale (violenze e maltrattamenti ritenuti “eccessivi”) per bypassarli in direzione di un giudizio contabile e amministrativo. La qual cosa non consolerà certo chi ha avuto la testa spaccata, ma sicuramente è destinata a rappresentare un precedente che identifica una condotta brutale come abuso indegno di uno Stato di diritto e, in quanto tale, meritevole di sanzione. “Uno dei doveri dello Stato è quello di creare consenso intorno al rispetto delle leggi, ma se qualcuno agisce in modo da spezzare il rapporto tra cittadini e istituzioni, il pregiudizio è evidente”. Così parlò il procuratore Bogetti, estensore della sentenza.

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24 gennaio 1945

Dalla Battaglia di Canolo al Battello Reale in Laguna Pubblico un estratto dal mio discorso in occasione del 65° anniversario della battaglia di Canolo

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on è assolutamente fuori luogo parlare oggi di fascismo e addirittura i megafoni adesso paiono non tacere mai, le propagande si sono ammantate di spettacolo. Penso a un episodio fra i tanti carpiti dai telemegafoni asserviti e osannanti. Il TG1 che documenta e commenta in pompa magna il premier in visita a Venezia alla ricerca di una residenza (un intero palazzo) affacciata sulla laguna o sul Canal Grande. Tutto questo con stile glamour, con dispendio di amenità e civetterie varie. Vi confesso che ogni anno affronto con un po’ di ansia questa celebrazione. L’ansia deriva dallo sforzo e dalla promessa di trovare nuove parole, nuovi argomenti che possano andare oltre la consueta celebrazione e il giusto ricordo dei fatti avvenuti in questi luoghi. Ma poi, alla fine, ogni volta, ogni anno che passa, ritrovo i concetti, le necessità, i punti per rapportare le idee, le vicende e le vite delle persone che ricordiamo, al presente. La Liberazione deve essere ancora compiuta, la Resistenza deve essere quotidiana, la Costituzione ha bisogno di essere difesa sempre di più. Oggi più che mai. In questo interminabile periodo di infinita deriva culturale, un periodo che probabilmente, fra qualche decennio verrà ricordato come uno dei più bui nella storia della repubblica italiana. O perlomeno c’è da sperare che questo avvenga, altrimenti vorrà dire che ha definitivamente vinto un modello sociale, politico, per non dire etico e antropologico, che ci ha trasformati tutti, che ci ha addormentati in modo profondo. Quella

30 marzo 2010

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che viviamo in questi giorni è una anomalia, una anomalia che secondo il moderatismo imperante non esiste, un’anomalia seppellita sotto quintali di falsità, una anomalia così tanto incancrenita che ormai si accetta di tutto, amputazione compresa. Un’anomalia che nessuna reazione (poche a dir la verità, flebili, isolate...) pare scalfire. Una anomalia, quella berlusconiana, che ha portato gli italiani alla assuefazione, a una sorta di ipnosi indotta dal più grande illusionista del circo della politica. Metto in discussione tutto: suffragio popolare, fondamenta di “forza italia”, potere mediatico fino ad arrivare all’attentato con la statuetta del duomo. Mi pare tutta una grande finzione, certo riuscitissima, letale e virulenta, tanto da rimanere stupefatti, storditi, Spesso senza possibilità di rialzarsi come pugili suonati e stesi al tappetto. Entro in un argomento spinoso, toccando l’animo, la coscienza, la stessa essenza del popolo italiano e magari faccio arrabbiare qualche buona anima (ah, il partito dell’amore!!!) del centro-sinistra. Prendo in considerazione la natura degli italiani, che si dimostrano di nuovo portati alla devozione per i grandi venditori di illusioni. Quello che è già successo con il fascismo e le gesta di Mussolini. Anche allora il popolo italiano fu trascinato in una deriva senza fine, ma probabilmente i megafoni, le propagande, i proclami a un certo punto si incepparono, la realtà dilagò inarrestabile con tutta la sua crudezza, con tutte le sue brutture. Non è assolutamente fuori luogo parlare oggi di fascismo e addirittura i megafoni adesso paiono non tacere mai,

le propagande si sono ammantate di spettacolo. Penso a un episodio fra i tanti carpiti dai telemegafoni asserviti e osannanti. Il TG1 che documenta e commenta in pompa magna il premier in visita a Venezia alla ricerca di una residenza (un intero palazzo) affacciata sulla laguna o sul Canal Grande. Tutto questo con stile glamour, con dispendio di amenità e civetterie varie. Un Re (UBU?) con tanto di codazzo, popolino incuriosito, con tanto di cronaca giornalistica che assomiglia paurosamente al cinemino dell’istituto Luce quando commentava le gesta del duce. Fascismo ancora dunque, luccicoso, tirato e splendente, da favola, da corte decadente, da commedia sexy all’italiana (vi rimando all’articolo di qualche mese fa). Pruriginoso. Fascismo del silenzio, in cui sarà reato definirsi anti-berlusconiani, come un tempo è stato reato definirsi antifascisti. Come pare già adesso un reato, una colpa, provare a reagire, a resistere a questa pericolosa involuzione della democrazia. Il bello è che anche negli ambienti a noi vicini, quelli della politica, quelli in cui si decide e si amministra, non si nasconde il fastidio verso chi si dichiara antiberlusconiano. Un po’ come se ai partigiani antifascisti fosse stato chiesto di non professarsi anti-mussoliniani. Questo è un po’ il giochino in cui ci siamo incartati: visto che Berlusconi è stato eletto dalla maggioranza degli italiani, per rispetto del volere popolare, ci si deve adeguare allo stato delle cose. Un po’ come accettare un male incurabile con cui convivere fino alla vecchiaia. Fino alla morte?


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memoria DAL LIBRO DI ANNITA MALAVASI

“Poi, se non eri con il Fascio, eri un comunista” sta i n u com

Pubblichiamo un passo dal libro di memorie di Annita Malavasi, Storia di una donna nel ’900. La fatica della libertà, CGIL-SPI Reggio Emilia 2005, p. 30. E’ un passaggio significativo della funzione della scuola come motore del consenso al fascismo, ma allo stesso tempo è testimonianza di quella memoria della violenza del regime mussoliniano che riaffiorerà quando i bambini della fine degli anni Venti (Laila è del 1921) saranno giovani donne e uomini e dovranno scegliere fra libertà e barbarie...

Annita Malavasi, nome di battaglia

Laila

Annita Malavasi, nome di battaglia Laila, partigiana combattente nella 144a bgt. Garibaldi “Antonio Gramsci”, dal 12 settembre 1944 al 1° gennaio 1945 staffetta, dal 2 gennaio 1945 al 25 aprile 1945 commissario di distaccamento con il grado di sergente.

Io ho fatto le classi fifino no alla terza ter a elemenelemen tare a San Savino, poi sono andata a Castelnovo Sotto dove oltre alla classe delle bambine e dei bambini, ce n’era una mista. Io ero nella classe mista dove c’erano i bambini più grandi. A causa della condizione dei contadini, della loro mentalità e del bisogno di manodopera, i bambini di certe famiglie venivano a scuola solo d’inverno, specialmente se il papà era dovuto scappare. C’era un bambino che abitava in una delle frazioni di Castelnuovo che, finito l’inverno, non veniva a scuola. La maestra ci chiese il perché. Un bambino più grande, Guido Mainini, disse: “Signora maestra, non viene a scuola perché lui è il più grande di cinque figli e deve aiutare la mamma a lavorare nei campi che il papà è morto...” – “Ah sì? Poverino ... e come mai?” – “Eh, signora maestra, i fascisti gliel’hanno sfilonato”. Allora la maestra gli ha detto: “Somaro, impara a parlare l’italiano! Si dice che gli hanno rotto la spina dorsale, non sfilonato... dove hai imparato quella parola lì?”. Poi ha cercato

di dare una spiegazione, dicendo che, in definitiva, i fascisti cercavano di impedire a della gentaglia di fare certe cose che danneggiavano il paese. Dopo la guerra parlavano e offendevano gli ufficiali e lei aveva un papà che era ufficiale che, quand’era in divisa, gli dicevano: “Levati la divisa e vai a lavorare!”. La popolazione gli diceva queste cose e i fascisti hanno reagito per creare una condizione più civile...”. Non l’avesse mai detto, poveretta! I bambini più grandi urlavano: “Non è vero! Sei bugiarda! Perché mio fratello è stato bastonato ed era bravo! E’ dovuto scappare in Francia! Mio padre non ce l’ho perché è dovuto emigrare sennò me lo uccidevano!”. E’ uscito tutto lo stato d’animo dei bambini, sia per le condizioni familiari, sia per le cose che avevano sentito. Si viveva nelle stalle e si discuteva degli avvenimenti... “Han picchiato il tale... oh, poveretto! Il tal altro l’hanno rovinato...”. Poi, se non eri con il Fascio, eri un comunista.

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RICORDATO IL 66° ANNIVERSARIO DELLA FUCILAZIONE DI DON PASQUINO E DEGLI ALTRI OTTO ANTIFASCISTI

memoria

Albertina Soliani: Abbiamo il coraggio del sogno, come allora! Il 66° anniversario della fucilazione di don Pasquino Borghi e degli altri otto patrioti (Enrico Zambonini, Destino Giovanetti, Ferruccio Battini, Enrico Menozzi, Romeo Benassi, Umberto Dodi, Mario Gaiti, Contardo Trentini) avvenuta il 30 gennaio del 1944, è stato ricordato con diverse iniziative. Alla biblioteca Panizzi è stato presentato, di fronte ad un folto pubblico, il libro di Galzerano su Enrico Zamnbonini. Ne pubblicheremo una recensione sul prossimo “Notiziario”.

A Villa Minozzo, il giorno 31 ha tenuto l’orazione ufficiale la sen. Albertina Soliani. Un discorso forte e intenso che ha legato la memoria della Resistenza ai temi del presente e del futuro. Meriterà di essere pubblicato integralmente. In questa sede ne pubblichiamo l’incipit. Nell’occasione ricordiamo il volume degli atti del Convegno su don Pasquino Borghi (2004) e segnaliamo la recente pubblicazione del volume su Enrico Zambonini. “Siamo saliti quassù, stamattina, per ricordare insieme il sacrificio di don Pasquino Borghi e dei suoi otto compagni antifascisti, fucilati in un giorno d’inverno come questo, il 30 gennaio 1944, 66 anni fa, al poligono di tiro di Reggio Emilia. Siamo venuti qui a Villaminozzo, medaglia d’argento al valor militare, sull’Appennino dove i partigiani si erano rifugiati, si sono organizzati, hanno resistito, hanno subito rappresaglie, hanno combattuto perché questo è il luogo dove noi siamo nati alla libertà. Perché nelle case, nei fienili, nelle ca-

32 marzo 2010

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noniche, e sul Monte Castagna, come in Normandia e a Stalingrado, è stato sognato e voluto il nostro futuro, il futuro del mondo fuori dalla barbarie nazifascista. Perché qui è stato fermato per sempre il disegno di oppressione, di violenza e di morte che ha devastato la prima metà del ’900. Perché qui è cambiato il mondo e il corso della storia quando uomini e donne di ogni condizione,contadini, intellettuali, militari, sacerdoti hanno deciso di prendere posizione, di opporsi, di resistere, di farsi ribelli per amore anche a costo della vita, in quel tempo tragico della storia umana che in pochi anni aveva accecato le coscienze, soppresso le libertà, prodotto lo sterminio degli ebrei e la catastrofe bellica con più di 50 milioni di morti. Quando la speranza dell’uomo è stata avvolta dalle tenebre, come ha detto martedì scorso nel giorno della memoria a Montecitorio davanti al Parlamento e al Presidente della Repubblica Eliezer Wiesel, premio Nobel per la Pace.” [...] Albertina Soliani


memoria Il 5 gennaio 2010 è stato ricordato a Boretto il sacrificio del partigiano Felice Montanari, nome di battaglia Nero. Nella mattinata, una delegazione del Comune di Boretto e delle ANPI di Boretto Poviglio e Brescello, si è recata a Canneto sull’Oglio a rendere omaggio alle tombe di Felice Montanari e Mario Corradini, altro partigiano cannetese morto in combattimento.

Nel cimitero di Canneto. Al centro, da sinistra, il vice sindaco di Canneto, geom. Nicola Faleo, il vice sindaco di Boretto (con la giacca chiara) Mario Biacchi, Adriana Zoboletti (ANPI Boretto)

RICORDATO

a Boretto il sacrificio del partigiano Felice Montanari, nome di battaglia Nero. Nel pomeriggio, si sono svolte le commemorazioni ufficiali. Prima con la visita al 23°, luogo del sacrificio sacrificio del Nero Casello 23° dove una tromba ha suonato il silenzio, poi nella sala del Consiglio comunale di Boretto con i discorsi delle Autorità. In entrambe le occasioni era presente la sorella Anna Montanari. Sono intervenuti il sindaco di Boretto prof. Massimo Gazza, il vicesindaco di Canneto Faleo Nicola e Mirco Zanoni del Museo Cervi di Gattatico. Riportiamo alcuni brevi significativi stralci dell’intervento del Sindaco di Boretto. “Oggi come ogni anno, vedo persone e volti amici, volti che portano negli occhi e nelle rughe degli anni che passano i segni tangibili di quella storia che ha caratterizzato gli anni della guerra, della resistenza, della lotta al nazifascismo. L’anniversario che oggi ricordiamo s’inserisce nella storia locale ed in quella del nostro Paese come un passaggio fondamentale che a distanza di decenni, mantiene sempre vivi tanti sentimenti sui quali si è costruita una nuova Italia, libera e fieramente democratica. Il sacrificio del partigiano Nero è, e deve essere, un ricordo ancora vivo. Un ricordo di quelli che uniscono generazioni diverse e che dovrebbero ricucire gli strappi che la storia del nostro Paese ha registrato nei decenni successivi alla guerra. [...] Felice Montanari è stato un resistente, un simbolo paradigmatico dell’antifascismo, un italiano coraggioso che anelava la libertà e la democrazia, e per la loro difesa immolò la sua vita, la sua giovanissima età. Di questi contributi s’arric-

chisce la storia dell’umanità, di questi uomini esemplari deve rendicontare la storia di una nazione. nazione [...] [ ] Il richiamo a Felice MonMon tanari, dunque, ci obbliga ad una riflessione sul tema della libertà, tema essenziale e critico, anche, nella nostra attuale democrazia. Troppo spesso e a vari livelli, il concetto di libertà è ridotto semplicemente alla potestà di esprimere le proprie preferenze, e sempre più spesso la democrazia è ridotta al diritto della maggioranza di imporre il proprio volere. Un’autentica democrazia non è solo il risultato di un rispetto formale di regole, ma è il frutto della convinta accettazione dei valori che ispirano le procedure democratiche: la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei suoi diritti, l’assunzione del bene comune come fine e criterio regolativo della vita politica. Se non vi è un consenso generale su questi valori, si smarrisce il significato della democrazia e si compromette la sua stabilità. [...] La tentazione di molti di ridisegnare il corso degli eventi, nel tentativo di costruire una mistificata memoria condivisa si fa sempre più pressante. E non dobbiamo farci tentare da facili scorciatoie. Condividere una memoria comune è importante per farla vivere e durare a lungo nel tempo; ma condividere non significa con-fondere, ossia fondere assieme. Non è possibile. Il rispetto dovuto a tutti i caduti non autorizza a mettere sullo stesso piano politico un partigiano e un repubblichino o un combattente martire della libertà con un fascista o un nazista. Quale difesa del patrio suolo da parte di chi scorrazzava con i nazisti e torturava e trucidava i propri fratelli?

[...] La negazione della violenza come mezzo di risoluzione dei conflitti non autorizza nessuno a mettere sullo stesso piano le forze che si batterono per la libertà, gli Alleati e i Partigiani del CLN, con le forze nazifasciste che perseguitavano anche con leggi razziali e terribili torture donne e uomini di origine ebraica, o di altra nazionalità specie se minoritaria, o di opinioni politiche diverse o di orientamento sessuale particolare”. Alla fine un corteo di fiaccole, sotto un timido nevischio, ha raggiunto il monumento a Felice Montanari posto nel piazzale del monumento ai Caduti di tutte le guerre. Alle iniziative del 5 gennaio hanno partecipato le ANPI di Poviglio, Brescello e Suzzara. Adriana Zoboletti Boretto, davanti al Casello n. 23 dove si compì l’eroico sacrificio del Nero, Anna Montanari sorella del Martire

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Una base partigiana e

CASA ROCCHI A RONCOLO DI QUATTRO CASTELLA E’ propr

E’questo il caso di Anna io vero Rocchi e di sua madre Enrichetta Musi che nella che tan loro casa sulle nostre prit situazio e me colline hanno accolto e rifocillato giovani che dalla tante p ni e pianura salivano in montagna ers per raggiungere le formazioni sono ri one partigiane. In pratica la loro maste casa, appena sopra Roncolo di Quattro Castella, era il primo fuori da posto tappa a cui faceva seguito lle narrazi quello della Casa Roma, ormai in on prossimità di Grassano. Del ruolo Resiste i sulla di Casa Rocchi c’è un accenno in n ROLANDO CAVANDOLI, Quattro avendo za, pur Castella ribelle, (RS, n. 17/18, p. avuto u 55). n ruolo tu “Anche a Salvarano – scrive Cavandoli – vengono istituiti centri permache sec tt’altro nenti di latitanza e di collegamento ondario […]. Così pure a Roncolo, presso . Zamboni e i contadini Rossi, Buffagni, Rocchi, Torreggiani, Catellani.[...]. Funzione complementare a quella delle case di latitanza assolvono gli itinerari che collegano alcune di esse alla montagna, i cosiddetti corridoi”. Uno dei quali, aggiunge Cavandoli, andava “dal Rubbianino alla strada circostante Villa Manodori di Roncolo e infine alla Noce verso Casa Roma di Grassano”. E siamo appunto al corridoio che passava dalla casa di Anna Rocchi. La quale Anna, con la sua testimonianza che qui pubblichiamo, ci fa conoscere dall’interno, per così dire, il vissuto quotidiano di chi in questa casa abitava ed operava, facendo anche emergere il ruolo delle donne (a.z.) Queste vicende accaddero durante la seconda guerra mondiale nel territorio di Roncolo di Quattro Castella e precisamente nella villa dei Manodori (Pietro Manodori fondò la Cassa di Risparmio nella seconda metà del 1800). Io ero figlia di uno

34 marzo 2010

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dei loro mezzadri. I Manodori lasciarono la villa per terre più sicure (Svizzera) e nel marzo del 1944 un importante comando tedesco venne ad occupare la villa, che poi abbandoneranno solo il 21 o 22 aprile 1945. Nei mesi in cui la occuparono, tutto il territorio di proprietà dei Manodori è stato recintato e nessuno ebbe più accesso all’interno se non con permesso rilasciato a quanti andavano a lavorare per i tedeschi stessi. Nei primi mesi grossi camion andavano e venivano carichi di munizioni di ogni tipo e grandezza. Di questo ne parlavano, sottovoce, gli uomini che lì lavoravano. Nella collina su cui sorgeva (e sorge tuttora) la villa vennero scavate nella terra diverse fosse, tutte foderate di belle assi di legno e ben protette. Devo dire che non accadde mai nulla di grave, a parte una sorveglianza che i tedeschi effettuavano giorno e notte scrutando tutto attorno coi binocoli. La casa dove abitavo con la mia famiglia era proprio sulla cresta della collina ed era molto facile tenerla sotto controllo: è forse per questa ragione che era rimasta fuori dalla recinzione. Fatto sta che la casa sulla collina di Marco Rocchi (mio padre) divenne una casa di latitanza. Chi voleva andare in montagna e non in guerra sotto i fascisti, saliva su per il Cerro e si fermava in casa nostra, dove la mamma accoglieva e rifocillava come poteva questi giovani. Mia madre era una donna modesta e taciturna; per lei contavano i fatti. Non avrebbe parlato neanche sotto interrogatorio. Mio padre era un socialista di Camillo Prampolini. Io mi sono sposata che non avevo 18 anni, nel gennaio ’44, con un partigiano, Luigi Beggi e avevo pure un fratello partigiano e un altro in guerra del quale da anni non avevamo più notizie. Noi a Roncolo avevamo un grosso timore per tutte queste armi dei tedeschi così vicine alla nostra casa. Qualcuno che lavorava come operaio dai tedeschi andava dicendo che i depositi delle armi erano tutti collegati tra di loro e che in caso di ritirata avrebbero fatto saltare tutto: il che significava fare sparire il paese di Roncolo e dintorni. Quando si avvicinò la fine probabilmente chi comandava i tedeschi pensò che fosse meglio non far saltare tutto, poiché i partigiani erano già vicini e pronti. Anda-

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DUE DONNE DIMENTICATE

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rono proporre ai tedeschi di arrendersi il parroco di Roncolo, il comandante Giuseppe Parini e Rosa Cervi. I tedeschi accettarono la resa e in un giorno sgombrarono la villa. Dopo 4 o 5 giorni arrivarono gli alleati e occuparono loro la villa dove si festeggiò assieme a tutti la resa dei tedeschi. Mio marito divenne il guardiano di tutti quei depositi di armi ora sotto il controllo di Bologna. Tuttavia ci furono cinque morti a causa di persone che andavano a curiosare dentro a quei depositi. Ci vollero poi quasi due anni a portare via tutto quel materiale pericoloso. Anna Rocchi Beggi

occhi

marzo 2010 35 notiziario anpi


memoria

Da pensionato Beller si dedicò alla pittura oltre che alla scrittura, spinto da una sorta di impulso a raccontare il villaggio della sua infanzia. Qui una gustosa rappresentazione autobiografica in stile naïf della scuola ebraica che lo stesso Autore aveva frequentato a Grodzisko tra il 1918 e il 1924. Il quadro è intitolato Col Rabbino nel Cheder. (L’originale yddish suona Beim Rabin in Heder).

36 marzo 2010

notiziario anpi


memoria

LA SHOAH NELL’EUROPA ORIENTALE FU CANCELLAZIONE DI UN’ANTICA CIVILTÁ Ilex Beller, autore del brano che segue, è nato nel 1914 a Grodzisko, un villaggio ebraico (Shtetl) nel sud della Polonia (è morto a Parigi nel 2005). Nel 1928 emigra ad Anversa, nel 1934 a Parigi, facendo vari mestieri. Nel 1936 è volontario antifranchista nelle Brigate internazionali in Spagna e viene ferito a Teruel. Rientato in Francia nel 1937, lavora come operaio nel ramo pellicce. Nel 1939 è volontario nell’esercito francese impegnato nella “strana” (drôle) e sfortunata guerra contro l’aggressione hitleriana. Gravemente ferito alla battaglia della Somme, è decorato della croce di guerra con stella. All’armistizio viene smobilitato a Carcassonne, dove lavora per due anni ancora come operaio pellicciaio. Fugge poi in Svizzera per sottrarsi alla cattura da parte dei tedeschi in quanto ebreo. Tornato a Parigi dopo la Liberazione, riprende l’attività di pellicciaio, ora come artigiano. E sarà nell’ambiente degli ebrei ashkenaziti operanti a Parigi nel ramo pellicce e pelli che incontrerà la reggiana Gina Pifferi e suo marito Shmu’el Weissberg, detto Gilbert, ebreo di Bessarabia, ex partigiano nei Francs Tireurs. Nella loro appartamento di Rue Saint Laurent, vicino alla Gare de l’Est, ho trovato anni or sono (poi fotocopiato) il libro di Beller (a.z.).

“Se, per una ragione o l’altra, sei costretto all’emigrazione, è sempre avendo, in fondo al cuore, la speranza di poter un giorno tornare al paese con tua moglie e i tuoi figli. Potrai così far loro visitare la tua casa natale, la scuola dove hai studiato, i luoghi di culto dove hai pregato…”. Per noi, ebrei originari della Polonia, non c’è ritorno possibile. I nazisti e i loro complici, sterminando i tre milioni di ebrei che contava la Polonia, hanno voluto altresì cancellare le tracce di mille anni di presenza ebraica in questi luoghi. Se rimangono, in qualche città come Varsavia o Cracovia, rare sinagoghe o ancor più rari cimiteri, sarebbe vano cercare in Polonia qualsiasi resto di ciò che fu lo Shtetl. Là i luoghi di culto sono stati rasi al suolo e i cimiteri arati per essere restituiti all’agricoltura. Generazioni di storici, di filosofi, di psicologi si chineranno sulla Shoah per tentare di capire se non di spiegare come, nel cuore dell’Europa, il massacro di sei milioni di uomini, di donne, di bambini la cui sola colpa era di essere ebrei, ha potuto essere perpetrato; e come l’inizio e la messa in opera di questa “soluzione finale” abbia potuto essere scaturita da un popolo che, d‘altra parte, ha dato all’umanità dei geni come Goethe e Beethoven. Io sono un ebreo di 75 anni. Gli uomini della mia generazione arrivano un po’ alla volta al termine della loro vita. Siamo dei sopravvissuti, dei miracolati di questa tragica epoca. Il nostro dovere è di testimoniare. Per i ricercatori dei tempi futuri, per i giovani in cerca delle loro radici…. (Da ILEX BELLER, De mon Shtetl à Paris, Editions du Scribe, Paris,1991)

marzo 2010 37 notiziario anpi


memoria

C’E’ STATO IL GIORNO DELLA rni, io g i n u lc a ti ta s o n o s , te n e m Che poi, giusta prima e dopo il 27 gennaio Quest’anno nella nostra provincia il Giorno della Memoria è stato caratterizzato da numerose iniziative, spesso di alto livello, che hanno preceduto e seguito il 27 gennaio. Di grande impatto l’incontro con centinaia di giovani studenti, a Reggio (Teatro Ariosto) e a Guastalla (Istituto Russell), della signora Andrée Geulen Herscovi, che coi suoi 89 anni assai lucidamente portati, ha testimoniato della sua straordinaria esperienza di giovane maestra che durante l’occupazione nazista del Belgio contribuì personalmente, a rischio della propria vita, al salvataggio di centinaia di bambini e di adolescenti ebrei. Nell’incontro svoltosi al Teatro Ariosto, introdotto e condotto con la consueta competenza da Matthias Durchfeld di Istoreco, centinaia di studenti hanno seguito senza fiatare i racconti di Andrée e di un signore ultrasettatenne che fu uno dei ragazzi ebrei da lei salvati tra il 1942 e il ’45. Da notare che Andrée Guelen operava come componente di un settore del CLN del Belgio espressamente dedicato al salvataggio dei ragazzi ebrei. Solenne e toccante anche la cerimonia svoltasi domenica 24 nella sinagoga di Via dell’Aquila, nell’ex ghetto ebraico, seguita dalla lettura a staffetta del libro di Elie Wiesel, La Notte, drammatica testimonianza di un ebreo sopravvissuto ad Auschwitz dove era stato deportato a 15 anni e dove finirono nelle camere a gas i genitori e la sorella minore. Nella stessa giornata diversi visitatori

38 marzo 2010

notiziario anpi

hanno varcato il cancello del Cimitero ebraico di Via della Canalina. Il sottoscritto, sul posto per una breve intervista di Telereggio, sospettato dal pubblico (privo di chi guidasse la visita) di essere uno “informato dei fatti”, è stato oggetto di molte domande. La più sconcertante, anche per le reiterazioni frutto di insoddisfazione rispetto alle risposte, quella di una distinta signora stupita del fatto che le lapidi recassero “nomi italiani”. Insomma, non si capacitava che degli ebrei avessero, appunto, cognomi italiani come Tedeschi, Cantoni, Camerini… Un forte segno ha lasciato anche quest’anno, tornando ad incontrare studenti reggiani, Piero Terracina, uno dei 16 ebrei romani (su 1028) sopravvissuto alla deportazione dell’ottobre ’43 con destinazione Auschwitz, “A Reggio – ha detto Terracina – ho sempre trovato ragazzi molto attenti e insegnanti assai bravi nel prepararli sul tema della memoria”. “Noi ebrei – ha ancora detto Terracina – siamo in Italia da 22 secoli, non credo vi siano italiani più radicati di noi”. Ecco un bello spunto per ragionare su di un tema quanto mai attuale, quello della cosiddetta “identità”.

Elie Wiesel


memoria

A MEMORIA DELLA SHOAH Con gli anziani di Gualtieri Da anni vado solitamente a parlare di Shoàh, di antisemitismo e di persecuzioni varie nelle scuole di vari ordini e gradi. Perciò a pubblici di giovani. Mi aveva lasciato un po’ perplesso l’idea di dover affrontare un pubblico decisamente in età avanzata, come quello del Centro servizi anziani “F.Carri” di Gualtieri. Ma ci sono andato volentieri, il 29 gennaio, anche per contribuire a rispettare una tradizione che in quel luogo era stata inaugurata e per anni attuata da Celestino Caleffi (morto a 98 anni il 13 aprile 2009), nipote di Giovanna, la moglie di Camillo Berneri. Anche Celestino era anarchico. La vedova Fanny Sassi ce ne ha offerto un toccante ritratto con la lettera che abbiamo pubblicato sul “Notiziario” di settembre scorso. E’ stata un’occasione preziosa, soprattutto per me. Il dialogo è fiorito con naturalezza; diversi tra gli uomini e le donne ospiti della bella casa di riposo si alzavano per dire la loro, per estrarre e offrire brandelli di memoria. Penso con tenerezza alle due ex partigiane Elda Landini e Anna Tirelli, sedute in prima fila e desiderose di raccontarmi momenti del loro passato. E al “più vecchio partigiano di Gualtieri”, Demo Bordonali, che non è tra gli ospiti della Casa ma è venuto guidando la sua auto e portando un suo quadro naïf che ha voluto donare all’ANPI. In prima fila anche Fanny, la vedova di Celestino Caleffi, che mi ha consegnato alcune sue poesie, compresa quella, dedicata ad Anna Frank, che lei stessa recitò il 27 gennaio 2008, stesso luogo e stessa circostanza (a.z.)

ANNA FRANK Non “LiliMarlène” / Quel giorno tu cantavi, / Triste cantante dalla voce grave, / Ma ai passanti chiedevi / Se l’avevano vista la soave fanciulla / China poco prima sul prato di. violette / E tutta radiosa nella veste bianca. / Cantavi, poiché il vento è ancora leggero / E la bufera sembra lontana / “Ditemi se qualcuno di voi / Ha, visto questo mio dolce amore” / Uno che passava si fermò ad ascoltare / E disse con voce rotta dal dolore: / “Per quei suoi quindici anni / Si poteva riconoscere / Ma tutta di nero era vestita / E per ornamento recava / Una Stella di Davide / Cucita stretta dalla parte del cuore. / Mani impazzite la spingevano / E lei volgeva il capo / Dove si spegneva il canto”.

LIBRI UN ALTRO SCHINDLER NELLA GERMANIA HITLERIANA

Tra le varie iniziative segnaliamo la pubblicazione, a cura di Istoreco e dell’Istituto regionale per i Ciechi, del volume, dedicato in particolare ai ragazzi, con cui l’ebrea Inge Deutschkron, racconta come essa stessa e altri ebrei furono salvati, tra il 1940 e il ’44, ottenendo protezione da Otto Weidt, che, nonostante fosse quasi cieco, dirigeva in Germania un laboratorio nel quale trovarono lavoro molti ebrei non vedenti. Il libro, che reca belle illustrazioni di Lukas Ruegenberg, ci fa dunque conoscere un’altra figura di tedesco “Giusto tra le Nazioni” simile a quella di Schindler.

La spingevano verso il fumo nero / Del campo di Belgen Belsen.

marzo 2010 39 notiziario anpi


lutti MARIO CROTTI FOTOGRAFO GENEROSO

12 aprile 2000 – Repubblica Ceca. Grande cimitero di Terezin, Mario Crotti e Romolo Fioroni.

Nel corso della mia non breve attività nell’ANPI a fianco di Romolo Fioroni, presidente della consorella ALPI-APC, incontrai la prima volta “Mario il fotografo” ad una commemorazione della battaglia del Monte della Castagna di Toano. Da quel giorno fu un ininterrotto succedersi di incontri e collaborazioni lungo i percorsi di memoria della Resistenza in Italia e in Europa: da Cefalonia a Lubiana, da Pola a Berlino, dalla sua Albinea al cimitero tedesco di Verona, dove riposano, fra 21.000 soldati del Terzo Reich, i soldati antinazisti uccisi ad Albinea nel 1944. Innumerevoli gli incontri in occasioni commemorative in ogni borgo della nostra provincia, dalla chiesa appenninica di Tapignola al Po, ovunque sono caduti dei partigiani o uccisi dei civili in rappresaglie nazifasciste. Assieme ci recammo dal sig. Prefetto di Reggio per un incontro di commiato; gli portammo in dono la Storia della Resistenza reggiana, di Guerrino Franzini e quella sulle Fiamme Verdi di Giovanelli. Tornando da un viaggio della Memoria al lager di Terezin, in Czechia, Mario mi volle nella delegazione che incontrava il nunzio apostolico a Praga (mons. Giovanni Coppa, che lui già conosceva) assieme a Romolo Fioroni.

Mario si era portato due fascine di rami d’ulivo da donare all’alto prelato per le imminenti festività pasquali. Conversammo a lungo col Nunzio prima di congedarci. Mario incontrava le persone più umili così come la personalità più illustri, quali il Pontefice, il Presidente della Repubblica, i Sindaci di Berlino o di Melboume. Con tutti sfoderava il suo spontaneo e accattivante sorriso che favoriva subito lo stabilirsi di un’atmosfera amichevole. L’ex nunzio apostolico a Praga, diventato nel frattempo cardinale, non ha voluto mancare al funerale di Mario, svoltosi sabato 16 gennaio, celebrando la Messa di commiato nella chiesa di San Giacomo in Albinea. E’ stato il segno e la conferma di una grande amicizia. Giacomo Notari

ERCOLE SIMONELLI

12-04-1922/18-01-2010

24 agosto 2007 – La delegazione del Comune di Albinea in visita ufficiale al cimitero di guerra di Costernano (VR) per rendere omaggio alle tome dei cinque soldati della Wehrmacht uccisi a Villa Rossi (Botteghe di Albinea) dai loro ex camerati il 26 e il 28 agosto 1944 perché scoperti quali collaboratori dei partigiani. Da sinistra Claudio Venturi (ANPI), il vigile Luca Tagliavini, il sindaco Antonella Incerti, Giacomo Notari, don Bassissi (parroco di Albinea), Adriano Corradini (presidente Pro loco) e Mario Crotti (ALPI-APC)

Ercole era nato a Giarola di Ligonchio nel 1922 da una numerosa famiglia di contadini poveri antifascisti, il padre Emilio militò nella socialdemocrazia. L’armistizio lo trova soldato a Lione, in Francia. Con altri soldati, rientra in Italia praticamente a piedi. Nell’estate del 1944, assieme ai fratelli Giovanni (classe 1923) e Ulderico (classe 1926), entra nelle formazioni garibaldine che operano a Ligonchio. Più tardi Ulderico passa al Battaglione alleato. Finita la guerra, Ercole emigra in Francia come bracciante. Sposatosi con una donna francese, tornerà poi in Italia con la moglie e tre figli, trovando lavoro come bracciante nella nostra pianura a Caprara di Campegine, dov’è scomparso il 18 gennaio scorso. Lo ricorda la famiglia del fratello Domencio che offre a sostegno del giornale. Giacomo Notari

anniversari

40 marzo 2010

notiziario anpi

EMILIO RAVAZZINI (MILETTO)

DINO ROSSI

11° ANNIVERSARIO

5° ANNIVERSARIO

Il 28 febbraio ricorreva l’11° anniversario della scomparsa di Emilio Ravazzini Miletto. Nel ricordarlo con immutato affetto, la moglie Emma Bonetti, la figlia Uliana e la sorella Clara Ravazzini sottoscrivono a sostegno del Notiziario.

Per onorare la memoria del marito Dino Rossi, nel 5° anniversario della scomparsa avvenuta il 23 gennaio 2005, la moglie Maria Mattioli, unitamente al figlio Franco, sottoscrive pro Notiziario.


anniversari FRANCESCO COSTI

PRIMO MONTECCHI

4° ANNIVERSARIO

1° ANNIVERSARIO

Nel ricordare con affetto, nel 4° anniversario della morte, il fratello Francesco Costi, classe 1921, grande invalido di guerra, la sorella Bruna offre pro Notiziario.

Per ricordare il 1° anniversario della morte del marito Primo Montecchi, avvenuta il 06-02-2009, Angiolina Lelli offre pro Notiziario.

LUIGI MAIOLI (GIGI)

SERGIO ROSSI (VIVERE) - SOFIA VALCAVI

ANNIVERSARI

RICORDO

In occasione del 7° anniversario della scomparsa del Partigiano Sergio Rossi Vivere avvenuta il 17 febbraio 2003, e in memoria di Sofia Valcavi ved. Rossi, nel 3° anniversario della scomparsa, i figli Corrado e Onelia sotto-

Per ricordare Luigi Maioli Gigi, la moglie e le figlie sottoscrivono pro Notiziario.

SELVINO LANZONI

65° ANNIVERSARIO Il 23 marzo ricorre il 65° anniversario della morte del Partigiano Selvino Lanzoni, della 77a bgt SAP, avvenuta a Casoni di Luzzara. Sono passati tanti anni, ma le sorelle Deleisa e Franca, insieme al marito Nino, lo ricordano sempre con tanto affetto. Per mantenere vivo il suo ricordo offrono per il Notiziario.

scrivono pro “Notiziario”.

CELSO GIULIANI (WILLIAM)

30° ANNIVERSARIO

GIOVANNI GOVI

Per ricordare, nel 30° anniversario della morte avvenuta il 11-06-1980, Celso Giuliani William, Partigiano combattente, ispettore Divisione SAP, poi cooperatore e per 16 anni presidente ASSO, la moglie e i figli lo ricordano con immutato affetto e sottoscrivono pro Notiziario.

RICORDO

AMUS FONTANESI

Insieme al marito, Paola Torinelli vedova Govi, Benemerita della Resistenza, ricorda tutti i Caduti per la libertà offrendo per il Notiziario. Bruno Valcavi, dell’ANPI di Carpineti, coglie l’occasione per rivolgere un sentito ringraziamento a Paola, assidua sostenitrice dell’ANPI e del giornale dei partigiani reggiani.

ATHOS BRUGNOLI (ALVARO)

RICORDO Per ricordare la memoria di Athos Brugnoli, Giuseppe Brugnoli offre pro “Notiziario”.

10° ANNIVERSARIO Il 16 marzo ricorreva il 10° anniversario della morte di Amus Fontanesi, eminente personaggio della provincia di Reggio Emilia, noto per la sua intensa attività politica e sociale. Dedicò il suo impegno nel campo amministrativo, sia nel settore della pubblica amministrazione sia della cooperazione, operando con intelligenza in molti e delicati processi di ristrutturazione. Fu anche apprezzato ricercatore storico e autore di libri sul mondo della cooperazione. La sua memoria, oltre che nella famiglia, rimarrà sempre viva in tutti coloro che coltivano ideali di democrazia e di pace. Il figlio offre pro “Notiziario”.

AFRO CREMA BRUNO MANZOTTI

7° ANNIVERSARIO Il 25 febbraio ricorreva il 7° anniversario della scomparsa di Bruno Manzotti, antifascista, deportato nel 1943 in un campo di prigionia in Germania. Lo ricordano con tanto affetto la moglie Bruna Pecchini, i figli Marzia e Flavio con le loro famiglie. Nell’occasione sottoscrivono pro “Notiziario”

2° ANNIVERSARIO Il 17 febbraio ricorreva il 2° anniversario della perdita del caro Partigiano Afro Crema, di Rio Saliceto, comandante di distaccamento della 37a bgt GAP, operante in pianura. La moglie Luciana Pallicelli e i figli Claudio e Luciano lo vogliono ricordare come uomo stimato e benvoluto da tutto il paese per l’impegno sociale disinteressatamente profuso a favore dei più deboli per tutto la vita offrendo a favore del Notiziario.

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marzo 2010 41 notiziario anpi


REGGIOCHE CHEPARLA Aiax: il cavaliere bianco “Rinuncio ai miei diritti per una moratoria sugli ipermercati” (Luigi Maramotti)

“ ... oltre a sollecitare la magistratura contabile e ordinaria ad approfondire i motivi di un'alienazione probabilmente avvenuta in una condizione di forte favore” (Giuseppe “franz” Pagliani, PDL)

Bei tempi! “Nel PD tutti i glangli vitali del partito, dall’organizzazione agli enti locali, dall’informazione alla tesoreria fino alla segreteria sono in mano a ex DS: sembra il PCUS” (Renzo Lusetti, ex PD)

La kultura “Nell’ultimo Consiglio comunale di Rubiera la Lega Nord ha dato l’ennesima prova di difesa dei valori culturali e storici su cui la nostra società è si è fondata e sviluppata” (Stefano Ruozzi, Lega Nord)

"E mi piace leggere di filosofia" (Fabrizio Traini, rapinatore filosofo)

Tintarella di luna “Ha la pella chiara e molto delicata” (Aydin Abbullah) Le colpe dei padri... "Ho seguito una prassi praticata da questa amministrazione fin dagli anni Novanta" (s. Graziano Delrio, sindaco)

"Davvero non avverte Delrio il dovere morale di verificare con perizie aggiornate se il valore di concambio delle due aziende non sia cambiato?" (Antonella "provvidenza" Spaggiari, ex sindaco)

Geni della lampada “Nei momenti di difficoltà l’ingegno si aguzza. Da qui l’idea di Irecard” (Gianni Borghi, presidente Associazioni industriali Reggio Emilia)

"Direi di no. Ma non bisogna disperare: le crisi, tutte le crisi, hanno un inizio e una fine"

(Giorgia Iasoni, presidente Gruppo giovani impreditori reggiani)

"Abbiamo bisogno di strategie, di un progetto di città" (Giorgia Iasoni)

42 marzo 2010

notiziario anpi

ssssssst “Ho conosciuto Bettino Craxi al Congresso del PSI dell’autunno del 1972. Avevo solo 21 anni...” (Mauro Del Bue, PSI)

Consulenze matrimoniali “Ci siamo chiariti: i sindacati non mettono in discussione il fatto che ci sia una scelta politica che è anche una scelta economica legittima e con grandi potenzialità come quella della fusione” (s. Graziano Delrio, sindaco)

Scordiamoci il passato... "Sarebbe troppo facile ricordargli che la sua scelta politica, candidandosi per le elezioni della provincia solamente nove mesi fa, non ha raccolto il consenso degli iscritti della CGIL reggiana, ha perso le elezioni contro Ferrigno di Rifondazione non è entrato in consiglio provinciale" (Beppe Pagani, PD) "Posso solo dire che mi dispiace" (Luciano Fantuzzi, ex padrone delle Reggiane)

Palla lunga e pedalare “Non c’è bisogno di fermarsi. Anzi, è necessario procedere con speditezza. Anche i tempi hanno la loro importanza” (Marco Prandi, PD)

"Mi sembra che il traffico sia un po' meno fluido, ma noi siamo abituati a superare gli ostacoli" (Marisa, CRI)

Gratuità dell’amore "Desidero ringraziare voi tutti perché garantite ogni giorno la sicurezza della nostra comunità" (s. Graziano Delrio, sindaco)

Il Grande fiume "Nel prossimo consiglio verranno esposti i dati sinora elaborati dagli uffici. In ogni caso, il bilancio del comune di Luzzara non presenta alcun dissesto finanziario, così come più volte ribadito nei giorni scorsi" (Stefano Donelli, sindaco Luzzara)

"Al momento non ci risulta quel dissesto" (Luca Bosi, assessore Luzzara)

Amen "Il sindaco Delrio spieghi perché una nevicata mette in ginocchio la città" (Marco Eboli, PdL)

"Mi meraviglio che la Lega – ovvero i difensori del crocifisso – voglia colpire persone come san Francesco che viveva soltanto di accattonaggio" (Luca Cattani, PD)

Franza o Spagna... "Ferrigno si interroghi sulla sua coerenza politica, dato che il PD a Reggio come a Bologna è partito di maggioranza e se da una parte lui lo attacca dall'altro lo usa per sbarcare il lunario" (Ilenia Malavasi, PD)

Amnesie "Ci siamo scordati del PdCI" (Liana Barbati, vice sindaco)

La lotta continua "Oggi si confrontano semplicemente due mozioni che partono sì da posizioni diverse, ma in un contesto di piena democrazia. Il che è positivo. Nessuno sta pensando a scissioni, nè di voler colpire la confederalità della CGIL" (Gianni Rinaldini, FIOM)


Anche Anch con questo film il grande Clint Eastwood pare aver confezionato un altro capolavoro...

INVICTUS

Invictus è un film di Clint Eastwood in uscita nelle sale italiane per il 26 febbraio 2010. Ispirato alla vita di Nelson Mandela, interpretato da Morgan Freeman, durante la Coppa del Mondo di rugby 1995 in Sud Africa. Matt Damon interpreta Francois Pienaar, capitano della nazionale di rugby sudafricana. La storia è ambientata in Sud Africa. Subito dopo essere stato eletto presidente, Nelson Mandela (Morgan Freeman), deve trovare un modo per riunire la popolazione del suo paese letteralmente spaccata in due: i bianchi ed i neri. Nonostante l’apartheid sia stato ufficialmente sconfitto, si manifestavano ancora molte forme di razzismo. Mandela, quindi, per riunire il paese, approfitta della Coppa del Mondo di Rugby del 1995. Infatti, proprio quell’anno agli Springboks (il soprannome della nazionale sudafricana di rugby) è permesso partecipare ad eventi internazionali. Partecipazione proibita a partire dagli anni ’80 proprio a causa dell’apartheid. Mandela voleva che il Sud Africa vincesse il mondiale, sperando che questo evento di grande importanza potesse in qualche modo riunire il Paese. Purtroppo gli Springboks erano reduci da numerose sconfitte e risentivano di una squadra poco organizzata. Infatti, secondo alcuni addetti ai lavori, non avrebbero potuto superare neppure i quarti di finale. Mandela però non si arrese e convocò il capitano della squadra Francois Pienaar (Matt Damon) per informarlo di cosa aveva bisogno l’intero Sud Africa. In attesa dell’uscita anche sui nostri schermi leggiamo un articolo apparso sulla “Repubblica” riguardante l’uscita francese del film di Eastwood: “Mai in una sala cinematografica avevo visto tutti gli spettatori, ma proprio tutti – 215 – alzarsi in piedi e applaudire un film in modo così caldo e convinto. È successo ieri a Parigi in un cinema del boulevard Saint Germain alla fine di Invictus che racconta e celebra la vittoria del Sudafrica nella coppa del mondo di rugby

del 1995. Era l’anno successivo all’elezione di Nelson Mandela alla presidenza della Repubblica. Ed è stato uno spettacolo più emozionante dello spettacolo perché i parigini sono freddi e cortesi e anche al cinema non si fanno troppo incantare dalle ribalte fatate. Invece ieri sera, dopo un’ora e mezza di epica dello sport coniugata con la democrazia e con l’antirazzismo, non sembrava più di essere al cinema ma a teatro o meglio ancora allo stadio Ellis Park di Johannesburg dove appunto i ragazzi verde oro, gli Springbocks, battevano gli avversari, i leggendari All Blacks della Nuova Zelanda, ma soprattutto battevano i pronostici e se stessi, l’apartheid, l’odio razziale, i pregiudizi che sino ad allora, sotto la commedia del tifo civile ed elegante, avevano incarnato e simboleggiato”. Francesco Merlo continua scrivendo: “Il film racconta la geniale intuizione di Mandela: appropriandosi di quei colori e di quel simbolo sportivo che il popolo nero, ferocemente umiliato, voleva comprensibilmente abolire, riuscì a trasformare la squadra nell’officina democratica di un intero Paese, la squadra dei pingui poliziotti bianchi e dei malnutriti ladruncoli neri, del ricco spaventato e del povero rancoroso. Mandela capì che lo sport poteva accendere la passione unitaria, diventare uno strumento formidabile di integrazione, il laboratorio di un’idea di Paese, lo scrigno magico di nuovi valori condivisi, la banca delle risorse del sudafricano del futuro. Il film è uno schiaffo per un italiano che è abituato alle Curve Nord e alle Curve Sud dove l’odio è permesso e tollerato, luoghi a statuto speciale dove si picchia e si lincia, si insulta e ci si divide

e senza neppure la lealtà dello scontro, nascosti e protetti dalla folla, che è la dimensione del fuorilegge, l’anomia e l’impunità. Anche in Sudafrica, prima di Mandela, lo stadio era diventato la nicchia del nativismo e del razzismo con i neri che tifavano sempre e comunque contro gli Springbocks, sgolandosi e dimenandosi e sputando sui colori del proprio paese. Mandela rovescia il mito che era stato costruito per opprimere, scova il valore che cova in ogni sport ed espugna la cittadella inespugnabile. Ma c’è di più in quel lungo applauso del pubblico parigino. C’è l’ovazione alla pulizia di un cinema che racconta i sapori forti, la morte crudele e il più violento dei conflitti etnici e razziali, con le allusioni e con gli accenni discreti. Niente brutte parole, niente sangue, niente bestemmie. C’è un Mandela poeta, il magnifico Morgan Freeman, che lascia una prigione dove penetrava una luce divina, e cerca di imporre al proprio disgraziato e bellissimo Paese la cultura del pudore. Mandela amplifica sino all’epopea i colori tenui delle buone maniere e la dolcezza delle mezze tinte, è il massimo della gentilezza contro il massimo della ferocia”. Insomma anche con questo film il grande Clint Eastwood pare aver confezionato un altro capolavoro.

marzo 2010 43 notiziario anpi


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44 marzo 2010

notiziario anpi

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Stati Uniti Emirati Arabi e dintorni

31 maggio-7 giugno

Tour in Giordania

2-10 maggio

13-20 aprile

SOGGIORNI in Liguria fino a marzo e a Ischia fino a maggio ... alle Terme di Chianciano da maggio a settembre in Tunisia e Djerba marzo e aprile a Praga 16-20 aprile per informazioni ANPI O522 432991 dal lunedì a venerdì 8:30-12

MoscaSan Pietroburgo 13-20 maggio

GRANDI OFFERTE Castelli della Loira e Parigi 15-22 maggio

RISERVATO AI SOCI A.N.P.I.


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“COPERTINA” 2000-2010 donne e ll a te a ic d e d o ri a zi Le copertine del Noti

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IL NOTIZIARIO ANPI – Periodico di politica, storia, memoria, cultura e informazione varia



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