2011 - 02 MARZO

Page 1

notiziario

PERIODICO del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia Poste Italiane s.p.a. - Spediz. in abb. post. - d.l. 353/2003/ (conv. in L. 27-02-2004 n. 46) art. 1 - comma 1- DCB - Filiale R.E. - Tassa pagata taxe perçue - Anno XLII - N. 3 Marzo 2011 - In caso di mancato recapito rinviare all’Ufficio P.T. di Reggio Emilia detentore del conto per restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa.

03

2011

marzo

E

L ECIA P S RTO -XVI INSE ARZO I 8M

8 MARZO GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA

03 l© editoriale Se non ora quando? Fiorella Ferrarini 04 l© politica I Correggesi per esempio, Fabrizio Tavernelli e Sabino Caldelari 26 l© memoria Shoah e memoria dell’ebraismo Antonio Zambonelli 28 l© memoria Beati i miti… Massimo Storchi


LA COPERTINA

8 MARZO GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA MARISA RODANO: “Penso che non si possa rinunciare all’utopia...” Marisa Rodano, partigiana, parlamentare e dirigente storica dell’Unione donne italiane, il 21 gennaio scorso ha compiuto 90 anni, circondata dall’affetto delle donne italiane. Le auguriamo ancora lunga vita e pubblichiamo la frase conclusiva del suo ultimo libro, Memorie di una che c’era: una storia dell’UDI (Il Saggiatore), presentato di recente nella nostra città. “Penso che non si possa rinunciare all’utopia o quanto meno al tentativo di pensare un futuro diverso e di lanciare una sfida culturale e ideale. Sarebbe ora che le donne, forti dell’autonomia personale conquistata, riuscissero a trasformarla in consapevolezza che la loro alterità potrebbe, se messa in rete e se capace di superare la frammentazione, divenire la forza motrice di un radicale cambiamento economico sociale e politico”.

notiziario

03

2011

marzo

Spedizione in abbonamento postale - Gruppo III - 70% Periodico del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia Via Farini, 1 - Reggio Emilia - Tel. 0522 432991 e-mail: notiziario@anpireggioemilia.it; presidente@anpireggioemilia.it sito web: www.anpireggioemilia.it Proprietario: Giacomo Notari Direttore: Antonio Zambonelli Caporedattore: Glauco Bertani Comitato di redazione: Eletta Bertani, Ireo Lusuardi

Collaboratori: Paolo Attolini (fotografo), Massimo Becchi, Riccardo Bertani, Bruno Bertolaso, Sandra Campanini, Nicoletta Gemmi, Enzo Iori, Enrico Lelli, Saverio Morselli, Fabrizio Tavernelli Registrazione Tribunale di Reggio Emilia n. 276 del 2 Marzo 1970 Stampa: Centroffset - Fabbrico (RE) Questo numero è stato chiuso in tipografia il 13-02- 2011 Per sostenere il “Notiziario”: UNICREDIT, piazza del Monte (già Cesare Battisti) - Reggio Emilia IBAN: IT75F0200812834000100280840 CCP N. 3482109 intestato a: Associazione Nazionale Partigiani d'Italia - Comitato Provinciale ANPI


notiziario

sommario

editoriale

di Fiorella Ferrarini

Editoriale - Se non ora quando?, di Fiorella Ferrarini . ..................................... 3 Politica - “E allora ho capito che bisognava esserci” (Tina Anselmi) Coordinamento nazionale donne ANPI .......................................... 4 - I Correggesi per esempio, interventi di Fabrizio Tavernelli e Sabino Caldelari ........................ 6 - Storia e memoria, gli spietati soldati della divisone Herman Goering, di Lucia Dolci .................................................... 8 - Intervista ai PM del processo di Verona per la strage di Cervarolo (1944), di Matthias Durchfeld e Domenico Amidati..... 9 - Solidarietà dell’ANPI al lavoratori della GFE di Campegine, di Giacomo Notari ...................................................................... 10 - Alla corte del Gran Kan, di Giancarlo Ruggieri ............................. 11 Estero - Tunisia ed Egitto, di Bruno Bertolaso . ......................................... 12 Generazioni - Anna Bigi racconta della madre, Maria Cervi . ............................. 14 - Ave Melioli “Tita”, di Teresa Vergalli ............................................ 16 Cultura - L’origine della candidatura di Nilde Iotti all’Assemblea costituente, di Loretta Giaroni . ................................................... 17 - Nasce la Fondazione Nilde Iotti, di Eletta Bertani . ....................... 18 - Lucia Veneri. La mondina che diventò scrittrice e amica di Primo Levi, di a.z....................................................... 19. - Teatro della memoria, di Linda Eroli ............................................ 20 - Il poeta e drammaturgo Giuliano Scabia sul libro di Giacomo Notari ......................................................... 20 - Lo sport educante, di Alberto Pioppi ........................................... 21 - Azio Sezzi, Vincenzina, Brambilla e il Dirigente, di g.b. ................ 21 - Giuseppe Ligabue, Nome di battaglia Ferruccio .......................... 22 - I novatun anni di Paride Allegri, di Giacomo Notari ...................... 22 Memoria - Shoah e memoria dell’ebraismo, di Antonio Zambonelli .............. 26 - 67° anniversario della fucilazione di don Borghi e di altri otto antifascisti, di Massimo Storchi . ............................ 28 - Commemorati di martiri di Via Porta Brennone, di a.z. ................ 30 - 66° anniversario dell’eccidio della Gatta. Nove partigiani uccisi sul posto e due a Ciano ............................ 23 Le rubriche - Cittadini-democrazia-potere, di Claudio Ghiretti . ........................ 23 - Segnali di Pace, di Saverio Morselli ............................................ 24 - Primavera silenziosa, di Massimo Becchi ................................... 25 - La finestra sul cortile, di Nicoletta Gemmi . ................................. 35 Lutti ............................................................................................. 31 Anniversari ................................................................................. 34 Offerte ........................................................................................ 36

SE NON ORA, QUANDO?

Don Milani, che oggi sempre più spesso viene ricordato e cui tanti guardano come a un maestro di vita e di spiritualità, ricordava: “Che senso ha avere le mani pulite se si tengono in tasca”? Intendeva affermare, testimoniando in prima persona, la necessità e il dovere di essere dentro ai problemi con passione e coinvolgimento attivi, non lasciandoci tentare dalla delega, dalla indifferenza e tanto meno dal cedimento in quella pericolosa “zona grigia” in cui il potere autoritario della destra al governo vuole emarginare i cittadini, destinati a diventare sudditi o tutt’al più “pubblico”, consumatore docile. Nella totale inosservanza delle regole basilari della nostra democrazia, il premier e i giornali di famiglia e i collaboratori si servono di dossier, dei media servili che fanno da volgari battistrada, vera “arma di distrazione di massa”, si servono di campagne di delegittimazione dell’avversario politico e irridono alle opposizioni e alle iniziative in atto che chiedono insistentemente le dimissioni del capo del governo. Nel pieno della grave crisi istituzionale, economica, sociale, che sta attraversando il nostro Paese, è triste dover respingere e doversi anche difendere dall’immagine umiliante della donna che il Presidente del Consiglio da quando è “sceso” in politica, (attraverso comportamenti di “indegnità morale”, uno smisurato potere mediatico e il sostegno di una compatta corte di replicanti), diffonde, promuove e interpreta. Questo sguardo “malato”, che non sa vedere persone ma “cose” (senza voler oggi entrare nella tragica quotidianità delle violenze famigliari), è purtroppo sempre più diffuso e considerato da

continua a pag. 4 marzo 2011 notiziario anpi

3


editoriale

DONNE ANPI

continua da pag. 3 molti “senso comune”, forse con una parte di responsabilità dei nostri silenzi passati e delle troppe sottovalutazioni. Oggi esprimiamo tutto lo sdegno e la preoccupazione per l’esercizio diffuso di un potere arrogante e a-morale che degrada la donna a oggetto sessuale da comprare e usare come merce di scambio, a propria disposizione come “utilizzatori finali”. Se non ora, quando? Questa domanda che è finalmente risposta e impegno personale, sta salendo con una consapevolezza nuova: c’è bisogno di proclamare la nostra ribellione e la nostra diversità, di tornare in piazza, con gli uomini, in una rivoluzione pacifica ma decisiva per “esserci” e ricordare e far ricordare che la storia della Liberazione e della ricostruzione democratica del nostro paese ha visto tante donne riappropriarsi definitivamente della propria dignità di persone e del proprio futuro. Abbiamo davvero bisogno di testimonianze di coerenza e di generosità: abbiamo bisogno di fare memoria per fare giustizia, perché dimenticare è mentire. E’ per questo che continueremo il progetto di valorizzazione e riscoperta delle donne che hanno contribuito alla lotta di Liberazione, all’emancipazione e alla conquista dei diritti fondamentali, come ci ricorda nel bell’inserto del Notiziario Anpi Loredana Cavazzini. Leggeremo con commozione i racconti delle nostre partigiane, ci stupiremo per la continuità e la fermezza di un impegno che non si è mai arreso, cercheremo di creare ponti con le nuove generazioni che sono cresciute nel godimento pieno di diritti già conquistati ma non per sempre. E che hanno davanti modelli suadenti proposti dal successo delle tante “letterine”, “meteorine, “veline”, dalle “gieffine”, ragazze indotte a vivere in una realtà fittizia e ammansita, in una fiction perenne che narcotizza e illude. E ancora in nome di quella memoria, di cui ci sentiamo portatrici, mentre si va in stampa, aderiamo con convinzione all’iniziativa di mobilitazione nazionale delle donne “Se non ora quando” del 13 febbraio per portare in piazza le nostra vite e le nostre passioni e per accomunarle con quelle dei tanti uomini e delle tante donne “normali”,che esprimeranno con forza tutta la loro indignazione e tutta la loro determinazione a sognare e costruire e lavorare per un paese che sappia risorgere dalle macerie istituzionali e morali. Se non ora, quando? Fiorella Ferrarini

4

marzo 2011 notiziario anpi

“E ALLORA HO CAPITO CHE BISOGNAVA ESSERCI” (Tina Anselmi1944)

Fu proprio in questo “esserci”, in questo riconoscersi spontaneamente di tante donne in un movimento di resistenza attiva, spesso silenziosa o taciuta, ma comunque presente in tutte le sue modalità ed espressioni, e perciò decisiva per la Liberazione, fu proprio in questo “esserci” che iniziò il processo di risveglio, partecipazione e assunzione di responsabilità da parte delle donne che, uscite dalla “invisibilità pubblica”, hanno acquistato coscienza di sé e della propria piena dignità. Nel documento della Conferenza nazionale di organizzazione dell’ANPI si legge: “Nella lotta antifascista e nella Resistenza le donne hanno avviato da protagoniste, alla pari degli uomini, un cammino di emancipazione e liberazione che, proseguito negli ultimi sessant’anni, ha segnato la società italiana di conquiste di giustizia, libertà, civiltà. Oggi la democrazia ha bisogno più che mai della cultura, degli obiettivi, delle lotte di liberazione delle donne, così come le donne, per traguardi di dignità e libertà che rendano ancora più civile l’Italia, hanno bisogno della democrazia”. Le Madri della Repubblica, le 21 donne costituenti, già consapevoli dell’origina-


politica

LI G E D A V ATI C I L P S E A DAL S S I E T S M O E P R O P I PR T N E M A EMED TO N E M A N I ANPI E N COORD N O D LE A N O I Z A N le apporto che la cultura delle donne poteva dare al rinnovamento della società, chiedevano che nella formulazione della Carta costituzionale venisse loro “riservato un posto privilegiato” perché fossero “presenti” “la loro energia, la loro forza… la loro volontà di pace, di uguaglianza, di libertà”. Nell’attuale situazione politica in cui la maggioranza di governo mette in forse i princìpi della Costituzione, gli uomini e le donne dell’ANPI, memori di questi inizi del cammino democratico, sono chiamati, in un’efficace unità operativa, a contrastare la grave involuzione sociale, civile e culturale in atto che incide anche sull’identità stessa, sulla condizione e sul ruolo delle donne nella vita del Paese. Lavoro, scuola e cultura, riconoscimento del valore sociale della maternità, battaglia contro la violenza sessuale, laicità dello stato, centralità della questione morale, impegno per i diritti umani internazionali, difesa dei princìpi costituzionali, costituiscono una condizione essenziale di dignità, autonomia, emancipazione di tutte le donne e di raggiungimento del bene comune attraverso efficaci pratiche di partecipazione. Nel mondo si riconosce il ruolo innovatore delle donne nell’economia, nel sociale, nella cultura; da loro dipende non solo la crescita della ricchezza materiale, ma lo

sviluppo più libero, giusto, umano e sostenibile della nostra società, per una più forte e compiuta democrazia. Da circa un anno e mezzo è ripresa con rinnovato vigore l’attività del Coordinamento nazionale delle donne dell’ANPI che, davanti ai continui attacchi alla loro dignità ed ai loro diritti, hanno deciso di far valere la loro storia e le loro conquiste cercando percorsi condivisi con le nuove generazioni e con la società civile. Con la prima Conferenza nazionale delle donne dell’ANPI nel maggio 2009 e con il progetto “Donne, antifascismo, democrazia” si è dato nuovo impulso all’attività di ricerca e di valorizzazione della memoria storica riferita in particolare al loro ruolo. I documenti e le iniziative realizzate nel corso di questo lavoro costituiscono parte integrante della politica della nostra associazione; infatti, come approvato dalla Conferenza nazionale di Chianciano, i contenuti e le proposte emerse dal Coordinamento nello specifico ordine del giorno impegnano coerentemente tutta l’associazione. In un momento di deperimento dell’etica pubblica e d’imbarbarimento della società civile e delle relazioni umane noi vogliamo “esserci” per la democrazia, non secondo dinamiche meramente rivendicative ma per un necessario esercizio di

uguali diritti e uguali opportunità, di nuovo protagoniste delle nostre scelte e delle conquiste di civiltà possibili grazie anche all’ingresso nella storia di una cultura diversa. Non possiamo permettere la continua erosione nei fatti delle nostre conquiste e dobbiamo batterci, uomini e donne dell’ANPI, per inserirle definitivamente e compiutamente nei valori della democrazia. Sulla base di queste considerazioni riteniamo fondamentale che all’interno del documento programmatico per il Congresso Nazionale trovi spazio un capitolo intitolato: “Difendere, riaffermare e promuovere la dignità ed i diritti delle donne”, insieme ad alcune proposte emendative che, ne siamo certe, arricchiranno il dibattito, il confronto e le politiche della “nuova stagione” dell’ANPI. “Riaprire i cantieri della speranza, nella politica, regge il ‘noi’ non l’‘io’ (don Luigi Ciotti). Questa prospettiva condivisa di lavoro, arricchita dallo sguardo delle donne siamo certe potrà ridonare alla politica la sua più nobile identità che è quella di ampliare la partecipazione, dando voce a una pluralità di soggetti, e rappresentare la fame e sete di giustizia che è in noi.

marzo 2011 notiziario anpi

5


politica

“Cosa deve essere l’ANPI, cosa dovrà essere nella modernità? Cosa deve fare, quali sono e saranno i suoi scopi i suoi fini. Ci sono diverse concezioni, diverse sottolineature, posizioni che anche all’interno del nostro piccolo gruppo ci portano a confrontarci. Da un lato l’ANPI come baluardo a difesa della memoria resistenziale e della Costituzione repubblicana, dall’altro la lotta partigiana da applicare a nuove lotte, a nuove resistenze (dalla lotta per i diritti, alla lotta alle mafie, dalla lotta ai nuovi fascismi, alle nuove intolleranze e razzismi). Penso che siano due visioni valide e dal mio punto di vista complementari...”

I correggesi per esempio...

Pubblichiamo alcuni stralci della relazione di Fabrizio Tavernelli, presidente della sezione ANPI di Correggio, tenuta all’apertura del Congresso il 23 gennaio 2011 [...] Vorrei condividere con tutti voi le certezze e le incertezze che si vivono quando ci si trova al cospetto di un periodo allo stesso tempo glorioso e controverso, epico e umano, quale è stata la lotta di liberazione. Voglio condividere i punti fermi, le conquiste, tutto il lavoro che insieme abbiamo fatto (ANPI, Associazioni, Amministrazione, forze politiche, semplici sostenitori) per alimentare con costanza la memoria della lotta antifascista nel nostro territorio, ma voglio altresì condividere i dubbi, le paure, vorrei che fosse di tutti questa domanda “cosa faremo quando anche l’ultimo partigiano non sarà più tra noi?”. Per prima cosa le certezze: la più importante, avere ancora al nostro fianco i partigiani. Avio Pinotti, Artullo Beltrami, Germano Nicolini, senza dimenticare chi per problemi fisici non può essere oggi qui insieme a noi. Questi partigiani sono la nostra memoria tangibile, materiale, vivente, sono libri parlanti, è la storia che ci parla con le sue parole più vere. E’ la storia che dovrebbe essere insegnata nelle scuole e che non vuole sparire per calcoli o strumentalizzazioni politiche. Senza la loro forza morale, senza il loro supporto, senza il loro essere fermo riferimento etico, il mio ruolo, il nostro ruolo nell’ANPI sarebbe soltanto un tentativo di sopravvivenza. Sono questi partigiani a darci le ragioni, gli stimoli, dalle loro parole sappiamo cosa è stato il fascismo e cosa vuole dire essere oggi antifascisti. Loro stessi hanno compreso che non bastava più celebrare e che la lotta per la libertà, parola ormai usata a sproposito e per fini populisti, o peggio personalistici, non è ancora finita, perchè ogni tempo ha bisogno di liberazioni e nuove resistenze. [...] Vengo quindi alle tante cose fatte, alle scommesse, ai progetti, alle produzioni, ai lavori sulla resistenza e per la resisten-

6

marzo 2011 notiziario anpi

za. Iniziative importanti, innovative, che hanno fatto di Correggio, un modello, un punto di riferimento per i giovani reistenti di tutt’Italia. [...] Pensiamo inoltre alla stima, alla vera e propria adorazione, alla suggestione che la figura e la storia di Germanio Nicolini, il Diavolo, ha ispirato nei giovani antifascisti che in ogni luogo affollano i suoi lucidi discorsi. Queste dicevamo sono certezze, realtà, materiali resistenti agli attacchi, ai rovescismi, allo screditare continuo. Ritorna dunque la domanda: fino a quando e come riusciremo a proteggere questo bene prezioso, fino a quando la nostra memoria e quella di chi ci seguirà non sarà intaccata o addirittura cancellata. E se passiamo alla costituzione, conseguenza della lotta di liberazione, per quanto riusciremo a difenderla? E qui veniamo a un nodo essenziale nell’esistenza e nell’essenza dell’ANPI. Cosa deve essere l’ANPI, cosa dovrà essere nella modernità? Cosa deve fare, quali sono e saranno i suoi scopi i suoi fini. Ci sono diverse concezioni, diverse sottolineature, posizioni che anche all’interno del nostro piccolo gruppo ci portano a confrontarci. Da un lato l’ANPI come baluardo a difesa della memoria resistenziale e della Costituzione repubblicana, dall’altro la lotta partigiana da applicare a nuove lotte, a nuove resistenze (dalla lotta per i diritti, alla lotta alle mafie, dalla lotta ai nuovi fascismi, alle nuove intolleranze e razzismi). Penso che siano due visioni valide e dal mio punto di vista complementari, soprattutto oggi dove l’attualità, dove l’anomalia politica italiana, la crisi economica, il berlusconismo, ci chiama ad una resistenza decisa, a una reazione, a una lotta di liberazione non ancora giunta a compimento. Una resistenza culturale a una evidente deriva culturale. Un riconoscere i nuovi fascismi: il fascismo del

silenzio, quello spettacolare e di costume del berlusconismo. O forse, la sconfitta non di berlusconi ma del berlusconi che è in noi. Quello che oggi stiamo vivendo è fascismo, truccato, mediatico, glamour, da commedia sexy all’italiana, ma altrettanto pericoloso, subdolo, devastante. A tale proposito termino leggendo uno scritto di Noam Chomsky, come se fosse uno scritto uscito dalle rotatorie delle stamperie clandestine partigiane. Spero possa aiutarci a svelare e combattere il nostro fascismo quotidiano. [...] Un noto studioso di linguistica come Noam Chomsky ha stilato una lista di dieci regole, che vengono utilizzate per drogare le menti, ammaliandole, confondendo in loro ogni percezione, rimescolando realtà e fantasia, evidenza e costruzione illusoria. Ecco quali sono: 1 La strategia della distrazione [...]; 2 Creare problemi e poi offrire le soluzioni [...]; 3 La strategia della gradualità [...]; 4 La strategia del differire [...]; 5 Rivolgersi al pubblico come ai bambini [...]; 6 Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione [...]; 7 Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità [...]; 8 Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità [...]; 9 Rafforzare l’auto-colpevolezza, che significa far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si autosvaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!; 10 Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano [...] Fabrizio Tavernelli


CONgres

NPI ACORREGGIO

si

politica

a l : e z z e t r e c e l a s “Per prima co al a r o c n a e r e v a , e t piu' importan i...” n a i g i t r a p i o c n nostro fia Sabino Caldelari: “Perché con l’ANPI” Il 23 gennaio scorso si è tenuto a Correggio il XV congresso comunale che ha visto un’ampia partecipazione di iscritti, soprattutto quelli appartenenti alla generazione dei giovani “antifascisti”. Numerosi interventi hanno arricchito il dibattito, tra cui quelli del rappresentante della Camera del Lavoro, Renzo Giannoccolo, del deputato Pd Maino Marchi, oltre ai diversi esponenti dei partiti politici che si rifanno ai valori della Resistenza e dell’antifascismo. Una gradita sorpresa si è rivelata la partecipazione di Sabino Caldelari, presidente del Circolo culturale “Un punto macrobiotico” che a Correggio gestisce l’omonimo ristorantino e promuove una filosofia di vita più consapevole e rispettosa dell’ambiente. Con questa associazione, l’ANPI ha avuto modo di collaborare per la realizzazione di diverse iniziative a carattere culturale. Sabino Caldelari è un nuovo tesserato dell’ANPI di Correggio e per questo è il benvenuto, come tutti coloro che si avvicinano agli ideali della nostra associazione. Ha voluto accompagnare la sua iscrizione con una affettuosa lettera indirizzata al presidente onorario dell’ANPI

correggese, Avio Pinotti di cui riportiamo alcuni passi significativi. “Mi sto chiedendo perché ho fatto domanda di iscrizione all’ANPI, pur non essendo stato un partigiano combattente perché quando è giunta la Liberazione avevo solo 5 anni. Forse perché sono sempre stato di “parte” come scriveva Gramsci, ne ‘La città futura’ del 1917. Penso che nella vita bisogna fare delle scelte e decidere da quale parte stare. Sono entrato nel partito comunista nel 1959 e a quell’idea sono tuttora fedele, anche se il Partito non c’è più. Mi sono iscritto all’ANPI perché vedo che i valori, gli ideali che avevano spinto i giovani dell’epoca a scegliere la lotta armata per liberare se stessi, ma anche l’Italia intera da decenni di autoritarismo e di mancanza di libertà, stanno perdendo di importanza, se non addirittura rischiano di essere dimenticati. Per oltre 30 anni ho collaborato con la CGIL in difesa dei diritti dei lavoratori (in particolare quelli della scuola) diritti che oggi le forze imprenditoriali coadiuvate da quelle governativa vogliono smantellare. Di fronte a tutto questo la scarsa reazione

Da sinistra. Fabrizio Tavernelli, Monica Barlettai, Avio Pinotti e Alberto Pioppi, il nipote di Giuseppe Carretti, che ha concluso il congresso correggese

e la mancanza di forte mobilitazione della sinistra mi lasciano perplesso. Oggi sono presidente di un circolo culturale che ha come principale obiettivo la diffusione di una filosofia di pace e giustizia, basata su rapporti più sereni con il mondo esterno e sulla conoscenza ed il rispetto della vita e di tutti gli esseri viventi. Esistono grandi affinità tra questi principi e quelli che ho letto nello Statuto dell’ANPI. Ho anche un suggerimento da fare, che mi viene dalla lettura di un articolo apparso recentemente sulle pagine del quotidiano ‘L’Unità’, ad ogni nuovo iscritto Anpi dovrebbe venir affidato il nome di un partigiano, così da prendere in carico la sua idea e la sua storia, portare avanti la sua memoria e la sua testimonianza di vita. Se avessi la possibilità di questa scelta, la mia cadrebbe su Toti nome di battaglia della Medaglia d’oro Vittorio Saltini. Sarebbe una scelta molto impegnativa perché Toti era un partigiano e un comunista. Un uomo di idee e di azione. E questo è anche l’augurio che faccio a tutto il movimento ‘partigiano’ correggese ed emiliano”. Sabino Caldelari

marzo 2011 notiziario anpi

7


politica

Verona, 26 gennaio 2011 - Tribunale militare

a i r mo

e M e GLI SPIETATI SOLDATI DELLA DIVISIONE HERMAN GOERING

Continua il processo a Verona per la strage di Cervarolo e continua il progetto di Istoreco e ANPI di portare degli studenti ad ascoltare le testimonianze in aula. L’udienza è raccontata da Lucia Dolci, studentessa dell’Istituto Cattaneo di Castelnovo Monti Cinque testimoni vengono interrogati riguardo ai fatti della strage di Cervarolo del 20 marzo 1944 in cui parecchi uomini furono uccisi dai soldati tedeschi, appartenenti alla divisione “Herman Göring”, spietati, brutali. Le testimonianze descrivono una violenza disumana, cieca, agghiacciante. Non solo vengono uccisi uomini in licenza con regolari documenti e persone inferme, ma viene incendiato l’intero paese e tutte le abitazioni vengono saccheggiate. I soldati lasciano quindi, una popolazione di vedove con bambini piccoli (i figli maschi più grandi erano stati uccisi) in balia del loro stesso destino, costretti all’elemosina, a vivere nascosti in grotte o presso parenti. Loretta Righi racconta l’arrivo delle camicie nere, il 18 marzo 1944, che contemporaneamente invasero tutte le case del paese. “Non mi sembra ci fosse un capo, secondo me erano stati istruiti tutti prima” afferma l’anziana e descrive con la voce rotta, la ferocia tedesca due giorni dopo nel rubare quei pochi oggetti di valore presenti in casa. Ricorda inoltre l’episodio di Cesare Borea, infermo a letto, trascinato per i piedi fino nell’aia per essere ucciso e la testimone dà quindi voce ad una domanda probabilmente sorta tra l’intero pubblico: “Cosa c’entrava lui coi partigiani? o cosa c’entrava lui. Punto.

8

marzo 2011 notiziario anpi

Anche Cleta Artura Croci, che tra le altre cose ricorda di aver salvato un bambino di circa due-tre anni, si sofferma sull’episodio di Borea. La testimone racconta inoltre di un soldato, Dino Tazzioli, tornato a casa in congedo, che avendo le carte in regola, non avrebbe mai pensato di morire proprio quel giorno nell’aia, insieme ai suoi compaesani. Le donne cercano di convincerlo a nascondersi, ma egli, forse ingenuamente, non dà ascolto ai consigli e la sua giovane vita termina in quel luogo in cui era cresciuto. La testimonianza di Anna Maria Cappelletti è forse la più cruda e più coinvolgente. La testimone ha solo quindici anni quando vede i cadaveri nell’aia “a uno di loro era stata tagliata la gola, non me lo dimenticherò mai”. I tedeschi vengono definiti “grandi, grossi e cattivi”. “Ci avevano detto di stare tranquilli, loro cercavano i partigiani, non gli uomini delle famiglie contadine”, ma il giorno dopo vengono ammazzati tutti. Il fratello di Anna Maria riesce a salvarsi nascondendosi in soffitta, che in quel caso, fortunatamente, non viene requisita. Celestina Alberghi ricorda la morte di suo padre e del fratello maggiore, rimasto ferito in Russia e in convalescenza a Cervarolo, che ciononostante non viene risparmiato. Italia Costi, che all’epoca dei fatti aveva 6

anni, ricorda l’uccisione del fratello Lino, di soli 20 anni. “Anche Walter, l’altro mio fratello che aveva 13 anni fu catturato e mandato a governare le mucche. Volevano uccidere anche lui, ma alla fine lo lasciarono andare”. Una frase ricorrente nelle testimonianze è “pensavamo li volessero portare in Germania, non credevamo che li uccidessero”. Le testimoni espongono in tutta la loro semplicità il corso degli avvenimenti, con più o meno particolari, non si percepisce odio, ma spesso attraverso le loro parole emergono i sentimenti provati in quei momenti di terrore e di disordine. Momenti che oggi ricordano con tristezza, ancora provate dalla paura. La semplicità con la quale le testimoni si esprimono sembra quasi stonare con la tanta barbarie dei nazisti, con l’orrore dell’evento in sé, con la leggerezza utilizzata nel compiere atti tanto tremendi. Ancora una volta, le storie di guerra, ci toccano da vicino e ci fanno soffrire, come un coltello girato più volte nello stomaco. Le storie di resistenti, che grazie ai loro occhi velati di lacrime e alle loro voci spezzate, ci raccontano cos’è la guerra e quanto è fondamentale tramandare ciò che è stato. Questo è il sentimento che emerso dai loro cuori tremanti, ricordo e resistenza. Lucia Dolci


politica

I PM: Luca Sergio e Bruno Bruni

“La nostra conclusione sarà di chiedere la condanna all’ergastolo, per tutti gli imputati...”

inisteri m i c i l b b u p i a a Intervist i Cervarolo, d e g a r st a l er p del processo no Bruni Luca Sergio e Bru Il processo è istruito da molto prima, le indagini iniziano a La Spezia. I fautori delle stragi erano ignoti, è stato compiuto un lunghissimo lavoro di ricerca negli archivi tedeschi per individuare i vari comandanti e le parti operanti. Questo lavoro ha contribuito all’individuazione dei responsabili di molte stragi (Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, Civitella). Per risalire agli imputati, si è operato per gradi: prima di tutto l’individuazione dei reparti responsabili, composti da migliaia di soggetti, per poi circoscrivere man mano a reparti più specifici. L’indagine è iniziata a La Spezia ed è proseguita a Verona. È stata costituita una squadra di carabinieri e polizia giudiziaria di madre lingua tedesca, che si occupa esclusivamente di questo rapporto periodico con la Germania ed infine siamo riusciti a individuare i giusti documenti, grazie ai quali sappiamo quali reparti c’erano e chi erano i comandanti. In questi 15 anni si sono sviluppate indagini su centinaia di procedimenti. Inoltre tutte queste operazioni, avvengono con la piena collaborazione delle autorità tedesche. Che impressioni avete avuto dalle testimonianze ascoltate? Che importanza avranno per la sentenza? E quando sarà pronunciata? Prevediamo che il processo si concluderà ad aprile. Abbiamo fatto una decina di udienze per ascoltare i testimoni di Mon-

chio, Cervarolo e Vallucciole. È necessario al processo ricostruire i fatti grazie al contributo dei testimoni e i testi. Ognuno racconta il suo ricordo e tutti insieme ci consentono di capire l’evoluzione degli accadimenti. E di ricostruire un aspetto importante ai fini del giudizio cioè l’efferatezza della condotta, non solo la strage finale ma anche altri particolari precedenti a quanto accaduto. Quando vi siete recati a Cervarolo che impressioni avete avuto? Hanno avuto un peso sul contesto? Sicuramente è servito per comprendere meglio l’accerchiamento e l’ingresso delle truppe nel paese, per capire poi come si è sviluppata l’azione al suo interno. Per l’accusa conoscere i luoghi, rende più facile spiegarli al tribunale e contestualizzare le testimonianze. Quando mi sono recato per il sopralluogo ho anche sentito sei testi, mai sentiti precedentemente che poi sono stati citati come nuovi testimoni. Quale crediate che sia l’esito del processo? La nostra conclusione sarà di chiedere la condanna all’ergastolo, per tutti gli imputati. Quanti gradi di giudizio ci sono per giungere alla condanna definitiva? Primo grado, secondo grado, cassazione. Si applica la procedura penale ordinaria.

Visto l’età degli imputati, il processo verrebbe sospeso con la loro morte? Si, è prevista per legge che in caso di morte dell’imputato si estinguerà il processo nei suoi confronti. Ed è per questo che stiamo dando precedenza assoluta ai crimini di guerra. Nell’eventualità che gli imputati siano condannati, sconterebbero la pena? Se dovessimo arrivare alla condanna definitiva, verrà richiesta l’estradizione dei responsabili. Anche se risulterà molto improbabile, dato che la Germania, nell’immediato dopoguerra per motivi abbastanza chiari, ha fatto una legge che prevede l’estradizione solo con il consenso diretto del condannato. Condannare e scontare la pena sono due cose differenti. Noi abbiamo forti speranze di chiedere condanne all’ergastolo. Prevediamo la possibilità di ottenere la condanna. Trattandosi di imputato all’estero l’unico strumento che l’Italia possiede è quello di chiedere l’incarcerazione dello stesso e fare richiesta di estradizione. Una volta finito il processo succederà questa fase esecutiva. (intervista parzialmente pubblicata sulla “Gazzetta di Reggio” del 28 gennaio 2011) a cura di Matthias Durchfeld e Domenico Amidati

marzo 2011 notiziario anpi

9


politica

SOLIDARIETA’ DELL’ANPI AI LAVORATORI LICENZIATI DELLA GFE (GRUPPO FACCHINI EMILIANI)

Al centro la delegazione dell'ANPI. Da sinistra Carlo Govi, Giovanni Bigi, Francesco Bertacchini e Giacomo Notari

L’ANPI fa della solidarietà uno dei motivi di fondo del proprio agire, sia in Italia che verso l’estero. Basti ricordare ciò che abbiamo fatto nel tempo per il Mozambico e la Palestina, per citare soltanto le più recenti nostre iniziative. Ma volgendo lo sguardo alla nostra ricca provincia, pensiamo alle migliaia di lavoratori di origine straniera, qui approdati per poter dare pane alle proprie creature. Ebbene oggi diversi di loro sono in difficoltà nel quadro dell’attuale crisi economica. Un consistente nucleo di questi, già impiegati nella logistica, sono rimasti senza lavoro dal novembre 2009 e da allora stazionano quotidianamente davanti ai grandi capannoni della ditta GFE, in comune di Campegine, sopportando in questi giorni il freddo e le gravi preoccupazioni per la propria sorte, con grande dignità e determinazione. Ebbene venerdì 19 dicembre u.s. noi dell’ANPI, con una nutrita delegazione, abbiamo portato a quei lavoratori tutta la nostra solidarietà morale di resistenti di ieri e di oggi ed anche un modesto aiuto in denaro frutto di una sottoscrizione interna tra i nostri associati . Grande è stata la gioia di quelle maestran10 marzo 2011

notiziario anpi

ze in grave difficoltà, maestranze costituite soprattutto da indiani. E proprio uno di questi ultimi ci ha tenuto a raccontarmi che suo nonno, durante la 2a guerra mondiale, partecipò con l’VIII armata inglese del maresciallo Montgomery, alla liberazione di Napoli e di Roma risalendo poi la Penisola fino a Milano, raggiunta il 25 aprile 1945. Se comune fu allora la lotta contro il nazifascismo tra noi italiani e popoli di varie nazionalità, è doveroso e necessario che oggi ci accomuni la lotta per la difesa dei diritti. Giacomo Notari Foto di Angelo Bariani


politica

n a K n a r G l e d

ne avequando iulle, , n a K i c ri Kubla elle fan ei Signo gliere le più b d sa egli e r o c o n i n e og n Sig a sc a in v r e , g c o a tt il f le e e h a i XXII) c asciator mbiate. amera e (cap. LX pero suoi amb o servizio in c an venivano ca e n io il lo nel M ovincia dell’Im sse al su izio del Gran K r arco Po te e me r p M o i c n serv ta g a n o u o s alla Racc va in poste al a e e d tt ll n o a iu d c n m n co a, fa va vogli ane, per essere i e tre notti, le n s r e io i g in e verg gni tr sse. E o desidera

e t r o c alla

Non risulta che per tale comportamento il Gran Kan sia stato sottoposto a procedimento penale. Assai meno fortunato del potente imperatore, il Presidente del Consiglio in carica, il quale forse vive in tempi non consoni al libero esercizio delle sue pulsioni e delle sue velleità autocratiche, è chiamato a rispondere penalmente – nell’ambito di un vasto giro di meretricio – di concussione e di avere intrattenuto rapporti sessuali con prostitute minorenni. Il procedimento penale, per solito, si dipana attraverso quattro fasi o momenti. Il primo momento è quello del clamore, conseguente al disvelamento delle indagini e delle risultanze di fatto con esse acquisite ed acclarate. Il secondo momento è quello del torpore: il procedimento segue il suo corso, ma poiché i mezzi di informazione cessano di occuparsene, si ritiene erroneamente che esso sia inspiegabilmente naufragato. Solitamente, si dice: “Hanno insabbiato tutto!”, ed invece, l’inesorabile macchina della giustizia silenziosamente procede verso le fasi ulteriori. Ed ecco, finalmente, il momento del folclore: il dibattimento pubblico, spettacolare come una recita teatrale e solenne come un rito religioso, connotato da severi costumi (le toghe) e da una rigida ripartizione dei ruoli. Infine, giunge il momento del dolore, costituito dall’esecuzione della pena e dalla restrizione in carcere del condannato. Nel caso che attualmente investe il Presidente del Consiglio, il clamore è ancor più assordante, non soltanto per l’alta carica rivestita, ma soprattutto per le modalità con le quali costui ha scelto di

difendersi, ben al di fuori degli ordinari ed ortodossi schemi procedurali. Infatti, le strategie del passato, che lo hanno messo al riparo da ogni condanna, dispiegatesi attraverso l’abolizione di reati, l’accorciamento dei termini di prescrizione, condoni finanziari, la riduzione dei poteri del PM, l’enfatizzazione delle prerogative difensive, l’astrusa disciplina delle rogatorie internazionali – per citare soltanto alcune delle innumerevoli leggi “ad personam” – non lo proteggono dalle accuse che ora vengono mosse nei suoi confronti. Inoltre, le varie leggi di immunità e di legittimo impedimento, volte a salvaguardarlo dalla giustizia penale, sono state tutte spazzate via dalla Corte Costituzionale, in quanto palesemente arbitrarie ed illegittime. E così, si deve ora assistere all’inverecondo spettacolo di continui attacchi alla magistratura, campagne di stampa infamanti, trasmissioni televisive prone nella difesa del “Conducator”, scombinati ed irruenti interventi dispiegati dai suoi sostenitori nei dibattiti in TV, irruzioni telefoniche, costituite da monologhi dal tono aggressivo e perentorio e dal contenuto pieno di contumelie di ogni genere, nelle trasmissioni televisive non domestiche e persino all’adozione di una deliberazione risibile ed inverosimile da parte della giunta parlamentare per le autorizzazioni a procedere, investita marginalmente in relazione ad un atto d’indagine da compiersi nei confronti “dell’ufficiale pagatore” dipendente del plutocrate di Arcore. A fronte di tale sconfortante quadro, non solo eticamente disdicevole, ma anche implicante gravi aspetti eversivi dell’ordine costituzionale, vi è però

motivo di conforto nella sostanziale tenuta delle istituzioni democratiche e di garanzia. Infatti, nonostante un ventennio di imbonimento televisivo, che ha ingenerato l’assopimento delle coscienze, ed una maggioranza parlamentare volta non già alla tutela del pubblico interesse, ma alla strenua difesa di uno solo ed ispirata non dalla ricerca del “giusto” e del “vero”, bensì dalla mera conservazione del potere, legata unicamente alla sopravvivenza politica del Padrone Unico, il piano antidemocratico e demagogico della conquista definitiva dello Stato non è riuscito. E ciò per merito della vitale reattività di istituzioni di garanzia, quali il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale e la magistratura, indefettibili guardiani dell’assetto dello stato di diritto. Il sostegno della stampa indipendente e di quella poca TV non asservita al potere, unitamente al risveglio delle rette coscienze, che pare finalmente di avvertire, lasciano ben sperare, malgrado la debolezza e la divisione dei partiti di opposizione, per la salvezza della Repubblica, posta in grave pericolo da evidenti tendenze di egemonia autocratica. Ed invero, la scomposta e rabbiosa reazione dell’attuale Presidente del Consiglio nei confronti di ogni vicissitudine giudiziaria che lo riguardi ed il suo atteggiamento, in genere, verso la magistratura richiamano alla mente il seguente insegnamento di Sant’Agostino: “Una volta che si è rinunciato alla giustizia, che cosa sono gli Stati, se non una grossa accozzaglia di malfattori ?” (La Città di Dio, IV, 4). Giancarlo Ruggieri marzo 2011 11 notiziario anpi


estero

O T T I G IA ED E

TUNIS

i d a i r a a r i p s k re

h s a M l e reb e n

h g a M l Ne

Il “pane” è stata la miccia, che ha innescato tutta quella serie di violente reazioni, che hanno fatto emergere il profondo malessere e la rabbia contro i regimi totalitari, che covavano da tempo tra le popolazioni del Maghreb e del Mashrek. Reazioni “avallate”, anche, dalla parole di Oliver De Shutter, relatore particolare dell’ONU per il diritto all’alimentazione, che dichiarava come la fame non sia una catastrofe naturale, ma il risultato di scelte politiche dei governi, inadeguate ad affrontare e risolvere i problemi alimentari. L’incendio, seguito dalla spontanea rivolta di piazza a Tunisi, (si mormora che erano forse mille anni che ciò non accadeva), ha prodotto la prima vittima nella persona di un rais detestato e corrotto come Ben Ali. L’ex rais Ben Ali, oggi rifugiato a Gedda, colpito da un mandato di cattura internazionale per una lunga serie di malversazioni, era considerato uno “zaim”, appartenente cioè a quella categoria di capi arabi, capaci di interpretare i sentimenti della volontà popolare, incarnando i sentimenti della media tra i propri sudditi. Ben Ali all’inizio del suo governare non era solamente un rais, cioè un boss più duro che giusto e un corrotto quale poi è diventato, seguendo una inevitabile parabola di tutti i regimi totalitari, ma un presidente di larghe vedute, che godeva di un notevole prestigio popolare. Oggi per detronizzare un qualsiasi rais del peso politico di Ben Ali, è necessario o un colpo di Stato militare, un putsch o una guerra. Fino ad oggi non era mai stato rimosso un potente da un movimento popolare, che al massimo riempie le piazze, sulle quale lascia spesso morti e feriti e poi tutto finisce lì. La Tunisia si è dimostrata una rara eccezione nel mondo arabo, con la piazza, rivelatasi la vera

12 marzo 2011

notiziario anpi

e potente protagonista della rivolta e del cambiamento. La conseguenza inevitabile di un tale stato di cose è che l’evento tunisino viene oggi considerato un fatto storico di estremo rilievo, in grado, tra l’altro, di provocare gelidi brividi nel mondo arabo, brividi di paura tra i potentati di Algeria, Egitto, Marocco, visto che è in grado di creare nelle masse popolari gli stimoli che portano ad imitare, un giorno più o meno lontano, il popolo tunisino. Nel corso di una riunione della Lega araba tenutasi a Sharm el Sheik sul Mar Rosso egiziano, nel contesto della quale si auspicava di ignorare gli accadimenti tunisini, il segretario generale della stessa Amr Mussa ha rotto il colpevole silenzio dei potenti presenti, ricordando loro che “...la rivoluzione tunisina non è lontana da noi tutti...”. Il “contagio tunisino” è stato considerato un chiaro segnale di speranza da parte di Mohamed El Baradei, premio Nobel per la Pace nel 2005, che incarna le speranze delle forze progressiste per un radicale cambiamento dell’Egitto laico, in grado di sostituire la fallimentare politica di Mubarak. Nel corso di una intervista rilasciata all’“Unità” il 23 gennaio egli affermava

che “alla base della rivolta tunisina vi sono ragioni che si ritrovano in molte altre realtà, tra le quali anche quella egiziana: la mancanza di prospettive di lavoro per le giovani generazioni, l’ingiustizia sociale, la rivendicazione di libertà e dei diritti contro le chiusure di poteri, incapaci di rinnovarsi. E’ inevitabile – sostiene – il cambiamento deve arrivare!”. In tale contesto El Baradei, non risparmiava critiche all’Europa, che indifferente agli accadimenti algerini e tunisini, attuava una politica di sostegno a leadership ormai profondamente usurate, nella convizione che esse fossero un baluardo contro la penetrazione del fondamentalismo del jihadismo, commettendo, secondo il premio Nobel, un tragico errore strategico, dal momento che solo un sostanziale cambiamento delle classi dirigenti, potrebbe rappresentare un investimento per il futuro e l’attivazione di un vero antidoto agli estremismi, nel contesto di una vera democrazia e della creazione di uno Stato di diritto. Le previsioni del leader egiziano, pochi giorni dopo, hanno avuto un tragico riscontro al Cairo prima, poi a Suez, a Damanhour, a Beheira, ad Alessandria ed a Ismailia dove gli scontri con la polizia hanno seminato di caduti le piazze. Se-


estero

ULT

Berlusconi e Ben Alì

IM ' OR

A

“C tia on gi la mo c orna feb solle he so le in Mu brai vazio tto l stam me bara o si ne ’inca pa a la d Ta k. A è d popo lzare nnode Difes ntaw l suo imes lare dell’o i mil a, es i ex pos so H l’11 re rdine itari, pone -min to M osni fut la tra nel tent nte istro ohanu uro d nsiz Pae erà d di sp per ovo el ion se i p ic ini l’Egi e d e p orta co re zio tto el re ” ha pote paraavu re. to Il un

Obama e Mubarak

condo Al Jazira il numero dei morti supera ormai i 150, la maggior parte dei quali nel giorno di venerdì 25 gennaio. Hosmi Mubarak tenta di resistere al potere, malgrado le richieste della piazza per le sue dimissioni, fatte proprie da El Baradei che afferma perentorio “il presidente deve andarsene. Non ha capito il messaggio del popolo egiziano. Le proteste continueranno fino alla caduta del regime...”. Mubarak parla al popolo, promette di varare misure per la libertà e la democrazia, fa dimettere i ministri, nomina in qualità di vice-presidente il generale Omar Suleiman. Mentre fa scendere in campo i carri armati e manda i familiari a Londra, chiede la fiducia al popolo, che gliela nega con continue e più accese dimostrazioni, chiedendone, con il cauto avallo della Casa Bianca di Obama, le dimissioni. Inaspettatamente il popolo si divide in due. I sostenitori di Mubarak scendono in piazza e si scontrano furiosamente con l’altra metà della popolazione, che fino a ieri sembrava nel Paese una netta maggioranza. Le mancate dimissioni del rais innescano oggi una pericolosa e sanguinosa guerra civile. L’eco delle rivolte tunisina ed egiziana e dei risultati radicali, che le stesse hanno provocato, agita le popolazioni arabe ed i regimi totalitari degli Stati vicini, sia del Maghreb ( Algeria, Libia, Marocco e Mauritania) che del Mashrek (Libano, Autorità Palestinese, Siria, Iraq, Kuwait, Giordania, Arabia Saudita, Yemen e Su-

dan) ove le proteste popolari sconfinano spesso con dimostranti, che si danno volontariamente alle fiamme. Dopo Mohamed Bouazizi, che si è immolato col fuoco il 17 dicembre, scatenando la rivolta tunisina, non passa, ormai, giorno senza che qualche altro manifestante non segua il suo esempio. Dal 17 gennaio almeno cinque egiziani si sono dati fuoco per protestare contro la disoccupazione. In Arabia Saudita, Marocco, Sudan il 22 gennaio almeno quattro persone si sono date fuoco nelle piazze principali dei propri Paesi. In Algeria, malgrado il divieto a manifestare, imposto dal governo di Bouteflika, dopo i tragici eventi, che hanno contrassegnato le manifestazioni di protesta contro il caro vita del recente passato, folti gruppi di oppositori scendono in piazza, scontrandosi con la polizia, che ha operato numerosi arresti. Tra i feriti anche Athmane Mazouz capogruppo parlamentare dell’RCD (Raggruppamento per la cultura e la democrazia) mentre fermati sono stati il fotografo Bilel Zihani e il parlamentare dell’RCD Areziz Aidel. In Mauritania la guerra del pane contagia il Paese, ove il 13 gennaio migliaia di persone hanno manifestato nella capitale. In Libia migliaia di persone hanno occupato abusivamente centinaia di alloggi in costruzione, scontrandosi duramente con la gendarmeria. In Giordania, con inizio dal 14 gennaio, si sono svolte manifestazioni pacifiche con-

tro il carovita. Nello Yemen la ribellione tunisina ha rinfocolato la protesta antigovernativa e il movimento secessionista nel Sud del Paese, tanto da costringere il presidente a dichiarare che non si presenterà alle elezioni presidenziali del 2013. Come era inevitabile “il dopo” ha creato e crea ulteriori tensioni nei Paesi coinvolti dalle manifestazioni e dalla rivolte di popolo, come in Tunisia, dove il governo di unità nazionale, costituito dopo i tragici eventi della rivolta, non riesce a decollare e la gente chiede ancora, con proteste e manifestazioni, che venga cancellato il partito-stato (RCD) del presidente cacciato e con questo, esclusi da un qualsiasi incarico esecutivo i suoi vecchi esponenti, mentre deve essere riconosciuta la legittimità di tutti gli altri partiti, compresi i comunisti e gli islamici.Tutto il Maghreb ed il Medio Oriente ribollono di manifestazioni e proteste. L’incertezza sull’esito futuro dei movimenti popolari, che chiedono libertà e democrazia, è massima, mentre l’Italia (il ministro Frattini convoca una seduta del Senato, mentre i morti delle rivolte si accumulano tragicamente nelle piazze, per occuparsi, incredibilmente, dell’appartamento di Montecarlo) e l’Europa stanno piuttosto passivamente a guardare, in un’ incerta attesa, non comprendendo, forse, che ciò che succede al di là del Mediterraneo potrebbe pesantemente influenzare molti aspetti della vita delle popolazioni europee. Bruno Bertolaso

marzo 2011 13 notiziario anpi


8m ar zo

generazioni

Anna Bigi racconta della madre Maria Cervi

"Deve essere un museo, non un mausoleo"” “E capì, anche grazie al continuo confronto con le tante persone che hanno continuato a visitare il Museo che era assolutamente necessario che il Museo non fosse solo un luogo, per quanto importante, di celebrazione, ma un luogo in cui le persone potessero trovare stimoli e sollecitazioni ad approfondire la storia della Resistenza, a comprendere che cosa significano ancora oggi parole come Libertà, Democrazia, Diritti, Impegno Civile… Ci dicevamo, ‘deve essere un Museo, non un Mausoleo’”... Qualche tempo fa ebbi occasione di incontrare Aleida Guevara e ci trovammo a parlare di quali sentimenti lei ed i suoi fratelli si provassero nei confronti di un padre con cui loro avevano vissuto per poco tempo, ma la cui memoria è diventata patrimonio collettivo e quindi continuamente rinnovata. Mi disse che davanti ai ragazzi che lo indossano sulle magliette, spesso le era capitato di chiedersi se fossero realmente consapevoli del significato vero delle scelte e dell’impegno civile e politico del padre. Interrogativo nato forse dall’esigenza di trovare riscontro del valore, della ragione della scelta compiuta, una scelta che consapevolmente lo aveva portato a mettere in gioco la propria vita. Come si sente una bambina a cui la storia consegna, e rinnova quotidianamente, la consapevolezza che il padre ha scelto nel nome dei propri ideali, dei propri valori, di rischiare la vita e rinunciare così alla possibilità di vedere crescere i propri figli? Aleida mi disse che lei sentiva la necessità di motivarsi la scelta del padre riconoscendo un valore assolutamente prioritario alle ragioni del suo impegno politico e agli ideali che lo hanno ispirato e che quindi si sentiva impegnata a comportarsi, e a chiedere ai suoi figli di fare altrettanto, in modo coerente e rigoroso 14 marzo 2011

notiziario anpi

con i principi di cui il Che aveva fatto ragione di vita. Ricordo che subito trovai grande sintonia con la condizione in cui si erano trovati mia madre e i suoi cugini e pensai che il comportamento di mia madre era in realtà molto simile a quello restituitomi da Aleida. Certo mia madre e i suoi cugini non furono gli unici bambini a perdere i genitori a causa della guerra, ma fu sicuramente eccezionale la situazione di trovarsi ad elaborare questo lacerante lutto in una condizione che continuamente rinnovava la portata della perdita subita, che li ha “costretti” a ricordare ininterrottamente secondo modalità e ritmi spesso imposti dalle persone che andavano in visita alla casa. Così mia madre si trovò, bambina, a cercare di capire che cosa fosse successo e contemporaneamente affrontare il dolore della perdita ed abituarsi ad una vita completamente diversa da quella che faceva prima dell’arresto di suo padre e dei suoi fratelli: “Tutti hanno rappresentato, dopo la fucilazione dei nostri padri, la prima fonte di una più approfondita conoscenza di loro: chi erano, cosa volevano e che cosa avevano fatto. Ne avevo bisogno, per stabilire il contatto con le mie radici e colmare, almeno in parte, il vuoto terribi-

le che avevo dentro.” Papà Cervi dichiarò fin da subito che era un impegno suo e di tutta la famiglia rimasta mantenere vive le ragioni dell’impegno dei suoi figli. Questo fece diventare fin da subito la casa un luogo simbolo della Resistenza, un luogo dove le persone si recavano per rendere omaggio ai 7 fratelli, per ricordarne il valore, per ribadire le ragioni della scelta compiuta. Dunque anche il ricordo che la famiglia aveva di ognuno di loro è associato al significato del ruolo assunto dai Cervi nella lotta partigiana. Certamente per mia madre fu l’impegno di una vita quello di testimoniare la storia della sua famiglia; una testimonianza che non si è limitata alla celebrazione di una scelta, alla commemorazione del sacrificio ma è sempre più diventata occasione per rinnovare il significato di parole come libertà, democrazia, impegno civile. Ricordo che discutemmo a lungo sul significato delle commemorazioni. Ero molto giovane e le contestai il senso di eventi che erano a mio avviso retorici e puramente celebrativi, non capaci di stimolare riflessioni e nuove interpretazioni, quindi difficilmente comprensibili e significativi per chi come me non aveva esperienza diretta degli episodi che venivano ricordati.


8m ar zo

generazioni

i v r e C a i r Ma Contestò la mia lettura, ovviamente, ma poi mi resi conto che nel suo modo di ricordare e di raccontare qualcosa era cambiato; era leggibile l’intenzione di renderne più evidenti i significati, più leggibili alla luce delle provocazioni della contemporaneità. So che all’inizio per lei non fu facile accettare che la ricerca storica si avvicinasse alla vicenda della sua famiglia; certo voleva che fosse raccontata, tramandata, che il ricordo del sacrificio rimanesse nelle teste e dei cuori delle persone, ma non riusciva a comprendere il passaggio dall’esperienza personale al suo valore assoluto, dalla memoria alla storia. Inizialmente le sembrava che per come stava avvenendo fosse in realtà un tradimento; faticava a riconoscersi nella restituzione che gli storici iniziavano a fare della storia della famiglia Cervi. Poi comprese (ed allora iniziò a pretendere di essere coinvolta!) quali processi, quali riferimenti stavano alla base delle interpretazioni e delle elaborazioni; giustamente esigeva, un approccio rigoroso a chi si avvicinava alla vicenda della famiglia con l’intento di farne oggetto di ricerca e restituirla alla Storia. Anche l’impegno all’interno dell’Istituto Cervi, cui partecipò fin dall’inizio come rappresentante della famiglia nella Commissione di vigilanza voluta da Papà Cervi nel momento in cui dichiarò l’intenzione di lasciare “tutto quanto ho raccolto in questi anni” alla Provincia di Reggio Emilia ed al Comune di Gattatico. In seguito fu delegata dal Comune di Gattatico a seguire le attività dell’Istituto e fu per lei una costante sollecitazione a

ricercare un giusto equilibrio tra l’obiettivo di mantenere vivo il ricordo della vicenda dei Cervi e le ragioni degli impegni delle Istituzioni. E capì, anche grazie al continuo confronto con le tante persone che hanno continuato a visitare il Museo, che era assolutamente necessario che il Museo non fosse solo un luogo, per quanto importante, di celebrazione, ma un luogo in cui le persone potessero trovare stimoli e sollecitazioni ad approfondire la storia della Resistenza, a comprendere che cosa significano ancora oggi parole come Libertà, Democrazia, Diritti, Impegno Civile… Ci dicevamo, “deve essere un museo, non un mausoleo”. Attualizzare l’idea di partecipazione e di impegno sociale le ha permesso di entrare in contatto con diverse realtà e le ha suggerito l’idea delle “nuove resistenze” associata al lavoro di tutte le persone attive nelle battaglie per i diritti civili in difesa di chi é costretto a vivere in condizione di non libertà e di chi ha diritti e bisogni speciali causa di particolari condizioni di salute. Soprattutto negli ultimi anni credo che il rapporto continuo con le scuole, con i tanti ragazzi che ha incontrato l’abbiano aiutata a comprendere meglio la necessità di rendere più comprensibile, soprattutto a loro, il significato delle lotte compiute contro il fascismo, l’importanza della partecipazione e dell’impegno personale nella conquista dei diritti collettivi. E forse grazie a questo continuo racconto, un racconto che si è alimentato di tanti ascolti, ha messo meglio a fuoco i suoi ricordi ed il loro significato; il rapporto con questi ragazzi che vedeva che confidavano in lei, la prospettiva dell’anzianità e, io credo, l’essere diventata nonna, le hanno restituito con maggiore chiarezza la responsabilità di un testimone da consegnare.

“Nessuno può permettersi di stare a guardare, nessuna conquista è mai per sempre, ogni generazione si deve fare le proprie, partendo da quelle che si sono già raggiunte. L’importante è partecipare e scegliere. Chi non partecipa non è libero”. Questo era solita ripetere negli incontri cui era invitata, in particolare ai ragazzi. E questa convinzione credo sia stata alla base della battaglia condotta insieme ad altri all’interno dell’ANPI per far sì che anche chi non aveva vissuto direttamente la Resistenza, chi non era stato partigiano potesse far parte dell’Associazione, potesse sentirsi coinvolto nelle battaglie in difesa della Costituzione, e dei principi che ne stanno alla base. “Se non apriamo ai giovani” diceva, “chi porterà avanti il nostro lavoro, le nostre battaglie?” E credo che le centinaia di ragazzi che incontrava nelle scuole, al Museo, nei circoli, nelle serate trovassero in lei proprio questo: una persona che attribuiva loro fiducia, che li chiamava ad un impegno concreto, ad assumersi in prima persona la responsabilità di “prendere parte”. Anna Bigi

marzo 2011 15 notiziario anpi


8m ar zo

generazioni

Medaglia d'argento al valor militare

AVE MELIOLI "Tita"” “Addirittura ho sempre detto di non aver mai conosciuta quella ragazza, sebbene fosse del mio paese. Rileggendo quelle righe sbiadite devo ammettere il contrario, visto che ne ho scritto a poca distanza di tempo e quando erano ancora lì in paese quelli che erano con me in quella giornata…” Ho trovato un pezzetto di carta significativo che parla di Ave Melioli una ragazza ventiduenne, del mio paese, morta nel parmense e decorata di medaglia d’argento. La carta è una fotocopia stranissima, che si legge a malapena, di un articolo firmato da me e pubblicato, credo, sulla “Verità”, che era il settimanale della federazione comunista di Reggio Emilia. Non c’è la data, ma doveva essere il 1946 oppure il 1947, ma prima del mio incarico d’insegnamento a Vaglie di Ligonchio e del mio trasferimento a Novara. Non so perché, invece di tenere una copia dell’intero giornale, ho tenuto questa brutta fotocopia. Nell’articolo descrivo un incontro in montagna con Ave Melioli, nome di battaglia Tita. Di quell’incontro in tutti questi anni non me ne sono mai ricordata. Questa è la dimostrazione di quanto traballante e incompleta può essere la memoria orale, quella del ricordo. Addirittura ho sempre detto di non aver mai conosciuta quella ragazza, sebbene fosse del mio paese. Rileggendo quelle righe sbiadite devo ammettere il contrario, visto che ne ho scritto a poca distanza di tempo e quando erano ancora lì in paese quelli che erano con me in quella giornata. Ora, con mia stessa sorpresa, devo trascri16 marzo 2011

notiziario anpi

vere la parte essenziale di quel racconto. “Ero assieme a dei compagni. Ci dissero – i ribelli sono là tra quei castagni – Avevamo il cuore stretto. Sussultai di gioia e commozione quando sulla mulattiera tra i sassi, trovammo impronte di scarponi. Poi sentimmo cantare. Si sentiva la tua voce, Tita, che era tanto bella tra le altre maschie, così dolce e pura. Ci fermammo ad ascoltare quel canto che ci faceva battere il cuore più forte. Era la nostra fede comune, il nostro ideale di vita, di libertà, che si scioglieva in quel canto. Ma tu ci hai scorti. Sei venuta giù per la ripida mulattiera di corsa, ad abbracciare forte i tuoi amici ed abbracciasti pure me con tanto calore. Ci conoscevamo solo di nome, per le nostre attività. Ci abbracciammo allora, bandite tra i banditi. Ricordi? Ma che bandite: io avevo un vestitino di tela a fiori armata solo della mia volontà e della mia fede antifascista. E tu, quella terribile Tita? Avevi una semplice gonnellina pantaloni nera con una rivoltella minuscola alla cintura. Ridemmo assieme del nostro aspetto feroce. Erano queste le ribelli che dovevano aver perduta tutta la loro femminilità che avrebbero dovuto non distinguersi affatto dai loro compagni per il ferocissimo selvaggio aspetto?

Eri appena tornata da una azione e ne eri fiera. Ma quanto bene ti volevano i tuoi compagni! Se non fosse stato perchè eri tanto giovane ti sarebbe potuto dire (!) una mamma per ognuno di loro. Eri tanto allegra e piena di vita e di giovinezza. E l’hai donata la tua vita e la tua giovinezza alla nostra Patria, lassù su quei monti lontani. Una raffica ti ha colpita, e con te un gruppo di compagni tuoi che non avevi mai abbandonato. Quanti hanno pianto per la tua morte, Tita! E prima di essere Patriota eri per tutti una ragazza che si confondeva tra la massa di tante. Nessuno badava a te nel nostro paese. Nemmeno io. Eri semplice operaia, come i tuoi genitori, eri povera, umile. La tua fede e i tuoi sacrifici, le tue azioni e la tua morte gloriosa ti hanno innalzato al cielo degli eroi. Quanti ora pensano a te! Ora non ti confondi con le altre, ma le guidi col tuo esempio”. Questi due pezzetti di carta mi sembrano significativi di un tempo lontano per guardare anche alla trasformazione della nostra realtà nazionale e delle nostre vite. A noi che c’eravamo suscitano emozione. Ai giovani credo che possano dire qualcosa sulla nostra ingenuità, ma anche sul nostro slancio generoso. Insomma, per capire un po’ come eravamo. Teresa Vergalli


cultura Alcune precisazioni sulla biografia politica di Nilde Iotti stilate da Loretta Giaroni

a

didatur n a c a l l e d L'origine

i t t o I e d l i di N lea Costituente

all'Assemb

«Nilde è diventata una delle più attive e conosciute dirigenti dell’UDI. Si impegna anche nel Comitato femminile per l’assistenza invernale istituito dal prefetto per affrontare il difficile inverno del ’45. Anni dopo dirà: “Io che ero nata in una famiglia povera rimasi colpita dai livelli di indigenza che scoprii”…» L’atto di battesimo conservato presso il Battistero di Reggio Emilia registra che Leonilde Iotti, figlia di genitori sposati soltanto civilmente (congiunti “civiliter tantum”) è nata il 10 aprile 1920 nella Parrocchia di Santa Croce. “Io sono stata battezzata a due anni, mio padre e mia madre non si sono mai sposati in chiesa e fino al fascismo hanno resistito a battezzarmi” dirà Nilde in La memoria dei rossi. Il padre, ferroviere, socialista e organizzatore sindacale, fu perseguitato dal fascismo fino al suo licenziamento nel 1923. Morì quando Nilde aveva 15 anni. Dopo la scuola elementare, Nilde supera l’esame di ammissione per accedere alle scuole medie. Frequenta l’Istituto magistrale e nel 1938, in pieno fascismo e clima concordatario fra Stato e Chiesa cattolica, si iscrive all’Università Cattolica di Milano. “Per arrivare alla laurea in lettere conseguita nel 1943, la Nilde ed io abbiamo dovuto lavorare senza sosta per guadagnare l’indispensabile che ci consentisse

di acquistare i libri e le dispense, di pagare l’abbonamento ferroviario ReggioMilano (carrozza di terza classe con sedili di legno) nonché i pasti presso la mensa dell’Univeristà”, ricorda l’amico fraterno Ugo Bellocchi. Titolo della tesi di laurea di Nilde è L’attuazione delle riforme in Reggio Emilia nella seconda metà del Settecento. Nell’ottobre del 1942, Nilde ha una prima supplenza nelle scuole medie poi presso l’Istituto agrario di Reggio. Negli anni scolastici 1943-44 e 1944-45 insegna presso l’Istituto tecnico commerciale e per geometri “Angelo Secchi” di Reggio Emilia, un insegnamento che non si interrompe neppure dopo lo sfollamento a Cavriago insieme alla madre. Dieci chilometri in bicicletta due volte al giorno con qualsiasi tempo e i rischi connessi alla guerra. A Cavriago, in Consiglio Comunale per il conferimento della cittadinanza onoraria, Nilde dirà: “Il mio impegno politico è derivato anche dall’ambiente che ho conosciuto qui. Non solo per le persone che vi ho conosciuto e che sono state per me un esempio, ma perché in tutto quel periodo, che fu durissimo – gli inverni ’43-44 e ’44-45 quando la neve si accumulava per le strade e non c’erano i mezzi per toglierla e c’era anche poco da mangiare – io ho avvertito in questo luogo, intorno a me un senso di rivolta contro l’oppressione, uno spirito di resistenza e di capacità di lotta che sono stati, senza dubbio, determinanti nelle mie scelte politiche.”

Nell’estate 1944 negli uffici redazionali di Carlino Reggio, dove aveva sede il CLN clandestino, il prof. Ugo Bellocchi le propone, e lei accetta, di partecipare alla Lotta di Liberazione. “Durante il periodo della Resistenza mi occupai dell’organizzazione dei Gruppi di Difesa della Donna, e questo mi ha portato all’indomani proprio i primi giorni dopo la Liberazione ad essere nel gruppo dirigente dell’Unione Donne Italiane quando si è formata, e nell’autunno del ’45 nella Segreteria provinciale”. Una segreteria di ventenni tra cui Nilde Iotti non iscritta a nessun partito. Vive e abita con la madre nella zona di Gardenia in via Antonio Piccinini, 1. Appena cessata l’occupazione del Governo militare alleato, nell’agosto del ’45, il prefetto Vittorio Pellizzi, nominato dal CLN, era assillato dal reperimento e dall’equa distribuzione dei generi di prima necessità per l’alimentazione. C’era ancora la tessera per il razionamento dei viveri, come durante la guerra, e la popolazione aveva un gran bisogno arretrato di alimentarsi, pertanto urgevano provvedimenti. Il prefetto, d’accordo con il CLN, istituì una commissione e chiamò anche l’UDI e il CIF a farne parte. Due ore dopo l’UDI segnalò la dott.ssa Nilde Iotti e il CIF la dott.ssa Maria Carassiti. La commissione lavorò rapidamente e bene tanto da consentire al prefetto di emettere un’ordinanza per la distribuzione straordinaria di un kg di farina e un hg

marzo 2011 17 notiziario anpi


cultura di burro pro-capite in tutti i 44 comuni della Provincia, come suggerito da Nilde. “Quando per iniziativa della Federazione comunista reggiana vennero invitati e ospitati presso famiglie reggiane un migliaio di bambini della Provincia di Milano, fu ancora la Iotti che in una adunanza del 12.12.45 presso la sede del CPLN sotto la mia presidenza, propose di non gravare sul bilancio delle famiglie il rifornimento di generi, suggerendo che il Prefetto chiedesse all’Alto Commissario all’Alimentazione di emettere dei buoni speciali per la circostanza. Il che fu fatto e ottenuto.” (V. Pellizzi). Nilde è diventata una delle più attive e conosciute dirigenti dell’UDI. Si impegna anche nel Comitato femminile per l’assistenza invernale istituito dal prefetto per affrontare il difficile inverno del ’45. Anni dopo dirà: “Io che ero nata in una famiglia povera rimasi colpita dai livelli di indigenza che scoprii”. L’8 marzo 1946, il primo in libertà, nella manifestazione promossa dall’UDI per festeggiare la Giornata internazionale della Donna, è Nilde Iotti che parla dal terrazzo del Teatro Ariosto di fronte a una piazza piena di donne tra le quali moltissime ragazze. Questi sono i primi passi di Nilde in politica, con l’UDI, associazione che nel ’45 conta a Reggio Emilia più di 20.000 iscritte in parte provenienti dai Gruppi di difesa della donna attivi durante la Resistenza, ai quali Nilde era aggregata. E’ da qui, è dall’esperienza fatta nell’UDI, che il segretario del PCI reggiano le propone la candidatura per il Consiglio comunale di Reggio Emilia nelle elezioni del 31.03.46, poi all’Assemblea Costituente nelle elezioni del 2 giugno dello stesso anno, il primo in cui le donne in Italia hanno avuto diritto al voto. Annita Malavasi testimonia che lei e le altre partigiane comuniste hanno “sostenuto la candidatura di Nilde con orgoglio, perché era laureata e perché aveva già dato prova di capacità”. Nel 1946 Nilde si iscrive al PCI. Anni dopo dirà: “Il debito di gratitudine che sento di riconoscere per il mio ingresso in politica è dunque solo quello con le compagne di Reggio che mi hanno sostenuto e difeso. Mi hanno difeso sempre, soprattutto quando le maldicenze e i sospetti seguiti al mio legame con Togliatti divennero più insistenti”. Loretta Giaroni

18 marzo 2011

notiziario anpi

NASCE LA FONDA NILDE IOTTI Tra i progetti più significativi generati nel clima di rinnovato interesse attorno alla figura e al ruolo di Nilde Iotti nella storia del nostro paese, suscitato dalle tante iniziative a lei dedicate nel decennale della sua scomparsa, va senza dubbio segnalata la costituzione di una Fondazione che porta il suo nome. Promotrici della Fondazione “Nilde Iotti” sono la figlia adottiva Marisa Malagoli Togliatti e l’onorevole Livia Turco assieme ad un gruppo di amici, amiche, estimatori e collaboratori di Nilde costituiti in un Comitato promotore, che nel corso del 2010 si sono impegnati per sostenere il progetto e per la raccolta fondi. Tra le iniziative più rilevanti tenute per promuovere il progetto segnaliamo la Cena di gala tenutasi a Roma al Museo delle Esposizioni il 5 ottobre scorso, cui hanno partecipato oltre duecento personalità delle istituzioni, del mondo politico, culturale e sociale, un vero e

proprio evento onorato dalla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, amico personale di Nilde e convinto sostenitore del progetto. Nella lettera al Comitato promotore della Fondazione e nel suo intervento così il Presidente ha voluto ricordare Nilde Iotti alle ragazze di oggi: “Per le ragazze che oggi sentono nascere nel proprio animo il senso della politica e la voglia di fare politica è bene che l’immagine della politica e della donna in politica, anche una volta assurta ai più alti livelli di responsabilità e di autorità, non appaia in alcun modo paludata né chiusa in quel ruolo, coprendo i suoi tratti umani più intimi e profondi. La politica non può mai diventare un’ossessione totalizzante né imprigionare la persona in una corazza. Ecco, ho visto così nei decenni Nilde Iotti, grande figura dell’Italia repubblicana, grande punto di riferimento per gli ideali e le conquiste delle donne, sempre


cultura persona, sempre donna, umanamente libera e ricca”. Non poteva ovviamente mancare in quell’occasione anche una significativa rappresentanza della nostra provincia e dell’Emilia Romagna: erano presenti, oltre al presidente della Regione Vasco Errani e a diversi consiglieri regionali, il sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio, il presidente del Consiglio provinciale Chierici, gli onorevoli Maino Marchi, Albertina Soliani, Pierluigi Castagnetti, la consigliera regionale Roberta Mori, la presidente dell’Istituto Cervi Rossella Cantoni, Ione Bartoli e la sottoscritta, da sempre vicine a Nilde. Nella nostra città, poi, il 26 agosto scorso a FestaReggio si è tenuta una cena di promozione e sostegno della Fondazione cui hanno partecipato tantissime persone, in particolare donne di diverse generazioni oltre

ad amministratori e politici, in un clima festoso ed insieme fortemente consapevole. Il 13 gennaio scorso a Roma i sostenitori e le sostenitrici della Fondazione si sono incontrati per discutere lo Statuto ed il programma della Fondazione e per raccogliere idee. Livia Turco ha sottolineato con forza quale vuole essere l’ANIMA della Fondazione: trasmettere ai giovani e alle ragazze quell’idea e pratica di eleganza, di responsabilità, di sobrietà dell’agire politico che Nilde ha incarnato nel suo pensiero, nell’impegno di tutta la sua vita, nel suo modo di porsi, di comunicare, di agire. Con questa ispirazione la Fondazione lavorerà per recuperare la memoria storica della partecipazione delle donne alla democrazia italiana, in particolare sul loro contributo nelle istituzioni e affronterà con que-

AZIONE sto spirito anche grandi questioni dell’attualità. Tre i filoni di lavoro: alcuni appuntamenti annuali, attività di ricerca, filoni particolari. Tra le proposte più rilevanti: una Lezione magistrale annuale su un tema di rilievo tenuta da una personalità femminile di grande competenza e qualità, l’organizzazione (prevista a Reggio Emilia) di una scuola di formazione politica sulla storia delle donne, l’attivazione di un Premio itinerante alle dieci nuove italiane per favorire la civile convivenza tra italiane e immigrate: borse di studio annuali per giovani che intendano affrontare temi particolari. Si è sottolineato il valore di iniziative e forme di presenza della Fondazione sul territorio, anche attraverso la costituzione di gruppi di “amici e sostenitori della Fondazione N. I”. nelle singole province. Ovviamente (e lo ha testimoniato la presenza del sindaco Delrio, della presidente della Provincia Sonia Masini e dell’Istituto Cervi all’incontro sul programma ) sarà

necessaria e non potrà mancare la collaborazione in forme da concordare con le istituzioni reggiane. Del resto è previsto che un loro rappresentante faccia parte del Consiglio d’amministrazione. La Fondazione, nelle sue strutture, sta dunque nascendo e già è viva nelle tante persone che l’ hanno promossa e sostenuta e potrà esplicitare tutte le sue potenzialità. quanto più saprà promuovere cultura politica alta ed insieme capacità effettiva di coinvolgimento dei suoi interlocutori privilegiati: i giovani e le ragazze di oggi. Il 15 aprile a Roma il primo appuntamento nella Sala protomoteca del Campidoglio: Un Convegno nazionale, nell’ambito delle celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, sul tema: “Diventare cittadine; le donne e la costruzione della nazione”. Si comincia dalla memoria storica per riflettere sul presente. Ci pare un buon inizio. Eletta Bertani

Copertina della seconda edizione del Filo di Arianna. A Lucia però non piacque l’aggiunta voluta dall’editore: “Io e Primo Levi”

LUCIA VENERI

LA MONDINA CHE DIVENTO’ SCRITTRICE E AMICA DI PRIMO LEVI E’ morta a Reggiolo il 5 gennaio u.s., dove era nata nel 1935, Lucia Veneri, amica dell’ANPI fin che la salute la sorresse, una straordinaria figura di ex mondina diventata sensibile poetessa e scrittrice. Sul n.2, anno 2002 del “Notiziario” pubblicammo la recensione al suo libro dedicato al pluriennale rapporto epistolare tra la “mondina emiliana” e Primo Levi, il grande scrittore noto a livello internazionale soprattutto per Se questo è un uomo, I sommersi e i salvati e La tregua , i libri che hanno fatto e fanno capire dal di dentro l’orrore estremo della Shoah. Il filo di Arianna è il titolo del libro di Lucia, quasi verbale di una pluriennale consuetudine (anche se di persona non si incontrarono mai) tra lei e lo scrittore torinese. Una consuetudine iniziata nel 1980 e interrotta nell’aprile 1987, quando Levi si tolse la vita. All’inizio di quell’anno Lucia aveva ricevuto in omaggio, dall’Autore, come era ormai consuetudine, un altro suo libro, l’ultimo, I sommersi e i salvati, e poco dopo l’ultima lettera che Lucia non pubblicò e nella quale scorse “come un velo di pianto”, quasi un commiato, par di capire, dall’amica emiliana . Lucia aveva scoperto, rimanendone segnata per sempre, la grandezza di Levi, già adulta e madre di famiglia, proprio a partire da Se questo è un uomo , frequentando le scuole serali per conseguire la licenza di terza media. Le pagine su Primo Levi che essa ci ha lasciato sono un prezioso strumento per introdurre i lettori, anche ragazzi e adolescenti, alla comprensione profonda dello scrittore torinese,una comprensione che in Lucia fu quasi totale immedesimazione nelle sofferenze di quegli ebrei, come Levi appunto, che partirono il 22 febbraio 1944 dal campo di Fossoli di Carpi per Auschwitz. Come ha scritto Eletta Bertani (“Notiziario”, n. 3, 2003) “bisogna esser grati a Lucia per aver voluto raccontare questa sua esperienza umana, semplice e insieme eccezionale, e sperare che tanti, e soprattutto gli insegnanti e le scuole ne colgano l’opportunità che il suo libro offre per un dialogo coi giovani sul passato, sul presente e sul futuro”. (a.z.)

marzo 2011 19 notiziario anpi


cultura

TEATRO DELLA MEMORIA

Giovani e Memoria, due termini apparentemente molto distanti tra loro, hanno trovato un felice punto di fusione e confronto, giovedì 20 gennaio, al cinema Rosebud di Reggio Emilia in occasione della rappresentazione per le scuole di E per questo resisto. Lo spettacolo teatrale nasce dalle suggestioni di un’antologia per ragazzi edita dalla coop Equilibri nel 2005 che raccoglie testimonianze di bambini e ragazzi in tempo di guerra, tratte da alcune delle più significative proposte dell’editoria contemporanea per ragazzi. Il gruppo musicale Flexus assieme all’attrice Alessia Canducci hanno raccolto lo spirito di questi racconti e li hanno portati sulla scena unendo alla potenza della parola, il grande impatto emotivo della musica. L’originalità della proposta si esprime appunto nell’incontro tra il linguaggio del rock, sonorità vicine ai più giovani, con storie e vissuti apparentemente distanti dai ragazzi di

TULLIA ZEVI

oggi. Ha partecipato all’evento un pubblico attento e particolarmente intenso. Quasi trecento studenti delle scuole secondarie reggiane sono stati incollati alle poltrone per un ora e venti, in teso ed emozionato ascolto. Mescolati tra loro, alcuni partigiani e testimoni di un infanzia di guerra, hanno particolarmente apprezzato la qualità dello spettacolo e la calorosa partecipazione delle scuole. Il progetto Teatro della Memoria nasce dalla collaborazione tra ANPI, Commissione Cultura Circoscrizione Sud, Associazione 5T, Flexus e scuole del territorio che, mettendo in rete esperienze e competenze, sono riusciti a realizzare un’oc-

casione di conoscenza della storia contemporanea attraverso le “armi” del teatro. In un momento in cui sembra particolarmente difficile trovare un contesto culturale e risorse per poter costruire assieme alle giovani generazioni valori condivisi, percorsi come questi sono la testimonianza che riunendo diversi soggetti intorno ad un idea, si possono moltiplicare le possibilità. La prossima tappa del progetto sarà il 14 Aprile (ore 9.30 e 11.15) quando, sempre al cinema Rosebud, andrà in scena La Costituzione siamo noi. Lo spettacolo è rivolto alle scuole e aperto alla cittadinanza. Linda Eroli

UNA GRANDE DONNA ITALIANA UNA RIGOROSA EBREA ANTIFASCISTA

Il 22 gennaio u.s. è deceduta Tullia Zevi nata Calabi, giornalista, scrittrice e, per oltre dieci anni, dal 1983, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, prima donna a ricoprire tale incarico. Nata in una famiglia della borghesia ebraica milanese nel 1919 (avrebbe compiuto 92 anni il 2 febbraio), ebbe fin dall’adolescenza dal padre, avvocato liberale e laico risorgimentale, una impostazione culturale antifascista che si concretizzò in una intelligente militanza già dall’esilio svizzero conseguente alle leggi razziste del 1938 e si consolidò durante gli anni di permanenza in USA vicina agli ambienti degli esuli liberalsocialisti di Giustizia e Libertà. Mentre era presidente dell’U.C.E.I le fu proposta la candidatura al Senato come indipendente di sinistra nell’Ulivo di Prodi. “Scoppiò una specie di mini-guerra all’interno delle Comunità, specialmente per colpa della destra – scrive la stessa Zevi nel ‘99 - .[...] Mi misero in crisi e ritirai la mia candidatura [...] Ne provo ancora rimpianto. Lo stesso rimpianto che provo per la morte dell’Ulivo”. (a.z.)

IL POETA E DRAMMATURGO GIULIANO SCABIA SULL'AUTOBIOGRAFIA DI GIACOMO NOTARI

Firenze, 7 gennaio 2011 Caro Giacomo, ho letto tutto d’un fiato la tua “vita”, è una testimonianza grande, di umiltà e servizio, un esempio “comunista” e democratico. Si vede tutto quello che descrivi, paesaggi, persone, battaglie, lavoro, organizzazione, politica. E’ una visione positiva del fare civile, una lezione di resistenza, forza serenità, coerenza: di questi tempi una testimonianza da partigiano, da montanaro, da grande persona sempre in cammino. Metto questo libro accanto a quello che racconta dei Fratelli Cervi, vicino alla Lettera di don Milani, al C’è speranza se questo accade al Vho, di Mario Lodi. Ci hai fatto un grande regalo, con la tua vita e il “racconto” che ora abbiamo caro. Sono felice di essere stato allievo dell’Università di Marmoreto.Caro Giacomo, contadino e sindaco, ti auguro ogni bene, e anche se l’incontro del 26 dicembre è stato rapido per la neve e il vento, Carlo e io abbiamo avuto da te il regalo più bello per il presente, il passato e il futuro. Con stima e amicizia Siamo lieti di pubblicare questa lettera che Giuliano Scabia, il noto scrittore, poeta e drammaturgo, ha scritto al nostro Notari dopo aver letto il suo libro Hai un cuore forte, puoi correre.L’amicizia tra Scabia e Notari risale ai tempi in cui il nostro presidente era sindaco di Ligonchio, e Scabia percorreva l’Emilia-Romagna, e la nostra provincia in modo particolare, per le memorabili azioni teatrali di decentramento. Era l’epoca, per intenderci, del Gorilla quadrumano. Cogliamo l’occasione per segnalare che copie del libro autobiografico di Notari sono ancora disponibili. Gli interessati possono rivolgersi alla nostra sede, in Via Farini,1, RE, o all’editore Consulta, tel. 0522- 283023

20 marzo 2011

notiziario anpi


notiziario 8 MARZO 2011 GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA PERIODICO del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia

SPECIALE A CUR A DEL COORDIN

AMENTO PROV

INCIALE DONNE DEDICATO ALLE ANPI P A R TIGIANE DELL’ANPI DI RE GGIO EMILIA

“Diventiamo partigiani, qu elli veri, in fin dei conti i partigiani ha nno già liberato una volta l’Italia…” (frase tratta da un blog)

SUPPLEMENTO AL N.

03

2011

marzo

Le voci di alcune protagoniste della guerra di Liberazione dal nazifascismo e della costruzione della Repubblica

“cari ragazzi, nipoti miei…”


alle partigiane

Teresa Vergalli “Anuska”

“Quell’espressione ‘eroe biondo’ che evocava Garibaldi mi sembra proprio il massimo per la prosa di quella quasi diciassettenne studentessa che io ero. Eppure è la prova che ci sentivamo proprio continuatori di quel primo risorgimento che volevamo completare. Infatti la frase finale diceva: ‘Dunque avanti, in nome della Libertà, dell’Indipendenza, e dell’Italia!’”

COME ERAVAMO Il recupero della memoria è fatto di fatica. Per quanto molti di noi si sforzino di frugare onestamente nei ricordi, siamo tutti alla ricerca di fonti più sicure, fonti scritte o testimonianze parallele. Io ho trovato un pezzetto di carta significativo. E’ una specie di volantino, indirizzato “Alle donne italiane” come pomposamente si intitola. E’ certamente stato scritto da me probabilmente nell’estate del 1944. Per mancanza di annotazione intuisco questa data dal testo, che è firmato “Un’aderente ai Gruppi di Difesa della Donna”, e chiede alle donne di opporsi all’arruolamento dei civili per la costruzione di fortificazioni militari tedesche. La forma linguistica mi fa sorridere e rabbrividire. C’è tutta la retorica di cui era pervasa l’Italia mussoliniana e scolastica, e c’è tutta la foga della mia fede antifascista. So per certo che l’ho scritta a macchina su carta riso con i classici fogli di carta carbone. Devo averne fatte più copie, visto che si potevano mettere soltanto cinque fogli per volta. Ci sono molti errori di battitura, a testimonianza del mio recente apprendistato alla dattilografia. Forse le poche copie erano destinate a passare di mano in mano in qualcuno dei paesi dove i tedeschi facevano i bandi per gli arruola-

II

marzo 2011 notiziario anpi

menti al lavoro forzato. Debbo anche accennare al luogo e al come quelle pagine hanno preso forma. Il luogo era un rifugio antiaereo interrato in mezzo ai nostri campi, mascherato e imbottito con balle di paglia. Là sotto Carmen Zanti m’insegnava a scrivere a macchina, a mettere i fogli, a intramezzarli con la carta carbone da inserire dal verso giusto. La macchina da scrivere era una vecchia Remington di cui io sapevo bene l’origine, perchè avevo partecipato all’azione a Quattro Castella, caserma dei carabinieri, dove la monumentale macchina faceva parte del bottino insieme a moschetti, bombe a mano e divise. L’azione era avvenuta il 12 giugno del ’44. Dopo qualche giorno, quella macchina da scrivere stava nascosta dietro le balle di paglia nel nostro campo. E io mi ci dedicavo molte ore, con due dita pazienti e volonterose, tanto era il bisogno di scrivere e diffondere la nostra idea. Più tardi, forse nell’inverno, quando là sotto faceva un freddo cane, arrivarono non so come, anche le matrici che noi, io e Carmen – soprattutto Carmen che era più brava – incidevamo. Poi altrove, non so dove ma forse nel municipio di Bibbiano, qualcuno tirava al ciclostile.

Già è un miracolo che uno di quei fragili fogli sia sopravvissuto tra le scartoffie di famiglia. (Col senno di poi, quanti rimproveri ci dovremmo fare, per aver buttato o perduto i pezzetti di carta, le poche fotografie, i volantini e i manifesti, le lettere). Dal disastro della disattenzione emerge questa paginetta. Dunque c’erano già a Bibbiano e dintorni i Gruppi di Difesa. A metà del testo, sorprendentemente, si dice anche: “Se è necessario impugneremo anche noi le armi per difendere i nostri figli, i nostri fratelli, i nostri sposi! Già sorgono ovunque le SAP Femminili che si fanno onore come le Garibaldine, come tante altre donne che offrono la loro vita alla causa nazionale. Ma quelle che non possono impugnare le armi hanno il dovere di incitare i nostri uomini alla lotta”. Non si accenna alle formazioni in montagna, che nell’estate del ’44 erano ormai consistenti. L’indignazione è per “i nostri uomini che sono obbligati a lavorare per fortificazioni di guerra per i tedeschi. Sgherri armati fanno la guardia a questi schiavi colpendo inesorabili col loro getto di fuoco chi tenta fuggire”. Più retorica ancora è la frase di inizio.

Costituzione italiana Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso,


alle partigiane

Sebbene, forse, per quei mesi e per quelle destinatarie, questo era il tono che poteva far breccia. “Altro ed altro sangue innocente continua ad irrorare la fredda terra, prima così bella della nostra Patria. Martiri col sorriso della vita sulle labbra che donano così spontaneamente la loro calda giovinezza per il grande amore alla patria, per la salvezza di tutto il popolo”. La lotta armata già si era fatta sentire. Forse quel sangue innocente era quello dei fratelli Cervi, di cui si parlava sottovoce dappertutto, oppure dei primi gappisti che nel reggiano animavano leggende e speranze. E le prime notizie dei morti nei combattimenti in montagna. Infine mi ha sorpreso la frase di chiusura, che in questo centocinquantesimo dell’Unità d’Italia vorrei proprio sottolineare. Dicevo: “E noi donne saremo vigili e attente per sorvegliare, aiutare, difendere i nostri uomini. Li difenderemo con tutte le nostre forze, li inciteremo con la nostra presenza e col nostro coraggio. Sapremo essere degne delle donne che in un altro grande momento della storia d’Italia, aiutarono gli altri Garibaldini, i primi, i seguaci

dell’eroe biondo”. Quell’espressione “eroe biondo” che evocava Garibaldi mi sembra proprio il massimo per la prosa di quella quasi diciassettenne studentessa che io ero. Eppure è la prova che ci sentivamo proprio continuatori di quel primo risorgimento che volevamo completare. Infatti la frase finale diceva: “Dunque avanti, in nome della Libertà, dell’Indipendenza, e dell’Italia!” Strano o forse non tanto che non si accennasse, nemmeno di sfuggita, ai diritti delle donne, di cui invece parlavamo in tutte le piccole riunioni per il reclutamento nei Gruppi di Difesa. Non so se abbiamo prodotto altri volantini su quei temi. Credo che ci bastassero le poche copie del bollettino dei Gruppi di Difesa che ci arrivava in forma stampata dal cosiddetto “Centro”, che poi era Milano. Non so se quella manchevolezza mi venisse dalla vicinanza con Carmen, che era il mio faro e la mia passione, la quale a quel tempo non voleva sentir parlare di lavoro tra le donne, per dedicarsi in prima persona alla lotta armata insieme ai GAP. Teresa Vergalli

di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Sopra: Carmen Zanti celebra a Fabbrico l'8 marzo 1956. Alle sue spalle Lidia Bellesia, Onelia Bordoni (presidente circolo UDI locale) e Iria Alberti Sotto: Fabbrico, 27 febbraio 1963, Gina Borellini (col collo di pelliccia), medaglia d'oro della Resistenza, mutilata, parlamentare del Pci, alla commemorazione della battaglia del 1945. Alla sua destra Iria Alberti, dirigente dell'UDI di Fabbrico

marzo 2011 notiziario anpi

III


alle partigiane Giacomina Gastagnetti

Cari ragazzi, nipoti miei Vanna, Onelio, Chiara,

Giacomina Castagnetti

La vostra nonna Giacomina, sensibile alle problematiche del vostro tempo, sente il bisogno di farvi conoscere le ragioni che l’hanno fatta diventare antifascista prima e partigiana poi. Sono nata nel 1925 da una famiglia di mezzadri nell’epoca in cui il fascismo andava al potere e ne ho subito tutte le conseguenze. E’ con la mia andata alle scuole elementari, dove su un grande striscione al di sopra della lavagna campeggiava la scritta “il duce ha sempre ragione”, che sono cominciate le mie prime riflessioni e sono nati i miei “perché”. Non mi spiegavo la ragione per cui a scuola, solo per non indossare la divisa di piccola italiana che la mia mamma non aveva potuto acquistare per evidenti ragioni economiche, non avevo avuto in regalo un uovo di Pasqua. Non capivo perché, quando la “padrona” veniva nella casa mezzadrile, la mamma nascondeva me e i miei fratelli più piccoli. Solo più tardi capii che era a causa del contratto di mezzadria che definiva le donne e i bambini come “tare”, cioè come bocche da sfamare incapaci di produrre. Non capivo perché mia madre piangesse il giorno in cui fummo costrette ad ascoltare il discorso del duce sulla necessità dell’impero. Per l’occasione ci avevano portate alla villa padronale, l’unica ad avere una radio. Io invece ero felice perché avevo ascoltato la radio per la prima volta. Con i suoi lucciconi la mamma aveva capito che quel discorso era un preludio alla guerra che sarebbe costata sangue e tanti sacrifici umani. Mio fratel-

IV

marzo 2011 notiziario anpi

lo Arturo fu il primo nel 1935 ad essere richiamato e mandato a Bengasi. Non mi spiegavo perché la mamma, vedova con otto figli, già premiata dalle leggi del fascio per la numerosa famiglia, non potesse esercitare la patria potestà anche se provvedeva da sola a sfamare le otto bocche. Nel 1938 arrestarono mio fratello Peppo, Giuseppe, e lo rinchiusero nel carcere di Castelfranco Emilia. La sua colpa era quella di essere contro la guerra che mai aveva portato utilità alla povera gente. Questo, ragazzi, era il fascismo che io ho sperimentato, ragazzina, sulla mia pelle: culto della persona, desiderio di prevaricare gli indifesi, guerra come mezzo di potere, ingiustizia sociale. Nel 1939 con l’inizio della guerra tutto il carico della famiglia gravò sulle donne ed io, quattordicenne, feci la mia parte. I miei fratelli in età militare furono chiamati alle armi: Dino, richiamato e spedito a Mentone, Marcello ad Ancona, Arturo da Bengasi all’Albania poi in Ucraina (dal 1943 non si ebbero sue notizie e fu dato per disperso), Mario in Grecia, dove cadde nel 1942. Questa è stata la guerra per la mia, la nostra famiglia! Avevo 18 anni l’ 8 settembre 1943 quando si cominciò a dare assistenza ai soldati scappati dal fronte per evitare l’arresto e la deportazione. Anch’io capii che potevo fare qualcosa contro la guerra. Quando si formarono i primi gruppi partigiani per me fu naturale aderirvi in particolare al gruppo di difesa della donna ho aiutato

i partigiani come staffetta. Però sappiate che non sono un’eroina perché tante donne hanno fatto come me e più di me. In quel periodo ho trovato le risposte ai miei perché di bambina. Voglio solo ricordare che nel giugno del ’44 partecipai con altre ragazze ad una riunione tenuta sotto un albero, in un luogo isolato, in aperta campagna, per non mettere a repentaglio le nostre famiglie. In quella riunione, per la prima volta, mi si parlò di diritto delle donne, di emancipazione e di diritto al voto. Allora capii che ero nel giusto! Cari ragazzi, da questa mia esperienza e dall’esperienza di tanti come me ha preso forma la nostra Costituzione. sono passati più di 60 anni ma la nonna rimane partigiana nel difenderla. Ragazzi, tenete gli occhi aperti, ragionate con la vostra testa perché ciò che la vostra nonna con altri ha conquistato può essere perso. Viviamo in un periodo storico dove i principi ed i valori per i quali ho lottato sono minacciati da una indifferenza sempre più palpabile e padrona. Questo è un male e un rischio che spero voi sappiate combattere per non incorrere in un periodo buio come quello che io ho vissuto da bimba e giovinetta. Con tanto amore, nonna Giacomina novembre 2010

Costituzione italiana Art. 4 La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove


alle partigiane Annita Malavasi “Laila”

“Eraunmondomaschilista. Soltanto tra i partigiani la donna aveva diritti, era un compagno di lotta…” Nel mese di maggio di quest’anno compirò 90 anni. Sono diventata partigiana dopo l’8 settembre 1943, a Reggio Emilia, facevo trasporto munizioni, stampa, vettovagliamento. Poi, in montagna, mi hanno insegnato le armi, come usarle e accudirle. Il mio nome di battaglia era Laila. Lo presi da un romanzo che raccontava di una ragazza in Sud America che combatteva al posto del suo fidanzato ucciso. Ero una bella ragazza, ma noi eravamo state educate severamente, anche nel modo di vestire. Però sfruttavamo la nostra bellezza. Quando, con le armi addosso, passavo al posto di blocco in bicicletta mi mettevo la gonna stretta e fingevo di abbassarmela, loro, fessacchiotti, fischiavano e io passavo. In montagna mi è capitato di uccidere. La donna è sempre donna. Ma nel momento del pericolo anche la donna accetta le regole della guerra. Non è facile. Nata ed educata per dare la vita, in guerra la vita la togli. È importante capire che non siamo diventate combattenti per spirito

“La Resistenza ci ha fatto capire che nella società potevamo occupare un posto diverso. I diritti paritari garantiti dalla Costituzione non sono stati un regalo, ma una conquista e un riconoscimento per ciò che le donne hanno fatto nella guerra di Liberazione. Difendere la Costituzione significa difendere la possibilità di garantire un futuro di libertà e democrazia ai figli delle donne”.

d’avventura. Ci furono torture orrende. Nella mia formazione avevo una ragazza, Francesca, che era incinta, ma era lo stesso così magra che scappò dalla prigione passando tra le sbarre della finestrina del bagno. Per raggiungerci camminò scalza nella neve per dieci chilometri. Quando il bambino nacque lo allattò solo da un seno perché il capezzolo dell’altro le era stato strappato a morsi da un fascista. Ho visto ragazze con le parti intime bruciate dai ferri da stiro. Era un mondo maschilista. Soltanto tra i partigiani la donna aveva diritti, era un compagno di lotta. La Resistenza ci ha fatto capire che nella società potevamo occupare un posto diverso. I diritti paritari garantiti dalla Costituzione non sono stati un regalo, ma una conquista e un riconoscimento per ciò che le donne hanno fatto nella guerra di Liberazione. Difendere la Costituzione significa difendere la possibilità di garantire un futuro di libertà e democrazia ai figli delle donne. In montagna si dormiva insieme, per

le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

terra, nei boschi, uomini e donne, ma se uno mancava di rispetto veniva punito. L’amore non contava niente. L’importante per noi era aiutare. Io ero anche fidanzata, lo lasciai quando mi disse che fare la partigiana mi avrebbe reso indegna di crescere i suoi figli. Non mi sono più sposata, anche se in montagna, avevo trovato un ragazzo… lui sì, lo avrei sposato se non me lo avessero ucciso, aveva una mentalità aperta, ma uomini così non ne ho più trovati. Si chiamava Trolli Giambattista, nome di battaglia Fifa, anche se era coraggiosissimo. È morto nella battaglia di Monte Caio nel 1944, a 23 anni. L’ho saputo solo sei mesi dopo, quando a primavera la neve si sciolse e il corpo fu ritrovato. È sepolto al cimitero di San Bartolomeo. Gli porto ancora i fiori… Dev’essere stato importante per me, se mentre ne scrivo me lo rivedo davanti agli occhi. L’unico nostro bacio è stato d’addio. (tratto da “D de la Repubblica”, 24 aprile 2010)

marzo 2011 notiziario anpi

V


alle partigiane Rositta Rocchi

“SIAMO LIBERI, SIAMO LIBERI, SIAMO LIBERI!”

Care compagne dell’ANPI, oggi più di 60 anni dopo la fine della guerra vi scrivo una lettera, voglio dedicarvi un mio pensiero, di ottantaquattrenne e con ancora quella lucidità che mi fa sempre riflettere. Mi vengono i brividi, solo a pensare che si potrebbero rivivere i momenti che ho vissuto con il fascismo. Io la guerra l’ho vissuta a casa, cercavo di aiutare coloro che lottavano per liberarsi dal fascismo facendo la staffetta partigiana, la popolazione era tutta con noi, e noi abbiamo contribuito a salvare l’Italia. Provavo un sentimento di pace e in pace volevo vivere, la fine della guerra era ciò che volevo con tutta me stessa. A quei tempi si viveva molto male, c’era poco da mangiare, non c’erano i soldi per comperarsi i vestiti e quello che serviva, l’acqua si andava a prendere con i secchi alla fontana, la luce era una candela che c’è la dava, c’erano solo qualche bicicletta per muoversi e le strade non erano asfaltate. Essendo una donna non sono mai andata in guerra, ricordo però l’otto settembre, la felicità di vedere tornare chi era partito, non c’era più la preoccupazione che succedesse qualcosa di brutto ai miei cari. Di pericoli ne vivevamo tanti, andavamo a scuola ma anche durante il tragitto c’era il pericolo di finire in una sparatoria. Ricordo molto la fame che ho patito e il pericolo di uscire, in giro c’erano le squadre fasciste che giravano armate fino ai denti. Ero a Roncolo in casa, quando sono venuti ad avvisarmi che era finita la

VI

marzo 2011 notiziario anpi

guerra, eravamo finalmente liberi anche con l’aiuto degli americani. Ho preso la bicicletta e sono andata a Quattro Castella gridando “siamo liberi, siamo liberi, siamo liberi”. Il giorno della Liberazione è stato uno dei giorni più belli della mia vita, la sensazione che ho provato non sono capace di descriverla a parole, nasceva dentro al cuore ed era una cosa molto bella e grande, ero tanto, tanto contenta. A volte rivivo i momenti brutti quando parlo con le mie amiche. Oggi guardando la televisione e leggendo i giornali mi viene da pensare a quello che di brutto abbiamo passato con la guerra ci ha insegnato poco, c’è ancora troppa cattiveria e superficialità in questo mondo. Vorrei che i politici pensassero di più alla giustizia, alla solidarietà, all’uguaglianza, all’amore tra i popoli. Rositta Rocchi testimonianza raccolta da Franca Romagnani San Polo d’Enza 20 novembre 2010

“Io la guerra l’ho vissuta a casa, cercavo di aiutare coloro che lottavano per liberarsi dal fascismo facendo la staffetta partigiana, la popolazione era tutta con noi, e noi abbiamo contribuito a salvare l’Italia. Provavo un sentimento di pace e in pace volevo vivere, la fine della guerra era ciò che volevo con tutta me stessa…”

Franca Romagnani

Costituzione italiana Art. 8 Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.


alle partigiane

REÂśPubblicazioni SEGNALIAMO ALCUNE PUBBLICAZIONI SULLA PRESENZA DELLE DONNE NELLA STORIA DI REGGIO EMILIA, DALLA RESISTENZA ALLA RICOSTRUZIONE POSTBELLICA

Ringraziamo anticipatamente tutti coloro (Comuni, Enti, Associazioni, Insegnanti, cittadini, ecc...) che vorranno contribuire a completare la presente bibliografia segnalando al Coordinamento provinciale donne ANPI i testi non citati, che saranno oggetto di pubblicazioni successive. Le segnalazioni possono essere fatte sia a mezzo fax al N. 0522/401742, che via e-mail al seguente indirizzo: notiziario@ anpireggioemilia.it marzo 2011 notiziario anpi

VII


alle partigiane

RE¶Pubblicazioni

SEGNALIAMO ALCUNE PUBBLICAZIONI SULLA PRESENZA DELLE DONNE NELLA STORIA DI REGGIO EMILIA, DALLA RESISTENZA ALLA RICOSTRUZIONE POSTBELLICA

NNE anzoniere ALLE DO si – C e d a B na) (di Licia 1947 UDI Bolog – re la o p o P ERE MAI NON TAC mpagna orella, co Donna, s mai. re po. non tace per troppo tem to arlato a iu p c Hai ta empre s o n n a h Gli altri e. e a tutti tuo nom , devi dir re a rl donna. a p Devi e essere ir d l o u rica, in v che cosa ei campi, in fabb n ri o Tu lav casa tua ufficio azzini, a rge della g a m i d nei gran nessuno si acco e dove fors a. ra, enz s re p : in minie a tu lavorato i a h li o c Nei se niva. in risaia, e dove la tisi ti fi re e di d n lo nelle fila lte di do o v te n a ta Sei mort hi. , ia c s e dei ricc o g an nelle cas ta ” ia a il c c m ri serva u na” e “ se “padro comparsa, una E anche a n u solo sei stata e viva la o “amato” bamb o p m te a s pas un zato”. “disprez re mai. po. Non tace per troppo tem rlato a to Hai taciu nno sempre pa ha Gli altri uoi e. m o e che v n o tu devi dir , re a rl a Devi p era. essere lib bbia. ra Dillo con more. a n o c Dillo r la la lotta: n o c more pe lo Dil che è a a tt lo con la tro bbia con causa che è ra a tt lo con la non sei sione. l’oppres ere te stessa se g n Non pia . ascoltata are lt o c s a i Fatt ire la ragione. a tu la rti di ud ì D a stanca o n fi lo Ripeti non . pagna tua voce lla com re o s , Donna ai. po. tacere m per troppo tem to arlare a p iu c iù ta p i a o H devon n o n ri Gli alt e tuo nom

BASTA! n

ono o accadute e accad

le cose peggiori so

VIII

marzo 2011 notiziario anpi

AA.VV., La donna reggiana nella Resistenza, Atti del Convegno del 5 marzo 1965, Amministrazione provinciale di Reggio Emilia, Tecnostampa, 1965 L’altra metà della storia, ANPI, Comune di Fabbrico, ISTORECO, 2007 Atti del convegno della Regione Emilia Romagna e schede preparatorie, Archivio Istoreco Paterlini, Avvenire, Partigiane e patriote della provincia di Reggio Emilia, Ed. Libreria Rinascita, 1977 Benati, Paola-Giacobazzi, Giovanna, Donne in punta di piedi (venti storie al femminile), Ed. Comune di Rubiera Cagossi, Iste “Vampa”, Da piccola italiana a partigiana combattente, STEM Mucchi, 1976 Nilde Iotti, una donna della Repubblica, Camera dei Deputati, 2004 Canovi, Antonio, Roteglia, Paris, Biografia di Elgina Pifferi, Istoreco 1999 Cappellini, Emidia, Memorie di storia e di vita, Guiglia Editore, 2004 Cervi, Margherita, Non c’era tempo di piangere, disegni di Nani Tedeschi, prefazione di Marzia Dall’Aglio, Armanda Munari Fiorini, Nilde Jotti, Camera del lavoro di Reggio Emilia, 1994 Corbi, Gianni, Nilde, Editori Riuniti, 1993 La fatica della libertà, Coordinamento femminile SPI-CGIL di Reggio Emilia, Ferrari, Mario A., Quelle che non fecero la guerra madri sorelle e spose, Comune di Toano, 2004 Fontanesi, Carla, Quando le protagoniste raccontano: “Non mi sembra d’aver fatto granché…”, Istoreco e Comune di Scandiano, 2009 Gagliani, Dianella (a cura di), Paura non abbiamo... L’Unione donne italiane di Reggio Emilia nei documenti, nelle immagini, nella memoria, 1945-1982, Il Nove, 1993 Gagliani, Dianella (a cura di), Guerra Resistenza Politica. Storie di donne, Istituto Alcide Cervi e Società italiana delle storiche, Aliberti, 2006 Imprenti, Fiorella, Magnanini Claudia (a cura di), Nilde Iotti, Pre-


sidente Dalla Cattolica a Montecitorio, Prefazione di Giorgio Napoletano, Biblion, 2010

8 marzo alle partigiane

La donna reggiana nella Resistenza. Celebrazioni del ventennale della morte di Genoveffa Cervi. Campegine-Reggio Emilia, 7 febbraio 1965, Reggio Emilia Tecnostampa,1965 Mimose e scarpe rotte. Le donne reggiane “per l’assistenza ai combattenti della libertà”, introduzione di Nilde Iotti, Istituto “Alcide Cervi”, 1985 Magnanini, Giannetto, Egle Gualdi, Vita di una emiliana (19011976), Edizioni Analisi, 1994 Malavasi, Annita, Storia di una donna nel '900: la fatica della libertà / Annita Malavasi “Laila”, CGIL di Reggio Emilia, 2005 Manfredi, Liliana, Il nazista e la bambina, Aliberti, 2008 Montanari, Elisabetta, Piccole donne crescono. Memorie di donne della pianura Reggiana (1930-1945), RS Libri, 2006 Montanari, Fabrizio, Le donne di Casa Berneri, Compopgraf, 2006 Nava, Paola-Ruggerini Maria Grazia, Carmen Zanti “una biografia femminile”, Comune di Cavriago, 1987 Nilde. Parole e scritti 1955 -1998, con una lettera di Giorgio Napoletano, a cura del Comitato per la costituzione della Fondazione Nilde Iotti, Health Communication Editore Nironi, Carla Maria, Andavamo a cento all’ora, 2005 Oranci, Enrica, Il coraggio della vita, FILEF ed. Comune di Reggio Emilia Settimelli, Leoncarlo, La ragione e il sentimento. Ritratto di Nilde Iotti, Castelvecchi, 2009 Storia di una donna tra storie di donne: Velia Vallini, a cura del Centro Donne “Velia Vallini”, Reggio Emilia Pellegrino, Mara - Spaggiari, Dimma - Spagni, Rina, Tra storia e memoria. La costruzione del welfare reggiano nel racconto delle donne, Aliberti, 2004 Rossi, Ivana, Le contadine reggiane: emancipazione e Resistenza. Appunti e considerazioni per una storia del legame tra Resistenza ed emancipazione femminile in provincia di Reggio Emilia, in Annali dell’Istituto “Alcide Cervi” (1978) n. 1, pag. 275-288. Veneri, Lucia, Il filo di Arianna. E’ accaduto, accade di nuovo, Guiglia, 2001 Vergalli, Teresa, Storia di una staffetta partigiana, Editori Riuniti, 2004

Costituzione italiana Art. 9 La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. marzo 2011 notiziario anpi

IX


alle partigiane Partigiane che, con vari ruoli, parteciparono alla lotta di Liberazione iscritte all'ANPI al dicembre 2010

Partigiane Reggiane BAGNOLO IN PIANO Prandi Maria 1923 77ª Sap Manni Olga 1925 26ª B."Garibaldi" Marmiroli Genoveffa 1927 77ª Sap Barco (Bibbiano) Bedogni Bruna 1920 76ª Sap Bibbiano Simonazzi Natalina 1923 76ª Sap Fornaciari Saide 1926 76ª Sap Viani Bottazzi Giuseppina 1927 144ª B."Garibaldi" Papani Mariasiria 1927 76ª Sap Barilli Giuseppe 1938 76ª Sap Baietta Erminia V.Bronzoni 76ª Sap Cadelbosco Sopra Malavasi Annita 1921 144ª B."Garibaldi" Fontanesi Mirella 1926 77ª Sap Campagnola Emilia Basenghi Giuseppina Saccani Carla

77ª Sap 77ª Sap

Campegine Bigi Maria 1922 77ª Cocconi Nondina 1922 77ª Prandi Maria 1925 76ª Bigi Eletta 1925 77ª Tagliavini Clara 1939 77ª

Sap Sap Sap Sap Sap

Reggio Emilia Camellini Jolanda Sevardi 1929 76ª Sap Bigi Anna 76ª Sap Santini Ivalda 1929 77ª Sap Villani Renza 77ª Sap Correggio Fontanesi Cosetta 1925 77ª Sap Lini Lidia 1919 77ª Sap Mainini Edda 1926 76ª Sap Morini Ave 1923 77ª Sap Saltini Maria Pietra 1928 77ª Sap Dallai Regina 1924 77ª Sap Davoli Gina Familiare di Caduto Dallari Paolina 1924 77ª Sap Ferrari Alberta 1927 B."Garibaldi" Aguzzoli Bruna 1925 37ª Gap Verzelloni Velia 1927 B."Garibaldi" Rossi Maria 1925 B. "Aristide" Malagoli Orilla 1926 77ª Sap Cavallini Mafalda 1926 77ª Sap Cattani Bruna 1927 77ª Sap Pinotti Vienna 1926 77ª Sap Manzini Bruna 1923 76ª Sap Vecchi Ebe 1926 77ª Sap Spaggiari Anna 1922 76ª Sap Sgarbi Odetta 1927 77ª Sap Brugnoli Linda 1923 76ª Sap Bassoli Tina 1928 19ª B."Di Nes" Rabitti Ines 1924 76ª Sap Sala Ernestina 1929 77ª Sap Zaniboni Maria 1927 77ª Sap Fabbrico Rubiera Terzi Giovanna 1927 77ª Sap Zuppiroli Dimma 1924 77ª Sap Bisi Cristina 1928 77ª Sap Bellesia Teresina 1920 77ª Sap S. Giovanni -S. Maria (Novellara) Pizzetti Francesca 1920 77ª Sap Carletti Ernestina 1922 77ª Sap Ascari Bruna 1924 77ª Sap Ribes Elena 1929 77ª Sap Fornaciari Fermina 1925 76ª Camellini Jolanda Sevardi 1929 76ª Bigi Anna 76ª Santini Ivalda 1929 77ª

Sap Sap Sap Sap

Guastalla Malaguti Lolita 1934 77ª Sap Tirelli Anna 1926 77ª Sap

Carpineti Zafferri Franca 1929 285ª Sap

Luzzara Dalai Carla 1929 77ª Sap

Castelnovo Ne’ Monti Morelli Norma Antifascista Castagnetti Giacomina B."Garibaldi" Olmi Adriana 1927 B."Garibaldi" Rosati Datteri Ave 1935 B."Garibaldi" Gualandri Giannina 145ª B."Garibaldi"

Montecchio Emilia Gilli Tea 1918 76ª Melloni Anna 1922 76ª Santi Rina 1923 76ª Poli Amerigo 1928 76ª

Cavriago Guidotti Antonietta 1923 76ª Sap Sassi Duvilla 1923 76ª Sap Guidotti Ugana 1925 285ª Sap

X

marzo 2011 notiziario anpi

Sap Sap Sap Sap

Puianello (Quattro Castella) Margini Edmea 1926 76ª Sap Ramiseto Moncigoli Gina 1923 144ª B."Garibaldi"

San Ilario D’Enza Catellani Maria Olga 1916 77ª Sap Pecchini Bruna 1921 77ª Sap Del Sante Bruna 1923 17ª B."Garibaldi" Donelli Ettorina 1924 77ª Sap Barbieri Vittorina 1926 77ª Sap Mazzali Anna 1928 77ª Sap Mazzali Leda 1922 77ª Sap San Polo D’Enza Del Sole Deira 1926 76ª Sap Rocchi Fede 1926 76ª Sap Scandiano Fontani Luisa 1921 B."Garibaldi" Caprari Olga 1922 76ª Sap Vezzosi Giuseppina 1924 76ª Sap

Costituzione italiana Art. 11 L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali;


“Facevo la staffetta, abitavo in case di latitanza…”

alle partigiane

“Poi la gente ha messo le lenzuola bianche fuori dalle finestre, quando sono arrivati gli americani hanno trovato Modena tutta imbandierata di bianco e hanno capito che era già stata liberata dai partigiani…” Per la Befana ai figli degli antifascisti non davano niente, mentre ai figli dei fascisti davano il pacco, libri o tante altre cose. A noi non davano niente perché il papà non ci iscriveva ai Balilla o alle Piccole Italiane. [...] Mio padre era un comunista, una volta l’hanno portato in piazza a Puianello, gli hanno messo la testa sulla zocca volevano tagliargli la testa con la scure. Allora tutte le donne di Puianello venivano fuori dalle finestre e gridavano: “Non fatelo che ha dei figli!”. Quando mio fratello è stato richiamato alle armi ed è andato in Sicilia, io ascoltavo la radio e poi gli scrivevo delle frasi in codice: “la zia sta male”, se la Russia andava male, “la zia sta bene” se le cose andavano un po’ meglio. Facevamo giornali clandestini, facevamo riunioni e arrivammo fino al 25 luglio. Cadde Mussolini, i prigionieri tornarono a casa. Quel giorno andammo nelle sedi del fascio a distruggere i documenti che avevano contro di noi antifascisti, abbiamo bruciato tutto! [...] Scalambra era il comandante, Casarini era il commissario, io ero la segretaria. Mi avevano chiesto se mi sentivo, diciamo che con l’impegno e la volontà si faceva tutto, ma io ero una sarta e sapevo adoperare l’ago, non la macchina da scrivere! Però sono andata a fare un corso, sempre con dei nomi falsi e con delle carte di identità false. Io avevo nome di battaglia Aurora, che usavo con i compagni, ma con me avevo sempre una carta di identità con un nome falso che risultasse all’anagrafe. Abbiamo continuato così per dei mesi, facendo quello che c’era da fare. Facevo la staffetta, abitavo in case di latitanza, ci davamo gli appuntamenti nei luoghi meno sospetti come i negozi: tu portavi

la roba, arrivava la staffetta e la portava via. Se vedevo qualche persona sospetta, un fascista che mi teneva d’occhio, cambiavamo ufficio e avevamo sempre la valigia in mano. In realtà il mio ufficio stava tutto dentro una valigia, perché avevo la macchina da scrivere, carta e un po’ di documenti! […] Io ero fuori tuttò il giomo, ero sempre in pericolo, perché potevano sorprendermi mentre scrivevo i documenti a macchina e quello era già sufficiente per essere arrestata. Andavo a Bologna in bicicletta due volte la settimana a prendere o portare direttive, a prendere armi e munizioni. Mi trovavo con quelli delIa 7a GAP di Bologna. Facevo a Modena delle azioni con quelli della mia brigata, per esempio facevamo saltare i pali della luce, a far saltare i ponti per non far passare i tedeschi. E siamo arrivati fino alla Liberazione. Siamo stati alzati tutta la notte in riunione quando sapevamo che sarebbero arrivati i tedeschi in ritirata e ci siamo divisi i compiti da svolgere. Siamo partiti verso le cinque dall’ufficio, ognuno diretto nei posti a lui designati per avverrire i capi partigiani su cosa dovevano fare. C’era stato un accordo con gli americani di non bombardare Modena, perché cercavamo noi di liberarla senza che dovessero distruggerla con i bombardamenti. Io dovevo andare a Paganine a dare gli ordini ai partigiani, ma ad un certo punto, passando da via delle Morane, mi sono trovata la strada bloccata dai tedeschi. C’erano mucche, biciclette, moto, c’era di tutto e si sentivano già i cannoni degli americani a Bologna. Io sono riuscita a salvare la bicicletta, perché volevano prendermela, ma sono dovuta tornare a Modena.

Lidia Valeriani “Aurora”, medaglia d’argento al valor militare E’ l’unica azione che non sono riuscita a portare a termine. A Modena ci siamo trovati un po’ tutti e c’è stata la battaglia. […] Poi la gente ha messo le lenzuola bianche fuori dalle finestre, quando sono arrivati gli americani hanno trovato Modena tutta imbandierata di bianco e hanno capito che era già stata liberata dai partigiani. [...] Poi ci siamo riuniti tutti, che sono arrivati anche quelli della montagna e abbiamo fatto la sfilata per le vie della città. Alla fine della sfilata abbiamo consegnato le armi agli americani. Lidia Valeriani (tratto da 60 testimonianze partigiane, ZOO Libri 2005, p. 66)

Costituzione italiana Art. 37 La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.

marzo 2011 notiziario anpi

XI


alle partigiane

Maria Montanari "Miscia" Cara Laila, grazie a te, a tuo fratello Ennio e al nostro comandante Paolo Davoli sono diventata partigiana. Provo a ricordare come è accaduto. A 13 anni sono andata alla risaia e mi piaceva anche, ma c’erano le bisce. C’era una grande che mi “badava” e le prendeva. Poi un altro padrone ha chiesto di me per il trapianto del riso e io ho lavorato lì per venti giorni. Sono andata lì per non vedere più le bisce. Ancora mi fanno paura. Tornata a casa mio padre mi ha detto: “non andrai più alla risaia, ti ho trovato un lavoro al Calzificio Riva”. Lì sono stata sino al ’39-40. Poi mio padre ha aperto un negozio di frutta e verdura al Lungo Crostolo e per aiutarlo mi sono licenziata, ma il padrone non voleva lasciarmi andare e per sei mesi non mi ha restituito il libretto di lavoro. In quel periodo ho conosciuto la Laila (NDR: Annita Malavasi) perché la famiglia gestiva una trattoria proprio al Lungo Crostolo [NDR, oggi Via Dante Zanichelli] e siamo diventate amiche. Quando facevo la fruttivendola, facevo anche le granatine e il fratello di Laila, Ennio, che era uno studente universitario, si fermava sempre a comprarle. E’ lui che mi ha introdotto nella Resistenza. Giuseppe Carretti, che sarebbe poi diventato mio marito, abitava a Villa Seta e durante la guerra io e la mia famiglia siamo sfollati lì dai miei zii per sfuggire ai bombardamenti. Lui era soldato ed era tornato dopo l’8 settembre e con altri giovani venivano sempre nelle stalle e lì si

XII

marzo 2011 notiziario anpi

“Né mio padre né mia madre sapevano della mia attività di partigiana, non avrebbero mai voluto per timore che mi accadesse qualcosa. Ma io ho sempre agito senza avere paura. Nella mia famiglia erano tutti antifascisti, erano in tredici tutti partigiani, mio padre sapeva degli altri, ma non di me …”

“Noi quello che abbiamo fatto lo abbiamo fatto consapevolmente” parlava insieme un po’ di tutto. Mi ha detto che era tornato a piedi da oltre Roma e che cercava da lavorare. Un amico mi ha fatto avere una sua fotografia. Poi lui è andato partigiano in montagna. Anche i miei cugini erano partigiani, ma non sapevano l’uno dell’altro, però io lo avevo capito… Il fratello di Laila, Ennio, aveva visto che avevo quella foto in divisa militare esposta in negozio e mi ha chiesto perché la tenevo, che era rischioso, e io gli ho risposto: “perché quello lì è un bravo partigiano…”. Così lui mi ha parlato dei partigiani, cosa facevano in montagna e perché, mi parlava della Russia. Mi ha chiesto di aiutare il movimento, procurando medicinali, che si compravano nelle Farmacie ed io ho accettato. Dopo, Laila mi ha chiesto di andare con lei a S. Maurizio, dove c’era la caserma dei fascisti, per prendere una rivoltella da un collaboratore dei partigiani. Lei, che era già nel movimento, doveva portare l’arma in montagna. Io portavo biglietti e messaggi per i partigiani, anche con una mia cugina, Maria Manzotti, che lavorava alle Reggiane. La Maria Manzotti lavorava in un reparto dove c’era un antifascista che le ha proposto di portare in montagna una radiotrasmittente. Lei l’ha portata a casa mia. io l’ho messa in uno scatolone e in bicicletta sono andata alla stazione di Gardenia, dove mi aspettava la Laila in treno. Arrivata lì, c’erano dei fascisti che mi

hanno voluto aiutare a portare il pacco fino al treno. E così, (con il loro aiuto!) sono riuscita a consegnare il pacco alla Laila. Mio fratello, invece, era militare coi tedeschi, che avevano requisito la Cantina di Villa Gaida. Io ritiravo la sua roba da lavare e ho pensato che si poteva chiedergli di mettere tra la roba da lavare del materiale bellico. Lui ci metteva le pallottole e noi mettevamo la roba da lavare nelle borse di rete e la trasportavamo in bicicletta. […] Dopo, i fascisti hanno convocato la Laila per interrogarla sul fratello. Per sfuggire alla polizia il giorno dopo lei è andata in montagna con i partigiani. Il nostro comandante era Paolo Davoli […] Ho conosciuto Paolo Davoli perchè la Laila lo conosceva già e me lo ha presentato […] e insieme a Laila mi sono anche iscritta al PCI. […] Dopo che Laila è andata in montagna io sono rimasta sola. Una sera mi hanno detto di andare dal meccanico di Villa Argine e lì c’era Melchiorre, un capo partigiano di Villa Seta, Argine. Mi dice: “So che sei una partigiana (avevo il nome Miscia). Ti chiediamo di fare la staffetta, in sostituzione di Ines Corradini, con riferimento alla zona di Cadelbosco, Castelnuovo Sotto, Poviglio, Brescello, dove avevo collegamenti con persone e famiglie. A Castelnuovo Sotto dovevo incontrare l’ostetrica dell’Ospedale, si chiamava

Costituzione italiana Art. 51 Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle


alle partigiane

Schiatti. Lei mi ha tolto la giacca e nascosto dei biglietti nelle imbottiture degli abiti. Io ho chiesto cosa c’era scritto e lei mi ha risposto che non dovevamo saperlo, perché saperlo era un pericolo per noi e per gli altri. Andavo anche da una maestra a Brescello, che prendeva i miei messaggi e mi dava i suoi. Lei è stata, credo, una dei primi sindaci di Brescello. Poi da Brescello andavo a Boretto e da lì a Gualtieri e Santa Vittoria e Villa Seta. Gli ultimi giorni il giro lo facevo anche quattro volte al giorno. Un giovane, che non aveva il coraggio di fare come noi, però ci aiutava perché ci aggiustava le biciclette. Una volta per arrivare a Brescello sono passata dal ponte della “fiuma” e ho incontrato una camionetta dei repubblichini. Non potevo svoltare, dovevo per forza proseguire. Avevo una grande borsa di paglia con sopra le uova e nel sottofon-

do i volantini. Mi hanno fermato e detto: “Questa volta abbiamo trovato una bella partigiana…”. Io ho risposto scherzosa e gli ho offerto le uova. “Noi non ne abbiamo bisogno”, mi hanno risposto baldanzosi e mi hanno lasciata andare… Circa il 20 aprile del ’45, a ridosso della Liberazione, mi hanno chiamato a Villa Seta ad una riunione del partito, che noi ammiravamo moltissimo perché c’erano quelle persone lì. Per me partecipare era davvero un grande onore e noi staffette era la prima volta che ci andavamo. Io ero con Portos (NDR: Plinio Torelli) di Poviglio, comandante di una SAP. […] Né mio padre né mia madre sapevano della mia attività di partigiana, non avrebbero mai voluto per timore che mi accadesse qualcosa. Ma io ho sempre agito senza avere paura […]

“Con la Brigata nera, i tedeschi e i bombardamenti cominciammo ad avere tanta paura…”

Nella mia famiglia erano tutti antifascisti, erano in tredici tutti partigiani, mio padre sapeva degli altri, ma non di me. A proposito della paura: una volta mi hanno detto che avrei dovuto andare in montagna come staffetta. Ho pensato: “come faccio, non ho gli abiti, le scarpe adatte…”. Sono andata dal calzolaio e gli ho chiesto di farmi degli scarponcini. Ho preparato una borsa, l’ho attaccata alla canna della bicicletta, ma non andavo volentieri. Sono andata a Cavazzoli e dovevano portarmi su. Arrivata lì, non ho potuto andare, perché avevano arrestato il compagno che doveva accompagnarmi. Io ero contenta di non andare… avevo paura della montagna, delle armi, di non dire niente ai miei, a mia madre… Ci penso ancora… In pianura, invece, che era il mio ambiente, non avevo paura di niente. Se una cosa posso dire in conclusione è questa: noi quello che abbiamo fatto lo abbiamo fatto CONSAPEVOLMENTE, per il pane, per la pace, per la democrazia. Maria Montanari Miscia testimonianza raccolta da Eletta Bertani

Iria Alberti

“In gennaio ci fu una grossa nevicata e i contadini della via Righetta con uno spartineve trainato da sei buoi pulirono la strada; mentre erano in via Ca’ Ronfa un imbecille di un inglese con un aereo da ricognizione li mitragliò e lì trovò la morte il mio zio preferito…” La Fangaia in via Righetta n. 6 è la casa della mia infanzia. La mia mamma, rimasta vedova a 22 anni, è ritornata a casa dai suoi con me che avevo due anni, lasciando la casa dove aveva vissuto con la famiglia del mio papà. La Fangaia era una bella fattoria con una casa molto spaziosa […] La famiglia era composta dai nonni, Cecco e Ida, gli zii Bonfi-

cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.

glio, Emanuele e Nina, dalla mia mamma e da me. La fattoria era di proprietà del farmacista ed era a mezzadria. […] Nel 1936 lo zio Bonfiglio fu mandato in Africa a conquistare l’impero e la nonna cominciò a maledire il duce. Riuscì a ritornare nel ’37 e si fece una grande festa con pranzo nell’aia insieme agli amici. Dopo tre anni fu richiamato e mandato in Albania, poi in Rus

marzo 2011 notiziario anpi

XIII


alle partigiane sia. Anche l’altro zio fu mandato in Russia con gli alpini della divisione Giulia. Sono riusciti a ritornare a casa tutti e due e con la caduta del fascismo e dopo l’otto settembre si sperava che la guerra fosse finita. Il nonno fece subito notare che i tedeschi avrebbero occupato il nostro paese e spense subito la nostra speranza. Incominciò così il periodo più brutto della nostra vita. Gli zii si misero subito in contatto con le forze della Resistenza e la nostra casa diventò una casa di latitanza. La zia aveva un fidanzato nella Resistenza che a volte veniva a conoscenza degli scontri che avvenivano nelle nostra montagne. La nostra casa era frequentata soprattutto da tre o quattro partigiani di cui ricordo in parte i nomi: Meschìlo (Sacchetti Arturo), Cinghi (Oliva) e Manganèl. Era ritenuta sicura perché il proprietario era il farmacista che dopo la formazione della RSI ne era diventato il segretario comunale. […] Con noi non si è mai comportato con prepotenza, non ha mai preteso le regalìe se non della frutta e un cappone per Natale; la mamma e la zia non facevano il bucato per lui come invece altri padroni pretendevano. Quando divenne segretario della RSI, il nonno che si riteneva socialista prampoliniano cercò di dissuaderlo dall’accettare l’incarico ma non servì, anzi si dette da fare per reclutare giovani che si arruolassero nella Brigata nera offrendo anche dei soldi. In maggio del ’44 fu ucciso e la nostra casa non fu più così sicura. Quando da noi c’erano “i ragazzi”, cioè i partigiani, si stava all’erta; i primi tempi loro stavano nel fienile e di giorno nelle stanze al piano di sopra, perché nel cortile e nei luoghi vicini i fascisti, con a capo Mora, venivano a fare esercitazioni. Con la Brigata nera, i tedeschi e i bombardamenti cominciammo ad avere tanta paura. […] In gennaio ci fu una grossa nevicata e i contadini della via Righetta con uno spartineve trainato da sei buoi pulirono la strada; mentre erano in via Ca’ Ronfa un imbecille di un inglese con un aereo da ricognizione li mitragliò e lì trovò la morte il mio zio preferito. Tutte le sere dovevamo chiudere le imposte, non doveva filtrare nessuna luce, era il terrore della nonna Ida perché il ricognitore notturno chiamato “Pippo” ci martellava con spezzoni che lasciavano grosse buche nel terreno.

XIV

marzo 2011 notiziario anpi

In una di queste visite notturne ci è caduto molto vicino uno di questi ordigni che ha fatto crollare il grande lucernario che dal tetto dava luce a tutta la grande scala […]. Una sera si stava cenando in cucina e Meschìlo mi mandò nella camera dove dormiva a prendere la rivoltella che gli sarebbe servita per uscire quella stessa sera; io, che allora avevo 13 anni, gliela porsi e mentre se la girava in mano partì un colpo che per fortuna si conficcò nella trave sopra di noi. Che paura! Lui si prese una sonora sgridata dal nonno. La nonna era molto indaffarata perché, avendo in casa persone con presenze saltuarie e all’improvviso, ci teneva a poter offrire sempre qualcosa da mangiare. Questo le permetteva di coprire il dolore della perdita del figlio, morto vicino a casa dopo tante sofferenze sopportate in guerra. Ogni volta che la Brigata nera o i tedeschi si facevano vedere in paese (da noi c’era una piccola caserma con pochi militi) si stava in ansia perchè non si sapeva come sarebbe andata a finire la loro visita. In aprile ci fu un’informazione che il 15 ci sarebbe stato un rastrellamento. A casa nostra c’era Meschìlo che la sera prima era rimasto ferito a un piede in una azione; lo zio Gabriele lo caricò sulla canna della bici e lo portò in casa di Vezzani Natale perché era una casa rifugio. Io fui mandata in paese ad avvertire il medico di recarsi là dove c’era il ferito; lì trovai una ragazza più grande e seppi poi che era una staffetta. Ad un certo punto sentimmo sparare diverse raffiche per cui il medico e l’infermiera ci imbottirono di bende, cotone ecc. pensando ci fosse stato uno scontro con le formazioni partigiane appostate nei pressi della zona da dove provenivano gli spari. Io e la ragazza ci dirigemmo verso casa mia camminando nel grande fossato che costeggiava la strada. La Brigata nera era entrata in tutte le case rovistando dappertutto e prendendo tutti gli uomini, anche i vecchi (i giovani erano fuggiti), riunendoli nel prato di fronte alla Fangaia e sotto minaccia di essere uccisi dovevano dire dove fossero i partigiani.

A casa mia cercavano le armi (per fortuna non trovate!) minacciando di uccidere anche la zia che aveva in braccio la bimba nata quattro giorni prima della morte dello zio. In seguito, nel podere Righetta trovarono una squadra di partigiani di Rolo che massacrarono rendendoli irriconoscibili: i militi della Brigata nera si erano vendicati della batosta presa il 27 febbraio a Fabbrico […]. Arrivate vicino a casa mia la Brigata nera ci stava venendo incontro e ci furono due spari ravvicinati verso di noi; corse dentro casa e portando nel solaio tutte le cose che avevamo sotto il cappotto, le infilammo nel grano che era ammucchiato in terra. Appena scese in casa arrivarono i militi che volevano sapere chi eravamo: il nonno conosceva appena la ragazza che era con me ma disse che era sua figlia. Gli spari che avevamo sentito prima erano indirizzati a noi due da una giovane donna ausiliaria che ci disse: “Sto imparando, la prossima volta faccio centro”. Io sono andata a vedere i corpi massacrati dei partigiani dietro la barchessa della Righetta, avevano i visi rovinati e sui corpi avevano infierito ferocemente. I fascisti erano dei delinquenti qualsiasi perché sapevano che ormai avevano perduto tutto e non valeva la pena continuare a massacrare i giovani che si erano rifiutati di seguire quello “zuccone” (così lo chiamava la nonna) del duce. I vinti sopravvissuti stiano calmi e non abbiano altre pretese perché i vincitori che hanno prodotto la Costituzione hanno vinto anche per la loro libertà. La nostra società sta attraversando un periodo molto difficile; i prepotenti esistono ancora. I ragazzi della Righetta si batterono perché volevano la fine della guerra e sognavano una vita serena. Ora tocca a voi giovani difendere il vostro diritto ad una vita felice, e non permettere che altri si possano appropriare del vostro futuro. Impegnatevi nella difesa della Costituzione, che garantisce il vivere civile del nostro paese e che costantemente si cerca di modificare per favorire il capo del governo. La libertà “non è uno spazio libero” (Gaber) ma ha bisogno di un impegno costante perché non venga voglia a qualcuno di limitarcela. Iria Alberti, 24 gennaio 2011

Costituzione italiana Art. 54 Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive


alle partigiane

E N A I G I T R A P E L DEDICATO AL GGIO EMILIA E R I D I P N ’A L L E D

re partigiane’, st o ‘n e ll a io g g ndere oma cresciute , intendiamo re le ia c e i ragazze nate e sp d o ti rt n se ve o in m o m st o e “Con qu rra…” ersonali e c anni della gue li alano ricordi p g g i n re i va c , io g ro lo sì i o d alcune versato c che hanno attra , o m is sc fa il durante

Continua il percorso intrapreso nel 2009 dalle donne dell’ANPI di Reggio Emilia, con l’adesione al progetto nazionale “DONNE ANTIFASCISMO DEMOCRAZIA: DALLA MEMORIA AL FUTURO” che attraverso la formazione di gruppi di lavoro e laboratori aperti hanno portato avanti il progetto di valorizzazione e riscoperta delle donne che hanno contribuito alla lotta di liberazione, all’emancipazione, alla conquista dei diritti fondamentali, alla costruzione della libertà e della Repubblica. Il primo inserto speciale nel 2009 lo avevamo dedicato a Nilde Iotti in concomitanza col decimo anniversario della sua morte. Proseguiremo con dediche ad altre donne reggiane: Velia Vallini, Carmen Zanti, le donne della famiglia Cervi, dedicando a ciascuna appositi laboratori di ricerca e approfondimento e successive pubblicazioni, cercando di non perdere il filo conduttore della memoria dell’antifascismo legata all’attualità e al rapporto tra le generazioni. Con questo inserto speciale, intendiamo rendere omaggio alle “nostre partigiane”, alcune di loro, ci regalano ricordi personali e commoventi di ragazze nate e cresciute durante il fascismo, che hanno attraversato così giovani gli anni della guerra. Le loro parole, sono di stimolo a seguire il loro esempio, perché hanno combattuto e lottato per i loro e i nostri diritti e per la pace, ed anche noi vogliamo costruire un mondo migliore per i nostri figli, esattamente come loro. Molte altre hanno ancora da dire e raccontare, spetta a noi raccogliere queste ulteriori testimonianze e farne buon uso. Il nostro intento è di proseguire con la raccolta di più testimonianze possibili, di “ascoltare” perché hanno ancora molto da trasmettere; di confrontarci per capire meglio noi stesse e per fare da “ponte”; per provare a tradurre i valori che le hanno animate non solo per trasmettere la memoria, ma per aiutare le nuove generazioni di donne e uomini a scegliere la libertà, la democrazia e la carta costituzionale, che contiene tutti i valori più

importanti per la vita del singolo e della collettività. Assieme hanno fatto la storia del movimento delle donne che è anche la storia del nostro Paese. Non è solo doveroso ma necessario (e lo faremo in futuro), ricordare con le partigiane dell’ANPI anche le partigiane di altre Associazioni quali l’ALPI; ma anche tutte le altre donne che hanno contribuito alla rinascita dell’Italia, silenziose, riservate, schive, hanno fatto il loro dovere “quello che andava fatto” senza chiedere riconoscimenti e onori, hanno fatto sacrifici, lottato e sofferto fianco a fianco con gli uomini, (ma con i figli da allevare e/o anziani da accudire), donne di ogni ceto sociale, donne cattoliche e persino suore, donne comuniste, socialiste, democristiane donne senza alcuna fede politica o religiosa ma donne antifasciste. Tutte andrebbero ricordate, ad una ad una, perché hanno sofferto angherie e soprusi: dal dolore per la lontananza dei propri cari e spesso per le loro orribili morti, fino alle persecuzioni più atroci sia morali che fisiche. Tutte andrebbero ricordate, e ascoltate, per capire che, come allora le cose peggiori sono accadute e accadono quando non c’è sufficiente attenzione, quando c’è sottovalutazione dei fatti e insufficiente reazione. Raccontano episodi di vita vissuta, parole ora illuminate ora semplici, parole di donne che continuano a lottare per la loro e la nostra Resistenza e ci dicono molto chiaramente: “Ascoltateci, io c’ero, ero giovane, vi racconto perché non posso dimenticare, affinché anche voi non dimentichiate… Perché è vero che chi dimentica il passato è destinato a ripetere gli stessi errori, perché non è vero che la storia non si ripete”. Questo decennio è stato davvero difficile per gli antifascisti e per tutti coloro che hanno a cuore la Costituzione. I diritti e la posizione delle donne nella nostra democrazia, sono stati compromessi irrimediabilemnte: le donne hanno subito una costante, rapida regressione soprattutto a

in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.

causa della riproposizione di un modello femminile legato esclusivamente allo sfruttamento e alla mercificazione del corpo, in spregio alla maggioranza delle donne che portano avanti la loro vita con dignità e coraggio, onestamente, pur in un momento difficile di crisi economica e sociale. Serve davvero una profonda presa di coscienza sulla necessità di razione alle offese alla nostra dignità e alla perdita dei diritti. Gli uomini e le donne dell’ANPI sono chiamati a contrastare questa grave involuzione sociale, civile e culturale che è in atto da troppo tempo, che incide anche sull’identità stessa, sulla condizione e sul ruolo delle donne nella vita del Paese. Per questo sarà molto importante il dibattito che si aprirà al Congresso nazionale e nei Congressi ANPI sul documento politico-programmatico e sugli emendamenti proposti dal Coordinamento femminile nazionale, i cui contenuti impegneranno coerentemente tutta l’Associazione. Non possiamo permettere nei fatti la continua erosione delle nostre conquiste e dobbiamo batterci donne e uomini dell’ANPI, per inserirle definitivamente e compiutamente nei valori della democrazia, stimolando nel contempo associazioni, sindacati, partiti politici, Enti e cittadini a fare altrettanto. Anna Loredana Cavazzini p. Coordinamento provinciale donne ANPI

PI vo Esecutaimento donne AN

Coordin ilia i; Anna Em a Bertan va; tt Reggio le E ; artoli na Fa Iones B Cavazzini; An a rrarini; n Loreda ari; Fiorella Fe si (Laila); a err a Malav Anna F i; Annit na Porta; c e r G Lidia Van anzotti; a Salsi; Maria M Rinaldi; Ann letti bo illa Massim si; Adriana Zo e r a V Paola t> il: emilia.i o e. ma Recapit te@anpireggio en <presid

marzo 2011 notiziario anpi

XV


LE

IANiaEna, G I T R A P za regg DONNE a Resisten

ria dell ranzini, Sto Guerrino F 3 6: ANPI, 196

estazione fu la manif e tenna general u to, trema di et es d mpere e o ro e at a st ch a la donn ratteristi “Già è el ca d le za el en d d XI, di soggea delnel capitolo chi vincoli ti pi di Difes p an ru forli G g ei d à arsi come donne, in dell’attivit e, ad afferm ell’uomo. E n ione delle o az zi l’ a el M d i fianco d la Donna. oltre i limit za attiva a evolezza coi casi, andò le ia er una consap at i m d moltissimi e e ic d le in e era ra o fu m tà manissibilità, ch la solidarie proprie po ertà e delle delb le li o el rs d la el co d re ti , che pu rando nel sa u at as combatten m m ai a d at i ie d an ale presse p n femminil ione gener e che si es festazioni az ra l’ er el u n g o la . ne ro pes Resistenza dominazio ebbero il lo mente nella contro la nevano nel o io p g p g ta su o re b p n o n di sa o i ic m I nem la forza a. ono in forel popolo ar d p nazifascist ad e ci n e te n ri o ar d sa p le eces e infatti, gia fisica n iana vera Le donne, lotta partig rale e l’ener la lotta partigiana. E la in al e n o n er o nel e te num sso delle d impegnarsi valutazion uesto ingre esta errata te un dato u en q o p o propria. Q am m ri rt p te ce ro o fu p un cert i armate è Paese. ganno per ro re in formazion st p o in il n li , el ar za d tr a storia nseguen lotte co le i el d n , la re ci al ri ta nuovo nella li irat nne e a faci donne cosp o delle do mbatVi furono imo apport n donne co 59) ss o 8 n si . o a (p zi m . , e” li ta berazion . li si la risorgimen ca el i d im sa ss cau n in rari tradizione tenti, se no di questa to en am ci Il roves

Supplemento al n. 3 - 2011 del Notiziario ANPI

notiziario

XVI

marzo 2011 notiziario anpi

Spedizione in abbonamento postale - Gruppo III - 70% Periodico del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia Via Farini, 1 - Reggio Emilia - Tel. 0522 432991 e-mail: notiziario@anpireggioemilia.it; presidente@anpireggioemilia.it sito web: www.anpireggioemilia.it Proprietario: Giacomo Notari Direttore: Antonio Zambonelli Caporedattore: Glauco Bertani Comitato di redazione: Eletta Bertani, Ireo Lusuardi

Collaboratori: Paolo Attolini (fotografo), Massimo Becchi, Riccardo Bertani, Bruno Bertolaso, Sandra Campanini, Nicoletta Gemmi, Enzo Iori, Enrico Lelli, Saverio Morselli, Fabrizio Tavernelli Registrazione Tribunale di Reggio Emilia n. 276 del 2 Marzo 1970 Stampa: Centroffset - Fabbrico (RE) Questo numero è stato chiuso in tipografia il 7-02- 2011 Per sostenere il “Notiziario”: UNICREDIT, piazza del Monte (già Cesare Battisti) - Reggio Emilia IBAN: IT75F0200812834000100280840 SUPPLEMENTO A CURA DI ANNA LOREDANA CAVAZZINI


Lo sport educante

cultura

Educare è da sempre una fatica

Si fa fatica a casa, si fa fatica a scuola, si fa fatica in parrocchia o simili. Si fa fatica perché trasmettere valori e pulsioni emozionali non è una cosa semplice, e sviluppare le facoltà intellettuali, fisiche e morali in modo armonioso è diventata un’impresa titanica. Come mai? Non staremo certo qui a perderci nelle molteplici cause di questo fenomeno. Qui però si vuole affrontare un tema che potrà essere approfondito nei prossimi mesi: la relazione tra educazione e sport. Ancora meglio: lo sport educa o si educa allo sport? Come funziona il sistema sportivo in una città come Reggio Emilia? Oppure: lo sport è prettamente un momento ludico e aggregante? Con lo sport si può fare prevenzione al disagio? La disciplina sportiva, qualunque essa sia, può essere equiparata alle agenzie formative esistenti? A queste e ad altre domande proveremo a dare risposta osservando alcune realtà cittadine e provinciali, ma intanto chiediamoci se, nelle nostre esperienze personali di sportivi, ci siamo mai accorti di “ricevere” qualcosa che potesse ritenersi educativa, direttamente od indirettamente. Io penso di sì. E penso che oggi più che mai ci sia bisogno di dimensioni aggregative e stimolanti, ci sia necessità di scambiare con gli altri, di misurarsi nel divertimento e nella sfida, di raggiungere obiettivi e di superarli, ma anche di fallirli e riprovare o cambiare, o addirittura abbandonare. Tutto muove qualcosa, muscoli e pensieri, felicità e disperazione, gioia e rabbia, collaborazione e solitudine costruttiva. Lo sport è anche agonismo, e anche l’agonismo è formativo. Poi ci sono gli altri aspetti dello sport, soprattutto (ed è l’aspetto che più ci interessa) nelle fasce giovanili: c’è il rapporto tra adolescenti che si confrontano e si sfidano, c’è la relazione genitorifigli-educatori sportivi che genera continuamente dinamiche anche conflittuali, c’è la difficoltà nel conciliare vita quotidiana

e pratica sportiva negli anni della crescita fisica ed emozionale. Insomma, ce n’è abbastanza per capire che fare sport non è solo mettersi un vestito adatto e muovere in qualche modo il corpo. Come già evidenziato, cercheremo di capire cosa succede nella nostra città, ascoltando ed osservando chi lo sport lo pratica, lo insegna, lo vive. Arrivederci ai prossimi numeri del Notiziario. Alberto Pioppi

Azio Sezzi, Vincenzina, Brambilla e il Dirigente (Aliberti 2010, pp. 156)

Un viaggio lungo 300 canzoni e 170 artisti per scoprire come la musica leggera italiana degli ultimi cinquant’anni ha trattato il tema del lavoro. Da Adriano Celentano a Laura Pausini, da Domenico Modugno a Ligabue, da Enzo Jannacci a Piero Pelù passando per i complessi “beat”, i cantautori, il rock demenziale, il libro svela il filo tenue, a volte sotterraneo a volte più evidente, che collega le canzonette al fondamento della nostra Repubblica. Emergono così i tre approcci principali – sentimentale, onirico, sociale – attraverso cui la canzone “leggera” si è occupata di lavoro. Accanto a ciò, il racconto dei tanti “lavori”, comprese le professioni particolari, come il ladro e la prostituta, e l’“area del non lavoro”, pullulata da zingari, vagabondi e barboni. Attraverso i testi prende forma una narrazione a volte realistica a volte poetica che descrive

l’evoluzione, o più semplicemente la traiettoria del lavoro e della sua immagine, dal mito del posto fisso all’alienazione delle catene di montaggio, dai manager rampanti ai recenti processi di precarizzazione. In più le storie d’emigrazione, prima degli italiani all’estero, poi degli italiani in Italia, infine degli stranieri in Italia, insieme al conflitto tra città e campagna, sfondo della modernizzazione nostrana. Canzoni che incrociano la società, l’economia e la politica del nostro Paese dagli anni Sessanta ad oggi, a volte rispecchiandone le tendenze e le contraddizioni a volte mostrando la distanza tra arte e realtà. Più generazioni potranno ritrovarsi in questo volumetto agile ed ironico e ritrovare le atmosfere, le musiche e le parole della loro formazione, della loro maturità, del loro presente.

Azio Sezzi (1959) vive a Reggio Emilia, dopo la giovinezza e gli studi filosofici a Milano. Lasciati Kant e il neocontrattualismo americano, si è occupato di piccole e medie imprese e oggi dirige un’azienda comunale multiservizi. (g.b.)

marzo 2011 21 notiziario anpi


cultura

Giuseppe Ligabue, Nome di battaglia “Ferruccio” (Casalgrande 2011, pp. 116)

lli

tonio Zambone

zione” di An Dalla “Presenta

Non poteva esserci occasione migliore che il 150° della nascita dell’Italia come Stato unitario per la pubblicazione di questo libro dove si racconta una larga parte della vita di Giovanni Castelli, nome di battaglia Ferruccio. Infatti la biografia di Giovanni, scritta in modo partecipe e avvincente da Giuseppe Ligabue, è la storia di un ragazzo siciliano, di Palermo, che attraversa la tragedia della seconda guerra mondiale viaggiando, da soldato, lungo tutta la penisola (il continente), fino a Brescia e poi a Voghera infine a Reggio Emilia, e comincia a diventare italiano a parte intera, per così dire, soprattutto dal momento in cui viene accolto fraternamente, da soldato “sbandato” dopo 1’8 settembre ‘43, nell’ambiente popolare reggiano. Diventa partigiano prima nelle SAP di Casalgrande, poi sulle montagne reggiane, nel distaccamento “Beucci” della 26a Brigata Garibaldi. All’ambiente reggiano si legherà profondamente e rimarrà in terra reggiana dopo la fine della guerra, anche per la generosa ospitalità, a Villa Cella, in casa di Ugo Veronesi, Visser, suo comandante nel “Beucci”. Reggiana sarà anche la ragazza di cui si innamora e che diverrà sua moglie. Ma quello di Giovanni non sarà un rinnegamento della terra d’origine, alla quale rimarrà invece per sempre legato, come ben ci fa capire l’Autore, che con Giovanni ha una lunga consuetudine essendone cognato. Bella e assai viva la ricostruzione dell’ambiente palermitano da cui il futuro Ferruccio proviene. L’Autore rende con notevole efficacia il sapore e la temperie di un luogo anche attraverso godibili citazioni di espressioni del dialetto palermitano, a cui fanno pendant, nello sviluppo della narrazione, frasi del dialetto reggiano. Parimenti offre al lettore una preziosa occasione di conoscenza della lotta di liberazione nel Reggiano a partire dalla vicenda personale, quella di Giovanni Castelli, intelligentemente raccordata agli eventi generali mediante il ricorso appropriato a varie fonti bibliografiche e documentarie. L’auspicio è che un testo come quello di Ligabue possa entrare nelle scuole. E’ uno strumento assai utile alla conoscenza di una fase storica, quella della Resistenza, che sta a fondamento della democrazia repubblicana. La Resistenza qui viene rivissuta senza incappare nei contrapposti rischi di una Scilla retorica e di una Cariddi negazionista, ma con freschezza di narrazione attraverso un vero e proprio Bildungsroman (romanzo di formazione), basato sulla concretezza e sulla toccante verità di un vissuto personale autentico.

22 marzo 2011

notiziario anpi

I NOVANTUN ANNI DI PARIDE ALLEGRI,

SIRIO

Il 19 gennaio il nostro presidente Giacomo Notari, accompagnato da Francesco Bertacchini, Volpe, ha fatto visita a Paride Allegri a Ca’ Rosini, alle pendici del Monte Duro, in quel di Montalto di Vezzano. E’ stata una visita motivata dal compleanno (91°, il 23 gennaio) del partigiano Sirio. E’ stata anche l’occasione per uno scambio di vedute fra i due ex partigiani, sull’attività dell’ANPI e su ciò che accade nel vasto mondo. Ne pubblichiamo il resoconto steso da Notari. Dopo un caldo abbraccio con Paride, seduto sul letto, “ti avevo promesso i mirtilli – gli dico – ed eccoli qui, sono ancora gelati. La prossima stagione ti prometto che saranno appena colti”. Poi Paride, con una lucidità da quarantenne, chiede “Dimmi, in quanti ci siamo ancora?”, e intende in quanti partigiani di allora. “Siamo poco meno di mille, di quasi diecimila che eravamo”, rispondo io. Paride si fa serio in volto, poi, dopo un lieve sorriso, sussurra pensoso: “Ne sono passate di stagioni ...” .E subito incalza chiedendomi come si stia muovendo l’ANPI. “Come vedi non siamo più tanti, come partigiani – gli rispondo – ma abbiamo migliaia di iscritti che non sono vecchi come noi. Anche i vice presidenti provinciali non sono tutti partigiani. Sicché l’ANPI non avrà tramonto”. A questa ultima mia affermazione il volto di Paride, roseo come quello di un bambino, si illumina di vera gioia. Gli spiego del processo di Verona per la strage nazifascista di Cervarolo, del tentativo di avere giustizia per i tragici fatti del 7 luglio ’60. L’informo sull’inaugurazione, in Palestina, di una scuola d’infanzia che porta il nome di Dario, Giuseppe Carretti e che è stata realizzata grazie al nostro impegno di alcuni anni. “Come avete fatto a trovare i soldi?” chiede Paride “e come si comportano gli israeliani?”. ‘’Non troppo bene – rispondo – si vedono tanti soldati, non è una vita facile per quelle popolazioni”. “Anche come ANPI dedicate il massimo sforzo per la pace” interloquisce Paride, che aggiunge “Si deve mirare alla distruzione degli arsenali militari, altrimenti il mondo va verso la rovina”. Poi mi chiede come stanno Ireo Lusuardi, Enrico Lelli, Germano Nicolini, il “Chico”, Pinotti, la Laila, la moglie di Sintoni Gina, Ramis, Pino di Cavriago ... Di ciascuno gli do qualche notizia. “Verso i giovani siete stati proprio bravi” commenta pensoso Paride, ed io gli chiedo “Vuoi essere con noi al Congresso provinciale che si terrà il12 e 13 marzo?” “Non credo mi sarà possibile” risponde mesto “perché le mie gambe non sono forti come la memoria” E infine, poiché la mamma di Paride, oriunda di Collagna, era cugina di mio nonno Battista, passiamo a parlare dei nostri cugini che vivono ancora e di quelli che ci hanno lasciato. Infine, dopo un forte abbraccio a Paride e alla moglie Linda, io e Francesco ci avviamo verso l’auto per tornare a Reggio, con l’impegno di tornare in estate col nuovo raccolto di mirtilli. Cogliamo l’occasione per ricordare che sono ancor dipsonibili, a prezzo ridotto, presso l’ANPI, via Farini 1, copie del libro di Sirio dalla prefazione di Antonio Zambonelli “Un eretico, ecco come ci appare Sirio nella sua avvincente testimonianza di vita. Un eretico che ha sempre cercato di far corrispondere le idee proclamate ai comportamenti concreti. Su ogni tema: dall’aspirazione alla giustizia sociale, alla difesa dell’ambiente, alla lotta per la pace”.


cultura www.governareggio.it

I MONUMENTI

DI PIAZZA MARTIRI E PIAZZA DELLA VITTORIA: UN PROGETTO PER I NOSTRI SIMBOLI PIU’ CARI Il 50° anniversario della strage dei Martiri del 7 luglio 1960 è passato. Mancano tre anni alle prossime elezioni comunali. Tra poco, almeno si dice, inizieranno i lavori di costruzione del parcheggio sotterraneo in piazza della Vittoria e si potrà procedere anche al completamento della superficie della piazza, quella che, oggi, è ancora una lunga spianata d’asfalto

C

i sono, quindi, tutte le condizioni per riprendere una proposta che avevamo già avanzato due anni fa e discuterne con equilibrio con tutte le associazioni interessate e con l’amministrazione comunale. La proposta che mi sento di avanzare è la seguente: promuovere una riflessione sui monumenti di Piazza Martiri del 7 luglio e di Piazza della Vittoria e farne un progetto di ri-valorizzazione. La proposta nasce da una parziale insoddisfazione per l’attuale situazione monumentale che questo grande spazio simbolico offre alla comunità. In primo luogo, il completamento di Piazza della Vittoria dovrà, auspicabilmente, prevedere la piena valorizzazione e inclusione, nella piazza stessa, del monumento ai caduti della 1a guerra mondiale, realizzato da Alberto Bazzoni nel 1927. Il rifacimento di piazza Martiri del 7 luglio e la straordinaria soluzione di inglobare il palazzo dei Civici Musei nella piazza, ha avuto, come conseguenza, la grande valorizzazione del monumento alla Resistenza di Remo Brioschi. Quest’opera d’arte emerge, ora, in tutta la sua intensità espressiva e bellezza. Credo che gli archi-

tetti e l’Amministrazione comunale, che hanno ideato e consentito questa innovazione creativa, meritino un plauso. Non convince, invece, la collocazione del sacrario, le steli bronzee, cioè, che recano i nomi dei caduti per la libertà e l’indipendenza del nostro paese, sul fianco sinistro del Teatro Municipale, all’inizio del viale interno che porta ai Giardini pubblici. Si tratta di una collocazione appartata, posta su un piedistallo troppo basso, non protetto e non illuminato. A chi lo scorge, dalla piazza, dà l’impressione di esser lì per ricordare caduti minori, esposto alle ingiurie delle piccole e miserabili inciviltà quotidiane. Occorrerebbe un’idea brillante per restituirgli, attraverso una più consona collocazione, onore e rispetto. Un discorso particolare merita il monumento di Giacomo Fontanesi ai Caduti di Reggio Emilia, i “martiri” da cui prende il nome la stessa piazza. Con il rispetto che il caso richiede, mi pare che meriti un ripensamento. Non tanto per la sua collocazione, ma perché si pone come un’opera minima rispetto al simbolo che vuole rappresentare. Difficile trarre da esso l’emozione del dolore per l’assassinio di quei giovani uomini, il senso della trage-

dia che si è compiuta in quel luogo, o più semplicemente il senso di lotta, di voglia di riscatto, di giustizia che ha percorso la piazza in quel disgraziato 7 luglio 1960. Che lo si condivida o no, questi uomini uccisi, hanno conquistato un posto importante nel sentimento della comunità reggiana e nell’immaginario dell’intera comunità nazionale. Sono diventati un pezzo della nostra identità contemporanea. Il monumento vuole rappresentare una forma di germinazione vitale che continua oltre la vita, ma, a mio parere, non ha fino in fondo raggiunto l'obbiettivo. Ora che la piazza è diventata un grande invaso di vita comunitaria, il monumento ai Martiri del 7 luglio appare ancora più minimale e di difficile lettura. Per questi motivi chiediamo che l’amministrazione comunale, a conclusione del progetto di ri-valorizzazione dei monumenti, promuova un concorso fra artisti, per realizzare un monumento capace di ricordare questi nostri sfortunati ed eroici concittadini e restituire calore ed emozione ai nostri simboli più cari.

marzo 2011 23 notiziario anpi


EGITTO E TUNISIA IN FIAMME “Regimi la cui continuità e stabilità hanno rappresentato da una parte il presunto baluardo dell’Occidente contro l’estremismo islamico, fosse esso costituito dai Fratelli Musulmani in Egitto, dalle influenze del Fronte islamico di salvezza algerino o, peggio, dalle infiltrazioni di Al Qaeda o solo da un pregiudizio concettuale e, dall’altra, una clamorosa occasione di delocalizzazione industriale delle imprese americane ed europee in grado di garantire bassi salari…” “Credo fermamente che ogni popolo abbia diritto a dire ciò che pensa, a giudicare i suoi governanti, ad avere uno Stato di diritto e alla libertà di scegliere come vivere”. Chissà se Barack Obama – che pronunciò queste parole il 4.06.09 proprio al Cairo – avrebbe mai pensato che sarebbero a breve diventate di così drammatica attualità. Ciò che è accaduto e sta accadendo in Tunisia e in Egitto e che minaccia di espandersi in gran parte dell’area mediorientale ha posto senza dubbio la questione dell’accesso a una democrazia reale, ma con tempi e modalità in grado di spiazzare anche i più esperti e preparati analisti in materia. Eppure, verrebbe da dire, le premesse di questa rivolta di popolo, che ora ci vengono spiegate dettagliatamente, non erano sconosciute, né frutto di dinamiche sociali recenti. Quelle che qualcuno argutamente ha definito democrature, ovvero forme di governo costruite su impalcature democratiche fittizie ma di fatto dittatoriali, caratterizzate dalla severa limitazione della libertà di espressione, da un sistema politico incapace di rinnovarsi perché fondato sul ruolo del capo in carica ininterrottamente per decine di anni, dalla corruzione e dal nepotismo, non sono un una inaspettata degenerazione degli assetti istituzionali che un Paese si è dato, quanto la consapevole costruzione di regimi forti in funzione anti integralista e , conseguentemente, partners privilegiati dell’Europa e soprattutto degli Stati

24 marzo 2011

notiziario anpi

Uniti a livello economico, commerciale, strategico e militare. Nulla di casuale, quindi. Ma, piuttosto, regimi che hanno governato con prepotenza, criminalizzato il dissenso e utilizzato forme autoreferenziali di investitura che hanno trovato la propria massima espressione in elezioni politiche plebiscitarie ma tarocche degne dei più ortodossi Paesi del socialismo reale (a Ben Alì, in Tunisia, il 90 percento dei consensi appena nel 2010, così come maggioranza schiacciante per Mubarak tra accuse di brogli e violenze!). Regimi la cui continuità e stabilità hanno rappresentato da una parte il presunto baluardo dell’Occidente contro l’estremismo islamico, fosse esso costituito dai Fratelli Musulmani in Egitto, dalle influenze del Fronte islamico di salvezza algerino o, peggio, dalle infiltrazioni di Al Qaeda o solo da un pregiudizio concettuale e, dall’altra, una clamorosa occasione di delocalizzazione industriale delle imprese americane ed europee in grado di garantire bassi salari, modestissima contrapposizione sindacale e naturalmente grandi profitti. A scapito dello sviluppo democratico e sociale e – conseguentemente – a favore di una impressionante divaricazione tra ricchi e poveri, dove i ricchi sono per lo più costituiti dalle famiglie al potere e dal gruppo parentale di riferimento. Non a caso, infatti, è esplosa la contraddizione tra una oggettiva espansione economica (crescita del Prodotto Interno Lordo tra i 3 e il 5 percento negli ultimi tre anni, sia in Tunisia che in Egitto, Fonte: IMF, International Financial Statistics) e l’aumento della disoccupazione (30 percento), soprattutto tra i giovani in possesso di titoli di studio universitari non spendibili in patria, alimentata dall’ingresso di nuova forza lavoro di circa 500.000 unità l’anno solo minimamente impiegabile nel turismo e nel tessile non qualificato. O (sotto)impiegata come Mohamed Bouazizi, ingegnere informatico e venditore abusivo di frutta e legumi al mercato, che dandosi fuoco

per protesta ha dato inizio alla rivolta di una intera generazione esausta, tradita e privata di prospettive di vita dignitose. Miseria, disoccupazione, rincaro dei beni di prima necessità, autoritarismo, corruzione e immobilismo politico costituiscono da sempre una miscela esplosiva ben poco controllabile dal potere e possono portare a esiti non prevedibili. Se da una parte occorre sottodimensionare il ruolo dei partiti islamici, non radicati profondamente nel tessuto sociale dell’area e difficilmente in grado di mettersi a capo delle sollevazioni, dall’altra sconvolge ogni previsione la spontaneità e il protagonismo che ha caratterizzato e coinvolto grandi masse popolari, non consentendo una facile lettura dei futuri assetti politici. E se in Tunisia la cosiddetta opposizione parlamentare di fatto non esiste, in Egitto le forze liberali e della sinistra appaiono deboli e disgregate. In un tale contesto, non sorprende l’atteggiamento cauto di Obama e dell’Unione europea che, dopo aver pronunciato sdegnate dichiarazioni di principio a favore dei diritti universali e delle “aspirazioni democratiche di tutti i popoli”, ora auspicano una transizione graduale e controllata verso una stagione di riforme in realtà controversa e tutta da scoprire se e in quanto gestita da uomini politici in gran parte collusi con i regimi agonizzanti che chi manifesta vuole viceversa vedere scomparire. La posta in gioco, per chi ha puntato con cinica miopia sulla stabilità a tutti i costi, finanziando e armando regimi autoritari e corrotti considerati male minore rispetto alla minaccia integralista e al pericolo immigrazione e non investendo in democrazia, è ora quella di governare in qualche modo gli equilibri politici al fine di ridisegnare le alleanze in una area di importanza strategica. Se intenderà farlo sostenendo la necessità di coniugare partecipazione, libertà, sviluppo economico e diritto a una vita dignitosa, ovvero quello che legittimamente chiedono le masse arabe, è tutto da vedere.


di Massimo Becchi

Caprioli in pericolo estinzione – Azioni concrete per la rimozione dei rifiuti nel nostro territorio – A Reggio il primo gruppo di acquisto solare…

NATURALMENTE REGGIO NECESSARIO L’IMPEGNO DEI SINGOLI CACCIATORI PER BLOCCARE LA CACCIA AL CAPRIOLO IN MONTAGNA E COLLINA E’ una situazione paradossale quanto si è verificato fra la fine dello scorso anno e l’inizio di questo nella caccia di selezione al capriolo, passato da migliaia di capi abbattuti negli scorsi anni (anche 10.000 l’anno) alla sospensione a causa dello scarso numero di animali rimasti sul territorio. Giunti a questo punto solo con l’impegno dei singoli selecontrollori è possibile evitare ulteriori danni al patrimonio faunistico della nostra provincia, bloccando la caccia ai caprioli che viene per l’appunto effettuata da quei cacciatori abilitati al prelievo selettivo di questa specie. Ad inizio gennaio la Provincia si è opposta ad una’iniziativa autonoma di questo tipo nell’Ambito territoriale di caccia 4 in montagna, chiedendo ai cacciatori di effettuare i prelievi come previsto, anche a fronte di una notevole diminuzione degli animali, come testimoniato dal censimento invernale, con un calo da 5.000 circa a 1.000 del numero degli animali, dovuto al prelievo dei maschi in autunno, della malattia che sta colpendo questa specie ormai da anni, da inverni rigidi e dal bracconaggio. Considerato che anche in collina si è riscontrato un calo di questi ungulati, seppur non avallato da un censimento invernale, ma supportato da numerose testimonianze, è lecito chiedere a tutti i selecontrollori che hanno capi da abbattere di astenersi dal farlo, seguendo di fatto le indicazioni degli ATC, che scoraggiano questi abbattimenti per il rischio reale di trovarsi in due anni da un esubero di animali ad un’eradicazione in molti distretti territoriali. Solo con il buon volere di tutti è, infatti, possibile evitare un prelievo selettivo che a questo punto andrebbe a col-

pire le poche femmine rimaste e i pochi piccoli (le specie che da inizio gennaio sono nel mirino dei fucili), creando uno squilibrio in negativo di questa specie. A questo si aggiungono le condizioni meteo avverse, come la neve di questi ultimissimi giorni, che di certo non agevola gli animali. Questa anomala situazione, che in pochi mesi vede una specie passare da un esubero di animali ad una loro tutela, è l’ennesima riprova che il controllato non può essere il controllore ovvero che, oltre ai problemi del capriolo sopra elencati, i censimenti non sono affidabili. Non possono essere fatti dai cacciatori per i cacciatori. UN GRUPPO DI AZIENDE REGGIANE SI MOBILITA PER MIGLIORARE IL NOSTRO TERRITORIO INSIEME A LEGAMBIENTE E ALLE SUE GUARDIE ECOLOGICHE Si può ormai classificare il fenomeno dell’abbandono dei rifiuti come un fatto quasi emergenziale, emerso in questi ultimi due anni come una scappatoia da parte di alcune attività produttive per alleggerirsi dei costi di produzione, scaricandoli però sempre più spesso sulla collettività. E’ quanto emerge dalle segnalazioni delle nostre Guardie ecologiche volontarie che operando sul territorio che ci segnalano quotidianamente ritrovi di rifiuti di ogni tipo, spesso anche pericolosi, come fusti di olii esausti, cemento-amianto, rifiuti industriali e poi una miriade di altre tipologie, spesso riconducibili ad attività artigianali. Per poter agire concretamente anche nella rimozione dei rifiuti è stato stipulato un accordo fra Legambiente e le aziende Fontanili Giorgio, Nial Nizzoli e Unieco Ambiente per la bonifica di una decina di siti interessati dall’abbandono di rifiuti.

L’accordo prevede che Legambiente e le GEV, in accordo con i Comuni, segnalino a questo gruppo di aziende le aree da bonificare, sempre su suolo pubblico, che poi verranno rimossi senza alcun onere per la collettività (normalmente il costo infatti della bonifica il Comune lo fa poi ricadere sulla tassa o tariffa dei rifiuti, quindi sui cittadini). Nel caso in cui a rinvenire gli abbandoni siano i cittadini, potranno comunicarlo al call center ambientale di Iren Emilia che provvederà a trasmettere l’informazione a GEV e Comuni interessati. Al progetto collabora anche Iren Emilia che, in qualità di Gestore del Servizio Pubblico di Raccolta, mette a disposizione la propria organizzazione per la riuscita dell’iniziativa, con particolare attenzione alla parte di smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi, alla gestione documentale ed al contatto con i cittadini attraverso il proprio call center ambientale (tel. 800212607). NASCE A REGGIO IL PRIMO GRUPPO DI ACQUISTO SOLARE PER CHI VUOLE INSTALLARE UN IMPIANTO FOTOVOLTAICO In un momento in cui il Governo rilancia la sfida del nucleare come soluzione al problema energetico italiano, Legambiente Reggio Emilia lancia una nuova iniziativa per promuovere le energie rinnovabili e chiudere definitivamente la porta all’atomo. Il Gruppo di acquisto solare (GAS) è una forma con al quale i cittadini interessati ad installare un impianto fotovoltaico si mettono insieme per fare massa critica e ottenere prezzi agevolati con le aziende installatrici. Per info: www.legambientereggioemilia.it info@legambientereggioemilia.it tel. 0522.431166 marzo 2011 25 notiziario anpi


memoria I tre pezzi che seguono, inviati a suo tempo alla stampa locale, ma non sempre integralmente pubblicati, pensiamo possano essere utilmente riproposti in questa sede.

SHOAH E MEMORIA DELL’EBRAISMO

DI NI (E REGGIANI) A LI A IT I T IS C S SAPEVANO I FA IO EBRAICO? IN M R E T S O LL A COLLABORARE In prossimità del 27 gennaio, “Giorno della Memoria” dello Sterminio degli ebrei d’Europa, vale la pena di ricordare alcune cose che riguardano il fascismo italiano, e quello reggiano in particolare. C’è stata, e ritorna ogni anno, una vulgata post fascista che mira a sostenere, sulla scia di una storiografia accomodante, che “il cono d’ombra” della Shoah non riguardò l’Italia di Mussolini, sia nella versione 1938-43, che in quella “repubblichina”, del post 8 settembre ‘43. Mi permetto, al riguardo, di richiamare la ricerca del sottoscritto pubblicata in “Ricerche storiche” nn. 91-92, dicembre 2001, anche perché, a dieci anni dalla pubblicazione, la rivista è ormai reperibile soltanto in qualche biblioteca e pochissimi giovani di oggi avranno avuto occasione di sfogliarla. L’applicazione, nella nostra provincia, delle leggi razziste del 1938 ebbe da subito diverse vittime sia in senso figurato che in senso proprio: dagli impiegati pubblici (insegnanti compresi) licenziati, ai ragazzi espulsi dalle scuole, alle lacerazioni in seno a famiglie miste, al suicidio (6 giugno 1939) del cav. Carlo Segré. Il tutto accompagnato, sulla stampa locale (“Il Solco fascista”, “Diana repubblicana”) da una costante campagna di violento antisemitismo basato sul ripescaggio del più bieco e screditato armamentario pseudoscientifico e pseudo culturale (dalle teorie sull’ineguaglianza delle razze umane, ai famigerati Protocolli dei Savi di Sion, al rosemberghiano Mito del XX secolo, all’innesto del moderno razzismo antisemita sul plurisecolare antigiudaismo cat26 marzo 2011

notiziario anpi

tolico nel tentativo (decisamente fallito) di coinvolgere la Chiesa di Roma nella guerra agli ebrei avviata da Mussolini a fianco di Hitler (G. PROTTI, Israele o Cristo?, “Solco fascista”, 10.01.1944, “le origini dell’attuale conflitto risalgono alla crocifissione di Cristo...l’unità d’Italia fu voluta dalla sinagoga ed aiutata coi suoi capitali”, vi si legge fra l’altro). Una guerra che ebbe il suo esito mortale con la RSI, quando il fascismo di Salò coadiuvò gli occupanti nazisti nella deportazione degli ebrei italiani (dieci reggiani fra di loro), nei campi di sterminio. E basta sfogliare la stampa reggiana del periodo per vedere come i fascisti fossero ben consapevoli di cosa la deportazione degli ebrei significasse. Anche se ricorrentemente c’è chi continua a sostenere che “i ragazzi di Salò” nulla sapevano dello sterminio in atto. Cito uno dei tanti scritti apparsi sul settimanale reggiano “Diana repubblicana” il 5 agosto ‘44 (quando assai probabilmente tutti e dieci gli ebrei reggiani erano già finti nei crematori di Auschwitz) . Sotto il titolo La Babele del 2000, l’assiduo collaboratore del periodico, A. Corradi, profetizza tra l’altro che ”tra non molto i pochi ebrei superstiti, riusciti a sfuggire al pogrom più gigantesco che dovrà registrare la storia di tutti i tempi, verranno snidati dai loro nascondigli di fortuna per essere allontanati al pari dei lebbrosi dal civile consorzio...”. Si noti che concetti altrettanto garbati venivano quotidianamente diffusi in piazza, a Reggio, mediante altoparlanti.

I AIUTARONO N IA G G E R I T N A T EGUITATI DAI GLI EBREI PERS NAZIFASCISTI Il 18 febbraio 1944 i dieci ebrei reggiani arrestati da gendarmi nazisti coadiuvati dalla polizia fascista erano tutti nel campo di transito di Fòssoli. Il 22 partivano dalla stazione di Carpi con un convoglio di oltre 600 ebrei rastrellati in varie località del Nord Italia. Tra di loro anche Primo Levi, che di quel viaggio allucinante narrerà in Se questo è un uomo. Di quei dieci non tornò nessuno. Fino alla vigilia della 2a guerra mondiale gli ebrei reggiani si aggiravano su un in totale di circa 120 anime (65 furono gli ebrei censiti nel comune di Reggio). La gran parte, dopo l’8 settembre ‘43, erano fuggiti in Svizzera o in altre parti d’Italia. Alcuni, come il prof. Lazzaro Padoa e la sua famiglia, trovarono rifugio e protezione nella zona di Costabona di Villa Minozzo. Quel centinaio di anime era quanto restava delle Comunità presenti a Reggio, Scandiano, Guastalla e Novellara (per un totale di oltre 1000 anime, delle quali più di 700 nel capoluogo) ancora sul finire dell’Ottocento . Ma se il fascismo reggiano, diventato repubblichino, coadiuvò con solerzia gli occupanti nazisti nella persecuzione e nella deportazione degli ebrei, ci furono anche diversi reggiani che seppero aiutare, con gravi rischi personali, i perseguitati. Da don Enzo Bonibaldoni, che nella sua parrocchia di Quara di Toano ospitò e protesse una famiglia di ebrei milanesi e fu per questo proclamato Giusto fra le Nazioni dallo Yad va-Shem di Gerusalemme, a don Angelo Cocconcelli, che strappò letteralmente dalle mani dei tedeschi l’anziana Beatrice Salmon Tedeschi, a Dorina Storchi, partigiana comunista che ospitò nella sua casa di Via del Portone, a Reggio, i coniugi Modiano, ebrei francesi, mentre il marito, Giovanni Ganassi, era internato in un lager tedesco dove troverà la morte. E a Campagnola dove presso la famiglia Ferrari vennero per mesi ospitati e protetti i coniugi Finzi, ebrei di Trieste, e il loro figlio decenne, ciò che determinò una straordinaria e quasi romanzesca vicenda e lo stabilirsi di un rapporto affettuoso ancora oggi vivo (“RS-Ricerche Storiche”, Istoreco, nn. 107 e 108), e dove il comunista Griminelli ed altri riuscirono ad attivare una filiera per l’espatrio in Svizzera di altri ebrei. Sono solo alcuni degli episodi di solidarietà umana che si verificarono allora. Al di là di ogni mitologia sugli “italiani brava gente”, si può affermare che nonostante l’apparato propagandistico antisemita ed il concreto operato persecutorio contro gli ebrei messi in atto dal fascismo locale dal 1938 al 1944, diversi reggiani seppero comportarsi con grande civiltà, e perfino con eroismo, nei confronti degli ebrei reggiani e non. Le stesse case contadine e operaie che dopo l’8 settembre ‘43 si aprirono per accogliere ex militari italiani sbandati, ex prigionieri alleati fuggiti dal campo di concentramento di Fossoli, seppero con uguale sentimento fraterno accogliere, ogni volta che se ne presentò l’occasione, gli ebrei braccati dai nazisti e dai loro zelanti coadiutori fascisti. Fu anche questo uno degli aspetti, forse meno noto di altri, della Resistenza reggiana.


': LEOPOLDO RAVA IANO CADUTO G G E R O E R B E N U ON GARIBALDI C O D N E T T A B M CO In vista del

memoria

prossimo 27 gennaio, Giornata della Memoria della Shoah, e dopo i vari interventi e polemiche, locali e nazionali, sui temi della identità nazionale, della cittadinanza (jus solis o jus sanguinis), vorrei semplicemente ricordare a noi tutti una bella lapide che si trova nel cimitero ebraico di Via della Canalina. Sotto l’effigie in bassorilievo dell’ebreo reggiano Leopoldo Ravà, morto combattendo a Mentana con Garibaldi nel 1867, si legge la seguente epigrafe, scritta in un italiano stilisticamente obsolèto, per così dire, ma di grande attualità per i contenuti che ci tramanda.

ONORE A/ LEOPOLDO RAVA’ ISRAELITA/ PUGNANDO VOLONTARIO NEL 1866 NEL TIROLO / ED A MENTANA CADENDO FERITO / MOSTRO’ CHE SE VARIE LE CREDENZE/ FRA GLI UOMINI / UGUALE IN TUTTI HA DA ESSERE / L’AMORE PER LA TERRA / CHE CI NUDRISCE INFANTI / I PARENTI CI DA’ E L’IDIOMA / E NEL SUO GREMBO CI DONA / RIPOSO / BENEDETTO IL NOME DEL CADUTO / PER LA PATRIA / PRESSO TUTTE LE GENTI. Lapidi nel cimitero ebraico di Reggio Emilia: un garibaldino del 1867 e uno del 1944

Quando morì Leopoldo Ravà aveva soltanto 22 anni. Nato a Reggio Emilia, in Ghetto, nel 1845, già volontario con Garibaldi nel 1866 nel Tirolo (l’impresa finita col fatidico “Obbedisco”) seguì ancora l’Eroe dei due Mondi nella marcia verso Roma interrotta a Mentana nell’ottobre 1867 dalle truppe franco-papaline. Ferito in combattimento, fatto prigioniero e condotto in un ospedale retto dai gesuiti, volle morire da ebreo. La sua doppia identità, fieramente riven-

dicata dai familiari del giovane Leopoldo nell’epigrafe tombale, di ebreo quanto ad appartenenza religiosa, di italiano quanto a cittadinanza, fu uno dei frutti di Risorgimento, fenomeno complesso sì, ma troppo spesso oggi irrazionalmente bistrattato da leghisti e neo borbonici. Mentre si sono avviate le celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia ed in prossimità del ricordo di quell’unicum che fu la Shoah, la “distruzione degli ebrei d’Europa”, portata

avanti dal nazismo con la complicità di vari fascismi europei, compreso quello italiano, sarà utile ripensare con serietà la nostra storia nella sua complessità di lungo periodo anche per attrezzarci mentalmente alle sfide della società multietnica e multiculturale. Sapendo capire l’Altro per non essere condannati a ripetere ciò di cui la civilissima Europa fu tragicamente capace. Antonio Zambonelli

marzo 2011 27 notiziario anpi


memoria memoria

IO

AR S R E V I N N A ° 67

I T I M I I BEAT

a r r e t a l o n n a r e perché eredit Ricordati il 31 gennaio scorso Don Pasquino Borghi, età 40, Romeo Benassi, 40; Umberto Dodi, 49; Dario Gaiti, 47; Destino Giovannetti, 53; Enrico Menozzi, 53; Contardo Trentini, 42; Ferruccio Battini, 32; Enrico Zambonini, 51, fucilati al poligono di tiro dai fascisti il 30 gennaio 1944 Non è facile parlare in questo luogo, prima della celebrazione ho passeggiato attorno a queste mura pensando alle parole più adatte a ricordare fatti di 67 anni fa e ho pensato di iniziare raccontandovi degli incontri, tre incontri avvenuti in quei mesi dell’autunno inverno 1943-44. Il primo incontro si svolge il 24 ottobre 1943, i giorni sono quelli dell’autunno dopo l’armistizio. Il nostro Appennino era diventato il crocevia di ragazzi in fuga, alleati dai campi tedeschi e italiani, italiani abbandonati dopo il disastro dell’8 settembre. Cercavano un rifugio, una casa, un luogo dove fermarsi, chi una notte, chi giorni e settimane. Sul nostro Appennino sono le canoniche ad aprirsi per prime. In quel 24 ottobre don Pasquino prende possesso della sua parrocchia. Don Pasquino ha quarant’anni e arriva in quella parrocchia sperduta dopo un lungo viaggio, non solo interiore ma anche geografico: dall’Italia al Sudan, dal Sudan di nuovo in Italia, alla Certosa di Farneta, fino a Canolo. Don Pasquino arriva in quella montagna e incontra altri sacerdo28 marzo 2011

notiziario anpi

ti, un disegno della Provvidenza per chi crede, un caso fortunato per gli altri. Lo accoglie don Paolino Canovi, parroco di Gazzano, che sarà arrestato la vigilia di Natale per aver ospitato soldati inglesi, portato ai Servi e torturato; lo accoglie don Mario Prandi che ha già avviato a Fontanaluccia quell’esperienza eccezionale di carità che è giunta fino ad oggi; lo accoglie don Vasco Casotti, parroco a Febbio, che nasconderà, dopo lo scontro di Cerrè Sologno, Miro e Barbolini feriti nella sua canonica che sarà poi la sede del Comando unico della formazioni partigiane reggiane; lo accoglie don Venerio Fontana, arciprete di Minozzo che sfuggirà, il 1 agosto, alla strage dove cadranno sei dei suoi; lo accoglie il più anziano di quei sacerdoti: don Battista Pigozzi che cadrà il 20 marzo sull’aia di Cervarolo con 23 dei suoi parrocchiani. A poca distanza poi don Enzo Bonibaldoni, parroco di Quara, riconosciuto “Giusto fra le nazioni”, per l’aiuto dato alla salvezza di fratelli ebrei. Quella era la montagna reggiana, dove la “via delle canoniche” offriva soccorso

e difesa ai più poveri di quelle tragiche giornate. Il secondo incontro si svolge il 10 gennaio 1944, il luogo è la canonica di S. Pellegrino, don Angelo Cocconcelli, Giuseppe Dossetti incontrano don Pasquino che è già “in fuga”, dopo la lettera del 27 dicembre al vescovo Brettoni dove scrive “sembra di essere tornati alla catacombe”. Don Angelo e Dossetti lo invitano alla prudenza, la sua attività di aiuto ai fuggitivi e ai primi nuclei partigiani (i Cervi) ormai è nota ai fascisti. Quei ragazzi che ospita dovrebbero cercare altri rifugi, “ma dove li mando con trenta centimetri di neve gelata, se nessuno li vuole!” – obietta don Pasquino. Il buonsenso dei due amici incalza: “Ma è un pericolo mortale!”, ma lui taglia corto: “Ma si può dare anche dare la vita per la patria libera!”. Il terzo incontro, quello finale, si svolge nella notte fra sabato 29 e domenica 30 gennaio, carcere dei Servi (un luogo di memoria che abbiamo cancellato). Don Pasquino, che era stato imprigionato a Scandiano, viene unito ai “suoi”. Incontra


memoria

Massimo Storchi insieme alla autorità

Romeo Benassi, 40 anni, muratore; Umberto Dodi, 49, operaio alle “Reggiane”; Dario Gaiti, 47, muratore; Destino Giovannetti, 53, operaio “Reggiane”; Enrico Menozzi, 53, piccolo proprietario; Contardo Trentini, 42, cordaio; Ferruccio Battini, 32, falegname; Enrico Zambonini, 51, anarchico, di Secchio. Vite diverse, lontane che s’incrociano per finire insieme. Qui al Poligono arrivano insieme alle 6.30, muoiono insieme alle 7.18 di quelle domenica mattina di gennaio. Oggi noi siamo qui, dopo 67 anni, per commemorare, cioè per ricordare insieme, per fare memoria comune di quei fatti. Da poco abbiamo celebrato la “Giornata della memoria” per ricordare le vittime della Shoah, e usiamo molto questo termine “memoria”, ma cos’è la “memoria”? Dei tanti contenuti ne voglio sottolineare alcuni. Ricordare è una forma di giustizia: nessuno dei 9 uccisi qui il 30 gennaio ha avuto giustizia. I 4 responsabili non hanno mai pagato per le loro azioni: due uccisi ancora in guerra, altri due, pur processati (contumaci) nel 1946 e condannati a 24 anni di carcere, hanno visto cancellata la loro giusta condanna dall’amnistia. Ricordare don Pasquino e i suoi è dare loro un po’ di giustizia. Ricordare è una forma di educazione: “Noi siamo quello che ricordiamo” (M. Luzi) e, aggiungo io, noi diventiamo anche quello che abbiamo dimenticato. Oggi ce la prendiamo con gli immigrati:

e ci scordiamo di essere stati un popolo di migranti (26 milioni di italiani hanno lasciato l’Italia nei 150 anni dell’Unità), costruiamo i CPT, moderni lager e ci scordiamo Ellis Island, a New York, dove i nostri migranti erano rinchiusi e schedati. Il 27 gennaio siamo a commemorare la Shoah e dimentichiamo i nostri campi di concentramento in Libia, ad Arbe. Infatti, per meglio dimenticare, non abbiamo voluto aggiungere un’altra data per il giorno della Memoria da affiancare al 27 gennaio: ad esempio il 16 ottobre, memoria della razzia del ghetto di Roma. Ce la prendiamo con gli zingari e i rom e dimentichiamo che furono i primi ad essere arrestati e sterminati perché di loro nessuno si curava. E la forza di una democrazia si misura sulla tutela che si dà ai più deboli non ai più forti della società. Oggi siamo a commemorare un evento, parliamo di “dovere” della memoria, ma dobbiamo stare attenti, istituzioni e cittadini, che il “dovere” non si trasformi in “obbligo”, qualcosa da soddisfare una volta all’anno perché si “deve”, e basta. Se la memoria è educazione la memoria si costruisce sempre, non basta una giornata, si costruisce con un lavoro continuo, con i “Viaggi della memoria”, con le scelte culturali e amministrative. Oggi si parla di “devastazione antropologica” ma se noi diventiamo quello che ricordiamo e non ricordiamo niente cosa diventiamo? Diventiamo il “nulla” che conduce, appunto, alla “devastazione antropologica”, un processo che è passato, silenzioso nel tempo, anche attraverso l’oblio, la riscrittura della storia, la sua cancellazione. Oggi poi ci troviamo in un passaggio storico decisivo con la scomparsa dei testimoni. Noi abbiamo avuto la fortuna di ascoltare don Cocconcelli, Romolo Fioroni, Placido Giovannetti (il figlio di Destino che veniva qui al Poligono portando in tasca l’ultima lettera del padre ucciso) ma i nostri figli? Senza testimoni come potremo ancora “fare memoria”? Certo tocca a ciascuno di noi adempiere all’invito biblico “Quello che avete visto e udito ditelo ai vostri figli”, ma non basta. Dopo la scomparsa dei testimoni due elementi sono diventati decisivi per trasmettere memoria: i luoghi e le fonti, i documenti.

Allora perchè le parole non restino solo buoni propositi diamoci delle scadenze per il prossimo Giorno della Memoria, il Ghetto aspetta da 15 anni segni concreti che dicano al passante che lì è esistita per secoli una comunità che è stata cancellata; collochiamo le “pietre di inciampo” davanti alle case dove vissero i dieci ebrei reggiani finiti ad Auschwitz; in montagna segniamo le canoniche di Tapignola, di Febbio, di Quara come luoghi di coraggio e di salvezza. Don Pasquino diceva che per la patria libera si può anche morire, a noi non è chiesto tanto, è chiesto però un impegno concreto e quotidiano per difendere quei valori, per trasmetterli ai nostri figli, per essere, in fondo, cittadini migliori. Massimo Storchi

"Ricordare è una forma di giustizia: nessuno dei 9 uccisi qui il 30 gennaio ha avuto giustizia. I 4 responsabili non hanno mai pagato per le loro azioni: due uccisi ancora in guerra, altri due, pur processati (contumaci) nel 1946 e condannati a 24 anni di carcere, hanno visto cancellata la loro giusta condanna dall’amnistia. Ricordare don Pasquino e i suoi è dare loro un po’ di giustizia. Ricordare è una forma di educazione: “Noi siamo quello che ricordiamo” (M. Luzi) e, aggiungo io, noi diventiamo anche quello che abbiamo dimenticato. "

marzo 2011 29 notiziario anpi


memoria 3 febbraio

66° ANNIVERSARIO

COMMEMORATI I MARTIRI

4

DI VIA PORTA

BRENNONE

Giovedì 3 febbraio si è ricordato, davanti alla lapide posta in Via Porta Brennone, a Reggio, il 66° anniversario del sacrificio dei quattro partigiani lì fucilati, dopo atroci torture, il 3 febbraio 1945, in un periodo in cui si contarono a decine le vittime degli eccidi fascisti. Prelevati dal vicino carcere “dei Servi”, gestito dalla GNR, i corpi martoriati furono lasciati sul posto, per ordine del prefetto Caneva, quale monito alla popolazione civile per non collaborare alla Resistenza. Erano Cristoforo Carabillò, 28 anni, ex ufficiale dell’esercito passato al nascente movimento partigiano subito dopo l’8 settembre ’43, Sante Lusuardi, 22 anni, della 77a SAP e Dino Turci, 21 anni, della 37 a GAP, entrambi di Correggio, Vittorio Tognoli, 24 anni, studente universitario, di Scandiano, appartenente alla 77 a SAP. Organizzata dal comitato cittadino ANPI, in collaborazione col Comune di Reggio, la cerimonia si è conclusa,

30 marzo 2011

notiziario anpi

dopo la collocazione di un omaggio floreale, con brevi parole di Antonio Zambonelli, che ha fra l’altro richiamato la necessità di non dimenticare, in un periodo come questo di “rovescismi” storiografici, le atrocità fasciste contro coloro che si battevano per la conquista della democrazia, atrocità rievocate, con una scrupolosa documentazione, nel libro di Massimo Storchi, Il sangue dei vincitori. Nella foto, da sinistra, tra gli altri, Francesco Bertacchini Volpe, il consigliere Andrea Capelli, per il Comune di Reggio, Gaspare Denti (ANPI Scandiano, assieme a Giuseppe Campioli), Roberto Bertacchini, consigliere provinciale, Giulia Iotti, consigliera comunale di Scandiano, il presidente ANPI Giacomo Notari e Antonio Zambonelli. Tra i presenti anche Anna Ferrari, Luciano Cattini e Gino Ghiacci, per l’ANPI cittadina.

27 FEBBRAIO 1945 LA BATTAGLIA DI FABBRICO Quando questo numero del “Notiziario” sarà in distribuzione sarà già avvenuta la commemorazione del 66° anniversario della battaglia di Fabbrico. Si spera senza il ripetersi della troppe volte avvenuta provocazione fascista. Per collegarci alla memoria di quell’evento, volentieri pubblichiamo dei versi che nel febbraio 1984 il compianto James Pasquali, operaio della Landini che amava firmarsi come Gems il Metalmeccanico, compose dedicandoli “Ai coniugi Corgini con tanto affetto”. Quel giorno nebbioso / che vissi con ansia / braccato dal servo al tedesco / in colonna indifeso.../ poi venne l’attacco partigiano / riscatto fraterno / deciso lo smacco / per il nero nemico / e ricordo gli eroi di quei duri momenti. Fratelli caduti / voi sempre restate / nel tempo le luci / di quelle giornate. Il vostro ricordo / non deve svanire. / Momenti vissuti con fede, con odio /. Ma per voi giovani tali momenti / non sian solo ricordo, / ma storia da tanti vissuta / per voi che non avete sofferto / conoscendo quell’odio.


IN MEMORIA DELLA PARTIGIANA LAURA POLIZZI “MIRKA”.

Profondo il suo legame con Reggio Emilia

Laura Polizzi alla fine del maggio 1944 sull’Appennino reggiano

LAURA POLIZZI “MIRKA” 30/09/1924 - 22/01/2011

Il 22 gennaio è deceduta Laura Polizzi Mirka. Lunedì pomeriggio 24 gennaio si sono svolti a Parma, dove era nata nel 1924 in una famiglia antifascista dell’Oltretorrente (Secondo, il padre, aveva partecipato alle barricate del 1922, deportato nel ’44 morirà a Mauthausen...), i funerali di Laura Polizzi, Mirka nella Resistenza. Aveva 86 anni. Alla sua figura è stato dedicato largo spazio nella giornata di domenica sulla stampa di oltre Enza . Ben nota anche a livello nazionale come dirigente dell’ANPI, aveva sempre avuto un legame particolare con la nostra provincia. Entrata nella resistenza a Parma già dall’autunno 1943 ( quando lavorava come commessa) operò fino a quando dovette entrare in clandestinità perché ricercata. Fornita di documenti falsi nel marzo ‘44 fu trasferita a Reggio come animatrice della già avviata organizzazione dei Gruppi di difesa della Donna, avendo al suo fianco Idea Del Monte, Tisbe Bigi, Clara Vacondio, poi Velia Vallini, Carmen Altare, Leda Mazzali, Rina Manzini, Bianca Boni e tante altre. Dalla tarda primavera all’estate fu trasferita in Appennino dove ebbe anche il ruo-

lo di vice commissario in quanto stretta collaboratrice del commissario generale Eros nell’attività di orientamento politico, in particolare per smussare le punte di settarismo. Dal settembre fino a dicembre ‘44 la troviamo di nuovo alla guida dei GdD, ed a contatto, lei comunista, con esponenti di altre aree politiche: la prof. Lina Cecchini (DC), il prof. Giuseppe Dossetti e Malvina Magri (socialista). Il movimento organizza ormai oltre 600 donne ed anima varie manifestazioni per la richiesta di miglioramento del salario alle mondariso, per protestare contro la fame e ottenere derrate alimentari. Vi si affianca altresì un’attività clandestina di “prelievi”, con l’appoggio di formazioni partigiane armate, di formaggio e burro poi distribuito alla popolazione. Straordinario l’impegno dei Gruppi a partire da fine novembre per la raccolta e l’avvio in montagna di alimenti, vestiario e generi di conforto destinati ai partigiani che non avevano accolto il “proclama Alexander” mirante alla sospensione dell’attività partigiana in attesa della primavera. Fu anche grazie a questa attività di sostegno che i distaccamenti partigiani riuscirono ad affrontare il duro inverno ‘44-45. Da febbraio fu attiva nel movimento clandestino a Milano, città dove ebbe l’onore di essere chiamata a parlare dal balcone nel giorno della liberazione, a fianco dei massimi dirigenti della Resistenza. Nella Resistenza reggiana Mirka incontrò anche l’uomo che diventerà suo marito, Pio Montermini, Luigi, fornaio di Villa Rivalta, condannato dal Tribunale speciale, nel 1939, a otto anni di reclusione per la sua militanza nel PCI clandestino. Anche Luigi, come Mirka nel parmense, era stato tra i primi organizzatori delle formazioni partigiane nel reggiano. Comandante di quel distaccamento “Bedeschi” che fu una vera e propria “scuola quadri” divenne poi comandante della 26a brigata Garibaldi. Per la sua coraggiosa attività e per i ruoli cui seppe far fronte Mirka fu congedata col grado onorifico di capitano. Nel post liberazione Mirka e Luigi si stabilirono a Parma uniti anche nel comune impegno in politica e nel sociale , un impegno che condivisero fino alla morte di Luigi, avvenuta nel 1983. Negli ultimi anni l’impegno di Mirka si concretizzò in particolare nell’ANPI, sia come Presidente provinciale di Parma che, in particolare, come apprezzata diri-

gente a livello nazionale. Il cordoglio espresso a Parma sia da istituzioni che da personalità di vario orientamento politico sono la prova della stima e dell’apprezzamento che Mirka si era guadagnata in tanti ambienti, a cominciare da quello della scuola, per le coinvolgenti testimonianze con le quali cercava di trasmettere ai giovani i valori per i quali si era battuta tutta la vita e che vedeva incarnati nella Costituzione repubblicana. L’ANPI reggiana rinnova le più sentite condoglianze al figlio di Mirka, Aldo Montermini e ai compagni dell’associazione consorella di Parma. Antonio Zambonelli

IL MESSAGGIO DEL COORDINAMENTO FEMMINILE PROVINCIALE DELL’ANPI A RICORDO DI “MIRKA” A nome delle donne partigiane ed antifasciste di Reggio Emilia esprimiamo il nostro profondo cordoglio per la scomparsa di Laura Polizzi Mirka, limpida figura di dirigente della Resistenza, insignita di stella d’oro al merito e congedata con il grado onorifico di capitano, in tutta la sua vita combattente per la libertà, la democrazia, i diritti delle donne. Siamo vicine in questa dolorosa circostanza al figlio, ai familiari, all’ANPI di Parma e all’ANPI nazionale, di cui era Presidente onoraria. Ricordiamo con riconoscenza il suo profondo legame con Reggio Emilia, per il suo ruolo fondamentale nella Resistenza, quale animatrice, coordinatrice e dirigente dei Gruppi di difesa della donna nella nostra provincia e per l’apprezzamento e l’affetto da lei più volte manifestato alle donne reggiane per il coraggio, la dignità e l’abnegazione con cui hanno affrontato la difficile lotta per la liberazione del paese. Come responsabile Nazionale delle donne dell’ANPI, tenace e appassionato è stato il suo impegno volto a conservare valorizzare e trasmettere alle giovani generazioni la memoria storica del ruolo fondamentale delle donne nella conquista della libertà e della democrazia. Custodiremo nel cuore la testimonianza di tutta la sua vita come un tesoro prezioso ed uno stimolo all’impegno per difendere e promuovere i valori in cui ha creduto e per cui ha combattuto. marzo 2011 31 notiziario anpi


PARMA HA DATO L’ULTIMO SALUTO A LAURA POLIZZI “MIRKA” “La cerimonia è stata di una sobrietà e semplicità esemplare, nello stile che sarebbe piaciuto a Mirka. E’ iniziata con il saluto dell’amatissima nipote, che ha ricordato il comune amore per la musica, e ha cantato per Mirka la canzone che insieme sempre cantavano: Oltre il ponte del Nuovo canzoniere Italiano di Fausto Amodei. Un momento di grande intensità e commozione…” Una delegazione dell’ANPI di RE, della quale ho fatto parte insieme a Peppino Catellani, a Giorgio Romani e a Francesco Bertacchini, ha partecipato a Parma lunedì 24 gennaio, alla commossa cerimonia di commiato di Laura Polizzi Mirka, che si è tenuta presso la sede provinciale di Parma. Non è facile rendere il clima di intensa partecipazione civile ed emotiva che ha caratterizzato le celebrazioni. Una grande folla di donne e di uomini, partigiani, partigiane, delegazioni delle ANPI dalle altre città e semplici cittadini, tanti i giovani e le ragazze, si è formata sin dalle prime ore del pomeriggio davan-

RINA ALGERI (ANNUSCA) 04/04/1925-20/01/2011

Il 20 gennaio u.s. veniva a mancare la Staffetta partigiana Rina Algeri Annusca.

32 marzo 2011

notiziario anpi

ti e nella sede dell’ANPI di Parma, ove era esposta la salma di Mirka, per porgerle l’ultimo saluto. La sede non poteva certamente contenere tutta quella folla. C’era davvero, lì davanti, la Parma migliore, Parma democratica ed antifascista, centro di partecipazione civile, luogo di cultura, di bellezza, di valori forti ed intensamente vissuti. Si avvertiva nelle persone il bisogno di testimoniare, con la loro presenza e partecipazione, non solo l’affetto che le legava ad una protagonista della storia del nostro paese e della faticosa e dolorosa conquista della democrazia e della libertà, ma anche la consapevolezza di dovere assumersi oggi le proprie responsabilità. La cerimonia è stata di una sobrietà e semplicità esemplare, nello stile che sarebbe piaciuto a Mirka. E’ iniziata con il saluto dell’amatissima nipote, che ha ricordato il comune amore per la musica, e ha cantato per Mirka la canzone che insieme sempre cantavano: Oltre il ponte del Nuovo canzoniere Italiano di Fausto Amodei. Un momento di grande intensità e commozione. Sono seguiti gli interventi del sindaco Pietro Vignali e del Presidente della Provincia Vincenzo Bernazzoli che l’hanno indicata come “esempio” di vita e di coerenza democratica per tutti i cittadini.

Il Presidente dell’APC Sergio Gigliotti, anome delle altre associazioni partigiane, di Parma ha giustamente voluto sottolineare che l’antifascismo di Mirka, come quello delle donne e degli uomini della Resistenza, è stato innanzitutto un atto di amore, amore per gli esseri umani, per la vita, per la propria patria, per la libertà. Marisa Ferro, a nome dell’ANPI nazionale e del Coordinamento femminile nazionale ha ricordato il prezioso impegno di Mirka come responsabile nazionale delle donne dell’ANPI e ribadito il dovere di non disperdere il suo impegno continuando nello sforzo di valorizzazione della partecipazione delle donne alla Resistenza. Gabriella Manelli, presidente della sezione cittadina dell’ANPI di Parma, ha infine tracciato, con grande efficacia e aderenza alla sua essenza profonda, il profilo umano e politico di questa donna straordinaria, facendone emergere la forza, il coraggio, la coerenza ai valori in cui fortemente credeva e il messaggio che tutta la sua vita ci lancia: essere capaci di fare oggi la nostra parte. “Adesso tocca a noi”. Questo è stato il commento finale di una ragazza che abbiamo casualmente raccolto. Un messaggio di speranza e di fiducia. Grazie Mirka. Eletta Bertani

Militò nel 1° Battaglione della 76a BRG SAP. Da giovane abitava a Ca’ de Caroli di Scandiano (loc.tà Piaderna). Nella 1a decade di gennaio 1945, i membri del CLN di Scandiano, sempre braccati dalla milizie fasciste, presero la decisione di spostare il Comando della 5a a Viano, e viene scelta una giovane Staffetta del Comando, la “nostra” Rina Algeri Annusca, una giovane ragazza di 19 anni, seria sveglia e capace. Annusca ha portato avanti con coraggio i tanti e difficili compiti che le venivano assegnati. E’ stata con Nelda Magnani (in Vivi) Scampolo una delle più belle figure fra le 77 staffette della zona, che comprendeva i Comuni di Castellarano, Casalgrande, Rubiera, Scandiano e Viano. Finita la guerra, sposa Vigilio Torricelli di Arceto. Annusca era modesta, piuttosto schiva e a volte anche severa; era

orgogliosa di aver speso una vita per la famiglia sua e per quelle dei tre figli, tutti sposati e bravi, che l’hanno ricompensata con tante soddisfazioni ed affetto. Ad Arceto, con la musica, la bandiera dell’ANPI e tanta gente Rina ha avuto il funerale che meritava. Al marito Vigilio e ai figli Sauro, Antonella e Lorenza vanno le fraterne condoglianze dell’ANPI di Scandiano che a ricordo offrono pro Notiziario. ANPI Scandiano


do in particolare gli aspetti amministrativi. Il commiato, per espressa volontà dello stesso Mario, in forma strettamente familiare. Rinnoviamo da queste pagine il nostro commosso cordogli alla moglie Annamaria, alla figlia Lorenza e alla nipote Chiara. Di seguito la parte finale della toccante poesia scritta nella dolorosa circostanza da Chiara:

TERZO COMI (WAINER) 21/04/1926-04/01/2011 Il 4 gennaio u.s. è deceduto, dopo breve ma inesorabile malattia, l’amico partigiano della 284a Brigata Fiamme Verdi cav. Terzo Comi di Carpineti . Comi è stato per oltre vent’anni vice presidente provinciale dell’ALPI-APC, a fianco dell’amico e maestro Romolo Fioroni deceduto nella primavera 2010. Assieme hanno lavorato per ricostruire unità e collaborazione tra le due associazioni partigiane ANPI e ALPI-APC favorendo la partecipazione alle cerimonie del 25 aprile e alle commemorazioni dei nostri caduti sui luoghi degli eccidi nazifascisti. Per oltre un ventennio è stato un fiero e orgoglioso animatore e organizzatore di amici, facendo conoscere i luoghi dove si è svolta la Resistenza. Era un amico sincero, un democratico, uno che ha creduto negli ideali di progresso sociale e civile delle forze lavoratrici in quanto di origini contadine. Dopo la guerra e un periodo di servizio nella polizia disStato, ha esercitato il delicato mestiere di casaro per oltre 25 anni meritandosi medaglie e la nomina a Cavaliere. Con affetto e stima rinnoviamo alla moglie e ai figli le nostre sentite condoglianze. Bruno Valcavi ANPI di Carpineti L’ANPI provinciale, nella persona del presidente Notari, e la nostra redazione si associano al cordoglio per il caro amico scomparso.

Mario Catellani (Giorgio)

28/04/1926-28/01/2011 Il 28 gennaio u.s. è morto Mario Catellani. Nato in una famiglia operaia della periferia cittadina (l’attuale quartiere Orologio) il 28 aprile 1926, Mario aveva studiato fino al conseguimento della 3a avviamento professionale. Dai primi di marzo del ’44, quando non aveva ancora 18 anni, era entrato a far parte delle nascenti formazioni della Resistenza (nome di battaglia Giorgio) nelle quali militò fino alla liberazione, venendo congedato con la qualifica di “partigiano combattente”. Nell’immediato postLiberazione lavorò come impiegato al locale distretto militare ma fu poi indotto a lasciare il posto così come accadde a diversi altri ex partigiani inseriti nella polizia di stato. Fu poi vigile urbano per vari anni e fino al pensionamento. In seguito, e fino al manifestarsi della malattia, fu assai attivo nel sociale e amante dell’attività sportiva. Per alcuni anni fu direttore di alberghi gestiti dalla Camera del lavoro di Reggio sia in località montane che marine, e in seguito anche amministratore del Circolo del tennis. Appassionato di escursioni in montagna e delle lunghe pedalate, fino a pochi mesi or sono lo si poteva incontrare mentre camminava a passo lesto per le strade del quartiere in cui era nato 84 anni or sono e nel quale è andato stoicamente incontro alla morte. La sua fine colpisce in modo particolare l’ANPI reggiana, della quale Mario era stato, tra gli anni ottanta e novanta, uno degli attivisti volontari curan-

[…] Hai deciso di spiccare il volo. Quel volo che hai sempre desiderato fare quando sognavi di avere un paio di ali. Eccolo: il volo della felicità, il volo della pace, il volo della speranza, il volo della libertà. Questa volta, però, l’hai fatto senza di me. Non ho potuto salutarti, non ho potuto abbracciarti, non ho potuto darti un bacio, non ho potuto augurarti buon viaggio. Sei partito all’improvviso, senza dirmi nulla. Te ne sei andato verso qualcosa che forse neppure c’è. E per la prima volta non mi hai portato con te. Per la prima volta non mi hai indicato il sentiero. Per la prima volta mi hai lasciato sola. Rimangono, però, tante storie, tanti ricordi, tanti viaggi. Una vita insieme. Le nostre storie, i nostri ricordi, i nostri viaggi. La nostra vita insieme. Guardami, nonno, dovunque tu sia, guardami: ho ancora bisogno che la tua luce illumini il mio cammino. La tua Chiara

marzo 2011 33 notiziario anpi


SELVINO LANZONI

66° ANNIVERSARIO

Il 23 marzo ricorre il 66° anniversario della morte del Partigiano Selvino Lanzoni, appartenente alla 77a BGT SAP, di Casoni di Luzzara. E’ passato tanto tempo, ma il ricordo è sempre vivo nel cuore delle sorelle Delcisa e Franca e di suo marito Nino. In suo onore offrono pro Notiziario.

ATHOS BRUGNOLI (ALVARO)

so in proprio, con tanti sacrifici, continuando a svolgere, insieme al figlio, il proprio mestiere fino a 80 anni: metalmeccanico tornitore. Poi la salute ha cominciato a cedere. La moglie, il figlio, la nuora e Marianna, la nipotina, ricordandolo con tanto affetto, offrono al giornale dell’ANPI

WILLIAM SIGNORELLI

IN MEMORIA

Per ricordare William Signorelli, deceduto a 20 anni in un lager tedesco, il fratello Mariano offre pro Notiziario.

10° ANNIVERSARIO

Il 14 febbraio ricorre il 10° anniversario della scomparsa del Partigiano Athos Brugnoli Alvaro, della 144a BGT Garibaldi. Il figlio Giuseppe lo ricorda e sottoscrive pro “Notiziario”.

VANDO BARICCHI (CARLO)

5° ANNIVERSARIO

Il giorno 20 gennaio ricorreva il 5° anniversario della scomparsa del partigiano Vando Baricchi Carlo. Nel suo ricordo e in quello degli ideali che ha vissuto e ha saputo trasmetterci, lo ricordano con tanto affetto la moglie Bruna, i figli Roberto e Stefano, le nuore e i nipoti. Per tutti, Tu sei ancora qui con noi.

FULVIO BARBIERI (GOR)

10° ANNIVERSARIO

Il 27 gennaio ricorreva il 10° anniversario della scomparsa del Partigiano Fulvio Barbieri Gor, comandante di distaccamento della 144a BGT Garibaldi. La moglie Pierina Catellani, il figlio Aldo, unitamente alla famiglia, nel ricordarLo con immutato affetto sottoscrivono pro Notiziario.

GIANFRANCO SARATI

1° ANNIVERSARIO

Gianfranco Sarati, Partigiano della 77a BGT SAP, nato il 5 dicembre 1927 e morto il 17 marzo 2010, è stato un uomo che ha lottato per la Liberazione; ha lavorato alle Reggiane e ha fatto la lotta assieme a tutti. Rimasto disoccupato, dopo un anno, ha trovato lavoro presso un artigiano. Dopo dieci anni, si è mes-

34 marzo 2011

notiziario anpi

AMUS FONTANESI

11° ANNIVERSARIO

Il 16 marzo ricorre l’11° anniversario della morte di Amus Fontanesi, eminente personaggio della provincia di Reggio Emilia, noto per la sua intensa attività politica e sociale. Dedicò il suo impegno nel campo amministrativo, sia nel settore della pubblica amministrazione sia nella cooperazione, operando con intelligenza in molti e delicati processi di ristrutturazione. Fu anche apprezzato ricercatore storico e autore di libri sul mondo della cooperazione. La sua memoria, oltre che nella famiglia, rimarrà sempre viva in tutti coloro che coltivano ideali di democrazia e di pace. La vedova Giuseppina Montanari e il figlio Massimo offrono pro Notiziario.

ADORNO BACCARINI (SINGHER)

4°ANNIVERSARIO

Per onorare la memoria del marito Adorno Baccarini Singher, Partigiano della 77a BGT SAP, Franca Messori, a sua volta Partigiana della 77a, col nome di Marisa, offre pro Notiziario.

IRMA SPAGGIARI ELIO SASSI (RUGGERO)

ANNIVERSARI

Per ricordare la Staffetta partigiana Irma Spaggiari di Correggio, scomparsa 28 anni fa, e il Partigiano Elio Sassi Ruggero, deceduto 19 anni fa, i figli Uliano e Nilde, unitamente alle famiglie, sottoscrivono pro Notiziario.


Quel Gioiellino così affascinante e pericoloso!

USCITA 4 MARZO

Il Gioiellino è liberamente ispirato al crac Parmalat ma non è un film denuncia piuttosto un altro thriller dalle dinamiche sottili e dai risvolti oscuri. Una grande azienda agro-alimentare ramificata nei cinque continenti, quotata in Borsa, in continua espansione verso nuovi mercati e nuovi settori: quello che si dice un gioiellino. Il suo fondatore, Amanzio Rastelli (Remo Girone), padre padrone dell’azienda, ha messo ai posti di comando i suoi parenti più stretti: il figlio, la nipote, più alcuni manager di provata fiducia - malgrado i loro studi si fermino al diploma in ragioneria. Un management inadeguato ad affrontare le sfide che pone il mercato. E, infatti, il gruppo s’indebita. Sempre di più. Nonostante l’intervento del fedele Ernesto Botta (Toni Servillo) insieme a Laura Aliprandi (Sarah Felberbaum), non basta falsificare i bilanci, gonfiare le vendite, chiedere appoggio ai politici, accollare il rischio sui risparmiatori attraverso operazioni di finanza creativa sempre più ardite… La voragine è diventata troppo grande e si prepara a inghiottire tutto. Andrea Molaioli è molto chiaro: “Non

volevo fare un film alla Michael Moore, il mio è una pellicola che fruga nei dietro le quinte, nelle dinamiche complesse che si celano nella new economy”. E, ancora una volta, come nella Ragazza del lago andiamo in un paese di provincia, in “una cittadina del centro Nord che dietro la sua aria piacevole e rassicurante nasconde profondi malesseri. – continua il regista – Un posto dove la gente si ritrova sempre negli stessi luoghi, dove tutti sanno tutto di tutti. E dove un piccolo imprenditore che fino al giorno prima era uno come gli altri diventa in pochi anni il capo di una multinazionale, uomo di potere che incute rispetto e devozione”. “Mi sono liberamente ispirato ai fatti di Collecchio e agli sviluppi della vicenda Parmalat. – conclude Molaioli – Però io non giudico, ma racconto, senza manicheismi, un’azienda che va in malora, guardandola con gli occhi dei suoi personaggi. Mentre i vertici escogitano trucchi complessi per farla apparire florida. Un meccanismo sciagurato che richiede la faccia tosta e nervi d’acciaio. Lo stesso sistema che vale anche per le casse dello Stato, tanto l’impunità è garantita”.

Dopo il grande successo di La ragazza del lago, Andrea Molaioli torna con il suo secondo film, lavorando nuovamente con Toni Servillo.

Il gioiellino Il Gioiellino (Italia, 2010) Regia di Andrea Molaioli con Toni Servillo, Remo Girone, Sarah Felberbaum, Fausto Maria Sciarappa, Vanessa Compagnucci, Lino Guanciale, Renato Carpentieri 110’, drammatico Uscita: 4 marzo

marzo 2011 35 notiziario anpi


i sostenitori notiziario

Il “Notiziario ANPI” è una voce della resistenza e della democrazia. PER VIVERE HA BISOGNO DEL TUO AIUTO

- ORIANNA SANTINI – in memoria del marito Gianfranco Sarati ...........................................................euro 30,00 - MARIANO SIGNORELLI – in ricordo del fratello William........... “ 50,00 - SILVIA SPAGGIARI – a sostegno ............................................ “ 25,00 - ARISTIDE BARBIERI, ALDO CATELLANI – in ricordo di Fulvio Barbieri .................................................................. “ 100,00 - LINA CURTI, Poviglio – a sostegno ........................................ “ 30,00 - WILLIAM GANDINI, Canossa – a sostegno ............................. “ 25,00 - PAOLO BORCIANI – a sostegno . ........................................... “ 15,00 - GIUSEPPE BRUGNOLI – in ricordo di Athos Brugnoli "Alvaro" .................................................... “ 50,00 - ANNAMARIA GHIDONI – a sostegno ...................................... “ 30,00 - DONATELLA CHIOSSI – a sostegno ....................................... “ 30,00 - BRUNO MANFREDI, Cavriago – a sostegno ........................... “ 100,00 - SEZ. ANPI CANOSSA – a sostegno ........................................ “ 105,00 - BRUNA CATTANI – in ricordo di Vando Baricchi ..................... “ 50,00 - MERI MORTALI – a sostegno ................................................ “ 25,00 - CURZIO ZANICHELLI – a sostegno ........................................ “ 25,00 - ARMANDO SILVA – a sostegno . ............................................ “ 105,00 - FRANCO SCARDOVA, Luzzara – a sostegno .......................... “ 100,00 - NINO MERZI, FRANCA, DELCISA – in memoria di Selvino Lanzoni................................................................. “ 50,00 - ULIANO e NILDE SASSI – in ricordo di Elio Sassi e Irma Spaggiari.................................................................... “ 50,00 - FAM. CAVALLINI – in memoria del partigiano Mario Cavallini.. “ 50,00 - RENATO FANTINI – a sostegno . ............................................ “ 30,00 - EBE VECCHI e figli – a sostegno . .......................................... “ 70,00 - ZORA ZULIANI MUSSINI – a sostegno ................................... “ 100,00

- ANGELO BURANI – a sostegno . ............................................ “ 50,00 - LUCIANO BONACINI – a sostegno ......................................... “ 30,00 - IDEO e MARIA BONORI – in memoria dei loro cari . ............... “ 50,00 - LAILA GROSSI – a sostegno . ................................................ “ 50,00 - FRANCESCO SBARLATI – a sostegno .................................... “ 5,00 - EROS MARMIROLI – a sostegno ........................................... “ 50,00 - NATASCIA FERRARI, Fabbrico – a sostegno . ......................... “ 25,00 - FRANCA GOZZI PARMIGIANI, Poviglio – a sostegno ............... “ 50,00 - SALVATORE RUSSO – a sostegno . ........................................ “ 40,00 - ENRICO LELLI – in ricordo dell’amico Vincenzo Ugoletti ........ “ 100,00 - ALESSANDRO FONTANESI – in memoria di Corrado Cilloni . ................................................................ “ 10,00 - DENIS FONTANESI – in ricordo di Settimo Ballabeni . ............ “ 10,00 - ILEANA FERRETTI – in memoria di Pasturino Ilde e Ferretti Giuseppe................................................................ “ 50,00 - MASSIMO FONTANESI e GIUSEPPINA MONTANARI – a sostegno . ............................... “ 50,00 - LAURA GIUNI – in memoria del marito Remigio Bagnacani “Vittorio” . ............................. “ 100,00 - SEZ. ANPI SCANDIANO – in memoria di Rina Algeri “Annusca” ...................................................... “ 30,00 - AGIDE CORRADI – a sostegno . ............................................. “ 50,00 - VALENTINA RINALDI – in ricordo di Bizzarri Werter . .............. “ 50,00 - NEALDA DONELLI – in memoria del marito Otello Dazzi ........ “ 25,00 - NEALDA DONELLI – in memoria di Romano e Deledda . ........ “ 25,00 - DINA E AVE MORSELLI – in memoria di Angiolino Morselli “Pippo”, M. d’argento al V.M., Fosdondo 15 aprile 1945 ..................................................... “ 50,00


Associazione Provinciale di Reggio Emilia via Maiella, 4 - Tel. 0522 3561 www.cnare.it





Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.