notiziario
PERIODICO del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia
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dicembre 02l© Appello alla sottoscrizione straordinaria 03 l© editoriale Referendum, un no nel merito Saverio Morselli 05 l© società ’Ndrangheta a Reggio Intervista a Sabrina Pignedoli Roberto Scardova 07 l© società I lavoratori diventano imprenditori Glauco Bertani 15 l© estero I peshmerga curdi ospiti dell’ANPI Ermete Fiaccadori
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Sommario 03 Referendum, un no nel merito, S. Morselli 05 ’Ndrangheta a Reggio, intervista a Sabrina Pigneddoli, R. Scardova 07 I lavoratori diventano imprendintori, intervista a Giacomo Bertani e Luca Bosi, G. Bertani 09 L’ANPI fa cultura, I. Guastalla 11 Quale epilogo per la vicenda En.Cor?, F. Tirelli 12 Il comune Pianure Matildiche non ci sarà, A. Fava 14 Iran e la scommessa femminile, B. Bertolaso 17 Reggio Emilia e l’Africa australe, N. Rinaldi 19 Si può davvero aiutarli a casa loro, S. Morselli 20 Noi con voi, A. Carri 21 I primi 90 del partigiano Volpe, 23 La colonia “Roversi” di Busana, G. Notari 25 I 91 anni di Bruno Valcavi, I. Rondanini 26 Anniversari 28 I Sostenitori 29 La memoria della Repubblica
> AUGURI A TUTTI I NOSTRI LETTORI PER UN 2017 MIGLIORE, SE POSSIBILE, DELL’ANNO CHE STIAMO PER LASCIARE <
30 La Biblioteca “E. Borghi” 31 Il Partigiano “Toni”, A. Arati
Copertina: 25 ottobre 2016, Circolo Arci Pigal, Attivo provinciale dei delegati e attivisti CGIL sul referendum costituzionale del 4 dicembre; sul palco da sinistra: Fiaccadori, Villone, Colla, Truzzi, Smuraglia, Tonello, Mora. (foto Angelo Bariani) Foto pagine 3 e 4, 25 ottobre 2016, Circolo Arci Pigal, Attivo provinciale dei delegati e attivisti CGIL (foto Angelo Bariani)
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Abbiamo più volte segnalato che, in teoria, il “Notiziario” dovrebbe essere spedito gratuitamente ai quasi 4.000 iscritti ANPI della nostra provincia, con dei costi crescenti, tipografici e postali, mentre non altrettanto “crescenti” sono le quote tessera versate dagli associati. Molti dei nostri iscritti non versano infatti più di 10, 15 euro. Per questo rinnoviamo l’appello ai nostri lettori, anche a quelli non iscritti all’ANPI: se ritenete che questo periodico debba continuare a vivere, occorre il vostro sostegno.
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Referendum del 4 dicembre
editoriale
UN NO, NEL MERITO di Saverio Morselli
C’era davvero tanta gente il 25 ottobre scorso al Circolo Pigal
di Reggio Emilia ad ascoltare le ragioni del no, introdotte dal Segretario provinciale della CGIL Guido Mora e dal Presidente provinciale dell’ANPI Ermete Fiaccadori e raccontate dal costituzionalista Massimo Villone, dal Segretario regionale della CGIL Vincenzo Colla, dal Presidente nazionale dell’ANPI Carlo Smuraglia, da Fabrizio Tonello di Libertà e Costituzione e dalla giornalista del Fatto Quotidiano Silvia Truzzi. Con questa iniziativa, ANPI e CGIL – notoriamente critiche nei confronti della legge di riforma costituzionale e apertamente schierate per il no al Referendum del prossimo 4 dicembre – hanno inteso proporre molteplici chiavi di lettura a sostegno della loro posizione. Ed effettivamente gli interventi dei relatori sono stati “generosi” in questo senso, affrontando la materia in un modo talmente analitico da rendere arduo un resoconto completo ma che impone, quanto meno, un lavoro di sintesi. Iniziando da alcune valutazioni di carattere generale che è bene considerare e che giustificano – da sole – una certa insofferenza nei confronti del c.d. DDL Boschi. Innanzitutto, occorre avere piena consapevolezza che la Costituzione è la legge fondamentale della Repubblica italiana, ovvero quella che definisce la natura, la forma, la struttura, l’attività e le regole fondamentali dello Stato. E’ quella legge, in sostanza, ai cui principi devono uniformarsi tutte le altre leggi. Una legge che dovrebbe unire in valori condivisi un popolo, e non dividerlo, così come accadde nel 1948. Viceversa, la legge di riforma costituzionale sulla quale andremo a pronunciarci è stata votata a maggioranza semplice del Parlamento e fortemente osteggiata dall’opposizione politica e da una parte dell’opinione pubblica. Che vinca il sì o che vinca il no, il risultato sarà quello di un Paese spaccato in due, ostile e rancoroso, in barba al principio di coesione sociale, culturale e valoriale che dovrebbe essere il fondamento della Costituzione. Il DDL Boschi, inoltre, modifica ben quarantasette articoli della Costituzione: non solo la riforma del Senato e la soppressione del CNEL, ma anche il numero di firme necessarie per promuovere il referendum abrogativo, quelle necessarie alla proposta di legge di iniziativa popolare, il federalismo differenziato, l’istituzione del referendum propositivo e di indirizzo, le modalità
di elezione del Presidente della Repubblica e altro ancora. Ebbene, con un sì o con un no saremo chiamati a votare sull’intero pacchetto, prendere o lasciare, senza avere la possibilità di esprimerci sulle singole modifiche. Chi ha voluto tutto questo? La risposta è scontata ma inappuntabile: un governo nato in un Parlamento eletto con una legge elettorale incostituzionale e sostenuto da una maggioranza eterogenea, resa possibile da decine e decine di parlamentari che hanno cambiato casacca nel corso della legislatura. Una maggioranza non scelta dagli elettori. Ma, come non si stanca di dire il nostro Presidente Smuraglia, “il governo cade quando non ha la fiducia”, e non è certo questo l’ambito che interessa all’ANPI che, viceversa, ha sempre inteso stare nel merito della riforma e di contrastarla in quanto in grado di stravolgere lo spirito della Costituzione. Uno spirito – è stato più volte ribadito – attaccato brutalmente già nel 2013 da un report della Banca d’affari americana JP Morgan laddove si afferma che “i sistemi politici e costituzionali del Sud Europa presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti, governi centrali deboli nei confronti delle regioni, tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori, tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo, il diritto di protestare se i cambiamenti sono sgraditi”, con il risultato di “ottenere successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, con esecutivi limitati nella loro azione dalle costituzioni”. Non sfugge come questa impostazione del capitale finanziario, che vede il principio della governabilità prevalere su quello della rappresentanza democratica e della tutela dei diritti, possa aver influenzato la riforma costituzionale. Stare nel merito, dunque E’ indubbio che la parte più discussa e contestata della riforma riguarda il futuro assetto del Senato. Il quesito referendario fa riferimento alla “abolizione del bicameralismo perfetto”, ma in realtà quello che si va a delineare è un Senato delle Regioni composto da cento senatori, di cui settantaquattro consiglieri regionali e ventuno sindaci (oltre cinque personalità illustri nominate dal Presidente della Repubblica) che godranno delle stesse tutele (immunità) dei deputati. Le modalità della loro nomina da parte dei Consigli Regionali è affidata a una prossima e imprecisata legge, ma è certo che non saranno i cittadini a eleggerli direttamente. L’obiezione è elementare, e riguarda la possibilità dei senatori di svolgere proficuamente la loro attività in parallelo con quella che già svolgono come consiglieri regionali o come sindaci. Già, perché gli adempimenti a cui sarebbe chiamato il Senato restano rilevanti: potrà esprimersi in materia di politiche comunitarie, ovvero partecipare all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea; valutare le politiche pubbliche e dell’attività delle pubbliche amministrazioni e verificare l’impatto delle politiche dell’Ue sui territori, E, inoltre, votare per le leggi di revisione della Costituzione, le leggi costituzionali, i dicembre 2016
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referendum popolari e le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo e le funzioni fondamentali dei comuni e delle città metropolitane e altro ancora, sino alla nomina di due giudici della Corte Costituzionale. Senza dimenticare che i consiglieri regionali e sindaci nominati senatori potranno rimanere in carica fino alla scadenza del mandato dell’organo che li ha eletti, modificandosi in tal modo l’assetto dell’aula con periodiche dimissioni e subentri. Ma l’aspetto più controverso di tutta la materia resta il c.d. “combinato disposto” della riforma del Senato con la nuova legge elettorale e che attribuisce al partito che esce vincente dal ballottaggio la maggioranza di 340 deputati eletti alla Camera (in futuro unica a concedere la fiducia al governo), con il risultato pressoché certo - in nome della governabilità - di consentire di governare il Paese a chi, nel Paese, è comunque minoranza. Il collegamento tra riforma del Senato e il c.d. Italicum è evidente nel momento in cui non è prevista alcuna modalità elettiva per il primo, che passa dall’essere un “contrappeso” democratico (per come lo avevano inteso i costituenti) a rappresentare una zavorra causa di ingovernabilità di cui liberarsi. Si è poi molto parlato della riduzione dei costi della politica che questa riforma porterà in dote. Ebbene, la Ragioneria Generale dello Stato ha calcolato che la modifica del Senato comporterà un risparmio di circa
cinquanta milioni di euro, un 10 percento circa di quella che è attualmente la spesa per il suo funzionamento. Un risultato contabilmente modesto, che si potrebbe agevolmente raggiungere e superare attraverso la riduzione contestuale e proporzionale di deputati e senatori. Quanto allo snellimento dell’iter legislativo, è sufficiente andare a rivedersi i tempi di discussione delle principali leggi approvate da questo Parlamento e da quelli precedenti (fonte Openpolis) per accorgersi che ciò che serve a questo Paese non è tanto l’abolizione del passaggio al Senato, quanto la volontà politica di approvare in tempi più brevi una legge. Una volontà politica, ad esempio, come quella manifestata per l’approvazione della legge Fornero, che ha richiesto poco meno di due mesi… Il 4 dicembre saremo quindi chiamati a esprimerci su una riforma costituzionale controversa e pasticciata che non risolve i problemi di funzionamento democratico del nostro Paese ma, viceversa, ne rappresenta un “vulnus” pericoloso che mina alla radice quell’essenziale equilibrio di poteri che è alla base della volontà espressa dalla Costituzione nata dalla resistenza. Votiamo no con la consapevolezza che, se prevarrà, il giorno dopo non si verificherà alcun cataclisma politico, semplicemente la Costituzione rimarrà quella di adesso. Spetterà alla classe politica, se ne avrà la volontà, riannodare i fili del confronto.
Gli studenti del “Canossa” in tribunale Il progetto di alternanza scuola/lavoro
Gli allievi della classe terza dell’Istituto Matilde di Canos-
sa, accompagnati dal prof. Stefano Aicardi, dal presidente Anpi Ermete Fiaccadori, dal presidente dell’Istituto Cervi Albertina Soliani, insieme a Fiorella Ferrarini e Mirco Zanoni, sono stati accolti, nei giorni scorsi, nel palazzo di giustizia reggiano dal presidente del tribunale di Reggio Emilia Francesco Caruso e da Cristina Beretti, uno dei giudici del collegio del processo ‘Aemilia’. Un incontro sul campo, nelle aule in cui erano in corso dibattimenti penali e civili, per illustrare agli studenti il funzionamento della macchina della giustizia reggiana, accompagnando i ragazzi.
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’NDRANGHETA A REGGIO di Roberto Scardova
> Intervista a SABRINA PIGNEDOLI, autrice del libro Operazione Aemilia, come una cosca di ‘ndrangheta si è insediata al Nord, editore Imprimatur, vincitrice del prestigioso premio Estense, promosso da Unindustria e riservato agli autori delle migliori inchieste giornalistiche <
Sabrina Pignedoli al momento della premiazione
Il suo libro ha recentemente vinto a Ferrara il prestigioso pre-
mio Estense, promosso da Unindustria e riservato agli autori delle migliori inchieste giornalistiche. A conferirlo i direttori di alcuni dei più importanti quotidiani italiani, e una giuria popolare di quaranta cittadini scelti tra le varie categorie professionali. Un riconoscimento di cui Sabrina Pignedoli è legittimamente orgogliosa: perché frutto di un lungo e difficile lavoro per rendere accessibile al pubblico la drammatica penetrazione criminale delle cosche mafiose e ‘ndranghetiste nel tessuto produttivo e finanziario della nostra regione. A “Operazione Aemilia”, edito da Imprimatur, Sabrina è giunta rielaborando le notizie e i documenti giudiziari raccolti durante otto anni di lavoro nella redazione reggiana de “Il Resto del Carlino”. Sin da quando, nel 2010, fu incaricata di scandagliare i risvolti nostrani di un’inchiesta iniziata da lontano, dalla Calabria, dove la magistratura aveva posto sotto indagine esponenti di diverse famiglie di Cutro e Catanzaro legate alla ‘ndrangheta. Ne era stato evidenziato un reticolo di interessi criminali che arrivava sino al Nord. Anche a Reggio Emilia: dove, tra l’altro, era stata intercettata la conversazione di malavitosi che parlavano di assassinare un certo rivale a colpi di bazooka. Si accertava così che anche la nostra terra era teatro di attività capaci di condizionare le attività produttive e lo sviluppo economico, di ottenere appalti e lavori con le minacce e la violenza, di estromettere le imprese sane e oneste, di lucrare enormi guadagni grazie ad una vasta rete di complicità. Sabrina, da giornalista attenta e scrupolosa, seguì passo per passo lo sviluppo dell’inchiesta giudiziaria che da noi prese il nome di “Piovra”: e che condusse all’incriminazione, e poi alla condanna, di esponenti delle famiglie Sarcone e Grande Aracri. Tanto scrupoloso, il lavoro di Sabrina, che qualcuno tentò di fermare lei e gli articoli che andava scrivendo. Avvenne quando la giornalista riferì la notizia, fornitale da una sua fonte, circa una riunione che si era svolta tra appartenenti alle cosche e personaggi importanti operanti a Reggio: imprenditori, avvocati,
uomini politici e persino una giornalista, una collega di Sabrina. Tutti insieme costoro discussero di come vanificare l’interdittiva che il Prefetto aveva emesso per impedire alle aziende considerate malavitose di accedere agli appalti. Della riunione si occupò la Direzione Antimafia, che dispose perquisizioni e sequestri (anche di armi) ai danni di coloro che vi avevano partecipato. L’articolo apparso sul “Carlino” fece scalpore, ed ebbe allarmanti conseguenze per Sabrina. La giornalista ricevette, infatti, una minacciosa telefonata da parte di un poliziotto, portavoce di qualcuno dei presenti alla riunione: “Non scrivere più sui miei amici. Altrimenti ti taglio i viveri”. Non si trattava, ovviamente, di questioni alimentari. Bensì di un durissimo avvertimento, che Sabrina ebbe il coraggio di denunciare alla Direzione Antimafia. Nel 2015 il poliziotto risultò poi tra gli arrestati nell’ambito dei provvedimenti scaturiti dall’inchiesta Aemilia, da cui Sabrina ha ricavato il proprio libro. Il giudice del rito abbreviato ha pronunciato già una quarantina di sentenze di condanna, e tra queste quella a carico del poliziotto per concorso esterno in associazione mafiosa, accesso abusivo alla banca dati del ministero dell’Interno, e – appunto - minacce nei confronti della giornalista. Gli sono stati comminati otto anni e sei mesi di carcere. «La mia famiglia è originaria di Nismozza», ci racconta oggi Sabrina, «e sempre ho pensato alla nostra come a una provincia onesta e pulita, come sono le tante persone che ho conosciuto lassù. Mai avrei immaginato che in realtà sotto la superficie si nascondesse da decenni una realtà criminale e criminosa come quella messa in luce dall’inchiesta Aemilia». Nel libro Sabrina si chiede «quali condotte - o eventuali omissioni dal proprio dovere - abbiano permesso a un cancro come la ‘ndrangheta di estendersi in tutte le regioni d’Italia. Come la gramigna». E come mai proprio a Reggio, anche a Reggio, dove le condizioni per quell’attecchimento non avrebbero dovuto verificarsi. Si negava, anzi, che fosse possibile una tale penetrazione criminale, estesa anche alle province vicine. Sabrina appare ancora incredula: «In un’intercettazione Nicolino Sarcone è dicembre 2016
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stato udito affermare che le sue imprese avevano costruito mezza Reggio. Mi sembrò una sgangherata vanteria. Mi ha colpito profondamente scoprire invece, mano a mano che venivano resi pubblici i documenti dell’inchiesta, quanto la società reggiana risultasse permeabile all’attività malavitosa: quanti fossero gli emiliani disposti a fare affari con le cosche, ad accettare le cosiddette protezioni, a chiudere gli occhi di fronte al denaro sporco, ad accettare che certi crediti venissero recuperati con la violenza…». E questo ben prima che la crisi economica colpisse anche la nostra provincia, e inducesse alcuni ad abbassare la guardia per il bisogno di lavorare. Sabrina cita le carte giudiziarie dell’operazione Aemilia: «L’implicazione della ‘ndrangheta cutrese … ebbe origine nei primi anni Ottanta, quando nel comune reggiano di Quattro Castella giunse, in regime di obbligo di soggiorno, Antonio Dragone il capo della locale di Cutro. Era il 1983». Più di trenta anni, dunque, e allora si viveva non in periodo di crisi ma nel bel mezzo della ripresa economica.
Nel libro di Sabrina il racconto di quegli anni si dipana attraverso un fiume di nomi, delitti, attentati, intercettazioni, confessioni; da cui, oltre alla descrizione dei misfatti individuati dagli inquirenti, traspaiono le complicità da parte dei “salotti buoni”, dove parecchi «pur consapevoli di avere a che fare con esponenti della criminalità organizzata» hanno considerato la ‘ndrangheta «come una delle opportunità» per fare affari. Sarà presto la sentenza del processo Aemilia a dire chi e com’è stato ed è davvero responsabile. A noi il dovere di ricercare più efficaci strumenti di vigilanza, perché quelle deviazioni non possano ripetersi. Sapremo porre riparo agli errori commessi? Sabrina ci guarda e sorride amaro: «Voglio credere di sì, ma in realtà non lo so. Guardi: il consiglio comunale di Reggio aveva approvato all’unanimità l’istituzione di una commissione incaricata di esaminare le pratiche edilizie degli ultimi quindici anni, e capire che cosa non aveva funzionato nei necessari controlli. Mi risulta che a tutt’oggi la commissione non è stata ancora costituita».
Quel Pasticciaccio brutto di Gorino, Delta del Po
“Noi siamo altro” dice Diego Viviani, sindaco di Goro, pic-
colo comune del Delta del Po. “Siamo stati dipinti un po’ troppo frettolosamente e forse anche in maniera un po’ cattiva” aggiunge. Difficile, in effetti, dipingervi diversamente. Le barricate c’erano. Visibili a tutti. E tanti di voi ne andavano orgogliosi. Uomini, donne e bambini. Sì, perché avete portato anche i bambini, così imparano subito e bene come va il mondo (e si sa che il mondo è la migliore palestra di vita). Pallet di legno impilati per impedire l’ingresso nel paesino a dodici donne e otto bambini. Profughi. Scappavano dalla guerra e dalla fame. Probabilmente hanno attraversato il deserto, e il deserto le ha graziate. Anche il mare le ha graziate e non le ha volute. Nemmeno voi le avete volute. Strano. Perché voi, la solidarietà, la conoscevate. Quando nel novembre del ‘51 il Po ha rotto gli argini, i pescatori di Goro, che il mare lo conoscono bene, non hanno esitato a salvare gli alluvionati: le cronache parlano di almeno 320 anime fra donne e bambini. Già, la solidarietà. Bella parola oggi un po’ in disuso da quelle parti. Si trattava di venti persone, venti progetti di vita (forse non così tanto diversi dai vostri) scampati alla morte ma non al vostro egoismo. Perché almeno permettetemelo: egoisti lo siete. Non volete esser tacciati di razzismo (difficile pensare il contrario, eh) ma io una spiegazione la voglio trovare. Così, solo per capire il perché del vostro comportamento. Avete detto che poi sarebbe stata “una pericolosa invasione”, che queste cose poi non si sa come vanno a finire “adesso sono solo venti poi chissà quanti ne arri-
veranno”. E quindi? Quindi prima che si prendano il braccio non allunghiamo loro la mano. Ecco, questa spiegazione non mi basta. Che volete, io sono fatta così. Mi chiedo se solo uno di voi abbia guardato all’interno del bus che trasportava queste donne e questi bambini. Mi chiedo se abbia avuto il coraggio di guardarle negli occhi. Se abbia visto la guerra, nei loro sguardi. E la fame. Sicuramente non ha visto la paura. Loro, la paura, la conoscono bene. E loro, di voi non hanno avuto paura. Forse i bambini, che più che spaventati, saranno stati sorpresi da quelle cose lì in mezzo alla strada e “mamma, ma perché il bus fa retromarcia?” avranno domandato. “Perché andiamo in un posto più bello” avranno risposto le mamme (le mamme hanno sempre la risposta giusta). Mi chiedo poi se voi avete guardato negli occhi i vostri figli. Quelli che erano lì con voi. Vi avranno chiesto il perché (i bambini chiedono sempre i perché di tutto). Avevate anche voi, mamme, la risposta giusta? Io, non l’avrei trovata. Quaranta occhi hanno incrociato i vostri sguardi. Hanno visto i vostri occhi spaventati, i sorrisi ostentati e le barricate che avete orgogliosamente costruito. Persone sole e spaventate, avranno pensato. Io aggiungo anche egoisti. Perché non volete essere definiti razzisti. Ed io vi accontento. Anna Fava
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ui fatti di Gorino, frazione di Goro cittadina del ferrarese nel delta del Po, terra amata da Gianni Celati con i suoi narratori della pianura, do per scontato che tutti conoscano i fatti. Li salto e passo ad alcune considerazioni politiche. Qualcuno ha sostenuto, giustamente, che lo Stato avrebbe dovuto imporsi almeno per una notte. E il giorno successivo riaccompagnare le donne e i bambini, temporaneamente, in un’altra località; aprendo nello stesso tempo un dialogo con la comunità locale (cosa che se fosse stata fatta prima forse si sarebbe evitata una notte «che ripugna alla coscienza cristiana» come ha affermato l’Arcidiocesi di Ferrara). Perché il punto non è cosa pensiamo noi degli abitanti di Gorino ma, come si chiede in un bell’articolo sulla “Stampa” del 26 ottobre scorso Giovanni Orsina: «Come possiamo convincerli a non comportarsi così?». Glauco Bertani
I lavoratori diventano imprenditori di Glauco Bertani
> I workers buyout: lavoratori che in forma cooperativa riacquistano l’azienda o un ramo di essa. Il caso di ex lavoratori Unieco e di altre aziende reggiane. La cooperazione è esplicitamente sostenuta dalla Costituzione all’articolo 45. Ne abbiamo parlato con Luca Bosi, vice presidente di LegaCoop, e Giacomo Bertani Pecorari, responsabile Economia e lavoro del PD di Reggio Emilia. Luca Bosi: Questa è la vera missione della cooperazione: generare nuove coop e futuri cooperatori, persone che devono avere chiaro che il loro lavoro, oltre a garantire uno stipendio, è prima di tutto creare un patrimonio intergenerazionale, ovvero lasciare qualcosa nel quale potranno trovare benessere le future generazioni. Giacomo Bertani Pecorari: Penso sia uno dei migliori strumenti che esistono per la gestione delle crisi aziendali <
Alcune settimane fa su un giornale locale è comparsa la no-
tizia che ex lavoratori dell’Unieco stavano rilevando un ramo dell’azienda associandosi in cooperativa. I lavoratori che si apprestano a queste operazioni sono chiamati workers buyout (WBO). Un tema interessante e importante, ma non troppo seguito né imitato, che abbiamo cercato di approfondire interpellando Luca Bosi, vice presidente di LegaCoop, e Giacomo Bertani, responsabile Economia e lavoro del PD di Reggio Emilia. «Un recente articolo del “Sole24ore” – afferma Luca Bosi – dice che negli ultimi quattro anni in Italia vi sono stati cinquanta WBO con 1.200 posti di lavoro salvati e un valore di produzione di oltre duecento milioni. Di questi sedici sono stati in Emilia Romagna e di questi sedici, quattro a Reggio Emilia (quasi il 10 percento del totale nazionale). Si tratta di Greslab, ArtLining, Arbizzi e Fornace Fosdondo, tutte esperienze (tranne Arbizzi) nate da situazioni di profonda crisi o fallimento dell’impresa privata. Di fatto i lavoratori, di fronte alla tragedia della chiusura e della perdita del posto di lavoro, hanno deciso coraggiosamente di diventare imprenditori di sé stessi, hanno formato una cooperativa il cui capitale è corrisposto con la loro mobilità ed è stato irrobustito dagli strumenti cooperativi di sostegno finanziario come Coopfond (Fondo mutualistico di Legacoop) e quelli statali come Cooperazione finanza impresa. Non va, infatti, dimenticato che la COOPERATIVA è l’unica forma d’impresa che trova spazio nella costituzione (le altre forme sono nel codice civile), all’art. 45. Significa che i padri costituenti hanno ritenuto questa forma societaria alla base dei fondamenti econo-
mici del Paese, per il suo carattere democratico, sociale e valoriale». Il nostro interesse all’argomento, infatti, è nato anche in ragione dell’articolo citato che recita: «La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità […]». «Penso – sottolinea Giacomo Pecorari – sia uno dei migliori strumenti che esistono per la gestione delle crisi aziendali». Le difficoltà per i WBO di sviluppare una simile operazione per salvare la propria azienda formando una cooperativa e proseguendo o rigenerando l’attività sono indubbie. Ma tecnicamente che cos’è? «Il workers buyout – risponde il responsabile economico del PD reggiano – è l’operazione attraverso la quale un gruppo di lavoratori rilevano – o meglio affittano per un periodo concordando un prezzo di riscatto al termine – l’impresa per cui lavorano o un ramo di essa. Per fare questo mettono a disposizione un capitale, in parte proprio, in parte a debito e in parte di soggetti istituzionali che “rischiano” con i lavoratori, che – se tutto va bene – ripagheranno con gli utili generati dall’impresa stessa». Precisa Luca Bosi, sottolineando l’impegno di LegaCoop: «La Legacoop Emilia Ovest è impegnata a promuovere costantemente la cooperazione e grande intensità viene data alla nascita di nuove esperienza cooperative, come sono i WBO. Per questa ragione vi è una struttura dedicata (i referenti sono Daniela Cervi e Matteo Pellegrini) in grado di seguire passo dopo passo la creazione di una cooperativa fornendo riferimenti legislativi, supporto nella redazione degli atti formali costitutivi, supporto nella stesura e successiva gestione dei conti economici e nelle pratiche necessarie per ottenere, se le esperienze sono meritorie, i contributi in conto capitale degli strumenti cooperativi di finanziamento. Questa è la vera missione della cooperazione: generare nuove coop e futuri cooperatori, persone che devono avere chiaro che il loro lavoro, oltre a garantire uno stipendio, è prima di tutto creare un patrimonio intergenerazionale, ovvero lasciare qualcosa nel quale potranno trovare benessere le future generazioni. E’ un modo bellissimo di concepire l’occupazione, che per alcuni appare utopia, ma che invece rappresenta una grande realtà economica se è vero, com’è vero, che la cooperazione in Italia costituisce oltre il 10 percento del PIL è ha milioni di soci». Gli fa eco Giacomo Bertani: «Salvare un’impresa dalla chiusura è un obiettivo assoluto per la politica, perché l’impresa è dicembre 2016
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l’infrastruttura fondamentale dell’economia. Salvarla con uno strumento che rispecchia a pieno anche una visione specifica di come l’economia deve funzionare è doppiamente preferibile. Il workers buyout infatti risponde ad una visione dell’economia sociale, collettiva e democratica. La trasformazione dei lavoratori in imprenditori, cooperativi o associati che siano, è un’operazione di redistribuzione delle opportunità e di allargamento della base sociale imprenditoriale del paese. In sostanza “la base” viene promossa a “vertice” e può portare nella direzione strategica dell’impresa quelle nuove idee e quelle competenze che ha maturato sul campo, nel confronto con il mercato e con i processi interni. Coinvolgendo direttamente le maestranze nella gestione dell’impresa è possibile, infatti, mettere a valore competenze e know-how che non sempre in imprese a organizzazione tradizionale riescono a emergere». Tuttavia c’è un purtroppo, secondo il responsabile economico del PD (nella foto qui a fianco): «Di converso è da sottolineare che in diversi casi di workers buyout si sono verificate delle disfunzioni nella catena decisionale e gerarchica, già note nel mondo cooperativo». Di fronte alla crisi e alle tante chiusure di fabbriche più o meno grandi, ai presidi dei lavoratori tenacemente contrari alla chiusura ma spesso con risultati negativi mi sono spesso chiesto perché non fossero incentivate soluzioni cooperativistiche, se ci fossero normative che facilitano questo tipo di soluzioni. LegaCoop, come ha sottolineato Bosi le sostiene, ma lo Stato? «In Italia – afferma Bertani – esiste una normativa avanzata per le operazioni di workers buyout, che è progredita nel tempo a partire dal primo importante intervento del 1985 (c.d. Legge Marcora). Il quadro normativo ha consentito che questo strumento prendesse piede nel nostro paese, anche se non ha mai rappresentato numeri davvero significativi. Le prime operazioni di workers buyout risalgono ai primi anni ’80. Dal 1986 al 2000 sono state portate a termine oltre 160 operazioni di questo tipo. Dietro questa “esplosione” di workers buyout vi era più un afflato di carattere ideale – la cooperazione come forma alternativa al capitalismo – che reale necessità legata alla gestione delle crisi aziendali. Il fenomeno negli anni successivi ha visto, infatti, un forte decremento: dal 2000 fino al 2007 ne sono state realizzate appena otto. Le imprese coinvolte in questa “stagione pre-crisi” erano per lo più di aziende sane ma con problemi di continuità aziendale legati ai passaggi generazionali. A partire dal 2008 il numero di interventi è cresciuto notevolmente a seguito dell’incalzare della crisi economica. In questa fase storica i workers buyout hanno assunto il connotato di ultimo tentativo di salvataggio dell’impresa dalla liquidazione o dal fallimento e quindi come difesa dell’occupazione. Dal 2008 a oggi si contano oltre cinquanta interventi di workers buyout completati, con un tasso di sopravvivenza media a tre anni di poco inferiore al 50 percento». Ma la politica che ruolo ha? «Potenziare ulteriormente lo strumento del workers buyout – prosegue Bertani – per la gestione delle crisi aziendali diventa a mio avviso una priorità assoluta della politica. Lavorando su tre filoni principali. Deve dunque 8
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in primis essere rafforzata in modo significativo la dotazione di capitale di rischio del CFI (Cooperazione Finanza Impresa), che è oggi il principale partner istituzionale che supporta la nascita di queste nuove imprese, partecipato dal ministero dello Sviluppo Economico e dalle tre principali centrali cooperative. Senza disponibilità di capitale di rischio pari a quelle dei grandi fondi istituzionali, non è pensabile “massificare” questo strumento. In secondo luogo occorre prendere consapevolezza che quando si discute di rilevare l’attività di un’impresa in crisi o di un suo ramo il fattore tempo è l’elemento determinante. Per aumentare le probabilità che l’operazione possa essere sostenibile e che l’impresa riesca a rinvigorire, occorre accelerare quanto più possibile le procedure che vedono coinvolti oggi troppi soggetti. Elenco i principali: il giudice fallimentare, in parte i creditori, il CFI e il ministero dello Sviluppo Economico, i fondi mutualistici della cooperazione, l’INPS. Mentre i business plan vengono valutati, soppesati e ridiscussi è alto il rischio che i clienti rimasti all’impresa si rivolgano altrove. E lo stesso vale per i fornitori e per tutta la supply chain. E senza questi elementi, l’impresa che si vuole rilevare è definitivamente compromessa. Occorre quindi creare una nuova procedura che sia al contempo approfondita ed estremamente veloce, attraverso la riduzione dei soggetti deliberanti e alcuni canali privilegiati assegnati dalla legge. Infine l’ultimo tema è quello della sopravvivenza nel medio periodo dell’impresa rilevata tramite workers buyout. Devono essere allentati i vincoli temporali alla dismissione del capitale di rischio da parte dell’investitore istituzionale, per consentire una stabilizzazione finanziaria più graduale e sostenibile. Così come occorre che INPS renda automatica la disponibilità dell’indennità di mobilità e del TFR dei lavoratori coinvolti dall’operazione di wokers buyout, da conferire nel capitale sociale. E infine penso siano da prevedere delle agevolazioni fiscali significative che alleggeriscano il conto economico nei primi – difficili – anni di vita della “nuova” impresa. Credo fortemente nel workers buyout per le ragioni che ho spiegato. Penso che possa diventare lo strumento principe nella gestione delle crisi aziendali del futuro. Oggi ha un carattere di straordinarietà ed è un’opzione raramente esplorata nelle procedure fallimentari. Ma con i necessari correttivi e la volontà politica è possibile trasformarlo in uno strumento ordinario, codificato e di massa». Le considerazioni di Giacomo Bertani in una terra come quella reggiana che del cooperativismo è stata portabandiera fin dal suo sorgere, trovano in Bosi (nella foto qui sotto) piena cittadinanza: «I casi di WBO sopra citati sono prima di tutto grandi esperienze di vita vissuta, di sacrifici enormi, di attaccamento alla propria professione e di coraggio. Insegnano moltissimo (peraltro tutte queste cooperative sono ben felici di raccontare a chi lo desidera la loro storia), dicono che quando tutto sembra perduto si genera un bisogno comune e che intorno a quel bisogno comune nasce una cooperativa che è la risposta più affascinante che si possa mettere in campo. Inoltre, indirettamente, dice ai tanti giovani in
l’anpi fa cultura
cultura
il corso di formazione dell’8 ottobre di Irene Gustalla
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ettant’anni sono passati dalla nascita dell’ANPI e tante cose sono cambiate, soprattutto nell’ultimo periodo. Il progressivo cambio generazionale, cominciato nel 2006 con l’apertura ai giovani, ha creato una nuova dirigenza non più formata solo da ex-partigiani ma anche da una nuova categoria di “antifascisti”. Secondo il Presidente dell’ANPI nazionale Carlo Smuraglia, i nuovi dirigenti non devono solo dar prova di ottime capacità organizzative e direzionali ma anche mostrare un adeguato livello culturale e di consa-
pevolezza politica per poter al meglio indirizzare i propri iscritti. La progressiva sparizione dei partigiani dalle alte cariche dell’ANPI rende inoltre necessaria una conoscenza approfondita della storia contemporanea, di ciò che sono stati fascismo e guerra partigiana, di ciò che la nostra associazione rappresenta, le sue finalità e i suoi connotati principali. Per tutti questi motivi, l’ANPI ha deciso di promuovere una serie di corsi di formazione aperti ai propri iscritti, svolti inizialmente dalle sezioni provinciali e in
... I lavoratori diventano imprenditori
cerca di un futuro che la cooperazione rappresenta una possibilità autentica, in cui sei “padrone” del tuo destino e che, con i suoi strumenti, ti può dare la possibilità di partire anche se non puoi contare su ingenti capitali. Tutti questi WBO reggiani sono storie di grande successo ed è importante che un’associazione così rappresentativa come ANPI abbia deciso e voluto parlarne». E’ un tema che non lasceremo cadere. Nel prossimo numero ne parleremo con il sindacato.
seguito presso le varie sezioni comunali. L’ANPI di Reggio Emilia ha abbracciato l’iniziativa organizzando l’8 ottobre, presso il Centro Insieme di via della Canalina, un incontro con lo storico parmense Marco Minardi, lo storico reggiano Massimo Storchi, l’ex magistrato Giancarlo Ruggieri e il referente della formazione dell’ANPI nazionale Paolo Papotti. L’incontro, al quale sono stati invitati i giovani tesserati, ha visto la partecipazione di circa cinquanta persone e si è svolto durante la giornata, dalle ore 9.45 alle 17. Dopo i saluti e una breve introduzione del nostro Presidente Ermete Fiaccadori, sono iniziati i lavori con l’intervento di Marco Minardi, direttore dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Parma, che ha avuto come tema principale il consenso e il dissenso nel Ventennio nero (19201943). La tesi sostenuta è quella di un antifascismo diffuso e di massa (oltre a quello – minoritario - di tipo militante), fatta eccezione per il primo periodo. L’antifascismo sorge nelle campagne, nelle fabbriche, nei sindacati e perfino nel partito fascista; si mostra attraverso episodi di dissenso, a volte anche semplici ma che contrastano nettamente con la politica del consenso promossa da Mussolini. La loro repressione esasperata isola una parte importante degli uomini, provocando il malcontento della popolazione. Malcontento che trova il suo apice al momento della dichiarazione di guerra. L’antifascismo, quindi, ha accompagnato tutta la storia del fascismo pur essendo di difficile decifrazione, giacché le fonti dicembre 2016
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istituzionali non hanno lasciato evidenti tracce. In seguito è intervenuto Massimo Storchi, direttore del Polo Archivistico del Comune di Reggio Emilia, con una relazione dal titolo “Quale racconto per la Resistenza 71 anni dopo”. In questo secondo contributo si è trattata la mancata storicizzazione iniziale della Resistenza. Fin dai primi anni del Dopoguerra, infatti, è stata assunta a baluardo politico, soprattutto nelle file del PCI. Questo ha comportato una visione sempre più retorica, istituzionale e mitizzata del partigiano, allontanando i giovani da questi temi. Solo in tempi più recenti gli storici hanno cominciato a occuparsi di questa parte di storia, mostrando sempre più l’umanità dei partigiani, la diffusione non nazionale del movimento, l’approvazione parziale da parte della popolazione oltre che l’esistenza di “Resistenze” differenti da quella armata. Ciò che ci si auspica per il futuro è una nuova storiografia, libera dai sedimenti del passato, aiutata magari da nuovi strumenti quali un dizionario biografico dei partigiani e una valorizzazione dei luoghi di memoria. Al termine dei primi due interventi hanno preso la parola Gino Caraffi e Alessandro Fontanesi che hanno precisato come l’antifascismo fosse di matrice comunista, soprattutto in provincia di Reggio, e di come la presa del porto di Bari e le Quattro giornate di Napoli dimostrano come la Resistenza fosse un fatto nazionale. Eletta Bertani e Ione Bartoli, invece, hanno insistito su come le donne fossero state sempre escluse dalla storia resistente. Dopo la pausa pranzo i lavori sono ripresi con l’intervento di Giancarlo Ruggeri, vicepresidente della sezione Anpi cittadina “D. Storchi”. Con l’eex magistrato, si è cominciato a trattare il tema “Le culture 10
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che s’intrecciano nella Costituzione della Repubblica Italiana”. Dopo un’introduzione storica che ha preso le mosse dalla Grecia classica per aarrivare all’oggi, ha analizzato la nostra Costituzione, i suoi principi fondamentali e gli ideali che i Padri costituenti hanno cercato di inserire. Secondo Ruggieri, l’opera che ne è scaturita, è un esempio di chiarezza e fruibilità ai più, un compromesso perfetto tra le parti, un essere organico indivisibile. Infine Paolo Papotti ha mostrato, attraverso la visione di alcune interessanti diapositiva, la storia dell’ANPI dalla nascita alla contemporaneità, con particolare interesse alle lotte abbracciate durante il proprio percorso. La domanda che Papotti pone è come trasferire, da iscritto di nuova generazione, una storia di cui non si è fatto parte. Per far ciò si dovrebbe cercare di mantenere saldi i propri principi antifascisti ma adattarli alla propria storia. Le parole d’ordine devono essere “Conoscere, capire, scegliere”. Nel momento in cui si entra nella scuola, non ci si può più limitare alle testimonianze ma utilizzare strumenti e metodi differenti, puntando maggiormente sulle piccole storie di territori circoscritti. Anche in questo caso abbiamo lasciato spazio alle domande e agli approfondimenti di Ione Bartoli, Giovanni Carbonara, Alessandro Fontanesi, Fiorella Ferrarini ed Enzo Cerlini. Il corso è quindi terminato con la speranza che possa essere presto ripresentato dagli stessi tesserati anche presso le proprie sezioni, così da creare un percorso formativo unico e che crei le basi per la nuova ANPI.
Dall’alto: Marco Minardi, Ermete Fiaccadori, Massimo Storchi; Giancarlo Ruggieri, Antonio Zambonelli, Paolo Papotti; Ione Bartoli; Giovanni Rossini, Luciano Cattini (foto di Anna Parigi)
politica
Quale epilogo per la vicenda En.Cor di Correggio? di Francesco Tirelli
Nella foto a fianco la centrale En.Cor.; qui sopra l’ex sindaco Marzio Iotti; sotto uno scorcio del Consiglio comunale di Correggio, al centro l’attuale sindaco Ilenia Malavasi
Ora che sono arrivate le prime sentenze che obbligano il Co-
mune di Correggio a risarcire le banche, ora che la Corte dei Conti ha dato due mesi per presentare un bilancio credibile che tenga conto delle spese per risanare il crack finanziario, minacciando un possibile secondo commissariamento, dopo quello che aveva coinvolto la città dopo le dimissioni del Sindaco sfiduciato dalla sua stessa maggioranza, si è arrivati al momento cruciale della vicenda. «Grave irregolarità» e «situazione di precario equilibrio del bilancio del Comune di Correggio» queste sono le parole della sezione regionale di controllo della Corte dei Conti, che boccia la variazione di bilancio approvata a fine luglio dal consiglio comunale e stronca completamente alcune operazioni eseguite dal Comune nell’ambito della vicenda En.Cor, l’ex municipalizzata che potrebbe costare al Comune, e quindi ai cittadini, quasi 30 milioni di euro di debito. Quello che è auspicabile, è che finalmente si arrivi a individuare responsabilità personali, amministrative e politiche. Questo perché sino ad ora il metodo è sempre apparso quello di tenere sotto silenzio l’evolversi della situazione. Le denunce del Comitato “Via la nebbia”, sorto per portare alla luce quello che i cittadini non conoscevano sulla vicenda En.Cor, facevano presagire un epilogo gravoso e carico d’incognite economiche per i correggesi. Da tempo le richieste da parte del comitato e altre forze politiche all’Amministrazione comunale passata e presente non avevano avuto risposte e fino all’ultimo nulla è trapelato su quello che a tutti gli effetti si è rivelato un disastro annunciato. Le continue rassicurazioni da parte del Sindaco Ilenia Malavasi, che ha “ereditato” il fallimento della società, sul fatto che i cittadini di Correggio non dovranno pagare un solo euro, o non subiranno alcun danno dalla vicenda En.Cor appaiono di giorno in giorno improbabili. Le amministrazioni e il PD, in questi ultimi anni e fino a pochi mesi fa, anche di fronte alle sentenze per i risarcimenti dei mutui da parte delle banche,
hanno avuto atteggiamenti di sufficienza nonostante la denuncia. Come se non fosse già grave la perdita del patrimonio del Comune, come se non fosse un irrimediabile danno per la città (va ricordato che insieme a En.Cor sono stati ceduti pure terreni e immobili alla finanziaria AMTrade con sede a Zurigo fallita poco tempo dopo). Ora le prime sentenze giudiziarie, la Corte dei Conti, le banche creditrici e l’informazione hanno portato alla luce il tutto, hanno reso evidente come la catastrofe abbattuta sul Comune, abbia il suo vulnus in una gestione fatta di inettitudine, mancanza di competenza, per non dire malaffare politico, di un progetto che sulla carta poteva essere una risorsa per la città. Nonostante questo, nonostante l’allargamento dell’inchiesta su passaggi poco chiari (un’indagine su trentacinque milioni di finanziamenti, capitali svaniti nel nulla) coinvolgimento di terze figure e intermediari, si continua a minimizzare, ad assicurare che i cittadini non pagheranno, che si troveranno soluzioni che non incideranno sui servizi. Rimane da capire chi pagherà. Sarebbe forse più onesto ora che l’attuale amministrazione e il partito di maggioranza (PD) condividesse con i cittadini una reale informazione nella ricerca di soluzioni che a questo punto difficilmente saranno indolori.
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Il Comune Pianure Matildiche non ci sarà Sant’Ilario d’Enza, Gattatico e Campegine hanno detto no alla fusione
di Anna Fava riordino delle amministrazioni locali, perché al momento quello intrapreso non sembra incontrare il favore delle popolazioni». Anche Paolo Cervi, Sindaco di Campegine è dello stesso parere: «I cittadini di Campegine e Gattatico hanno ritenuto che le motivazioni del progetto non fossero sufficienti e hanno restituito alla politica il compito di trovare soluzioni alternative per risolvere le criticità e proporre soluzioni concrete che guardino al bene e al futuro delle nostre comunità. Il dovere di ogni amministratore lungimirante è quello di progettare a favore del proprio territorio intercettando i bisogni dei cittadini. La fusione poteva essere uno strumento utile a svolgere al meglio questo compito. Superato questo passaggio, dobbiamo continuare a lavorare in quella direzione con gli strumenti a disposizione, ovvero l’Unione dei Comuni e le gestioni associate». Moretti, che guida il comune di Sant’Ilario d’Enza è “dispiaciuto” per l’esito perché, oltre a credere fortemente nel progetto della fusione, nel suo Comune il sì aveva prevalso. «Tra i voti a favore del no ha sicuramente inciso molto la preoccupazione di tante persone di perdere quello che oggi le nostre amminil Comune Pianure Matildiche non ci sarà. Sant’Ilario d’En- strazioni ancora garantiscono, seppure con grandi sforzi. Non za, Gattatico e Campegine hanno detto no alla fusione. Un no solo abbiamo il dovere di rispettare l’opinione di questi cittache non lascia interpretazioni: Campegine con il 75,16 percen- dini, come ogni opinione civilmente espressa; ma con queste to e Gattatico con il 64,08 percento, unica voce fuori dal coro, legittime preoccupazioni dobbiamo fare i conti e continuare a Sant’Ilario d’Enza dove il sì ha prevalso con il 62,80 percento. confrontarci, per poter fare passi avanti. Proprio perché eravaPercentuali bulgare con un’affluenza al voto in controtendenza mo al corrente della complessità di ottenere un ampio consenso con le ultime consultazioni. Ma il risultato non cambia. Giam- su tutti e tre i Comuni, abbiamo scelto di sottoporre il progetto maria Manghi, Presidente della Provincia e responsabile del ri- al vaglio degli elettori dichiarando fin da subito (unici a farlo) ordino Istituzionale per il PD, ha dichiarato alla stampa che «Il che avremmo rispettato l’esito del referendum popolare, benché verdetto delle urne merita il rispetto che si deve a ogni libera meramente consultivo, proseguendo il percorso unicamente in espressione di voto […]», gli fa eco Andrea Costa, segretario caso di vittoria dei Sì in tutti i tre e i territori». provinciale PD: «Come PD abbiamo sostenuto il sì e rivendico Delusi anche coloro che, nel loro territorio hanno sostenuto il sì la bontà della scelta […] ma era giusto che i cittadini avessero alla fusione. Se per Massimo Bellei di Sant’Ilario la causa dell’ultima parola». Non è una sconfitta, ribadisce, da qui bisogna la sconfitta sta nella mancanza di una certa cultura, quella che ripartire. deriva dal «disamore nella politica per quello che è diventata» È necessaria una riflessione. Anche perché il voto del 16/10 non che impedisce il cambiamento perché «dire NO a qualcosa è è stato isolato. Su sei consultazioni popolari solo in una ha vinto più facile che costruire, prendi un bersaglio e ci lavori contro. il si: nel ferrarese dai comuni di Mirabello e Sant’Agostino na- Costruire un progetto davvero alternativo è molto più difficile». scerà Terre del Reno. Un “nì” è arrivato dal riminese, dove due Per Enrico Grassi, di Gattatico, già promotore di un convegno, su tre comuni hanno votato si rimandando la decisione all’As- nel 2012 sul tema della fusione tenuto dal presidente della Valsemblea Regionale. Esito negativo per tre comuni nel Bologne- samoggia. «Il comitato del sì e liste civiche non sono state in se e nel Piacentino. grado di spiegare i benefici e i processi di ottimizzazione che Il Sindaco Maiola, che guida il comune di Gattatico lo ha riba- si potevano attuare in un comune da 20.000 abitanti, non hanno dito: «Forse non siamo stati in grado di spiegare in modo chiaro saputo contrastare slogan e concetti da campanile e i sindaci non e convincente le nostre ragioni o forse i cittadini di Gattatico, hanno fatto un’azione comune, coordinata e pienamente condicome quelli di Campegine, hanno deciso a prescindere da pro- visa». E rincara la dose attribuendo colpe a una politica troppo messe e argomentazioni messe in campo; hanno scelto di non chiusa nelle sue stanze: “Tutto il processo di analisi (studio di intraprendere alcun cambiamento nel timore, probabilmente, di fattibilità, proposte di gestione, ecc.) e stato tenuto all’interno perdere elementi importanti del proprio essere comunità e nu- della struttura amministrativa con l’utilizzo delle commissioni e cleo amministrativo. Questa interpretazione sembra confermata sotto commissioni, con i tavoli di negoziazione, sino ad arrivare anche dall’esito delle altre consultazioni svolte contemporanea- ai work caffè strumento di sintesi fra commissioni e tavoli, commente in Emilia Romagna, dove è passata una sola fusione delle pletamente falliti e non conclusi. Perciò davanti a questi processei preventivate». Tuttavia, viste anche le difficoltà che incon- si, gestiti malissimo dai tre sindaci dove erano evidenti alcuni trano le amministrazioni è necessario «ripensare al percorso di contrasti e non c’era condivisione sulle prospettive, basate so-
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prattutto sui soldi che arrivavano dallo Stato e dalla Regione. È mancata il messaggio di unità d’intenti delle amministrazioni. «Tutto il percorso di fusione e stato molto personalizzato da alcuni soggetti, chi sperava che dopo la fusione a carriere politiche più ambiziose, chi pensava di trarre vantaggio e visibilità per il proprio futuro, forzando e ponendo l’arroganza davanti a delle idee che dovevano essere fortemente ideologizzate, che solo un partito presente e consapevole poteva mettere in piedi. Perciò bisognava contrapporre alle proteste da campanile una forte motivazione politica e ideologica, invece il PD si è nettamente spaccato e componenti di segreteria si sono alleati con chiunque fosse contro alla fusione, anche con la Lega. In questo progetto non c’erano i partiti che focalizzavano l’attenzione sul nuovo con motivazioni non personali ma di prospettiva popolare». Soddisfatto invece Franco Bassi, ex presidente del Circolo ARCI “Fuori Orario” e promotore del Comitato per il No per il Comune di Gattatico. Parla di vittoria, non solo per il risultato ottenuto a Gattatico e a Campegine, ma anche perché le «fusioni dei Comuni saranno accantonate per almeno tre anni…». Identità, non campanilismo: «per i cittadini il Comune è da sempre considerato la propria casa» e «l’identità è una cosa ben diversa dai “campanili” e dai “campanilismi”. L’identità è qualcosa che ognuno di noi ha dentro ed è una nostra grandissima ricchezza. Io sono io, Alberto è Alberto, Gianni è Gianni. Se ci fondessimo diventeremmo una cosa indistinta e la nostra ricchezza scomparirebbe. Mettendoci insieme e mantenendo la nostra identità resteremmo tre ricchezze». Aggiunge poi che il «SI’ alla fusione prevale, sempre nel comune più grande» e i cittadini dei due comuni più piccoli si sono ribellati a questa sorta di “sottomissione” di “dominio”. Guarda avanti e rivolge un invito lo rivolge a chi li rappresenta: «sarebbe opportuno che i nostri rappresentanti in Regione e in Parlamento si adoperassero per estendere i parametri della legge già approvata alla Camera a larghissima maggioranza dal titolo - Misure per il sostegno e
la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni - facendo in modo che a tutti i Comuni arrivassero le giuste risorse per tutelare il proprio territorio, i propri servizi, senza essere costretti a mercificarli attraverso continue cementificazioni e urbanizzazioni senza senso, come fatto fino a oggi». Credo che, in virtù dell’esito referendario, una cosa sia chiara: la necessità di cambiare il modo di fare politica, sia a livello nazionale sia a locale. Credo sia il momento di ritornare a parlare insieme alla gente, di scendere in piazza, al bar o in fila al CUP, per capire le esigenze e i sentimenti dei propri cittadini che, sono consapevoli delle difficoltà che incontrano oggi le amministrazioni, ma che temono di perdere pezzi della loro identità dell’essere cittadini, appunto. Quando la materia li riguarda da vicino hanno voglia di partecipare e l’affluenza a questo referendum l’ha dimostrato. Solo così si potrà rimediare a quella cultura che deriva dal «disamore per ciò che la politica è diventata». Una riflessione, vale sempre la pena farla. Per poi ripartire.
25 Aprile «Quando i luoghi raccontano le storie» Una mappa per conoscere e vistare i siti dove si sono svolti i fatti storici della guerra e della Resistenza a Cavriago Tra le iniziative per celebrare il 70° anniversario della Liberazione, figura la pubblicazione di Quando i luoghi raccontano le storie: una mappa per riscoprire le persone e i luoghi della guerra e della Resistenza a Cavriago. Si tratta della carta che raffigura e identifica (numerandoli) 17 luoghi rilevanti per la memoria storica della comunità cavriaghese e di un opuscolo – guida alla visita e alla conoscenza dei siti, per ognuno dei quali si rievocano, con brevi note di testo e suggestive foto d’epoca, eventi e circostanze che li collocano nel panorama storico della dittatura del fascismo e della guerra, persone e famiglie che hanno fatto la Resistenza e hanno dato un alto contributo alla lotta di liberazione. Sulla facciata retrostante alla cartina sono indicati due percorsi «per conoscere i luoghi della memoria»: «a piedi» nelle zone centrali del paese e «in bicletta» per raggiungere le zone periferiche. I due percorsi si integrano e completano nel suggerire – questo l’intento di quanti hanno elaborato e realizzato il proget-
to – «un nuovo immaginario dei luoghi di Cavriago» che trova riscontro sul territorio nei cartelli informativi che segnalano i siti significativi e cari alla memoria. Non sono itinerari tra le «pietre dolenti» (mappe e letteratura sui cippi e i monumenti partigiani sono già stati pubblicati in diverse altre occasioni celebrative) ma percorsi per condurre soprattutto alla riscoperta di siti che rievocano la presenza delle persone e delle loro storie che si incrociano con la grande Storia della comunità cavriaghese e dell’Italia. «Quando i luoghi raccontano le storie» è un progetto del Comune di Cavriago e della sezione cavriaghese dell’ANPI, in collaborazione con Associazione nazionale Alpini (sezione di Cavriago), Podistica Cavriago, Società Ciclistica Cavriago. La selezione dei luoghi della memoria e dei temi inclusi nel progetto e la stesura dei testi è il risultato dell’impegno di un gruppo di lavoro costituito da: Brunetta Partisotti, Riccarda Masetti, Antonio Coscelli, William Casotti, Pietro Salsi, Dario Ferrari Lazzarini e Franco Piccinini.
Iran e la scommessa femminile di Bruno Bertolaso
Dopo l’accordo sulla non proliferazione nucleare in Iran è in atto la progressiva rimozione delle sanzioni, questione che per il Paese significa apertura del mercato con ripercussioni che hanno indubbiamente influito sui risultati delle elezioni di fine febbraio. In tale, nuovo contesto le donne occupano un posto crescente nella repubblica islamica e si avviano decisamente sulla difficile strada di una loro rivalutazione sociale. A trentasei anni dalla rivoluzione islamica nonostante una legislazione che ne limita i diritti rispetto ai maschi, le donne iraniane sono riuscite a ricavarsi un posto in tutti i settori della società, anche se la maggior parte dei ruoli dirigenziali nell’amministrazione pubblica per loro rimane ancora inaccessibile. In magistratura le donne coprono incarichi solo secondari. Le autorità religiose negano loro la possibilità di interpretare i testi sacri pur essendo consentito di accedere al rango di ayatollah. Peraltro possono diventare architetti, dirigenti di impresa e ministri. Il Parlamento annota tredici deputate elette nella sessione elettorale di fine febbraio e ha nominato la prima ambasciatrice di sesso femminile: Marzieh Afkham. La lotta per imporre un cambiamento al femminile della società si fa sempre più acuta, specialmente quanto si chiede il riconoscimento dei diritti delle donne, nel Paese in cui le discriminazioni sono presenti a ogni livello. Sposarsi, viaggiare, aprire un conto bancario, ereditare, sono tutti aspetti, sottoposti a leggi inique e dipendono dal consenso del solo capo famiglia. Il divorzio può essere ottenuto da una donna solo dopo che questa ha espresso le sue motivazioni davanti al giudice, il solo in grado di dare la propria autorizzazione. L’affidamento dei figli prevede che sia fino ai due anni per i maschi e a sette anni per le femmine. Dopo tali termini temporali è il padre ad averne la piena custodia e inoltre la potestà genitoriale spetta al padre, anche nei casi in cui i figli vivano con la madre. Le cifre ufficiali indicano che solamente il 14 percento delle donne ha un impiego. In realtà sommando il lavoro in nero e il lavoro agricolo si può considerare la percentuale delle donne con un’attività lavorativa intorno al 25-30 percento. Peraltro il numero di candidate che si affacciano sul mercato del lavoro è in continua crescita, considerando anche che nelle università il 60 percento degli studenti è rappresentato da giovani donne. Non è possibile dimenticare che la scolarizzazione femminile è indubbiamente la maggiore conquista della rivoluzione islamica. La 14
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prima conseguenza è che ci sposa più tardi che non nel passato e si fanno una media di due figli per coppia, diversamente dei sette dei primi anni della rivoluzione islamica, quando l’incremento della natalità era massicciamente propagandato. I limiti di libertà al femminile che ancora impregnano tutta la società iraniana viene vissuto in maniera diversa dalle donne, per cui a fianco di coloro che considerano le proibizioni poca cosa al confronto dei risultati di libertà ottenuti. Ci sono altre donne che non li possono sopportare e sognano di lasciarsi alle spalle una atmosfera descritta soffocante ed emigrare in Europa o negli USA. Behnaz Shafie ha scelto, invece, di rimanere e agire. Piccola, minuta, molto femminile, a 26 anni è la prima donna ad avere ottenuto l’autorizzazione di andare in motocicletta come una professionista. Mentre le donne non sono ammesse negli stadi ad assistere alle partite di calcio disputate dagli uomini, lei ha acquisito il diritto di allenarsi allo stadio Azadi di Teheran, sulla sua moto da 1000cm3 e ha potuto presentarsi, come ospite d’onore, a un raduno motociclistico a Milano.Niente per lei è scontato, peraltro. Domani un qualsiasi religioso conservatore potrebbe esigere che lei smetta di comportarsi come un uomo in ambienti di soli uomini. Quando gira in moto lungo le strade del suo quartiere oltre a essere subissata dal clamore dei clacson “maschili” sente spesso gridare “ torna alla tua lavatrice!” Alla vigilia delle elezioni la Guida suprema appariva quasi ogni sera alla televisione diffondendo i suoi moniti, contro le contaminazioni occidentali e rivendicando il principio di “Badate che domani non sia l’ora della questione donne e dell’eguaglianza tra i sessi”.Nel contesto dell’eguaglianza che, si affaccia prepotentemente sul suolo dell’Iran, le donne possono essere considerate la grande scommessa dell’Iran? Senza alcun dubbio la risposta è sì! Il regime ha una forte paura delle donne, dal momento che dalle autorità politiche e religiose vengono considerate oggi come una seria minaccia, in grado di minare in profondo la struttura societaria del Paese. Il governo, peraltro, non è in grado di decidere da dove cominciare per combattere e vincere la minaccia ed evitare che vengano aperte nuove brecce nel monopolio maschilista del potere. E la questione del velo, nonostante la sua relativa importanza, diviene un simbolo, come affermano le teologhe dell’università di studi sciti della città di Qom: “se cediamo su questo cediamo poi anche su tutto il resto!”
estero
I partigiani peshmerga in Kurdistan di Ermete Fiaccadori
Nella foto da sinistra Ermete Fiaccadori, Areaz Abdullah Ahmed, l’interprete, Aso Bakir Mustafa, Noaman Abdulrahman e Gulala Salih (foto di Glauco Bertani)
Mentre i combattenti curdi peshmerga combattono in prima linea contro i tagliagole del cosiddetto “stato islamico” una delegazione della popolazione del Kurdistan iracheno è stata a Reggio Emilia dal 27 al 29 ottobre scorsi su invito dell’ANPI provinciale e del Comune di Ventasso. La delegazione composta da Gulala Salih rapppresentante di Kurdistan Save The Children in Italia, da Noaman Abdulrahman Ali program manager dell’associazione kurdistan Save the Children, dal parlamentare nazionale iracheno Areaz Abdullah Ahmed, dal governatore della città di Dukan Aso Bakir Mustafa e dalla docente universitaria e giornalista Ala Latif Abdulkarem ha portato a termine un ricco il programma della tre giorni. Oltre all’incontro con la segreteria provinciale dell’ANPI la delegazione è stata protagonista di una interessante iniziativa pubblica sulla situazione e le prospettive del Kurdistan tenuta al circolo “Catomes Tot” con la presenza ed il contributo degli onn. Paolo
Gandolfi e Giuseppe Romanini, dell’intergruppo parlamentare sulle tematiche del popolo curdo. La delegazione ha anche visitato il Museo Cervi, la biblioteca Sereni, la azienda “SABAR” con una ampia ricognizione del ciclo dei rifiuti, e la cooperativa agricola “Cila” con i suoi allevamenti, oltre il Centro internazionale Malaguzzi e Reggio Children. Nel municipio cittadino la delegazione, oltre a visitare la Sala e il Museo del Tricolore, ha incontrato l’assessore alla città internazionale Serena Foracchia, sviluppando un confronto sulla situazione della martoriata terra del popolo curdo, diviso sul territorio di ben quattro paesi confinanti. Nella giornata di sabato si è svolto un incontro con il sindaco, la giunta del comune di Ventasso, l’ANPI e i partigiani della nostra montagna al termine del quale è stato firmato il patto di amicizia tra il comune del nostro appennino e il comune di Dukan. Estremamente interessante è risultato l’incontro con gli studenti della scuola elementare di Ramiseto che hanno, a La bandiera del Kurdistan iracheno ha gli stessi colori della nostra, in trasversale, con un sole sul bianco. Si vedono alcuni disegni dei bambini curdi sulla guerra (foto di Fiorella Ferrarini); sotto il territorio del Kurdistan
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Sabato 29 ottobre, a Ramiseto firma del patto amicizia del Sindaco di Ventasso con quello di Dukan (foto di Fiorella Ferrarini); sotto la sala del Catomes tot a Reggio Emilia (foto di Luciano Cattini)
lungo, interrogato la delegazione sulla situazione del loro paese ed in particolare sullo stato delle scuole e sulle condizioni di vita dei ragazzi. La delegazione ha anche visitato la latteria sociale “il Parco” di Gazzolo e la cooperativa “la Valle dei Cavalieri”di Succiso. Gli incontri hanno permesso di prendere contatto con diverse realtà reggiane e di conoscere aspetti importanti della situazione di quel paese e delle aree limitrofe nelle quali drammatico è il pericolo dell’ISIS. E’ emerso chiaramente che non si tratta di una questione interna dell’Iraq. In quella zona ci sono grandi interessi internazionali, in primis per la presenza del petrolio. Il recente attentato dell’Isis a Parigi ci ha fatto capire il pericolo che quel movimento rappresenta anche per l’Europa. Il quadro internazionale ha permesso di precisare che ci sono diversi paesi di quell’area che appoggiano, in modo più o meno nascosto, il fondamentalismo islamico quali ad esempio l’Arabia Saudita, il Katar e la Turchia, dopo averne favorito la nascita. In questo periodo la situazione più delicata è quella della Siria. In quella realtà l’ISIS è favorita e appoggiata dalla Turchia. In Siria l’ISIS conduce una guerra spietata. Ha decapitato tanti maschi adulti Yazzidi, cristiani e sciiti. Ha anche fatto prigioniere molte donne, deportandole, e metten-
dole in vendita per finanziare la sua attività. Una parte di donne sono riuscite a sfuggire alla persecuzione ma purtroppo ci sono ancora donne nelle loro mani. Nelle zone abitate dai cristiani sono state devastate aree con un milione di abitanti. Su queste tematiche l’ANPI provinciale ha rinnovato il suo impegno per divulgare la conoscenza della situazione e per verificare possibili interventi si sostegno e aiuto internazionale.
L’ANPI di Castelnovo ne’ MOnti a Marzabotto Come ogni anno la sezione di Castelnovo ne’ Monti ha organizzato la visita a Marzabotto in occasione della ricorrenza che quest’anno è caduta il 2 ottobre. I gonfaloni dei Comuni di Castelnovo ne’ Monti e Castelnovo Sotto si sono incontrati con la storica bandiera ANPI. (w.o.)
Reggio Emilia e l’Africa australe Sudafrica e Mozambico di Nando Rinaldi
La visita istituzionale in Sudafrica e Mozambico - che si è
svolta dal 17 al 25 ottobre 2016 alla presenza del sindaco Luca Vecchi, dell’assessore alla Città internazionale Serena Foracchia, di Bruna Soncini e di diversi rappresentanti del tessuto imprenditoriale reggiano - è stata l’occasione per rafforzare i rapporti di collaborazione che legano la città di Reggio Emilia ai paesi dell’Africa australe. Un rapporto nato nei primi anni Sessanta con il movimento di liberazione mozambicano, FRELIMO, e continuato dopo l’indipendenza del Mozambico (1975) con l’African National Congress (ANC), impegnata a contrastare il regime sudafricano dell’apartheid. Queste relazioni sono state possibili grazie al contributo di diversi soggetti pubblici e privati: l’Arcispedale Santa Maria Nuova, che ha offerto assistenza medica ai primi guerriglieri mozambicani; il Comune di Reggio Emilia, che ha sottoscritto diversi accordi di solidarietà e amicizia prima con la provincia di Cabo Delgrado e nel 1977 con l’ANC; i sindacati e l’ANPI, che ha organizzato nella seconda metà degli anni Ottanta una nave di solidarietà per aiutare le popolazioni dell’Africa australe. La ricca storia di relazioni e amicizia è continuata anche negli anni Duemila, in particolare nel 2011, su iniziativa del Comune di Reggio Emilia è nato il Tavolo Reggio-Africa con il compito di raccogliere la documentazione sull’esperienza delle relazioni tra Reggio e l’Africa e creare una sede di discussione tra i vari enti del territorio che sviluppano questi rapporti elaborando nuovi spunti di collaborazione tra le nostre comunità. Il Tavolo è composto da Comune di Reggio nell’Emilia, Reggio Children, Reggio nel Mondo, Boorea, Legacoop, ISTORECO, ARCI Solidarietà, CGIL e CISL, Università di Modena e Reggio Emilia, ANPI, Fondazione Mondinsieme e Centro missionario diocesano. Su queste basi la delegazione partita in ottobre per Johannesburg, Maputo e Pemba ha avuto modo di consolidare le relazioni in ambito culturale, educativo, sociale e sanitario, con l’importante novità legata alla presenza di diverse imprese reg-
Johannesburg, giovedi 20 ottobre 2016, cena di solidarietà promossa dalla Hip Alliance, da notare sullo sfondo un manifesto con l’ex sindaco di Reggio Renzo Bonazzi; sotto visita al centro di salute Eduardo Mondlane di Pemba avvenuta il 23 ottobre. Il primo a sinistra è Armando Jhon, che abbiamo conosciuto l’estate scorsa quando ci fatto visita insieme a una delegazione mozambicana
giane che hanno sviluppato contatti diretti con il tessuto imprenditoriale sudafricano e mozambicano oltre a partecipare all’Italy South Africa summit organizzato dal Forum Ambrosetti. Sul fronte culturale la delegazione ha avuto modo di condividere una piattaforma di lavoro con il Dipartimento cultura e sport della Provincia del Gauteng, sui temi dell’indicizzazione degli archivi e della loro digitalizzazione, al fine di consentirne una fruizione estesa anche ai ricercatori sudafricani, inoltre, si sono approfondite le relazioni con il Laboratorio di storia dell’Università di Witwatersrand, la più importante Università di Johannesburg, definendo la possibilità di un futuro protocollo d’intesa a tre: Laboratorio di storia, Comune di Reggio e Istoreco. Una prima occa-
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sione di collaborazione sarà rappresentata dalla partecipazione, il prossimo novembre, di una ricercatrice di Istoreco, la dott. ssa Chiara Torcianti, al Convegno organizzato dall’Università di Witwatersrand “The Politics of Armed Struggle in Southern Africa” (La politica della Liberazione in Sudafrica) con una relazione dal titolo: The struggle continues. Italian reception of liberation movement in Mozambique che approfondirà la storia delle relazioni tra la città di Reggio Emilia e il movimento di Liberazione mozambicano. Sul piano delle politiche educative, oltre alla visita alla Scuola dell’infanzia ispirata al Reggio Emilia approch, la St. Mary’s school di Johannesburg, la delegazione reggiana ha preso parte ad una importante conferenza sui temi dell’educazione nella prima infanzia promosso dalla Provincia del Gauteng. La conferenza, incentrata sull’esperienza delle Scuole e dei Nidi dell’infanzia del Comune di Reggio Emilia, ha consentito di riflettere sull’importanza dell’educazione per contrastare fenomeni di marginalità sociale molto presenti in Sudafrica garantendo alle fasce più povere di accedere ai servizi educativi, leva fondamentale per il pieno sviluppo delle potenzialità del bambino. La delegazione ha, inoltre, reso omaggio alla tomba di Oliver Tambo, presidente dell’ANC dal 1967 al 1991, che sottoscrisse insieme al Sindaco Ugo Benassi nel 1977 il patto di solidarietà tra Reggio Emilia e l’ANC visitando nella città di Ekhuruleni la biblioteca dedicata a Giuseppe e Bruna Soncini. La parte mozambicana della missione ha visto, infine, la sottoscrizione in terra mozambicana del Patto di gemellaggio tra Reggio Emilia e Pemba già firmato in Sala del Tricolore nel maggio 2012. I rapporti di amicizia che legano l’Africa australe a Reggio Emilia hanno dunque confermato il loro importante significato, sul piano della valorizzazione della storia comune e del patrimonio culturale nato da questa relazione, insieme a possibili livelli di futura collaborazione che consegnano nuove responsabilità e possibili azioni di sviluppo economico e sociale nel segno della cooperazione reciproca e della solidarietà.
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Sopra, Pemba lunedì, 24 ottobre 2016, firma del patto di gemellaggio tra le due città; nel piazzale dello showroom della Smeg a Johannesburg: Serena Foracchia, Luca Vecchi, Nando Rinaldi e Bruna Soncini
segnali di pace
Profughi: si può davvero aiutarli “a casa loro”? di Saverio Morselli
A
fine ottobre di quest’anno gli sbarchi di profughi sulle coste italiane hanno toccato quota 153.450, il 10 percento in più rispetto allo stesso periodo del 2015. Tra questi, 20.000 minori non accompagnati (nell’intero 2015 sono stati 12.000). I morti in mare ufficialmente accertati sono 3.800, rispetto ai 3.771 del 2015. Di fronte a questi numeri terribili, l’Unione Europea discute, rettifica, si divide, litiga, si ricompone, si fa carico, definisce, proclama, delega, dispone. Poi di nuovo discute, rettifica, si divide e così via, in una sorta di sconcertante balletto delle intenzioni che finisce per perdersi nel mare della complessità del fenomeno. Accoglienza e diffidenza si alternano a seconda della consistenza dei flussi migratori e della drammaticità del momento, generando nuovi sensi di colpa e paure, comprensione o veri e propri muri. L’opinione pubblica segue con evidente preoccupazione e inquietudine gli eventi. Nel nostro Paese si affligge di fronte alle immagini che raccontano la disperazione ma subito dopo spesso si imbarazza di fronte alle ipotesi di accoglienza che richiedono un coinvolgimento delle comunità locali e addirittura si indigna sui costi di questa accoglienza. Fino all’affermazione liberatoria che spazza via ogni accusa di insensibilità e pulisce la coscienza: “Aiutiamoli a casa loro!”. Suona bene, “aiutiamoli a casa loro”, ha un impatto emotivo ed etico indiscutibile: chi potrebbe mai contestare la proposta di investire in tecnologia, sviluppo e lavoro nei Paesi di origine di chi arriva sulle nostre coste? Però c’è un però: da dove vengono i profughi? Si può davvero aiutarli “a casa loro”? Le statistiche del 2016 dicono che il 20 percento di questi fuggiaschi viene dalla Nigeria, il 12 percento dall’Eritrea, il 7 percento dalla Guinea, il 6 percento dal Gambia, un altro 6 percentodal Sudan, il 5 percento dalla Somalia e un altro 5 percento dal Mali. E’ sicuramente utile provare a capire da quale condizione fuggono. La situazione interna della Nigeria è caratterizzata da sommosse, conflitti e rapimenti, specialmente nella regione produttrice di petrolio del delta del Niger. Povertà, violazione dei diritti umani, corruzione dilagante si accompagnano, nel nord del Paese, alle violenze efferate degli estremisti islamici di Boko Haram. In più, distruzione dell’ambiente dovuta all’indif-
Il presidente del Gambia Yahya Jammeh
ferenza della grandi compagnie petrolifere e milioni di persone che non hanno accesso all’acqua potabile. L’Eritrea è definita dallo United Nations Human Rights un Paese in cui “il governo è responsabile di violazioni flagranti, sistematiche e generalizzate dei diritti umani” di dimensioni raramente riscontrabili in altri Stati, con un apparato capillare di controllo della popolazione infiltrato a tutti i livelli della società. Carcere duro, tortura e sparizioni sono all’ordine del giorno. La Guinea fatica tremendamente nell’uscire dal feroce regime dittatoriale di qualche anno fa, considerato tra i peggiori mai esistiti. Instabilità politica, conflitti tribali, potere militare corrotto, insicurezza diffusa, persecuzioni rendono difficile per la popolazione avere prospettive di vita appena decenti. Il Gambia ha appena due milioni di abitanti, eppure è tra i primi Paesi da cui provengono coloro che cercano di entrare in Europa attraversando il Mediterraneo. Il motivo è che il presidente Yahya Jammeh lo “amministra” col terrore da oltre vent’anni anni. Secondo Human Rights Watch, in Gambia sono abituali le violazioni dei diritti umani, con casi ripetuti di sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie e ricorso alla tortura. Omar Hassan al Bashir, presidente del Sudan dal 1989, è stato condannato dalla Corte di Giustizia dell’Aja per genocidio e crimini contro l’umanità in relazione al conflitto nel Darfur. Successivamente, ha intrapreso una lotta di religione armata contro il Sud Sudan in prevalenza cristiano. Nel Paese, soggetto alla sharia, la legge islamica, permangono restrizioni ai diritti politici, alle libertà d’espressione, riunione e associazione. I conflitti armati, il banditismo e gli scontri intertribali continuano a provocare metodiche violazioni dei diritti umani. Parlare della Somalia significa parlare di uno Stato precipitato ormai da anni nel caos e nella devastazione della guerra civile, in cui permane attiva e minacciosa la presenza delle “Corti Islamiche” e delle milizie di “al-Shabaab”, di matrice integralista islamica e cellula di Al Qaeda. Si calcola che dal 1991 ad oggi il costo del conflitto in vite umane sia stato di almeno 500.000. Incalcolabile il numero degli sfollati e dei rifugiati. Il Mali è inserito tra i 25 Paesi più poveri al mondo, oltre un terdicembre 2016
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zo della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Nonostante il cessate il fuoco del 2013, seguito all’offensiva di tuareg ed islamisti che aveva imposto la sharia in diverse zone del Paese, la situazione non si è stabilizzata: agli attentati nei confronti di civili e operatori ONU il governo risponde con rappresaglie indiscriminate. Questa è, molto sinteticamente, “casa loro”. Questo è ciò da cui fuggono le centinaia di migliaia di persone che sbarcano sulle coste italiane. Fuggono da regimi dittatoriali, dalla violenza, dalla devastazione, dalla sistematica violazione dei diritti umani. Percorrono migliaia di chilometri in condizioni sub umane perché non hanno più nulla da perdere. In questo tragico contesto, allora,“aiutarli in casa loro” significa invocare l’impraticabile, diventa lo slogan vuoto e ipocrita di chi evita consapevolmente di confrontarsi con l’ingiustizia e la disuguaglianza che caratterizzano da sempre il continente africano e con le responsabilità di un colonialismo vecchio e nuovo che noi, Europa, facciamo spesso finta di non avere.
“NOI CON VOI” di Alessandro Carri
> Una grande campagna di solidarietà in favore dei paese dell’Africa, in particolare, del Mozambico che negli anni passati coinvolse tutta la nostra città e la Provincia, in solidarietà con i Paesi dell’Africa. Alla partenza delle navi della solidarieta c’erano innumerevoli autorità come l’on. Arrigo Boldrini, in rappresentanza dell’ANPI nazionale, che quella campagna, con la sezione di Reggio Emilia, presieduta da Giuseppe Carretti, la sponsorizzò <
“N
OI CON VOI” è il titolo di una grande campagna di solidarietà che negli anni passati coinvolse tutta la nostra città e Provincia, in solidarietà con i Paesi dell’Africa e, in particolare, il Mozambico. Più di una nave allora partì dal porto di Genova, piena di prodotti utili per quei popoli. Tutto ciò faceva seguito, tra l’altro, all’iniziativa del Comune di Reggio Emilia, ad opera dell’indimenticabile assessore Giuseppe Soncini. Non si trattava di inviare solo oggetti ad uso individuale, ma macchine e strumenti che avrebbero dovuto servire – e servirono – per favorire in quei Paesi lo sviluppo di attività produttive e di lavoro. Alla partenza c’erano innumerevoli autorità e ricordo l’on. Arrigo Boldrini, in rappresentanza dell’ANPI nazionale, che quella campagna, con la sezione di Reggio Emilia, presieduta da Giuseppe Carretti, la sponsorizzò. Migliaia di cittadini reggiani parteciparono e sostennero disinteressatamente quel gesto che per il suo valore diventò emblematico e fece il giro del mondo. A bordo più volontari ordinarono e catalogarono il materiale e svolsero una adeguata attività di informazione, mentre le navi facevano la circumnavigazione dell’Africa. Da allora tanti Paesi dell’Africa si sono evoluti conquistando l’indipendenza e l’autonomia, molti però sono precipitati nel caos, coinvolti in guerre fratricide e sono
sprofondati in quel fondamentalismo islamico, della violenza cieca, del terrorismo, tale da coinvolgere anche i Paesi occidentali. Ora l’Africa e quindi gli africani in fuga dalla fame e dalla guerra hanno bisogno della nostra solidarietà e di quella umana accoglienza che il nostro Paese ha dimostrato di avere con tutti i controlli necessari, con una adeguata ripartizione in tutto il Paese. Ma, nello stesso tempo, come da più parti è stato ribadito, sono necessari aiuti diretti ai Paesi d’origine per garantirne, con la pace, lo sviluppo e, quanto meno, ridurre l’emigrazione. Il problema è, naturalmente, non solo italiano, ma europeo e bene ha fatto il presidente del Consiglio a richiamare ai propri doveri tutti i Paesi d’Europa e il superamento della politica di austerità, distinguendosi anche rispetto Francia e Germania. Partendo da questi presupposti quindi perché non ripartire, ad ogni modo, con l’impegno locale, perché non cercare di dare vita, ancora una volta, ad un progetto come fu quello di “Noi con voi”, coinvolgendo oltre che le istituzioni locali quelle nazionali? È il momento per farlo. La nostra città, per l’accoglienza degli immigrati, per la solidarietà e per l’esperienza che la contraddistinsero, può essere di esempio e diventare, per tutti, quel punto di riferimento che del resto già seppe assolvere in passato.
compleanni
I primi 90 anni del partigiano “Volpe” Al Centro sociale Quaresimo di Codemondo, Reggio Emilia, venerdì 24 giugno è stata organizzata dai familiari la festa per i 90 anni di Francesco Bertacchini il partigiano “Volpe”. Nella foto qui a fianco, Volpe è intento a tagliare la torta sotto i flash dei “reporter”, tra questi anche Anna Parigi, a sinistra, che leggerà, come documentato nell’altro scatto, il testo che ripruduciamo: Caro compagno Volpe, per festeggiare i tuoi primi novant’anni, i tuoi famigliari. i tuoi amici e la tua Anpi, oggi ti vogliono essere più che mai vicini per ringraziarti di questo tuo lungo percorso di vita e di militanza, a volte difficile e drammatico come durante la Resistenza, a volte fatto di sacrifici, ma anche pieno di soddisfazioni ed esaltante. Ed in questo tuo percorso tu hai sempre saputo metterti al servizio di chi e per chi ti stava accanto senza nulla pretendere. Novant’anni sono un grande traguardo, che festeggerai certo con tutti noi, ma che hai potuto raggiungere anche e soprattutto grazie alla tua cara moglie Luciana, a tua figlia e a tutti quei compagni di lotta nella Resistenza, tanti dei quali oggi purtroppo non ci sono più. Il tuo e il nostro pensiero oggi va anche a loro. Grazie Francesco, grazie di cuore, perché i tuoi novant’anni non sono solo un semplice traguardo, sono un ideale trampolino verso il futuro, perché le conquiste di allora non sono affatto terminate, ce lo dice il presente e allora da domani sarai di nuovo in servizio permanente, con i ragazzi nelle scuole, sui Sentieri partigiani, per raccontare quello che non possiamo permetterci di dimenticare. Un partigiano non va mai in congedo e tutti noi continueremo ad esserti vicini. Ora e sempre Resistenza caro Volpe, lunga vita! Nella foto qui sotto, “Volpe” durante uno dei tantti incontri avuti con gli studenti
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LA PARTIGIANA GENOSSE TIRELLI > 23.12.1919 – 06.10.2016 <
Genosse sui 25 anni nella foto della scheda ANPI 1945
Il 6 ottobre u.s. è deceduta la partigiana Genosse Tirelli, che avrebbe raggiunto la bella età di 97 anni il 23 dicembre. Madre del’ex sindaco Marzio Iotti e della giornalista Liviana, ai quali rinnoviamo fraterne condoglianze, era cresciuta in una famiglia proletaria e segnata fin nel nome di battesimo da una eredità socialista. Il padre Livio, Consigliere comunale a Correggio, seguace del riformismo di Camillo Prampolini e attivo nel movimento della cooperazione, aveva infatti voluto per la figlia quel nome, Genosse (si pronuncia Ghenosse) che in tedesco significa “compagno”. Ma che sta anche alla radice di Genossenschaft, cioè “Cooperativa”. Sicché, come ipotizza Liviana, è forse probabile che suo nonno Livio pensasse a quest’ultimo significato. Del resto anche gli altri figli di Livio, e prozii di Liviana e di Marzio, furono “battezzati” secondo una onomastica socialista assai diffusa nei primi lustri del Novecento qui nel Reggiano: si va da una Atea, a Ideanuova (chiara allusione al Socialismo), a un Lombroso (scienziato positivista e socialista noto ai lettori della Giustizia prampoliniana) a un inopinato Goliardo. Genosse fu attiva nelle SAP di Correggio dal giugno ’44 alla Liberazione, come risulta dalla scheda di iscrizione all’ANPI compilata nell’estate 1945, dove le viene attribuita la qualifica di “Patriota” mentre nella scheda di riconoscimento qualifiche risulta soltanto “benemerita”, che sarebbe soltanto il livello inferiore, per così dire, mentre il primo era quello di “Partigiano, -a combattente”. Il tutto frutto di una mentalità un po’ maschilista e di regole ministeriali militaresche. Ciò che risulta singolare è che il nome di Tirelli Genosse non compare in alcun modo nel pure accuratissimo, prezioso (e ormai introvabile) libro di Avvenire Paterlini, Partigiane e Patriote della provincia di Reggio Emilia (a.z.).
Un ponte solidale
Domenica 30 ottobre si è tenuto sul ponte di San Pellegrino l’evento “Un ponte solidale” organizzato dal Circolo “Posta Vecchia” di Via Bismantova, Associazione FIAB Tuttinbici, SPI CGIL Camera del Lavoro Reggio sud e della Sezione ANPI “Mimma” Montanari e Loris Piccinini di San Pellegrino. Un pomeriggio denso di emozioni, di canti e di significato. Sul ponte hanno intrattenuto i convenuti, Antonio Casoli, Caterina Lusuardi, Fabiana Bruschi e il gruppo musicale “Più Tost”. Il ricavato delle vendite di caldarroste, gnocco fritto e vin brulè, verrà devoluto alla popolazione di Montegallo, borgo di Ascoli Piceno duramente colpito dal terremoto dello scorso agosto (a.p.) (foto Luciano Cattini)
memoria
La colonia “Roversi” di Busana di Giacomo Notari
Eravamo ancora dei ragazzi, verso la metà degli anni Trenta del secolo scorso, quando capitava di portare da mangiare ai nostri padri e zii che stavano costruendo la colonia di Busana.Nata durante il ventennio fascista per ospitare i bambini in cerca di aria buona e diventare poi baionette per la grandezza della patria, la colonia era composta da tre edifici, ancora esistenti, costruiti sopra il paese in uno splendido castagneto alle pendici del monte Ventasso. L’edificio più grande portava allora la scritta “Colonia montana Rosa Maltoni Mussolini”, ricordo che le lettere erano grandi, di ceramica azzurra. Prima dell’arrivo dei tedeschi nel ‘43, ci furono anche bambini nati in Libia, fuggiti in seguito alla guerra, di passaggio verso il veneto, da dove erano partiti i loro genitori in cerca di fortuna nelle terre del nuovo impero. All’arrivo la guerra comunque la colonia cessò di ospitare bambini in vacanza. Dopo la guerra passarono da lì per un breve periodo anche un gruppo di ragazzi dai quattordici ai diciotto anni, provenienti dalla zona del contenzioso tra Italia ed ex Jugoslavia. Verso l’autunno del ‘43 la colonia diventò il quartier generale dell’esercito tedesco sotto il comando di un colonnello. Il luogo rivestiva un ruolo importante, a presidio della statale 63, Reggio - La Spezia e alle spalle della linea gotica che attraversava la vicina Garfagnana. Durante la resistenza all’interno di questo comando si verificarono importanti episodi di collaborazione tra alcuni soldati tedeschi e i comandi partigiani. Tanto che, alla fine della guerra, vi fu un gruppo di soldati di stanza alla colonia che si rifiutò di seguire l’esercito tedesco in ritirata e si arrese ai partigiani. Fummo io e il partigiano Coli Nello di Marmoreto, ad accompagnare questi uomini a Reggio Emilia e a consegnarli agli americani. Due di loro, ormai scomparsi, si sposarono con ragazze del luogo, misero su famiglia a Cervarezza, ebbero figli e vissero qui per il resto della loro vita. Dopo questo episodio ebbi a che fare ancora una volta con la colonia a guerra finita, af-
frontando nuovi problemi. Dopo aver riportato le spoglie di alcuni partigiani morti, nei loro paesi d’origine sparsi in tutta la montagna, Avvenire Paterlini detto “Nino” mi disse che dovevo partecipare con lui e il sindaco di Reggio Campioli, a una riunione sul destino della colonia. Dopo essere stata caserma, sede del comando tedesco, decidemmo che doveva tornare alla sua funzione originale di colonia e fui incaricato di seguire il ripristino della struttura. In accordo con un certo Donelli di Reggio, mi consultai con mio zio Domenico Notari che era un bravo muratore, reclutammo una dozzina di ragazzi della zona e lavorammo giorno e notte, domeniche comprese, per far sì che la colonia fosse pronta ai primi di luglio per poter ospitare nuovi bambini. Naturalmente anche il nome fu cambiato e per volere del sindaco Campioli, la colonia fu intitolata a Luigi Roversi, sindaco socialista di Reggio Emilia dal 1902 al 1917, fu in quella circostanza che anch’io appresi chi era stato Luigi Roversi. Fui proprio io, arrampicato su una lunga scala, con la martellina dello zio Domenico, a sbriciolare le lettere di ceramica azzurra della precedente intitolazione che caddero a pezzi nel cortile sottostante. Alla data stabilita nel luglio ‘45, le corriere della SARSA cominciarono a trasportare con destinazione Busana oltre 200 ragazzi e educatori che avrebbero trascorso un salutare periodo di vacanza presso la colonia appena risistemata. Si scelse di dare la precedenza ai figli degli operai e comunque a bambini e ragazzi provenienti dalle famiglie più povere della città. Da allora per molti anni la colonia ha ospitato intere generazioni di bambini e ragazzi reggiani dando così lavoro anche ad alcune ragazze del posto. Negli anni ‘80, dopo un periodo di stallo, la colonia è stata ristrutturata e adeguata alle nuove esigenze abitative continuando a essere ambita meta per le vacanze estive per tanti bambini della pianura. Dalla fine degli anni ‘80 ai primi del 2000, nella palazzina più piccola sulla sinistra sono stati ospitati anche gli dicembre 2016
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uffici del parco del gigante prima e poi del Parco nazionale appennino tosco emiliano ed anche gli uffici del Corpo forestale dello Stato. Attualmente l’edificio di destra è diventato l’albergo-ostello “Il castagno” gestito da privati e specializzato nell’ospitare gruppi; il corpo centrale invece, la vera e propria colonia, da una decina di anni non è più utilizzato perché, mi dicono, non è più a norma, ma occorrerebbe soltanto una cifra modesta per risistemarlo. Questo è un vero peccato perché il castagneto secolare che ospita gli edifici, è veramente magnifico, il sentiero che porta sul monte Ventasso è lì a pochi passi e l’ossigeno la fa da padrone in questa epoca di aria pessima e inquinamento permanente nella nostra pianura. E quanti bambini ancora oggi non possono permettersi di andare in vacanza e non hanno mai messo piede in appennino? Mi auguro che prima o poi gli attuali amministratori renderanno di nuovo viva e aperta questa struttura. Per me però a quasi novant’anni, il legame con la colonia di Busana non si
è ancora interrotto perché ogni anno in settembre, proprio nell’albergo “Il castagno”, incontro ragazzi tedeschi, austriaci, svizzeri, italiani che partecipano al bel progetto “Sentieri partigiani” che ISTORECO porta avanti da oltre 10 anni, e racconto loro le vicende della resistenza sull’appennino.
Non mi resta che augurarmi di poter continuare ancora con questo impegno tornando ogni anno in questo luogo unico e singolare della nostra montagna. (Marmoreto, 15 ottobre 2016)
LUIGI ROVERSI E PALAZZO ANCINI Cogliamo l’occasione per qualche informazione su Roversi e sulla lapide che ne perpetua la memoria, collocata proprio sulla facciata di Palazzo Ancini (Via Farini n. 1) dove abbiamo anche la nostra sede come ANPI. Dall’epigrafe che vi è incisa, ma difficilmente leggibile da chi passa per Via Farini, si apprende fra l’altro che il Palazzo era ancora sede della Camera del Lavoro socialista quando la lapide fu collocata, nel 1918. Precisiamo che la Camera del Lavoro vi ebbe sede dal 1901 al 1923 e fu oggetto di due assalti squadristici, con devastazioni degli uffici e bastonature ai sindacalisti, tra il 1921 e il 1923. Ma ecco il testo dell’epigrafe: IN QUESTA CASA / DOVE LA SOLIDARIETÁ DELLA CLASSE OPERAIA / VA FORMANDO LA NUOVA CIVILTÁ DEL LAVORO / LUIGI ROVERSI / DAGLI ALBORI DELLE LOTTE E DELLE SPERANZE / TACITO COSTANTE DEVOTO / TEMPRÒ AI PROLETARI / LE ONESTE ARMI DELLA LORO RISCOSSA / E NEL VICINO PALAZZO DEL COMUNE /PER XVI ANNI SINDACO / EQUO INFATICABILE SAGGIO / PRODIGÒ ALLA PUBBLICA COSA / MENTE CUORE E VITA ¬ NELL’ASCESA E NELLE VITTORIE DEI DISEREDATI / VIDE E VOLLE / IL GIUSTO BENE DI TUTTI / AI PIÙ UMILI AI PIÙ INFELICI / DONÒ CONFORTO D’INESAUSTA BONTÁ GENEROSA / ONDE IN LUI NOBILMENTE RIFULSE / LA UMANA VIRTÙ DELL’IDEA SOCIALISTA / I COMPAGNI I LAVORATORI / P P / MDMXVIII
compleanni
i 91 anni DI BRUNO VALCAVI di Ivo Rondanini del comitato comunale del Pci. Dal 1959 al 1967 ricoprì la carica di dirigente sindacale nelle zone di Baiso, Casina, Carpineti, Castelnovo ne’ Monti, Busana, Collagna e Ligonchio. Per Valcavi c’erano non solo i diritti del lavoratore da difendere, ma avvertiva il dovere di dare una risposta a qualsiasi problema di carattere economico e sociale di ogni famiglia. Ogni condizione di bisogno suscitava in lui una preoccupazione, un disagio morale che richiedeva senza esitazioni una risposta concreta. E su questi principi concepì la sua missione.
Sindaco intraprendente
E’
nato il 9 dicembre 1925. A quattordici anni rimase orfano del padre Giovanni deceduto in un infortunio sul lavoro alla giovane età di trentanove anni. Nella piccola casa di Riana di Carpineti, restarono avvolti nel dolore la moglie Alma Baldelli in attesa di Giovanna e i figli Lina (16 anni), Bruno, Nino (12), Amos (10), Emore (8), Maria (6) e Edda (4). La somma di 29 lire mensili, appena sufficiente per mezzo quintale di farina di frumento, era l’iniqua pensione che l’INAIL assegnò alla vedova come vitalizio. Bruno, seppure quattordicenne, si trovò all’improvviso l’uomo più grande della numerosa famiglia e avvertì tutta la responsabilità che quel ruolo comportava. Senza esitazione si rimboccò le maniche e iniziò a lavorare come garzone nell’azienda agricola di Franco Silvi.
Partigiano combattente Aderì ancora giovanissimo alla lotta di liberazione e il 14 febbraio 1944, assieme ad Enzo Muratori e Primo Baldelli, anticipando l’azione di lotta vera e propria della Resistenza, si recarono a Piagne di Pantano indossando una divisa da carabiniere per prelevare una pistola che sarebbe poi servita nella lotta contro il nazi-fascismo. Il giorno successivo una squadra di fascisti di Reggio Emilia circondò la borgata di Riana e non trovando gli autori del gesto arrestarono le loro madri. Per farle liberare i tre giovani si consegnarono ai carabinieri di Carpineti e furono arrestati e condotti nel carcere cittadino dei Servi. Bruno Valcavi si arruolò nella 26a Brigata Garibaldi, 3° BTG, appartenente al distaccamento “Pasquino Pigoni” assumendo il nome di battaglia Kira. Partecipò a svariate azioni di lotta a Carpineti, Villa Minozzo, Sologno, Cerrè Marabino, Felina, Pantano e Marola dimostrando sempre prontezza, autentico spirito di sacrificio, tenacia nel perseguire gli obiettivi e forte senso del dovere. Per la sua innata intraprendenza e fervente attività politica, nel 1948 venne eletto segretario
Il 23 aprile 1967 venne eletto sindaco di Carpineti, dopo essere stato membro del consiglio comunale. Venne riconfermato nelle consultazioni amministrative del 7giugno 1970 (la lista del Castello, da lui capitanata, ottenne 2.025 voti, tra cui ben 464 preferenze) e del 15 giugno 1975. Per risolvere i problemi dell’occupazione e arrestare l’emigrazione, Valcavi abbatté gli steccati ideologici e perseguì con caparbietà e intelligenza il dialogo e la collaborazione con gli altri partiti, gli organismi sociali e la parrocchia. I risultati non si fecero attendere e nel 1968, con l’intervento finanziario di 160 persone, sorse la Ceramica San Prospero, che l’anno seguente diede avvio all’attività produttiva consentendo l’occupazione di un centinaio di operai. Dopo pochi anni decollarono la CONFIT, una profileria metallica, una fabbrica di macchine assemblatrici e la Ceramica Querciola. Al boom dell’industria si accompagnarono lo sviluppo dell’artigianato, del commercio, delle strutture sportive e turistico-alberghiere. “Se Carpineti è uno dei maggiori centri economici della montagna, gran parte del
merito è di Valcavi”, hanno sempre sostenuto i cittadini. La sua energica personalità talvolta impulsiva e intransigente, si è fatta sentire e apprezzare in tutta la montagna reggiana. Durante il suo governo, non vi fu nel territorio comunale, nessuna famiglia di cui non conoscesse la situazione economica e sociale. A lui si rivolgevano i cittadini con estrema fiducia, certi di ottenere un saggio e leale consiglio e, laddove era possibile, un interessamento concreto ai loro problemi. Personaggio carismatico non rappresentava più unicamente il pubblico amministratore di un comune di montagna che all’epoca superava i cinquemila abitanti, ma era divenuto un consigliere, un confidente, un punto di riferimento stimato e autorevole. Anche ora, nonostante l’età e i problemi di salute riconducibili alla scomparsa della funzione visiva ma con la memoria granitica e lucidissima, riceve nel suo ufficio frequenti visite di cittadini, non solo carpinetani, per un saluto o un consiglio che sa essere, di sicuro, saggio e pertinente. Dal timbro della voce sa riconoscere immediatamente, senza esitazione, il suo interlocutore. E’ stato presidente del comitato comunale ANPI dagli anni Cinquanta fino al 2015. Festeggia il 91° compleanno assieme alla moglie Ornella Zafferri detta Franca sposata il 21 aprile 1951. Da sinistra in piedi: Davide Annigoni, Stefano Baldelli, Roberta Mori, Tiziano Borghi, sindaco di Carpineti, mons. Guiscardo Mercati, sen. Alessandro Carri. Seduti: da sinistra Enio e Sereno Pistoni, Giovanni Lugli, Bruno Valcavi. Nella foto sopra Valcavi, alcuni anni fa, durante il discorso ufficiale tenuto in occasione della festa della liberazione davanti al monumento ai Caduti nella piazza di Canossa di Carpineti
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ALICE SACCANI RENATO GIACHETTI
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Una vita insieme di amore e di lotta per un mondo migliore. I figli Giancarlo e Giuliana, unitamente ai nipoti, nel ricordare i genitori partigiani Alice Saccani (8/7/1918-2/11/2000) e Renato Giachetti (2/7/1903-24/8/1964),
sottoscrivono a sostegno del Notiziario.
10° ANNIVERSARIO
WERTHER SPAGGIARI (LEMBO)
Il 27 ottobre ricorre il 10° anniversario della scomparsa, a 83 anni, del Partigiano Werther Spaggiari Lembo, responsabile della Sezione ANPI di Gavassa. Werther aveva lavorato per lunghi anni presso il mulino di Masone, poi Progeo, e aveva sempre dimostrato attaccamento alla famiglia e ai suoi ideali ispirati ai valori della Resistenza. L¹Amministrazione comunale di Correggio, in occasione del 38° anniversario della battaglia di Fosdondo, gli aveva conferito il diploma e la medaglia quale protagonista generoso ed eroico di una delle pagine più belle della storia della Resistenza a Correggio e provincia. “E’ tanto triste averti perduto, ma è tanto bello ricordarti”. La moglie Dilva, i figli Ivano e Marisa in sua memoria sottoscrivono a sostegno del Notiziario.
GUIDO TORRI (BOSCO)
dicembre 2016
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CARLO PORTA, LEA RODOLFI
Il 26 novembre ricorreva il 9° anniversario della scomparsa di Carlo Porta. Lo ricorda, insieme alla moglie Lea Rodolfi deceduta il 12 aprile 2016, la figlia Vanna offrendo a sostegno del Notiziario.
GIUSEPPE FERRARI (PINO)
in memoria
Il 27 aprile u.s. moriva, a 90 anni, il partigiano dott. Giuseppe Ferrari (Pino), di Cavriago. Nato in una famiglia operaia, fu tra i dirigenti del Fronte della Gioventu’ fondato da Eugenio Curiel. Nel dopoguerra continuò gli studi laureandosi in scienze economiche. Protagonista della ricostruzione democratica militando nel Pci, fu apprezzato dirigente del movimento cooperativo. Lo ricorda con profondo rimpianto la vedova, Simona Salsi, unitamente a tutti i familiari, con un’offerta a al periodico dell’ANPI reggiana.
RENZO BARAZZONI
1° ANNIVERSARIO
Il 1° dicembre ricorreva il secondo anniversario della scomparsa del prof. Renzo Barazzoni. Nel ricordarlo con profondo rimpianto, la moglie Luisa e le figlie Paola e Fiorenza sottoscrivono pro Notiziario.
11° ANNIVERSARIO
Il 19 settembre ricorreva il 11° anniversario della scomparsa del Partigiano Guido Torri “Bosco”, presidente dell’ANPI di Casina e per anni consigliere comunale a Ramiseto. Nato a Succiso nel 1923, fu chiamato alle armi nella seconda guerra mondiale; dopo l’8 settembre entrò nelle fila della Resistenza, partecipando alla battaglia dello Sparavalle (giugno 1944). Fu comandante di distaccamento della 285a SAP della Montagna. Dopo la guerra si iscrisse al partito comunista di cui divenne segretario della sezione prima di Ramiseto e poi di Albinea, dove si trasferì per motivi legati al suo lavoro di cantoniere. Juri Torri e famiglia in sua memoria sottoscrivono a sostegno del Notiziario. 26
9° ANNIVERSARIO
31° ANNIVERSARIO
ODOARDO BULGARELLI (MODENA) SEVERINA BISI
Nel 31° anniversario della scomparsa del Partigiano Odoardo Bulgarelli Modena, avvenuta il 30 novembre 1985, lo ricordano con immutato affetto insieme alla moglie Severina Bisi, Staffetta partigiana, deceduta il 15 marzo 2009, i figli Paris e Sirte, i nipoti, i pronipoti e i famigliari sottoscrivendo pro Notiziario.
Anniversari
44° ANNIVERSARIO
MARCO E LICINIO MARASTONI
Afra Marastoni ricorda con rimpianto il 44° anniversario della scomparsa dell’amato figlio Marco e la recente scomparsa del marito Licinio, avvenuta il 10 dicembre 2015. In loro memoria offre a sostegno del Notiziario.
11°ANNIVERSARIO
GIUSEPPE CARRETTI (DARIO)
Il 2 ottobre scorso ricorreva l’11° anniversario della scomparsa del Partigiano Giuseppe Carretti “Dario”, vice comandante della 145 a BGT Garibaldi, ex sindaco di Cadelbosco Sopra e presidente dell’ANPI reggiana per oltre 25 anni. Lo ricordano con profondo rimpianto le famiglie Carretti e Pioppi offrendo al suo Notiziario.
IN MEMORIA
ROSANNA PRATI
In memoria di Rosanna Prati, scomparsa l’8 luglio 2005, il marito Natale Bini e i figli offrono a sostegno del Notiziario.
16° ANNIVERSARIO
ANGIOLINO MARGINI (TEMPESTA)
Il 15 novembre ricorreva il 16° anniversario della scomparsa del Partigiano Angiolino Margini “Tempesta” della 143a BGT Garibaldi, attiva nel parmense. Lo ricordano con immutato affetto la moglie Adolfina Bussei, la figlia Luciana, il genero, la nuora, i nipoti e i parenti tutti. Per onorare la sua memoria sottoscrivono pro Notiziario.
IN MEMORIA
ARRIGO RIVI (ASKAR)
Le persone speciali brillano come le stelle… non sempre le vedi, ma quando ne hai bisogno le senti brillare nel tuo cuore. La famiglia Rivi ha una grande stella che si chiama “Askar”. Il 9 dicembre ricorrerà il 92° compleanno di Arrigo, i congiunti con immutato affetto lo ricordano sul Notiziario.
1° ANNIVERSARIO
NINO VACONDIO (JAMES)
In memoria del Partigiano Nino Vacondio “James”, appartenente alla 26a BGT “Garibaldi”, deceduto il 5 ottobre 2015, e di Altea Borghi i figli James e Valeria sottoscrivono a sostegno del Notiziario.
6° ANNIVERSARIO
ALDO BALLABENI (ALDINO)
BRUNA MAMMI Il 17 novembre ricorreva il 15° anniversario della scomparsa del Partigiano Aldo Ballabeni Aldino. Lo ricordano la moglie Norma Catellani e la figlia Fulvia che sottoscrivono pro Notiziario.
6° ANNIVERSARIO
Per ricordare Bruna Mammi nel 6° anniversario della scomparsa il marito Bruno Menozzi e i figli Nerio e Marina sottoscrivono a sostegno del Notiziario. dicembre 2016
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31° ANNIVERSARIO
VERINA CASTAGNETTI SIMONETTA IORIO
In memoria della moglie Simonetta Iorio, nel primo anniversario della scomparsa, e della mamma Verina Castagnetti, scomparsa il 5 febbraio del 1998, Adelmo Cervi sottoscrive pro Notiziario. Il 28 dicembre ricorre il 73° anniversario della fucilazione del Partigiano Aldo Cervi. Catturato dai fascisti repubblicani il 25 novembre 1943, insieme agli altri fratelli all’alba del 28 dicembre 1943, fu condotto al poligono di tiro di Reggio Emilia e fucilato. Il figlio Adelmo lo ricorda.
I sostenitori euro - NATALE BINI – e figli in memoria della moglie Rosanna Prati .... 50,00 - IAMES e VALERIA VACONDIO – in memoria dei genitori Nino e Altea Borghi ..................................................................... 50,00 - ALBERTA SALSI – a sostegno .................................................... 50,00 - GIULIANA e GIANCARLO GIACHETTI – in memoria dei genitori Alice e Renato ............................................................................ 400,00 - ADOLFINA BUSSEI – in memoria del marito Angiolino Margini . 50,00 - FAM CARRETTI/MONTANARI – in memoria di Giuseppe Carretti “Dario” ...........................................................100,00 - AFRA MARASTONI – in memoria del figlio Marco e del marito Licinio ......................................................... 150,00 - JURI TORRI – in memoria del padre Guido ............................... 250,00 - CARLO e STEFANIA GOVI – a sostegno ..................................... 30,00 - VANNA PORTA – in memoria dei genitori Carlo e Lea Rodolfi 100,00 - LUISA e PAOLA BARAZZONI – in memoria del prof. Renzo Barazzoni .................................................................100,00 - FULVIA BALLABENI – in memoria del padre Nedo .....................100,00 - AVIO e MARINA PINOTTI – per celebrare il 70° del loro matrimonio .............................................................200,00 - PARIS BULGARELLI – in memoria dei genitori ..........................100,00 - PATRIZIA RIVI – in memoria del padre Arrigo ............................ 50,00 - DELIA CANOVI – in memoria di Fernando Cavazzini .................. 20,00 - ELENA MANENTI – a sostegno .................................................. 20,00 - FAM. FERRARI, Cavriago – in memoria del dott. Giuseppe Ferrari ...........................................................100,00 - FAM. GRASSI, Cavriago – a sostegno ........................................ 20,00 - FAM. FOSSELLI, Cavriago – a sostegno ..................................... 20,00 - BRUNO MENOZZI – in memoria della moglie Bruna Mammi ...... 50,00 - LAILA GROSSI – in memoria del padre Emilio 50,00 - LAILA GROSSI – in memoria di Marco e Licinio Marastoni 50,00 - LALLA e LILIA TROLLI – in memoria del padre Elio 100,00
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EMILIO GROSSI (OBRAI)
IN MEMORIA
In memoria del Partigiano Emilio Grossi “Obrai”, appartenente alla 76a BGT SAP “Fratelli Manfredi” Laila Grossi lo ricorda sottoscrivendo pro Notiziario.
ELIO TROLLI (SERGIO)
19° ANNIVERSARIO
Sono passati 19 anni dalla scomparsa del Partigiano Elio Trolli “Sergio”, avvenuta il 20 dicembre 1997, ma il ricordo di lui, della sua passione, del suo impegno per il turismo amatoriale sono più vivi che mai in coloro che hanno avuto la possibilità di verificare la sua instancabile opera organizzativa in occasione dei tornei e dei raduni sui sentieri partigiani. Per onorane la memoria, le figlie Laila e Lilia, il genero e i nipoti, nel ricordarlo sempre con affetto e nostalgia, sottoscrivono pro Notiziario.
Ricordato il partigiano Pietro Tronconi In memoria del Partigiano “PRIMO”, deceduto il 24 settembre, la sezione ANPI di Castelnovo ne’ Monti ha organizzato un momento di ricordo, unitamente allo Spi/CGIL, lo scorso lunedì 3 ottobre a Cerreto Alpi. Riportiamo la sua testimonianza sull’eccidio fascista del distaccamento “F.lli Cervi”, avvenuto a Legoreccio di Vetto il 17 novembre 1944, dove trovarono la morte 18 partigiani uccisi subito dopo la cattura e altri 6 più tardi a Ciano d’Enza e altrove. «La testimonianza che voglio portarvi – racconta Tronconi - è che se posso parlarvi è dovuto ad un caso fortuito. Anch’io dovevo essere qui a Legoreccio assieme ai tanti bravi ragazzi del distaccamento Cervi, ma una febbre mi costrinse a letto. Ora immaginate il dolore che ho sopportato al sapere dell’eccidio perpetrato a danno dei miei compagni e immaginate anche il dolore che io provo ogni anno in occasione di questa ricorrenza».
LA MEMORIA DELLA REPUBBLICA Comune di Ventasso
Sabato 14 ottobre, al centro polivalente di Busana, si è svolta la cerimonia di consegna della medaglia ministeriale del 70° della Liberazione a 10 partigiani del territorio appartenenti al nuovo comune di Ventasso, che comprende, oltre a Busana, Collagna, Ligonchio e Ramiseto. Eccone i nomi in ordine alfabetico: Acerbi Alfiero, Bagni Luciano, Baisi Ovidio, Coli Mario, Dughetti Giovanni, Galassi Pietro, Mocchi Fernando, Notari Giacomo, Stefanelli Tancredi, Tronconi Pietro. Alla cerimonia hanno presenziato il Sindaco di Ventasso Antonio Manari con l’Assessora Paola Berti e il nostro Presidente Ermete Fiac-
memoria
cadori, il quale ha rivolto parole di saluto al pubblico presente richiamando l’impegno dell’ANPI a tutela della Memoria della Resistenza e dei suoi valori, una “memoria attiva” che si misura quotidianamente con i problemi del nostro tempo. Il presidente emerito Giacomo Notari, dal canto suo, dopo aver ricevuto la medaglia, ha preso la parola anche per ricordare il proprio fratello Giuseppe, Meri, caduto l’11 marzo 1945. Cogliamo l’occasione per formulare fraterni auguri di buon compleanno a Giacomo, che il 5 dicembre raggiunge gli 89 anni
Comune di Castelnovo ne’ Monti
A driana Olmi ha ricevuto medaglia e attestato
consegnati direttamente dall’ANPI di Castelnovo ne’ Monti.
Durante la visita a Marzabotto è stata consegnata dall’Assessore Bertucci a Giacomina Castagnetti la Medaglia della Resistenza, nella foto insieme a Orlandi, presidente ANPI Castelnovo ne’ Monti. dicembre 2016
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La Biblioteca di Istoreco intitolata a Ettore Borghi Sabato 29 ottobre è stata inaugurata la biblioteca di Istoreco intitolata al prof. Ettore Borghi (19372013). A ricordarlo i presidenti di Istoreco Simonetta Gilioli e del Consiglio comunale Emanuela Caselli, dal prof. Luciano Lanzi, dai figli Bianca e Carlo. I tanti presenti sono stati intrattenuti, infine, da letture teatrali di Clizia Riva. Per l’occasione è stata pubblicata, a cura di Glauco Bertani, una raccolta di scritti di Ettore Borghi dal titolo Ettore Borghi, un radicale equilibrato. «Questa raccolta di scritti - attinti dalle pagine di “RS-Ricerche storiche”, la rivista di Istoreco, e da quelle del “Notiziario ANPI” - non esaurisce certo il lavoro intellettuale di Ettore Borghi, ma fissa alcune pietre miliari del suo pensiero: etica, politica, morale, storiografia. La suddivisione in argomenti intende agevolare i lettori, non certo imbrigliare le sue dense riflessioni critiche, anche quando prendono spunto da meri fatti di cronaca. Così la pubblicazione di una semplice scheda di appunti, La Politica culturale del PCI a Reggio Emilia, diventa in realtà una sollecitazione per lo studio del welfare reggiano. E chi leggerà questi testi comprenderà benissimo il titolo dato a que-
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sta antologia: Ettore Borghi, un radicale equilibrato». Chi era Ettore Borghi Ettore Borghi ha insegnato dal 1961 al 1997 italiano, storia e filosofia nella scuola media, all’istituto magistrale e al liceo classico. Alla metà degli anni Cinquanta ha aderito al partito radicale, quando ne erano esponenti nazionali Ernesto Rossi, Leopoldo Piccardi, Leo Valiani e Guido Calogero. Dopo il dissolvimento di quell’esperienza entra nel partito socialista, avendo presente soprattutto la posizione di Riccardo Lombardi. Dall’inizio degli anni Settanta si considera un indipendente di sinistra. È questa la formula con cui viene eletto nel consiglio comunale di Reggio negli anni Ottanta, nella lista del PCI assieme a Maria Vergalli e, nel periodo iniziale, a don Ercole Artoni. In giunta dal 1982 al 1987 con Ugo Benassi sindaco, si è occupato soprattutto del settore nidi e scuole dell’infanzia. Per lungo tempo ha fatto parte del Direttivo diIstoreco e per 14 anni e 29 numeri (84113) è stato direttore di “RS-Ricerche storiche”, la rivista di Istoreco.
Il partigiano “Toni” Un sabotatore dal volto gentile Il 27 ottobre scorso, all’età di 93 anni è scomparso Fernando Cavazzini, il partigiano “Toni” di Adriano Arati
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n sabotatore dal volto gentile e dai modi cortesi. Il 27 ottobre scorso ci ha salutato Fernando Cavazzini, nome di battaglia “Toni”, 93enne testimone della Resistenza reggiana, uno dei più conosciuti fra i giovani comandanti del periodo, a capo della leggendaria squadra di sabotatori “Demonio”. Una figura importante per la Resistenza e per la ricostruzione, giovane dirigente cooperativo del settore edile sino a diventare presidente della Cooperativa Rinascente. E, da vent’anni a questa parte, uno dei più preziosi testimoni del periodo, impegnato in decine di iniziative ogni anno con ANPI e con Istoreco, dai Sentieri Partigiani in giù. Un legame, quello con l’ANPI, davvero fortissimo e confermato sino all’ultimo: la famiglia ha chiesto, per il giorno del funerale, non fiori ma piuttosto offerte proprio all’ANPI reggiana. Nato a Villa Cella, il 26 luglio ’43 partecipa a delle manifestazioni in piazza a Reggio Emilia, per chiedere la pace e per festeggiare la fine del fascismo. Giovane operaio alle Officine Reggiane, è presente alla manifestazione conclusa con l’uccisione di nove manifestanti per la pace dell’interno della fabbrica, fra cui una ragazza incinta di otto mesi. È la molla che lo spinge verso l’antifascismo attivo. Dopo l’8 settembre aiuta i soldati sbandati portando loro dei vestiti borghe-
si e aiutandoli a fuggire. Nel marzo del 1944 sale in montagna assieme ad alcuni amici di Cella, fra cui Aldo Dall’Aglio. Entra a far parte della 26a Brigata Garibaldi “Enzo Bagnoli”, con cui partecipa alla battaglia di Cerré Sologno, uno dei più importanti scontri a fuoco fra fascisti, tedeschi e partigiani della montagna, uno dei primi successi sul campo dei resistenti reggiani. In seguito diventa il capo della squadra volante di sabotatori “Demonio”, che distrugge ponti e obiettivi militari in tutta la provincia di Reggio Emilia, attivo soprattutto in montagna e in collina. Qui stringerà tanti rapporti con le famiglie che aiutano la sua formazione, amicizie e affetti che rimarranno fortissimi per decenni. Nel dopoguerra viene decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor militare e inizia la sua carriera nella cooperazione, affiancandola all’impegno politico attivo col PCI. Una passione che lo portava spesso anche all’estero, ricordava sorridendo: lui, giovane dirigente in carriera, passava le estati a scavare fossi e buche nei cantieri dei paesi comunisti per aiutare lo sviluppo di quei compagni. Come molti combattenti della sua generazione, dopo la pensione ha affrontato seriamente il tema della memoria e del
ricordo degli anni della Resistenza, incontrando negli anni migliaia di persone, studenti, studiosi, visitatori di altri paesi. Nel 2014 è al centro di “Sabotatori”, film di Nico Guidetti e Matthias Durchfeld dedicato ai sabotatori di ieri e di oggi, persone impegnate nella resistenza culturale, sociale e civile. Oltre a lui, nel film compare il figlio Stefano, musicista da tanti anni residente in Francia. Una delle scene principali è quella della festa organizzata da ISTORECO e ANPI nel settembre 2013 nel cortile di Istoreco per i 90 anni di Toni, omaggiato a sorpresa da oltre cento fra parenti, amici e ammiratori. E da una bella torta con la scritta “90”. La costante, sino all’ultimo, erano il suo sorriso gentile e i suoi modi garbati, quelli che non perdeva mai anche quando si discuteva dell’adorata politica, passione di una vita intera. Un modello, per tanti versi, di vita e di eticità. Ultima curiosità, Toni compare anche in una delle foto più celebri della Resistenza reggiana, quella dei quattro partigiani in cammino di spalle, in marcia nella neve. Un’immagine postuma, realizzata nel 1946, coinvolgendo ex resistenti. L’ultimo dei quattro si chiamava Fernando Cavazzini.
26 luglio 1943, Fernando Cavazzini al centro in primo piano, alla sua destra Giovanni Ferretti dicembre 2016
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Il partigiano “Toni” Un sabotatore dal volto gentile 1923-2016 Un lungo corteo, tante bandiere dell’ANPI, le musiche degli inni della Resistenza e del Movimento operaio, in un pomeriggio di sole. Questo sabato 29 ottobre il funerale di Toni tornato a Villa Cella. Da lì era partito ai primi di marzo del ‘44, con altri sei amici e compaesani, per raggiungere la montagna partigiana. Il suo lungo viaggio dalla Resistenza alla Ricostruzione democratica agli anni della preziosa testimonianza, rievocato da Antonio Zambonelli nell’orazione di commiato. Da queste pagine rinnoviamo affettuose condoglianze alla moglie Tilde, ai figli Maurizia e Stefano, ai nipoti Lorenzo, Erika, Clara e Sebastien.