TB Magazine Ottobre 2008

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Sommario pagina 12 THE BOSS Coach Perdichizzi ci introduce al capionato di Legadue che inizia questo mese: speranze e progetti dell’allenatore dei record.

pagina 39 TRE VOLTE INVANO

pagina 34 L’UOMO DEL MIRACOLO

Il primo capitolo del libro d’esordio del brindisino Emiliano Poddi

Parla Talucci. L’uomo che, grazie al Papa, ha cambiato la città. In sei mesi

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ALBUM DEL MESE

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SPORT/ECONOMIA

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Gli eventi di Settembre raccontati in poche foto

Legadue, ma quanto ci costi?

ATTUALITÁ

Voliamo ancora basso

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APPALTI

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PROGETTI

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ECONOMIA

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La Comunicazione dell’Autorità portuale? A tre aziende romane

SPAM 0831

La satira di TB

La rivoluzione della costa a Nord di Brindisi

Moreno compra il Majestic: torna il risiko degli hotel

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LA DOLCE VITA

Le 10 meraviglie di Brindisi: tutte da gustare

Direttore Responsabile: FABIO MOLLICA

tuttobrindisi

n. 1 / ottobre 2008

www.tbmagazine.it

Grafica e Impaginazione: SALVATORE ANTONACI

Redazione / Pubblicità Prolungamento Viale Arno, sn 72100 Brindisi Tel/Fax 0831 550246 info@fabiomollica.com

Webmaster: ANTONIO TEDESCO Stampa: MEDIAGRAF, Roma

Autorizzazione Trib. Brindisi: n. 4 del 13/10/1996 Distribuzione in abbinata gratuita a Senzacolonne l’1 di ogni mese. Distribuzione gratuita nei principali luoghi di lavoro e di ritrovo dal 15 d ogni mese.

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EDITORIALE

Non restate a guardare Un altro giornale? No, un progetto più ampio Il nuovo TB è un magazine, ma anche un sito internet, e presto anche un format Tv

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uando il primo numero di TuttoBrindisi vide la luce, era l’ottobre 1995. Ve li ricordate ancora quei tempi? Io sì, e di certo non li rimpiango (età a parte). Erano gli anni dei contrabbandieri padroni. Della guerra tra bande rivali. Delle bombe e delle sparatorie. Erano gli anni in cui i giovani non avevano tanta scelta di locali notturni. E le iniziative culturali, se c’erano, erano cose per quattro gatti. Non che oggi sia tutto rose e fiori, ma in 13 anni la città è cambiata profondamente. È più bella, più sicura, più vivibile. I recenti articoli apparsi sulla stampa inglese lo confermano: Brindisi avrebbe tutti i connotati per essere un posto dove vivere bene. E basterebbe davvero poco per completare l’opera di rinnovamento della città. Però, a fronte della voglia di riscatto che si respira ormai da qualche anno, non si riesce a scorgere un cambiamento (reale) a livello amministrativo. Un cambiamento di persone innanzitutto, visto che molti personaggi che regnano sovrani a Palazzo di Città stanno lì da almeno 15 anni, se non di più, e sarebbe ora che facessero le valigie. E poi un cambiamento di mentalità: basta con questi cambiacasacca senza lavoro che si fanno eleggere solo per incassare uno stipendio mensile e i gettoni di presenza. Finiamola di votare questa gente che si vende per mezza pagnotta e per la promessa di un posto di lavoro per se o per i figli. Abbiamo bisogno di una nuova classe politica. Di gente che abbia idee, competenze, fan-

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tasie, progetti. Progetti veri, non vuoti, come si sta dimostrando quello di Città d’Acqua. A proposito, voi avete capito in che diavolo consiste?

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a non crediate che TB sia tornato per parlare solo di politica. Vogliamo far discutere. Stimolare gli interventi e i dibattiti. Non solo critiche ma anche proposte, a cominciare da questo numero: un progetto per la costa cittadina (a pagina 26). Ogni mese una proposta per i nostri amministratori, di oggi e di domani. A settembre dell’anno

prossimo avremo presentato 12 proposte che, se accolte, a nostro avviso potrebbero cambiare il volto della città incidendo su molte problematiche attuali, prima fra tutti quella della mancanza di lavoro. A proposito di lavoro: questo non è il giornale di chi continua a dire “non c’è n’è”. Questo è un magazine per chi il lavoro se lo

inventa o se lo va a trovare. Basta piangerci addosso: guardiamoci intorno e prendiamo spunto dagli altri. Non serve andare troppo lontano. Impariamo dai nostri vicini leccesi. E invece di prenderli per culo al palazzetto con quel grido da ignoranti e frustrati “chi-non-salta un-leccese-è”, ammiriamoli per come si sono re-inventati il Salento e in 15 anni sono divenuti una delle mete più importanti del turismo italiano, facendo soldi pure con una cosa discutibile come la “pizzica”. TuttoBrindisi è per i brindisini che vogliono cambiare la città ed i suoi cittadini. Che non restano a guardare, come recita il nostro slogan. Quelli che non sognano di andarsene ma provano a migliorare il posto in cui vivono, almeno per i loro figli. Questo magazine è a disposizione di chi vuole parlare, discutere, contare di più, senza farsi prendere ancora in giro da gente che non ha titoli per poterlo fare.

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aTuttoBrindisi è un pro-


di Fabio Mollica getto editoriale ben più ambizioso del settimanale che forse qualcuno di voi ricorda ancora. Il magazine è oggi un mensile: formato da freepress londinese, di facile lettura, ricco di foto e di argomenti, ma di argomenti che non si leggono in cinque minuti, bensì richiedono tempo e attenzione. Ed anche partecipazione. Una partecipazione che speriamo di poter registrare soprattutto sul nostro sito web (www.tbmagazine.it) dove, oltre a poter sfogliare e scaricare il giornale, potrete leggere quotidianamente il nostro blog e le ultime notizie locali, ma anche farci sapere le vostre opinioni sui temi trattati. Sul sito sarà presto disponibile anche la nostra trasmissione, TBTV: un format di circa 30 minuti che riproporrà in chiave televisiva i contenuti del giornale, la cui messa in onda proporremo a tutte le emittenti televisive locali.

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sia ben chiaro: qesto giornale non ritorna dal passato per essere un giornale contro qualcuno. Non siamo contro Mennitti e non siamo contro Errico. Non siamo per il centrodestra nè per il centrosinistra. Stiamo dalla parte della città, e di quanti sapranno proporre qualcosa di nuovo per Brindisi. Siamo per un ricambio generazionale nei luoghi che contano, dove gradiremmo vedere finalmente i quarantenni piuttosto

che i 60/70enni. E staremo con chi saprà proporre nuovi sogni ad una città che negli ultimi 25 anni è stata capace di sognare solo la serie A di basket. Ora che almeno quel sogno si è avverato, cerchiamo di dargliene altri. Questo è il nostro obiettivo. Perché la pensiamo come uno dei personaggi cui diamo voce questo mese, Pierangelo Argentieri, nuovo amministratore dell’Hotel Majestic: «A Brindisi c’è troppa arrendevolezza. Ognuno è protagonista del proprio destino. Se non crediamo in quello che siamo e in quello che vendiamo, non andremo da nessuna parte». Lavoreremo dunque per Brindisi e per i brindisini, e questa è la ragione dell’abbinamento con Senzacolonne, il quotidiano dei brindisini, fondato e diretto da Gianmarco Di Napoli, che ha saputo imporsi e raccogliere consensi in un panorama editoriale dominato dai grandi gruppi. Anche questa è un’altra conferma che quando vogliamo sappiamo farci valere. Come sottolinea anche monsignor Talucci nell’intervista che trovate a pagina 34, e che vi consiglio di leggere molto attentamente. TB sarà distribuito con Senzacolonne il primo giorno di ogni mese. Dal 15 in poi lo ritroverete in distribuzione gratuita nei principali luoghi di lavoro e di ritrovo della città. Spero che apprezzerete il nostro primo numero. Attendiamo i vostri giudizi. Non restate a guardare. info@fabiomollica.com

COMPLICI LE FIRME DI TUTTOBRINDISI

MARIO LIOCE a pag. 45

L’ho conosciuto in spiaggia, in costume, e non era proprio un belvedere. Ma dopo qualche minuto di scambi di vedute non ho avuto più dubbi: «Un altro brindisino intelligente!». È direttore marketing di una nota azienda internazionale del settore. E scrive anche molto bene.

DARIO BRESOLIN a pag. 21

Chi leggeva il vecchio TB lo conosce già. Per i nuovi arrivati, invece, che dire: Dario è così, prendere o lasciare. O lo ami o lo odi. Io continuo a pensare che la sua testa, e i suoi articoli, possano far bene alla nostra città. Tanto, peggio di così...

GIOVANNI ANTELMI

PATRIZIA MIANO Senza il suo contributo (e quello di Barbara) rischiavamo di essere un magazine troppo maschilista. Non crediamo alla retorica delle pari opportunità e in altre stupiddagini simili. Ma nell’intellligenza delle donne, quello sì. E lei ne ha da vendere. Dobbiamo solo riuscire a tenerla a freno.

BARBARA BRANCA a pag. 33 Nella vita di tutti i giorni fa la mamma e fa quadrare i conti delle aziende. È una professionista stimata e una donna simpatica. Ci aiuterà a capire alcuni problemi che le aziende locali affrontano quotidianamente. Proponendo soluzioni.

EMILIO GRAZIUSO a pag. 33 È uno dei giovani avvocati che più si stanno mettendo in mostra tra le nuove leve dell’avvocatura locale. Ed è il referente brindisino della Confconsumatori. Una vecchia conoscenza di TuttoBrindisi. Come potevamo farne a meno?

Un’altra bella mente, un tecnico prestato all’Amministrazione Provinciale. Per ovvi motivi di opportunità, non scriverà di cose amministrative, ma di argomenti molto più interessanti. Firmerà i “Diari di viaggio” e ci porterà in giro per il mondo. A suo modo e con i suoi tempi. Infatti per questo numero non ce l’ha fatta a scrivere.

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L’ALBUM DI SETTEMBRE

«DICO SI, TRA 45 GIORNI» 2 Settembre, ore 11. Conferenza stampa del sindaco Mennitti. Il primo cittadino convoca i giornalisti e annuncia che è pronto a ricandidarsi. Tra 45 giorni la conferma. Ma nessuno dubita che possa fare retromarcia.

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L’ALBUM DI SETTEMBRE

UN QUARTO DI SOGNO 3 Settembre, ore 21.15 (Usa). US Open di Tennis, New York.

Per la brindisina Flavia Pennetta svanisce il sogno di qualificarsi alla semifinale del torneo del Grande Slam. La tennista azzurra viene sconfitta ai quarti dalla russa Dinara Safina (6-2 / 6-3). Ma il suo resta un risultato strepitoso: nella storia tennistica italiana solo un’altra italiana era arrivata ai quarti agli Us Open.

TUTTE IN ACQUA

8 Settembre, ore 14.00. Lido Santa Lucia. Grazie alla collaborazione tra tecnici, forze dell’ordine e associazioni ambientaliste, 11 tartarughe vengono restituite al mare dopo essere state curate.

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L’ALBUM DI SETTEMBRE

CAMBIATELA! 6 Settembre, ore 21.00.

La città festeggia i Santi Patroni. Monsignor Talucci legge un discorso di alto profilo. Lo spettacolo dei fuochi è mozzafiato. Ma le bancarelle lungo i corsi e viale Regina Margherita sono sempre più inguardabili e rovinano la festa. Che dovrebbe essere religiosa ma ormai è dominata dal commercio. Di bassa lega.

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THE BOSS

Hatten, Killing, Porzingis. E poi gli italiani. Ma i tifosi sanno che il vero perno della squadra è ancora lui, coach Perdichizzi. Che in questa intervista parla di sè, della società e del campionato che inizia

«Il coach? Persona bravissima, leale, siciliana. Nel senso che mantiene le promesse. E quando vuole qualcosa non ti molla. E poi è uno che non si fa ripetere le cose due volte». Le parole di Massimo Ferrarese mi avevano incuriosito ancor di più. Il Perdichizzi allenatore lo abbiamo conosciuto tutti, quello del miracolo. Il Perdichizzi uomo non lo conoscevo. E la frase del patròn bastava a far aumentare la curiosità. Intervista alle 17.30. Tempo massimo 15 minuti, avverte Pamela Spinelli, perché alle 18 inizia l’allenamento. Lo Sceriffo ci accoglie al palazzetto, in pantaloncini e maglietta, mentre guarda l’allenamento delle nuove leve della Enel Brindisi. Sereno, come sempre. Tanto lui alla serie A è abituato. Coach, l’anno scorso, alla sua prima conferenza stampa, disse: “Nessun traguardo è precluso a questa squadra”. E quest’anno? Quest’anno mi ripeto. Ho avuto la squadra che volevo. E fin dai primi allenamenti ho visto nei ragazzi la mentalità giusta. Fermo restando che il primo obiettivo resta la salvezza. Raggiunta quella, si aprono porte e scenari impensabili. Tutto dipenderà da noi. Però Ferrarese come al solito si è sbilanciato: vuole la A1 in tre anni! Beh, temevo peggio. Nel senso che pensavo avesse più fretta. Tre anni mi sembra un tempo ragionevole. Un buon lasso di tempo per costruire una squadra solida, una società ancora più forte, e soprattutto un nuovo palasport. Ora che è qui da un po’ di tempo, cosa apprezza dei brindisini, e cosa non le va giù di loro?

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SPECIALE LEGADUE

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SPECIALE LEGADUE

Ma guardi, siamo gente del Sud. I brindisini sono calorosi, si entusiasmano anche per le piccole cose. Purtroppo troppo spesso sono pessimisti e autolesionisti, vedono nero prima ancora che le cose accadano. Io invece non parlo mai prima che il fatto sia compiuto. Lo scorso anno disse che quando ci sono quattro componenti che lavorano all’unisono, la strada è spianata: squadra, società, tifosi e stampa. Credo che i quattro elementi a Brindisi ci siano tutti e vadano d’accordo. Sì, e sono una buona base per partire. Come ha visto la sua squadra nelle prime uscite pre-campionato? La mentalità è quella giusta. Si sta creando un buon gruppo, con grandi qualità morali. I ragazzi lavorano duramente per diventare una vera squadra. C’è grande disponibilità al lavoro duro e nessuno lesina energie fino alla fine di ogni allenamento.

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Chi sarà il leader quest’anno? Sicuramente Parente, per il ruolo che ricopre in campo. Con Cardinali e Feliciangeli, i “vecchi”, sta tirando il gruppo. Introducono i nuovi arrivati nella vita quotidiana della città. E gli stranieri? In campo Hatten sarà la prima opzione. Ciò non vuol dire che dovrà per forza tirare, ma dalle sue mani passeranno le scelte più importanti. Killing in Legadue sarà un pivot dominante, se saprà sfruttare la sua fisicità e l’agilità, perché non ci sono pivot che superano i 2,04. Sarà importante al rimbalzo, ma darà anche punti. Porzingis è un giocatore di squadra, bravo in difesa e in attacco. E negli Usa, quest’estate, ha visto qualche altro americano interessante? Negli Stati Uniti si va anche in prospettiva futura e per avere contatti diretti con i procuratori. Per esempio a Las Vegas ho incontrato l’agente di Killing. Il giocatore voleva andare in una squadra italiana che militasse in

Eurolega. Parlando, siamo arrivati a convincerlo a venire a Brindisi. Hatten invece lo seguivo dai tempi di Capo d’Orlando in A1, poi però scegliemmo un altro giocatore perché conosceva già l’ambiente. Le dispiace non avere più Muro in squadra? Guardi, io sono profondamente legato a tutti i giocatori della promozione in Legadue. Tutti, indistintamente. Ma si doveva guardare ai nuovi obiettivi. Muro non avrebbe mai fatto il cambio di Hatten. Non è un giocatore da panchina. E la società non poteva permettersi il suo costo per tenerlo seduto. Di comune accordo e da persone intelligenti, si è deciso di prendere strade diverse. Ma tutti noi, tutti i tifosi lo ricorderanno sempre per quello che ha fatto per Brindisi. Chi vede tra le favorite alla promozione in A1? Varese, Casale, Cremona, Reggio Emilia, Jesi. Tutte squadre con gun gruppo di giocatori italiani già consolidato e stranieri di peso. E poi sono squadre di categoria.

Ci dica la verità, quando le hanno chiesto di restare a Brindisi, ci ha pensato su oppure non ha esitato un attimo? Il campionato dello scorso anno è stato bellissimo. E con Ferrarese, Corlianò e Corso mi ero legato anche dal punto di vista affettivo, e credo che le difficoltà incontrate per un roster fatto male e per la delusione per la posizione in cui ci trovava, siano servite a cementare questo legame. Dubbi non ce ne sono stati perché queste sfide mi piacciono e perché ci sono le motivazioni giuste. Io lasciai Capo d’Orlando pur avendo ancora due anni di contratto, proprio perché mi mancavano le motivazioni. Fino a quando ce le avrò, rimarrò qui. Ora ci sono e sono forti. Lanci un messaggio ai tifosi, come le maestre agli alunni nel primo giorno di scuola. Dire loro di seguirci è scontato. Chiedo a tutti di restarci vicini nei momenti di difficoltà, e ci saranno. Ma se l’ambiente resterà unito, ogni ostacolo sarà superato. Fabio Mollica


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SPECIALE LEGADUE

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SERIE MA QUANTO CI COSTI! Facciamo i conti in tasca alla Prefabbricati srl, che lo scorso anno ha chiuso in rosso. Ma quest’anno, grazie allo sponsor e all’aumento degli abbonamenti...

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brindisini hanno due modi per parlare di Massimo Ferrarese, patron della Enel Brindisi. C’è chi sostiene che nell’avventura della pallacanestro tornata in A2 il presidente di Confindustria non ha mai rischiato un euro di tasca propria, e chi invece del suo apporto economico se ne infischia e va al sodo: «Se non ci rimette vuol dire che è bravo. E in ogni caso ci ha riportati in serie A». Ma Ferrarese ci rimette o ci guadagna? A livello d’immagine sicuramente ci guadagna, questo è innegabile, e alla fine l’imprenditore un tornaconto lo deve pur avere. La beneficienza si fa in altri modi, mica attraverso il basket. Ma economicamente sembra che i conti non tornano e la società chiude sistematicamente in rosso. Chi paga? «Vi posso assicurare che la famiglia Ferrarese si è sempre fatta carico di risanare le perdite della società, ed anche lo scorso anno ha messo mano al portafogli», ci rivela una gola profonda vicina alla società. Per far quadrare i conti del campionato della promozione in Legadue la famiglia di imprenditori avrebbe tamponato le perdite con versamenti intorno ai 150mila euro. Ma la grande scommessa si gioca quest’anno, anche se la società, grazie alla serie A, ha sì previsto un aumento delle spese, ma in proporzione l’aumento delle entrate sarà superiore, dunque i conti questa volta potrebbero tornare. Quanto è costata la promozione? È presto detto. La spesa totale ha sfiorato 1 milione 500 mila euro. Un milione di euro se lo sono succhiati

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gli stipendi di giocatori, staff tecnico, dirigenti. Il resto è servito a pagare iscrizioni, tasse, trasferte. Dagli sponsor, all’allora Prefabbricati, sono arrivati 750mila euro: in buona parte versati da Enel, Edipower, Soavegel, Leucci Costruzioni. Molto meno importante è stato l’apporto arrivato dalla vendita della cartellonistica nel palasport. Le istituzioni non danno contributi. Il Comune

“Vi posso assicurare che finora la famiglia Ferrarese si è fatta carico delle perdite societarie” però mette a disposizione della squadra il palazzetto. Dalla Provincia il presidente Corlianò attende ancora la risposta ad un invito a considerare la possibilità di una sponsorizzazione, come accade altrove. Abbonamenti e biglietti durante il campionato di B d’eccellenza hanno portato in cassa circa 350 mila euro, ma a farla da padrone sono stati gli abbonamenti (il 90% dell’incasso totale). E a far raggiungere il quasi mezzo milione di euro hanno contribuito molto le partite dei play-off, che quest’anno potrebbero non esserci, e la forte diminuzione degli ingressi gratuiti. Un tempo c’erano quasi mille persone che guardavano le partite gratis. Con 2500 paganti era una proporzione insostenibile. Oggi sono meno di un quarto quelli che godono di ingressi di favore. Tutto questo per il campionato passato, quello che rimarrà scolpito nella memoria dei brindisini


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per la foto di Muro seduto sul canestro. er la serie A invece il budget di spesa è quasi raddoppiato. Secondo le stime dei dirigenti sono necessari 2 milioni 700 mila euro. È ovvio che senza l’Enel, che ha firmato una sponsorizzazione per circa due milioni di euro diluiti in tre anni, alla Legadue si doveva rinunciare. Con il suo apporto invece le cose cambiano ed i conti possono quadrare. Checché ne pensi Errico. Sono aumentate le spese per pagare il “parco giocatori”, anche se l’impennata non stata poi così spaventosa come qualcuno aveva preventivato. Aumenteranno notevolmente invece le spese per le trasferte, visto che quest’anno la squadra si sposterà quasi sempre in aereo. E poi sono cresciute, e di parecchio, le spese di iscrizione al campionato (100 mila euro, mentre l’anno scorso erano 40 mila), i tesseramenti e le tasse gara. D’altro canto però, ci si attende un aumento degli incassi derivanti dagli abbonamenti. Un 30% in più, circa. E difficilmente sarà possibile mettere in vendita biglietti, visto che malgrado gli aumenti dei prezzi c’è stata la fila di richieste, specie per i posti numerati.Qualche altra entrata verrà sicuramente da altri sponsor secondari. Con Edipower la trattativa è in corso, ma l’Enel ovviamente non gradisce che compaia il nome di altre aziende “energetiche” sulle magliette di Parente e compagni. Gli sponsor minori, quelli storici (Soavegel, Tenute Carrisi, Repower) hanno riconfermato il loro appoggio. Molto ci si attende dal lavoro del nuovo ufficio marketing, affidato a Enrica Ignazzi, che si è mossa bene, preparando una brochure aziendale “acchiappa-sponsor” e rivedendo gli spazi pubblicitari all’interno del PalaPentassuglia. Da quest’anno ci saranno i “rotor” pubblicitari lungo l’intero perimetro di gioco, e scompariranno gli striscioni, che faranno spazio ad una cartellonistica più ordinata ed elegante. E poi si spera di poter registrare altre voci di entrata mettendo gli spazi del palasport (ed il suo pubblico) a disposizione di tutte quelle aziende che vorranno promuovere i loro prodotti e servizi: per le accademie di danza ci sarà il parquet, per le altre aziende si sta pensando a corner espositivi, strutture gonfiabili, o alla possibilità di distribuire volantini all’interno del palazzetto, oltre che ai consueti messaggi audio. Ed infine si sta pensando, per la prima volta, ad un serio merchandising. Tutti pronti dunque ad indossare t-shirt, cappellini, polsini e completi della scritta Enel Brindisi. La serie A, che inizia il 5 ottobre, costa. E i soldi non li mette tutti l’Enel.

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ATTUALITA’

VOLIAMO ANCORA BASSO Malgrado i nuovi voli, il Papola non decolla come potrebbe. Compagnie poco organizzate. Mete poco appetibili

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’ultima della serie è accaduta a metà settembre, quando i brindisini che avevano deciso di volare a Parigi con Myair, la compagnia italiana low cost, si sono visti dirottare la partenza del volo, previsto per metà ottobre dal Papola, al Palese di Bari, come già accaduto a molti altri cittadini, sebbene sul sito internet della compagnia la prenotazione sia Brindisi-Parigi. È vero che i clienti sono preavvisati: nelle prenotazioni low-cost tutto può cambiare e i diritti sono molto aleatori, però i disagi restano. Continua ad andare a gonfie vele, come sempre, invece, il Brindisi-Londra di Ryanair: aerei che partono pieni e puntuali, anche se il caro-petrolio ha fatto lievitare la spesa media del biglietto e la decisione di far pagare i bagagli a parte non è stata facile da digerire. Ma Londra resta la città più raggiunta dai turisti europei, in ogni periodo dell’anno. Anche per i pugliesi. Il problema è con gli altri voli internazionali che il bando della Seap

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BRIGANTE: «SEDIAMOCI SUBITO CON RYANAIR CHE VUOL FARE DI BRINDISI IL SUO HUB» ha regalato al nostro aeroporto: fatto salvo Parigi, che dovrebbe riscontrare un discreto successo (se funzionasse bene), quanti brindisini fremono dalla voglia di volare a Ginevra e Zurigo, le altre due mete estere collegate con il Papola? Pochi. Davvero pochi. Come anche gli svizzeri interessati al collegamento, per di più solo nei mesi estivi. L’amministratore della Seap, Domenico De Paola, si sta dando da fare per non crere doppioni: Bari e Brindisi possono convivere senza farsi concorrenza ma distinguendosi. Certo Bari resterà lo scalo più importante, ma al Papola potrebbe arrivare qualche novità più interessante dei voli per la Svizzera. Lo stesso interesse di Ryanair (la compagnia irlandese che con Easy

Jet controlla il 80% del mercato europeo dei voli low-cost) per fare dello scalo brindisino il suo hub del Sud-Italia, è un’occasione da non perdere. «Riuniamoci e decidiamo subito, guai a farli scappare», dice il presidente della Camera di Commercio, Giovanni Brigante, che all’argomento ha sempre dedicato grande interesse. Non a caso proprio al suo ente è stato presentato un progetto della società Dedalo per nuovi voli low-cost per l’Italia e i Balcani. Da parte di Brigante grande fiducia in De Paola: «Ha preso in mano un società con il fiato al collo ed ha rilanciato la Seap e gli scali pugliesi. Sono sicuro che saprà fare ancora meglio». Il presidente di Confindustria, Massimo Ferrarese, va oltre i voli: «Creiamo una task-force incaricata di sviluppare un’azione di marketing per riempire gli aerei e promuovere il Salento a Ginevra, a Zurigo, a Londra. Solo così gli aerei partiranno pieni in andata e al ritorno». Altrimenti si rischia lo stesso flop del Bari-Mosca, durato solo poche settimane.


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OPINIONI

Le dita nel naso

di Dario Bresolin

Egregio Mennitti, le possiamo chiedere scusa? “Putroppo lei è un uomo che non saremo mai in grado di comprendere”

È

a dir poco sconcertante il comportamento che abbiamo avuto negli ultimi mesi, diciamo cinquanta?, nei confronti di Domenico Mennitti. È venuto il tempo di chiedere scusa per tutto ciò che gli abbiamo combinato. Per le cattive parole che gli abbiamo spesso indirizzato, per averlo bollato con epiteti a volte irripetibili e soprattutto per averlo comunque considerato “uno di noi”. Vorrei che a chiedere scusa a Domenico Mennitti fossero per primi i signori e le signore dell’informazione. Sempre lì, sempre a fargli domande, a porre questioni del tipo “quella scuola ha il tetto che cade” piuttosto che “come mai i vigili urbani sono pochi”. E lui lì, paziente, a rispondere come sapeva su questioni per le quali non mostrava interesse, con quella vocina flebile e sottile, tipica della raffinatezza degli uomini della nobiltà d’altri tempi, un po’ papà Elkann. Domenico Mennitti è una persona che in vari decenni ha conosciuto gente di primissimo piano, politici di grande levatura ed è stato finanche consigliere personale dell’attuale Presidente del Consiglio. Come si fa a mancare di rispetto ad una persona del genere? Me la prendo anche con quel Mattias Mainiero che su “Libero” del 31 luglio, oltre a farne una sorta di biografia non autorizzata (e non autorizzabile), lo derideva per

quel suo vezzo tutto mennittiano di guardare sempre al di là delle cose, sempre ad un punto che si trova lontano da tutto e da tutti, non capendo che quello è proprio “il punto di vista di Mennitti”, anche se a noi, poveri mortali, sembra che guardi il vuoto nel vuoto. E che dire della sua capacità di scatenare nuove correnti di pensiero e di calcolo fra i matematici? La storia dei “numeri mancanti” di Mennitti ha fatto il giro del mondo. E noi, più che essergli grati, lo abbiamo sempre bistrattato. Mennitti è un uomo di grande coraggio. È tornato in una terra dove era stato costretto a vivere per fare, della sua persona e delle sue capacità, un regalo a questa collettività becera, ignorante, gestita da gente di basso profilo, e soprattutto incapaci. Non abbiamo apprezzato il fatto

fortuna che i suoi esperti collaboratori hanno saputo interpretare appieno il suo pensiero e hanno potuto così stabilire le regole di come una vera Città debba rapportarsi alla cultura.

E linguaggio della politica. Un esempio? Per lui “Waterfront” si dice “Città d’Acqua”. È un uomo che noi non saremo mai in grado di comprendere. Anche quella famosa foto a trequarti sui manifesti elettorali. Lui è un timido.

tutto di quelli che non la ritengono il Sindaco adatto a questa città. Lei lo sa, abbandonare il passato è molto difficile. E lei, che si è trovato qui a Brindisi proprio nel “day after” a raccogliere le “forze pulite” della

“Pare che ci siano dei nativi locali che, con la presunzione di essere politici, vorrebbero perfino eleggere un nuovo sindaco” che lui abbia chiamato a sé, a lavorare vicino a lui proprio gente del luogo. Perché non lo abbiamo mai ringraziato per questo sforzo che è alla pari di un suicidio intellettuale? Perché è stato costretto a commuoversi in Consiglio Comunale perché potessimo finalmente credergli che lui è e sarà a vita contro il rigassificatore? E poi è uno che conosce le lingue, conosce il

Lui la politica la conosce davvero. Ne parla anche spesso e siamo sempre noi a non capirlo. Chi altri sarebbe stato capace di raccogliere tutta la stampa locale in una sala d’albergo tutto da solo, per candidarsi nuovamente a guidare la città, cosa che ha fatto finora senza mai voler apparire protagonista. Mennitti, la preghiamo di accettare le scuse, soprat-

Città, comprenderà perfettamente. Chi la ripagherà del suo tempo perso a Brindisi? Lei che ha re-inaugurato un teatro già inaugurato; proposto più volte gli stessi artisti, quasi mai meno che settantenni; rifiutato concertini, come per quel capellone di Allevi, perché avrebbe dovuto suonare nel “tempio della cultura” tutto solo su di un palco così grande? Per

che dire di quelle malelingue che non hanno capito che l’aver spostato il suo ufficio a Palazzo Nervegna era solo per non intralciare l’operato della splendida macchina comunale che finalmente funziona come se fosse un Comune d’Italia? Avremo sempre il rimpianto di non aver apprezzato completamente i suoi sforzi. Ci scusi, Mennitti, per ciò che non abbiamo compreso. Ci scusi anche perché non riusciamo a trovare le parole giuste ma sappiamo che lei, con tanta saggezza, con tanto amore paterno per questa Città, in cuor suo ha già dimenticato tutto. Già, lei sì. Ma noi no. Ci consenta qualche notizia in anteprima. Pare che ci siano dei nativi locali che, con la presunzione di essere politici, stiano preparandosi per le elezioni con la strana idea di eleggere un nuovo Sindaco. Stanno addirittura facendo crescere un nuovo partito che, secondo loro, sarà più compatto e più credibile di quello dal quale lei stesso proviene. Visionari, eh? Sì, ci aspettano tempi davvero cattivi. Lei comunque, sia gentile ed accetti le nostre scuse.

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ATTUALITA’

LA COMUNICAZIONE DELL’AUTORITHY? AI ROMANI Il Presidente Giurgola ha affidato la promozione per le attività Interreg. Un appalto da 140mila euro. Pubblicato in pieno agosto. E sfuggito a tutte le aziende brindisine. Così, tre ditte della capitale...

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enerdì 8 agosto 2008. Il 90% delle aziende italiane è ormai in ferie. E chi non è in viaggio è incollato alla tv per assistere alla cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi. Anche le ditte brindisine che operano nel settore della comunicazione sono già belle e chiuse. Ed è un vero peccato per loro, perché proprio quel giorno l’Autorità portuale di Brindisi, presieduta da Giuseppe Giurgola, pubblica sul proprio sito internet un bando che avrebbe fatto gola a tutte loro: 140 mila euro, mica bruscolini, per promuovere l’attività svolta dall’ente nell’ambito del progetto Interreg III Italia-Grecia 2000-2006. Appalti così non capitano tutti i mesi. Anzi diciamo che nel corso dell’anno si possono contare sulle dita di mezza mano. E così, il 3 settembre, giorno di apertura delle buste, tra i partecipanti alla gara non c’era nessuna azienda brindisina. Delle quattro proposte pervenute, due vengono scartate. Una, quella della “Grafici e associati” di Martina Franca, viene esclusa per un errore nella documentazione presentata. Un’altra, della “T9 Communication” di Taranto, arriva con 15 minuti di ritardo oltre la scadenza prevista, e dunque viene cestinata. Restano così in gara la proposta elaborata dalla “Studio Nove” di Bari, e quella di un’associazione temporanea di imprese composta da tre ditte romane. Alla fine la scelta è proprio per l’Ati della capitale, che con un’offerta di 133.000 euro si aggiudica l’appalto. La sua offerta è stata ritenuta migliore sulla base dei quattro fattori che contribuivano alla decisione finale sull’assegnazione del lavoro: fatturato del proponente, esperienza pregressa, proposta creativa, prezzo. Dell’Ati capitolina fanno parte aziende con un buon pedigree. A cominciare dalla “Iter” (www.iter.it), specializzata in eventi “business to business”, riviste di settore, servizi alle imprese. Al suo fianco ci sono la “Cromografica”, che si occuperà del design e della stampa delle 2000 brochure di circa 32 pagine (con

DIETRO IL PROGETTO, CHE PREVEDE LA REALIZZIONE DI UNA BROCHURE, UN VIDEO E TRE CONVEGNI, C’È PATRIZIA LUPI, DIRETTRICE DELLA RIVISTA DELL’ANCIP “PORTONUOVO” cd rom allegato) che illustreranno quanto fin qui fatto dall’Autorità portuale nell’ambito del progetto Interreg, e la “Allucinazione”, un’agenzia di pubblicità con sede sempre nella capitale, che lavora con grandi aziende e che per l’Autorithy si occuperà della creazione del video, di cui saranno riprodotte 2000 copie, avrà una durata di circa 16-18 minuti e sarà realizzato in tre lingue (così come la brochure): italiano, inglese e greco. Nel bando di gara, oltre al video illustrati-

vo del porto di Brindisi e alla brochure, era richiesta anche l’organizzazione di almeno un convegno ed altri eventi promozionali. L’Ati ha proposto all’Autorità l’organizzazione di tre convegni su differenti tematiche inerenti la portualità. La coordinatrice del progetto presentato dall’Ati è Patrizia Lupi, donna famosa nel settore della portualità, con buone entrature al ministero dei Trasporti e ottime conoscenze in tutta Italia. Sarà lei ad occuparsi dell’ufficio stampa e delle pubbliche relazioni. Del resto è il suo mestiere, visto che dirige la rivista ed il sito internet Portonuovo (portonuovo.it), organi di informazione dell’Ancip, l’Associazione nazionale delle Compagnie ed imprese portuali. La Lupi è stata più volte a Brindisi, conosce il presidente Giurgola e buona parte degli imprenditori portuali locali. Dunque non avrà problemi ad organizzare quanto previsto dal bando.

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IDEE

PROPOSTA N. 1 LA RIVOLUZIONE DELLA COSTA Finora di Città d’Acqua si è solo parlato. A Vinaroz, un borgo nei pressi di Valencia, con un litorale simile al nostro, sono passati ai fatti. Con il progetto che vi mostriamo. Che si potrebbe imitare

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e qualcuno è stato in vacanza sulla striscia di costa tra Barcellona e Valencia, ed ha fatto tappa a Vinaroz, avrà pensato di essere tornato a Brindisi. Perché il lungomare di questa località, un piccolo borgo situato di fronte alle Baleari, è molto simile al tratto di costa che dal Casale conduce ad Apani: tanti scogli, piccole baie sabbiose, una litoranea stretta costeggiata da case. Fino a poco tempo fa qui lunghi tratti di costa erano completamente inaccessibili, a causa degli smottamenti del terreno. Ora, grazie all’intervento dell’amministrazione locale, che si è affidata all’urbanista Vicente Guallart (www.guallart.com): la litoranea ha cambiato volto ed è animata da migliaia di pedoni che passeggiano, corrono, vanno in bici sulla pista ciclabile, costituita da due corsie, una per le biciclette e una per chi pratica footing o semplicemente fa una passeggiata. E poi sono state create tante “mega-terrazze” in legno che permettono di godersi il tempo libero, praticare sport, prendere il sole, mangiare un gelato o leggere in riva al mare. Nei tratti resi meno accessibili

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dalla presenza degli scogli, invece, sono state installate le cosiddette “micro-costas”, delle piattaforme in legno che sostituiscono i lettini da spiaggia, si adattano alla geografia del luogo e non turbano l’equilibrio naturale. Ma il progetto non riguarda solo la terraferma. Anche a Vinaroz, come a Brindisi, avevano il problema dell’erosione della costa. Lo hanno risolto costruendo dei frangiflutti in mare e dei muri di pietra che a terra bloccano le onde. La pista ciclabile è incollata alla strada percorribile dalle auto, separata da questa solo da paletti illuminati, ed evidenziata da un diverso colore. È stata realizzata con pietre che permettono la traspirazione delle acque piovane. L’illuminazione cambia di intensità a seconda delle ore del giorno, per non contaminare l’ambiente con luci intense. Pensate invece a quanto accaduto a Brindisi: qui hanno piazzato dei pali con pannelli solari (ormai tutti rubati) che illuminavano e illuminano ad intensità costante. Nel senso che illuminano meno di una candela. Parcheggi e Aree Relax Per organizzare al meglio la

circolazione, lungo il tracciato stradale sono stati creati dei parcheggi per auto e biciclette. Nelle “aree di relax” sono stati piantati differenti tipi di alberi tipici della zona: palme, naturalmente, ma anche molti cespugli artistici. Per non farsi mancare nulla, gli spagnoli hanno installato anche alcune “isole sportive”: campetti da basket, tennis, calcetto. Ed ovviamente isole pensate per il divertimento dei bambini: scivoli, qualche altalena. Così come accaduto nella nostra città. Negli anni passati. Lungo il percorso costiero di Vinaroz sono dislocati inoltre dei “Chiringuitos”: chioschi bar, ristoranti e simili. Tutto allocato in piattaforme di legno in prossimità delle “spiagge di legno”: molto simili al Booba Beach, ma senza le cabine. Un progetto simbolo Un progetto che non ha richiesto investimenti di decine di milioni di euro. Che potrebbe essere finanziato “alla luce del sole” da grosse aziende private presenti sul territorio (e voi lettori intelligenti avrete sicuramente capito a chi pensiamo). Un progetto che, come ci ha detto Guillermo Guallart, «in poco tempo è divenuto


Nelle foto grandi la costa di Vinaroz con le planimetrie del progetto. Qui sopra alcuni esempi di micro-costas

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IDEE

il simbolo della nuova identità territoriale dell città di Vinaroz». Le installazioni sono costate 600 mila euro. Ed il lavoro è stato effettuato in soli tre mesi. Ora chiudete gli occhi e provate ad immaginare questo progetto realizzato a Brindisi: finalmente una Città d’Acqua, ma non a chiacchiere. E poi tanti posti di lavoro. E soprattutto la felicità di potersi godere la propria città e di poterla mostrare a chi viene da fuori. Con orgoglio. Non con la vergogna che oggi ci assale quando dobbiamo spiegare a qualche forestiero perché le case abbattute di Sbitri stanno ancora lì. Altre idee Ma navigando sulla rete si può scoprire qualcos’altro. A Copenhagen , capitale della Danimarca, si son inventati una megapiscina nelle acque del porto interno. Le foto pubblicate in queste pagine vi aiuteranno a comprendere di cosa stiamo parlando. E capirete anche che le acque del porto della città danese non sono così immacolate ed anche qui si possono ammirare all’orizzonte delle splendide ciminiere, che magari non sono spettacolari come la nostra super-torcia del petrol-

quinamento delle acque. Poi l’amministrazione danese ha deciso di riappropriarsi dello specchio d’acqua ed ha lanciato il “Piano Blue”, che prevedeva approdi per imbarcazioni, impianti per praticare gli sport acquatici, aree dedicate al tempo libero. Insomma, grazie ad Internet non ci vuole molto a scovare progetti già realizzati in giro per il mondo e adattabili alla nostra realtà. Ma basterebbe anche soltanto un po’ di buonsenso per dare avvio alla rinascita del litorale brindisino. Per esempio si potrebbero finalmente assegnare a privati (con bandi pubblici e trasparenti) l’ex spiaggia della Marina Militare, l’ex Lido Poste, la vecchia piscina tra la spiaggia della Polizia e Lido Brin, il vecchio campeggio. Se i proprietari (demanio o Marina che siano) non intendono usarli, il Comune potrebbe requisire le aree, proprio come si intende fare per il parcheggio del palazzetto Nuova Idea.E poi, sempre con bandi pubblici, si potrebbero affidare a privati altri piccoli tratti di costa. O inventarsi quelle che potremmo chiamare le “piazze del buon gusto”: delle aree in cui potrebbero trovare spazio bar e ristoranti, realizzati dal Comune (con un progetto architettonica-

IL PIANO DELLA COSTA? LO ATTENDIAMO DA 25 ANNI. MA QUALCOSA SI PUO’ FARE GIA’. E NON SERVONO GRANDI INVESTIMENTI chimico perennemente accesa, ma contribuiscono ugualmente a rovinare il paesaggio. Ebbene, a Copenaghen nel periodo estivo centinaia di cittadini, vestiti come se stessero andando in spiaggia, percorrono le banchine del porto per raggiungere questa isola artificiale al cui interno è stata ricavata questa piscina. Dal 2002 la gente è tornata a fare il bagno dove un tempo si tuffavano i nonni: l’ultima piscina pubblica in quella zona fu chiusa nel 1953 a causa dell’in-

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mente bello) e dati in gestione a giovani imprenditori locali. Il tabù Torre Guaceto Si fosse trovata in qualsiasi altra parte del mondo, l’oasi di Torre Guaceto sarebbe diventata l’epicentro di un colossale piano di sviluppo turistico. Si badi bene: non pensiamo di costruire le case intorno alla torre o alberghi in mezzo alle canne di bambù. Ma si potrebbe edificare intorno all’oasi, oltre la strada statale, imponendo obblighi e limiti, questo sì. Del resto in Egitto

hanno tirato su intere città che sfruttano la barriera corallina, creando una economia che fino a 15 anni fa non c’era. Qui invece ci si accontenta di gestire un parcheggio, di organizzare qualche serata e un po’

di escursioni. E poi le spiaggiette rimangono sporche, perché nessuno le pulisce e nessuno controlla i bagnanti. Anche qui viene da rivolgere un invito a chi decide le sorti dell’oasi: perché non vi fate un bel viaggietto a


Colonna infame di Gianpaolo Pensa

Sharm El Sheik? Vi accorgerete che l’oasi marina è ben protetta e preservata. Che i pesci non sono scappati via e che i coralli sono integri. Malgrado i milioni di turisti, i villaggi realizzati in riva al mare, le escursioni in barca (a motore!).

A Torre Guaceto invece, per non far fuggire quattro cefali e qualche polpo, ci accontentiamo di una scuola di vela e dei kite-surf. Ben vengano. Ma purtroppo non bastano a sviluppare il turismo e creare posti di lavoro.

Dovete scusarmi ma io non ho perso il vizio di incazzarmi. Lasciatemi passare la parola, però non se ne può più. E fortunatamente aumentano i brindisini che la pensano allo stesso modo: «Perché nel resto del mondo nascono e si realizzano progetti come quello di Vinaroz, e a Brindisi continuiamo ad avere una costa inguardabile?». Perché in Spagna continuano ad essere avanti anni luce e qui i nostri amministratori pensano solo a sistemare il consigliere comunale di turno con un incarico extra presso qualche ente collegato al Comune, proprio come era d’uso ai tempi della tanto criticata (ma da tanti rimpianta) amministrazione Antonino? Perché, per l’assenza di una stupida pista ciclabile, centinaia di brindisini devono rischiare di essere travolti dagli automobilisti che sfrecciano sulla litoranea? Perché i signori che ci amministrano (o che non ci amministrano) continuano a parlare da 30 anni soltanto di convenzioni con l’Enel, ed ora di accordi con Brindisi LNG? Io mi sono rotto le palle di essere preso per i fondelli da questi soggetti. Se avessimo avuto negli ultimi tre decenni un grande sindaco e dei buoni assessori, l’Enel non si sarebbe ricordata della città solo oggi, sponsorizzando la squadra di basket (si badi bene: poche briciole!). E con la British Gas si sarebbe scesi a patti: vuoi il rigassificatore? Ok, costruiscimi palazzetto, stadio, e qualche scuola. E magari rifammi il litorale Nord. E mi incazzo ancora di più quando a dover proporre questi progetti è un giornale! Dove sono i nostri architetti, gli ingegneri? Possibile che nessuno proponga nulla! Siamo tutti in attesa di incarichi? Oppure talmente avviliti che non ci va più di intervenire? Beh, cari amici, cari lettori, noi crediamo che quel tempo sia finito. Ecco perché invitiamo tutti ad uscire allo scoperto. A parlare. A proporre. Noi, pur non essendo urbanisti, abbiamo scovato questo progetto spagnolo. Come? Ci è bastato leggere un trafiletto su Repubblica D, dove si parlava delle “micro-costas”. Poi siamo andati a guardarci il sito di Vicente Guallart e abbiamo scoperto l’incredibile somiglianza tra la costa di Vinaroz e quella brindisina. Qualche link ci ha condotti a Copenhagen e al secondo progetto presentato in queste pagine, quello della piscina (in realtà le piscine sono cinque!). Ma chi ha incarichi dirigenziali al Comune e chi ci amministra legge i giornali? Usa internet? Sarebbe bello se dall’attuale assessore al’Urbanistica, Massimo Ciullo, professionista in gamba (che pure si ritrova ad amministrare un settore che non è di sua competenza, come consuetudine in questa città) giungesse un cenno di svolta. Magari decidesse di contattare questo architetto spagnolo o, ancora meglio, partisse per Vinaroz con i dirigenti del suo ufficio. Tra tanti viaggi inutili di assessori e consiglieri, forse questo servirebbe a qualcosa. E non ci venite a parlare ancora del piano della costa che ancora non c’è e di altre cazzate simili. Prima c’era Antonino e sentivamo citare il Waterfront. Poi è arrivato Mennitti ed il nome è cambiato in Città d’Acqua (a proposito, il relativo sito internet è aggiornato al 2005 e alla storica, inutile visita a New York). Nomi cambiati, risultati identici. Nessuno.

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IMPRESE

MORENO COMPRA MAJESTIC

TORNA IL RISIKO DEGLI HOTEL 30 TB OTTOBRE 2008


UN ALTRO STORICO ALBERGO CITTADINO È PASSATO DI MANO. NUOVI SOCI ALL’ORIENTALE. MENTRE IL NETTUNO RACCOGLIE GRANDI CONSENSI

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ualche anno fa l’hotel Internazionale fu venduto dall’allora proprietario, Passante, alla famiglia leccese De Finis, che a seguire acquistò e ristrutturò

anche l’Hotel del Corso. Nel corso dell’estate 2008 invece un altro storico albergo cittadino è stato ceduto a nuovi soci. Già in cerca di potenziali acquirenti da diverso tempo, il Majestic (ex Jolly) è stato ceduto a

luglio dagli eredi del medico tarantino Amerigo Senatore alla Tenuta Moreno, società che gestisce l’omonimo Grand Hotel (vanto della provincia di Brindisi) lungo la strada tra Brindisi e Mesagne.

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IMPRESE

La Moreno, presieduta da Pinuccio Argentieri, creatore della Taverna del Cacciatore e del gruppo Chez Vous (catering e cerimonie) ha affidato in gestione il Majestic alla Puglia Holiday, presieduta da Pierangelo Argentieri (figlio di Pinuccio e direttore di Tenuta Moreno). Il Majestic (62 stanze e 15 dipendenti) è passato di mano per una somma che si aggira intorno ai 2 milioni 300 mila euro. Ma per i nuovi proprietari l’investimento sarà ben più alto, visto che sono previsti lavori di ristrutturazione per l’inizio del 2009. Lavori che prevedono il rifacimento della facciata esterna, delle stanze e delle sale business, e la creazione di un ristorante in terrazza. Ma il valore dell’immobile potrebbe presto andare ben oltre la cifra versata agli eredi di Senatore: un palazzo come quello che ospita l’hotel, situato in pieno centro, conserva sempre il suo valore e resta una cassaforte. «Ma la nostra non è una speculazione immobiliare», spiega Pierangelo Argentieri: «Noi crediamo molto in questa città, nel suo rilancio anche in chiave turistica. Sì perché il messaggio che vogliamo lanciare, e lavoreremo per dimostrarlo, è che questa città può tornare a vivere di turismo». L’obiettivo dunque è una inversione di tendenza: tutti gli alberghi locali, oggi, vivono grazie alla clientela business, cioè alla convenzioni con le aziende. Un fatto, questo, che ha condotto anche ad un imbarbarimento del mercato, con i direttori dei vari alberghi che si fanno la guerra al ribasso, diminuendo i prezzi, anziché tentare di offrire servizi migliori e più remunerativi. Il risultato? Molti operatori del settore sono in forte crisi: debiti e licenzia32 TB OTTOBRE 2008

“LA NOSTRA NON È SPECULAZIONE IMMOBILIARE. SCOMMETTIAMO SU BRINDISI CITTA’ TURISTICA. E VOGLIAMO FARE GRUPPO CON GLI ALTRI ALBERGATORI LOCALI”

In questa pagina, quattro foto dell’hotel Nettuno

menti sono all’ordine del giorno. E a tutt’oggi almeno un altro paio di hotel sembrano siano sul mercato, in cerca del migliore offerente. Argentieri spera in una inversione di tendenza: «Anziché farci la guerra dovremmo studiare insieme strategie comuni per offrire weekend culturali. Il mercato c’è. Ci sono delle nicchie in cui si può lavorare molto di più, penso alle squadre sportive e ai loro tifosi che verranno in città. Ma molto altro ancora si può inventare». A tal proposito nei giorni scorsi si sono tenute delle riunioni tra gli albergatori, per studiare strategie per crescere insieme, non per suicidarsi in gruppo. «Con Moreno, Masseria Santa Lucia

e altre strutture pugliesi abbiamo costituito il consorzo Welcome in Puglia, che ha già un info-point nell’aeroporto Papola. Pensiamo di ripetere la stessa cosa con un Welcome Brindisi. Non possiamo continuare a farci sfuggire tutti i turisti che volano con Ryanair e che finiscono nel Salento o nella Valle d’Itria. Dobbiamo fare in modo che soggiornino a Brindisi. Anche perché da qui possono visitare agevolmente tutta la Puglia». Insomma il gruppo Chez Vous (che in estate arriva a 180 dipendenti) e Tenuta Moreno (88 stanze, con il 70% di indice di occupazione medio nel 2007, un dato incredibile per questa realtà) scommettono sulla città.

Elena Gioia, amministratrice dell’Hote Nettuno, un quattro stelle di recente costruzione che sta facendo registrare un’occupazione camere inaspettata (più della metà delle 70 camere sono solitamente occupate), apprezza le parole di Argentieri ed è pronta a fare gruppo. «Ben vengano queste iniziative in una città in cui siamo abituati a farci la guerra. Noi daremo il nostro contributo, pur essendo gli ultimi arrivati nel settore. Ma spero che si passi davvero dalle parole ai fatti, perché in realtà c’è qualcuno che predica bene e razzola male. Da un dirigente di una delle squadre di basket di Legadue che verranno a giocare a Brindisi mi sono sentita dire che un albergo cittadino ha loro offerto la camera in pensione completa a soli 75 euro! Ditemi voi se questo non è autolesionismo». Tra le nuove iniziative messe in cantiere c’è la campagna tifo amico, ideata per attrarre in città, per un week-end, e a prezzi convenienti, i tifosi delle squadre avversarie dell’Enel Brindisi e del Football Brindisi. Nel risiko degli hotel c’è da registrare un’altra novità degli ultimi mesi: nella compagine societaria proprietaria dell’Orientale c’è stato un riassetto societario che ha visto affiancarsi ai fondatori dell’hotel, la famiglia Passante (ex proprietaria dell’Internazionale) un gruppo di cinque imprenditori locali di varia estrazione, che ha rilevato il 50 per cento delle quote societarie. Gli effetti di questo ingresso dovrebbero essere evidenti a breve, con un rilancio della struttura (che già lavora bene) e l’ultimazione dei lavori di ristrutturazione della facciata esterna.


SOS AZIENDE di Barbara Branca

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ià dal giugno 2008 la Gestor Spa ha iniziato la “campagna accertamenti ici”, inviando ai contribuenti richieste di pagamento della tanto discussa imposta su terreni classificati come agricoli ed attigui, o posti nelle vicinanze del canale “Fiume piccolo”. La valutazione di questi terreni, effettuata dalla Gestor secondo il “valore venale”, ha fatto lievitare l’Ici dovuta in maniera considerevole, producendo la proliferazione di avvisi di accertamento recapitati a numerosi contribuenti. Peccato però che di valore venale su questi suoli ci sia veramente poco o nulla. Mancano infatti di opere primarie e secondarie di urbanizzazione, e sono ubicati nelle zone individuate dall’Autorità di Bacino della Regione Puglia e classificate “ad alta pericolosità idraulica”, con la conseguenza che sugli stessi mai potrà edificarsi. Come difendersi? Il consiglio è quello di trovare un accordo con l’ufficio, presentando una istanza in carta libera alla Gestor. L’istituto descritto è quello dell’accertamento con adesione, che ha l’obiettivo di ridurre un contenzioso lungo e soprattutto oneroso per le parti, senza peraltro togliere al cittadinocontribuente il diritto del ricorso al giudice tributario, qualora lo ritenga più equo ed opportuno. La presentazione dell’istanza produce l’effetto di sospendere per 90 giorni i termini per l’impugnazione dell’atto dinnanzi alla Commis-

DIRITTI & DOVERI di Emilio Graziuso Confconsumatori Brindisi

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on due importanti sentenze il Tribunale Civile di Brindisi, nella persona del dott. Francesco Giliberti e della dott.ssa Paola Liaci, ha condannato la Banca Monte dei Paschi di Siena e la Banca Carime a risarcire il danno patito da due associati della Confconsumatori, che avevano investito i propri risparmi in bond del Gruppo Cirio. È stato quindi chiaramente statuito che, nei casi in esame, gli Istituti di credito hanno violato, sia nella fase di stipula del contratto sia in quella successiva, la normativa che governa la materia, omettendo di informare i propri clienti, non solo dei rischi connessi all’operazione, ma anche della natura dell’investimento, delle caratteristiche del titolo e di quelle della società emittente. Per tali motivi il Tribunale, ravvisando una condotta gravemente inadempiente, ha concesso il risarcimento del danno agli sfortunati risparmiatori, quantificato in misura pari alla somma dagli stessi investita al momento della stipula del contratto. La vicenda fa riflettere sul comportamento generalizzato adottato dagli Istituti di credito nella vendita dei titoli.

COME DIFENDERSI DALLA GESTOR La società chiede l’Ici alle aziende. Ma non sempre le somme sono dovute. Ecco come ottenere uno sconto sione tributaria provinciale ed i termini di versamento delle maggiori imposte accertate. Una volta definito con adesione, l’accertamento non è soggetto ad impugnazione da parte del contribuente; non è modificabile o integrabile da parte dell’ufficio e comporta la riduzione di alcune sanzioni. L’atto di adesione obbliga il contribuente ad assolvere tutti i tributi conseguenti alla definizione. La definizione dell’accertamento con adesione non preclude all’ufficio la possibilità di modificare un’eventuale erronea liquidazione dell’imposta. La definizione, infine, comporta la riduzione delle sanzioni mentre rimangono dovuti gli interessi. All’atto del perfezionamento della definizione, perde efficacia l’avviso di accertamento. La definizione chiesta ed ottenuta da uno degli obbligati estingue l’obbligazione tributaria nei confronti di tutti. E se l’accordo con l’ufficio non si trovasse? Non resta che intraprendere la strada del contenzioso tributario, impugnando l’avviso innanzi alla Commissione tributaria provinciale competente, con aggravio di costi, non sempre esigui.

BOND CIRIO: FINALMENTE I RIMBORSI Il Tribunale di Brindisi ha condannato due banche locali a risarcire due cittadini che avevano perso i loro risparmi Non è casuale, infatti, la circostanza che due istituti di credito sono stati condannati da due giudici differenti per gli stessi inadempimenti, di carattere informativo, nella vendita dei titoli Cirio. Inadempimenti che si possono riscontrare anche nella sottoscrizione, da parte di banche e compagnie di assicurazioni, di polizze unit ed index linked. In questi casi i sottoscrittori delle polizze erano convinti di aver stipulato innocue polizze vita, essendo loro stato assicurato, tra l’altro, che si trattava di operazioni prive di rischio alcuno per il capitale. In realtà, in molti casi, una volta portata a termine, la polizza ha registrato perdite del capitale, con estremo stupore e sgomento dei sottoscrittori. Le polizze unit ed index linked, infatti, sono di fatto dei veri e propri investimenti finanziari.

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INTERVISTA

“LA MIA NON È UN’AUTORITA’ COSTITUITA, MA UNA PATERNITA’ SPIRITUALE A DISPOSIZIONE DEL TERRITORIO”

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D&R

DOMANDE&RISPOSTE

MONSIGNOR ROCCO TALUCCI IL PERSONAGGIO

ROCCO TALUCCI Nato 6 Settembre 1936 Luogo di Nascita Venosa Titolo di Studio Dottore in Sacra Teologia Vescovo dal 1988 A Brindisi dall’8 aprile 2000

L’uomo che in sei mesi ha fatto cambiare il volto di Brindisi accetta il confronto con TB. E parla di tutto, E di tutti...

Monsignor Talucci, vorrebbe candidarsi a sindaco? Molti brindisini la vedrebbero bene nel ruolo. Dopo quel che ha fatto... Lo prendo come un complimento. Ma il vescovo non ha bisogno di essere sindaco, nè presidente, nè prefetto. È l’anima del territorio, garantisce quel supplemento spirituale che anche una società perfetta deve avere per non essere arida. La mia non è una autorità costituita, ma una paternità spirituale a disposizione del territorio. Indipendentemente dal fatto che i cittadini si sentano figli. Anche i non cristiani e i non credenti sono amati da Dio come figli. Siamo al servizio degli uomini. Sa cosa si chiedono a Brindisi: come avrà fatto il vescovo a convincere il Papa a venire qui? Ha dei Santi in Paradiso, o al Vaticano? Mi creda, non ho fatto riferimento a Santi in Paradiso, né a quelli della Terra. Il Papa ha riflettutto sulle motivazioni che avevo posto alla base della richiesta di una sua visita in città, e le ha fatte proprie.

Mi riferisco alle motivazioni sociali, spirituali, storiche, e alle prospettive future che vedono Brindisi come testa di ponte verso i fratelli ortodossi e i paesi del Mediterraneo. Brindisi meritava questa visita. Perché ha accolto gli albanesi, perché ospita la più grande base Onu per gli aiuti umanitari, perchè guarda ad Est, perché c’era il nuovo seminario, e perché la città usciva da situazioni critiche che hanno creato sfiducia e rassegnazione. E la chiesa stava dando il suo contributo per uscirne. Per lei è stato un successone. No, per la città è stato un trionfo. Pensi che ancora oggi molti vescovi mi chiedono, «ma come hai fatto», riferendosi all’incontro del Papa con la città il sabato sera. È stata la città ad essere grande: il Papa ha visto una città unita e una sinergia tra Chiesa e Istituzioni. L’umano che ha bisogno del divino, e il divino che si inchina sull’uomo. Nel suo discorso alla città, durante la festa dei Santi Patroni, ha detto: questo evento è luce per la nostra storia. Io però ho

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l’impressione che la luce si sia già spenta. Nel senso che ora che non ci sono più i soldi stanziati per la visita del Papa, è venuto a mancare il collante che teneva insieme istituzioni e forze politiche. Mi sbaglio? La sa una cosa? Sulla scaletta dell’aereo non riuscivo a ringraziare Papa Benedetto, perché era lui che continuava a ringraziarmi, a ringraziare la città. Ora, questo evento è stato un fatto meraviglioso. Sta a noi saperlo valorizzare. Quanto avvenuto è frutto di una grande collaborazine costruttiva. Questa strada deve essere seguita. Sa cosa non mi è piaciuto della visita, giusto per trovare il pelo nell’uovo? Chi ha fatto qualcosa in beneficenza e lo ha fatto sapere. Mia madre un giorno mi disse: fai beneficenza e scordala. Guardi, per poter ospitare il Papa bisognava mettere a punto qualche struttura. E con le nostre forze non ce l’avremmo fatta. A onor del vero, si è lavorato molto, nel silenzio. Ma se un’impresa ti rifà la facciata del palazzo non puoi nasconderlo. Io posso assicurare che da parte delle aziende che hanno voluto fare qualcosa per il Papa c’è stata

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INTERVISTA

“BRINDISI È UNA CITTÁ INDUSTRIALE DA DECENNI, EPPURE CITTÁ E INDUSTRIA SEMBRANO ANCORA ENTITÁ SEPARATE. IO CREDO CHE CI POSSA ESSERE UNA CONVERGENZA. PER IL BENE DI TUTTI”

“IO SONO UN SACERDOTE, UN PADRE SPIRITUALE. E DEVO ESSERE TANTO LIBERO DA POTERMI MUOVERE ANCHE QUANDO SO CHE I MIEI GESTI NON PORTERANNO CONSENSO, COME ACCADDE CON LA VISITA IN CARCERE AD ANTONINO”

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molta riservatezza. Poi è ovvio che un grazie bisogna sempre dirlo. Lo si dice per un caffé, figuriamoci per un impegno del genere. Sempre durante le Feste patronali lei ha parlato “di un’aria di universalità che deve far cadere l’aridità di tante fazioni, la pretesa di interessi privati, per far scoprire o risorgere la bontà di tanti talenti nascosti, per mettersi al servizio della comunità”. È anche un invito al ricambio generazionale? Le novità possono essere sia di persone che di mentalità. Qua nte volte il bene si blocca perchè le fazioni e gli interessi lo bloccano? Non voglio sembrare ingenuo, ma dico: si può lavorare per la città sinceramente e con interessi sobri. Ci sono persone che non hanno bisogno delle istituzioni per vivere ma vivono per loro e per la città. E anche a Brindisi vedo tante potenzialità. E perché non emergono? Lei nella diocesi ha dato spazio a giovani parroci, e alla biblioteca De Leo ha affidato un incarico importante ad una giovane ragazza. Vede, a volte è la politica che frappone ostacoli, ma a volte è l’attegggiamento rinunciatario che blocca queste energie, perché si ritiene che nulla può cambiare. Ma io non mi rivolgo solo ai partiti. Ci sono le associazioni, i mezzi di informazione. Tutti possono offrire alle istituzioni proposte e stimoli forti. Possono dare sterzate alla politica, scegliendo il bene comune. Anche il suo giornale può essere un talento nuovo. Ce lo auguriamo. Io torno al suo discorso e alla richiesta di un centro stabile per gli immigrati. Ci ritrovo la Chiesa al più alto livello: quella della parrocchia del rione Commenda, che dà vestiti ai poveri, e quella dei volontari della Caritas e delle parrocchie che ogni giorno sfamano gli affamati. Se Brindisi è città aperta agli immigrati, a prescindere da quello che decide la politica, dico che chi arriva è una persona che ha dei disagi e deve essere accolto con un pezzo di pane e una coperta. La Caritas ogni giorno prepara

circa 100 pasti, ma per mancanza di spazi deve farlo in quattro turni. Serve un servizio stabile in locali adeguati. E il Comune si sta adoperando per sistemare il capannone di via Provinciale San Vito, in attesa di una struttura definitiva. Nell’assemblea pastorale che si è svolta nei giorni scorsi ha invitato all’azione le associazioni professionali cattoliche. Perché? Perché tutti i cattolici possono dare il loro contributo a discutere i temi più attuali. In questo modo nasceranno dei laboratori di idee e ci si potrà confrontare con chi la pensa in maniera differente. Sono le idee che guidano gli uomini. Se uno ha una idea forte da portare avanti, supera ogni remora. Il dibattitto porta un contributo culturale, e conduce a una società nuova. Torno per l’ultima volta al suo discorso. Lei ha parlato di “sviluppo delle possibilità lavorative, nel rispetto ambientale, nella socializzazione di un’industria aperta alla città”. Io la traduco così: la politica non dica solo no, e le grandi aziende non pensino solo a sfruttare il territorio. Guardi, questa è una città industriale da decenni. Eppure la città e le aziende sembrano entità separate. Vedo una città spezzettata: da una parte l’industria, dall’altra le istituzioni, dall’altra ancora i movimenti e così via. Non va bene: al di là dei propri interessi ci deve essere convergenza: la città segua le industrie e queste diano benessere. Ricordandosi che l’ambiente non è solo aria o acqua, ma è l’intero Creato, che usiamo e dobbiamo trasmettere ad altri. Anche l’Università deve portare benessere: cultura, certo, ma anche sbocchi lavorativi. Abbiamo le industrie aerospaziali, perché allora non pensare a corsi di laurea di specializzazione in questo settore? Senta, che ne pensa della messa in latino. A me sembra un passo indietro. E anche lungo. È un falso problema. Il Papa non ha detto che le messe saranno celebrate in latino. Ha specificato che il latino non è mai stato abolito, e quindi chi vuole può usarlo. Ma come lei può vedere, le messe vengono celebrate in italiano.

Torniamo ad argomenti più terreni. Glielo dico con la nausea, mia e di moltissimi brindisini: quelle bancarelle sui corsi durante le feste patronali sono inguardabili, e rovinano il contesto della festa religiosa. Effettivamente, anche io mi pongo il problema. Però vede, il sole, anche se a volte illumina una pozzanghera, resta sempre il sole. Ma se queste visioni danno un’idea paganeggiante e oscurano la luce della fede, io interverrò per evitare che sacro e profano si mescolino. Anche io credo che ci sia il bisogno di una più marcata separazione delle aree. Chiudo con un flash-back. Qualche anno fa andò a far visita all’ex sindaco Antonino nel carcere di Foggia. E molti brindisini la criticarono, me compreso. Oggi, a distanza di tempo, forse quell’episodio va visto sotto una luce diversa. Io ero sereno allora e lo sono adesso. Non mi occupai degli aspetti politici della vicenda, com’era ovvio. Antonino chiese di incontrarmi. I magistrati concessero il permesso. Io non potevo oppormi: perché dire no ad un figlio che chiama il padre! Io non trovai un sindaco, ma un uomo distrutto, in lacrime, che non reggeva all’urto e aveva brutti pensieri per la mente, come egli stesso ha poi raccontato nel suo libro. Gli dissi che se era stato forte quando era in auge, doveva esserlo anche nella disgrazia. Non doveva avere paura della verità. “Se hai sbagliato sappi pagare, affidati alla tua famiglia, ma rimani uomo”, gli dissi. Qualcuno scrisse: va da Antonino e non dagli altri detenuti. Ma vede, se va in carcere trova l’elenco delle mie visite. E non è che ogni volta che ci vado lo dico ai giornali e alle tv. Ci vado a Pasqua e a Natale, anche dai malati, ma non cerco pubblicità. E anche se mi chiamasse un nemico, ammesso di averne, ci andrei. Siamo troppo abituati ai politici showman. Io invece sono un sacerdote, sono un padre spirituale. E devo essere tanto libero da potermi muovere anche quando so che il mio gesto non porterà consenso.


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PERSONAGGI

UNA PASSIONE, UN LIBRO Emiliano Poddi ha scritto per la Instar Libri il romanzo “Tre volte invano”, dove c’è tutto il suo amore per il basket. E molto di più. Ve ne proponiamo il primo capitolo

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ra i libri letti quest’estate c’era anche il volume di un brindisino, Emiliano Poddi, 33 anni. Il suo «Tre volte invano», giunto alla candidatura al prestigioso Premio Strega, prende spunto dalla passione di Emiliano, il basket, e parla di luoghi e partite che sono ormai nella storia per buona parte dei (non più) giovani brindisini: il pallone di Marra, anzi “i palloni”, quello vecchio e quello nuovo; gli scontri Azzurra-Pallacanestro; le trasferte sull’autobus scassato. Fino al giorno in cui un maledetto infortunio al ginocchio ti blocca la carriera e ti conduce altrove. Ma il basket è anche lo spunto per parlare della propria città, della mamma e del padre. E delle tante altre cose, belle e brutte, che la vita ci riserva. Come è andato il libro? Quanto ha venduto finora? Per i romanzi degli esordienti esiste una specie di soglia psicologica, le 3.000 copie vendute, e per fortuna il mio libro questa quota l’ha superata. Il dato è confortante soprattutto se rapportato alle possibilità di distribuzione di una piccola casa editrice quale la Instar Libri. Ma come per il basket, anche per i romanzi lo score non è tutto. Ci sono state recensioni positive, incontri con il pubblico altrettanto lusinghieri, fino a qualcosa che mai e poi mai mi sarei aspettato: la candidatura al Premio Strega. Insomma, è come se una squadra partita per salvarsi abbia poi raggiunto i play-off, o almeno a me piace pensarla così. Stai già lavorando ad un altro libro? Sì e no. Diciamo che per adesso raccolgo idee, prendo appunti, tengo gli occhi aperti… Mi rendo conto

PIU’ DI 3000 COPIE VENDUTE E LA CANDIDATURA AL PREMIO STREGA. MICA MALE COME ESORDIO di essere un po’ generico, ma un grande scrittore ha detto: “Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?” Quando hai scoperto la passione per la scrittura? Al liceo, grazie ai miei professori; mi hanno insegnato che i libri non sono soltanto qualcosa da studiare. La battuta più indovinata di Robin Williams ne “L’attimo fuggente” è quando dice che i libri servono a - testuale - “rimorchiare le ragazze”. Naturalmente si tratta di un paradosso, ma in quanto tale contiene un elemento di verità: i libri parlano di noi, dei nostri sogni, delle nostre aspirazioni, e ci servono a vivere molto più di quanto sospettiamo. Poi arriva un momento in cui legge-

re non ti basta più, e allora prendi la penna e scrivi, il più delle volte senza sapere bene cosa, ma scrivi. I miei primi tentativi - un paio di sonetti di ispirazione tardo-romantica, ero impazzito per Foscolo - fortunatamente sono andati perduti, ma il punto non è questo. L’importante è che scatti dentro di te la voglia di raccontare. Imparare a farlo, poi, è un altro discorso. Cosa è la Scuola Holden e come ci sei arrivato? È una scuola di Torino dove si insegnano le tecniche della narrazione; per scrivere un romanzo, ma anche un film, una drammaturgia teatrale, un fumetto, insomma tutte le forme possibili del racconto. La Holden è stata fondata da Alessandro Baricco nel 1994. Nel ’98, a Lecce, ho partecipato a un incontro in cui lo stesso Baricco descriveva a un centinaio di ragazzi la propria “creatura”. Infine, nel 2002, mi sono iscritto. Tutto con una cadenza di quattro anni, ora che ci penso, come i mondiali di calcio. Quanti anni hai ora? Hai figli, dove vivi, cos’altro fai? Ho trentatré anni, non sono sposa-

to (contrariamente a quanto scritto nel romanzo, che dunque è solo in parte la mia storia) e non ho figli. Da sei anni abito a Torino, dove mi guadagno da vivere scrivendo per il teatro e per la radio. Insegno anche alla Holden, dopo averla frequentata da studente. Ogni tanto qualcuno mi dice che ho trasformato la mia passione in un mestiere, il che è abbastanza vero. Se fosse vero al cento per cento a quest’ora sarei il play titolare della Prefabbricati… Appunto. Nel libro parli del tuo amore per il basket: che dici del Brindisi in A2? Dico che è arrivata al momento giusto, questa promozione, i ricordi della serie A cominciavano a prendere quel color seppia tipico delle vecchie foto. Mentre rispondo a questa domanda credo sia in corso la preparazione atletica, che come sosteneva il grande professor Montanile è la fase più importante della stagione. Le partite, ripeteva spesso il Prof, si vincono là fuori. Lo diceva puntando l’indice verso la pista della Masseriola e pronunciando le parole con uno spiccato accento americano: questo perché la frase l’aveva sentita da Tony Zeno. Non sarà per niente facile, ma la speranza è che il futuro del nostro basket si popoli di personaggi degni, ad esempio, dei due fuoriclasse che ho appena menzionato. Che diresti ai brindisini? Di seguire la squadra e di iscrivere i figli al minibasket. La pallacanestro è un prodotto tipico della nostra città, c’è poco da fare, a noi riesce bene. Direi ai ragazzini di allenarsi con impegno, di palleggiare a testa alta, di stare giù sulle gambe e di rimanere col braccio disteso dopo il tiro. E poi chissà, magari un giorno…

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LETTURE

IL PALLONE DI MARRA In queste pagine vi proponiamo il primo capitolo del libro “Tre volte invano”: sono i giorni che precedono la finale con l’Azzurra, la squadra più forte. La più temuta

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iocavamo dentro un pallone che respirava. E al suo respiro si univa il nostro, dieci ragazzi in preda a un affanno feroce. E tutto questo si mescolava al sibilo delle dieci corde con cui dovevamo saltare prima dell’allenamento vero, prima che il coach soffiasse due volte nel suo fischietto da cacciatore. Allora noi le lasciavamo ai bordi del campo, le corde, arrotolate come serpenti indiani dopo il numero del flauto. Che non fosse un giorno come gli altri lo si era capito dalla resistenza che aveva fatto all’entrata la porta girevole. Aveva emesso un suono quasi umano, tipo il lamento di chi viene disturbato nel sonno, poi si era decisa a ruotare sul proprio asse, lentamente, introducendoci uno alla volta nel campo deserto delle tre di pomeriggio. C’era sempre qualcuno che per scherzo faceva un giro completo assieme alla porta e si ritrovava al punto di partenza – destino che gli sarebbe toccato più di una volta nella vita –, ma quel giorno, alla vigilia della finale, nessuno si era azzardato. Era una palestra fatta interamente di plastica, simile a un tendone da circo. Tranne che il nostro circo stava in piedi da solo, senza impalcature di ferro. E non cambiava mai città. C’era un generatore di corrente elettrica, da qualche parte, che creava una pressione tale da mantenere la volta verde sempre tesa sopra le nostre teste. In un angolo, vicino alla panchina della squadra ospite, c’era quello che noi chiamavamo il polmone, una specie di grande vescica, anche lei di plastica, che se era gonfia d’aria allora voleva dire che la pressione interna era quella giusta, e la palestra non si sarebbe afflosciata su di noi avvolgendoci come una placenta. Ogni tanto qualcuno andava a tastarlo con la mano, il polmone, anche se non ce n’era veramente bisogno, perché il suo soffio ti seguiva ovunque, sotto canestro o in mezzo al campo, moltiplicato da un’eco naturale, come di caverna ipogea.

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Eravamo tutti ’74 o ’75, in quella fase della vita dove ti battezzano come un vino o come le reclute, e anche una differenza di mesi ha la sua importanza. Se eri un settembre ’75, potevi permetterti di essere meno forte di un marzo, e figuriamoci di un ’74. Per noi il mondo era tutto in quei due anni. Esistevano altre generazioni, certo, ma si allenavano dopo di noi e facevano campionati diversi dal nostro. Per dire, i ’73 avevano già i peli sul petto. E i ’76 venivano in palestra accompagnati dai genitori. Un giorno uno dei ragazzi – si chiamava Rossini Ivano, un ’75 che per la grande concentrazione giocava le partite ufficiali con la testa piegata di lato – annunciò che il nostro pallone aveva un nome ben preciso, addirittura scientifico. Struttura presso-statica. Si imbrogliò un paio di volte, prima di dirlo correttamente, e dovette piegare la testa verso la spalla sinistra. Poi lo disse. Struttura presso-statica. Ma per tutti, quel posto, era e rimase sempre

no uguali anche fisicamente. All’inizio avevamo provato a distinguerli usando una numerazione progressiva – Rino uno, Rino due… –, ma abbastanza presto lasciammo perdere. Dopotutto non faceva una grande differenza, perché qualunque fosse il Rino che noi chiamavamo con il nome di coach, in finale ci arrivavamo lo stesso, e quell’anno non fece eccezione.

I

nostri avversari avevano nomi da legioni romane – Invicta, Virtus, Fortitudo, Libertas, VidiVici –, correvano e picchiavano duro, e soprattutto facevano canestro. Ma a metà partita, quando il punteggio ancora non sapeva che piega prendere – perché anche noi correvamo, picchiavamo duro e facevamo canestro –, succedeva sempre la stessa cosa. Vedevi il tuo avversario diretto respirare con fatica crescente; una nebbia gli calava davanti agli occhi e i colori caldi abbandonavano il suo volto. Lo

“I nostri avversari avevano nomi da legioni romane: Invicta, Fortitudo,

Virtus. Correvano e segnavano”

«il pallone di Marra». Marra era un tale che nessuno di noi aveva mai visto – per quello che ne sapevamo non possedeva nemmeno un nome di battesimo – e di mestiere faceva solo il proprietario del suo pallone. Altro non riuscimmo mai a scoprire sul suo conto, neanche dai nostri genitori che, interrogati in proposito, davano sempre risposte vaghe. In ogni caso non faceva l’allenatore, questo era sicuro, perché con il tempo avevamo imparato che i nostri coach (ne avevamo due o tre nella stessa stagione) potevano sì essere stati battezzati con nomi diversi – Teodoro, Baldassarre, Arturo… –, ma una volta passati dalla porta girevole, per un gioco di diminutivi simile a un incantesimo si trasformavano tutti in Rino. Per di più, da un giorno all’altro, decisero di farsi crescere la barba e di colpo diventaro-

stesso accadeva ai suoi compagni; all’improvviso smettevano di correre e si accasciavano su loro stessi, le mani sulle ginocchia, il torace in preda a un affanno da vecchi. Anche le loro urla di guerra si spegnevano e lasciavano il posto ai gridi di rondine che le nostre suole di gomma producevano strisciando sul linoleum. Giocavamo gli ultimi minuti in un paese di fantasmi, di esseri che al nostro contropiede non opponevano, ormai, che un braccio tremante; lo sollevavano a fatica come una specie di ammonimento, o per farci paura, ma suscitavano tutt’al più la nostra compassione mentre volavamo a canestro. Nessuno, a parte noi, si era mai abituato al pallone di Marra, alla sua atmosfera da zona depressa. Per i nostri avversari doveva essere come giocare nel Mar Morto. Quando non erano problemi di pres-

sione, era il caldo a schiantarli, o il gelo. Quel pallone aveva il potere di esasperare le condizioni climatiche esterne, faceva da lente d’estate e da schermo totale per i pochi raggi invernali. La sua escursione termica annua era nettamente superiore che in qualsiasi altro luogo della città dove si facesse sentire il mare. Erano nate, in una crepa del linoleum vicino al polmone, piante che nessuno di noi aveva mai visto nella macchia mediterranea, probabilmente di una specie che aveva approfittato dello stesso microclima continentale che a noi faceva vincere le partite. Il polmone aveva fatto il resto, disseminando le spore qua e là in tutta la palestra con il suo soffio ininterrotto.

C

’era soltanto una squadra che sembrava, ed era, totalmente immune dall’effetto pallone di Marra: l’Azzurra. L’Azzurra, a quanto ne sapevamo, non aveva mai perso una partita, né ufficiale, né amichevole. Ci aveva battuto per sei finali di seguito, il che significava che io avevo cominciato a perdere contro di lei quando ancora facevo le elementari. E forse non avrei mai smesso. Giocavano a pallacanestro perché erano nati per farlo. C’era, nella loro forza, qualcosa di istintivo, che non li faceva sembrare nemmeno italiani, ma tutt’al più slavi, che erano i migliori di tutti (tra gli umani, s’intende, visto che i neri erano sbarcati sulla Terra il 30 ottobre 1938, dalle parti di Grover’s Mill, New Jersey, e dopo aver insegnato ai bianchi i primi rudimenti del gioco avevano fondato una società massonica chiamata NBA, o almeno così mi aveva raccontato mio padre). Per dire che razza di squadra fosse l’Azzurra, quell’anno la finale si sarebbe dovuta disputare in campo neutro, ma il loro coach aveva insistito perché si giocasse da noi, nel pallone di Marra, come a dire che tanto non sarebbe cambiato


assolutamente nulla, fossimo pure andati sulla Luna. Quando fai l’allenatore, un’offerta così umiliante devi rifiutarla, ma non se è l’unica possibilità sulla faccia della Terra che la tua squadra vinca. Così Rino aveva accettato. E adesso, nell’ultimo allenamento prima della finale – cioè alla vigilia della partita che avrebbe spaccato la mia personale storia in un avanti e un dopo –, a noi non restavano che pochi salti di corda, mentre Rino trascinava il suo carico di palloni, a fatica. Li teneva in una rete da pesca che tirava fuori dal bagagliaio di una vecchia Ford, operazione che ai miei occhi non perse mai i contorni sfumati del miracolo. Ce n’erano di tutti i tipi. Ce n’erano di plastica e di cuoio; ce n’erano di così consumati che non se ne distinguevano più gli spicchi, e probabilmente risalivano all’epoca in cui il coach, e tutti gli altri Rino, avevano la nostra età. C’erano palloni troppo gonfi, pieni di bubboni che li facevano rimbalzare sbilenchi; palloni dalla pelle scorticata che potevi sollevare da terra afferrandoli per un lembo con pollice e indice, e portarli in giro per il campo trascinandoli come studenti somari. C’erano palloni così leggeri che una volta lanciati in aria sembravano non voler più atterrare; o così sgonfi che quando impattavano il terreno facevano un rumore d’acqua; o con la sorpresa, perché ad agitarli si sentiva che c’era qualcosa, lì dentro. A volte, raramente, c’erano pure palloni fiammanti che ancora sapevano di negozio, ed erano rossi e appetitosi come arance, ma ancora troppo nuovi, troppo vivaci, e che perciò dovevano essere addomesticati. Quando facevano la loro comparsa in un angolo del campo, noi, senza smettere la corda, ci avvicinavamo alla rete e facevamo ressa lì intorno come gabbiani affamati. A un fischio del coach, mollavamo le corde e ognuno di noi si gettava su quello che per diritti acquisiti nella notte dei tempi riteneva essere il suo pallone, che puntualmente gli veniva soffiato da sotto il naso. Ma per una volta non successe niente del genere, perché sapevamo che l’Azzurra era alle porte, e fregarci tra noi non avrebbe migliorato le cose. Così tutti prendemmo il primo pallone che capitava, e con quello iniziammo ad allenarci. Il coach ci lasciò liberi di palleggiare per il campo – ball handling, si chiamava –, potevamo fare qualunque cosa purché finalizzata a prendere confidenza con pallone e canestro. E bisognava prendersela un po’ alla volta, questa confidenza, come pareva si dovesse fare anche con le ragazze, insomma era meglio tirare prima da sotto canestro e allontanarsi solo quando sentivi la mano calda. Un altro fischio ci trasformò all’istante in

un branco di gatti sonnacchiosi che si stiracchiavano in un pomeriggio di inizio estate, ma per spiccare, un attimo dopo, salti che non avresti mai detto. Poi vennero esercizi assai simili a certe pene dantesche, come avrei scoperto più tardi, e avevano nomi che sembravano inchiodarti per sempre a un destino immutabile: uno contro uno in continuità, doppio suicidio, treccia a tre andata e ritorno. La treccia era uno dei miei preferiti, dovevi passare la palla a un tuo compagno in corsa e subito dopo andargli dietro con una certa curiosa nostalgia. Lo stesso avrebbe fatto lui, avrebbe passato la palla all’ultimo del terzetto – o coppia di tre, come diceva non so più quale Rino – e subito l’avrebbe seguito come per un improvviso pentimento, ma senza alcuna possibilità di raggiungerlo o di recuperare palla, perché nel frattempo questo terzo l’aveva di nuovo passata a te che, forse, eri già abbastanza vicino al canestro per fregartene di tutto e buttarla dentro in terzo tempo. Ne veniva fuori una treccia fatta di linee cinetiche, un ricamo sul nulla che si poteva apprezzare per bene soltanto dal punto di vista di dio. Tutti i Rino avevano lo stesso modo impercettibile di montare l’allenamento, passando da giochi semplici, per lo più individuali, a giochi complessi che prevedevano un coinvolgimento di risorse e uomini sempre maggiore, e così, alla fine, nessuno avrebbe saputo dire esattamente come, ci ritrovavamo schierati a metà campo cinque contro cinque (qualcosa però dev’esserci rimasto di questo modo, perché molti di noi vi si sono ispirati per mettere su famiglia). A quel punto i titolari provavano gli schemi d’attacco e le riserve facevano finta di essere la difesa dell’Azzurra, per allenarli. Io prendevo parte a questo teatro. Facevo, insomma, la riserva, ma ero un ottobre ’75, e me lo potevo permettere. A noi rincalzi non era dato di provare gli schemi, dovevamo essere abbastanza svegli da impararli guardando gli altri, i titolari, e intanto sputavamo sangue in difesa nel patetico tentativo di somigliare a quelli dell’Azzurra. Rino urlava ordini a entrambe le squadre usando due voci diverse a seconda che ce l’avesse con loro o con noi. Le corde erano ammonticchiate non lontano da lui, a bordo campo. Il pallone di Marra respirava. D’un tratto ebbi la certezza che tutto quel gridare, quell’affannarci, quel correre fino a restare senza fiato era inutile, perché fra poche ore l’Azzurra sarebbe entrata nel nostro pallone e ci avrebbe passeggiato sopra, come sempre. Anche i miei compagni lo sapevano, si vedeva dai loro occhi. Eppure continuavamo a correre tutti, titolari

e riserve, forse solo per consumare più in fretta il tempo che ci separava dalla finale, un’attesa che da troppe settimane era venuta ad abitare nel nostro corpo, e precisamente nello stomaco. Per questo non la smettevamo di correre. Cos’altro potevamo fare.

Q

uella notte giocai la finale innumerevoli volte. Mi svegliava di soprassalto la sirena di fine partita, che nel pallone di Marra era un campanaccio da bestiame, e quando mi era chiaro che avevo solo sognato, sperimentavo un curioso ribaltamento: ero felice se avevamo perso, triste se avevamo vinto. L’ultimo sogno fu diverso dagli altri.

di Marra consisteva in dodici lampioni di alluminio che noi chiamavamo le campane mute. Vent’anni prima erano state fissate alla volta di plastica con una colla per carta da parati la cui tenuta sembrava contraria alle leggi di natura, specie dopo tutto quel tempo. Anche perché, spinti dalla corrente interna del pallone, i lampioni oscillavano pericolosamente sopra le nostre teste, come campane appunto, ma silenziose. Già allora nelle palestre veniva usato il genere di lampadina che appena accesa fa poca più luce di una candela, ma con il passare dei minuti dà sfogo a tutta la potenza dei suoi trecento watt, e le nostre erano di questo tipo. Solo che non si scaldavano mai. Quando schiacciavi l’interruttore ave-

“L’Azzurra ci aveva battuto per sei

finali di seguito. Giocavano perché erano nati per farlo. Sembravano slavi” Eravamo già nel dopo partita e non si capiva bene quale fosse il risultato. Ma non era importante, perché ciò che contava era che io non avevo mai fatto canestro, e adesso dovevo dirlo a mio padre. Hai le gambe ma non hai il tiro, mi diceva sempre, e lo avrebbe ripetuto anche stavolta. A basket, quando non hai segnato nemmeno un punto si dice che hai fatto virgola, perché sul referto di gara il nome di ogni atleta viene affiancato al numero dei punti realizzati – Rossini 7, Bevilacqua 26… –, ma se di canestri non ne hai segnato neppure uno, accanto al tuo nome compare soltanto una virgola, che è come dire zero. Anzi, meno di zero, per ragioni che tuttora non mi so spiegare e che in ogni caso con la matematica non c’entrano. Un giorno mio padre mi aveva detto che un figlio che faceva sempre virgola lui non lo voleva, quindi che mi dessi una regolata: o cominciavo a metterla dentro o non mi avrebbe più aperto la porta di casa. E così stava succedendo nel sogno, da dietro la porta io lo supplicavo di aprire, ma lui rispondeva che no, in casa sua non c’era posto per uno come me, che nella vita non sarebbe mai stato nient’altro che una virgola.

V

enne il mattino, poi il pomeriggio, e l’attesa non era mica finita, perché per la prima volta nella sua lunga storia la finale si sarebbe giocata alle nove di sera. L’idea era venuta a Rino. Al coach dell’Azzurra aveva detto che visto che loro avevano scelto il campo – il nostro –, a noi spettava la scelta dell’orario. Il sistema di illuminazione del pallone

vano appena la forza di illuminare sé stesse, e al limite la campana dov’erano rinchiuse. Si vivevano allora minuti sospesi, come in attesa di un miracolo. Che non avveniva. C’è da dire che ce la mettevano tutta, per scaldarsi, e il loro sforzo lo capivi da un ronzio che in certi momenti arrivava a coprire il respiro quieto del polmone. E in effetti un po’ di luce in più la facevano, nel senso che riuscivano a gettare su di noi perlomeno un vago chiarore, da Luna nuova. In quella penombra i nostri avversari si perdevano, si scontravano tra loro in mezzo al campo, cadevano colpiti da palloni che non avevano visto arrivare, e questo nonostante i loro coach cercassero di indicargli la via del canestro con una torcia tascabile. Era da escludere che a quelli dell’Azzurra potessero capitare gli stessi disastri, anche perché in campo avevano un senso dell’orientamento quasi animale. In ogni caso valeva la pena provarci. A noi la semioscurità di Marra non dava fastidio, anzi i Rino ci avevano inculcato che per giocare a pallacanestro non esistesse un tipo di illuminazione migliore. Più o meno consapevolmente, molti di noi avrebbero tentato di ricreare quelle stesse condizioni di luce in una camera da letto, o nell’abitacolo di una macchina parcheggiata fuori mano, la notte in cui avremmo perso la verginità.

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LA DOLCE VITA

vini, sapori, luoghi, eventi, persone

SONDAGGIO

ECCO LE NOSTRE 10 MERAVIGLIE DI BRINDISI. ORA DITECI LE VOSTRE In redazione abbiamo scelto: queste sono le delizie brindisine che a nostro avviso un turista dovrebbe gustare. Sicuramente ci sarà sfuggito qualcosa, ed è per questo motivo che vi chiediamo di farci sapere quali sono le vostre 10 meraviglie di Brindisi. Andate sul nostro sito e partecipate al giocosondaggio. Ecco, intanto, i nostri preferiti.

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IL RUSTICO: American Bar. Il rustico è il nostro street-food, o se preferite l’italiano, il nostro cibo da strada. Buono, caldo, ottimo in ogni stagione. E per noi il migliore resta sempre quello del signor Franco, che sia nella versione classica, che in quella con il wurstel o con ricotta e spinaci, è sublime.

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IL CAFFE’: Bar Manhattan. Ci sono tante varianti che incidono sul caffé: la miscela, certo, ma anche l’acqua, la macchinetta, e la mano del barman. Il nostro caffé preferito è quello del Manhattan, al rione Santa Chiara (con una nuova apertura in corso Roma). La miscela Illy, qui, non delude mai.

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1

IL VINO: Selvarossa. Il rosso della cantina Due Palme è a parer nostro il vino numero 1 tra i tanti (buonissimi) prodotti dalle cantine locali. Mette d’accordo tutti, uomini e donne, wine-lovers e quasi astemi. La nuova bottiglia, più grande e più pesante, dà la giusta importanza ad una etichetta ormai famosa in mezzo mondo.

Il trono però è diviso a tre: le krapfen del bar Zuccaro (viale Aldo Moro) e la brioche al forno con la crema del Caffé Principe (in Centro) non sono sicuramente da meno.

3

L’APERITIVO: Bar Gino. Andrea non si smentisce: il suo aperitivo resta il più ricco della città. Se poi lo si consuma lentamente seduti ai tavolini dell’enoteca del suo bar, il piacere aumenta ancor di più. Per favore però, non chiedete i soliti bitter. Se andate da lui dovete fidarvi: i suoi cocktail, alcolici e non, sono molto meglio di qualsiasi bevanda commerciale.

4

IL GELATO: Bar Rosso & Nero. Ci sarà un motivo alla base dell fatto che il bar di Romolo Specchia è da anni al top delle classifica stilata

dalla guida dei bar d’Italia edita da Slow Food. Per noi, la prima ragione, è il gelato: preparato ancora a mano e conservato nei contenitori che non si vedono più in giro. Pochi gusti, ma buonissimi. Senza paragoni.

5

LA FRITTA: Romanelli e Ciro. L’altro cibo da strada per eccellenza del Salento. Qui proprio non siamo riusciti a deciderci su una preferenza: mezza redazione preferisce quella storica di Romanelli, il resto dà pieni voti a quella di Ciro, la pizzeria della Commenda, che continua a fare la fritta con le olive.

6

LE PASTE DELLA DOMENICA: La Dolce Vita. Anche qui decisione sofferta, perché ormai si possono trovare mignon di ottima qualità in moltissimi posti della città. Alla fine abbiamo scelto la pasticceria La Dolce Vita di Marco Tateo, in via Grazia Balsamo, perché come assortimento batte davvero tutti.

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LA COLAZIONE: Bar 2001. Si resta in famiglia, ma questa volta siamo al rione Santa Chiara, da Fabio Tateo. Provate il cannolo e le brioche con crema chantilly, e poi diteci se non abbiamo ragione.

L’OLIO: Lillo. L’azienda agricola Lillo, azienda storica situata in agro di Tuturano ha iniziato di recente ad imbottigliare due olii di alta qualità: il Solaris, ottenuto da uve Leccino, e il Valeo, da olive di varietà Coratina in aggiunta alle Picholine.

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LE CREPES: Variety. Fatta ad arte, croccante quanto basta, e con tante variabili possibili. La migliore, per noi, è quella della pasticceria Variety (corso Garibaldi) che si distingue anche per gli ottimi gelati e la buona pasticceria. Che ne pensate? Abbiamo scelto bene? Oppure abbiamo sopravvalutato qualcosa o qualcuno? C’è di meglio in giro? Allora fateci sapere le vostre opinioni. Collegandovi al nostro sito internet: www. tbmagazine.it

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La satira di TB

ECCO LA CITTÁ D’ACQUA DI MENNITTI In esclusiva per i nostri lettori il progetto del primo cittadino

Dodici cartelle top secret uscite dall’Ufficio di Gabinetto. Le volevano in tanti. E ci hanno chiesto di non rivelarne il contenuto. Ma per dovere di cronaca, vi sveliamo il grande segreto del sindaco

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e ne parla da cinque anni. Anche a vanvera, come spesso accade dalle nostre parti. Giornali, tv, radio, siti internet e giornali gossippari hanno dedicato fiumi di parole al progetto acqueo. A New York, dove Brindisi Città d’Acqua fu presentato in anteprima assoluta, ancora si chiedono dove cazzo di trova Brindisi e in che cavolo consiste sto progetto. Finalmente Spam 0831 è in grado di presentare in esclusiva mondiale il progetto che cambierà la nostra città, assicurando 44 TB OTTOBRE 2008

un prospero futuro ai nostri figli e nipoti, grazie ai nuovi investimenti di multinazionali ecosolidali, alla nascita di nuovi quartieri residenziali e di milioni di posti di lavoro. Per dovere di cronaca dobbiamo riferire che dall’Ufficio di Gabinetto del sindaco ci hanno più volte scongiurato di non svelare i segreti del progetto, sulle cui tracce sono da tempo, ma con scarsi risultati, i reporter di Senzacolonne, i più popolari inviati di Repubblica e Corriere della Sera, nonché le spie della Cia. Queste ultime erano state allertate dal sindaco di New

York, Bloomberg, ancora stordito dall’intervento sui massimi sistemi letto nella Grande Mela da Mennitti in sole 4 ore e 35 minuti (a proposito, se volete proprio farvi del male, potete rileggervi il testo sul sito www.waterfrontbrindisi.it: ha effetti diuretici e stimola la sonnolenza). Ma noi abbiamo resistito alle lusinghe dei collaboratori del sindaco, che volevano giocarsi il progetto nella prossima tornata elettorale, e abbiamo deciso di pubblicare i contenuti del progetto segreto ed una foto eloquente di quelle che sono le intenzioni del primo cittadino

per lo sviluppo futuro di Brindisi. Il progetto consiste in ben 12 cartelle con grafici, foto e statistiche, accompagnati da contributi scritti a mano direttamente da Mennitti. Ogni paragrafo è introdotto da un disegno del noto pittore “Pino Lusub”, esperto di paesaggi marini, le cui opere sono esposte nei migliori musei del mondo. In realtà, prima di arrivare al succo del progetto, bisogna scorrere quache pagina di introduzione, perché Mennitti, lo sapete, è così: anche quando va al bar, prima di ordinare un caffé, ci tiene ad erudire sempre il barman con un breve briefing sugli scenari politici internazionali. Per cui, se a Brindisi trovate qualche barman che vi parla di Obama e Mc Cain, sapete che lì è passato SuperMimmo. A pag. 9, finalmente,

si arriva al cuore del progetto Brindisi Città d’Acqua: «La città sarebbe migliore se tutti i brindisini bevessero, come me, un bicchiere al giorno di acqua Uliveto o Rocchetta». Geniale, sorprendente, rivoluzionario. E la foto dimostra quanto Mennitti creda nel progetto e ci metta la faccia, da buon primo cittadino. A pagina 11 si parla del megaevento che durante le prossime elezioni amministrative sancirà il varo definitivo di Brindisi Città d’Acqua: una serata in piazzale Lenio Flacco, con Alex Del Piero e Cristina Chiabotto. Con le musiche dal vivo di Renzo Arbore e Al Bano, che non guastano mai. E poi Renzo Arbore non suona a Brindisi da così tanto tempo che il sindaco inizia a sentirne la nostalgia.


La satira di TB

SPAM 0831

ASSALTO ALLA PROVINCIA Tutti vogliono la poltrona di Errico. Perché la vita in Parlamento è diventata troppo cara. O perché alla Regione si lavora poco. Parlano i super-candidati

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Il senatore Tomaselli? Alla Provincia. Il senatore Saccomanno? Alla Provincia. Rollo? Alla Provincia! Sembra che quella d Errico sia la poltrona più ambita dai big della politica brindisina. Perché? Siamo andati a chiederlo ai diretti interessati. E abbiamo scoperto motivazioni sconcertanti. Tanto che da questo numero di SPAM, in collaborazione con Repubblica e con il TG5, invitiamo i nostri lettori a prendere parte alla sottoscrizione in favore dei PPB, i Poveri Politici Brindisi. Sentiteli e capirete. Tomaselli: «Premesso che il nostro candidato è purtroppo il notaio Michele Errico, che dice di non volersi più candidare ma in realtà sta già stampando i santini elettorali, in caso di un suo improvviso rinsavimento, io sarei disponibile a sacrificarmi. Per due ragioni: la prima è che difficilmente mi ricapita un’altra botta di culo come quella dell’elezione al Senato. E poi perché ormai, con gli aumenti decisi a Roma, noi parlamentari non arriviamo alla fine del mese». Come non dargli torto: dal 17 settembre, giorno del rientro in parlamento, farsi barba e capelli

a Palazzo Madama costa 18 euro, il 50% in più rispetto a giugno. Il prezzo dei panini, alla buvette, è schizzato a 2 euro. È stato cancellato perfino il bonus di 150 euro a cui le parlamentari avevano diritto per farsi i capelli. Insomma, tra poco vedremo frotte di onorevoli e senatori alle casse degli hard discount perché altrimenti rischiano di non arrivare a fine mese. «E poi - prosegue Tomaselli - a che serve andare a Roma se decide tutto la maggioranza: tolgono l’Ici, la rimettono, salvano Alitalia, poi la svendono». Stando così le cose, il senatore si fa una domanda che tutti gli elettori di Veltroni si pongono da sei mesi: «Che ci stiamo a fare noi del PD in parlamento? Almeno ai tempi del governo Prodi potevamo dare il nostro contributo per distruggere il paese. Oggi non ci è più permesso. Meglio allora la Provincia».

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nche Saccomanno, medico prestato alla politica da soli 30 anni, fa un pensierino al Palazzo di piazza Santa Teresa ed è pronto a traslocare da Palazzo Madama, dove si è ritrovato, usando

Qui sopra: Salvatore Tomaselli. A sinistra Marcello Rollo e Michele Saccomanno. Nell’altra pagina Domenico Mennitti.

palle, tu e sto notaio Errico». Perché suo marito aveva addossato al notaio la colpa della eccessiva sapidità del brodo del sabato.

N un eufemismo, grazie ad un gran Casino creato da un suo odiato compagno di partito. «Quanto afferma Tomaselli è vero: con questi aumenti non si può più vivere. Pensi che sono costretto ancora a frequentare l’ospedale, almeno così, con due stipendi, si riesce a portare avanti la famiglia. Ma quanta fatica? Credetemi: 15mila euro al mese al giorno d’oggi non bastano più». Ma per l’onorevole del PDL, non c’è solo il motivo economico alla base della volontà di approdare alla Provincia: «In effetti, non è che la vita romana mi stia entusiasmando. In Parlamento non mi

caga nessuno. Vuoi mettere la differenza quando arrivo a Torre Santa Susanna: tappeti rossi, inchini e baciamano, la fila di persone che vogliono parlare con me! Questo sì che è fare politica!». Ma Saccomanno dovrà vedersela, forse, col compagno di partito Marcello Rollo. Pure lui pronto al sacrificio: lascerebbe la Regione e i suoi 10 mila euro circa al mese pur di prendere il posto del suo amatissimo notaio Errico, che non manca mai di accusare in ogni scritto e in ogni discorso, tanto che perfino la moglie qualche giorno fa ha perso le staffe ed ha sbottato: «Ora hai rotto le

on c’è però solo la voglia di battere il presidente della Provincia alla base della disponibilità di Rollo a candidarsi. Il brindisino lancia un atto d’accusa contro il malfunzionamento del Consiglio Regionale: «Solo tre giorni di lavoro, quattro quando proprio c’è qualche emergenza. Così non si può andare avanti. Mi sono dovuto iscrivere in palestra, in piscina, al circolo del Bridge e ad un corso di yoga pur di trascorrere le giornate senza rompermi le scatole. Ma questa non è più vita: alla fine il fisico ne risente. Ed io che mi sento ancora giovane vorrei dare ancora qualcosa alla mia città». Inutile ripetergli che la città non glielo ha chiesto: la sua è una missione. Aiutiamolo. Aiutiamoli a sopravvivere. WWW.TBMAGAZINE.IT TB 45


OPINIONI

Turista per casa

di Mario Lioce

A Brindisi siamo tutti un po’ “deboscettici” Vivere la città con distacco non fa altro che mascherare una colpevole inerzia

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avorare come direttore marketing di una nota società anglo-italiana di comunicazione e design mi ha obbligato a frequenti trasferte in Italia e all’estero. Nei rari momenti stanziali ho comunque continuato a sentirmi come un turista nella mia città, trovandomi spesso nella condizione di ignorare i cambiamenti, in verità pochi, che via via intervenivano. Questa condizione mi ha però consentito di guardare Brindisi e le sue vicende con una prospettiva allo stesso tempo fresca e distaccata, scevra dagli inevitabili orpelli e dalle beghe provinciali che con l’andare del tempo offuscano il giudizio. Ammetto colpevolmente di non aver mai seguito con particolare entusiasmo le iniziative editoriali locali e tuttavia, di recente, una di queste ha attirato la mia curiosità. Nell’estate del 2007, grazie ad amici comuni e con l’acqua che arrivava all’ombelico, ebbi l’occasione di conoscere in uno stabilimento balneare Fabio Mollica, definitosi lui stesso direttore (ir)responsabile della rivista on-line “SPAM 0831”. In questa rivista, e specie nelle interviste surreali a personaggi di spicco locali, gli “intervistati” venivano stretti nell’angolo con i riflettori puntati sui loro punti deboli senza risparmiare domande sugli aspetti più controversi. Il senso del ritmo delle interviste era degno di un giornalista di fama e i toni provocatori e coloriti richiamavano alla mente l’irriverenza di Dario Vergassola. Finalmente uno

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spaccato divertente e provocatorio di Brindisi, città dove il confine tra satira e tragedia è sottilissimo. L’ironia, di cui la rivista trasudava, fu l’occasione per una serie di spunti “pseudo-filosofici” in merito alla nostra città, e ne spiego il perché. Ricordo d’aver letto che in senso freudiano l’ironia consiste nell’esprimere idee che violano la censura dei tabù, ma sono certo che delle interviste contenute nella rivista molti nostri concittadini avranno colto solo il lato umoristico e non il tentativo di sferzare le coscienze a tutti i livelli. In alcuni casi l’ironia consiste nel far intendere una cosa mediante una frase di senso esattamente opposto e quindi sotto questo aspetto potremmo considerare gran parte della nostra classe politica dotata di ironia, poiché spesso promette una cosa e ne fa una esattamente

La vignetta di Altan per l’Espresso del 19 settembre paroline anche su quest’ultima. L’ironia socratica consiste storicamente nella pretesa del filosofo di mostrarsi ignorante in merito ad ogni questione da affrontare, ed in questo tanti brindisini mostrano di pos-

sopra, è sempre il metodo socratico che conduce l’interlocutore a trovare da solo le risposte alle proprie domande piuttosto che affidarsi ad una presunta autorità intellettuale in grado di offrire risposte pre-

“Credo che occorra recuperare il senso della società civile, indispensabile

per qualsiasi forma di progresso”

opposta: per spiegare “scientificamente” questo fenomeno e conferirgli un senso di ineluttabilità, possiamo forse riesumare da qualche libro polveroso l’”eterogenesi dei fini”, principio secondo cui le azioni umane possono portare al conseguimento di fini diversi da quelli prefissati. Tuttavia la classe politica è l’espressione della società cosiddetta civile e quindi non guasta dire due

sedere una cultura classica non indifferente (…e poi si parla male della scuola). Viene da domandarsi la ragione per la quale l’intellighenzia locale, che esiste, resti spesso celata, quasi consapevole, come nella Russia della metà del XIX secolo, che gli intellettuali progressisti non possano avere accesso al potere effettivo. Ma torniamo a SPAM 0831. In coerenza con quanto esposto

confezionate. Anche questa visione mi sembra coincida con quanto nelle interviste di SPAM veniva realizzato con tanta efficacia. È proprio la parola greca “eirōneìa” ad esprimere la dissimulazione della realtà che Socrate eleva a metodo dialettico; ed è proprio essa che implica l’assunzione di una posizione scettica, che rifiuta ogni convinzione che non basi la sua

validità sulla ragione. E qui subentro io con il mio proverbiale scetticismo circa il futuro di questa città. Ma il mio scetticismo è forse diverso nella sostanza dall’inerzia di tanti nostri concittadini? Per spiegare ciò prendo in prestito quanto scrive Zap Mangusta nel suo divertentissimo “Le mutande di Kant” dove, con ironia tagliente e divertente, attraverso una visione personale della filosofia spiega la “corrente” degli scettici. «Il “deboscetticismo” è dunque un fenomeno filosofico che teorizza opportunamente l’impossibilità di conoscere la Verità delle cose, sostenendo che quando non si trova ciò che si sta cercando, è meglio accomodarsi per un po’ nell’”Epoché”, che non è una confortevole capanna in stile indiano ma una pacata sospensione del giudizio, che consiste nel chiudere il becco nei momenti di incertezza profonda e nel soprassedere in quelli di sfiga epocale, limitandosi a constatare che la vita è una palude melmosa in cui, per non sprofondare più a fondo, qualche volta è meglio rimanere immobili, isolandosi in un saldo e incrollabile distacco intellettuale». Ecco perché anche chi come me vive la città con distacco, in fondo non fa altro che mascherare la propria colpevole inerzia dietro un ipocrita velo di scetticismo. Ma fino a che non saremo in grado di recuperare il senso della coscienza civica, indispensabile per ogni forma di progresso, ogni iniziativa futura è destinata ad essere caduca.


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