Zuppiere Ghilli

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Una selezione visionaria, dedicata all’arte del bello tra antiche tradizioni e visioni moderne. Un percorso fantastico dove la “Zuppiera” tra otto e novecento, regina della tavola con le sue forme fantasiose e i decori floreali, ma anche geometrici… o i pomoli scolpiti a forma di frutta, foglie, fiori… ci portano in un mondo magico tra sogno e realtà fatto anche di ricordi felici e sapori antichi. EXPO 2015 propone di affrontare il tema (Nutrire il Pianeta Energia per la vita) secondo una scansione molto ampia, capace di interrogare e stimolare tutti i livelli della società, affi nché emerga la consapevolezza della vastità e la complessità dei fattori che coinvolgono ognuno di noi. Ed ecco che nell’affiancare al tema CIBO-CULTURA-TRADIZIONE-ARTE, Ghilli come categoria antiquaria ha le possibilità di creare intrecci, correlazioni e collegamenti interessanti. “Il luogo del pranzo” e quindi anche della tavola è un tema curioso, ma complesso che si presenta a considerazioni e approfondimenti multidisciplinari che abbraccia la storia dell’arte, della fi losofia, della gastronomia… Le case di tutti noi sin dai tempi antichi sono state occupate da una serie di oggetti destinati all’espletamento di attività quotidiane domestiche. Piatti, boccali, vassoi, tazzine, caffettiere, borracce, saliere, oliere, zuccheriere, calamai, acquasantiere, portacandele, centro tavola e così via e perché no zuppiere: oggetti con funzioni diverse, da usarsi in orari e ambienti diversi, a seguire gli eventi quotidiani domestici. Creati per coronare il pezzo più importante di un servizio da tavola, rappresentavano, in molti casi, dei veri e propri capolavori di alto artigianato. Abbelliti con maestria, spesso con soggetti floreali, raggiungono il livello più alto di originalità nei pomoli, scolpiti a forma di frutti, foglie, fiori e, nei casi più pregiati, anche di composizioni con personaggi dalle innaturali posizioni. Ghilli Antichità

Il contenuto Da sempre zuppe e minestre regalano alle cucine quel profumo inconfondibile che sa di casa, di famiglia. Fanno la loro comparsa sulla tavola con l’arrivo dell’autunno e riscaldano le fredde serate invernali e primaverili, per scomparire, o quasi, ai primi caldi. Come il pane, le zuppe hanno un fascino antico ed evocano immagini di un mondo contadino a cui tutti guardano con nostalgia: il paiolo di rame appeso alla catena sul fuoco del camino, il sobbollire lento e costante sotto il coperchio che lascia un fi lo di vapore…Era proprio quel cuocere lento che riusciva a strappare sapore e profumo anche agli ingredienti più poveri, i quali venivano infine versati in un’ampia scodella, assieme a tocchi di pane raffermo o abbrustolito. Etimologicamente il nome zuppa risale al gotico suppa, che significa fetta di pane inzuppata, e la stessa radice si ritrova in molte lingue europee: sopa (in spagnolo), soupe (in francese), suppe (in tedesco). La storia della zuppa è racchiusa proprio in questo nome che ci riporta al Medioevo, quando il pane aveva nelle case dei ricchi e dei nobili, la funzione di piatto. Sul pane, che allora era una specie di focaccia di grano, venivano tagliate le carni, i pesci, i formaggi e tutte le pietanze del menù. Le zuppe a base di brodo, a dire il vero, arrivano molto dopo le cosiddette pulmenta: polente e zuppe di cereali poveri, come l’avena, il miglio, la segale, l’orzo. A partire dalla patata e dal pomodoro, le influenze etniche, dovute all’apertura dei mercati del Nuovo Mondo, hanno arricchito le zuppe di odori e sapori prima inusuali. Alle erbe aromatiche si sono affiancati i profumi pungenti di curry, curcuma, zenzero, tabasco e tante altre spezie, creando contrasti ed equilibri del tutto particolari. Se un tempo fare una zuppa significava mettere in una pentola quello che c’era in dispensa, oggi diventa un gioco di fantasia, un esercizio di arte culinaria: non esistono più limiti di stagionalità e provenienza degli alimenti e il mercato offre tutti i giorni un assortimento infi nito di ingredienti per creare nuove combinazioni.


Il contenitore Zuppiera di ogni epoca, stile ed ambito territoriale. Abbiamo intenzionalmente evitato il taglio monografico per lasciare spazio ad una totale libertà di raccolta che, se da una parte può fornire un impianto caotico, dall’altra può costituire degli spunti genuini per trovare dei denominatori comuni inerenti all’uso delle forme, dei decori e dei materiali nel tempo. La zuppiera è un recipiente panciuto solitamente di forma ovale o tonda, provvisto di coperchio, di manici e piedini con il quale si porta in tavola la minestra, il brodo o la zuppa da servire ai commensali. La fontana della Terrina (Fig. 1) può essere presa comodamente come punto di partenza sia per morfologia che per epoca (in questa fontana il coperchio in travertino venne aggiunto posteriormente); è a partire dal Seicento infatti che le forme delle terrine, dei paioli, dei qualsivoglia contenitori di brodaglie cominciano gradualmente a dotarsi di coperchio per la conservazione del calore, il che significa contestualmente l’abbandono della cucina come luogo del pasto, ma anche del “cotto e servito” nel senso che dalla cucina il cibo veniva direttamente “scodellato” per essere servito nei vari ambienti della dimora dove veniva consumato. Quindi potremmo dire che la zuppiera si sviluppa parallelamente al luogo del pranzo, alla necessità di “servire” il pasto. Questa genesi coinvolge l’uso dei piedini negli esemplari più raffinati del Settecento (servono per isolare il corpo caldo della zuppiera dal piano di appoggio), l’utilizzo di manici, di pomoli e talvolta di un grande piatto o vassoio sottostante (presentoire). Dall’inizio del secolo Diciannovesimo zuppiera, realizzata preferibilmente in argento ma pure in ceramica e porcellana, era ormai diventata un pezzo principale del vasellame da tavola, assumendo talvolta, per la sua importanza ed imponenza, le funzioni di centro tavola. Gli esemplari più raffinati per forma e decorazioni, furono eseguiti in Inghilterra e soprattutto in Francia, dove con l’avvento del Rococò, furono creati straordinari modelli a cui si ispirarono gli altri argentieri europei, come ad esempio quelli genovesi e torinesi. Le prime zuppiere francesi avevano in genere forme globulari con coperchio convesso munito di pomolo superiore (presa), con piedini per lo più a zampa di leone e con manici rivolti all’infuori onde facilitarne l’impugnatura. Quelle inglesi, introdotte nel primo Georgiano, avevano la forma di una larga ciotola (derivando probabilmente dalla scodella individuale o dalle grandi coppe seicentesche) con manici ad anelli, piedini o base centrale per consentire di tenere il fondo bollente sollevato dal piano del tavolo. Con il Rococò la modellazione della zuppiera divenne più libera e mossa, più fluente nelle scanalature e più fantasiose ed abbondanti furono le decorazioni, fuse o sbalzate, spesso fortemente aggettanti. I motivi preferiti furono le verdure, gli ortaggi, i vegetali, la frutta ed anche amorini che venivano disposti su fondi raffiguranti scogli. Durante il periodo neoclassico le zuppiere assunsero forme regolari (ovali e tonde), linee più diritte, decorazioni più sobrie. Naturalmente, le più qualificate manifatture europee di porcellana produssero raffinate zuppiere, ma quasi sempre ispirate alla coeva produzione in argento. Infine nella modellazione delle zuppiere, riscossero una certa fortuna anchequelle più bizzarre, foggiate a forma di ortaggi oppure a forma di frutta, animali o conchiglie. L’evidenza di questa ispirazione naturalistica l’abbiamo riscontrato nelle svariate forme dei pomoli e delle prese; posti alla sommità del coperchio e spesso raccordato allo stesso con diversi elementi decorativi, abbiamo trovato una mela (Fig. 2), un limone (Fig. 3), un fico (Fig. 4), un pesce (Fig. 5), una conchiglia (Fig. 6). Per ciò che riguarda gli esemplari che abbiamo raccolto, possiamo osservare un naturale predominio di modelli provenienti da manifatture lombarde tra le quali spicca la Società Ceramica Richard, che ebbe come vedremo più avanti, un vero e proprio sviluppo industriale nel corso della seconda metà dell’Ottocento, capace di contrastare la produzione delle terraglie inglesi, affiancata anche dalla presenza della manifattura di Laveno. Altre manifatture italiane degne di nota sono la manifattura di Mondovì, la manifattura Tasca e la manifattura Galvani. Oltralpe le manifatture francesi di St. Amand, Vancluse e Gien; in Gran Bretagna le manifatture di Keeling & C., Ford & Son, Henry Alcock, Grimwade Bros, Mason, Minton, Adams, Copeland Spode, Ridgeway. In Germania tra le tante menzioniamo la bavarese Thomas.

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La Società Ceramica Richard Nel 1830 a San Cristoforo alle porte di Milano nasce la Società per la Fabbricazione delle Porcellane Lombarde. Dopo un’inizio travagliato viene rilevata da Luigi Tinelli che nel 1840 si associa con Giulio Richard, un giovane ceramista di famiglia ugonotta già collaboratore del padre in una fabbrica di porcellane in Piemonte. Nel 1844 la Giulio Richard aveva 290 dipendenti. Nel 1859 ne aveva 350. Nel 1873 Giulio Richard costituisce la Società Ceramica Richard, con un migliaio di dipendenti. Nel 1896 incorpora la manifattura Ginori di Doccia dando vita alla Richard Ginori. Società Ceramica Italiana di Laveno Fu fondata nel 1856 da Severino Revelli e da ex dipendenti della Richard. Dal 1883 diventa Società Ceramica Italiana. Dal 1923 diretta da Guido Andlovitz eccelle nella produzione dei servizi da tavola. All’inizio del 1932 la manifattura ha in gestione due stabilimenti: quello di Laveno con oltre 1300 dipendenti che produce terraglie forti , servizi da tavola e ceramiche artistiche; quello di Verbano che occupa 400 persone e produce ottime porcellane da tavola. Viertasca Nove Manifattura fondata da Alessio Tasca in sodalizio con i fratelli Marco e Flavio nel 1948 a Nove, in provincia di Vicenza e rimasta attiva sino al 1967. La produzione della manifattura è costituita da terraglie improntate ad un decorativismo figurativo e destinate soprattutto all’esportazione e specificatamente al mercato statunitense. Manifattura Galvani La manifattura ceramica “Galvani” di Pordenone viene fondata nel 1811 da Giuseppe Galvani. Dal 1823 i manufatti, in terraglia dura, usciti dalla fabbrica “Galvani” vengono marcati con il simbolo grafico di un’ancora e poi un galletto. Resta in mano alla famiglia affermandosi nei primi decenni del Novecento con modelli razionalisti e decorazioni all’aerografo. Mondovì La “Ceramica Vecchia Mondovì” era caratterizzata da decori semplici, di gusto popolare, stesi con poche e rapide pennellate dai colori vivaci. La decorazione interessava anche il bordo dell’oggetto, ingentilito dai tipici merletti traforati ottenuti con spugne intagliate, dove predominava un tonalità squillante di blu a base di solfato di cobalto. “Ved. Besio e Figlio” Mondovì. Giuseppe Besio affittò nel 1841 un setificio dismesso in Piandellavalle, lungo la Via delle Concerie, e lo trasformò in fabbrica di terraglia. Ne fu sfrattato nel 1850 dal proprietario Magliano, che iniziò lui stesso la produzione, per poi affittare la fabbrica nel 1859 alla società Montefameglio & Luscaris. Dopo una lunga vertenza giudiziaria, nel 1867 Giuseppe Besio ottenne l’aggiudicazione degli stabili. Alla sua morte (1884) la fabbrica fu ereditata dalla seconda moglie Anna Massimino e gestita come “Vedova Besio & Figli”. Travolta dalla crisi del 1929, l’azienda fu acquistata da una società presieduta del banchiere monregalese Moisé Ettore Levi, che ne affidò la direzione al figlio, Marco Levi. Questi la condusse fino alla chiusura, nel 1979.








GLOSSARIO CERAMICA dal greco keramos è l’arte del costruire vasellame con pasta argillosa. L’argilla è un prodotto del suolo composto di e alluminio con altri materiali. Quando è umida ha un coolore giallino-verdastro perché contiene composti di ferro che cotti ad alta temperatura diventano duri e resistenti, di colore rossiccio. Tralasciando la storia dei manufatti antichi ci basti di segnalare che i cinesi conoscevano già la porcellana che segnerà un po’ il punto di arrivo per tutti i maiolicari rinascimentali. L’Oriente islamico rivestiva le terre cotte di una sostanza vitrea che le rendeva perfettamente impermeabili. Sin dal X° secolo questo procedimento era passato in Italia dalla Spagna. I vasi lucidi che arrivavano dall’isola di Maiorca erano chiamati “maioliche” per un’alterazione di quel nome (dal latino tardo Maiorica). Da allora sino al Rinascimento maturo, ogni città aveva la sua manifattura sotto la protezione del signore locale sino ad avviarsi alla decadenza a partire da Faenza verso la fine del XVI secolo con la lavorazione di oggetti non decorati , per una logica reazione a tutto quel virtuosismo di mestiere. Questa produzione venne chiamata “a compendiario”. Le Manifatture Medicee producevano già dal XVI secolo bellissime porcellane, ma questa tecnica era gelosamente custodita. Solo all’inizio del XVIII secolo Bottger rivelò il segreto della fabbricazione della porcellana che segnava il punto di pazienti ricerche. La nuova scoperta fece trascurare la produzione di maioliche per sfruttare pienamente le infinite possibilità della nuova tecnica. TERRACOTTA argilla modellata, seccata e cotta. Dopo la cottura a 1300 gradi presenta un corpo poroso di colore rossiccio. È usata principalmente principalmente presso tutti i popoli come materiale edilizio. TERRAGLIA è un’invenzione moderna (Inghilterra, prima metà del XVIII secolo) di impasto poroso, fine e leggero. Ottenuta con una qualità di argilla priva di ossidi coloranti. Ha un corpo poroso e bianco. GRÈS ceramica compatta ed impermeabile dalla prima cottura. Argilla di roccia sedimentaria costituita da fini grani di silice e sabbia quarzosa cementati da un agglomerante silicico. Si presta, debitamente raffinato, ad imitare la porcellana. PORCELLANA è il più perfezionato dei prodotti ceramici. Si ottiene cuocendo ad altissima temperatura (quasi 1500 gradi) un miscuglio di caolino (qualità di argilla pregiata) quarzo ed un fondente; se il fondente è il fosfato di calcio si hanno le porcellane dure; se è feldspato si ottengono le porcellane tenere. Ha un corpo impermeabile di colore bianco translucido, è resistente agli sbalzi di temperatura. Prodotto in Cina sin dal III secolo a.C. In Europa è stata imitata sin dal secolo XV. Nel 1709 Bottger ne rivelò la formula. FAENZA è la nostra maiolica, che ha preso specialmente all’estero, questo nome perché massimamente prodotta in questa città italiana. È terra cotta con un rivestimento vitreo; se il rivestimento è trasparente si chiama vernice o cristallina, se opaco smalto. SMALTO lo smalto ceramico, è ottenuto da ossido di metallo che, durante la cottura, viene incorporato dalla terra cotta formando un corpo compatto. INGOBBIO l’ingobbio è la più antica forma di rivestimento ceramico formato da un velo di terra bianca (di Siena o di Vicenza) da applicarsi sul pezzo crudo essiccato. Il pezzo può così essere decorato a graffito e quindi rivestito di vernice.


Questo piccolo catalogo è stato pubblicato in occasione della mostra “Il Fascino della Zuppiera e i suoi sapori” presso la galleria Ghilli Antichità, Milano dal 29 aprile al 28 giugno 2015

mercato del pesce

Ghilli Antichità Via A.M. Ampère, 55 - 20131 Milano - Italia - Tel. +39 0270635993 info@ghilli.it - www.ghilli.it - Ghilli Antichità


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