Primo Soccorso

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Antonio Zoppetti

PRIMO SOCCORSO COSA FARE (E NON FARE) NEI CASI DI EMERGENZA

Manuale pratico da portare sempre con sé per affrontare qualsiasi situazione di emergenza

EDITORE ULRICO HOEPLI MILANO


Copyright Š Ulrico Hoepli Editore, S.p.A. 2012 via Hoepli 5, 20121 Milano (Italy) tel. +39 02 864871 – fax +39 02 8052886 e-mail hoepli@hoepli.it

www.hoepli.it Seguici su Twitter: @Hoepli_1870 Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali ISBN 978-88-203-5565-4 Progetto editoriale: Maurizio Vedovati - Servizi editoriali (info@iltrio.it) Redazione: Francesca de Robertis Impaginazione: Monica Sala Disegni: Gabriele Frione Realizzazione digitale: Promedia, Torino


INDICE Premessa PARTE PRIMA – AVVERTENZE INDISPENSABILI 1. IL PRIMO SOCCORSO 2. LA TUTELA DEL SOCCORRITORE 3. ASPETTI LEGALI 4. RACCOMANDAZIONI: LA TEORIA NON BASTA SENZA LA PRATICA 5. I NUMERI DI EMERGENZA: 118, 113, 112, 115 E ALTRI PARTE SECONDA – NOZIONI BASE SUL CORPO UMANO 6. L’APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO 7. L’APPARATO RESPIRATORIO 8. L’APPARATO DIGERENTE 9. IL SISTEMA OSSEO (SCHELETRO) 10. GLI OCCHI 11. IL SISTEMA NERVOSO 12. I RENI E L’APPARATO URINARIO 13. L’APPARATO RIPRODUTTIVO PARTE TERZA – COSA FARE IN CASO DI… 14. AIDS (HIV), EPATITE E INFEZIONI PER VIA EMATICA 15. ANGINA 16. ANNEGAMENTO 17. APPENDICITE 18. ARRESTO CARDIACO 19. ASFISSIA 20. ASMA 21. ASSIDERAMENTO 22. AVVELENAMENTO 23. COLICHE 24. COLLASSO 25. COLPO APOPLETTICO 26. COLPO DI CALORE 27. COLPO DI SOLE 28. COMA 29. COMMOZIONE CEREBRALE


30. CONGELAMENTO 31. CONGESTIONE CEREBRALE 32. CONTUSIONE 33. CONTUSIONE CEREBRALE 34. CONVULSIONI 35. CRISI ISTERICA 36. DIABETE 37. DIARREA 38. DISTORSIONE 39. EDEMA POLMONARE 40. EMATEMESI 41. EMATURIA 42. EMBOLIA 43. EMORRAGIA 44. EMOTTISI 45. EPILESSIA 46. EPISTASSI 47. FEBBRE 48. FERITE 49. FOLGORAZIONE 50. FRATTURE 51. GRAVIDANZA INDESIDERATA 52. ICTUS 53. IDROFOBIA 54. INFARTO CARDIACO 55. IPERPIRESSIA (FEBBRE) 56. LEPTOSPIROSI 57. LIPOTIMIA (SVENIMENTO) 58. LUSSAZIONE 59. MELENA 60. METRORRAGIA 61. MORSI DI VIPERA E DI ALTRI SERPENTI 62. OCCLUSIONE INTESTINALE 63. OTORRAGIA 64. PALPITAZIONI 65. PARTO 66. PERDITA DI COSCIENZA 67. PERITONITE 68. PUNTURE E MORSI DI INSETTI E ALTRI ANIMALI


69. RABBIA (IDROFOBIA) 70. SHOCK 71. SINCOPE 72. SINDROME DA SCHIACCIAMENTO 73. SOFFOCAMENTO 74. TETANO 75. TRAUMA CRANICO 76. USTIONI 77. VOMITO PARTE QUARTA – LE TECNICHE DI PRIMO SOCCORSO 78. DISINFEZIONE E MEDICAZIONE 79. BENDAGGI E FASCIATURE 80. BLOCCO DELLE EMORRAGIE MASSIVE 81. IMMOBILIZZAZIONE DELLE FRATTURE 82. TRASPORTO DI UN INFORTUNATO 83. VALUTAZIONE DELLO STATO DI COSCIENZA 84. INDIVIDUARE RESPIRAZIONE E POLSO 85. IPERESTENSIONE DELLA TESTA 86. POSIZIONE LATERALE DI SICUREZZA (PLS) 87. LA POSIZIONE ANTISHOCK 88. RESPIRAZIONE ARTIFICIALE 89. RIANIMAZIONE ARTIFICIALE: MASSAGGIO CARDIACO E RESPIRAZIONE ARTIFICIALE PARTE QUINTA – TEST DI VERIFICA 90. TEST DI VERIFICA: IL CORPO UMANO 91. TEST DI VERIFICA: COSA FARE IN CASO DI… 92. TEST DI VERIFICA: LE TECNICHE DI PRIMO SOCCORSO 93. SOLUZIONI AI TEST DI VERIFICA APPENDICI COSA METTERE NELLA CASSETTA DEL PRONTO SOCCORSO COSA FARE IN CASO DI TERREMOTO COSA FARE IN CASO DI ERUZIONE VULCANICA COSA FARE IN CASO DI INCENDIO COSA FARE IN CASO DI DISASTRI IDROGEOLOGICI Circa l’autore


PREMESSA Può capitare a chiunque di trovarsi all’improvviso in una situazione in cui è necessario prestare il proprio soccorso. Purtroppo il più delle volte non si è assolutamente preparati a un’evenienza del genere. Ci si fa prendere dal panico e dall’agitazione, si compiono azioni inutili e – per quanto in buona fede – persino dannose. Senza un minimo di preparazione, invece di aiutare una persona si rischia di aggravarne il quadro clinico. Ci si affida al buon senso e alle cose che da sempre si sentono dire ma che spesso sono completamente erronee e sconsigliabili. Talvolta le massime popolari sono assolutamente fuorvianti. Basti pensare alla consuetudine di dare da bere “qualcosa di forte” e di alcolico a chi ha uno svenimento o un mancamento, un errore molto grave, poiché l’alcol è un vasodilatatore che provoca l’effetto opposto a quello necessario. Allo stesso modo, la convinzione ancora piuttosto diffusa che davanti all’emergenza la cosa migliore sia trasportare l’infortunato al pronto soccorso nel più breve tempo possibile e con il primo mezzo a disposizione è completamente sbagliata. Davanti a un incidente ci si deve invece rivolgere al personale specializzato in grado di trasportare l’infortunato nel migliore dei modi e, in attesa dei soccorsi, è importante sapere cosa fare per non peggiorare la situazione e per aiutare correttamente chi ne ha bisogno. Ci vuole calma e la prima cosa da fare non è quella di trasportare, ma di intervenire per mettere in sicurezza, immobilizzare quando è il caso e tenere sotto controllo le funzioni vitali. E invece, quante volte ai soccorritori capita di trovare un incidentato che è stato estratto maldestramente dall’automobile da passanti che credono in questo modo di aiutare il malcapitato! Una cultura generale e di base del primo soccorso, nei momenti di emergenza, può contribuire a salvare una vita o comunque aiutare ad alleviare le pene di chi soffre. È importante precisare che lo scopo di questo lavoro non è quello di formare dei soccorritori. Per diventarlo infatti bisogna seguire appositi corsi che affiancano alle nozioni teoriche le indispensabili esercitazioni pratiche. È però auspicabile che le norme del soccorso facciano parte del bagaglio culturale di ognuno di noi. Una persona “di cultura” spesso spazia dalla letteratura all’arte, dalla scienza dei massimi sistemi alla storia, eppure davanti alle norme di soccorso più elementari manifesta una profonda ignoranza. Colmarla, invece, non solo è facile, ma anche utile per chi ci sta attorno. Questo libro vuole fornire le basi e vuole contribuire a creare quella cultura del pronto soccorso che dovrebbe appartenere a tutti. La speranza è anche che il lettore senta l’esigenza di approfondire e di rivolgersi alle strutture che organizzano corsi appositi comprensivi di esercitazioni pratiche. Le informazioni di carattere generale che si trovano nelle avvertenze non sono un’introduzione da saltare, poiché contengono delle premesse molto importanti di carattere pratico e legale, a cominciare dalla tutela del soccorritore che viene prima di ogni altra cosa. La parte dedicata al corpo umano non è una noiosa e inutile trattazione scolastica, contiene invece le condizioni e le premesse per comprendere il quadro generale all’interno del quale il soccorritore può operare con cognizione di causa. Come vedremo, infatti, di fronte a ogni intervento è sempre indispensabile comprendere e ragionare più che applicare una serie di regole imparate a memoria. Anche perché, al di là delle situazioni tipo descritte nei manuali, che sono sempre astratte, ogni caso concreto si presenta sempre in modo diverso, complicato, imprevedibile e va ricondotto agli esempi tipo con la calma e il ragionamento. La parte terza dedicata a “Cosa fare in caso di…” è un elenco delle principali casistiche in cui capita di imbattersi, proposto in ordine alfabetico per essere più semplicemente consultabile. Ogni voce è strutturata in modo da descrivere in maniera comprensibile a chiunque di che cosa si tratta, quali sono i sintomi e quali sono gli interventi o i comportamenti da tenere. I precetti contenuti in questa parte sono quelli più alla portata di tutti e si possono generalmente mettere in atto anche con poca esperienza.


Quando invece sono previste delle manovre che richiedono anche l’esercitazione pratica e la simulazione c’è un rimando alla parte quarta, “Le tecniche di primo soccorso”, che come ripeteremo più volte – melius abundare quam deficere – non vanno messe in pratica senza possedere l’esperienza necessaria. Il che non significa che siano superflue: sapere è già qualcosa. E in molti casi sapere che cosa evitare e non commettere gli errori più comuni che possono causare danni e peggiorare la situazione è già molto importante. La sezione dei test, infine, permette di verificare quanto appreso attraverso una serie di domande con risposte a scelta multipla che seguono la struttura delle parti del libro, in modo da poter lavorare per argomento e, in caso di risposta sbagliata, andare a rivedere con più facilità quel che è sfuggito. Il consiglio è di rispondere ai quiz dopo aver letto il libro. Ma non solo. Se ogni tanto (una volta all’anno, per esempio) si provasse a rispondere nuovamente a tutte le domande per essere sicuri di non aver dimenticato quanto si è appreso anche a distanza di tempo, sarebbe un ottimo esercizio per tenersi sempre allenati e preparati. Perché le emergenze, purtroppo, per definizione arrivano sempre in modo imprevisto.


PARTE PRIMA AVVERTENZE INDISPENSABILI


LEGENDA Le voci di questo manuale sono collegate tra loro da rimandi. Quando si fa riferimento a una voce all’interno della stessa parte sarà indicata dal simbolo: (→). Se invece il rimando è verso altre sezioni verrà specificato, per esempio (→ Parte quarta), quando è il caso anche con l’indicazione del capitolo.


1. IL PRIMO SOCCORSO Il primo soccorso consiste in una serie di norme e di manovre da eseguire nel caso una persona sia colpita da un malore o da un incidente. L’insieme di queste regole permette di intervenire nelle emergenze in attesa dei soccorsi qualificati o, nel caso di problemi non gravi e non urgenti, di comportarsi correttamente in attesa di un parere medico. L’importanza di questi precetti non è legata soltanto alla messa in pratica di comportamenti attivi che spesso, oltre alla teoria, richiedono anche delle simulazioni e delle esercitazioni concrete per poter essere eseguiti correttamente. Sapere che cosa non bisogna fare – dunque un’astensione da pratiche errate e un comportamento passivo – può in molti casi rivelarsi utile e fondamentale per preservare la vita di un infortunato, per migliorarne le condizioni generali o per evitarne il peggioramento. La prima regola che bisogna imprimere nella mente, e tenere sempre ben presente, è che davanti a un’emergenza è importante soprattutto mantenere la calma, osservare molto bene la situazione, riflettere. Solo a questo punto si può agire con tempestività ed efficacia. LE FASI DEL SOCCORSO Fase 1: comprendere. Davanti a un malore o a un incidente per prima cosa bisogna osservare attentamente il contesto, oltre a focalizzare l’attenzione su chi è coinvolto, e capire cosa sta succedendo. Una persona è a terra per la strada. Ci sono dei segnali utili per capire cosa le sia successo e che possono aiutarci a ipotizzare se abbia avuto un malore, sia caduta dalla finestra o sia stata investita? Oppure, se si trova in casa, ci sono elementi che lascino pensare a una fuga di gas, a una folgorazione dovuta a un cortocircuito elettrico o altro? I comportamenti da tenere, nei rispettivi casi, sono tra loro molto diversi, come vedremo. Istintivamente si tende a concentrarsi sull’infortunato e fare un’analisi del contesto può sembrare una perdita di tempo in un frangente di estrema urgenza, ma non è affatto così. Il tempo impiegato nell’analisi della situazione è fondamentale e ben “sprecato”. Facciamo un altro paio di esempi significativi a questo proposito. Un’automobile si è stranamente schiantata contro l’unico albero della via. La gente riferisce che l’ha vista sbandare senza un perché. All’interno c’è una persona incosciente. In questo caso potrebbe non trattarsi di un incidente stradale ma di un malore il cui schianto è stato la conseguenza. Questo è un elemento importantissimo da rilevare, poiché la cura dell’infortunato non dovrà riguardare solo gli eventuali traumi subiti, ma anche quel che è accaduto prima e che ha causato l’incidente stesso. In mancanza di una ricostruzione di quanto è successo i soccorritori si potrebbero concentrare solo sull’aspetto dei traumi e non individuare tanto facilmente il malore. Un ulteriore esempio può essere quello di un incidente stradale, magari con più automezzi coinvolti. Se i primi soccorritori e i passanti non si soffermassero a osservare attentamente il contesto, i lamenti e le ferite di chi è uscito dai mezzi potrebbero distrarre dalla presenza di chi, ancora incastrato nel veicolo e in condizioni ben peggiori, non riesce nemmeno a lamentarsi e a chiedere aiuto. Il primo soccorso, in sintesi, è efficace se si individuano tempestivamente le lesioni, le loro cause e soprattutto gli elementi che mettono in immediato pericolo la vita. Solo dopo questa prima indagine si possono chiamare i soccorsi. Fase 2: la chiamata dei soccorsi. Al momento della chiamata dei soccorsi è molto importante essere in grado di riferire in modo preciso cosa sta succedendo. In questo modo i soccorritori arriveranno con la giusta urgenza e con la giusta strumentazione, evitando successive perdite di tempo. La catena del


soccorso inizia proprio da qui e, anche in questo caso, i protocolli richiesti da chi riceve la chiamata possono essere percepiti come una inutile burocrazia che rallenta ogni cosa. Non è così. Stare al telefono con l’operatore non significa rallentare l’uscita dell’ambulanza, per esempio, che può anzi essere coordinata dal centralino nel modo più efficiente proprio grazie alla descrizione dettagliata dell’accaduto. Nell’agitazione del momento non ci si rende conto che è molto importante specificare il nome di chi chiama, lasciare il proprio recapito telefonico, soffermarsi su cosa è successo e dove, quanti feriti ci sono, quando è avvenuto il fatto e così via. Il recapito telefonico è prezioso nel caso i dati del luogo dell’infortunio non siano chiari o siano fraintesi, in questo modo i soccorritori possono richiamare per ulteriori precisazioni. È molto frequente che in caso di un incidente automobilistico, magari su una strada fuori città, qualche passante chiami immediatamente il 118 senza sapere indicare in quale paese, strada e chilometro si trovi. Un’ultima precisazione. Chi risponde alla chiamata di soccorso è sempre un operatore qualificato che segue dei protocolli consolidati e spesso, al telefono, può aiutare e guidare chi si trova sul posto a intervenire nel giusto modo in attesa dell’ambulanza. Fase 3: in attesa dei soccorsi. In attesa dei soccorsi qualificati e dotati della giusta strumentazione, il soccorritore sul luogo può finalmente procedere alla fase di assistenza. Per esempio la fasciatura di una ferita, l’immobilizzazione di una frattura, il blocco di un’emorragia. Tutto dipende dalla competenza di chi è coinvolto, ma in ogni caso anche il semplice soccorso psicologico della persona è fondamentale. Chi è a terra per un incidente molte volte non ricorda o non ha capito cosa gli è successo. È spaventato, può rischiare lo shock. Bisogna tranquillizzarlo, cercare di parlargli, coprirlo o confortarlo. Sono azioni che può fare chiunque e sono molto importanti. Fase 4: l’arrivo dei soccorsi. All’arrivo dei soccorsi qualificati si devono fornire tutte le informazioni richieste e utili per delineare cosa è successo. L’infortunato sarà quindi finalmente consegnato alle cure del personale di un’ambulanza, per esempio, che lo trasporterà nel migliore dei modi in un pronto soccorso.


2. LA TUTELA DEL SOCCORRITORE Nelle situazioni di emergenza bisogna sempre fare molta attenzione perché a volte il soccorritore può andare incontro a dei rischi. Il primo principio da seguire, e che si deve costantemente tenere presente, è cercare di intervenire senza perdere la propria incolumità. Non a caso il primo punto delle linee guida ERC (European Resuscitation Council) – che stabiliscono le procedure del BLS (Basic Life Support) – precisa che prima di intervenire su un infortunato il soccorritore deve accertarsi che la zona in cui agisce sia priva di pericoli che potrebbero pregiudicare la salute sua e dell’assistito. Bisogna perciò vincere il panico e non esser precipitosi. Di seguito alcuni consigli e alcuni esempi che servono a far riflettere e che saranno ripresi e approfonditi nelle apposite sezioni. Respirazione bocca a bocca. Alcune tecniche di rianimazione, come per esempio la respirazione bocca a bocca, possono risultare pericolose sia per il soccorritore sia per l’infortunato, poiché possono trasmettere delle malattie. Nel soccorso qualificato la respirazione artificiale viene fatta mediante delle apparecchiature apposite come il pallone “ambu” e senza contatto bocca a bocca. In mancanza di questo strumento è consigliabile apporre per lo meno un fazzoletto di protezione. Bisogna tenere presente che spesso chi è incosciente o si trova vittima di gravi incidenti presenta tracce di sangue, vomito o altre secrezioni e la manovra può risultare molto coraggiosa se effettuata in queste condizioni. Chi compie la respirazione bocca a bocca lo fa dunque a suo rischio e pericolo. Folgorazione. Di fronte a una folgorazione il soccorritore deve fare attenzione a non prendere a sua volta la scossa, qualora l’infortunato sia ancora in contatto con la fonte elettrica. Prima di intervenire bisogna sempre staccare la corrente o, se non è possibile, allontanare il folgorato con un bastone di legno perfettamente asciutto, dopo essersi isolati attraverso uno strato di legno o di gomma (cattivi conduttori) facendo attenzione soprattutto alle perdite d’acqua (buon conduttore) che potrebbero propagare la folgorazione a chi sta attorno. Emorragie. Davanti alle emorragie bisogna sempre proteggersi dal contatto con il sangue, veicolo di numerose malattie, utilizzando gli appositi guanti in lattice da infermiere che si trovano di norma nelle cassette del pronto soccorso. Analogamente, in caso ci siano più feriti, bisogna stare attenti a non toccare con i guanti sporchi del sangue di un assistito gli altri, esponendoli in questo modo a rischi di trasmissione di malattie. Annegamento. In caso di annegamento, gettarsi in acqua per cercare di trarre in salvo l’infortunato può essere molto pericoloso se non si conoscono le tecniche di salvataggio e se non si è degli ottimi nuotatori. Il rischio è che chi sta per affogare trascini con sé il soccorritore. Nei corsi di salvamento, i bagnini, oltre a essere ottimi nuotatori si immergono nell’acqua in modo da afferrare di sorpresa chi è in difficoltà, da sotto o da dietro, e sanno come immobilizzarlo e trasportarlo a riva. Tali manovre però sono difficilissime da eseguire e in questi casi bisogna sempre cercare di gettare un salvagente, oppure raggiungere chi sta annegando con una barca, un materassino o qualcosa di galleggiante che faccia da supporto. Incidenti stradali. In caso di incidente stradale, soprattutto in autostrada, è bene prestare attenzione a non


essere travolti dalle automobili che sopraggiungono, disponendo un triangolo di avvertimento e inviando qualcuno a fare le opportune segnalazioni. Allo stesso modo, bisogna evitare di lasciare la propria auto in mezzo alla strada, col pericolo di procurare ulteriori incidenti, accostandola sul ciglio. Nei grandi tamponamenti a catena in autostrada, magari con scarse condizioni di visibilità , è consigliabile abbandonare il veicolo immediatamente se si è coinvolti e mettersi in sicurezza prima di intervenire e di chiamare i soccorsi.


3. ASPETTI LEGALI Prestare soccorso a chi si trova in pericolo è prima di tutto un dovere morale e sociale, ma anche un istinto biologico di alcune specie di animali sociali. Il mutuo appoggio è stato studiato come un aspetto dell’evoluzionismo che, in molti casi, favorisce la sopravvivenza della specie. Anche chi è impressionabile e non riesce a sopportare la vista del sangue, quando si trova in una situazione di emergenza, molte volte è portato a intervenire istintivamente. L’articolo 2 della Costituzione italiana riconosce e garantisce tra i valori e i diritti inviolabili dell’uomo anche i doveri di solidarietà sociale, mentre l’articolo 32 tutela la salute come un fondamentale diritto dell’individuo garantendo anche le cure gratuite per gli indigenti. Omissione di soccorso. Di fronte a un malore o a un incidente è obbligo del cittadino intervenire, altrimenti compie il reato di omissione di soccorso, punibile penalmente con la reclusione. La pena è aggravata se dal mancato soccorso deriva un peggioramento della situazione o il decesso dell’infortunato. La norma è regolata dall’articolo 593 del codice penale che riguarda i comportamenti omissivi di chi trova una persona abbandonata a se stessa, per malattia di mente o di corpo, vecchiaia, età inferiore a 10 anni e altre cause. Di fronte a questi casi il cittadino deve rivolgersi immediatamente alle autorità. In altre parole, a proposito del primo soccorso, non è obbligato a intervenire direttamente, soprattutto se non è esperto, ma è tenuto ad avvertire le autorità predisposte: il numero di pronto intervento per le emergenze sanitarie (118), quello delle forze dell’ordine (112 Carabinieri e 113 Polizia), i Vigili del Fuoco (115), il medico e così via. Dunque, soprattutto se non si è competenti né esperti è bene evitare di intervenire personalmente limitandosi a chiamare i soccorsi e a mettere la persona in difficoltà al riparo da eventuali pericoli. L’assistenza è un obbligo da parte di chi trova un infortunato e grava su tutti, nel caso in cui i possibili soccorritori siano più di uno, a meno che non ci sia l’assoluta impossibilità di metterla in pratica (per situazioni di pericolo o per impossibilità fisiche di chi è coinvolto). Se invece chi interviene è un sanitario o una persona esperta (un medico, un infermiere o un soccorritore) ed è in grado di prestare un’assistenza diretta non deve limitarsi a chiamare le autorità preposte, ma è tenuto a intervenire in modo attivo. Se poi un automobilista provoca un danno ad altre persone riconducibile al proprio comportamento, in caso di incidenti o di investimenti, e omette di fermarsi, di constatare quanto è accaduto e di chiamare i soccorsi e attenderli incorre nel reato previsto dall’art. 189 del codice della strada nei suoi vari commi. Comma 1: “L’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l’obbligo di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona”. Comma 6: “Chiunque, nelle condizioni di cui comma 1, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all’obbligo di fermarsi, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre anni (…)”. Comma 7: “Chiunque, nelle condizioni di cui al comma 1, non ottempera all’obbligo di prestare l’assistenza occorrente alle persone ferite, è punito con la reclusione da un anno a tre anni. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo non inferiore a un anno e sei mesi e non superiore a cinque anni (…)”. Comma 8: “Il conducente che si fermi e, occorrendo, presti assistenza a coloro che hanno subito danni alla persona, mettendosi immediatamente a disposizione degli organi di polizia giudiziaria, quando dall’incidente derivi il delitto di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, non è soggetto all’arresto stabilito per il caso di flagranza di reato”.


Lesioni colpose. Se il soccorso viene prestato direttamente, il soccorritore lo fa a suo rischio e pericolo (in mancanza di una certa esperienza e preparazione è meglio evitarlo). In altre parole, oltre a proteggere la sua incolumità, come abbiamo già visto, il soccorritore “attivo” si assume la responsabilità del suo intervento. Se per disgrazia il soccorso prestato determinasse un peggioramento della situazione o un decesso, il soccorritore incorrerebbe nei reati di lesioni personali colpose (art. 590 del codice penale) o peggio ancora di omicidio colposo (art. 589). Il termine colposo indica una non volontarietà della conseguenza negativa, di cui tuttavia si è responsabili per negligenza o imperizia (da cui la colpa). Abuso della professione medica. È bene sapere che solo un medico può fare diagnosi, somministrare dei farmaci o praticare un’iniezione endovenosa e solo un infermiere può farne una intramuscolare. Più precisamente un medico è abilitato a ogni genere di intervento e cura (r.d.l. 5 marzo 1935 n. 184 e d.l. c.p.s. 13 settembre 1946 n. 233), mentre un infermiere professionale (in possesso di apposito diploma) ha un campo di azione più limitato (r.d. 31 maggio 1928 n. 1334, t.u.l.s. 27 luglio 1934 n. 1256, r.d. 2 maggio 1940 n. 1310 e d.p.r. 14 marzo 1974 n. 225). Questo va tenuto sempre molto presente. È una prassi comune, per esempio, eseguire delle semplici iniezioni o anche “prescrivere” l’assunzione di farmaci ad amici o familiari. Ma nel caso di conseguenze negative o complicazioni (infezioni, mancata sterilizzazione delle siringhe, shock anafilattico, reazioni allergiche e via dicendo) si è responsabili e si corre il rischio di essere denunciati per abuso della professione medica. Lo stato di necessità. L’articolo 54 del codice penale, tuttavia, mitiga i rischi sopracitati stabilendo che non è punibile chi provoca un peggioramento o un decesso dell’infortunato, se opera in stato di necessità. In altre parole, se l’infortunato è in grave pericolo e non è possibile agire altrimenti, anche un soccorso maldestro o un tentativo di soccorso è preferibile al lasciare l’infortunato a se stesso. Naturalmente il criterio per definire lo stato di necessità deve essere valutato caso per caso. Inoltre, l’intervento deve essere sempre proporzionale al pericolo. Se in caso di soffocamento, per esempio, il soccorritore lede le vie aeree dell’infortunato nel tentativo di farlo respirare, difficilmente sarà punibile. Allo stesso modo, un massaggio cardiaco mal eseguito che provoca la rottura delle coste o una lesione interna è pur sempre un tentativo di salvare la vita, per quanto non andato a buon fine. Obbligo del segreto professionale. Chi prestando soccorso, assistenza o collaborazione con un medico, anche senza possedere titoli specifici, viene a conoscenza di un’informazione riservata o segreta che riguarda le condizioni cliniche della persona coinvolta (malattie non visibili, informazioni personali e simili) ha l’obbligo di non rivelarla (se non per giusta causa, per esempio nel caso di pericoli di contagio). Se invece l’informazione venisse usata a vantaggio di chi la conosce o divulgata costituirebbe una violazione della legge sulla privacy e, nel caso dalla divulgazione (per esempio che una persona è sieropositiva all’HIV) derivassero dei danni all’assistito, il rischio è quello di una denuncia da parte dell’offeso in base all’art. 622 del codice penale (punibile soltanto dietro querela e non d’ufficio). Norme per la sicurezza sul lavoro. La “legge sulla sicurezza nel lavoro” del 1994, comunemente nota come la 626 (D.Lgs. 626/94), ha introdotto nel campo della salute e della sicurezza delle importanti innovazioni rispetto al passato, trasformando la precedente normativa incentrata sugli interventi “riparatori” in un nuovo approccio basato sull’informazione e sulla prevenzione, che obbliga le aziende a nominare un Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP). La legge, successivamente, è stata modificata e abrogata dal decreto legislativo numero 81 del 9 aprile 2008 che ha introdotto il Testo unico sulla sicurezza sul lavoro. L’art. 37 del D.Lgs. 81/08 specifica che i dipendenti scelti per


ricoprire il ruolo di addetto al primo soccorso devono seguire un corso di formazione specifico e certificato, alla fine del quale devono sostenere e superare un esame.


4. RACCOMANDAZIONI: LA TEORIA NON BASTA SENZA LA PRATICA Dopo queste importanti avvertenze, prima di entrare nel vivo, è doveroso precisare che attraverso un manuale di primo soccorso le nozioni vengono apprese in modo del tutto teorico, mentre alcune manovre, in particolare quelle trattate nella parte quarta di questo libro (“Le tecniche di primo soccorso”), richiedono delle esercitazioni pratiche e dei corsi specifici per poter essere eseguite. Nei corsi di primo soccorso che prevedono il rilascio di attestati, le manovre di rianimazione, come la respirazione bocca a bocca o il massaggio cardiaco, sono sperimentate con appositi manichini in grado di restituire feedback e valutare l’efficacia e la corretta messa in atto di quanto appreso. Ma anche lo spostamento di infortunati con politraumi o il trasbordo di un incidentato fuori dall’automobile sono operazioni delicatissime che richiedono pratica ed esperienza senza le quali è molto meglio evitare di intervenire e di peggiorare la situazione. In gioco c’è la vita umana, non ci si possono permettere ingenuità, inesperienze ed errori. Qualcuno potrebbe pensare di imparare a guidare un’automobile semplicemente leggendo un libro che spiega come si fa? Per il primo soccorso è la stessa cosa. La teoria è importante. Ma non basta. Ci sono diversi tipi di corsi di primo soccorso, quelli rivolti alla popolazione e quelli che servono alla formazione dei soccorritori. Questi ultimi prevedono l’utilizzo di apparecchiature medicali cui nel presente testo introduttivo si fa solo accenno.


5. I NUMERI DI EMERGENZA: 118, 113, 112, 115 E ALTRI In tutto il testo, quando si fa riferimento alla chiamata dei soccorsi qualificati, per l’Italia, s’intende soprattutto il 118. Questo numero unico per l’emergenza sanitaria è diventato nazionale nel 2005. Prima la situazione cambiava da regione a regione e le richieste di soccorso venivano ricevute da diversi enti e istituzioni, tra cui i centralini degli ospedali o le associazioni di volontariato (Croce Rossa Italiana, Pubbliche Assistenze, Misericordie e molte altre). Con l’introduzione del 118, oggi si è collegati con la centrale operativa di competenza, che ha il compito di coordinare gli interventi dei mezzi di soccorso (compresi l’elisoccorso e il soccorso alpino) e di stabilire la destinazione dei pazienti in base all’accaduto e alla disponibilità degli ospedali del territorio. Tra gli altri numeri di emergenza c’è poi il 113 (soccorso pubblico di emergenza gestito dalla Polizia di Stato), il 112 collegato a una centrale operativa dei Carabinieri e il 115 dei Vigili del Fuoco. Fuori dal nostro Paese è utile sapere che quasi in tutta Europa (in Svizzera è il 114) componendo il 112 (sia da fisso sia da cellulare) è possibile parlare con un servizio di emergenza attrezzato con operatori multilingue in grado di gestire la chiamata in modo diretto oppure inoltrandola al servizio più appropriato. Negli Stati Uniti, Canada e altri Paesi il numero unico per qualunque tipo di richiesta di soccorso è invece il 911. È importante ricordare che i numeri di emergenza sono gratuiti e raggiungibili 24 ore su 24 anche da cellulari privi di credito (in alcuni casi persino privi della scheda SIM). Ogni abuso e ogni chiamata di soccorso per scherzo, in tutta l’Unione Europea, sono considerati reati per procurato allarme punibili dalla legge.


PARTE SECONDA NOZIONI BASE SUL CORPO UMANO


6. L’APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO L’apparato cardiocircolatorio è un po’ come un sistema idraulico, per usare una semplificazione, formato dal cuore, che funziona come una pompa, e da un complesso sistema di vasi che distribuiscono il sangue per tutto il corpo attraverso le arterie per poi riportarlo al cuore attraverso le vene, mediante la piccola e la grande circolazione. IL CUORE Fisiologia. Il cuore umano ha le dimensioni di un pugno chiuso e, al di là delle raffigurazioni romantiche, ha una forma simile a una pera con la punta rivolta verso il basso. Si trova all’interno della gabbia toracica, tra i due polmoni. Sotto c’è il diaframma, il muscolo che divide la cavità toracica da quella addominale. Dietro si trova l’esofago e poi la colonna vertebrale. Davanti c’è lo sterno, l’osso del torace dove si uniscono le costole. La membrana esterna che ricopre il cuore è il pericardio, mentre quella interna si chiama endocardio. Tra le due membrane è presente il miocardio, il muscolo involontario che lo fa pompare. La cavità cardiaca è attraversata da una parete longitudinale che la divide in due parti: a destra scorre il sangue venoso, a sinistra quello arterioso. Ciascuna delle due metà è poi a sua volta divisa da una parete orizzontale che forma l’atrio, la parte superiore, e il ventricolo, quella inferiore. Tale parete orizzontale non è però continua come quella longitudinale, contiene delle valvole unidirezionali che permettono al sangue di passare esclusivamente dall’atrio al ventricolo. La valvola che mette in comunicazione atrio e ventricolo destro si chiama tricuspide, perché è formata da tre lembi; l’altra, che mette in comunicazione atrio e ventricolo sinistro, si chiama bicuspide (è formata da due lembi) o mitrale. Funzionamento. Quando gli atrii si dilatano il sangue entra, a questo punto si contraggono spingendolo nei ventricoli sottostanti. Questi, a loro volta, si dilatano per poi contrarsi nuovamente e sospingerlo nelle arterie. Tale capacità di contrazione del cuore è autonoma: continua a contrarsi per un breve periodo anche quando viene espiantato. La fase di dilatazione di atrii e ventricoli è detta diastole, quella di contrazione sistole. Normalmente, in una persona adulta, il cuore si contrae 60/70 volte al minuto. Ma la frequenza cardiaca non è regolare; sotto sforzo, per esempio, aumenta in quanto è necessario pompare una maggior quantità di sangue. Inoltre, bisogna tenere presente che nei bambini è più frequente (80/100 al minuto).


Figura 6.1 – Lo schema del cuore

LE ARTERIE, LE VENE E I CAPILLARI Le arterie. Sono i vasi che trasportano il sangue dal cuore alle zone periferiche. A ogni contrazione il sangue viene sospinto in avanti. Questo determina che la circolazione non sia continua ma a flussi. Per questo motivo, durante un’emorragia arteriosa, il sangue, di colore rosso vivo, esce a fiotti. Le arterie superficiali si possono rilevare in alcuni punti del corpo apponendo un dito sopra di esse per percepire le pulsazioni. Questa manovra è detta prendere il polso, proprio perché questo è uno dei punti più conosciuti che riproduce i battiti cardiaci alla palpazione. Ma ne esistono molti altri, come vedremo, spesso più semplici da individuare per un neofita, come il polso carotideo, sul collo, oppure sull’inguine e via dicendo (→ “Individuare respirazione e polso”, Parte quarta). Le vene. Sono i vasi che trasportano il sangue dalle zone periferiche al cuore. Nel sistema venoso il sangue fluisce in modo continuo con un movimento aiutato dalla presenza di numerose valvole “a nido di rondine” che non permettono il suo rifluire verso il basso. I capillari. Sono dei vasi sottilissimi, con un diametro compreso tra i 10 e i 20 millesimi di millimetro, tramite i quali la parte terminale delle arterie si congiunge con la parte iniziale del sistema venoso. La loro sottigliezza consente al sangue di scorrere a contatto con i tessuti effettuando gli scambi delle sostanze che trasporta. Una curiosità: la lunghezza complessiva dei vasi sanguigni del corpo umano è stata stimata tra i 95.000 e i 160.000 chilometri, ben 3 o 4 volte la lunghezza della circonferenza del nostro pianeta!


Figura 6.2 – Lo schema della circolazione sanguigna

LA GRANDE CIRCOLAZIONE La circolazione del sangue segue due diversi circuiti: la grande e la piccola circolazione. La grande circolazione consiste nell’insieme dei vasi che portano il sangue dal cuore alla periferia e da qui nuovamente al cuore. Il sangue parte dal ventricolo sinistro carico di ossigeno, spinto dalla sistole, ed entra nell’aorta, l’arteria più grande. Questa si dirama in due vie, la carotide destra e quella sinistra, che portano il sangue alla testa. Le altre successive importanti diramazioni si hanno attraverso le due succlavie, che portano il sangue alle ascelle (arterie ascellari) e alle braccia (arterie omerali) e, dopo il gomito, si dividono ulteriormente in arterie radiali e ulnari. L’aorta continua a ridosso della colonna vertebrale fino all’addome da dove partono le arterie che vanno verso i visceri: la splenica irrora la milza, le renali i reni, l’epatica il fegato e le mesenteriche gli intestini. Più in basso, l’aorta si dirama nella zona lombare nelle arterie iliache, attraverso l’inguine, e queste continuano irrorando le gambe, come arterie femorali, poplitee (all’altezza del ginocchio) e tibiali. Dopo che il sangue ha raggiunto le parti più periferiche del corpo attraverso vasi sempre più piccoli, e dopo avere effettuato gli scambi nutrizionali con i tessuti attraverso la rete capillare, torna verso il cuore attraverso il sistema venoso. Il sangue che proviene da testa, torace e arti superiori, nel suo viaggio di ritorno confluisce nella vena cava superiore; quello che proviene dai visceri e dalle gambe nella vena cava inferiore. Entrambe le vene sboccano nell’atrio destro del cuore chiudendo la grande circolazione. LA PICCOLA CIRCOLAZIONE La piccola circolazione consiste nell’insieme dei vasi che portano il sangue dal cuore ai polmoni e da qui


nuovamente al cuore. In questo viaggio il sangue, ricco di anidride carbonica, se ne libera caricandosi invece dell’ossigeno che successivamente cederà ai tessuti. Quando, attraverso le vene cave superiore e inferiore, entra nell’atrio destro, scorre attraverso la valvola tricuspide nel ventricolo sottostante per poi salire attraverso le arterie polmonari dove giunge ai polmoni. Qui passa attraverso i capillari degli alveoli polmonari dove si purifica e si libera dell’anidride carbonica per caricarsi di ossigeno, attraverso la respirazione (→). Dopo questo scambio gassoso ritorna al cuore attraverso le vene polmonari che sboccano nell’atrio sinistro. Da qui tutto il circolo della grande e della piccola circolazione ricomincia.

Figura 6.3 – Lo schema della doppia circolazione

IL SISTEMA LINFATICO L’apparato linfatico è connesso a quello circolatorio e comprende una fittissima rete di canali, vasi linfatici e piccoli organi a forma di fagiolo, i linfonodi, che svolgono un importante ruolo nelle difese immunitarie. La linfa ha una composizione che varia a seconda delle zone del corpo e comprende sostanze nutritive, di rifiuto, globuli bianchi e altro. I vasi linfatici hanno un funzionamento simile a quello delle vene, con valvole a nido di rondine, e trasportano la linfa che, al termine del suo percorso, confluisce nel sangue attraverso la vena cava superiore. Ma la linfa è presente anche al di fuori delle cellule, deriva ed è conseguenza della corrente sanguigna e avvolge costantemente nel suo fluido ogni singola cellula. A differenza del sistema di circolazione sanguigno, quello della linfa non è chiuso. Una parte viene assorbita (per osmosi) dai capillari sanguigni e un’altra è raccolta nei capillari linfatici le cui estremità a fondo cieco assorbono il liquido negli interstizi tra cellule e vasi sanguigni.


7. L’APPARATO RESPIRATORIO L’aria entra nel corpo di solito attraverso il naso: la bocca infatti ha soltanto una funzione accessoria nella respirazione. All’interno delle narici viene filtrata dal pulviscolo atmosferico attraverso le vibrisse, i piccoli peli che trattengono le particelle più grosse. La mucosa presente nelle nari serve a riscaldare e a umidificare l’aria. Questa poi, attraverso la faringe, il condotto in comune con l’apparato digerente (→), entra nella laringe che ha una forma a imbuto ed è sostenuta da uno scheletro di cartilagine. L’epiglottide è una cartilagine che serve a evitare che il cibo penetri nella trachea durante la deglutizione. Se per caso qualche particella di cibo penetra ugualmente, il contatto con la mucosa delle vie respiratorie, molto sensibile, provoca violenti colpi di tosse con cui le particelle vengono espulse. Alla laringe fa seguito la trachea, una sorta di tubo lungo circa 10 centimetri che si divide poi in due grossi condotti, i bronchi, che a loro volta si ramificano in canali fitti e sottili, i bronchioli, terminanti in circa 3 o 400 milioni di alveoli polmonari. Qui avviene la respirazione: ovvero lo scambio di ossigeno (O2) e anidride carbonica (CO2) per opera dei globuli presenti nel sangue che si caricano dell’ossigeno di cui è ricca l’aria inspirata e rilasciano l’anidride carbonica che hanno accumulato nel loro percorso all’interno dell’organismo umano.

Figura 7.1 – Le vie aeree superiori

I polmoni hanno una forma piramidale e una consistenza spugnosa. Poggiano sul diaframma, il muscolo che separa l’addome dalla gabbia toracica. Sono avvolti da una specie di sacco chiuso formato dalle pleure, due membrane o foglietti: uno riveste i polmoni, l’altro le pareti toraciche e il diaframma. Tra i due foglietti è presente un liquido vischioso, il liquido pleurico, che permette lo scorrimento delle membrane senza attrito.


LA RESPIRAZIONE L’aria che inspiriamo è formata per il 78% da azoto e per circa il 20% da ossigeno; il restante 2% comprende idrogeno, gas vari e soltanto uno 0,04% di anidride carbonica. Anche l’aria che espiriamo è composta dalle stesse percentuali, con l’unica differenza che la percentuale di ossigeno è scesa al 16% e l’anidride carbonica è salita al 4%. La respirazione utilizza perciò l’ossigeno eliminando anidride carbonica (e vapore acqueo). Tale processo avviene negli alveoli polmonari: qui il sangue carico di CO2 rilascia anidride carbonica e si carica di ossigeno per poi trasportarlo nell’organismo. La respirazione è regolata da stimoli nervosi: se nel corpo c’è abbondanza di ossigeno rallenta, se c’è abbondanza di anidride carbonica accelera. Nell’inspirazione il diaframma si abbassa e la gabbia toracica si espande, grazie ai muscoli intercostali che si contraggono. Questo movimento richiama aria, proprio come in un mantice, così i polmoni si espandono e si riempiono. Durante l’espirazione, invece, diaframma e muscoli intercostali si rilassano e i polmoni, contraendosi, espellono l’aria ormai ricca di anidride carbonica.

Figura 7.2 – Gli organi della respirazione faringe

In un minuto si compiono circa 12/16 atti respiratori, anche se il numero aumenta notevolmente sotto sforzo e nei bambini piccoli.


8. L’APPARATO DIGERENTE L’apparato digerente è l’insieme degli organi che svolgono il processo digestivo. In questo processo gli alimenti vengono assunti, elaborati e assorbiti con l’eliminazione, attraverso le feci, delle sostanze non assimilabili. LA DIGESTIONE ORALE (DALLA BOCCA ALLO STOMACO) La bocca è il luogo dove avviene la prima fase della digestione. Il cibo subisce la prima scomposizione attraverso la masticazione. La triturazione avviene grazie ai 32 denti con funzioni specifiche: 8 incisivi, 4 canini, 8 premolari e 12 molari. L’intero processo è aiutato dalla lingua, un muscolo ricoperto di mucosa e fornito di papille gustative che funzionano come organo di tatto e di gusto, e dalle ghiandole salivari che secernono la saliva indispensabile per ammorbidire gli elementi macinati e disciogliere quelli solubili in acqua. Grazie alla ptialina, un enzima contenuto nella saliva, si ha inoltre un’ulteriore trasformazione, quella degli amidi in maltosio, uno zucchero dalla composizione più semplice. Il boccone, così trasformato in bolo, viene ingoiato e scende attraverso la faringe, la cavità a forma di imbuto in comune con l’apparato respiratorio (→), per poi passare nell’esofago, un tubo muscoloso lungo oltre 20 centimetri che attraversa il diaframma e porta il bolo nello stomaco. LA DIGESTIONE GASTRICA Lo stomaco è un allargamento del tubo digerente. Possiede un orifizio di ingresso, dall’esofago, detto cardias e uno di uscita verso l’intestino detto piloro. È formato da strati di fibre muscolari in grado di contrarsi per rimescolare il cibo. La superficie interna si presenta a pieghe, sotto le quali sono presenti le ghiandole che secernono i succhi gastrici. In presenza di svariati stimoli, tra i quali la vista e l’odore del cibo, alcuni impulsi nervosi del cervello stimolano le ghiandole dello stomaco che secernono il succo gastrico. Questo è composto da acido cloridrico, in grado di scomporre il cibo e di uccidere ogni organismo vivente che viene ingerito, e un enzima, la pepsina, che trasforma le proteine in sostanze più semplici: i peptoni. Al termine della digestione che, a seconda delle sostanze ingerite e della loro quantità, può durare da mezz’ora a sette ore, il cibo immesso nello stomaco è stato trasformato in chimo, una sostanza poltigliosa e biancastra, che tramite le contrazioni dello stomaco stesso passa attraverso il piloro e giunge nell’intestino.


Figura 8.1 – Lo stomaco

Figura 8.2 – L’apparato digerente

LA DIGESTIONE INTESTINALE La prima parte dell’intestino è l’intestino tenue, un tubo dal diametro di circa 3 centimetri, lungo 7 o 8 metri. A sua volta l’intestino tenue si divide in tre parti: il duodeno, il digiuno e l’ileo. Nel duodeno,


lungo circa 25/30 centimetri, ha inizio la digestione intestinale. Qui affluiscono i condotti di fegato e pancreas. Nel suo passaggio attraverso il duodeno, sul chimo – ancora una volta a causa di differenti stimoli nervosi – si riversano: il succo duodenale (prodotto dal duodeno), il succo pancreatico (prodotto dal pancreas) e la bile (prodotta dal fegato). Il succo duodenale è composto da enzimi che trasformano il chimo in sostanze semplici: i peptoni vengono ridotti ad aminoacidi e il maltosio viene trasformato in glucosio, ovvero lo zucchero semplice. Il succo pancreatico, invece, è quello più completo ed efficace: non solo trasforma i peptoni in aminoacidi e l’amido sfuggito all’azione della saliva in maltosio (che diverrà poi glucosio), ma aggredisce anche i grassi, riducendoli a un miscuglio di glicerina e acidi grassi, affinché possano essere assorbiti dai villi intestinali. La bile, infine, contribuisce a sciogliere i grassi, ne favorisce l’assorbimento e stimola i movimenti dell’intestino. Il chimo, trasformato in questo modo, passa per il digiuno e quindi per l’ileo, la parte più lunga e ingarbugliata dell’intestino dove avviene l’assorbimento delle sostanze ingerite attraverso cinque milioni di villi intestinali, minuscole sporgenze al cui interno scorrono i capillari che trasportano il nutrimento ai vari organi. L’ASSORBIMENTO INTESTINALE La parte terminale dell’intestino è l’intestino crasso, comunicante con quello tenue attraverso la valvola ileo-cecale, che lascia passare le sostanze in una sola direzione. A sua volta, anche l’intestino crasso è diviso in tre parti: l’intestino cieco, il colon e il retto, che termina all’esterno attraverso lo sfintere, un anello muscolare in parte volontario e in parte involontario che permette di regolare l’apertura anale. Nell’intestino crasso viene assorbita l’acqua residua, mentre miliardi di batteri scompongono la cellulosa degli alimenti vegetali che non viene intaccata dai succhi gastrici. In una piccola percentuale questa scomposizione porta alla formazione di glucosio, che viene assimilato, mentre la massa rimanente, insieme alle altre sostanze indigeribili, viene espulsa sotto forma di feci. IL FEGATO Il fegato è la ghiandola più grossa del nostro corpo, pesa oltre un chilo e mezzo ed è largo circa 20 centimetri. È posto nella cavità addominale a destra, dietro le ultime sette/otto costole. Secerne la bile, il liquido di colore giallastro che, come abbiamo spiegato, viene utilizzato durante la digestione. Tra un pasto e l’altro la bile si raccoglie nella cistifellea o colecisti, un piccolo “sacchetto” che si trova sotto il fegato. Da qui, attraverso un apposito condotto giunge nel duodeno. Il fegato ha anche la funzione di filtro tra il tubo digerente e il sistema circolatorio. Le sostanze assorbite nell’intestino, infatti, attraverso il sangue trasportato dalla vena porta arrivano al fegato che le filtra e le trasforma. Quelle tossiche, come l’alcol, vengono neutralizzate, mentre le altre vengono qui accumulate per poi essere rilasciate nel sangue nel momento in cui si rendono necessarie. Il glucosio, che è lo zucchero semplice, per esempio, viene immagazzinato e trasformato in glicogeno, uno zucchero più complesso. Quando l’organismo necessita di zuccheri, il glicogeno viene nuovamente trasformato in glucosio e rilasciato nel sangue.


Figura 8.3 – Il fegato

Tra le altre funzioni del fegato va ricordata la produzione dell’eparina, una sostanza anticoagulante del sangue che ne permette un buon scorrimento, e del fibrinogeno, che si trasforma in fibrina e consente al contrario di far coagulare il sangue in presenza di un’emorragia. IL PANCREAS Il pancreas è una grossa e importante ghiandola del nostro corpo la quale, come abbiamo spiegato, produce il succo pancreatico che, riversato nell’intestino tenue, contribuisce al processo digestivo.


Figura 8.4 – Il pancreas

Questa ghiandola svolge anche un’altra importante funzione: la produzione di insulina. Si tratta di una sostanza in grado di trasformare il glucosio (zucchero semplice) in glicogeno, ovvero lo zucchero più complesso che, come abbiamo visto, viene immagazzinato nel fegato. Se l’insulina scarseggia, il glucosio non potendo essere trasformato e immagazzinato – e conseguentemente rilasciato qualora i muscoli dovessero necessitarne – si accumula nel sangue e compare nelle urine, provocando il diabete (→ Parte terza).


9. IL SISTEMA OSSEO (SCHELETRO) Lo scheletro è l’insieme delle ossa e ha la funzione di sostegno del corpo. Nel corpo umano ci sono 208 ossa, alcune delle quali si possono spostare grazie al sistema delle articolazioni. Il tessuto osseo può essere compatto o spugnoso, nel secondo caso sono presenti delle cavità che contengono il midollo osseo. Le ossa sono avvolte da una robusta membrana, il periostio, che in caso di una frattura (→ Parte terza) interviene attivamente per la rigenerazione ossea. Di norma le ossa si possono dividere in lunghe (per esempio femore, tibia, perone, omero, radio e ulna), brevi (vertebre, falangi e tutte quelle di piccole dimensioni) e piatte (scapole, ossa del cranio e via dicendo). Le ossa lunghe sono costituite da un corpo compatto detto diafisi, da una cavità tubolare che contiene il midollo e da due estremità spugnose dette epifisi all’interno delle quali si trova il midollo rosso che ha la funzione di produrre i globuli rossi. Le ossa piatte, invece, sono formate da uno strato centrale spugnoso ricoperto da entrambe le parti da uno strato di tessuto compatto. LE ARTICOLAZIONI Le ossa si uniscono tra loro attraverso le articolazioni, fisse o mobili. Le articolazioni fisse, per esempio quelle che congiungono le varie ossa del cranio, non permettono alcun movimento. Quelle mobili alle loro estremità sono rivestite da una cartilagine che consente i movimenti grazie a una capsula fibrosa e grazie ai legamenti, come nel caso di gomito, spalla o femore.

Figura 9.1 – Le articolazioni mobili dei femori nel bacino

IL CRANIO Il cranio è una sorta di scatola che contiene il cervello. In alto, anteriormente c’è l’osso frontale e ai lati le ossa parietali. Più in basso si trovano le ossa temporali e posteriormente c’è l’osso occipitale. Sotto l’osso frontale ci sono le 16 ossa della faccia, tra cui la mascella, la mandibola e l’etmoide.


Figura 9.2 – Il cranio

GLI ARTI Gli arti superiori sono collegati alla colonna vertebrale mediante le scapole e le clavicole. La scapola è un osso piatto triangolare nella cui cavità si inserisce l’omero, ovvero l’osso lungo della parte superiore del braccio. La clavicola è invece un osso allungato che si trova tra sterno e scapola e delimita il margine del collo. Sotto l’omero, che forma il braccio, si trovano radio e ulna, le ossa dell’avambraccio, e poi carpo, metacarpo e falangi della mano. Le ossa degli arti inferiori, invece, sono collegate al cinto sacrale o bacino, formato da osso sacro e coccige, posteriormente, e dalle ossa iliache laterali a loro volta costituite da tre porzioni saldate: ileo, ischio e pube. La parte alta degli arti inferiori, la coscia, è costituita dal femore, l’osso più lungo del corpo umano, mentre la parte bassa, la gamba, è formata da tibia e perone. Infine c’è il piede composto da tarso, metatarso e falangi. Tra la coscia e la gamba, nell’articolazione del ginocchio, si trova la rotula.


Figura 9.3 – Il sistema osseo degli arti

LA GABBIA TORACICA La gabbia toracica ha la funzione di proteggere organi vitali come cuore e polmoni, ma è anche flessibile e mobile grazie all’elasticità delle articolazioni tra costole e vertebre, in modo da potersi espandere e permettere la respirazione. È costituita lateralmente dalle 24 coste (o costole), anteriormente dallo sterno e posteriormente dalle vertebre toraciche. Le prime sette coppie di coste (destra e sinistra) sono congiunte direttamente allo sterno e sono chiamate vere. Le tre coppie seguenti, dette fluttuanti, sono tra loro unite da una cartilagine a sua volta congiunta allo sterno. Le ultime due coppie, dette fluttuanti, non raggiungono lo sterno.


Figura 9.4 – La gabbia toracica

LA COLONNA VERTEBRALE È l’asse mediano dello scheletro, costituito da 33 o 34 vertebre sovrapposte. La parte superiore si articola con il cranio e quella inferiore con il bacino. Poiché le vertebre sono forate, la sovrapposizione dei 33 o 34 fori determina il canale vertebrale che contiene il midollo spinale.

Figura 9.5 – La colonna vertebrale

Le prime 7 vertebre sono le cervicali, in particolare, la prima si chiama atlante, la seconda epistrofeo. Seguono 12 vertebre toraciche, 5 lombari, 5 sacrali e 4 o 5 coccigee.


10. GLI OCCHI Gli occhi sono due globi dalla consistenza elastica formati da vari strati. All’esterno c’è la cornea, una membrana trasparente con al centro l’iride, il cui colore varia da persona a persona, e la pupilla, un foro che lascia passare la luce e che si dilata o restringe come il diaframma di una macchina fotografica a seconda degli stimoli luminosi. La parte posteriore è invece la sclera da cui esce il nervo ottico, mentre il nucleo è composto da materiali liquidi e da piccoli organuli. Il bulbo oculare contiene anche il cristallino e il corpo vitreo, oltre alle camere anteriore e posteriore che contengono a loro volta l’umore acqueo. L’osservazione delle pupille è un elemento molto importante per la valutazione di alcune patologie o problematiche, in caso di infortunio. Il restringimento delle pupille che avviene per esempio davanti a una luce intensa, si chiama miosi. La midriasi, al contrario, è la dilatazione delle pupille. Una midriasi accentuata e una non reattività alla luce (per esempio quella di una torcia) sono fattori che aiutano a indicare quando si è in presenza di un arresto cardiaco (→ Parte terza). Se invece le pupille sono asimmetriche, stato di anisocoria, indicano la presenza di un trauma cranico (→ Parte terza) o di una lesione cerebrale.

Figura 10.1 – Valutazione di alcuni infortuni mediante l’osservazione delle pupille


11. IL SISTEMA NERVOSO Il sistema nervoso, costituito dai neuroni, si compone di una serie di organi che servono a percepire, elaborare e trasmettere impulsi. Si divide in sistema nervoso cerebrospinale, che riceve, elabora e risponde a stimoli provenienti dal mondo esterno, e sistema nervoso simpatico o neurovegetativo che riceve, elabora e risponde agli stimoli che provengono dall’organismo. I NEURONI Le cellule nervose che costituiscono il sistema nervoso e che collegate tra loro sono in grado di trasmettere gli impulsi nervosi sono i neuroni. Tali cellule, al contrario delle altre, non hanno la capacità di riprodursi né di rigenerarsi. Ne possediamo migliaia di miliardi sin dalla nascita, ma quando un neurone è leso o muore è per sempre. Ogni trauma o patologia che determina la distruzione di neuroni produce perciò dei danni irreversibili.

Figura 11.1 – Lo schema di un neurone

I neuroni sono molto sensibili all’assenza di ossigeno: nel giro di 4 o 5 minuti, in caso di asfissia (→ Parte terza) o di un arresto cardiocircolatorio (→ Parte terza), ha inizio la loro distruzione. IL SISTEMA NERVOSO CEREBROSPINALE Il sistema nervoso cerebrospinale è composto dal sistema nervoso centrale e da quello periferico. Il primo è formato dall’encefalo (a sua volta composto da cervello, cervelletto e bulbo) e dal midollo spinale che è contenuto nel canale vertebrale.


Figura 11.2 – Il sistema nervoso centrale e periferico

Al sistema nervoso centrale è collegata una fitta rete di nervi che trasportano gli impulsi verso la periferia o, viceversa, dalla periferia all’encefalo. Il sistema nervoso centrale. È formato dalla sostanza grigia, composta da neuroni, e dalla sostanza bianca, composta da neuriti. La sostanza nervosa è avvolta dalle meningi e cioè da tre guaine o foglietti: la dura madre, la più esterna e resistente, l’aracnoide, quella centrale, e la pia madre, all’interno. Tra aracnoide e pia madre c’è il liquido cefalorachidiano, che ha la funzione di attutire gli urti, le scosse e i movimenti del cervello. Il cervello è formato da due emisferi congiunti da un ponte di sostanza bianca chiamato corpo calloso. Va ricordato che l’emisfero sinistro presiede alle funzioni della parte destra del corpo e viceversa. In una cavità del corpo calloso si trova l’ipofisi, una ghiandola responsabile dei processi di regolazione di pressione, temperatura, fame, sonno e altro. La parte esterna del cervello è la corteccia cerebrale, percorsa da numerosi solchi che aumentano notevolmente la superficie cerebrale. Qui risiedono le facoltà più complesse, come la memoria e l’intelligenza.


Figura 11.3 – I due emisferi del cervello

Il cervelletto è posto nella nuca e svolge la funzione di controllo dei muscoli e dei movimenti volontari. Nel bulbo o midollo allungato che unisce cervello e cervelletto hanno sede i centri che regolano respirazione, attività cardiaca e processi digestivi. Il midollo spinale racchiuso nel canale vertebrale, infine, è la sede dei contatti tra il sistema nervoso centrale e quello periferico.

Figura 11.4 – Il sistema nervoso centrale

Il sistema nervoso periferico. È formato dall’insieme dei nervi che si diramano dal sistema nervoso centrale: sono 12 paia di nervi cranici e 13 paia di nervi spinali che si irradiano nel tronco e negli arti. Le fibre nervose, chiamate assoni, sono vie a senso unico, gli stimoli le percorrono in una sola direzione. Le fibre sensorie trasmettono gli stimoli sensoriali dalla periferia al centro, quelle motrici trasportano gli impulsi dei movimenti dal centro alla periferia. IL SISTEMA NERVOSO NEUROVEGETATIVO È il sistema che regola e controlla gli organi viscerali – cuore, polmoni, stomaco, vescica, reni e così via


– e le loro funzioni: circolazione sanguigna, respirazione, digestione, secrezioni urinarie e via dicendo. Questo sistema, detto anche simpatico, è costituito da centri situati nella parte inferiore del cervello e nel bulbo, e da gangli, grossi agglomerati di cellule nervose che si trovano ai lati della colonna vertebrale. Da qui i nervi simpatici raggiungono i vari organi interni. L’apparato simpatico è il risultato del sistema parasimpatico e di quello ortosimpatico, che hanno funzioni regolatrici opposte. Durante uno sforzo fisico, per esempio, prevale l’apparato ortosimpatico che provoca una dilatazione delle vie respiratorie, un’accelerazione dell’attività cardiaca, una stimolazione del fegato a rilasciare zuccheri e altre simili attività. Durante il riposo, invece, è l’apparato parasimpatico a prendere il controllo, riducendo l’attività respiratoria e cardiaca, l’attività del fegato e il resto. Le funzioni dell’organismo derivano perciò dall’integrazione e dalla perfetta alternanza di questi due sistemi.


12. I RENI E L’APPARATO URINARIO I RENI I reni hanno la forma di due grossi fagioli e sono situati nella regione lombare a destra e a sinistra della colonna vertebrale. Sono costituiti da circa un milione di glomeruli all’interno dei quali si trovano dei gomitoli di capillari. Ogni glomerulo possiede un canaletto tortuoso, chiamato tubulo; glomerulo e tubulo costituiscono un nefrone. La funzione dei reni è quella di filtrare il sangue e di depurarlo dalle sostanze tossiche, dalle scorie e dall’eccesso di sali e di acqua che vengono eliminati attraverso l’urina. I reni inoltre contribuiscono alle trasformazioni chimiche di alcune sostanze che restituiscono al sangue.

Figura 12.1 – I reni e la vescica

L’APPARATO URINARIO Il sangue, passando per i reni viene filtrato nei glomeruli. Le scorie, attraverso i tubuli, sboccano in una cavità renale detta bacinetto renale, dove si raccoglie l’urina. Da qui passa poi negli ureteri, i due canali che provengono dal rene destro e sinistro che conducono l’urina nella vescica urinaria, un organo cavo a forma di palloncino situato nella parte inferiore dell’addome dietro l’osso pubico. La vescica funziona da serbatoio: quando è piena e dilatata insorge lo stimolo della minzione, cioè dell’espulsione dell’urina all’esterno attraverso l’uretra. Questo canale, nel maschio percorre l’interno del pene per tutta la sua lunghezza, mentre nella femmina è più breve e sbocca anteriormente alla vagina. La minzione è un atto volontario di rilassamento dello sfintere della vescica. In 24 ore, in media, il corpo umano produce un litro e mezzo di urina.


Figura 12.2 – L’apparato urinario e riproduttivo femminile


13. L’APPARATO RIPRODUTTIVO L’APPARATO RIPRODUTTIVO FEMMINILE Le ovaie sono gli organi posti nella cavità addominale dove maturano le celluleuovo. Al momento dell’ovulazione – generalmente tra il 12° e il 16° giorno a partire dall’inizio della precedente mestruazione – l’ovulo viene espulso ed entra nelle tube uterine: due condotti attraverso i quali raggiunge la cavità uterina. È nelle tube che avviene la fecondazione, quando uno spermatozoo penetra nella cellula-uovo dando origine al processo di riproduzione. L’utero è un apparato interno dove si sviluppa il feto e si fissa la placenta, l’organo che mette in comunicazione la madre con l’embrione e mediante il quale avviene l’apporto del nutrimento e di tutto quanto quest’ultimo ha bisogno per il suo sviluppo. Il feto cresce protetto in una sacca che contiene il liquido amniotico in cui è immerso. La vagina, infine, è il canale che mette in comunicazione l’utero con l’esterno e attraverso il quale il neonato viene partorito. L’APPARATO RIPRODUTTIVO MASCHILE L’apparato genitale maschile si sviluppa all’esterno attraverso il pene e lo scroto, che a sua volta contiene i testicoli, organi di forma ellissoidale composti da una rete di tubuli. Il pene contiene al suo interno dei corpi cavernosi che riempiendosi di sangue nel corso dell’eccitazione sessuale determinano l’erezione. All’interno dell’apparato riproduttivo maschile ci sono una serie di ghiandole come le vescichette seminali, l’epididimo, una sorta di serbatoio dove maturano gli spermatozoi che fuoriescono attraverso il dotto deferente, e la prostata che secerne il liquido alcalino e vischioso che serve a stimolare la mobilità degli spermatozoi.

Figura 13.1 – L’apparato riproduttivo maschile


PARTE TERZA COSA FARE IN CASO DI…


14. AIDS (HIV), EPATITE E INFEZIONI PER VIA EMATICA Il trattamento di patologie come l’AIDS o l’epatite toccano solo marginalmente l’argomento del primo soccorso che è l’insieme delle azioni da compiere nell’attesa dei soccorsi qualificati. Tuttavia è bene sapere alcune cose importanti che riguardano la prevenzione. Per prima cosa, poiché un soccorritore ha spesso a che fare con la fuoruscita del sangue, bisogna sempre tenere presente che attraverso lo scambio ematico si possono contrarre numerose patologie e infezioni. Perciò durante ogni intervento si deve sempre evitare il diretto contatto con il sangue, proteggersi gli occhi e il viso e soprattutto, nel caso di più feriti coinvolti (negli incidenti stradali capita), bisogna fare attenzione a non toccare con le mani sporche di sangue un altro infortunato ferito! AIDS Cos’è. In inglese la sigla significa sindrome da immunodeficienza acquisita (Acquired ImmunoDeficiency Syndrome). Semplificando, è un insieme di manifestazioni provocate dalla contrazione di un virus (HIV) che intacca le difese immunitarie: il corpo non è perciò più in grado di proteggersi dalle infezioni e di reagire. Il contagio avviene per via ematica (attraverso il sangue) e attraverso il contatto tra sperma e sangue. Il virus si può perciò contrarre per esempio attraverso rapporti sessuali non protetti o attraverso lo scambio di siringhe non sterili. Una volta contratto il virus, il sieropositivo non ha alcun sintomo. La fase di latenza della malattia può durare anche molti anni prima che inizi quella conclamata, ma in questo periodo il sieropositivo è ugualmente contagioso. ATTENZIONE! Poiché molte persone possono essere sieropositive senza saperlo, è bene sempre cautelarsi. Sintomi. Quando la malattia si manifesta, a causa dell’abbassamento delle difese immunitarie il soggetto va incontro a numerose infezioni di fronte alle quali l’organismo non è più in grado di reagire. Intervento. In caso di sospetto contagio – rapporti sessuali non protetti, puntura con siringhe, contatto con sangue – consultare il medico o le strutture ospedaliere. EPATITE Cos’è. L’epatite è un’infiammazione del fegato dovuta a molteplici cause e si distingue in vari tipi (A, B, C e altre). La contrazione, a seconda delle tipologie, può avvenire per via alimentare, per abuso di farmaci o alcol, per via virale attraverso lo scambio ematico o i rapporti sessuali. Sintomi. A seconda del tipo di epatite si possono avere disturbi che vanno dal vomito e la diarrea sino alla completa asintomaticità. Spesso, dunque, chi ha l’epatite non lo sa. Intervento. In caso di sospetto contagio consultare il medico o le strutture ospedaliere.


15. ANGINA Cos’è. L’Angina pectoris è un dolore toracico dovuto a un restringimento temporaneo dei vasi coronarici, che provoca una diminuzione dell’apporto di sangue al cuore (ischemia). Sintomi. L’infortunato è oppresso da un dolore più o meno intenso allo sterno che si può irradiare sulla sinistra alla spalla, al braccio o al collo. La durata dell’attacco è solitamente di pochi minuti. L’infortunato è pallido, suda freddo, è ansioso, ha difficoltà respiratorie. Intervento. Chiamare il pronto intervento e, in attesa dei soccorsi, cercare di tranquillizzare l’infortunato e impedire che si muova: ogni movimento o sforzo richiede infatti un maggiore afflusso di sangue. Il paziente va adagiato in posizione semiseduta, in questo modo la respirazione è favorita. Inoltre, è bene tenere sempre sotto controllo le funzioni vitali: polso e respirazione (→ “Individuare respirazione e polso”, Parte quarta). ATTENZIONE! I sintomi dell’angina sono molto simili a quelli dell’infarto cardiaco (→): in mancanza di una diagnosi precisa è necessario chiamare i soccorsi immediatamente. È utile informarsi se il paziente ha già manifestato in passato episodi analoghi. Se è cardiopatico, infatti, è probabile che possieda dei farmaci come le compresse di Trinitrina o di Carvasin. Questi farmaci, che di solito non hanno particolari controindicazioni, provocano una vasodilatazione delle coronarie che facilita l’apporto sanguigno al muscolo cardiaco. L’assunzione della pastiglia avviene ponendola spezzata sotto la lingua. ATTENZIONE! Solo un medico può prescrivere e somministrare dei farmaci. Se il paziente è cardiopatico e possiede questo tipo di farmaco può perciò assumerlo, altrimenti è consigliabile sentire il parere di un medico anche in caso di emergenza. Gravità. L’attacco di angina è passeggero, tuttavia, essendo molto simile all’infarto (→) nella sua manifestazione esteriore, in mancanza di controlli e di una diagnosi precisa è bene intervenire in modo molto tempestivo e considerare il paziente un potenziale infartuato.


16. ANNEGAMENTO Cos’è. L’annegamento avviene per l’ostruzione delle vie aeree da parte di un liquido. Perché si verifichi non è necessario che il corpo sia totalmente sommerso, per annegare basta l’immersione degli orifizi respiratori: chi per esempio, in seguito a un malore, cade a faccia in giù in un sottile strato di liquido rischia di annegare. Lo stesso si può verificare anche senza immersione nell’acqua. Quando un liquido entra nella cavità orale per riflesso provoca una chiusura della laringe, ma se l’infortunato è incosciente e vomita, per esempio, è necessario che il vomito possa defluire altrimenti, poiché i riflessi cessano, il liquido può penetrare nella trachea, nei bronchi e negli alveoli polmonari soffocandolo e dando inizio all’asfissia (→). Sintomi. Il malcapitato, se è stato soccorso tempestivamente e non ha perso coscienza, sarà molto agitato e spaventato, avrà delle difficoltà respiratorie e tossirà per espellere il liquido dalle vie aeree. Se la permanenza nel liquido è più lunga, l’asfissia porta alla perdita di coscienza e, successivamente, all’arresto respiratorio e quindi a quello cardiaco. Intervento. Per prima cosa è necessario rimuovere l’infortunato dal liquido che lo asfissia. In caso di annegamento in acqua alta, è consigliabile tentare di raggiungere l’infortunato dalla riva, tendendogli un salvagente, una fune, un asciugamano o un ramo, se è ancora cosciente. Se ciò non fosse possibile, è consigliabile raggiungerlo a nuoto soltanto se si è muniti di un salvagente, una barca, un materassino o un qualsiasi oggetto galleggiante in grado di sostenere sia il malcapitato sia il soccorritore. ATTENZIONE! Il salvataggio a nuoto è pericoloso: l’infortunato si aggrapperà al soccorritore in modo disperato con grande rischio per la sua incolumità. Le tecniche di salvamento prevedono infatti l’immersione in acqua per prendere di sorpresa e da dietro chi affoga, oltre che le tecniche di nuoto per trasportarlo a riva. Ma queste manovre sono molto difficili anche per i bagnini ed è sconsigliabile attuarle se non si è esperti. Una volta tratto in salvo l’infortunato bisogna verificare immediatamente se è cosciente o meno. Se è cosciente è sufficiente tranquillizzarlo, metterlo in posizione semiseduta per facilitare la respirazione e aiutarlo a espellere il liquido presente nelle vie aeree con dei colpetti sulla schiena e con movimenti circolari delle braccia che aiutano l’espansione della gabbia toracica e quindi della respirazione. ATTENZIONE! L’espulsione dell’acqua dai polmoni è particolarmente importante soprattutto in caso di annegamento in acqua salata. Infatti, quando due liquidi separati da un tessuto permeabile contengono delle soluzioni con diversa salinità, per osmosi le soluzioni tendono a equilibrarsi. Ciò significa che la forte salinità dell’acqua marina può provocare l’allagamento dei polmoni richiamando altra acqua proveniente dal sangue. Se l’infortunato ha perso coscienza è necessario agire con la massima urgenza e chiamare i soccorsi. Nell’attesa, bisogna verificare per prima cosa la presenza della respirazione e del battito cardiaco (→ Parte quarta). Se le funzioni vitali sono integre, bisogna porre l’annegato in posizione laterale di


sicurezza (→ Parte quarta), meglio se su un piano leggermente inclinato con la testa in basso. Se non si riprende, bisogna tenere costantemente sotto controllo le funzioni vitali. Se l’infortunato è incosciente con respiro assente e battito cardiaco presente bisogna immediatamente procedere con la respirazione artificiale (→ Parte quarta). Prima, però, è bene verificare che le vie aeree non siano ostruite dall’ingestione del liquido. Per far ciò bisogna rovesciare l’annegato a pancia in giù, disporsi in piedi a gambe larghe sopra il suo bacino, afferrarlo per le anche o per i fianchi e sollevarlo in modo da far defluire l’acqua. Appena questa è defluita si può finalmente stendere l’annegato a pancia in su e procedere con la respirazione artificiale. Nel caso anche il battito cardiaco sia assente bisogna procedere alla respirazione artificiale e al massaggio cardiaco (→ Parte quarta). ATTENZIONE! Nel caso di tuffi in acque basse, per esempio in piscina o in presenza di scogli, l’annegamento potrebbe essere stato provocato da un trauma. In questo caso bisogna avere molta cautela: l’infortunato potrebbe avere delle fratture (→), per esempio alla colonna vertebrale, il che comporta una grande attenzione nel rimuoverlo (→ “Trasporto e spostamento di un infortunato”, Parte quarta). Gravità. Nel caso di annegamento è necessario intervenire con la massima tempestività. L’arresto respiratorio avviene in pochi minuti e, se accade, in breve sopraggiunge anche l’arresto cardiaco.


17. APPENDICITE Cos’è. L’appendicite è un’infiammazione o un’infezione dell’appendice, un piccolo prolungamento chiuso a forma di verme dell’intestino cieco. Tale infiammazione può presentarsi in forma cronica, che regredisce spontaneamente, o acuta: in tal caso è necessario intervenire chirurgicamente, prima che possa degenerare in peritonite (→). Sintomi. L’infiammazione cronica dell’appendice si manifesta con lievi dolori addominali che regrediscono per poi ripresentarsi dopo mesi o anni. La fase acuta, invece, si manifesta solitamente con un dolore improvviso, inizialmente poco intenso, poi sempre più forte. Il dolore è generalmente localizzato nella fossa iliaca destra, ma può essere spostato anche più in alto o più a sinistra e confuso con un’addominalgia (dolore all’addome). Oltre al dolore, che in rari casi può anche non manifestarsi, gli altri sintomi sono generalmente un leggero innalzamento della temperatura, stitichezza, inappetenza e talvolta vomito e accelerazione del polso. Alla palpazione della parte dolente, di solito, le fitte aumentano soprattutto nel momento in cui si rilascia la pressione della mano. Intervento. Davanti a una sospetta appendicite è necessario interpellare il medico per una visita. Se trascurata, l’infiammazione può degenerare, con gravi complicazioni. Il comportamento da tenere in attesa del medico prevede di rimanere immobili a letto, eventualmente con una borsa di ghiaccio sull’addome, ma avvolta in uno straccio affinché non ci sia un contatto con la pelle. È bene astenersi dall’ingestione di qualsiasi sostanza, anche dei liquidi. ATTENZIONE! Non usare nessun tipo di purgante o lassativo che, in queste condizioni, potrebbe portare a una perforazione. Evitare anche l’assunzione di analgesici che possono alterare il quadro clinico durante la visita medica. Gravità. La fase acuta dell’appendicite richiede un intervento chirurgico, l’appendicectomia, che consiste nell’asportazione della parte infiammata. È necessario intervenire con tempestività, prima che l’infezione porti a gravi complicazioni, perforazioni o peritonite (→).


18. ARRESTO CARDIACO Cos’è. L’arresto cardiaco è la cessazione dell’attività del muscolo cardiaco che può avvenire per molteplici cause. Per quanto riguarda il primo soccorso, il rischio di un arresto cardiaco è frequente nel caso di infarto (→), folgorazione (→), asfissia (→) e shock (→). Sintomi. Quando il cuore cessa di battere la persona è incosciente, la respirazione e il polso sono assenti, la colorazione della pelle è pallida, le labbra e le unghie possono essere cianotiche (violacee), le pupille in breve si dilatano, divengono fisse e non reagiscono alla luce. Intervento. Bisogna agire con la massima tempestività: dopo 3 o 4 minuti dall’arresto cardiaco i danni al cervello sono irreversibili. È necessario chiamare i soccorsi urgentemente spiegando la situazione affinché arrivino pronti e preparati per un intervento rapido ed efficace. Nell’attesa bisogna procedere con il massaggio cardiaco e con la respirazione artificiale (→ Parte quarta). In questo modo l’infortunato viene tenuto in vita meccanicamente sino all’arrivo in ospedale. Gravità. La gravità è massima: dopo pochi minuti dall’arresto cardiaco ha inizio la morte cerebrale.


19. ASFISSIA Cos’è. L’asfissia è un arresto o un’insufficienza della respirazione. Insorge per una mancanza o una carenza di ossigeno. Le cause possono essere molteplici: l’ostruzione delle vie respiratorie da parte di corpi estranei che soffocano l’infortunato (→ soffocamento), per esempio alimenti, ma anche dentiere (in caso di malore o incidente) o vomito (nel caso l’infortunato sia incosciente). Tra le altre cause meccaniche si possono ricordare l’acqua (in caso di annegamento →), terra o neve (in caso di frane e valanghe), lacci e corde (in caso di impiccagione), lingua capovolta o ostruzione da liquidi interni e secrezioni (in caso di incoscienza). Una persona, inoltre, può soffocare e andare incontro all’asfissia anche perché l’ambiente non è sufficientemente ossigenato, per la presenza di gas tossici come l’ossido di carbonio emesso dalle stufe, per le fughe di gas, per i fumi durante un incendio. Infine, l’alterazione della respirazione e addirittura la paralisi dei muscoli respiratori può avvenire in caso di insufficienze cardiache o polmonari, ma anche in caso di traumi cranici (→) o toracici e, soprattutto, in caso di avvelenamento da farmaci (→), overdose di droghe, folgorazione (→) e tetano (→). Sintomi. In caso di asfissia l’infortunato presenta delle evidenti difficoltà di respirazione. Non necessariamente è privo di coscienza. Se c’è ostruzione delle vie aeree per cause meccaniche avrà un colorito violaceo, soprattutto sulle labbra. In caso di intossicazione da ossido di carbonio, invece, il colorito sarà rosso ciliegia. Se l’infortunato è incosciente ed è sopraggiunto un arresto respiratorio, dopo pochi minuti sopraggiungerà anche l’arresto cardiaco: in tal caso il colorito della pelle sarà bianco livido. Intervento. Poiché le cause di asfissia sono molteplici, innanzitutto bisogna individuare il problema. Nel caso di difficoltà respiratorie dovute a patologie polmonari o cardiache – per esempio edema polmonare (→) o infarto (→) – è bene chiamare i soccorsi, tranquillizzare l’infortunato, evitare che compia movimenti, tenerlo in posizione semiseduta. Se si ha a disposizione dell’ossigeno è bene somministrarlo. Se l’infortunato è in un ambiente mal ossigenato, è necessario trasportarlo immediatamente all’aria aperta o spalancare le finestre. In questo caso il soccorritore dovrà fare attenzione a non rimanere a sua volta asfissiato: per esempio in caso di fughe di gas tossici. Bisogna fare attenzione soprattutto all’ossido di carbonio, assolutamente inodore, la cui presenza non è perciò evidente: l’asfittico in questo caso ha un colorito rosso ciliegia, come abbiamo già detto. ATTENZIONE! Nel caso di impiccagione in seguito a tentato suicidio, non è facile intervenire. Bisogna prima di tutto rimuovere (o tagliare) i lacci che soffocano l’infortunato e adagiarlo a terra per verificarne le condizioni, tenendo presente che potrebbe avere delle lesioni alle prime vertebre del collo, con conseguente lesione del midollo e della colonna (anche se ciò è la causa di morte nelle esecuzioni dei condannati, ma è raro nei casi di tentato suicidio dove la morte sopraggiunge per lo più per soffocamento). Se l’asfittico non è cosciente, bisogna immediatamente verificare la presenza della respirazione (→ Parte quarta). Per far ciò è sufficiente appoggiare una mano sul torace e una sull’addome per percepire sollevamenti e, contemporaneamente, si può avvicinare l’orecchio alla bocca dell’infortunato per avvertire il passaggio dell’aria. Se il paziente respira è necessario tenerlo sotto controllo e, in attesa dei soccorsi, metterlo in una


posizione che favorisca la respirazione. È sufficiente adagiarlo sulla schiena (attenzione che non abbia politraumi, però!) e mettere la testa in posizione iperestesa (→ Parte quarta): questa manovra impedisce il soffocamento per il rovesciamento della lingua. È importante, inoltre, verificare che le vie aeree non siano ostruite da dentiere, alimenti o altro: in tal caso, con l’ausilio di un fazzoletto, basta rimuovere manualmente ciò che provoca l’ostruzione. È consigliabile anche slacciare gli indumenti (cravatte, busti, cinture, reggiseni…) che possono rendere difficoltosa la respirazione. Se il paziente non respira, dopo aver controllato che non ci siano ostruzioni meccaniche delle vie aeree bisogna procedere immediatamente alla respirazione artificiale, in attesa dei soccorsi, facendo molta attenzione al polso cardiaco. In caso di arresto del cuore bisognerà procedere anche al massaggio cardiaco (→ Parte quarta). ATTENZIONE! Se l’asfissia è provocata da cause meccaniche come l’ostruzione causata da un boccone o da una caramella (frequente nei bambini) andati di traverso, si possono mettere in pratica manovre come quella di Heimlich o altre tecniche per la rimozione dei corpi estranei, a seconda del caso, descritte più avanti (→ soffocamento). Gravità. Il nostro corpo non è in grado di resistere a lungo senza respirare. In caso di arresto respiratorio ci sono solo pochi minuti prima che sopraggiunga l’arresto cardiaco e, successivamente, la morte cerebrale. È perciò importante chiamare i soccorsi e agire con la massima tempestività.


20. ASMA Cos’è. L’attacco d’asma può avere origini emotive e psichiche, essere causato da infezioni delle vie respiratorie o da reazioni allergiche. Di solito avviene una contrazione spasmodica dei piccoli bronchi che produce dispnea, cioè difficoltà di respirazione. Sintomi. L’infortunato è dispnoico, pallido, labbra e unghie sono spesso cianotiche per la carenza di ossigeno. Il torace è bloccato in uno stato di inspirazione forzata. La respirazione è molto difficoltosa: si ha un’inspirazione breve seguita da una prolungata espirazione difficoltosa, rumorosa e sibilante. Intervento. L’infortunato di norma riconosce le sue crisi asmatiche e possiede delle compresse o dei broncodilatatori per inalazione precedentemente prescritti dal medico. Queste cure, però, vanno utilizzate solo se già prescritte, perché talvolta possono provocare fenomeni collaterali. È necessario tenere l’infortunato in posizione semiseduta per agevolare la respirazione, cercare di tranquillizzarlo il più possibile e, se è presente dell’ossigeno, somministrarlo. Gravità. Dipende da quanto è violento l’attacco. Se la crisi è leggera e passeggera non richiede particolari accorgimenti. Se il paziente è cianotico, agitato e la dispnea è preoccupante è necessario un immediato trasporto al pronto soccorso.


21. ASSIDERAMENTO Cos’è. L’assideramento è il risultato di un’eccessiva esposizione al freddo e a basse temperature. Sintomi. Brividi, pallore, torpore, difficoltà di movimento e, negli stati più gravi, confusione mentale e sonno che può degenerare in coma (→). Intervento. È necessario riscaldare l’infortunato in modo graduale, portandolo in ambiente caldo, coprendolo e massaggiandolo per riattivare la circolazione. Somministrare caffè e bevande calde con zucchero, ma non alcolici che non favoriscono la circolazione sanguigna. Per agevolare la circolazione è utile anche allentare gli indumenti che possono costringere. ATTENZIONE! L’assideramento è possibile anche a temperature non particolarmente rigide. Gli etilisti, per esempio, sono soggetti a una grande dispersione di calore che li può portare facilmente a stati di assideramento. Gravità. A seconda del tempo e del grado di esposizione al freddo l’assideramento può richiedere l’ospedalizzazione urgente.


22. AVVELENAMENTO Cos’è. L’avvelenamento avviene per l’ingestione nel nostro organismo di sostanze nocive. I sintomi possono essere immediati, ma possono anche verificarsi sino a 12/24 ore dopo l’ingestione. Sintomi. Sono svariati e generalmente riconducibili a nausea, vomito, crampi e dolori addominali. Qualora le sostanze tossiche siano ingerite involontariamente, per esempio per intossicazione da funghi, o da alterazioni di cibi che producono tossicosi alimentari come il botulismo, non è sempre facile collegare i sintomi a ciò che si è ingerito, soprattutto perché la loro insorgenza può avvenire dopo un arco di tempo non breve. Intervento. Davanti a un sospetto avvelenamento è indispensabile individuare la tipologia della sostanza tossica ingerita e consultare immediatamente un medico o recarsi tempestivamente in un pronto soccorso, a seconda della gravità. Gravità. La gravità dell’avvelenamento dipende dal tipo di sostanze ingerite. In generale è sempre bene recarsi in ospedale con urgenza. Di seguito alcuni dei casi più diffusi. AVVELENAMENTO DA BARBITURICI O FARMACI Tipico di chi vuole tentare il suicidio, questo tipo di avvelenamento porta all’arresto respiratorio e di conseguenza alla morte. I sintomi sono: sonno che degenera in coma (→), depressione e alterazione della respirazione. In questi casi bisogna chiamare i soccorsi e condurre l’infortunato in ospedale. ATTENZIONE! È molto importante far pervenire in ospedale o al medico il tipo di farmaco ingerito e, possibilmente, anche la quantità. Nel frattempo è fondamentale non fare addormentare l’avvelenato, nonostante la sonnolenza, sollecitandolo costantemente con domande e stimoli fisici (scossoni, piccoli schiaffi, pizzicotti e simili). È inoltre utile indurre il vomito (→) e somministrare abbondante caffè, un ottimo eccitante. Se il paziente non è cosciente bisogna controllare attentamente che non avvenga un arresto respiratorio. ATTENZIONE! Questo tipo di avvelenamento spesso coinvolge i bambini, che ingeriscono farmaci involontariamente, per esempio credendo siano caramelle. Per questo è bene che i medicinali siano sempre fuori dalla loro portata. AVVELENAMENTO DA ALCOL L’eccessiva assunzione di alcol porta euforia, loquacità, stati di alterazione della personalità e dei comportamenti, sonnolenza, nausea o sonno profondo che può anche degenerare in coma. In questi casi è necessario stimolare il vomito e somministrare abbondante caffè. Nei casi più gravi è necessario ospedalizzare la persona e ricorrere a una lavanda gastrica.


ATTENZIONE! Anche se comunemente si tende a essere indulgenti nel considerare i rischi dell’assunzione eccessiva di alcol, in dosi alte si tratta invece di un avvelenamento pericoloso a tutti gli effetti che può avere degli esiti mortali, se non si interviene. AVVELENAMENTO DA FUNGHI Le tossine presenti nei funghi possono agire rapidamente, dopo 1/6 ore, ma anche dopo 8/48 ore. Nel primo caso i sintomi sono generalmente nausea, vomito, diarrea (→), tremori muscolari, eccitazione psichica, tachicardia. Con il vomito e la diarrea le tossine vengono eliminate. È bene comunque ospedalizzare d’urgenza, se possibile con i residui del cibo ingerito che saranno analizzati. Nel secondo caso le tossine portano a sintomi come vomito, diarrea, dolori addominali, shock (→). È inutile provocare il vomito, perché dopo 8/48 ore le tossine sono state completamente assorbite. È necessario ospedalizzare d’urgenza, se possibile con i residui del cibo ingerito che servono per le analisi. AVVELENAMENTO DA CAUSTICI Può avvenire per inalazione o ingestione di sostanze come benzina, candeggina e simili che provocano lesioni, ulcere e perforazioni. I sintomi sono: dolori violenti a bocca, esofago e stomaco. In questi casi bisogna assolutamente evitare il vomito, perché le sostanze ingerite danneggerebbero ulteriormente le pareti dell’esofago e della bocca. È necessario chiamare immediatamente i soccorsi e può essere utile cercare di diluire le sostanze ingerite con latte – per le sostanze come acido muriatico e solforico – e acqua e limone nel caso sia stata ingerita dell’ammoniaca. ATTENZIONE! Prima di fare ingerire qualunque sostanza è bene consultare un medico: un errore potrebbe danneggiare ulteriormente l’infortunato. AVVELENAMENTO DA ANTIPARASSITARI Può avvenire per assunzione o inalazione di sostanze velenose utilizzate per frutta e ortaggi. I sintomi possono manifestarsi attraverso tremori, convulsioni e alterazioni della respirazione. In questo caso è importante evitare l’ingestione di latte o grassi che facilitano l’assorbimento di tali sostanze. È utile provocare il vomito (ma è sempre meglio consultare un medico per assicurarsi che le sostanze non siano caustiche) e ricoverare d’urgenza all’ospedale.


23. COLICHE Cos’è. Una colica, letteralmente, è una contrazione spasmodica e dolorosa del colon che si manifesta attraverso crisi più o meno dolorose, lunghe e frequenti, spesso accompagnate da sintomi come pallore, nausea, vomito e talvolta diarrea. Per analogia, con questo termine si indicano in genere anche tutti i dolori addominali di tipo parossistico che sono causati dalla contrazione di un viscere cavo che non è necessariamente il colon, come lo stomaco, l’intestino, l’utero e le vie urinarie o biliari. Gravità. Sebbene molto dolorose, le coliche non richiedono interventi particolarmente urgenti, se non per alleviare il dolore. È però sempre consigliabile interpellare il medico per accertarsi che si tratti veramente di coliche e non di altre più gravi patologie come per esempio: appendicite (→), peritonite (→) o avvelenamento (→). Di seguito i sintomi e gli interventi a seconda del tipo di colica. COLICA GASTRICA Sintomi. L’infortunato è in preda a crampi allo stomaco ed è pallido e sudato; talvolta la crisi è accompagnata da persistenti conati di vomito. I dolori sono localizzati nella “bocca dello stomaco”, la parte alta e mediana dell’addome. Intervento. La cosa migliore è interpellare subito un medico che può somministrare un calmante e confermare la diagnosi: i sintomi possono essere infatti anche dovuti ad altre patologie ben più gravi. In questo caso può essere utile slacciare gli abiti che possono costringere l’infortunato e provocare il vomito (→) per liberare lo stomaco e alleviare la crisi. Nel frattempo l’infortunato deve cercare di sdraiarsi sul dorso, rilassarsi, applicare sullo stomaco qualcosa di caldo. È importante non ingerire cibi o bevande e, passata la crisi, mantenere per qualche tempo una dieta leggera. COLICA INTESTINALE Sintomi. L’infortunato lamenta dolori diffusi per tutto il ventre, quasi sempre associati a scariche di diarrea e talvolta a conati di vomito. Le crisi accompagnate da stitichezza e vomito fecaloide (cioè maleodorante e dal colore scuro tipico delle feci) sono di solito sintomo di un’occlusione intestinale (→). Intervento. In questi casi è bene consultare un medico che può prescrivere un calmante o dei farmaci appropriati, dopo aver effettuato una diagnosi che escluda possa trattarsi di un’addominalgia dovuta ad altre cause. Nel frattempo è bene che l’infortunato stia a letto a riposo con applicazioni caldo-umide sul ventre. COLICA RENALE Sintomi. È caratterizzata da un improvviso dolore acutissimo a un fianco che si propaga dalla regione lombare in avanti e in basso verso l’inguine. Questo sintomo è importante per distinguere la colica renale da quella epatica che si irradia invece verso l’alto. Spesso i sintomi sono accompagnati da vomito, febbre, minzione difficoltosa o dolorosa, talvolta con emissione di sangue.


Intervento. È bene consultare un medico per una diagnosi precisa e un’eventuale prescrizione di un farmaco calmante. Intanto bisogna rimanere a riposo a letto, stesi su un fianco, con una borsa d’acqua calda sulla parte dolente. ATTENZIONE! Nel caso un calcolo venga espulso durante la minzione è bene conservare le urine per successive analisi.

Figura 23.1 – Differenze nell’irradiazione del dolore nella colica renale e in quella epatica

COLICA EPATICA O BILIARE Sintomi. I dolori sono localizzati nel quadrante superiore destro dell’addome e si irradiano verso l’alto alla spalla o alla regione lombare e toracica, cosa che fa distinguere la crisi da una colica renale che si irradia verso il basso. Altri sintomi possono essere, nausea, vomito, febbre, itterizia e il colore scuro delle urine. Intervento. È bene consultare un medico per una diagnosi precisa e un’eventuale prescrizione di un farmaco calmante. Intanto è consigliabile rimanere a riposo a letto e, passata la crisi, adottare una dieta leggera priva di grassi e alcol.


24. COLLASSO Cos’è. Un collasso cardiaco è un cedimento caratterizzato per lo più da un calo improvviso della pressione sanguigna. Con l’espressione collasso nervoso, invece, si indica talvolta la crisi isterica (→). Sintomi. Nel caso di un collasso cardiaco l’infortunato diventa pallido, molto debole e sudato; il polso si indebolisce, la muscolatura si rilascia e le estremità divengono fredde. Solitamente non si ha perdita di coscienza. Intervento. Bisogna immediatamente consultare un medico e, intanto, è bene porre l’infortunato in posizione antishock (→ Parte quarta), coperto, vigilando costantemente sulle funzioni vitali. Gravità. Il collasso cardiaco è sempre una manifestazione di un malore di una certa gravità: bisogna subito interpellare un medico o trasportare l’infortunato a un pronto soccorso e prestare attenzione alle funzioni vitali.


25. COLPO APOPLETTICO Cos’è. Il colpo apoplettico, ictus o apoplessia cerebrale, è causato da un’interruzione dell’afflusso di sangue in una zona del cervello, che può avvenire per un’emorragia e la rottura di un vaso o per un trombo, ma anche per un’occlusione di un vaso dovuta a un coagulo di sangue. Intervento. In generale è bene intervenire tempestivamente. Per il tipo di intervento si veda la voce: ictus (→)


26. COLPO DI CALORE Cos’è. Il colpo di calore si verifica in ambienti molto caldi, umidi e poco ventilati. In queste condizioni la sudorazione, che serve a raffreddare il corpo e a disperdere la temperatura, può non avvenire in quanto l’eccessiva umidità ne impedisce l’evaporazione. Sintomi. Intensa sete, cute molto calda, volto arrossato, respiro affannoso, torpore e shock (→). Intervento. È necessario condurre immediatamente l’infortunato in un luogo fresco e ventilarlo, raffreddarlo con impacchi di acqua fresca ma non troppo fredda e tenere sotto controllo respirazione e polso. È consigliabile fargli bere qualcosa di fresco, ma assolutamente non alcolico. Gravità. Se la temperatura è particolarmente elevata è bene consultare un medico o condurre l’infortunato in un pronto soccorso, soprattutto se c’è il sospetto che non si tratti di un semplice colpo di calore ma di un colpo di sole (→).


27. COLPO DI SOLE Cos’è. Il colpo di sole è causato da un’eccessiva esposizione al sole, che provoca un aumento di temperatura e una vasodilatazione che conduce a uno stato di shock (→). Sintomi. Cefalea e vertigini, sudorazione, nausea, offuscamento della vista, aumento della temperatura, shock. Intervento. Per prima cosa è necessario porre l’infortunato all’ombra, in un luogo arieggiato, e rinfrescargli il capo con impacchi umidi o acqua fresca ma non troppo fredda. Il paziente va condotto all’ospedale con urgenza. Gravità. Il colpo di sole è più pericoloso del colpo di calore e può richiedere anche un trattamento medico della massima urgenza.


28. COMA Cos’è. Lo stato comatoso è caratterizzato da una perdita totale e prolungata della coscienza. La respirazione e il battito cardiaco sono invece presenti. Le cause possono essere molteplici: trauma cranico (→), emorragia cerebrale (→), ictus (→), disturbi metabolici ed endocrini (coma epatico, coma diabetico, ipoglicemico, endocrino), infezioni come meningiti e, ancora, intossicazioni come nel caso del coma etilico o più in generale quello da avvelenamento (→). Sintomi. L’infortunato si presenta incosciente, come avvolto in un profondo sonno da cui non riesce a svegliarsi. La motilità e la reazione al dolore – per esempio un pizzicotto – nel caso di un coma profondo sono completamente assenti, mentre in una forma di coma leggero si ha reattività al dolore ma non vi è motilità. Nel coma vigile si ha anche una certa motilità. Talvolta l’infortunato russa profondamente. Intervento. Verificato lo stato comatoso è necessario chiamare immediatamente i soccorsi. Nell’attesa è bene porre l’infortunato in posizione di sicurezza (→ Parte quarta), slacciare gli indumenti stretti (cravatte, reggiseni, busti, cinture, camicie…), coprirlo e controllare costantemente che le funzioni vitali siano presenti. Gravità. La gravità del coma dipende dalle cause. In ogni caso l’infortunato deve essere trasportato in ospedale con la massima urgenza.


29. COMMOZIONE CEREBRALE Cos’è. La commozione cerebrale è una delle possibili conseguenze che si manifestano in caso di trauma cranico. Consiste in una perdita di conoscenza, generalmente transitoria e reversibile, che non produce danni permanenti ma può degenerare in coma. Per l’intervento si veda la voce trauma cranico (→).


30. CONGELAMENTO Cos’è. Il congelamento è una lesione della cute e dei tessuti sottostanti causata dall’esposizione a un freddo intenso. Solitamente colpisce le parti periferiche del corpo come le dita, le mani, i piedi, le orecchie o il naso. Sintomi. Le lesioni di primo grado provocano un rallentamento della circolazione con dolore ed edema locale. La cute in questo caso è cianotica. Le lesioni di secondo grado provocano un arresto della circolazione con locale insensibilità, immobilità e comparsa di bolle. Le lesioni di terzo grado provocano la necrosi del tessuto e un successivo sfaldamento. Intervento. Per le lesioni di primo grado è sufficiente massaggiare delicatamente la parte colpita da congelamento per riattivare la circolazione. È utile allentare tutto ciò che potrebbe ostacolare la circolazione: lacci, calzettoni e così via. Per le lesioni più gravi, di secondo e di terzo grado, è bene chiamare i soccorsi e immergere la parte lesa in acqua tiepida (37°/40°) ricoprendola poi con panni asciutti. ATTENZIONE! Evitare di riscaldare la parte congelata in modo improvviso ed eccessivo, per esempio attraverso stufe o borse di acqua calda, il riscaldamento deve essere graduale. Evitare anche l’assunzione di alcolici, vasodilatatori che non favoriscono la circolazione del sangue. Gravità. Le lesioni di secondo o terzo grado richiedono un immediato ricovero ospedaliero.


31. CONGESTIONE CEREBRALE Cos’è. La congestione cerebrale è causata da un eccessivo afflusso di sangue al cervello ed è tipica delle persone ipertese con pressione arteriosa alta. Può avvenire in seguito a emozioni violente o sforzi eccessivi. Sintomi. L’infortunato ha mal di testa, vertigini, ma soprattutto arrossamento nel viso. Si può verificare anche perdita di coscienza. Intervento. In presenza di questi sintomi è consigliabile chiamare immediatamente il medico. Dopo una conferma della diagnosi, in attesa dei soccorsi è bene che l’infortunato stia seduto, con il capo sollevato, con una borsa di ghiaccio in testa e qualcosa di caldo sui piedi (va bene anche una bacinella piena di acqua calda, ma senza esagerare). In questo modo il freddo in testa provoca una vasocostrizione che fa defluire il sangue, mentre il calore ai piedi richiama sangue verso gli arti periferici. ATTENZIONE! L’infortunato non va mai posto in posizione antishock, bisogna far defluire il sangue dalla testa se non si vuole peggiorare la situazione; per questo il capo deve essere sollevato rispetto al corpo. Gravità. Anche se l’infortunato non perde coscienza è bene che sia sottoposto a una tempestiva visita medica.


32. CONTUSIONE Cos’è. Una contusione è una lesione del corpo prodotta da un urto contro un corpo contundente, senza lacerazione della cute. Sintomi. Dopo il trauma sulla pelle compare un’ecchimosi, una macchia inizialmente rossa e poi violacea che con il tempo assume una colorazione giallognola, prima di scomparire. È il risultato di una rottura di capillari che versano il sangue nei tessuti superficiali. Se il travaso di sangue è più abbondante si ha invece un ematoma, più esteso gonfio e scuro. Intervento. In caso di ematomi ed ecchimosi è consigliabile applicare degli impacchi di ghiaccio (sempre attraverso un panno e mai a diretto contatto con la pelle) per indurre una vasocostrizione ed eventualmente un bendaggio non stretto. Si possono inoltre applicare delle apposite pomate in vendita in farmacia. Gravità. Se la contusione non interessa zone a rischio, come organi interni, non c’è da preoccuparsi: ecchimosi ed ematomi regrediscono in poco tempo. Come sempre è comunque consigliabile farsi visitare da un medico per controllare che non ci siano per esempio fratture o conseguenze più gravi.


33. CONTUSIONE CEREBRALE Cos’è. La contusione cerebrale è una delle possibili conseguenze che si manifestano in caso di trauma cranico. Consiste in una distruzione dei tessuti cerebrali che comporta danni permanenti e irreversibili. Per l’intervento si veda la voce trauma cranico (→).


34. CONVULSIONI Cos’è. Le convulsioni, o attacchi parossistici, consistono in un susseguirsi di contrazioni e di movimenti involontari che possono interessare tutta la muscolatura o una parte, per esempio gli arti. Sintomi. Durante una crisi convulsiva, oltre ai suddetti movimenti involontari, l’infortunato può presentare o meno perdita di coscienza. Intervento. Davanti a una crisi convulsiva è bene adagiare l’infortunato su un letto, supino o su un fianco, cercando di impedire che si ferisca durante i movimenti, slacciando gli indumenti che possono costringere e facendo attenzione che le vie aeree non siano ostruite dalla lingua, da secrezioni o da altro. Le crisi convulsive possono avere molteplici cause, per esempio sono tipiche dell’epilessia (→), ma possono essere causate anche da altri fattori. Un’eccessiva febbre (→ iperpiressia), per esempio, soprattutto nei bambini molto piccoli, può scatenare degli attacchi parossistici. In questo caso è consigliabile porre impacchi freddi sulla testa per abbassare rapidamente la temperatura. Gravità. È sempre consigliabile consultare immediatamente un medico. Se la crisi persiste, è molto violenta o c’è perdita di coscienza è meglio chiamare i soccorsi, soprattutto se l’infortunato non ha una patologia già diagnosticata e la crisi si manifesta per la prima volta.


35. CRISI ISTERICA Cos’è. La crisi isterica è un’ostentazione di comportamenti plateali che hanno lo scopo di richiamare l’attenzione. Talvolta si ha una simulazione di perdita di coscienza. Sintomi. Le crisi isteriche sono spesso precedute da malumore e tristezza e si manifestano in modo chiassoso. Talvolta possono sfociare in urla, atteggiamenti plateali o drammatici e in contorsioni violente che possono essere scambiate per crisi epilettiche (→). Al contrario di queste ultime, tuttavia, durante una crisi isterica non si ha mai una reale perdita di coscienza, anche se talvolta l’isterico la simula. Inoltre, poiché hanno lo scopo di richiamare l’attenzione, le crisi isteriche avvengono solo in pubblico, il paziente non si ferisce mai seriamente e non presenta amnesie di ciò che è successo. Intervento. Per placare una crisi isterica bisogna innanzitutto isolare il soggetto dal pubblico e dagli spettatori per demotivarlo nella sua manifestazione. È necessario trattenerlo in modo deciso e dimostrare comprensione e fermezza. Per questo motivo è bene evitare di dargli degli schiaffi, contrariamente a certe diffuse convinzioni popolari. Gravità. La crisi isterica non presenta particolari rischi per l’individuo, che non si ferisce mai. È sufficiente isolarlo e calmarlo. Se ciò non avviene è bene consultare un medico.


36. DIABETE Cos’è. Il diabete è una malattia che consiste in una carenza di insulina, una sostanza prodotta dal pancreas (→ Parte seconda) senza la quale il glucosio non può essere trasformato in glicogeno, uno zucchero più complesso che viene immagazzinato nel fegato (→ Parte seconda) e restituito sotto forma di glucosio nei momenti di necessità. Il glucosio, perciò, si accumula nel sangue e compare nelle urine. Un individuo diabetico è soggetto a crisi che possono sfociare in stati di coma (→) ipoglicemico o iperglicemico. Se il paziente è trattato con dei farmaci che abbassano la glicemia, come l’insulina, può succedere che in condizioni particolari il tasso degli zuccheri scenda troppo e si abbia un coma ipoglicemico. Viceversa, se la dose di insulina manca o è insufficiente il diabetico rischia un coma iperglicemico o diabetico, che avviene perché nel sangue ci sono troppi zuccheri. Sintomi. Nel caso di coma iperglicemico il paziente, oltre a essere privo di coscienza, ha un respiro profondo, continuo e senza pause; la cute non è sudata ma secca; è presente una flaccidità muscolare; l’alito ha un odore simile all’acetone. Nel caso di coma ipoglicemico, invece, il respiro è normale, la cute è sudata, si ha tonicità muscolare, l’alito non ha odori particolari. Intervento. Tenere sotto controllo le funzioni vitali e chiamare immediatamente i soccorsi. Soltanto se si è in presenza di una crisi ipoglicemica, e solo in questo caso, si può tentare di somministrare dello zucchero sciolto in acqua, impresa impossibile se l’infortunato è incosciente. La cosa migliore è individuare immediatamente la crisi prima che il soggetto entri in coma, in tal caso la somministrazione dello zucchero migliora rapidamente la situazione. ATTENZIONE! Non è facile distinguere il coma iperglicemico da quello ipoglicemico se non si è degli esperti. Pertanto, se non si è più che sicuri, è meglio evitare somministrazioni di zuccheri, che nel caso di un errore di valutazione peggiorerebbero la situazione. Gravità. È necessario trasportare urgentemente l’infortunato in un pronto soccorso.


37. DIARREA Cos’è. La diarrea è l’espulsione frequente di feci liquide, talvolta accompagnata da dolori addominali. Può avere molteplici cause: eccessi alimentari, colpi di freddo, problemi digestivi, ma può anche essere un segnale di virus, infezioni intestinali, salmonellosi e altre malattie infettive, di avvelenamento o di intossicazione. Per questo, in caso di diarrea prolungata è necessario comprenderne le cause e consultare il medico. Se le scariche diarroiche sono molto frequenti, si va incontro a una disidratazione. Sintomi. I sintomi variano con le cause che provocano la diarrea. Talvolta le scariche sono accompagnate da dolori addominali in caso di indigestioni – ma anche da nausea, vomito e cefalea –, da febbre in caso di infezioni virali, da crampi e da vomito in caso di avvelenamento. Intervento. È necessario cercare di comprendere le cause della diarrea, perciò meglio consultare un medico. In generale, comunque, è buona norma evitare le bevande fredde, assumere una dieta leggera e bere più del solito per compensare la disidratazione e le perdite di liquidi. Gravità. Dipende dalle cause. È minima nel caso di lievi disturbi digestivi, è alta nel caso di certe gravi patologie infettive, intossicazioni alimentari o avvelenamento (→).


38. DISTORSIONE Cos’è. Una distorsione è un trauma delle articolazioni causato da falsi movimenti. La più comune è quella della caviglia. Si verifica quando un osso esce dalla sua sede articolare, rientrandovi immediatamente dopo. Nei casi gravi, questa momentanea fuoriuscita può provocare una lacerazione dei legamenti. Sintomi. Una distorsione è solitamente dolorosa. La parte traumatizzata presenta un gonfiore localizzato e dolore nei movimenti. Questi, anche se faticosi, sono tuttavia possibili. Intervento. È consigliabile applicare una fasciatura stretta e fare impacchi freddi. Nei casi di lievi distorsioni è sufficiente tenere l’arto a riposo per qualche giorno. Non sempre, tuttavia, è semplice fare diagnosi esatte senza una lastra o senza una visita medica. È perciò consigliabile condurre l’infortunato all’ospedale per una visita di controllo che accerti che non ci siano fratture o complicazioni. Gravità. La distorsione non è un trauma grave, tuttavia è sempre consigliabile una visita di controllo, soprattutto in presenza di un forte dolore o di un forte gonfiore. Potrebbero infatti esserci dei traumi ai legamenti oppure, invece di una distorsione, si potrebbe essere in presenza di una lussazione (→) o di una frattura (→).


39. EDEMA POLMONARE Cos’è. L’edema polmonare è una sorta di annegamento dei polmoni causato dall’eccessivo passaggio di liquido sieroso dai capillari sanguigni agli alveoli che vengono così riempiti di liquido e non sono più in grado di svolgere la loro attività respiratoria. Sintomi. L’edema polmonare si manifesta frequentemente nelle ore notturne. L’infortunato si sveglia improvvisamente con enormi difficoltà di respirazione (dispnea), è agitato, si sente soffocare e chiede ossigeno. Il respiro è rumoroso, si ode un gorgoglio causato dalla presenza di liquido negli alveoli polmonari. Il paziente si mette istintivamente seduto, per meglio respirare, non si deve mai sdraiare perché aumenterebbe il senso di soffocamento. Il polso è debole; può comparire una schiuma rosa biancastra alla bocca. Il volto è solitamente pallido o cianotico; l’individuo è sudato e le estremità sono fredde. Intervento. È necessario raggiungere al più presto l’ospedale. Il soggetto va mantenuto in posizione semiseduta, per agevolare la respirazione. Bisogna cercare di tranquillizzarlo, controllare costantemente le funzioni vitali ed evitare che compia movimenti. Se è presente dell’ossigeno bisogna somministrarlo a dosaggi molto alti. Gravità. L’evoluzione dell’edema polmonare è molto rapida, da mezz’ora a due ore. È perciò necessario ospedalizzare l’infortunato con la massima urgenza, prima che muoia per asfissia.


40. EMATEMESI Cos’è. L’ematemesi consiste nella fuoriuscita di sangue dalla bocca insieme al vomito. Implica la presenza di un’emorragia dello stomaco o dell’esofago. Intervento. È bene condurre l’infortunato in ospedale e, in caso di perdita di coscienza, in attesa dei soccorsi mantenerlo in posizione di sicurezza (→ Parte quarta) affinché il vomito non ostruisca le vie respiratorie. Gravità. La gravità dipende dalla patologia che ha provocato la lesione e dal tipo di lesione. In generale è consigliabile recarsi velocemente in un pronto soccorso o consultare subito un medico.


41. EMATURIA Cos’è. L’ematuria è l’espulsione di sangue attraverso le urine, in seguito a un’emorragia renale, della vescica o dell’uretra. Intervento. È bene conservare l’urina per le analisi in ospedale. Gravità. La gravità dipende dalla patologia che ha provocato la lesione e dal tipo di lesione. In generale è consigliabile consultare immediatamente un medico o recarsi in un pronto soccorso.


42. EMBOLIA Cos’è. L’embolia è un’ostruzione parziale o totale di un vaso sanguigno per opera di un embolo solido, liquido o gassoso che produce disturbi circolatori locali o generali. L’embolia può essere venosa o arteriosa, a seconda del vaso interessato. Se l’embolo passa nel cuore e dalle vene passa alle arterie si può verificare un quadro patologico molto grave che determina un infarto polmonare o un embolo polmonare. Sintomi. Solitamente l’infortunato avverte un forte dolore acuto in corrispondenza del punto dove si è manifestata l’occlusione, che può essere una qualunque zona del corpo. L’embolo di natura solida è di origine interna, per esempio può essere costituito da frammenti di trombi o coaguli di sangue. L’embolo liquido può verificarsi per esempio durante un’iniezione intramuscolare di farmaci oleosi che invece di entrare nel muscolo finiscono in un vaso. L’embolo gassoso è tipico per esempio dei subacquei che risalgono in superficie troppo rapidamente da profondità elevate. Questa improvvisa differenza di pressione determina un vero e proprio ribollimento del sangue che libera gas disciolti in modo tumultuoso, in particolare l’azoto. Intervento. Chiamare i soccorsi, tranquillizzare l’infortunato, mantenerlo sdraiato, togliere gli indumenti che possono rendere difficoltosa la circolazione. Gravità. La gravità di un’embolia dipende dal tipo di vaso interessato e dalla sua ostruzione che può essere parziale o totale. Se l’embolo interessa il cervello o il cuore è necessario intervenire tempestivamente. Anche un embolo in un arto, tuttavia, se l’ostruzione è totale, può richiedere un intervento chirurgico per rimuoverlo ed evitare la necrosi dei tessuti che non vengono più irrorati dal sangue.


43. EMORRAGIA Cos’è. Un’emorragia (→ ferite) è una fuoriuscita del sangue dai suoi vasi. A seconda che il sangue si riversi all’interno o all’esterno del corpo si ha un’emorragia interna o esterna. Se la fuoriuscita del sangue avviene da un’arteria si ha un’emorragia arteriosa, altrimenti può essere venosa o capillare, a seconda dei vasi interessati. Poiché arterie e vene scorrono vicine, il più delle volte le emorragie sono miste. Sintomi. Le emorragie capillari interessano i vasi sottocutanei e superficiali. In questo caso il sangue fuoriesce a gocce intorno alla lesione. Se non c’è lacerazione della cute compare un ematoma (sangue raccolto sotto l’epidermide) mentre sulla cute compare l’ecchimosi, una chiazza che inizialmente è di colore rosso poi, col tempo, diviene violacea e infine gialla prima di scomparire. Le emorragie venose sono riconoscibili perché il sangue che fuoriesce è di colore più scuro, fluisce lentamente, in modo continuo e uniforme lungo i bordi della ferita. Nelle emorragie arteriose, invece, il sangue è di colore rosso vivo e fuoriesce a fiotti, a intervalli in sincronia con il battito cardiaco. Le emorragie interne, infine, sono meno evidenti. Possono essere causate da traumi o da patologie. I sintomi, di solito, consistono in pallore, estremità fredde e violacee, stato di agitazione, polso rapido e poco percettibile, respirazione rapida e superficiale. Talvolta possono comparire offuscamenti alla vista, sete violenta, ronzio alle orecchie. Intervento. Le emorragie capillari sono le meno gravi. Per curare l’ematoma è sufficiente porre una borsa del ghiaccio sulla parte per provocare una vasocostrizione. In caso di lacerazione della cute è utile sciacquare con acqua fredda e raffreddare con ghiaccio. Se si tratta di un taglietto la compressione della ferita, con una garza sterile, per un breve periodo aiuta a fermare il sangue. Le emorragie venose si possono arginare, dopo una buona disinfezione (→ Parte quarta), ponendo sulla ferita una garza sterile (o un fazzoletto pulito se non c’è di meglio) e tamponando. Può anche essere utile applicare una fasciatura di sostegno al tampone. Questa non deve essere troppo stretta: non si deve arrestare la circolazione. Se la zona contusa è un arto è consigliabile sollevarlo più in alto del corpo per far diminuire l’emorragia. Nel caso di emorragie arteriose l’intervento deve essere tempestivo perché la quantità di sangue è di solito molto elevata rispetto alle emorragie venose. Se l’emorragia non è molto abbondante è sufficiente tamponarla con una garza sterile o un fazzoletto pulito, dopo aver disinfettato la parte. Se invece interessa grossi vasi è necessario evitare che l’infortunato muoia dissanguato attuando delle compressioni sulle arterie a monte della ferita (→ “Blocco delle emorragie massive”, Parte quarta). Anche in questo caso, se la parte interessata è un arto, si può alzarlo al di sopra del corpo per far diminuire l’afflusso di sangue. Il laccio emostatico va usato solo nei casi più gravi e di assoluta necessità: per esempio davanti a un’amputazione o a una sindrome da schiacciamento (→). Davanti al sospetto di un’emorragia interna, infine, bisogna porre l’infortunato in posizione antishock (→ Parte quarta), coprirlo e chiamare urgentemente i soccorsi. Gravità. La gravità di un’emorragia dipende dalla quantità di sangue che fuoriesce. In caso di lesioni a importanti arterie c’è il rischio di entrare rapidamente in stato di shock e di morire dissanguati: è perciò importante arginare l’emorragia in modo tempestivo e chiamare i soccorsi. Anche nel caso delle emorragie interne non bisogna perdere tempo e recarsi urgentemente al pronto soccorso.


EMORRAGIA CEREBRALE Cos’è. Un’emorragia cerebrale è una rottura di un vaso sanguigno nella zona del cervello che può avvenire per cause traumatiche o patologiche. Sintomi. I sintomi dipendono da vari fattori, ci può essere dolore, confusione mentale, afasia (difficoltà nel parlare), vomito ma anche incoscienza e coma a seconda della zona interessata. La fuoriuscita di sangue può formare ematomi e gonfiori che comprimono una parte del cervello. Oppure ci può essere un ictus. Altre volte avviene per un trauma cranico che determina una commozione cerebrale o una contusione cerebrale. Intervento. Dipende dai casi. Si vedano le voci ictus (→) e trauma cranico (→). Gravità. Dipende dai casi. Davanti a una sospetta emorragia cerebrale è sempre bene chiamare i soccorsi e recarsi in ospedale. EMORRAGIA ESTERIORIZZATA Cos’è. Un’emorragia esteriorizzata si ha quando il sangue, raccolto in una cavità interna del corpo, defluisce attraverso gli orifizi naturali. La più comune è l’epistassi (→), che consiste nella fuoriuscita di sangue dal naso. Ci sono poi emottisi (→), ematemesi (→), ematuria (→), metrorragia (→), otorragia (→), melena (→). Sintomi. Intervento e gravità dipendono dal tipo di emorragia esteriorizzata e sono trattati all’interno delle singole voci sopraindicate.


44. EMOTTISI Cos’è. L’emottisi è un’emorragia esteriorizzata che consiste nella fuoriuscita di sangue dalla bocca attraverso colpi di tosse. La perdita si presenta di colore rosso vivo e schiumosa. Intervento. L’emottisi implica emorragie polmonari, è perciò necessario consultare il medico e recarsi in ospedale.


45. EPILESSIA Cos’è. L’epilessia è un’affezione nervosa che sfocia in crisi caratterizzate dalla perdita improvvisa di coscienza e dalla caduta a terra dell’individuo con o senza convulsioni (→). Sintomi. Durante la crisi epilettica l’infortunato perde coscienza e cade a terra, ha gli occhi rovesciati all’indietro e frequentemente manifesta convulsioni e spasmi. Gli arti si muovono in modo scoordinato in tutte le direzioni. In questa fase l’epilettico rischia di farsi male e procurarsi escoriazioni e traumi. La faccia è contratta, talvolta compare una schiuma alla bocca. Passata la crisi segue un periodo di alcuni minuti di coma e di incoscienza. Al risveglio l’epilettico non ricorda cosa sia successo (amnesia). ATTENZIONE! Le crisi epilettiche non vanno confuse con le crisi isteriche (→): queste ultime avvengono senza perdita di coscienza, senza amnesia finale, senza che l’infortunato si ferisca e soltanto in pubblico. Intervento. Di fronte a una crisi epilettica è inutile tentare di frenare i movimenti convulsi, bisogna invece cercare di adagiare l’infortunato su un materasso o su un luogo morbido evitando che si ferisca con i violenti spasmi. Bisogna perciò fare spazio e allontanare gli oggetti contundenti. È importante prestare attenzione alla testa che non sbatta violentemente: si può tenere tra le mani da dietro, ma bisogna stare attenti a non essere colpiti dagli arti in convulsione. È molto importante prestare attenzione alla bocca che frequentemente si serra in modo violento e può ferire la lingua. ATTENZIONE! Non mettere mai le dita in bocca all’infortunato che può serrare la bocca violentemente. Se possibile, è bene mettergli in bocca un fazzoletto o qualcosa che serva da “morso” per evitare che si ferisca la lingua. Passata la crisi, nella fase di coma, è bene prestare attenzione alle funzioni vitali, respirazione e polso. È importante stare vicino all’epilettico e confortarlo al momento del risveglio. Gravità. È sempre meglio chiamare il medico o il pronto intervento. Passata la crisi è consigliabile condurre l’epilettico in ospedale.


46. EPISTASSI Cos’è. L’epistassi è un’emorragia esteriorizzata che consiste nella fuoriuscita di sangue dal naso per cause traumatiche o patologiche, come la rottura di un capillare o l’eccessiva pressione sanguigna. Sintomi. Fuoriuscita di sangue dal naso. Intervento. È bene non rovesciare la testa all’indietro, come viene spontaneo e come tramandano certe credenze popolari, ma bisogna invece far defluire il sangue che altrimenti viene inghiottito o può ostruire le vie respiratorie. È consigliabile sedersi, comprimere esternamente la narice interessata per qualche minuto per arginare l’emorragia e reclinare il capo in avanti. Si può anche applicare un impacco di ghiaccio per provocare una vasocostrizione.

Figura 46.1 – A sinistra la corretta postura in caso di epistassi, a destra quella da evitare

Gravità. Se l’emorragia non si argina, conviene recarsi in ospedale.


47. FEBBRE Cos’è. La febbre è un innalzamento della temperatura corporea di natura patologica, più propriamente chiamata iperpiressia (→).


48. FERITE Cos’è. Una ferita è un’interruzione della continuità della cute o delle mucose, con danneggiamento dei tessuti sottostanti. Viene definita ferita superficiale se interessa solo i primi strati della cute, profonda se interessa muscoli, ossa o organi interni, penetrante se l’azione traumatica raggiunge cavità anatomiche come l’addome o il torace. Le ferite vengono anche distinte e classificate a seconda di come si presentano. Si ha un’abrasione quando un corpo tagliente danneggia o asporta i primi strati della cute. Un’escoriazione è dovuta invece a corpi contundenti irregolari, come le ferite da strisciamento, che possono presentare schegge di legno, terriccio e altre piccole particelle che devono essere rimosse. Le ferite da punta, dovute a spilli, chiodi, schegge o altro, sono quelle che penetrano nella cute perpendicolarmente. Le ferite da taglio sono provocate da vetri, coltelli e lamine. Le ferite lacere avvengono per strappamento della cute. Le ferite lacero contuse sono infine provocate da botte o contusioni che includono una lacerazione della pelle ma anche la presenza di ematomi e ecchimosi. Intervento. Di fronte a una ferita bisogna operare in ambiente il più possibile sterile e osservare tutte le norme di igiene e di disinfezione. Nello stesso tempo il soccorritore deve prestare attenzione anche alla propria salute. Il sangue è un potenziale veicolo per la trasmissione di numerose malattie: è necessario proteggersi dal contatto diretto mediante l’uso di appositi guanti in lattice. In caso di emorragie massive bisogna fare attenzione anche agli eventuali schizzi di sangue e proteggersi per esempio gli occhi (a questo scopo esistono apposite mascherine in dotazione del personale di soccorso qualificato). ATTENZIONE! In caso di perforazioni non rimuovere mai gli oggetti estranei, ma immobilizzarli. L’estrazione deve infatti essere fatta sotto controllo medico perché può aggravare notevolmente l’emorragia. Nel caso di piccole ferite: lavare abbondantemente la ferita con acqua e sapone e rimuovere eventuali corpi estranei come terra o schegge. Disinfettare la ferita con acqua ossigenata. Evitare l’uso di alcol (utile invece per sterilizzare) o della tintura di iodio, sostanze nocive se applicate direttamente sulle ferite. Ricoprire la ferita con garze sterili. Al di sopra di queste (non a diretto contatto con la ferita) si può porre del cotone idrofilo con funzione di tampone. La medicazione, infine, può essere fissata mediante bende o cerotti (→ “Disinfezione e medicazione”, Parte quarta). Per “fermare il sangue”, invece, può essere utile comprimere il punto della fuoriuscita e mantenere premuto per un breve periodo di tempo. È lo stesso metodo che si usa anche per i piccoli tagli che ci si può procurare, per esempio, facendo la barba. Dopo una compressione di 30/60 secondi, quando si rilascia, la fuoriuscita del sangue sarà rimarginata. Naturalmente va fatto in condizioni di igiene e pulizia, per esempio con garze sterili. ATTENZIONE! Anche le piccole ferite possono portare a delle complicazioni. Spore, batteri e virus possono penetrare all’interno dell’organismo e moltiplicarsi velocemente creando infezioni. Dunque non vanno mai sottovalutate e vanno sempre disinfettate. Nel caso di ferite gravi o profonde (→ emorragie): è necessario arginare la fuoriuscita del sangue ed eventualmente porre l’infortunato in posizione antishock in attesa dei soccorsi.


Le ferite al torace possono essere molto gravi se interessano il polmone. Se l’agente lesivo è in sede non rimuoverlo, altrimenti tamponare, tenere l’infortunato in posizione semiseduta e chiamare i soccorsi. Nel caso delle ferite all’addome si può correre anche il pericolo di essere in presenza di emorragie interne. È necessario chiamare i soccorsi. Non bisogna mai rimuovere i corpi estranei. Se questi non sono più in sede è utile fasciare la parte. In caso di fuoriuscita dell’intestino non cercare di farlo rientrare, ma ricoprire le viscere con teli sterili e mantenere l’infortunato in posizione semiseduta. ATTENZIONE! Nel caso di ferite profonde all’addome non dare mai da bere all’infortunato anche se lo richiede insistentemente: nel caso di perforazioni interne l’ingestione di liquidi può peggiorare il quadro clinico. Anche nel caso di ferite all’occhio bisogna evitare di rimuovere i corpi estranei conficcati. Chiamare i soccorsi o trasportare in ospedale e cercare di porre una medicazione sterile su entrambi gli occhi, per ridurre così al minimo i movimenti dei bulbi oculari, che possono aggravare la situazione.


49. FOLGORAZIONE Cos’è. La folgorazione avviene per il passaggio di corrente elettrica attraverso il corpo. È un incidente domestico e di lavoro che qualche anno fa era molto diffuso. Oggi, grazie alle nuove norme di sicurezza, il rischio si è sensibilmente ridotto. Perché la folgorazione sia pericolosa non è necessario che la fonte elettrica abbia una forte intensità. Se la persona rimane attaccata alla corrente, anche una di debole intensità può essere pericolosa. Sintomi. A seconda della gravità della folgorazione gli effetti possono essere delle ustioni più o meno circoscritte, perdita di coscienza, ma anche carbonizzazione dei tessuti e ustioni molto profonde, arresto respiratorio e fibrillazione cardiaca. In quest’ultimo caso il cuore cessa di battere e comincia a tremolare, senza essere più in grado di mandare in circolo il sangue. Intervento. Per prima cosa il soccorritore deve fare molta attenzione a non rimanere a sua volta folgorato. Se l’infortunato è rimasto attaccato alla fonte elettrica e l’interruttore è a portata di mano bisogna immediatamente interrompere la corrente, altrimenti è necessario staccare la vittima dalla fonte elettrica con molta cautela. ATTENZIONE! Evitare, come verrebbe spontaneo, di toccare l’infortunato: trasmetterebbe la scossa. Per allontanarlo dalla fonte di elettricità si può utilizzare un pezzo di legno (per esempio il manico di una scopa), che è un cattivo conduttore, facendo attenzione che non abbia parti metalliche, che sia ben asciutto e che non ci sia dell’acqua intorno che potrebbe propagare l’elettricità. Per compiere questa operazione è bene cercare di isolarsi da terra mediante un asse di legno o di gomma. Dopo aver interrotto la corrente ed essersi assicurati della messa in sicurezza della scena in cui si opera, bisogna immediatamente verificare le condizioni dell’infortunato. L’individuo presenterà delle ustioni, potrebbe aver perso coscienza e potrebbe essere entrato in arresto respiratorio o anche cardiaco. È perciò importante controllare respirazione e polso (→ Parte quarta) ed eventualmente procedere alla rianimazione artificiale (→ Parte quarta). Gravità. La gravità della folgorazione dipende dall’intensità della corrente, dal tempo di esposizione, dal percorso che la corrente segue all’interno del corpo e dalla massa corporea: un bambino è più vulnerabile di un adulto. Se il paziente ha perso coscienza è necessario chiamare immediatamente i soccorsi.


50. FRATTURE Cos’è. Una frattura è un’interruzione della continuità di un osso che si verifica solitamente in seguito a un evento traumatico. Può essere diretta se si verifica nel punto del trauma o indiretta se avviene in una zona lontana: per esempio una frattura di una vertebra in seguito a una caduta sui calcagni. Ci sono poi anche delle fratture spontanee che non sono causate da un trauma, ma da un cedimento delle ossa, soprattutto nelle persone molto anziane, per carenze di calcio o per malattie come il rachitismo. Una frattura può essere chiusa, se non c’è lacerazione del tessuto muscolare o cutaneo, o esposta, quando un moncone lacera il tessuto esterno ed esce. In questi casi il trauma è molto grave, c’è un grande pericolo di infezione: i tessuti ossei, infatti, normalmente non vengono mai a contatto con i germi esterni che possono perciò costituire un grave pericolo e dare origine a serie complicazioni.

Figura 50.1 – Alcuni tipi di fratture

A seconda di come un osso si spezza, una frattura può essere: incompleta, se soltanto una parte dell’osso si spezza; con spostamento se i due monconi si spostano e non si trovano più allineati sullo stesso asse, o senza spostamento se rimangono sullo stesso asse; comminuta se l’osso si spezza in piccolissimi pezzi; a legno verde – caratteristica dei bambini – quando per un’incompleta ossificazione l’osso si piega e non si spezza completamente. Sintomi. In seguito a un trauma non sempre è facile riconoscere senza una lastra se si è in presenza di una frattura o se più semplicemente si ha una distorsione (→) o una lussazione (→). In generale, tuttavia, la


frattura provoca dolore violento, deformazione dell’arto, gonfiore, incapacità funzionale e dei movimenti, tumefazioni ed ecchimosi. Queste manifestazioni possono anche comparire alcune ore dopo il trauma e non immediatamente. ATTENZIONE! Le fratture, in particolare nei casi di politraumatizzati (presenza di molte fratture), possono provocare stato di shock. Intervento. Poiché, come si è detto, non è sempre semplice riconoscere una frattura senza una lastra, in presenza di un trauma violento è sempre consigliabile intervenire con prudenza e considerare l’infortunato un potenziale fratturato. In generale è bene sdraiare e immobilizzare l’incidentato evitando che si muova. Se non ci sono particolari problemi di urgenza (rischi di vita) è meglio evitare il trasporto finché l’arto non sia stato completamente immobilizzato. È sempre meglio attendere il soccorso qualificato di personale dotato delle attrezzature di immobilizzazione (steccobende, materassini a depressione o barellini appositi). Fare attenzione che l’infortunato non entri in uno stato di shock e confortarlo. A questo proposito è bene prestare attenzione soprattutto nei casi di politraumi. Davanti a una frattura esposta è necessario coprire le parti ferite con teli sterili per proteggerle dalle infezioni. Anche in questo caso bisogna cercare di mettere l’infortunato in posizione antishock, impedire i movimenti e le ulteriori lacerazioni e attendere i soccorsi. Per il trattamento delle fratture e la loro immobilizzazione si veda l’apposita sezione (→ Parte quarta). Di seguito qualche consiglio più specifico a seconda della zona coinvolta. FRATTURE DELLA COLONNA VERTEBRALE In questo caso l’immobilizzazione è fondamentale per evitare che ci sia una lesione del midollo spinale che può portare a morte, paralisi o danni irreversibili. Il soccorso qualificato richiede particolari tecniche di spostamento, barelle appositamente concepite o il materassino a depressione, che immobilizzano totalmente l’infortunato prima del trasporto. Meglio attendere il personale qualificato mantenendo il malcapitato in assoluta immobilità. Nello spostamento bisogna fare in modo che l’asse testa-collo-tronco non subisca spostamenti e rimanga sempre rigido e in trazione. Se ciò non avviene si corre il rischio che una vertebra possa provocare una lesione del midollo spinale. FRATTURE DELLA TESTA Tenere sotto controllo le funzioni vitali dell’infortunato e chiamare urgentemente i soccorsi (→ trauma cranico). Nel caso di traumi facciali bisogna fare attenzione che le vie aeree non vengano ostruite. Nella frattura al setto nasale è bene applicare del ghiaccio per arginare l’epistassi (→). FRATTURE DELLE COSTE È il risultato di un colpo violento sul torace, per caduta o per sfondamento, per esempio nel caso di un incidente stradale. Bisogna distinguere la frattura di una o qualche costa dallo sfondamento del torace, molto più grave. L’infortunato deve essere tenuto in posizione semiseduta per agevolare la respirazione, non bisogna farlo parlare o tossire. È importante mantenerlo il più possibile immobile per evitare che i monconi delle costole possano bucare i polmoni o ledere altri apparati vitali interni. È necessario chiamare con urgenza i soccorsi che sono in grado di effettuare il trasporto nel modo più corretto.


FRATTURA DELLA CLAVICOLA Solitamente l’incidentato piega la testa dal lato della frattura per alleviare il dolore e si sorregge l’avambraccio con la mano sana. Si ha una deformazione visibile della spalla e il dolore è intenso. È importante sostenere il braccio infortunato e immobilizzarlo con una fascia a triangolo nella classica posizione analgesica del “braccio al collo”. Naturalmente il paziente va ospedalizzato. FRATTURA DEL BACINO L’infortunato lamenta forti dolori all’anca, all’inguine o al coccige. Non bisogna mai metterlo in posizione seduta, per evitare lesioni interne, mantenendolo supino e immobile. Poiché in questi casi c’è il rischio di una frattura della parte terminale della colonna vertebrale, è opportuno chiamare soccorsi qualificati e porre in atto le tecniche di immobilizzazione. ATTENZIONE! Questo tipo di frattura porta frequentemente allo stato di shock.


51. GRAVIDANZA INDESIDERATA La donna è feconda soltanto durante il periodo dell’ovulazione, quando è presente l’ovulo, in grado di vivere per circa due o tre giorni. L’ovulazione avviene in media ogni 28 giorni ed è un fenomeno periodico come la mestruazione, anche se meno evidente, che si manifesta in genere tra il 12° e il 16° giorno a partire dall’inizio della precedente mestruazione. Tuttavia, non sempre il ciclo di una donna è regolare, ci possono essere degli anticipi e dei ritardi, che non facilitano di certo l’individuazione precisa del periodo in cui è fertile. Inoltre, bisogna tenere presente che gli spermatozoi possono sopravvivere anche per tre giorni nelle vie genitali femminili, per cui se un rapporto avviene poco prima dell’ovulazione i rischi di gravidanza non sono da escludere. In caso di un rapporto a rischio – cioè di un rapporto sessuale non protetto che avviene in un periodo in cui la donna può essere fertile – se si vuole evitare una gravidanza è bene consultare immediatamente un medico o rivolgersi a un consultorio o a un pronto soccorso. Per evitare il rischio di una gravidanza indesiderata esiste la cosiddetta “pillola del giorno dopo”, che va assunta secondo prescrizioni mediche. Se non si interviene tempestivamente si corre il rischio di dover affrontare un’interruzione di gravidanza che viene fatta entro il terzo mese per via chirurgica o per via farmacologica con la RU-486, dal 2009 introdotta anche in Italia. ATTENZIONE! Poiché in Italia esistono molti medici obiettori di coscienza che non prescrivono la “pillola del giorno dopo” è importante contattare telefonicamente le strutture o il pronto soccorso a cui si intende rivolgersi per verificare che ci siano di turno medici non obiettori in grado di prestare l’assistenza richiesta.


52. ICTUS Cos’è. Un ictus, detto anche colpo apoplettico o apoplessia cerebrale, è causato da un’interruzione dell’afflusso di sangue in una zona del cervello che può avvenire per un’emorragia e la rottura di un vaso o per un trombo, cioè un’occlusione di un vaso per un coagulo di sangue. Sintomi. L’ictus può presentarsi in modo improvviso, spesso con perdita di coscienza e caduta a terra dell’infortunato, o può essere preceduto da sintomi premonitori come un pesante mal di testa, un senso di vertigini, formicolii, perdita delle forze, pesantezza degli arti. Chi ne viene colpito può perdere coscienza, presenta una respirazione rumorosa e irregolare, afasia (difficoltà o impossibilità di parlare), viso arrossato – spesso con una fisionomia alterata –, vomito. Uno dei sintomi più evidenti è la perdita di sensibilità e di motilità da un lato del corpo (emiparesi o emiplegia). Se l’emiparesi colpisce il lato sinistro è segno che la lesione ha interessato la zona destra del cervello e viceversa. Può tuttavia capitare una lesione bilaterale che si ripercuote su entrambi i lati del corpo. Intervento. In caso di ictus bisogna chiamare i soccorsi immediatamente e condurre l’infortunato in ospedale. Intanto è bene tenerlo sdraiato, ma con il capo sollevato, in modo che il sangue non affluisca al cervello a peggiorare l’emorragia o l’ingorgo. In attesa dei soccorsi è consigliabile slacciare gli indumenti che costringono per agevolare la circolazione e applicare degli impacchi freddi sul capo, per evitare l’eccessiva affluenza di sangue. Se il paziente è cosciente, per riconoscere un ictus è utile afferrargli entrambe le mani e chiedergli di stringerle con forza. Una delle due, quella dalla parte colpita da emiplegia, sarà molto più debole o inerme. Se l’infortunato è incosciente, controllare le funzioni vitali. Solitamente è molto facile riconoscere la presenza della respirazione che è molto rumorosa e talvolta caratterizzata da un sonoro russare. Gravità. La gravità dell’ictus dipende dalla parte del cervello che viene lesa. È bene intervenire sempre molto rapidamente.


53. IDROFOBIA Cos’è. L’idrofobia è una malattia contagiosa più comunemente detta rabbia (→).


54. INFARTO CARDIACO Cos’è. L’infarto cardiaco è dovuto alla chiusura o all’ostruzione delle arterie coronarie che irrorano il cuore di sangue. La zona del tessuto cardiaco che non viene più irrorata dall’ossigeno presente nel sangue va incontro a una rapida necrosi (morte) con perdita definitiva delle funzioni. Sintomi. Dolore toracico molto intenso localizzato sullo sterno, spesso irradiato sulla parte sinistra: al braccio, alla spalla, alla schiena e al collo. Il paziente avverte un forte senso di costrizione sul torace, è pallido, ha un senso di angoscia, difficoltà nella respirazione, sudorazione fredda, alterazioni del battito cardiaco e del polso.

Figura 54.1 – Irradiamento del dolore che generalmente si presenta durante un infarto cardiaco

Intervento. Chiamare immediatamente i soccorsi e, nel frattempo, cercare di tranquillizzare l’infortunato, evitare che faccia ogni minimo sforzo, perché questo richiede un ulteriore afflusso sanguigno. Mantenere il cardiopatico in posizione semiseduta per agevolare la respirazione e controllare attentamente e costantemente le funzioni vitali: respiro e pulsazioni. Se si ha a disposizione dell’ossigeno è bene somministralo. Se il paziente ha un arresto cardiaco è necessario procedere immediatamente con la rianimazione artificiale (→ Parte quarta). Gravità. In assenza di controlli e di apposite apparecchiature mediche è difficile capire la gravità dell’attacco cardiaco. È perciò necessario agire sempre con la massima tempestività, ogni minuto può essere in questo caso molto prezioso.


55. IPERPIRESSIA (FEBBRE) Cos’è. L’iperpiressia, comunemente chiamata febbre, è un innalzamento della temperatura corporea che può essere provocato da molteplici cause. È un sintomo (la febbre non si “attacca” contrariamente a quanto si dice, sono caso mai le patologie che la provocano a essere contagiose) che ci avverte di una reazione del nostro corpo contro agenti patogeni. I valori normali della temperatura corporea sono compresi tra 36,8 C° e 37,5 C° se la temperatura è misurata internamente (per via orale o rettale) e tra i 36,5 C° e i 37 C° se è misurata esternamente (sotto l’ascella o nelle pieghe inguinali). La temperatura va misurata a riposo, almeno mezz’ora dopo uno sforzo fisico e possibilmente non durante la digestione: questi processi, infatti, ne determinano un innalzamento. In caso di iperpiressia è consigliabile misurare la temperatura almeno due volte al giorno, al mattino e alla sera, a orari fissi, tenendo presente che è normale avere alla sera un lieve innalzamento. Sintomi. Quando la temperatura corporea sale oltre la norma, il malato generalmente si sente caldo, talvolta affaticato e indolenzito. Può avvertire una sensazione di calore o essere colpito da brividi di freddo. Queste due fasi generalmente si alternano e i brividi compaiono quando si verifica l’innalzamento della temperatura. Intervento. L’iperpiressia non è una malattia ma un sintomo, è perciò fondamentale consultare un medico per comprenderne la causa e agire sulla patologia. L’innalzamento della temperatura oltre una certa soglia è pericoloso e, soprattutto nei bambini, può portare a crisi convulsive (→) o stati di delirio. In questi casi è perciò necessario abbassarla rapidamente. In generale si può individuare la soglia critica nel superamento dei 38 C° di temperatura esterna, oltre questo valore è consigliabile intervenire per abbassarla. Per farlo esistono metodi chimici e fisici. L’abbassamento attraverso i metodi chimici prevede l’assunzione di farmaci antipiretici (ma è sempre bene assumerli dopo aver consultato un medico). Esistono anche dei metodi fisici che aiutano la dispersione del calore: per abbassare la temperatura rapidamente, in caso la febbre raggiunga valori pericolosi, sopra i 39 C°, bisogna togliere i vestiti esponendo all’aria tutta la superficie corporea ed eventualmente si può bagnare e raffreddare il corpo con una spugna inzuppata. Contrariamente a quanto talvolta comunemente si pensa, non è vero che quando si ha la febbre bisogna rimanere coperti al caldo, è meglio lasciarsi guidare dall’istinto. Se abbiamo caldo, è necessaria una dispersione del calore che non dobbiamo impedire coprendoci eccessivamente. Viceversa, davanti ai classici brividi, che di solito avvengono durante la fase dell’innalzamento della febbre, è bene stare molto coperti, come viene naturale. Gravità. Quando la temperatura sale oltre certi livelli è necessario abbassarla rapidamente. Oltre i 39 C ° bisogna intervenire con urgenza.


56. LEPTOSPIROSI Cos’è. La leptospirosi è un’infezione dovuta a microrganismi chiamati leptospire. Tipica degli animali, questa malattia può trasmettersi occasionalmente all’uomo se viene in contatto con acqua o altri materiali contaminati dagli escrementi di animali infetti. Gli animali più colpiti sono i ratti, ma anche alcuni animali domestici possono essere veicolo del virus, talvolta come portatori sani: possono in altre parole trasmettere la malattia anche senza manifestarla. È attraverso le urine che avviene l’eliminazione delle leptospire che possono sopravvivere per molte settimane in ambienti favorevoli come l’acqua. Il contagio avviene attraverso abrasioni della cute o attraverso le mucose, per esempio facendo il bagno in pozze, stagni o corsi d’acqua infetti, oppure se si viene a contatto con acque di fogna. Sintomi. L’incubazione, cioè il tempo che trascorre tra il momento dell’infezione e la manifestazione dei sintomi è compresa tra i 2 e i 26 giorni. Nella prima fase i sintomi sono febbre alta (39/40 C°), mal di testa, dolori muscolari, nausea, vomito, occhi arrossati, dolori addominali. Dopo 1/3 giorni di miglioramento sintomatico le leptospire scompaiono dal sangue e inizia la seconda fase: la febbre fa la sua ricomparsa e le leptospire compaiono nelle urine. Durante la malattia vengono colpiti soprattutto il fegato e i reni. Intervento. Non ci sono particolari prescrizioni di primo intervento, è molto importante la prevenzione attraverso una vaccinazione, se si compiono professioni a rischio, ed evitare le balneazioni in luoghi stagnanti o nei pressi di acque contaminate da fogne. Gravità. In caso di sospetta contrazione della leptospirosi bisogna immediatamente consultare il medico.


57. LIPOTIMIA (SVENIMENTO) Cos’è. La lipotimia, comunemente nota con il nome di svenimento, è il livello meno grave della perdita di coscienza (→). La causa è una cattiva irrorazione (e quindi ossigenazione) cerebrale dovuta al calo della pressione arteriosa. Questo malore può essere prodotto da molteplici fattori: stanchezza e fatica, calore eccessivo, cattiva ossigenazione nell’ambiente, emorragie, ustioni, traumi fisici o emotivi, abbassamento della pressione, ipoglicemia (basso tasso di zuccheri nel sangue) e varie altre patologie. Sintomi. La perdita di coscienza talvolta non è completa, il respiro è conservato, il polso è debole e lento, l’infortunato è spesso sudato, pallido e ha un senso di freddo. I sintomi premonitori sono un senso di malessere, nausea pallore e capogiri. Intervento. Porre l’infortunato in posizione antishock (→ Parte quarta), con le gambe alzate. ATTENZIONE! Nel caso di rinvenimento di un infortunato a terra, prima di muoverlo è bene controllare che nella caduta non abbia riportato fratture, nel qual caso la posizione antishock deve essere messa in atto con estrema cautela per non peggiorare la situazione. È inoltre consigliabile liberare l’infortunato dagli indumenti che lo costringono, slacciando cinture, cravatte, reggiseni o camicie per agevolare la circolazione, e consentirgli di respirare bene, allontanando la folla e aerando l’ambiente. Bisogna sempre sorvegliare il battito cardiaco e le funzioni vitali. Di solito, dopo essere stato messo in posizione antishock, l’infortunato si riprende in pochi istanti. Quando ciò avviene è bene lasciarlo sdraiato per un po’, impedirgli di alzarsi bruscamente, col rischio di un nuovo svenimento, e confortarlo: potrebbe non ricordare cosa gli è successo. ATTENZIONE! Non dare mai da bere alcolici! Questa erronea consuetudine, purtroppo ancora oggi diffusa, è altamente controproducente: l’alcol è un vasodilatatore, di conseguenza la sua assunzione induce un abbassamento della pressione e un peggioramento della situazione. Gravità. Se l’infortunato si riprende immediatamente non c’è urgenza di ospedalizzare. Tuttavia, poiché le cause che portano alla lipotimia sono molteplici, è bene compiere una visita in pronto soccorso per accertamenti, anche di fronte a un’apparente completa ripresa.


58. LUSSAZIONE Cos’è. La lussazione si verifica quando, per un trauma o un falso movimento, un capo articolare esce dalla sua articolazione senza tornare a posto. Le più diffuse sono le lussazioni della spalla, del dito e del gomito. Sintomi. Dolore acutissimo, impotenza funzionale, blocco e visibile deformità dell’articolazione, gonfiore. Intervento. Bisogna evitare di rimettere a posto l’articolazione. È invece importante chiamare i soccorsi che trasporteranno l’infortunato all’ospedale dopo aver immobilizzato l’arto nel migliore dei modi. L’immobilizzazione dell’arto con fasciature adatte prima di qualsiasi movimento o trasporto è fondamentale per alleviare le sofferenze dell’infortunato e per evitare ulteriori traumi.

Figura 58.1 – Lussazione della spalla omero


Figura 58.2 – Lussazione del gomito

Gravità. Anche se la lussazione è molto dolorosa, l’infortunato non è in pericolo di vita. Poiché non è facile, senza una lastra, diagnosticare che non ci siano delle fratture, è sempre bene comportarsi come se ci si trovasse di fronte a una frattura.


59. MELENA Cos’è. La melena è un’emorragia esteriorizzata (→) che consiste in una fuoriuscita di sangue dall’ano insieme alle feci. L’aspetto del sangue è di colore scuro, non rosso vivo. La causa è un’emorragia presente nello stomaco, nel duodeno o nell’intestino. ATTENZIONE! La fuoriuscita di sangue rosso vivo è invece indice di una lesione del tratto terminale del retto. Intervento. È necessario recarsi in ospedale e consultare il medico.


60. METRORRAGIA Cos’è. La metrorragia è un’emorragia esteriorizzata (→) dalla vagina in seguito a lesioni o patologia dell’apparato genitale femminile. Intervento. È necessario recarsi in ospedale e consultare il medico.


61. MORSI DI VIPERA E DI ALTRI SERPENTI Cos’è. In Italia esistono quattro specie di vipere. Questi serpenti velenosi sono piuttosto schivi, temono l’uomo e aggrediscono soltanto per difesa. Rispetto ad altri serpenti non velenosi le vipere si distinguono in particolare dalla pupilla, verticale e non rotonda, dalla costituzione breve e tozza, dalla forma della testa triangolare, non affusolata e appiattita.

Figura 61.1 – La vipera si riconosce, tra le altre cose, soprattutto dalla pupilla verticale

Naturalmente, in caso di morso, non è molto facile individuare questi particolari, tuttavia è il morso stesso a presentare dei segni evidenti e ben distinguibili: due piccoli fori che distano circa un centimetro l’uno dall’altro, lasciati dai denti veleniferi. ATTENZIONE! Potrebbe capitare che la vipera abbia perso un dente velenifero, oppure che il morso non sia andato a segno completamente e a fondo. In tal caso può essere presente un solo foro del dente velenifero. Talvolta il morso può presentare anche altri segni: oltre ai fori dei denti veleniferi possono essere presenti anche dei forellini molto più piccoli lasciati dagli altri denti, molto meno profondi ed evidenti. Il morso di altri serpenti non velenosi, invece, non presenta i due fori maggiori. In questi casi, la ferita va dunque semplicemente disinfettata e medicata, anche se una visita al pronto soccorso è sempre consigliabile e, se non si è più che sicuri che il morso appartenga a un serpente non velenoso, è meglio agire con prudenza.

Figura 61.2 – I segni del morso di una vipera


Mediamente, ma ciò non è sempre vero, la quantità di veleno iniettato da una vipera con un morso non dovrebbe essere mortale per un uomo adulto, anche se tutto dipende da numerose variabili. La media di veleno iniettata dipende infatti dalla vipera, da quanto le sue ghiandole velenifere siano piene e dal modo in cui i denti affondano durante il morso. Inoltre, la reazione al veleno dipende per esempio dalla massa corporea del malcapitato: un bambino è più a rischio di un individuo adulto. Diverso è il caso di morsi di altri serpenti velenosi che si possono incontrare in viaggio in posti esotici o a rischio. In tal caso esistono anche dei serpenti il cui morso è mortale. In generale è sempre necessario capire di che veleno si tratti e la cosa migliore è quella di uccidere il serpente per mostrarlo ai soccorritori. ATTENZIONE! Evitare di toccare il serpente anche se è stato ucciso: talvolta può “fingersi” morto (tecnica di sopravvivenza denominata tanatosi) e altre volte può mordere per delle contrazioni che avvengono anche post mortem. Sintomi. Il morso della vipera è solitamente molto doloroso e provoca in genere arrossamento, cianosi, gonfiore e crampi più o meno acuti. Dopo circa mezz’ora o un’ora, i sintomi sono: cefalea, vertigini, tachicardia, calo di pressione, vomito, diarrea e shock che può condurre anche alla morte, nei casi estremi. Intervento. In caso di morso di serpenti è necessario rallentare la circolazione del sangue con azioni di tranquillizzazione ed evitando il più possibile i movimenti. Bisogna chiamare i soccorsi o raggiungere velocemente un ospedale. ATTENZIONE! Contrariamente a quanto diffuso nell’opinione comune è bene non incidere la ferita e non succhiare. L’incisione a croce rischia di aumentare il contatto tra il veleno e il sangue o i sistemi linfatici. La suzione è pericolosissima per il soccorritore: basta una piccola lesione, carie o screpolatura per contrarre il veleno. Spremere la ferita immediatamente dopo il morso è invece utile per fare uscire la maggior quantità possibile di veleno. Quello dei serpenti si trasmette in tempi rapidi soprattutto attraverso il sistema linfatico (→ Parte seconda), mentre soltanto più lentamente si trasmette per via venosa. Per questi motivi si può improvvisare o usare un laccio emostatico, ma soltanto per bloccare la circolazione linfatica e venosa non quella arteriosa! Il laccio, quindi, non va stretto molto. Ancora più indicata è una fasciatura molto stretta. Nel caso il morso abbia interessato un braccio o una gamba, per esempio, può essere applicata a monte della ferita, sino alla fine dell’arto. Il siero antivipera: l’utilizzo del siero antivipera è decisamente sconsigliabile, perché la sua inoculazione richiede la presenza di un medico. Esistono infatti dei rischi di shock anafilattico e di allergie. Per evitare questo inconveniente è necessario un test di inoculazione di una piccolissima quantità di siero per vedere la reazione: operazione che richiederebbe la presenza di un medico. Inoltre, bisogna ricordare che il siero, di solito, va conservato in frigorifero e si deteriora portandolo in giro per alcune ore a temperature più elevate dei 2/6°. Dunque meglio trasportare l’infortunato in ospedale. La prevenzione: durante le escursioni in montagna o in campagna è consigliabile fare attenzione a dove ci si siede o ci si sdraia, agli indumenti poggiati sull’erba che vanno scossi prima di indossarli nuovamente. I serpenti si annidano spesso tra i sassi che è bene non rimuovere, le vipere attaccano l’uomo per difesa


solo se si sentono aggredite, minacciate o stanate, altrimenti tendono ad allontanarsi. È perciò buona norma picchiare con un bastone sui sentieri: anche se i serpenti sono sordi, percepiscono le vibrazioni del terreno e di solito si allontanano immediatamente. L’uso di calzettoni e stivali, durante le passeggiate, riduce notevolmente il rischio del morso. ATTENZIONE! Le vipere, animali ovovivipari, partoriscono sui rami degli alberi, bisogna fare particolarmente attenzione all’eventualità di incontrare una vipera su un ramo perché in tal caso si rischia che il morso avvenga in un punto molto delicato e critico come per esempio il collo o il capo.


62. OCCLUSIONE INTESTINALE Cos’è. L’occlusione intestinale è causata da un’ostruzione per cause meccaniche o funzionali del passaggio delle feci. Sintomi. Il blocco di norma avviene in modo progressivo, comincia con alcuni giorni di stitichezza, si accentua e, se le cause non vengono eliminate, produce un notevole gonfiore dell’addome sino alla manifestazione di vomito, inizialmente alimentare, poi sempre più verdastro e amaro, sino ad assumere nei casi più gravi un odore e un aspetto fecale. Altri sintomi che possono aiutare l’identificazione di un’occlusione intestinale sono la lingua asciutta e ricoperta di una patina giallastra o scura, una sete persistente, una diminuzione della quantità delle urine, uno stato confusionale. Intervento. Bisogna chiamare un medico e agire in modo tempestivo. L’infortunato va tenuto a letto, a riposo, favorendo il rilassamento dei muscoli addominali. È necessario il digiuno ed è bene limitare anche l’ingestione dei liquidi. Evitare la somministrazione di purganti e lassativi, non somministrare analgesici che alterano il quadro clinico e, se si manifesta il vomito fecaloide, ricoverare immediatamente in ospedale. Gravità. La fase acuta di questa malattia è una patologia intestinale molto grave.


63. OTORRAGIA Cos’è. L’otorragia è un’emorragia esteriorizzata (→) che consiste nella fuoriuscita di sangue dall’orecchio in seguito a traumi cranici o dell’orecchio stesso. Intervento. Se non ci sono sospetti di traumi alla colonna vertebrale o altre complicazioni, è consigliabile porre l’infortunato in posizione di sicurezza (→ Parte quarta) e chiamare urgentemente i soccorsi. Non bisogna tentare di arginare il sangue: è bene che defluisca. Gravità. Bisogna chiamare i soccorsi o ospedalizzare con tempestività.


64. PALPITAZIONI Cos’è. Il disturbo di avvertire le palpitazioni, detto anche cardiopalmo, consiste nel percepire in modo forte e accelerato le pulsazioni del proprio battito cardiaco. Raramente questo fenomeno è collegato a una reale cardiopatia. Le motivazioni sono molteplici, spesso riconducibili a cause nervose, emotive, psicologiche o accidentali, altre volte a manifestazioni riflesse di disturbi gastrici, uterini, epatici e altri. Sintomi. Il soggetto, all’improvviso, avverte in modo intenso il battito del proprio cuore. A volte questo fenomeno è collegato a uno spavento, a uno sforzo fisico o a cause emotive, ma può manifestarsi anche in modo improvviso e imprevedibile. Intervento. In questi casi, invece di prendere farmaci, è bene consultare un medico. Non bisogna farsi prendere dallo spavento, non si è in presenza di un attacco cardiaco. È bene cercare di tranquillizzare l’infortunato e farlo distendere. Per prevenire questo disturbo, per chi ne soffre, è buona norma cercare di condurre una vita regolare, evitare le cause di tensione, gli affaticamenti, l’eccesso di caffè e di sigarette. Gravità. Le palpitazioni difficilmente sono collegate a disturbi cardiaci, più frequentemente sono riconducibili a cause nervose e psichiche. Durante queste manifestazioni quindi, non si corrono pericoli di vita che richiedono interventi d’urgenza. Ma poiché solo un medico può fare delle diagnosi, se permane il dubbio che invece di palpitazioni si possa trattare di un attacco cardiaco meglio procedere per eccesso e chiamare i soccorsi.


65. PARTO Cos’è. Il parto è il momento in cui una donna dà alla luce il figlio. Talvolta è preceduto dalla rottura delle acque e da un periodo più o meno lungo di doglie e di travaglio.

Figura 65.1 – La normale posizione del feto prima del parto

Sintomi. Il parto è solitamente preceduto dalle doglie, contrazioni sempre più dolorose e frequenti. Durante questo periodo avviene una progressiva dilatazione delle pareti dell’utero e della vagina finché il nascituro viene espulso. Il feto è racchiuso in una sacca, detta borsa delle acque, che contiene il liquido amniotico. Talvolta si ha la rottura della sacca e le acque defluiscono attraverso la vagina, il che non implica sempre che stia nascendo il bambino. Intervento. Quando sopraggiungono le doglie è necessario trasportare la partoriente in ospedale, di solito c’è tutto il tempo e la donna è preparata all’evenienza. Nel caso il bambino stia per nascere prima dell’ospedalizzazione è meglio chiamare i soccorsi e, nell’attesa, bisogna innanzitutto tranquillizzare la madre e stenderla distesa sulla schiena, con le gambe divaricate e le ginocchia piegate. È importante vincere ogni imbarazzo e togliere (o far togliere) gli indumenti intimi, per evitare di non accorgersi che il bambino stia nascendo o peggio ancora che gli indumenti ne ostruiscano l’uscita.

Figura 65.2 – La testa del feto che si appresta a uscire

Poiché il parto comporta grandi dispersioni di liquidi, è consigliabile porre sotto le natiche della


partoriente dei panni possibilmente puliti. Quando avviene la spinta espulsiva la donna deve ispirare profondamente e, trattenendo il respiro, spingere contraendo gli addominali. Quando il bambino compare bisogna invitarla a respirare profondamente. Il soccorritore non deve cercare di estrarre il feto, né comprimere l’addome della madre, limitandosi a sorreggere il capo e poi il corpo del nascituro.

Figura 65.3 – Come sorreggere il capo e il corpo del nascituro

Durante il parto bisogna prestare attenzione sia alla madre sia al figlio. È bene fare attenzione che il cordone ombelicale non si attorcigli intorno al collo del bambino col rischio di soffocarlo. Una volta nato, il piccolo va coricato tra le cosce della madre e, se la bocca è ostruita, va pulita delicatamente con una garza. Se il bambino non respira si può battere delicatamente con le mani sui piedini: questa manovra, per riflesso, stimola la respirazione. Se ciò non dovesse bastare bisogna procedere alla respirazione bocca a bocca-naso (→ “Respirazione artificiale”, Parte quarta). Se entro 10/15 minuti i soccorsi non intervengono è necessario tagliare il cordone ombelicale, operazione che legalmente spetterebbe soltanto al medico. Per farlo è bene effettuare due legature con del filo molto resistente, a circa 20 centimetri dall’ombelico del neonato, e poi tagliare tra le due legature con delle forbici. ATTENZIONE! Non compiere mai trazioni sul cordone ombelicale.


Figura 65.4 – Come tagliare il cordone ombelicale in caso di emergenza

La madre, dopo il parto va sorvegliata per evitare che entri in stato shock. Inoltre, di solito nel giro di mezz’ora, rilascia la placenta, che va conservata per le successive analisi del medico. ATTENZIONE! È possibile imbattersi anche in un parto gemellare. In questi casi la madre lo segnalerà. Il soccorritore non deve lasciarsi prendere alla sprovvista, è sufficiente che ripeta tutte le operazioni di intervento anche per il secondo figlio.


66. PERDITA DI COSCIENZA Cos’è. Una perdita di coscienza è la perdita della nozione della propria esistenza e degli oggetti esterni. Sintomi. L’infortunato non parla, non sente, non risponde. A volte reagisce a stimoli dolorosi, per esempio pizzicotti in zone particolarmente sensibili come il capezzolo o il collo. Ci sono vari livelli di perdita di coscienza: la lipotimia (→), il coma (→) e la sincope (→). ATTENZIONE! In queste condizioni il polso e la respirazione possono essere presenti, ma possono anche essersi arrestati. Dunque vanno sempre tenuti sotto controllo. Intervento. Davanti alla perdita di coscienza bisogna immediatamente controllare le funzioni vitali (→ Parte quarta) e intervenire di conseguenza ponendo l’infortunato in posizione antishock (→ Parte quarta). ATTENZIONE! Non porre l’infortunato in posizione antishock nel caso di una sospetta congestione cerebrale (→), in caso di ictus (→) o di sospetta lesione della colonna vertebrale (per esempio in caso di un grave incidente stradale o di una caduta da una certa altezza). Nel caso di una lipotimia la posizione antishock è sufficiente a far rinvenire dal malore il soggetto che si dovrà successivamente sottoporre a una visita medica. Se ciò non avviene immediatamente, e comunque in tutti gli altri casi, bisogna tempestivamente chiamare i soccorsi. Se si verifica un arresto respiratorio o un arresto cardiaco bisogna procedere senza perdere tempo con la respirazione artificiale (→ Parte quarta) ed eventualmente con il massaggio cardiaco (→ Parte quarta). ATTENZIONE! In caso di malori o svenimenti, non essendo spesso possibile una diagnosi sul luogo, è bene sempre comportarsi con la massima allerta e chiamare urgentemente i soccorsi. Gravità. La perdita di coscienza può essere una momentanea lipotimia, o svenimento, ma il più delle volte si verifica per infortuni molto gravi e richiede un soccorso urgente per condurre il malcapitato all’ospedale.


67. PERITONITE Cos’è. La peritonite è l’infiammazione acuta del peritoneo, la membrana che avvolge gli organi dell’addome. L’infiammazione, di origine batterica, è spesso associata alla formazione di pus. Questa grave infezione è spesso causata dalla degenerazione di un’appendicite (→): se l’appendice si perfora, l’infezione passa nella cavità addominale e si propaga al peritoneo. Sintomi. L’infortunato avverte un forte dolore addominale, inizialmente localizzato e poi sempre più esteso. Ogni minimo movimento accresce il dolore. Alla palpazione la parete dell’addome contrappone una tenace resistenza e la contrazione, col tempo, si fa sempre più forte ed estesa: si ha il “ventre di legno”. Sono presenti poi anche altri disturbi come iperpiressia (febbre), nausea e vomito. Intervento. Davanti a questi sintomi bisogna chiamare i soccorsi e condurre l’infortunato in ospedale. È necessario un rapido intervento chirurgico per eliminare il focolaio e richiudere il punto perforato. In attesa dei soccorsi, mantenere il paziente sdraiato a letto, con i muscoli addominali il più possibile rilassati. Non assumere purganti o lassativi né analgesici che altererebbero il quadro clinico alla visita del medico. Gravità. La peritonite è una patologia molto grave che richiede un intervento chirurgico urgente, nel giro di poche ore, altrimenti può avere un esito mortale.


68. PUNTURE E MORSI DI INSETTI E ALTRI ANIMALI Cos’è. In Italia praticamente non esistono insetti o ragni velenosi al punto di provocare la morte. Le punture sono perciò considerate pericolose solo quando l’infortunato sia allergico alle sostanze iniettate, quando il numero delle punture è elevato, quando la puntura avviene sul viso, in gola, sulla lingua, in un occhio o sui genitali. Tra gli altri animali che possono provocare analoghi inconvenienti si possono ricordare alcuni pesci dotati di spine velenose, come lo scorfano o il pesce ragno (tracina), e le meduse i cui tentacoli rilasciano una sostanza urticante. Diverso è il caso se ci troviamo all’estero, in luoghi dove sono presenti insetti, ragni o scorpioni che possono avere veleni anche mortali. In questi casi è necessario chiamare i soccorsi con estrema urgenza. Sintomi. Dolore pungente, prurito, gonfiore, arrossamento della zona colpita. Intervento. Innanzitutto, se il pungiglione di un insetto è rimasto conficcato nella carne, bisogna estrarlo con l’ausilio di un ago o di una pinzetta opportunamente disinfettati. Nel caso delle api, i cui pungiglioni sono uncinati, questa operazione è però inutile. In generale è consigliabile lavare la parte con acqua e sapone e disinfettare. La consuetudine popolare di toccare il luogo della puntura con un batuffolo di cotone imbevuto di ammoniaca pura o diluita con acqua (c’è persino chi consiglia di usare l’urina che contiene ammoniaca) ha i suoi fondamenti, ma non è consigliabile. Meglio rivolgersi al medico e applicare pomate antistaminiche e prodotti specifici che danno sollievo e poi fasciare. Si possono anche fare degli impacchi di ghiaccio. Analoghi interventi sono consigliabili anche nel caso di punture di ragni e scorpioni. Per scorfani, pesci ragno o contatto con meduse (in questo ultimo caso mai strofinare la parte interessata) di solito il veleno è termolabile e un’immersione in acqua calda (senza esagerare) può attenuare il bruciore. ATTENZIONE! Se la puntura interessa la lingua, il palato o la gola il gonfiore può ostruire le vie respiratorie. È perciò necessario recarsi velocemente in ospedale e porre sulla base della lingua il manico di un cucchiaino o un bastoncino di legno per agevolare la respirazione. Gravità. Nel caso che le parti colpite siano molto delicate, per esempio l’occhio o i genitali è bene recarsi in un pronto soccorso o consultare un medico. Analogamente, se la zona colpita è la lingua o la gola si corre il rischio che il gonfiore possa impedire la respirazione ed è bene recarsi immediatamente in ospedale. La stessa urgenza si presenta nel caso l’infortunato sia allergico alle sostanze iniettate.


69. RABBIA (IDROFOBIA) Cos’è. Nota anche come idrofobia, la rabbia è una malattia contagiosa trasmissibile dall’animale all’uomo e viceversa. Solitamente il contagio avviene attraverso il morso di animali come cani, linci, puzzole, mustelidi o gatti selvatici. Il virus è presente nella saliva e viene trasmesso attraverso il contatto con il sangue. Ma anche le mucose – per esempio gli occhi o la bocca – possono costituire un ingresso del virus. Il periodo di incubazione – cioè il periodo intercorso tra il contagio e la manifestazione dei sintomi – è molto variabile nell’uomo: mediamente è di circa 1/3 mesi, ma può durare dagli 8 giorni a un anno. Sintomi. Formicolii, prurito e dolore nella zona della ferita, iperpiressia (febbre) e anoressia (mancanza di appetito). Successivamente segue un periodo di eccitazione, con spasmi e contrazioni, forte cefalea, dolori alla gola così forti da far venire il terrore della deglutizione di cibo e bevande: da qui il termine idrofobia, che significa paura dell’acqua. Intervento. Nel caso di un morso di un animale è necessario pulire molto bene la ferita in profondità con acqua e sapone, acqua ossigenata o disinfettanti e recarsi al pronto soccorso tempestivamente per la vaccinazione, se l’animale è a rischio. È molto importante catturare, possibilmente vivo, l’animale selvatico che ha morso l’infortunato in modo che possa essere tenuto in osservazione. Il che è facile a dirsi ma meno a farsi, ovviamente. Nel caso di cani domestici è invece importante prendere le generalità del padrone in modo che sia rintracciabile e che sia facilmente individuabile se il suo animale è stato vaccinato. Prevenzione: per le professioni a rischio, veterinari, agricoltori e chi è soggetto a essere morso da animali potenzialmente portatori del virus, è consigliabile la vaccinazione preventiva. Gravità. Se non si effettua il vaccino in modo tempestivo l’esito della malattia risulta quasi sempre mortale.


70. SHOCK Cos’è. Lo shock è una sindrome dovuta a una diminuzione dell’afflusso di sangue nei tessuti. È una conseguenza della caduta della pressione arteriosa e si verifica in seguito a numerosi fattori: quando si presenta un’emorragia con conseguente diminuzione del volume del sangue; quando si ha una dilatazione dei vasi (vasodilatazione) e di conseguenza calano la pressione e l’irrorazione sanguigna; quando avviene una diminuzione della gittata cardiaca. Può essere anche causato da una grave reazione allergica (shock anafilattico). ATTENZIONE! Contrariamente al significato del linguaggio comune, in medicina lo shock non è la semplice conseguenza di un’emozione improvvisa o di uno spavento, è una sindrome molto grave che può portare alla morte se non viene fermata. Sintomi. L’infortunato è in uno stato di prostrazione da insufficienza cardiocircolatoria acuta, spesso è in uno stato di confusione mentale, afasia (mancanza di parola), ha freddo, è pallido, può andare incontro a una perdita di coscienza. Intervento. Davanti a uno shock è innanzitutto importante individuare ed eliminare la causa: per esempio bloccare un’emorragia, immobilizzare una frattura e tranquillizzare l’infortunato. Naturalmente bisogna chiamare i soccorsi. È poi fondamentale agevolare la circolazione sanguigna slacciando gli indumenti che costringono, evitare la dispersione del calore mantenendo l’infortunato coperto, porlo in posizione antishock (→ Parte quarta): con le gambe alzate rispetto al corpo in modo che il sangue affluisca verso la testa. È sempre fondamentale, in questi casi, sorvegliare attentamente le funzioni vitali. ATTENZIONE! Non somministrare mai alcolici: l’alcol è un vasodilatatore che peggiora la situazione. Gravità. Lo shock, una volta instaurato, evolve irreversibilmente verso il coma e porta alla morte. È bene perciò prevenirlo e bloccarlo immediatamente ponendo l’infortunato in posizione antishock in attesa dei soccorsi qualificati.


71. SINCOPE Cos’è. È l’improvvisa e totale perdita di coscienza con arresto del respiro e del cuore. Le cause possono essere molteplici: infarto, gravi traumi, ma anche malattie polmonari o nervose. Sintomi. L’infortunato è completamente privo di coscienza, la respirazione e il battito cardiaco si sono arrestati, l’aspetto è pallido, la pelle è sudaticcia e fredda. Le pupille sono di solito dilatate e non reagiscono alla luce. Intervento. Constatata l’assenza del respiro e del battito cardiaco è necessario procedere immediatamente alla respirazione artificiale e al massaggio cardiaco (→ Parte quarta), in attesa dei soccorsi. Gravità. La gravità è massima. Dopo pochi minuti dall’avvenuto arresto cardiorespiratorio ha inizio la morte cerebrale che produce danni irreversibili e una rapida morte dell’individuo.


72. SINDROME DA SCHIACCIAMENTO Cos’è. La sindrome da schiacciamento insorge quando l’infortunato rimane a lungo schiacciato sotto pesi o macerie con lesione di tessuti. Sintomi. L’infortunato avrà delle lesioni gravi ai tessuti e alle ossa. Ma una volta liberato dai pesi che lo schiacciano rischia un’emorragia, uno stato di shock molto grave e una diminuzione (o un blocco) delle urine o un’insufficienza renale che può essere mortale. I muscoli lesionati, infatti, liberano una sostanza detta mioglobina che, entrando in circolo, è responsabile del blocco renale. L’urea che non viene più eliminata si accumula nel sangue e porta alla morte. Intervento. In attesa dei soccorsi, prima di estrarre l’infortunato dalle macerie o dai pesi che lo bloccano e costringono, bisogna apporre un laccio emostatico (→ “Blocco delle emorragie massive”, Parte quarta) a monte della parte schiacciata per prevenire l’imponente emorragia che ne consegue e per arginare l’entrata in circolo della mioglobina. L’infortunato va poi posto in posizione antishock (→ Parte quarta). Se è cosciente è consigliabile fargli bere bicarbonato di sodio (4 cucchiaini circa in un litro d’acqua) per diminuire l’acidità che fa precipitare la mioglobina. Gravità. In caso di schiacciamento è necessario chiamare immediatamente il soccorso qualificato. Oltre al rischio di una sindrome da schiacciamento, infatti, l’infortunato è di solito in condizioni fisiche e psichiche gravi e presenta fratture, lesioni ed emorragie che richiedono un urgente ricovero.


73. SOFFOCAMENTO Cos’è. Il soffocamento per cause meccaniche, per esempio per l’ostruzione delle vie respiratorie dovuta al cibo andato “di traverso”, porta all’asfissia. Bisogna immediatamente rimuovere ciò che impedisce la respirazione attraverso delle apposite manovre (→ asfissia e → “Individuare respirazione e polso”, Parte quarta). Sintomi. L’infortunato in un primo momento comincia a tossire, non respira o rantola ed è agitato. Non riesce a parlare. Se non risolve il problema diventa cianotico e rischia l’asfissia e l’arresto respiratorio. Intervento. Cercare di afferrare con le mani ed estrarre il corpo estraneo può essere utile, ma non sempre l’oggetto è estraibile in questo modo. Inoltre si corre il rischio di spingerlo ancora più all’interno. Dare dei colpi sul torace o sulla schiena può essere una valida manovra, ma non sempre è sufficiente. Più utile è la tecnica di far contemporaneamente chinare in avanti l’infortunato, magari appoggiandolo allo schienale di una sedia che faccia da sostegno, per sfruttare anche la forza di gravità. Nel caso di un bambino si può addirittura afferrarlo per i piedi a testa in giù e dargli dei colpetti sulla schiena. In alternativa, la manovra più efficace è quella di Heimlich.

Figura 73.1 – A sinistra la tecnica di dare colpetti sulla schiena facendo chinare in avanti l’infortunato, al centro e a destra due modi di attuare la manovra su un bambino

MANOVRA DI HEIMLICH Il soccorritore si pone alle spalle dell’infortunato e lo cinge ponendo il pugno chiuso alla bocca dello stomaco, tra lo sterno e l’ombelico. A questo punto preme in modo rapido, forte e ripetuto il pugno verso la testa dell’infortunato facendo contemporaneamente anche pressione sull’addome. La manovra deve essere energica e violenta, se è il caso, e può essere ripetuta più volte fino a che non provoca il vomito e l’espulsione dell’oggetto che ostruisce la respirazione. Se l’infortunato è incosciente la manovra di Heimlich si può effettuare ponendolo in posizione supina (sdraiata a pancia in su) e comprimendo (come sopra) con le mani aperte o sovrapposte a pugno nella zona addominale tra ombelico e sterno esercitando


una serie di pressioni ritmiche. ATTENZIONE! L’esito della manovra porta a un conato di vomito. Il soccorritore deve quindi cercare di cautelarsi. Inoltre, nel caso di infortunati obesi o di donne incinte, la manovra può essere rispettivamente inefficace o pericolosa.

Figura 73.2 – La manovra di Heimlich su paziente cosciente

Una volta rimosse le cause dell’ostruzione l’infortunato ricomincerà a respirare e va assistito. È utile mantenerlo in posizione semiseduta per agevolare la respirazione, tranquillizzarlo e non farlo parlare fino a che non si è ripreso. Se era incosciente, oltre a chiamare i soccorsi, è necessario verificare il ripristino della respirazione e tenere sotto controllo le funzioni vitali, intervenendo come prevedono i protocolli nel caso di problemi (→ Parte quarta). Gravità. Il nostro corpo non è in grado di resistere a lungo senza respirare. In caso di arresto respiratorio ci sono solo pochi minuti prima che sopraggiunga quello cardiaco e, successivamente, la morte cerebrale. È perciò importante agire con la massima tempestività e chiamare i soccorsi se non si riesce a intervenire efficacemente.


74. TETANO Cos’è. Il tetano è una malattia provocata da un microbo (Clostridium Tetani) che vive in ambiente anaerobico, cioè povero di ossigeno. Nelle ferite profonde, soprattutto se provocate da oggetti arrugginiti o sporchi, questo microrganismo trova un terreno fertile per la riproduzione. Sintomi. L’incubazione della malattia è silenziosa e può durare da una settimana a 6 mesi. I sintomi iniziali dell’infezione sono: temperatura elevata (iperpiressia), sudorazione e rigidità del collo. Successivamente sopravvengono spasmi nei muscoli della faccia, inarcamento della colonna vertebrale difficoltà di respirazione. L’infezione, difficilmente curabile, porta alla morte per paralisi dei muscoli respiratori. Intervento. In caso di ferite profonde, soprattutto se provocate da oggetti sporchi, terrosi o arrugginiti, è importante la prevenzione dell’infezione attraverso il vaccino o il siero che va inoculato nell’organismo entro le 24 ore dal ferimento. Gravità. La malattia è molto grave e difficilmente curabile se non viene bloccata mediante il vaccino o il siero. Ma quando ci si reca in ospedale, nel caso di ferite importanti si è sempre sottoposti alla profilassi della vaccinazione antitetanica.


75. TRAUMA CRANICO Cos’è. Con trauma cranico si intende una qualsiasi lesione al cranio o al cervello dovuta a un evento traumatico. Sintomi. I sintomi e le conseguenze dipendono dalla gravità del trauma. La commozione cerebrale si manifesta generalmente con una momentanea perdita di conoscenza ed è di solito transitoria e reversibile. Anche se non comporta danni permanenti, nei casi più gravi può portare a uno stato di coma. Quando si verifica invece una distruzione dei tessuti cerebrali sottostanti si ha una contusione cerebrale che è irreversibile e comporta dei danni permanenti. Un trauma cranico può anche causare la rottura di un vaso sanguigno. Il sangue, in tal caso, fuoriesce e si raccoglie tra le ossa craniche comprimendo il cervello. La formazione dell’ematoma può essere anche non immediata e verificarsi alcune ore o anche alcuni giorni dopo il trauma. Talvolta l’infortunato riprende coscienza per un breve periodo, poi avverte mal di testa, vomita e può avere convulsioni ed entrare in coma. ATTENZIONE! In seguito a un trauma cranico o a un’emorragia cerebrale, spesso il vomito si manifesta con conati improvvisi non preceduti da nausea. In presenza di una lesione al cervello, permanente o reversibile, l’infortunato presenta sempre anisocoria, cioè asimmetria dei diametri pupillari (→ “Gli occhi”, Parte seconda). In altre parole, osservando le pupille, una sarà dilatata (stato di midriasi) e l’altra ristretta (stato di miosi).

Figura 75.1 – L’asimmetria delle pupille (anisocoria) indica una lesione del cervello temporanea o permanente

La frattura del cranio può portare a emorragie da orecchio o naso (→ otorragia e → emorragie). Intervento. Per prima cosa, quando l’infortunato ha battuto il cranio, è necessario compiere un’indagine sull’accaduto per vedere se il paziente presenta amnesie, difficoltà nel parlare (afasia) o confusione mentale. Controllare sempre se c’è asimmetria pupillare, segno evidente di un danno al cervello. Evitare sempre che il paziente si addormenti, nonostante possa presentare una forte sonnolenza, in queste


circostanze, infatti, il sonno può degenerare in coma. ATTENZIONE! Davanti a un trauma cranico, anche se sembra lieve, è necessario comportarsi sempre come se l’infortunato – anche se appare normale – abbia avuto delle lesioni e portarlo in ospedale per controlli e accertamenti. In attesa della visita è consigliabile apporre sulla parte traumatizzata una borsa di ghiaccio, per indurre una vasocostrizione. In caso di emorragie da orecchio o naso, è bene porre l’infortunato in posizione di sicurezza (→ Parte quarta) per far defluire il sangue che non deve rimanere all’interno. ATTENZIONE! Fare attenzione che l’infortunato non presenti fratture o lesioni alla colonna vertebrale, davanti a questo sospetto la posizione di sicurezza potrebbe nuocere. In caso di fratture esposte e di fuoriuscita di materiale cerebrale è necessario coprire la parte con un telo sterile: il rischio di infezioni è elevato. Se il paziente non è cosciente, in attesa dei soccorsi, controllare costantemente la presenza delle funzioni vitali. Gravità. Un trauma cranico, anche se appare lieve, richiede sempre accertamenti e controlli in ospedale. Anche quando l’infortunato appare normale è bene condurlo al pronto soccorso, le complicazioni possono a volte sorgere anche dopo alcune ore e persino giorni. Se il trauma è forte e il paziente ha perso coscienza, presenta amnesie, afasia o confusione mentale, è bene chiamare i soccorsi.


76. USTIONI Cos’è. Un’ustione è una lesione della cute e dei tessuti provocata dal calore. Può essere causata da un contatto diretto col fuoco, con liquidi bollenti, con sostanze chimiche ma anche da un’eccessiva esposizione al sole o da una folgorazione. Sintomi. A seconda della gravità, della profondità e dell’estensione, l’ustione viene classificata di 1°, 2° o 3° grado. La sua estensione è molto importante per determinarne la gravità. Se supera il 50% della superficie corporea, le possibilità di sopravvivenza sono deboli. Per il 30/40% le condizioni sono gravissime mentre, intorno al 20%, anche se la situazione è grave, non ci sono di solito rischi di vita. L’ustionato per contatto con fuoco, liquidi bollenti o sostanze chimiche, soprattutto se l’estensione è notevole, presenta dei dolori e dei bruciori violentissimi, spesso viene trovato urlante e incapace di esprimere quanto gli è successo. Le parti ustionate si possono presentare fortemente arrossate, con evidente lacerazione dei tessuti e della cute; talvolta possono anche essere carbonizzate. Intervento. Davanti a un’ustione bisogna per prima cosa interrompere tempestivamente l’azione lesiva: spegnere l’ustione con acqua fredda sulla parte e sulle zone limitrofe. Se la fonte di calore è ancora attiva al momento del soccorso è bene eliminare gli abiti, ma non quelli a contatto con l’ustione: si rischia di staccare insieme agli abiti anche l’epidermide e aggravare la situazione. Bisogna sempre cercare di operare in ambiente il più possibile sterile: le ustioni sono molto soggette alle infezioni. Bisogna perciò cercare di coprire la parte ustionata con appositi teli sterili. Se l’ustione è grave, profonda o estesa (2° e 3° grado), bisogna chiamare i soccorsi ed è bene porre l’infortunato in posizione antishock. Per le ustioni di 1° e 2° grado è consigliabile lavare immediatamente la parte con acqua fredda o applicare ghiaccio (mai a contatto con la cute): agendo tempestivamente si possono evitare le successive formazioni di bolle. Se queste si manifestano non vanno mai bucate, a contatto con l’aria la parte lesa rischia di infettarsi. Il liquido presente nelle bolle, se non si bucano, si riassorbe in pochi giorni. Nel caso le bolle si buchino spontaneamente bisogna disinfettarle accuratamente e ricoprirle con apposite garze sterili. Per le ustioni di 1° grado di piccola entità è sufficiente lavare la parte lesa con acqua fredda e utilizzare appositi unguenti curativi facendo attenzione alle infezioni. ATTENZIONE! Nel caso di ustioni da sostanze chimiche e caustiche, è molto importante il lavaggio per eliminare le cause, ma è anche importante che il soccorritore faccia attenzione a non esporsi alle medesime sostanze, proteggendosi con guanti adatti. Gravità. La gravità di un’ustione dipende dalla superficie corporea che interessa, ma anche dalla profondità. Un’ustione superficiale ma molto estesa può essere pericolosa. Altrettanto pericolosa può essere un’ustione poco estesa ma molto profonda. Anche un’ustione da eccessiva esposizione al sole che è estesa su gran parte del corpo, dunque, può essere gravissima e da ospedalizzare.


77. VOMITO Cos’è. Il vomito è l’espulsione attraverso la bocca del materiale presente nello stomaco e nel duodeno. Di solito è preceduto da nausea, eruttazioni e aumento della salivazione. È un sintomo di svariati malesseri e patologie, bisogna perciò comprendere da che cosa è provocato. Può essere causato da un lieve e banale disturbo digestivo, ma può essere anche un sintomo di avvelenamento per l’ingestione di cibi indigesti, alterati o sostanze velenose che suscitano reazioni di intolleranza nel nostro organismo. È anche un sintomo di varie malattie virali e non. Sintomi. In caso di disturbi digestivi il vomito si manifesta solitamente insieme a sonnolenza, gonfiore del ventre, aerofagia, bruciore di stomaco, crampi addominali, mal di testa o diarrea. In caso di ingestione di cibi alterati o sostanze velenose, i sintomi possono manifestarsi nel momento della masticazione ma anche 12 o 24 ore dopo l’ingestione. In seguito a un trauma cranico (→) o a un’emorragia cerebrale (→), spesso il vomito si manifesta con conati improvvisi non preceduti da nausea. Intervento. Nel caso di lievi disturbi digestivi, ci si può lasciar guidare dal buon senso, evitando di assumere cibi, rimanendo a riposo, al caldo, aiutandosi con appositi farmaci. Nel caso di vomito prolungato o incoercibile, soprattutto se è accompagnato da addominalgie e dolori è invece necessario consultare il medico. Se c’è il sospetto di un’intossicazione alimentare grave o di un avvelenamento – da funghi, da alcol, da sostanze tossiche – è necessario recarsi in ospedale con sollecitudine. ATTENZIONE! Se l’infortunato non è cosciente, il vomito può ostruire le vie aeree e portare al soffocamento. Questo pericolo si può evitare ponendo il soggetto in posizione laterale di sicurezza (→ Parte quarta). Gravità. Dipende dalle cause. È minima nel caso di lievi disturbi digestivi, è massima nel caso di gravi intossicazioni alimentari o di avvelenamenti.


PARTE QUARTA LE TECNICHE DI PRIMO SOCCORSO

Le tecniche di pronto soccorso di seguito riportate sono state raccolte separatamente, rispetto agli interventi descritti nella Parte terza, in quanto la conoscenza teorica non è sufficiente: per attuarle bisogna prima aver fatto delle esercitazioni pratiche, altrimenti possono essere pericolose, come specificato nelle “Avvertenze” della Parte prima. Mentre la manovra di Heimlich (→ “Soffocamento”, Parte terza), per fare un esempio chiarificatore, non ha particolari controindicazioni se mal eseguita (a meno che non sia praticata su una donna in gravidanza) e al massimo risulta non efficacie o superflua, la posizione antishock (→), se effettuata in pazienti con una congestione cerebrale o su infortunati con una lesione alla colonna vertebrale è pericolosa. Analogamente, manovre come il massaggio cardiaco, senza avere frequentato e superato dei corsi che prevedono delle esercitazioni sui manichini, sono sconsigliabili da attuare. Inoltre, senza le apparecchiature medicali in dotazione dei soccorritori – come il pallone “ambu” e le cannule faringee per la respirazione artificiale o le steccobende, i collari, i barellini “a cucchiaio” e i materassini a depressione per l’immobilizzazione delle fratture –, è molto difficile intervenire, anche per chi è competente. Non bisogna dimenticarlo, né sottovalutarlo. Il senso di questa parte è perciò quello di fornire tutte le conoscenze teoriche necessarie, perché la cultura del primo soccorso è sempre qualcosa di utile, ma con la raccomandazione di non metterle in pratica se non si è degli esperti. Come abbiamo già premesso sarebbe un po’ come voler imparare a guidare un’automobile semplicemente leggendo un manuale che spiega come farlo. Meglio evitare. La cosa migliore è sempre quella di chiamare il 118 ed eventualmente farsi guidare dagli operatori, prima di compiere qualunque azione. Un’ultima avvertenza. Le manovre qui descritte si basano sulle ultime linee guida dell’ERC (European resuscitation Council) del 2010 che a loro volta hanno apportato delle modifiche ai protocolli del 2005. Queste regole vengono infatti rilasciate, con degli aggiornamenti, ogni cinque anni. Il che significa che un tempo non erano esattamente così – per la rianimazione cardiopolmonare (RCP) i tempi di compressione/insufflazione erano diversi una decina di anni fa –, ma soprattutto è possibile che in futuro siano ulteriormente cambiate. La scienza del primo soccorso è infatti in continua evoluzione e i protocolli sono costantemente monitorati su basi statistiche per migliorarli. Inoltre, come abbiamo già accennato, i corsi di primo soccorso per la popolazione prevedono dei


protocolli diversi da quelli per i soccorritori di un’ambulanza che operano con apposite strumentazioni e con una formazione più accurata. Per tutti questi motivi è possibile che altri manuali meno recenti oppure orientati alla formazione professionale, contengano delle differenti prescrizioni. Quello che rimane valido è invece il procedimento teorico che sta dietro le manovre descritte e che è bene interiorizzare. Per la pratica e gli approfondimenti, il consiglio è di seguire i corsi organizzati dal 118 o dalle strutture preposte (informatevi a seconda della zona in cui abitate) e soprattutto di rimanere sempre aggiornati. Sul sito dell’ERC (www.erc.edu) sono disponibili in lingua inglese informazioni dettagliate.


78. DISINFEZIONE E MEDICAZIONE Nel caso di ferite imponenti, il soccorritore non si deve preoccupare troppo della loro disinfezione, quanto di tamponare l’emorragia. L’infortunato va infatti trasportato urgentemente in ospedale dove sarà poi medicato e disinfettato in modo professionale. ATTENZIONE! Nel caso di ustioni o di fratture esposte, è invece assolutamente importante cercare di mantenere il più alto grado possibile di sterilità per evitare complicazioni. In questi frangenti il rischio di infezioni è alto e pericoloso. Nel caso invece di piccole ferite, abrasioni o escoriazioni, prima della medicazione bisogna procedere alla disinfezione. DISINFEZIONE Per prima cosa si deve lavare la ferita sotto un getto di acqua e con sapone. In questa fase è bene rimuovere eventuali oggetti estranei, come schegge o terriccio. Successivamente bisogna disinfettare la ferita con acqua ossigenata. Va evitato invece l’uso di alcol o della tintura di iodio: sono sostanze nocive se applicate direttamente sulle ferite, in parole povere, oltre a eliminare i batteri eliminano anche gli anticorpi e sono dannose per le cellule del corpo. L’alcol è invece indicato per disinfettare una zona del corpo prima di un intervento, oppure per disinfettare gli strumenti da utilizzare nella medicazione, come pinzette, forbicine, aghi e simili. MEDICAZIONE Ricoprire la ferita con garze sterili. Al di sopra di queste, ma non a diretto contatto con la ferita, si può porre del cotone idrofilo con funzione di tampone. Il cotone idrofilo rilascia infatti numerosi filamenti che restano appiccicati alla ferita ed è perciò consigliabile evitare il contatto diretto. La medicazione, infine, può essere fissata mediante bende o cerotti. Il cerotto non deve mai essere applicato sopra la ferita, che deve “respirare”, ma sempre di lato, per fissare la garza. Le medicazioni devono sempre avere un’estensione maggiore della ferita, che deve essere interamente ricoperta.

Figura 78.1 – Nelle medicazioni i cerotti non vanno mai applicati sopra la ferita, ma sempre di lato


79. BENDAGGI E FASCIATURE I bendaggi e le fasciature consistono nell’avvolgere una parte del corpo con tessuti e garze allo scopo di proteggere le ferite dalle infezioni, di assorbire le secrezioni, di tamponare le emorragie o di bloccare lussazioni (→ Parte terza), distorsioni (→ Parte terza) e fratture (→ Parte terza). Le fasciature sono i bendaggi eseguiti con fasce di varia larghezza a seconda della zona del corpo interessata. Fasciatura degli arti. Per fasciare una parte di un arto si impiega la fasciatura a spirale. Dopo aver fatto un paio di giri di benda, si continua ad avvolgere la parte scalando, a ogni giro, circa 1/3 della larghezza della benda, procedendo dall’alto verso il basso. Al termine, si compiono altri due giri e si fissa il tutto con un cerotto o con una spilla da balia. Le fasciature non devono essere troppo strette, ostacolerebbero la circolazione, ma nemmeno troppo larghe perché perdono la loro efficacia.

Figura 79.1 – Fasciatura di un segmento di un arto

Se la fasciatura comprende un’articolazione, per esempio gomito o ginocchio, a seconda dei casi si può continuare a scalare per immobilizzare la parte oppure, arrivati nell’incavo dell’articolazione, si può avvitare la garza su se stessa per permettere la mobilità dell’articolazione. Nella fasciatura di una mano, si parte dal polso, si scende a coprire il palmo e le dita, in modo obliquo, lasciando libero il pollice, e si risale nuovamente verso il polso dove si fissa. Anche per la caviglia si procede nello stesso modo. Questo tipo di fasciatura è adatta anche per il torace e l’addome. Bendaggi tubolari. Esistono in commercio dei bendaggi tubolari elastici di varie forme e dimensioni che si adattano alle varie parti del corpo. Hanno la funzione di sostenere le medicazioni e sono molto rapidi e semplici da utilizzare. Bendaggi triangolari. Anche le bende triangolari si possono impiegare per la fasciatura di arti, mani, piedi, gomiti, articolazioni e testa. Questo tipo di bendaggio è particolarmente usato per sostenere la spalla, nel caso di lussazioni o traumi, o per sostenere il braccio nella classica posizione del “braccio al collo”.


Figura 79.2 – bendaggio e immobilizzazione del braccio al collo mediante benda triangolare


80. BLOCCO DELLE EMORRAGIE MASSIVE Le emorragie massive interessano di solito i grossi vasi arteriosi e sono perciò molto abbondanti. Vanno tempestivamente arginate per evitare che l’infortunato perda eccessive quantità di sangue o muoia dissanguato. Bisogna tenere presente che in caso di recisione di grossi vasi come per esempio l’arteria femorale, se non si interviene con celerità il dissanguamento può avvenire in pochi minuti. Per bloccare o diminuire le perdite è sufficiente cercare di fermare la circolazione del sangue comprimendo i vasi arteriosi in alcuni punti (sempre a monte della ferita) dove il loro passaggio è facilmente raggiungibile. I punti di compressione sono collocati tra il cuore e la ferita (→ “La grande circolazione”, Parte seconda). Comprimendoli si provoca una vasocostrizione che rallenta o blocca la circolazione (e la fuoriuscita) del sangue. Dunque, bisogna individuare il punto di compressione più vicino a monte della ferita e intervenire su quello. Le compressioni sono ancora più efficaci se si utilizza un oggetto rigido sotto le dita, per esempio una moneta.

Figura 80.1 – I punti di compressione delle arterie

I PUNTI DI COMPRESSIONE Compressione dell’arteria carotidea. Si effettua in caso di gravi ferite al collo, facendo molta attenzione a non bloccare l’afflusso di sangue al cervello e a non “strangolare” l’infortunato.


Figura 80.2 – Compressione dell’arteria carotidea

Compressione dell’arteria succlavia. Si pratica nel caso di ferite alla spalla o detroncazioni del braccio. Il soccorritore si posiziona dietro la schiena dell’infortunato e introduce le dita nella cavità dietro la clavicola comprimendo con forza verso il basso.

Figura 80.3 – Compressione dell’arteria succlavia

Compressione dell’arteria ascellare. Si effettua nel caso di ferite importanti al braccio o all’avambraccio. È consigliabile sollevare in alto il braccio dell’infortunato (ciò rallenta di per sé l’afflusso del sangue e la circolazione), per poi comprimere energicamente con i pollici a fondo nella cavità ascellare.


Figura 80.4 – Compressione dell’arteria ascellare

Compressione dell’arteria omerale superiore. È utile nel caso di ferite al braccio. Bisogna comprimere sotto il bicipite in corrispondenza dell’omero, nella parte interna del braccio.

Figura 80.5 – Compressione dell’arteria omerale superiore

Compressione dell’arteria omerale inferiore. Indicata nel caso di ferite all’avambraccio o alla mano. Si comprime con i due pollici nell’incavo del gomito.

Figura 80.6 – Compressione dell’arteria omerale inferiore


Compressione dell’arteria femorale superiore. Si pratica nel caso di ferite alla coscia o prossime all’inguine. Bisogna far stendere l’infortunato e comprimere sull’inguine, con la mano chiusa a pugno, in modo deciso e con forza, con il braccio teso e facendo forza anche con l’altro braccio.

Figura 80.7 – Compressione dell’arteria femorale superiore

Compressione dell’arteria femorale inferiore. Si effettua in caso di ferite alla coscia. L’infortunato è disteso a terra con la gamba leggermente piegata: il soccorritore comprime con forza contro il femore, nella parte interna della coscia, con la mano chiusa a pugno e il braccio teso.

Figura 80.8 – Compressione dell’arteria femorale inferiore

Compressione dell’arteria poplitea. Utile nel caso di ferite alla gamba o al polpaccio. L’infortunato è disteso a terra, il soccorritore pone il piede del ferito sulla propria spalla, in modo che rimanga sollevato (rallentando la circolazione) e comprime nell’incavo del ginocchio con i due pollici.


Figura 80.9 – Compressione dell’arteria poplitea

IL LACCIO EMOSTATICO È da utilizzare con molta prudenza e solo in caso di assoluta necessità. Questo sistema, infatti, esclude completamente la circolazione sanguigna con il rischio di procurare una necrosi dei tessuti. Il laccio va perciò utilizzato solo in casi estremi come la detroncazione di un arto, lo schiacciamento sotto macerie o pesi (→ “Sindrome da schiacciamento”, Parte terza), o gravi fratture esposte (→ Parte terza). Le complicazioni più pericolose sono la possibilità di cancrena ischemica, la paralisi dei tessuti nervosi, lo shock da laccio. Una volta messo, il laccio non si deve più né allentare né togliere: queste operazioni, infatti, portano a un improvviso ripristino della circolazione che può comportare scompensi circolatori anche mortali. Il laccio emostatico non va mai tenuto a lungo: dopo 30 minuti comincia a essere rischioso e più passa il tempo più il rischio di complicazioni aumenta. Per questo motivo, se si usa, è buona consuetudine scrivere sulla fronte dell’infortunato l’ora esatta della messa del laccio affinché i soccorritori si sappiano regolare.

Figura 80.10 – Come improvvisare un laccio emostatico “a torchio” con un pezzo di stoffa e un legnetto (o una penna)

I lacci emostatici si possono improvvisare con strisce di stoffa, sciarpe e stracci di una larghezza di circa 4 o 5 centimetri, legati molto stretti o attorcigliati intorno a un legno o una penna a mo’ di torchio. Non bisogna usare mai corde, fili elettrici o stringhe che ledono i tessuti.


ATTENZIONE! Il laccio emostatico si può applicare soltanto al femore o all’omero che costituiscono un supporto rigido contro cui le arterie si comprimono. Non si deve mai utilizzare sull’avambraccio o sulla gamba perché sono formati da due ossa ciascuno (→ “Gli arti”, Parte seconda) e i vasi sanguigni scorrono tra di essi.

Figura 80.11 – Dove si applica il laccio emostatico


81. IMMOBILIZZAZIONE DELLE FRATTURE Nel caso di fratture, ma anche di distorsioni e lussazioni, prima del trasporto bisogna procedere all’immobilizzazione della parte. La cosa migliore è attendere l’intervento dei soccorsi qualificati dotati di apposite attrezzature medicali, come le steccobende, i collari rigidi, le barelle “a cucchiaio”, il materassino a depressione e via dicendo. Se questo non è possibile si possono improvvisare delle immobilizzazioni con mezzi di fortuna. Bisogna sempre tenere a mente che in caso di frattura, la parte deve essere tenuta in trazione. In questo modo si evita che i monconi possano danneggiare i tessuti, inoltre l’infortunato ne trae solitamente un sollievo e una diminuzione del dolore. Fratture degli arti. Nel caso di una sospetta frattura di un arto si può cercare di steccarlo con mezzi di fortuna come delle stecche di legno o comunque dei sostegni rigidi, avvolti in stracci, giornali o indumenti successivamente bendati e fasciati. Nel caso di una frattura di una gamba, in mancanza di meglio, si può usare l’arto sano come sostegno.

Figura 81.1 – Immobilizzazione di fortuna di un arto fratturato

ATTENZIONE! Spesso, se la frattura coinvolge un’articolazione, l’arto può essere deformato o piegato. In tal caso per immobilizzarlo è necessario raddrizzarlo. Questa operazione è sconsigliabile per chi non è un esperto soccorritore. Tuttavia, se è indispensabile, bisogna ricordare che lo spostamento deve avvenire sempre in trazione, allontanando tra loro i monconi.


Figura 81.2 – Immobilizzazione di un arto con mezzi di fortuna: stracci, coperte, cravatte, lacci o spille da balia

Fratture alla colonna vertebrale. L’immobilità dell’infortunato in questo caso è fondamentale e molto delicata. Se viene leso il midollo spinale si va incontro a un danno irreversibile che può portare alla paralisi o alla morte. In generale è bene tenere presente che più la lesione è alta, vicino al collo, più è pericolosa perché la regolamentazione delle funzioni vitali come la respirazione può essere intaccata. Una lesione più in basso è ugualmente grave perché può compromettere il movimento di braccia o gambe. TRASPORTO O SPOSTAMENTO DI UN INFORTUNATO CON SOSPETTE LESIONI ALLA COLONNA Il trasporto di un infortunato con sospette lesioni alla colonna vertebrale richiede alcune attrezzature apposite e un soccorso qualificato. In casi di estrema urgenza (incendio, fughe di gas e simili emergenze) si può tentare il trasporto con almeno 3 soccorritori, ma molto meglio se in 5.


Figura 81.3 – Tenere in trazione la colonna in caso di fratture evita le lesioni al midollo

Prima del trasporto si deve mettere in trazione il paziente. La mano sotto la testa deve tirare verso l’esterno mentre, dall’altra parte, bisogna che anche i piedi siano tirati in direzione opposta. Le mani dei soccorritori devono poi scivolare sotto le gambe, i glutei e la schiena, molto aperte e tese, a formare un piano rigido. I soccorritori devono essere coordinati e sollevare il paziente contemporaneamente, mantenendone il corpo sempre perfettamente in asse e allineato. Durante la collocazione dell’infortunato per esempio su un piano rigido, che a sua volta può poi fungere da barella, è bene che l’operazione sia coordinata ad alta voce da uno dei soccorritori che dà il via allo spostamento sincronizzando il movimento di tutti per mantenere il più immobile possibile e in asse il corpo dell’infortunato. Esempio di coordinamento vocale. Capo: “Prendere!” (Ognuno si dispone con il proprio ruolo di trazione e posizione delle mani). Capo: “Pronti ad alzare?” (Attende che tutti diano conferma). Capo: “Su!” (Tutti sollevano l’infortunato tenendolo in asse). Capo: “Pronti ad abbassare?” (Attende che tutti diano conferma). Capo: “Abbassare!” Una volta posto sul piano rigido l’infortunato va legato e immobilizzato, prima del trasporto.

Figura 81.4 – Trasporto di emergenza in caso di sospetta frattura alla colonna (5 soccorritori)


82. TRASPORTO DI UN INFORTUNATO Il trasporto di un infortunato, a seconda dei casi, può essere un’operazione molto delicata che richiede un soccorso qualificato e un’attrezzatura medicale apposita. In molti casi, per esempio davanti a politraumi o sospette fratture della colonna vertebrale, è perciò bene evitare il trasporto improvvisato con mezzi di fortuna, perché può essere pericoloso. Per prima cosa è necessario distinguere gli infortuni gravi da quelli che richiedono un trasporto urgente: le due cose sono infatti molto diverse. Chi ha subito un trauma alla colonna vertebrale, per esempio, ha un problema gravissimo, ma non c’è urgenza nel trasporto. La cosa più importante, invece, è una buona immobilizzazione e uno spostamento corretto che consentano di condurlo in ospedale senza ulteriori traumi e in sicurezza. Quando è necessario improvvisare un trasporto di fortuna con mezzi privati, dopo aver distinto di volta in volta l’urgenza dalla gravità, bisogna procedere con il buon senso nella conduzione al pronto soccorso. Nel caso di fratture e traumi, per esempio, un furgone, benché più lento di un’automobile è preferibile: l’importante è infatti mantenere l’infortunato immobilizzato, evitare scossoni e movimenti bruschi. Se è incosciente, per fare un altro esempio, va mantenuto sdraiato, in posizione di sicurezza. Infine è indispensabile che ci sia sempre lo spazio per il soccorritore che deve costantemente vigilare sulle funzioni vitali ed eventualmente intervenire con manovre di soccorso, difficilmente eseguibili per esempio in un’automobile. TRASPORTO SENZA BARELLA Questo tipo di trasporto va effettuato soltanto con pazienti coscienti e se non ci sono fratture. È utile per trasportare l’infortunato in un mezzo privato per poi recarsi in ospedale oppure per allontanare qualcuno da un luogo pericoloso. Trasporto a spalle. Il trasportato, oltre a essere cosciente deve essere in grado di aggrapparsi alle spalle del soccorritore con le braccia. Inoltre il peso del trasportato e del soccorritore devono essere tra loro sostenibili, altrimenti il rischio è di una caduta da parte di entrambi. Trasporto di un ferito in braccio. Si può eseguire solo nel caso di bambini o di persone di poco peso. Il soccorritore mette un braccio sotto le gambe e l’altro attorno al dorso del trasportato. Trasporto “a seggiolino”. Si effettua con due soccorritori che si afferrano per le mani in modo da formare una sorta di seggiolino e si tengono saldamente. Il primo soccorritore afferra con una mano il proprio polso e con l’altra il polso del secondo soccorritore. Quest’ultimo afferra il polso del primo con una mano. Con l’altro braccio, invece, sorregge le spalle e il dorso dell’infortunato che si siede sulle loro mani “a seggiolino” e viene così sollevato.


Figura 82.1 – La posizione delle mani “a seggiolino” e il trasporto di un infortunato che viene sorretto dietro la schiena

Trasporto per trascinamento. È utile per porre in sicurezza un infortunato allontanandolo da un luogo pericoloso, per esempio da una stanza con una fuga di gas o un incendio. Si può far sdraiare il trasportato su una coperta o un tappeto che poi viene trascinato afferrandolo per i lembi dalla parte della testa (in modo che sia così protetta da eventuali urti). In alternativa si può afferrare l’infortunato sotto le ascelle oppure cingerlo con le braccia saldate attorno alla vita e trascinarlo dalla parte della testa (manovra, questa, possibile anche se il paziente non fosse cosciente).

Figura 82.2 – Trasporto per trascinamento

Trasporto “del pompiere”. È indicato nel caso il paziente sia cosciente ma non in grado di camminare da solo (sempre che non abbia fratture). Se il peso dell’infortunato è sostenibile per il soccorritore questo si può piegare mettendo il dorso sotto la pancia dell’infortunato che afferra con una mano per il polso, mentre pone l’altra mano sotto le ginocchia. Poi il soccorritore si solleva e lo trasporta sulle proprie spalle.


Figura 82.3 – Trasporto “del pompiere”

COME TRASPORTARE UN INFORTUNATO PER LE SCALE Se l’infortunato è in casa, spesso non è facile trasportarlo, soprattutto se non è cosciente, se è anziano o se manca l’ascensore. Trasporto mediante una sedia. Se il paziente è cosciente, e non ha traumi o sospette fratture, il metodo più comodo è quello di utilizzare una sedia da cucina (dopo aver controllato che sia ben robusta!), il trasporto si effettua in due. L’infortunato si siede e un soccorritore afferra le gambe posteriori della sedia o lo schienale, mentre l’altro le gambe anteriori. In questo modo si può trasportare per le scale o con un ascensore. È importante che i soccorritori siano coordinati e sollevino la sedia contemporaneamente, facendo molta attenzione a non inclinarla con il rischio di far cadere il trasportato. Quest’ultimo deve tenere le mani sulla pancia e stare fermo.


Figura 82.4 – Trasporto per le scale mediante una sedia

ATTENZIONE! Scendendo le scale si deve fare attenzione che il paziente non si aggrappi alla ringhiera, come viene istintivo, il rischio è che i trasportatori vengano sbilanciati e possano inciampare. Bisogna sempre raccomandare al trasportato di tenere le mani ferme sulla pancia e di stare fermo e tranquillo. Questo tipo di trasporto da seduti è particolarmente adatto nei casi di difficoltà respiratoria, infarto o edema polmonare, quando il paziente non deve mai essere sdraiato. Trasporto mediante un telo. Se il paziente non può stare seduto o non è cosciente, e non ha traumi, si possono utilizzare un telo o una coperta ben robusti. Dopo che l’infortunato vi è stato sdraiato sopra, i soccorritori, preferibilmente quattro, afferrano i lembi della coperta contemporaneamente e scendono per le scale. Un soccorritore afferra i lembi dove c’è la testa, altri due si pongono di fronte e afferrano i lembi dove ci sono i fianchi (la parte più pesante) e il quarto i lembi dalla parte dei piedi. A meno che non sia necessaria la posizione antishock, scendendo per le scale la testa deve essere sollevata rispetto al corpo, in altre parole scende per primo chi è dalla parte dei piedi. Se i soccorritori sono in tre, uno può afferrare i lembi della coperta dalla parte della testa, gli altri due, posti ai lati del paziente, uno di fronte all’altro, afferrano con una mano il lembo all’altezza dei fianchi e con l’altra il lembo verso i piedi. ATTENZIONE! In caso di fratture, il trasporto deve avvenire soltanto dopo aver immobilizzato la parte traumatizzata. In caso di sospette fratture alla colonna vertebrale, invece, l’uso del telo o della coperta è dannoso e pericolosissimo. Il paziente va trasportato dopo essere stato legato e immobilizzato perfettamente su un piano rigido o su una barella improvvisata.


83. VALUTAZIONE DELLO STATO DI COSCIENZA Preliminare verifica della sicurezza dell’ambiente. Secondo i protocolli del soccorso, prima di valutare lo stato di coscienza di un infortunato il soccorritore deve sempre effettuare una valutazione sulla sicurezza dell’ambiente e sulle possibili cause dell’incidente. Più nel dettaglio, il presunto stato di incoscienza può essere causato da un malore o da un incidente e in questo secondo caso bisogna cercare di cogliere i segnali che hanno scatenato l’evento: una caduta dalle scale, un incidente domestico o sul lavoro, un’aggressione… Il punto è che potrebbero esserci dei fattori invisibili o non appariscenti che possono mettere a rischio l’incolumità dei soccorritori. Per esempio, se non ci sono segni di incidenti bisogna assicurarsi che non ci siano fughe di gas, un avvelenamento da ossido di carbonio (il che è complicato visto che è inodore) oppure che non si tratti di una folgorazione con il rischio di rimanere fulminati e via dicendo. In questi casi il soccorritore, prima di intervenire deve mettersi in sicurezza (aerazione del locale, chiusura degli interruttori elettrici e così via). Questa norma è importantissima e va sempre tenuta presente, perché istintivamente viene spontaneo avvicinarsi all’infortunato immediatamente, ma può essere molto pericoloso. Approccio multisensoriale. Stabilita la sicurezza dell’ambiente, la valutazione dello stato di incoscienza presuppone delle tecniche multisensoriali. Bisogna porsi dinnanzi alla persona stesa, per evitare che torca il collo se si desta, e innanzitutto scuoterla leggermente per le spalle (tenendo presente che potrebbe avere delle lesioni, quindi è bene fare attenzione ed evitare in caso di traumi evidenti) chiamandola ad alta voce. Il solo stimolo vocale può essere infatti inutile se la persona è sorda. Inoltre, è buona norma afferrare la mano dell’infortunato in modo rassicurante per prevenire eventuali sue reazioni in caso di risveglio improvviso che possono variare dallo spavento all’aggressione per il panico, soprattutto per chi è sotto gli effetti di stupefacenti. Infine, in questo modo è possibile sentire se ci sono delle reazioni nella mano, oltre che valutarne la temperatura. Se con questa tecnica la persona non reagisce lo stato di incoscienza è accertato. Bisogna immediatamente chiamare i soccorsi e procedere con la valutazione della presenza della respirazione e del battito cardiaco (→).


84. INDIVIDUARE RESPIRAZIONE E POLSO Verificato lo stato di incoscienza dell’infortunato, il soccorritore lo deve porre su un piano rigido (va benissimo per terra) tenendo sempre presente che non bisogna spostare chi ha subito traumi o ha delle sospette lesioni della colonna vertebrale. A questo punto si può procedere con il protocollo denominato ABC, dalle iniziali delle parole inglesi Airway, Breathing e Circulation che indicano rispettivamente il controllo della pervietà delle vie aeree, del respiro e del battito cardiaco. FASE A (AIRWAY: PERVIETÀ DELLE VIE AEREE) Chi è incosciente corre il pericolo di soffocamento per il rovesciamento della lingua, per la presenza di liquidi interni (vomito, sangue o secrezioni) o per la presenza di eventuali oggetti estranei (dentiere, caramelle o altro). Per prima cosa si può eseguire un controllo del cavo orale tramite una manovra denominata “a borsellino” che consiste nella rotazione di indice e pollice nella bocca dell’infortunato come se si dovesse aprire un portamonete. ATTENZIONE! Evitare di eseguire questa manovra a mani nude. L’ideale sarebbe indossare dei guanti in lattice, altrimenti meglio sempre proteggersi con un fazzoletto. Se sono presenti oggetti estranei vanno rimossi. In questa fase è consigliabile anche iperestendere la testa (→). A questo punto si deve immediatamente procedere alla verifica della presenza di respirazione (fase B) e polso (fase C). FASE B (BREATHING: RESPIRAZIONE) Nel controllo della presenza delle funzioni vitali si comincia con la verifica della respirazione: se questa è assente bisogna verificare anche la presenza del polso, se invece è presente, significa necessariamente che anche l’attività cardiaca non si è arrestata. Per far ciò è sufficiente appoggiare una mano sul torace e una sull’addome dell’infortunato per percepire sollevamenti in modo tattile e contemporaneamente avvicinare l’orecchio alla bocca (a circa 3/5 centimetri) per avvertire il passaggio dell’aria mentre lo sguardo è fisso sul torace/addome (meglio se è stato precedentemente scoperto dai vestiti) per vedere se dà dei segni di movimento respiratorio. Questa manovra è detta GAS, dalle iniziali di Guardo (il movimento del torace), Ascolto (il respiro) e Sento (il flusso di aria sulla guancia, ma anche il sollevamento dell’addome). Questa rilevazione va effettuata per 10 secondi (meglio contare ad alta voce) mantenendo la testa iperestesa. ATTENZIONE! In caso di arresto respiratorio si possono rilevare degli ansimi e dei gorgoglii che non vanno confusi con la respirazione normale e regolare. Si tratta del gasping, un “respiro” agonico durante il quale si avvertono dei movimenti del torace ma che sono privi di efficacia, non c’è un flusso d’aria. In questo caso bisogna procedere come se il respiro fosse assente. Se la respirazione è presente, come abbiamo già detto, possiamo stare tranquilli che anche la circolazione del sangue lo sarà e procedere, a seconda dei casi, con la messa dell’infortunato incosciente in posizione laterale di sicurezza (→) o in posizione antishock (→) altrimenti occorre verificare immediatamente la presenza del polso, cioè delle pulsazioni cardiache.


FASE C (CIRCULATION: POLSO) Se l’infortunato non respira e non si percepiscono né movimenti del corpo né colpi di tosse, potrebbe essere (o sta per entrare) in arresto cardiaco. Bisogna intervenire urgentemente. Le pulsazioni del cuore si possono percepire facilmente sul petto o sul collo. Appoggiando una mano sul torace, sotto la metà dello sterno, o meglio ancora appoggiando l’orecchio, il battito cardiaco si percepisce chiaramente. Bisogna però aprire eventuali giacche o cappotti, nel caso ci siano, e scoprire il torace. Un altro sistema è quello di porre indice, medio e anulare sul collo, esattamente sotto la mandibola, premendo un po’ nel muscolo di fianco alla carotide. Qui è possibile percepire l’arteria carotidea, molto evidente. Per esercitarsi a trovarla il soccorritore deve cominciare a prendere il polso carotideo a se stesso. Individuato il punto, sarà poi facile trovarlo anche negli altri. Il polso radiale è più difficile da trovare. Anche in questo caso il soccorritore deve prima esercitarsi su se stesso. Il punto da palpare, con le tre dita lunghe, è sull’esterno del polso, sotto la mano, dalla parte del pollice. ATTENZIONE! Il polso si deve percepire sempre con le dita indice, medio e anulare, mai con il pollice. Qui infatti passa un’arteria abbastanza importante e spesso non è possibile sapere se la pulsazione che il soccorritore sente è la sua o quella dell’infortunato! Un altro indizio che aiuta a rendersi conto se l’infortunato è in arresto cardiaco consiste nell’osservare le pupille. Dopo un breve periodo dall’arresto, infatti, queste si dilatano e non reagiscono alla luce. In condizioni normali, invece, se illuminate si rimpiccioliscono immediatamente. Ma poiché la tempestività in questi frangenti è importante, non bisogna perdere troppo tempo. Nel caso l’infortunato sia incosciente, con respiro assente ma con il battito cardiaco presente, bisogna immediatamente procedere alla respirazione artificiale (→). Nel caso anche il battito cardiaco sia assente bisogna procedere alla respirazione artificiale e al massaggio cardiaco (→).


Figura 84.1 – Come individuare il polso, cioè le pulsazioni del cuore


85. IPERESTENSIONE DELLA TESTA A cosa serve. Una persona in stato di incoscienza, ma con le funzioni vitali inalterate, può rischiare di soffocare o di non respirare sufficientemente per il rovesciamento all’indietro della lingua. L’iperestensione della testa è una manovra che consente di evitare questo problema e va dunque effettuata in attesa dei soccorsi qualificati (insieme alla posizione laterale di sicurezza). Anche se la lingua non è rovesciata all’indietro, questa posizione aiuta la respirazione. Se il capo è piegato in avanti, infatti, la lingua ostruisce la respirazione e l’infortunato tende a russare. Con il capo reclinato all’indietro questo non avviene.

Figura 85.1 – La testa iperestesa (a sinistra) permette la respirazione che potrebbe essere invece pregiudicata dall’ostruzione della lingua (a destra)

Come si attua. Dopo aver sdraiato l’infortunato a pancia in su, è sufficiente porre una mano sulla fronte e spingere, per reclinare all’indietro la testa, mentre contemporaneamente con due dita sotto il mento si tira per sollevarlo. La manovra non deve essere effettuata in modo brusco. In alternativa è possibile collocare una mano sotto la nuca tirando verso l’alto e, contemporaneamente, con l’altra mano si può esercitare una pressione sulla fronte verso il basso. Oppure si può afferrare la mandibola dell’infortunato e rovesciare all’indietro la testa (sempre senza movimenti bruschi o violenti). ATTENZIONE! Non iperestendere mai il capo davanti al sospetto di una frattura alla colonna vertebrale! Questa posizione è indispensabile prima di praticare la respirazione artificiale (→), altrimenti l’aria insufflata rischia di non raggiungere i polmoni. Se l’infortunato è incosciente l’iperestensione della testa può avvenire lateralmente, ponendo il soggetto in posizione laterale di sicurezza (→).


86. POSIZIONE LATERALE DI SICUREZZA (PLS) A cosa serve. Per evitare che una persona in stato di incoscienza rischi di non respirare a sufficienza o di soffocare per il rovesciamento della lingua o per delle ostruzioni delle vie aeree causate per esempio dal vomito, si utilizza la posizione laterale di sicurezza. Attuando tale manovra si evita questo rischio mantenendo una postura corretta in modo che l’eventuale vomito possa defluire all’esterno e che la lingua non si rovesci grazie all’iperestensione della testa. In presenza di un infortunato incosciente (con le funzioni vitali inalterate) è consigliabile porlo in tale posizione. ATTENZIONE! Questa manovra non va mai effettuata in caso di sospette lesioni alla colonna vertebrale. Come si attua. L’infortunato va posto sdraiato su un fianco, con una gamba stesa e una piegata, in modo da assicurare stabilità ed evitare che possa rotolare. La testa va iperestesa, per agevolare la respirazione, su un lato, in modo che in caso di rigetto, il vomito possa defluire senza ostruire le vie aeree.

Figura 86.1 – Posizione laterale di sicurezza (PLS)

Dopo aver messo l’infortunato in sicurezza, in attesa dei soccorsi, bisogna continuamente controllare che la respirazione e il polso siano presenti.


87. LA POSIZIONE ANTISHOCK In caso di shock (→ Parte terza) bisogna porre l’infortunato in una posizione che favorisca l’afflusso di sangue al cervello. Dopo aver cercato di eliminare la causa dello shock, per esempio bloccando un’emorragia, tranquillizzando l’infortunato e così via, è necessario cercare di agevolare la circolazione, slacciando gli indumenti che possono costringere e ponendo il soggetto in modo che il capo sia più in basso del corpo. In questo modo, per gravità, il sangue tende a defluire verso il cervello.

Figura 87.1 – La posizione antishock

Se l’infortunato viene fatto sdraiare su un piano rigido, si può apporre qualcosa sotto la parte dei piedi. In alternativa si può farlo sdraiare per terra e sollevargli le gambe.

Figura 87.2 – Posizione antishock con l’ausilio di una sedia

ATTENZIONE! Evitare la posizione antishock in caso di trauma cranico o davanti al sospetto di emorragia cerebrale o congestione cerebrale.


88. RESPIRAZIONE ARTIFICIALE A cosa serve. La respirazione artificiale serve per ossigenare artificialmente un infortunato che ha un arresto respiratorio, tipico per esempio nei casi di asfissia, annegamento, avvelenamento da farmaci, overdose e altro. In questi casi i muscoli involontari che dilatano la gabbia toracica sono bloccati e l’infortunato non può ossigenare il sangue. In queste condizioni, dopo pochi minuti, anche l’attività del cuore si blocca. È perciò necessario agire tempestivamente per ossigenare il sangue in modo artificiale. La manovra più conosciuta per eseguire la respirazione artificiale è quella bocca a bocca. Tutela del soccorritore. La respirazione bocca a bocca è una pratica di emergenza che prevede dei rischi per il soccorritore. Praticarla a un infortunato che, essendo incosciente o traumatizzato può spesso presentare secrezioni, sanguinamento o vomito, pone evidentemente dei problemi igienico-sanitari. Per questi motivi se il soccorritore decide di effettuarla è consigliabile per lo meno porre come protezione un fazzoletto pulito o qualcosa del genere. Il soccorso qualificato e professionale non ricorre mai a questa manovra. La respirazione artificiale si pratica invece attraverso degli strumenti più idonei. Prima di tutto ogni paziente incosciente viene sempre incannulato, in altre parole, gli viene inserita in bocca una cannula, un tubicino di plastica che arriva fino alla gola e che mantiene sempre perfettamente pervie le vie aeree. In secondo luogo le insufflazioni si eseguono attraverso il palloncino “ambu”. Si tratta di uno strumento che evita il contatto bocca a bocca e funziona come un piccolo mantice: è composto da un pallone che si schiaccia manualmente e determina la fuoriuscita di aria attraverso un’apposita valvola posta su una mascherina simile a quelle che servono per irrorare l’ossigeno. In questo modo il soccorritore può ventilare l’infortunato evitando il contatto bocca a bocca. Inoltre, l’aria insufflata presa dall’ambiente, o meglio ancora collegata a un erogatore di ossigeno, contiene delle percentuali di ossigeno superiori a quelle insufflate con il metodo bocca a bocca. Ciò premesso, nei casi di emergenza in cui bisogna intervenire senza strumenti, la respirazione bocca a bocca si rivela comunque efficace. Anche se l’aria che insuffliamo in questo modo è ricca di anidride carbonica, la quantità di ossigeno immessa è ugualmente sufficiente all’ossigenazione. L’aria che espiriamo, infatti, contiene il 16% di ossigeno, contro il 20% dell’aria che inspiriamo.

Figura 88.1 – Il pallone “ambu” per la respirazione artificiale


RESPIRAZIONE BOCCA A BOCCA Distendere l’infortunato a pancia in su dopo aver praticato l’iperestensione della testa.

Figura 88.2 – Respirazione bocca a bocca. Primo: iperestensione della testa

Chiudere con due dita (indice e pollice) il naso dell’infortunato per evitare che l’aria insufflata fuoriesca. Senza queste due premesse la respirazione non avrà successo.

Figura 88.3 – Respirazione bocca a bocca. Secondo: chiudere il naso

Fare aderire le proprie labbra a quelle dell’infortunato (meglio dopo aver apposto un fazzoletto) e insufflare con una certa forza (ma senza esagerare) il proprio fiato con una ventilazione che dovrebbe durare un secondo.


Figura 88.4 – Respirazione bocca a bocca. Terzo: insufflazione della durata di un secondo

Quindi alzare la testa e controllare che il torace si sollevi per poi abbassarsi immediatamente dopo. Il rischio, se la testa dell’infortunato non è iperestesa o se la manovra è eseguita male, è che l’aria finisca nello stomaco anziché nei polmoni (rendendo l’operazione inutile). La verifica dell’innalzamento del torace aiuta a comprendere che ciò non accada.

Figura 88.5 – Respirazione bocca a bocca. Quarto: verificare l’innalzamento del torace

Ripetere l’operazione, con un ritmo di 15/20 atti al minuto, fino a quando l’infortunato non riprende la respirazione autonoma o sino all’arrivo dei soccorsi. Controllare periodicamente che l’infortunato non vada in arresto cardiaco, nel qual caso bisogna procedere anche con il massaggio cardiaco. ALTRE TECNICHE DI RESPIRAZIONE ARTIFICIALE Respirazione bocca a naso. Se l’infortunato presenta delle fratture alla mandibola o alla mascella, si può procedere come nel caso della respirazione bocca a bocca con la differenza che la bocca viene tenuta chiusa – per evitare che fuoriesca l’aria insufflata – e che le insufflazioni vanno invece fatte


attraverso il naso. Respirazione bocca a bocca-naso. Nel caso l’infortunato sia un bambino piccolo, il soccorritore può aderire le proprie labbra sul viso del bambino effettuando le insufflazioni contemporaneamente attraverso la bocca e il naso dell’infortunato. In questo caso la quantità di aria insufflata e la forza dell’insufflazione devono essere ridotte. Respirazione manuale di nielsen. Se non è possibile la respirazione bocca a bocca si può tentare una respirazione manuale la cui efficacia è molto inferiore e in molti casi non si rivela molto utile. Questa manovra è controindicata in caso di traumi o fratture agli arti superiori o alla colonna vertebrale. Dopo aver steso l’infortunato a pancia in giù su un piano rigido, con la testa iperestesa e gli arti superiori piegati, il soccorritore, inginocchiato, posiziona le mani sulle scapole dell’infortunato, con le dita ben aperte e, sfruttando il peso del proprio corpo, esercita una compressione sulla schiena che serve a far espirare l’aria. Successivamente afferra i gomiti dell’infortunato tirandoli verso di sé per favorire l’allargamento della gabbia toracica e quindi l’inspirazione. L’operazione va ripetuta con un ritmo di 15 atti al minuto.

Figura 88.6 – La respirazione manuale di Nielsen

Respirazione manuale di Silvester. Un ulteriore metodo di respirazione manuale di efficacia molto inferiore, se non è possibile praticare la respirazione bocca a bocca, è la cosiddetta respirazione manuale di Silvester. Anche questa manovra dà dei risultati spesso poco significativi ed è controindicata in caso di traumi o fratture agli arti superiori o alla colonna vertebrale.


Dopo aver steso l’infortunato a pancia in su, su un piano rigido, con la testa iperestesa, il soccorritore, inginocchiato dietro la testa del paziente, dovrà afferrargli i polsi, incrociarli sull’addome, portarsi in avanti e, sfruttando il proprio peso, comprimere l’addome per produrre l’espirazione. A questo punto dovrà portarsi all’indietro sedendosi sui talloni e aprire le braccia dell’infortunato per allargare la gabbia toracica e produrre l’inspirazione.


89. RIANIMAZIONE ARTIFICIALE: MASSAGGIO CARDIACO E RESPIRAZIONE ARTIFICIALE A cosa serve. Dopo 3 o 4 minuti dall’arresto cardiaco i neuroni e il cervello, molto sensibili alla carenza di ossigeno, che non viene più pompato dal cuore attraverso il sangue, cominciano un’irreversibile distruzione. In presenza di un arresto cardiaco, perciò, bisogna intervenire immediatamente con il massaggio cardiaco e la respirazione artificiale: operazioni che servono a ripristinare artificialmente l’attività cardiaca e respiratoria. Attraverso il massaggio cardiaco il cuore pompa il sangue soltanto al 20/40% del normale, ma è sufficiente per tenere in vita l’infortunato sino all’arrivo dei soccorsi o al trasporto in ospedale dove, attraverso un defibrillatore si tenterà di ripristinare l’attività cardiaca mediante scariche elettriche. Il soccorritore, esercitando una pressione sulla gabbia toracica, comprime il cuore tra lo sterno e la colonna vertebrale e in questo modo si sostituisce meccanicamente all’attività cardiaca. Grazie all’elasticità della gabbia toracica, quando cessa la compressione, il torace si espande e il cuore si dilata, per poi restringersi alla successiva compressione.

Figura 89.1 – Il massaggio cardiaco permette il funzionamento del cuore in modo manuale, comprimendo la cassa toracica di 4/5 cm

Questa manovra deve anche essere accompagnata dalla respirazione bocca a bocca (ma con ritmi differenti da quando è eseguita da sola), per continuare a ossigenare il sangue che viene pompato in modo meccanico attraverso il massaggio cardiaco. Posizione dell’infortunato. L’infortunato deve essere sdraiato a pancia in su, disteso su un piano rigido o al suolo, meglio se in posizione antishock. ATTENZIONE! Non bisogna mai effettuare un massaggio cardiaco su un letto o un materasso ma sempre su un piano rigido (a terra va benissimo). Individuazione del punto di compressione. Prima di procedere al massaggio cardiaco è necessario individuare il punto di compressione. Per trovarlo si può misurare a occhio la lunghezza dello sterno, individuare la metà e porre il palmo della mano appena sotto questa metà. È questo il punto migliore per comprimere il cuore: al di sopra si rischia di rompere lo sterno, al di sotto si rischia di procurare fratture alle costole con possibili lesioni di organi vitali come il fegato o i polmoni. Più precisamente, per individuarlo si può scorrere con le dita la gabbia toracica per individuare il punto di incontro dell’ultima


costola con lo sterno: al di sopra di questo punto si possono appoggiare due dita e accanto, sulla parte ossea dello sterno, si può appoggiare il “calcagno” dell’altra mano nel punto di compressione. Una volta individuato è importante non staccare mai la mano per non “perderlo”. Bisogna invece appoggiare anche il palmo dell’altra mano sulla prima e intrecciare le dita in modo che restino sollevate durate le compressioni senza comprimere le costole. Per individuare il punto di compressione e per effettuare il massaggio cardiaco è consigliabile scoprire il torace dell’infortunato sollevando i vestiti.

Figura 89.2 – Il punto di compressione si trova a metà della lunghezza dello sterno e le mani sono l’una sull’altra con le dita intrecciate

Il colpo precordiale, una manovra che non si usa più. Spesso l’arresto cardiaco non è totale, il cuore è in fibrillazione, comincia cioè a tremolare senza più riuscire a mandare in circolo il sangue. Questo stato è particolarmente frequente nei casi di folgorazione. Fino a una decina di anni fa, prima di iniziare il massaggio si tentava perciò il ripristino dell’attività cardiaca attraverso il colpo precordiale che consiste in un colpo forte e secco assestato col pugno chiuso circa alla metà dello sterno che potrebbe far riprendere la circolazione. Ma con i nuovi protocolli di pronto soccorso questa manovra non si usa più. MASSAGGIO CARDIACO CON UN SOCCORRITORE Dopo aver controllato che l’infortunato sia su un piano rigido (mai su un letto o su un divano, meglio per terra), posizionarsi in ginocchio, al lato dell’infortunato disteso a pancia in su e porre la base del palmo nel punto di compressione dello sterno precedentemente individuato. Porre il palmo dell’altra mano sul dorso della prima, con le dita ben alzate, per fare forza con entrambe le braccia. Mantenere le braccia ben tese e non piegate, perché il massaggio è efficace se è perfettamente verticale e non deve mai seguire un asse obliquo.


Figura 89.3 – La posizione del soccorritore durante il massaggio cardiaco: braccia tese, dita sollevate e pressioni perpendicolari

A questo punto eseguire la prima compressione facendo forza, in modo perpendicolare, con tutto il peso del corpo e poi rilasciare. Lo sterno si deve abbassare di circa 4 o 5 centimetri. Il ritmo delle compressioni è di 100 volte al minuto, cioè 3 compressioni ogni 2 secondi, ma dopo ogni 30 compressioni è necessario praticare 2 insufflazioni d’aria (→ Respirazione artificiale) attraverso la respirazione bocca a bocca. Per fare ciò il soccorritore deve spostarsi velocemente vicino alla testa dell’infortunato e, dopo averla sistemata in iperestensione (importante perché l’aria fluisca), chiudere il naso con una mano, per evitare che esca l’aria che viene insufflata (se non lo si fa l’operazione è inutile), e soffiare due volte a fondo (la durata di ogni ventilazione è di circa un secondo) proteggendosi, se possibile, con un fazzoletto per evitare il contatto diretto tra le labbra. Tra un’insufflazione e l’altra è bene controllare che il torace e l’addome si dilatino durante l’insufflazione per riabbassarsi immediatamente dopo. Come abbiamo detto, il pericolo è che l’aria finisca nello stomaco anziché nei polmoni rendendo inefficace la respirazione. A questo punto il soccorritore deve continuare la manovra ricominciando dalle compressioni. È consigliabile contare ad alta voce ogni compressione per non perdere il conto e per mantenere il giusto ritmo. ATTENZIONE! Prima di eseguire un massaggio cardiaco è necessario essere certi dell’avvenuto arresto del cuore, altrimenti si possono provocare dei danni molto seri. Nei passaggi tra massaggi e insufflazioni, bisogna periodicamente controllare che l’attività cardiaca non si sia ripristinata o che ci siano dei segnali motori che indicano che l’infortunato si è ripreso. In tal caso bisogna interrompere immediatamente il massaggio e controllare le funzioni vitali dell’infortunato (polso e respirazione) sino all’arrivo dei soccorsi. Se l’attività non si ripristina il massaggio va continuato senza interruzioni sino all’arrivo dei soccorsi. Questa manovra è molto faticosa per chi la pratica, soprattutto perché le insufflazioni incidono sulla normale respirazione, perciò è difficile riuscire a protrarla per molto tempo ed è sempre preferibile che ci siano due soccorritori a eseguirla. ATTENZIONE! Le conseguenze di un errato posizionamento sul torace o di un massaggio non eseguito correttamente possono causare delle fratture costali (succede di frequente) e delle lesioni pleuro-


polmonari, spleniche o epatiche, oltre a determinare una manovra inefficace. MASSAGGIO CARDIACO CON DUE SOCCORRITORI Procedere come nel caso di un solo soccorritore con le seguenti differenze: un soccorritore si posiziona vicino alla testa e si occupa delle insufflazioni. L’altro si posiziona vicino al torace e si occupa delle compressioni. Si comincia praticando 30 compressioni con lo stesso ritmo precedentemente descritto (3 ogni 2 secondi), ed è necessario contare ad alta voce ogni compressione, in modo che l’altro soccorritore che si occupa delle insufflazioni prenda il giusto ritmo e sia coordinato e pronto a immettere aria al termine del ciclo. Non bisogna mai effettuare contemporaneamente insufflazione e compressione ma sempre alternando. Quando è il suo turno l’altro soccorritore effettua 2 insufflazioni seguendo le procedure descritte al punto precedente e alla voce “respirazione artificiale” (iperestensione della testa, chiusura del naso, insufflazione della durata di un secondo dopo aver posto un fazzoletto a protezione). Al termine si ripete tutta l’operazione ripartendo dalle 30 compressioni seguendo il ciclo 30/2. Poiché queste manovre sono molto faticose, è bene che i due soccorritori si alternino e si diano il cambio ogni 2 minuti. Il cambio deve essere veloce e, anche in questo caso, concordato ad alta voce con l’altro. Per convenzione si ruota sempre dalla parte della testa, nello scambiarsi le posizioni. Naturalmente valgono le regole già espresse nel punto precedente: bisogna ricordarsi di controllare periodicamente il polso per vedere se l’attività cardiaca si è ripristinata e stare attenti a eventuali segnali motori o respiratori che indicano la ripresa del paziente. La rianimazione deve continuare fino all’arrivo del soccorso avanzato, fino alla ricomparsa spontanea di segni di vita o fino all’esaurimento fisico dei soccorritori

Figura 89.4 – Il massaggio cardiaco con due soccorritori

MASSAGGIO CARDIACO AI BAMBINI Nel caso l’infortunato in arresto cardiaco sia un bambino, bisogna premettere che le compressioni devono essere meno energiche. Per i neonati e i bambini molto piccoli la compressione va effettuata soltanto con le dita, vista la fragilità e l’elasticità delle loro ossa, altrimenti si procura uno sfondamento del torace. Inoltre, poiché il ritmo del cuore è più veloce di quello di un adulto (80/100 battiti al minuto


invece di 60/70) anche il ritmo del massaggio è bene sia un po’ più veloce. Bisogna insomma valutare l’età e la corpulenza del bambino almeno fino agli 8 anni. A parte questo, un soccorritore inesperto può procedere con lo stesso metodo e con lo stesso rapporto di compressioni/insufflazioni dei casi precedenti (30/2), mentre per i soccorritori professionisti o qualificati sono previsti dei protocolli leggermente diversi.


PARTE QUINTA TEST DI VERIFICA


90. TEST DI VERIFICA: IL CORPO UMANO 1 Quante pulsazioni si hanno, normalmente, in una persona adulta in condizioni normali? a. 80/90 al minuto. b. 60/70 al minuto. c. 30/40 al minuto. 2 Che cosa differenzia le vene dalle arterie? a. Le arterie sono i vasi che trasportano il sangue dal cuore verso le periferie. Il sangue scorre a fiotti a ogni contrazione del muscolo cardiaco. Le vene trasportano il sangue dalle zone periferiche al cuore in modo continuo, grazie alle numerose valvole “a nido di rondine”. b. Le vene contengono il sangue ricco di ossigeno, di colore rosso vivo, mentre le arterie trasportano il sangue ricco di anidride carbonica, di colore più scuro. c. Le arterie sono grossi vasi che trasportano il sangue dal cuore nei punti vitali. Le vene sono un sistema di vasi più piccoli che irrorano di sangue le zone periferiche. Per questo motivo le emorragie arteriose sono molto più gravi di quelle venose e richiedono un intervento molto urgente. 3 Cos’è la grande circolazione? a. L’insieme dei vasi che portano il sangue dal cuore alla periferia e da qui nuovamente al cuore. b. L’insieme dei vasi arteriosi che trasportano il sangue dal cuore alle zone periferiche. c. L’insieme di vasi che trasportano il sangue dai polmoni al cuore e viceversa. 4 Cos’è la piccola circolazione? a. L’insieme dei vasi capillari che irrorano i tessuti periferici del corpo. b. La circolazione del sistema linfatico, parallelo a quello del sangue, ma che trasporta una minore quantità di liquidi. c. L’insieme dei vasi che portano il sangue dal cuore ai polmoni e da qui nuovamente al cuore. 5 Cosa succede negli alveoli polmonari? a. Gli alveoli polmonari sono la sede della secrezione del liquido pleurico che serve per permettere che le membrane pleuriche possano scorrere senza attrito. b. Gli alveoli polmonari sono gli organi deputati a filtrare l’aria inspirata. Qui, attraverso complesse reazioni chimiche, in una prima fase, viene separato l’ossigeno dall’azoto, dall’anidride carbonica e dagli altri gas e successivamente viene trattenuto in apposite sacche, mentre gli altri gas vengono espulsi. c. Negli alveoli polmonari avviene lo scambio di ossigeno (O2) e anidride carbonica (CO2) per opera dei globuli presenti nel sangue che si caricano di ossigeno presente nell’aria inspirata rilasciando anidride carbonica. 6 Come avviene l’inspirazione dell’aria? a. Durante l’inspirazione, il diaframma si abbassa e la gabbia toracica si espande, grazie ai muscoli


intercostali che si contraggono. Questo movimento richiama aria, proprio come in un mantice, e i polmoni si espandono e se ne riempiono. b. Durante l’inspirazione, i polmoni, che si comportano come due spugne, si dilatano richiamando l’aria. A mano a mano che l’aria entra, la gabbia toracica è costretta ad allargarsi, mentre il diaframma si abbassa. c. L’inspirazione avviene per un processo osmotico. Quando la percentuale di ossigeno all’interno del corpo si abbassa oltre una certa soglia, la pressione dell’aria esterna, più elevata, determina uno spostamento di quella all’interno dei polmoni, attraverso le vie aeree. 7 Qual è la particolarità delle lesioni al sistema nervoso? a. Il sistema nervoso è composto dai neuroni, cellule che al contrario delle altre non hanno la capacità di riprodursi e di rigenerarsi. Ogni trauma o patologia che determina la distruzione di neuroni produce perciò dei danni irreversibili. b. Il sistema nervoso, al contrario degli altri tessuti, è attraversato costantemente da impulsi elettrici che trasportano energia vitale. Ogni lesione, pertanto, provoca un’interruzione dell’energia vitale che produce spesso dei danni irreversibili. c. Le lesioni al sistema nervoso provocano un’interruzione degli stimoli elettrici che dal cervello vanno alle zone periferiche. Fino a quando la lesione nervosa non si rimargina e non si rigenera autonomamente, perciò, si hanno delle anomalie funzionali. 8 A cosa servono i reni? a. I reni servono alla produzione e all’espulsione dell’urina. Se si ha un blocco renale, l’urina o non viene più prodotta, e perciò entra in circolo nel sangue, oppure non viene più espulsa e in tal caso bisogna ricorrere alla dialisi. b. I reni, oltre alla produzione dell’urina, sintetizzano delle sostanze indispensabili per il processo digestivo, come l’insulina, la mioglobina e l’eparina. c. La funzione dei reni è quella di filtrare il sangue e di depurarlo dalle sostanze tossiche, dalle scorie e dall’eccesso di sali e di acqua che vengono eliminati attraverso l’urina. Inoltre, i reni contribuiscono alle trasformazioni chimiche di alcune sostanze che restituiscono al sangue.


91. TEST DI VERIFICA: COSA FARE IN CASO DI… 9 In caso di un attacco di angina è consigliabile: a. Porre l’infortunato in posizione antishock, per favorire l’afflusso di sangue al cervello. b. Tenere l’infortunato in posizione semiseduta per agevolare la respirazione ed evitare che compia sforzi o movimenti. c. Porre l’infortunato in posizione laterale di sicurezza perché l’eventuale vomito possa defluire. 10 Di fronte a un sospetto attacco di appendicite, in attesa del medico è consigliabile: a. rimanere a letto con una borsa fredda sull’addome. b. Somministrare dei purganti per aiutarlo a liberare la pancia prima della visita. c. Assumere degli analgesici per placare il dolore. 11 Come si riconosce un arresto cardiaco? a. Dal fatto che l’infortunato non respira. b. Dall’assenza del polso, che è bene prendere sulla carotide. c. Dalla temperatura del corpo freddo e rigido (rigor mortis), da un colore violaceo in volto e sulle unghie e dalle pupille in stato di miosi. 12 In caso di asfissia, se l’infortunato ha un arresto respiratorio: a. Bisogna immediatamente procedere con la respirazione artificiale e il massaggio cardiaco. b. Bisogna immediatamente somministrare ossigeno ad alti dosaggi e procedere con il massaggio cardiaco. c. Bisogna immediatamente procedere con la respirazione artificiale. 13 In caso di assideramento: a. Porre immediatamente l’assiderato a ridosso di una fonte di calore: termosifoni, borse d’acqua calda, stufe. Somministrare bevande alcoliche e molto calde. b. riscaldare l’infortunato in modo graduale, con panni caldi e massaggi per riattivare la circolazione. Somministrare caffè e bevande calde con zucchero, ma non alcolici. c. Porre l’assiderato in posizione antishock con una borsa d’acqua calda sul capo. Evitare di coprire e scaldare mani e piedi. In questo modo il sangue viene richiamato verso il cervello e gli organi vitali, invece di disperdersi nelle zone periferiche. 14 In caso di ingestione di candeggina, acidi o benzina in attesa dei soccorsi è consigliabile: a. Procurare immediatamente il vomito per far espellere al più presto le sostanze ingerite, prima che vengano assorbite. b. Cercare di diluire le sostanze ingerite somministrando abbondante caffè, eccitante, mescolato con il latte che ha una funzione lenitiva. c. Evitare che l’infortunato vomiti, col rischio di danneggiare ulteriormente le pareti dell’esofago e


della bocca. 15 In caso di coliche renali è meglio: a. In attesa del medico è consigliabile rimanere a riposo a letto, stesi su un fianco, con una borsa d’acqua calda sulla parte dolente. b. Chiamare immediatamente i soccorsi: è necessario intervenire chirurgicamente con la massima urgenza. c. In attesa del medico fare in modo che l’infortunato beva molti liquidi gasati per evitare di andare incontro a un blocco renale. 16 In caso di colpo di calore è necessario: a. Avvolgere in una coperta di lana l’infortunato in modo da mantenere la temperatura corporea a circa 37 C°, isolandolo dall’ambiente circostante più caldo. Evitare che beva mentre è sudato. b. Porre l’infortunato in acqua molto fredda (vasca da bagno, piscina, mare) e somministrargli bevande ghiacciate. c. Condurre l’infortunato in un luogo fresco e ventilato, raffreddarlo con impacchi di acqua fresca ma non troppo fredda e farlo bere. 17 In caso di coma è bene: a. In attesa dei soccorsi somministrare ossigeno ad alti dosaggi o procedere con la respirazione artificiale. b. Chiamare immediatamente i soccorsi e porre l’infortunato in posizione di sicurezza, slacciare gli indumenti che lo costringono, coprirlo e controllare costantemente che le funzioni vitali siano presenti. c. Chiamare i soccorsi urgentemente e cercare di svegliare l’infortunato con stimoli sonori, scossoni e stimoli fisici (pizzicotti o piccoli schiaffi). 18 Cos’è una commozione cerebrale? a. È un profondo stato di malinconia che spesso precede le crisi isteriche. b. Consiste in una perdita di conoscenza, generalmente transitoria e reversibile, che non produce danni permanenti ma può degenerare in coma. c. È una lesione al cervello provocata o da un’emorragia o da un’occlusione da parte di un trombo o di un embolo che si manifesta generalmente con un’emiparesi. 19 In caso di congestione cerebrale è meglio: a. In attesa dei soccorsi, porre l’infortunato in posizione antishock. b. Coprire l’infortunato e tenerlo bene al caldo, somministrandogli bevande calde, ma non alcoliche. c. In attesa del medico è bene che l’infortunato stia seduto, con il capo sollevato, con una borsa di ghiaccio in testa e qualcosa di caldo sui piedi. 20 In caso di contusioni, ematomi o ecchimosi è preferibile: a. Applicare degli impacchi di ghiaccio per indurre una vasocostrizione ed eventualmente un


bendaggio non stretto. b. Medicare le parti contuse applicando dei cerotti, dopo aver bene disinfettato le escoriazioni con l’alcol. c. Applicare una fasciatura piuttosto stretta sulla parte contusa per provocare una vasocostrizione. 21 Le convulsioni possono comparire: a. Durante una crisi epilettica e in seguito a un’eccessiva febbre. b. Durante uno stato di coma e nel caso di ictus. c. Durante una crisi isterica e in caso di addominalgie acute. 22 In caso di crisi isterica è meglio: a. Tentare di immobilizzare il soggetto per evitare che si ferisca a causa delle forti convulsioni. b. Isolare il soggetto dagli spettatori per demotivarlo nella sua manifestazione. Trattenerlo in modo deciso e dimostrare comprensione e fermezza. c. Assestare un paio di schiaffi in faccia, con decisione ma senza provocare dei traumi. 23 Se un soggetto diabetico ha una crisi e rischia di entrare in coma: a. Bisogna somministrare urgentemente l’insulina, per abbassare il tasso di zuccheri presenti nel sangue. b. Poiché il coma diabetico o ipoglicemico è causato da un abuso di insulina che abbassa il tasso degli zuccheri presenti nel sangue, bisogna somministrare urgentemente dello zucchero. c. Bisogna individuare immediatamente se si tratta di una crisi ipoglicemica o iperglicemica, per somministrare rispettivamente zuccheri o insulina. 24 In caso di forte diarrea: a. È necessario bere più del solito per compensare la disidratazione e le perdite dei liquidi. b. Bisogna assolutamente evitare di bere, perché in queste condizioni i liquidi non vengono assorbiti e la loro ingestione aumenta l’evacuazione e il problema. c. È consigliabile mangiare abbondantemente e bere poco: in questo modo le feci divengono più consistenti e lo stimolo all’evacuazione diminuisce. 25 Una distorsione è: a. La momentanea fuoriuscita dalla sua sede articolare di un osso, che vi rientra immediatamente dopo. b. La fuoriuscita di un osso da un’articolazione. c. Uno strappo o una contusione dei legamenti e dei tessuti muscolari, per lo più causata da un evento traumatico. 26 In caso di edema polmonare acuto: a. Chiamare immediatamente il medico per un ricovero in ospedale. L’edema polmonare, infatti, è pericoloso perché degenera quasi sempre in polmonite.


b. Distendere l’infortunato in posizione antishock, per agevolare l’afflusso di sangue al cervello e condurlo in ospedale. c. Tenere l’infortunato immobile in posizione semiseduta per agevolare la respirazione. Chiamare urgentemente i soccorsi e somministrare ossigeno ad alti dosaggi. 27 Cos’è l’ematemesi? a. La fuoriuscita di sangue dall’orecchio o dal naso. Implica la presenza di un’emorragia o una lesione a livello cranico. b. La fuoriuscita di sangue dalla bocca con il vomito. Implica la presenza di un’emorragia dello stomaco o dell’esofago. c. La fuoriuscita di sangue dall’ano e dall’orifizio urinario. Implica la presenza di un’emorragia intestinale o renale. 28 Cos’è l’ematuria? a. La perdita di sangue dal naso in seguito a una rottura di capillari. b. L’espulsione di sangue attraverso le urine, in seguito a un’emorragia renale, della vescica o dell’uretra. c. La fuoriuscita di sangue attraverso gli orifizi naturali – naso, bocca, orecchie, sfinteri – in seguito a un’emorragia interna. 29 Cos’è l’embolia? a. Un’ostruzione parziale o totale di un vaso sanguigno per opera di un embolo solido, liquido o gassoso che produce disturbi circolatori locali o generali. b. Una malattia che colpisce frequentemente i sommozzatori che si spingono a una profondità eccessiva, dove, a causa della pressione, si verifica una rottura dei vasi sanguigni. c. Un’occlusione degli alveoli polmonari per opera degli emboli, bolle di ossigeno e anidride carbonica che in condizioni particolari non riescono a essere espulsi attraverso la respirazione. 30 Nelle emorragie: a. Il sangue esce in modo continuo se l’emorragia interessa i capillari, a fiotti se è venosa o arteriosa. b. Il sangue esce in modo continuo se l’emorragia è arteriosa, a fiotti se è venosa. c. Il sangue esce in modo continuo se l’emorragia è venosa, a fiotti se è arteriosa. 31 Cos’è un’emorragia cerebrale? a. Una rottura di un vaso sanguigno nella zona del cervello che può avvenire per cause traumatiche o patologiche. b. Una fuoriuscita di sangue dalla bocca, dall’orecchio o dal naso. c. Una lesione del cervello che si esteriorizza per eventi traumatici. 32 Cos’è un’emorragia esteriorizzata? a. Si definisce esteriorizzata un’emorragia che implica la fuoriuscita del sangue all’esterno del corpo, per esempio in caso di ferite.


b. Si ha quando il sangue, raccolto in una cavità interna del corpo, defluisce attraverso gli orifizi naturali. c. È un’emorragia interna che si può individuare soltanto in base a segni esteriori (pallore e debolezza) o attraverso esami medici sofisticati (TAC, risonanza magnetica…). 33 Cos’è l’emottisi? a. Un’emorragia esteriorizzata che consiste nella fuoriuscita di sangue di colore rosso vivo e schiumoso dalla bocca attraverso colpi di tosse. b. Il tamponamento di una ferita o di un’emorragia. c. Una patologia dell’apparato renale e urinario. 34 In una crisi epilettica: a. L’infortunato perde conoscenza e cade a terra, frequentemente in preda alle crisi convulsive. b. L’infortunato non perde mai coscienza, le convulsioni e le grida sono di origine nervosa e psichica, non fisica. c. L’infortunato è colpito da violenti dolori muscolari che gli provocano movimenti spasmodici e il rischio di un arresto respiratorio. 35 Quando esce il sangue dal naso conviene: a. rovesciare la testa all’indietro per arginare l’emorragia. b. Tappare dall’interno la narice interessata con un batuffolo di cotone e spingerlo verso l’alto. c. Sedersi con la testa reclinata in avanti per far defluire il sangue e comprimere esternamente la narice. 36 Cos’è l’iperpiressia? a. Una patologia che consiste nell’eccessiva pressione arteriosa. b. Un eccessivo sforzo e rigonfiamento della ghiandola tiroide. c. Il termine scientifico per indicare la febbre. 37 In caso di ferite all’addome: a. rimuovere immediatamente i corpi estranei, se sono ancora in sede, e somministrare da bere all’infortunato che ha bisogno di rimpiazzare i liquidi persi. b. Non rimuovere i corpi estranei se sono in sede, ma fasciare la parte. Non dare mai da bere all’infortunato anche se lo richiede insistentemente. c. Non rimuovere i corpi estranei se sono ancora in sede e somministrare da bere all’infortunato che ha bisogno di rimpiazzare i liquidi persi. 38 In caso di folgorazione: a. Se l’infortunato è ancora attaccato alla fonte elettrica bisogna immediatamente allontanarlo con una spinta rapida, decisa e forte. b. Se l’infortunato è ancora attaccato alla fonte elettrica, bisogna allontanarlo dopo essersi isolati con


cattivi conduttori (guanti di lana, stracci bagnati…) e servendosi di oggetti di legno o metallici (scope, ombrelli…). c. Se l’infortunato è ancora attaccato alla fonte elettrica, prima di intervenire bisogna staccare la corrente. 39 In caso di frattura esposta: a. Chiamare urgentemente i soccorsi e tentare rapidamente di far rientrare la frattura tenendo in trazione la parte e cercando di rimettere in asse i monconi che fuoriescono. b. In attesa dei soccorsi coprire la ferita con teli sterili e porre l’infortunato in posizione antishock, dopo aver immobilizzato la parte fratturata per impedire i movimenti e le ulteriori lacerazioni. c. Chiamare i soccorsi, non spostare l’infortunato. Fasciare la parte in modo stretto utilizzando, bende sterili; se non si possiedono si possono usare stracci o vestiti per arginare l’emorragia. 40 In caso di ictus: a. In attesa dei soccorsi, sdraiare l’infortunato con il capo sollevato per diminuire l’afflusso di sangue al cervello. Tenere sotto controllo le funzioni vitali. b. In attesa dei soccorsi porre immediatamente l’infortunato in posizione antishock per irrorare il cervello. Tenere sotto controllo le funzioni vitali. c. In attesa dei soccorsi, se il paziente è ancora cosciente, somministrargli bevande e liquidi. Se non è cosciente fare degli impacchi freddi sui piedi. 41 Cos’è l’idrofobia? a. Una patologia non contagiosa nota anche col nome di botulismo. b. Un disturbo psichico che consiste nella paura di annegare nell’acqua. c. Una malattia contagiosa nota anche col nome di rabbia. 42 In caso di sospetto infarto cardiaco: a. In attesa dei soccorsi tranquillizzare l’infortunato, evitargli ogni minimo sforzo, mantenerlo in posizione semiseduta, controllare costantemente le funzioni vitali. b. In attesa dei soccorsi, procedere immediatamente al massaggio cardiaco e alla respirazione artificiale. Queste manovre sono efficaci se iniziate subito. c. In attesa dei soccorsi mantenere l’infortunato sdraiato a pancia in giù e controllare in questo modo le funzioni vitali. 43 In caso di febbre molto alta (40 C°): a. rimanere a letto, assumere degli antibiotici e chiamare il medico. b. Assumere degli antipiretici, rimanere a letto ben coperti cercando di sudare, e chiamare il medico. c. In attesa di una visita medica abbassare la temperatura con antipiretici e raffreddare la superficie del corpo scoprendosi e applicando impacchi freschi. 44 Come si trasmette la leptospirosi? a. Il virus della leptospirosi si trasmette per via aerea, il contagio avviene come nella maggior parte


dei virus influenzali. b. Le leptospire vengono eliminate attraverso gli escrementi e le urine e sono in grado di vivere a lungo in ambienti favorevoli come l’acqua. Il contagio avviene attraverso il contatto con abrasioni della cute o attraverso le mucose. c. Il contagio e la trasmissione delle leptospire avviene attraverso il morso di animali contagiosi. 45 In caso di lipotimia: a. Fare rinvenire l’infortunato attraverso stimoli acustici (chiamarlo) e fisici (scossoni e schiaffi). Per farlo riprendere si può anche fargli annusare dell’aceto o bagnarlo con acqua fredda. b. Porre l’infortunato in posizione antishock. Slacciare gli indumenti che possono costringere, evitare che si alzi immediatamente non appena si riprende. c. Cercare di sollevare l’infortunato, sorreggerlo e metterlo in posizione seduta. Non appena riprende i sensi fargli bere qualcosa di forte come un superalcolico, ma non in grande quantità. 46 Cos’è una lussazione? a. La lussazione si verifica quando, per un trauma o un falso movimento, un capo articolare esce momentaneamente dalla sua articolazione per ritornare al suo posto subito dopo. b. La lussazione si verifica quando, per un trauma o un falso movimento, un capo articolare esce dalla sua articolazione senza tornare al suo posto. c. La lussazione si verifica quando, per un trauma o un falso movimento, un capo articolare esce dalla sua articolazione ledendo muscoli e tendini. Talvolta il capo articolare ritorna nella sua sede, talvolta rimane fuori. 47 Cos’è la melena? a. La melena è un’emorragia esteriorizzata che consiste in una fuoriuscita di sangue dall’ano insieme alle feci. Se il sangue fuoriesce a zampilli la melena è arteriosa, se fuoriesce in modo continuo è venosa. b. La melena è un’emorragia esteriorizzata che consiste in una fuoriuscita di sangue dall’ano insieme alle feci. L’aspetto del sangue è di colore rosso vivo. La causa è un’emorragia presente nello stomaco, nel duodeno, nell’intestino o nel retto. c. La melena è un’emorragia esteriorizzata che consiste in una fuoriuscita di sangue dall’ano insieme alle feci. L’aspetto del sangue è di colore scuro. La causa è un’emorragia presente nello stomaco, nel duodeno o nell’intestino. 48 Cos’è una metrorragia? a. Un’emorragia esteriorizzata dalla vagina in seguito a lesioni o patologia dell’apparato genitale femminile o maschile. b. Un’emorragia esteriorizzata dalla vagina in seguito a lesioni o patologia dell’apparato genitale femminile. c. Un’emorragia esteriorizzata dalla vagina periodica che avviene ogni 28 giorni a meno che la donna non sia incinta o in menopausa.


49 In caso di morso di vipera a una mano è meglio: a. Bloccare la circolazione venosa e linfatica del braccio e dell’avambraccio con una fasciatura molto stretta o con un laccio emostatico non troppo stretto al braccio. b. Incidere la ferita a croce, succhiare per asportare il veleno e porre un laccio emostatico sul braccio. c. Spremere la ferita per far uscire il veleno e applicare un laccio emostatico sull’avambraccio. 50 L’occlusione intestinale è: a. Una patologia intestinale che nella fase acuta è molto grave. b. Un disturbo abbastanza comune che si può risolvere con l’assunzione di un purgante. c. Una forma acuta di stitichezza che produce coliche e calcoli. 51 L’otorragia è: a. Una grave infezione dell’apparato auricolare che si manifesta con improvviso abbassamento dell’udito e vertigini. b. Un’emorragia esteriorizzata che consiste nella fuoriuscita di sangue dall’orecchio in seguito a traumi cranici o dell’orecchio stesso. c. Un’ostruzione dei canali dell’orecchio per il cerume che se trascurata degenera in otite. 52 In caso di palpitazioni: a. In attesa dei soccorsi, somministrare ossigeno in alto dosaggio. Alle palpitazioni spesso segue un attacco cardiaco. b. Chiamare i soccorsi o recarsi urgentemente in ospedale per un elettroencefalogramma. c. Non bisogna farsi prendere dallo spavento, raramente questo fenomeno è collegato a reali cardiopatie. Consultare un medico. 53 Se una donna sta partorendo: a. Il soccorritore deve aiutare la madre a espellere il feto, comprimendo l’addome della donna con una mano, mentre con l’altra deve tirare verso l’esterno il capo del bambino. b. Il soccorritore non deve cercare di estrarre il feto, né comprimere l’addome della madre, limitandosi a sorreggere il capo e poi il corpo del nascituro. c. Il soccorritore deve attendere la fuoriuscita naturale del nascituro e intervenire recidendo il cordone ombelicale appena possibile per poter fare respirare il bambino. 54 In caso di perdita di coscienza: a. Bisogna controllare le funzioni vitali e individuare le cause. In generale è consigliabile porre l’infortunato in posizione antishock, a meno che non si tratti di ictus o congestione cerebrale. Chiamare i soccorsi. b. Non cercare mai di far rinvenire l’infortunato che se si riprende improvvisamente può entrare in stato di shock. Controllare le funzioni vitali, chiamare i soccorsi e attendere che l’infortunato si riprenda da sé.


c. In attesa dei soccorsi, slacciare gli indumenti che possono costringere, porre l’infortunato in posizione semiseduta per agevolare la respirazione e cercare di svegliarlo con pizzicotti e stimoli acustici. 55 Cos’è la peritonite? a. La fase acuta dell’appendicite che, quando diventa peritonite, deve essere operata e non più curata con farmaci. b. Un’infiammazione del peritoneo che degenera facilmente in appendicite, se non è curata o operata in modo tempestivo. c. L’infiammazione acuta del peritoneo, la membrana che avvolge gli organi dell’addome. 56 In caso di una puntura di vespa sulla lingua è meglio: a. Tamponare con un batuffolo imbevuto di limone o di aceto e consultare il medico. b. Lavare la parte con acqua e sapone, disinfettare con l’acqua ossigenata (mai con l’alcol) e recarsi urgentemente al pronto soccorso. c. Porre sulla base della lingua il manico di un cucchiaino o un bastoncino di legno per agevolare la respirazione e recarsi in pronto soccorso. 57 Come si trasmette la rabbia? a. La rabbia si trasmette attraverso il morso di un animale infetto. Tuttavia, anche la carne di un animale infetto, se per mancanza di controlli viene ingerita, può far insorgere la malattia nell’uomo. b. Solitamente il contagio avviene attraverso il morso di un animale. Il virus è presente nella saliva e viene trasmesso attraverso il contatto con il sangue. Ma anche le mucose – per esempio gli occhi o la bocca – possono costituire un ingresso del virus. c. La rabbia si trasmette all’uomo essenzialmente attraverso il contatto con gli escrementi degli animali infetti. Il virus, in ambienti favorevoli come l’acqua, trova terreno fertile e si moltiplica. È perciò sconsigliabile fare bagni nei laghi e negli stagni se si hanno delle ferite. 58 Cosa determina uno stato di shock? a. Lo shock è uno stato di prostrazione che insorge in seguito a un trauma psichico o a un grave spavento. Se non curato tempestivamente può degenerare in shock anafilattico. b. Lo shock può essere causato da una reazione ai farmaci antistaminici (shock anafilattico) oppure da un improvviso calo della pressione venosa per cause patologiche. c. Lo shock si può verificare per un’emorragia, per un’improvvisa vasodilatazione che fa calare la pressione e l’irrorazione sanguigna, per una diminuzione della gittata cardiaca, per una grave reazione allergica (shock anafilattico). 59 Cos’è una sincope? a. L’improvvisa e totale perdita di coscienza con arresto del respiro e del cuore. b. Il più diffuso sintomo di un imminente infarto miocardico. c. Uno svenimento improvviso che avviene per improvvisi traumi emotivi o per cause patologiche.


60 Una persona ha un braccio schiacciato sotto un grave peso: a. Il soccorritore deve immediatamente rimuovere il peso che costringe l’infortunato e, valutata la gravità delle ferite, se l’emorragia è incontenibile deve apporre subito un laccio emostatico. Altrimenti è meglio evitare: il laccio dopo 30 minuti provoca la necrosi dei tessuti. b. Il soccorritore, prima di rimuovere l’infortunato, deve applicare un laccio emostatico al braccio, per evitare che la rimozione provochi un’imponente emorragia e per evitare che la mioglobina vada in circolo. c. Il soccorritore non deve mai mettere il laccio emostatico. In caso di schiacciamento i tessuti sono già stati compressi a lungo e bisogna al contrario favorire la circolazione. 61 Per evitare il tetano: a. Poiché la vaccinazione e il siero presentano notevoli rischi ed effetti collaterali è bene, in caso di ferite profonde, tenere sotto controllo la parte per almeno due mesi. Se durante questo periodo si dovessero presentare i classici segni dell’insorgenza dell’infezione, si farà sempre in tempo a inoculare il vaccino. b. In caso di ferite profonde, soprattutto se provocate da oggetti sporchi, terrosi o arrugginiti è importante la prevenzione dell’infezione attraverso il vaccino o il siero che va inoculato nell’organismo entro le 24 ore dal ferimento. c. Nelle sei ore successive alla ferita, se si manifestano febbre, spasmi e convulsioni, l’infortunato va immediatamente portato al pronto soccorso per il vaccino. 62 Se un trauma cranico provoca una lesione al cervello: a. In presenza di una lesione al cervello, permanente o reversibile, l’infortunato presenta sempre anisocoria, cioè asimmetria dei diametri pupillari. b. In presenza di una lesione al cervello l’infortunato vomita e presenta un’emiplegia: paralisi parziale o totale di una metà del corpo. c. L’infortunato perde coscienza e, quando si riprende, non riesce a parlare (afasia). 63 In caso di ustioni: a. Poiché il calore uccide tutti i batteri, le ustioni, difficilmente sono soggette a infezioni. Per questo non bisogna mai disinfettare un’ustione con l’alcol. b. Sono molto soggette alle infezioni. Bisogna sempre ricoprire la parte con appositi teli e garze sterili e, se si manifestano le classiche bolle, non bisogna mai bucarle. c. Le ustioni vanno medicate con garze sterili. Quando, successivamente, si manifestano le classiche bolle bisogna tempestivamente bucarle per far uscire il siero. 64 Cos’è una lipotimia? a. Una patologia virale che colpisce la cistifellea. b. Una forma benigna di leucemia che coinvolge il sistema linfatico. c. Una perdita di coscienza causata da una cattiva irrorazione (e quindi ossigenazione) cerebrale per calo della pressione arteriosa.


65 Davanti a un incidente stradale o a un malore in strada, per legge: a. Il cittadino ha l’obbligo di intervenire avvisando le autorità competenti, altrimenti incorre nel reato di omissione di soccorso. b. Il cittadino ha l’obbligo di intervenire direttamente con manovre di soccorso e di assistenza, altrimenti incorre nel reato di omissione di soccorso. c. Il cittadino per non incorrere nel reato di omissione di soccorso ha l’obbligo di intervenire soltanto se ha provocato l’incidente.


92. TEST DI VERIFICA: LE TECNICHE DI PRIMO SOCCORSO 66 In caso di un’incontenibile emorragia al polso: a. Applicare un laccio emostatico al braccio. b. Applicare un laccio emostatico sotto al polso, verso la mano. c. Applicare un laccio emostatico all’avambraccio. 67 Il massaggio cardiaco: a. Se l’infortunato presenta anche un arresto respiratorio deve essere intervallato dalla respirazione artificiale, altrimenti no. b. Deve essere sempre intervallato dalla respirazione artificiale. c. Non deve mai essere intervallato dalla respirazione artificiale. 68 La respirazione bocca a bocca: a. Deve essere effettuata con 15/20 insufflazioni al minuto. b. Deve essere effettuata con 30/40 insufflazioni al minuto. c. Deve essere effettuata con 50/60 insufflazioni al minuto. 69 La respirazione artificiale: a. Deve essere sempre intervallata dal massaggio cardiaco. b. Non deve mai essere intervallata dal massaggio cardiaco. c. Se l’infortunato presenta anche un arresto cardiaco deve essere intervallata dal massaggio cardiaco, altrimenti no. 70 La manovra di heimlich è: a. Una tecnica per l’estrazione rapida del nascituro durante il parto mediante taglio cesareo. b. Una tecnica di respirazione artificiale che prevede delle compressioni della gabbia toracica e dei movimenti degli arti superiori. c. Una tecnica per liberare le vie aeree ostruite da un corpo estraneo che consiste in una violenta compressione alla bocca dello stomaco. 71 Per trasportare un sospetto infartuato per le scale è bene: a. Se l’infortunato è cosciente, farlo scendere con le sue gambe, molto lentamente e sostenendolo, per agevolare la circolazione sanguigna. b. Se l’infortunato è cosciente, trasportarlo utilizzando una sedia da cucina. c. Se l’infortunato è cosciente, trasportarlo tenendolo sdraiato, utilizzando un telo o una barella, che si possono improvvisare con un piano rigido, una scala o una coperta. 72 La posizione laterale di sicurezza è utile: a. Quando l’infortunato è incosciente.


b. Quando l’infortunato è cosciente. c. Quando l’infortunato presenta delle lesioni alla colonna vertebrale. 73 In quale caso bisogna evitare la posizione antishock? a. Se l’infortunato ha perso i sensi. b. Se l’infortunato ha una grave emorragia a una gamba. c. Se l’infortunato ha un ictus, un’emorragia alla testa o una congestione celebrale. 74 Perché la frattura alla colonna vertebrale è molto pericolosa? a. Perché, data la vicinanza con il cuore, si rischia che i frammenti delle ossa possano ferirlo o che le schegge possano entrare in circolo con il sangue creando emboli e trombi. b. Perché se viene leso il midollo spinale si va incontro a un danno irreversibile, che può portare alla paralisi o alla morte. c. Perché la colonna vertebrale, al contrario delle ossa degli arti, non può venire ingessata e fatica molto a calcificare. 75 Nel massaggio cardiaco, quante compressioni bisogna effettuare al minuto? a. 100, tre ogni due secondi. b. 60/70, come i battiti del cuore in condizioni normali. c. 30, una ogni due secondi.


93. SOLUZIONI AI TEST DI VERIFICA IL CORPO UMANO 1 B 2 A 3 A 4 C 5 C 6 A 7 A 8 C COSA FARE IN CASO DI… 9 B 10 A 11 B 12 C 13 B 14 C 15 A 16 C 17 B 18 B 19 C 20 A 21 A 22 B 23 C 24 A 25 A 26 C 27 B 28 B 29 A 30 C 31 A


32 B 33 A 34 A 35 C 36 C 37 B 38 C 39 B 40 A 41 C 42 A 43 C 44 B 45 B 46 B 47 C 48 B 49 A 50 A 51 B 52 C 53 B 54 A 55 C 56 C 57 B 58 C 59 A 60 B 61 B 62 A 63 B 64 C 65 A LE TECNICHE DI PRIMO SOCCORSO


66 A 67 B 68 A 69 C 70 C 71 B 72 A 73 C 74 B 75 A


APPENDICI


COSA METTERE NELLA CASSETTA DEL PRONTO SOCCORSO Per quanto riguarda il Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, all’interno del quale è confluita la legge 626 del 1994, può essere utile dare uno sguardo alle disposizioni che regolamentano il contenuto minimo della cassetta di pronto soccorso e del pacchetto di medicazione che devono essere presenti nelle aziende, a seconda delle tipologie in cui la legge le classifica. Di seguito riportiamo gli allegati 1 e 2 del Regolamento recante disposizioni sul pronto soccorso aziendale, in attuazione dell’articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 e successive modificazioni, tratto dalla Gazzetta Ufficiale n. 27 del 3 Febbraio 2004 (Ministero della Salute, decreto 15 luglio 2003, n. 388).

CONTENUTO MINIMO DELLA CASSETTA DI PRONTO SOCCORSO Guanti sterili monouso (5 paia) Visiera paraschizzi Un flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio da 1 litro Flaconi di soluzione fisiologica (sodio cloruro 0,9%) da 500 ml (3) Compresse di garza sterile 10x10 in buste singole (10) Compresse di garza sterile 18x40 in buste singole (2) Teli sterili monouso (2) Pinzette da medicazione sterili monouso (2) Una confezione di rete elastica di misura media Una confezione di cotone idrofilo Confezioni di cerotti di varie misure pronti all’uso (2) Rotoli di cerotto alto cm 2,5 (2) Un paio di forbici Lacci emostatici (3) Confezioni di ghiaccio pronto uso (2) Sacchetti monouso per la raccolta di rifiuti sanitari (2) Termometro Apparecchio per la misurazione della pressione arteriosa

CONTENUTO MINIMO DEL PACCHETTO DI MEDICAZIONE Guanti sterili monouso (2 paia) Un flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio da 125 ml Un flacone di soluzione fisiologica (sodio cloruro 0,9%) da 250 ml


Compresse di garza sterile 10x10 in buste singole (3) Compresse di garza sterile 18x40 in buste singole (1) Pinzette da medicazione sterili monouso Una confezione di cotone idrofilo Una confezione di cerotti di varie misure pronti all’uso Un rotolo di cerotto alto cm 2,5 Un rotolo di benda orlata alta cm 10 Un paio di forbici Un laccio emostatico Una confezione di ghiaccio pronto uso Un sacchetto monouso per la raccolta di rifiuti sanitari Istruzioni sul modo di usare i presidi suddetti e di prestare i primi soccorsi in attesa del servizio di emergenza


COSA FARE IN CASO DI TERREMOTO L’Italia presenta molte zone ad alto rischio sismico, anche se la pericolosità dei terremoti è legata soprattutto al modo in cui gli edifici sono stati costruiti, più che all’effettiva forza dell’evento. Basti pensare che Paesi come il Giappone, in cui i terremoti sono all’ordine del giorno, resistono a scosse di gran lunga più intense rispetto a quelle che hanno colpito L’Aquila (2009) e l’Emilia-Romagna (2012), riportando meno danni a cose e persone. Questo accade perché gli edifici sono costruiti in modo da sopportare eventi sismici che nel nostro Paese sarebbero a dir poco catastrofici. Prevenzione. Non è possibile prevedere dove e quando si può manifestare un terremoto. Esiste una classificazione delle zone a rischio e, a seconda del territorio, è sempre bene informarsi su quali misure siano previste in caso di emergenza. Ci sono degli accorgimenti che si possono mettere in pratica per una maggiore sicurezza. Nell’arredare una casa, per esempio, è sempre meglio fissare al muro gli arredi più pesanti e alti, come le librerie, ed evitare di tenere oggetti di un certo peso sugli scaffali perché potrebbero cadere. È anche importante sapere dove si trovano i rubinetti di gas e acqua e i contatori della luce per poterli chiudere rapidamente in caso di emergenza. Durante un terremoto. Se si è in un luogo chiuso bisogna cercare di mettersi al riparo da eventuali crolli, per esempio riparandosi sotto un tavolo, un letto o nel vano di una porta di un muro portante (i più solidi). È importante stare lontani da finestre, vetri o mobili che potrebbero cadere. Durante la scossa è bene evitare di precipitarsi per le scale per fuggire, spesso sono le strutture più fragili di un edificio e sono più soggette ai crolli. In ogni caso non si deve mai prendere l’ascensore che può rimanere bloccato, anche a causa delle interruzioni di corrente elettrica. La cosa migliore è attendere la fine della scossa in un luogo il più possibile sicuro e, in caso di crolli e danni, abbandonare lo stabile subito dopo. Dopo la prima scossa, infatti, se ne possono succedere molte altre che – anche se lo sciame sismico di assestamento è solitamente di un’intensità minore – possono amplificare i danni alle strutture e determinare anche in un secondo momento crolli importanti di edifici che in un primo tempo avevano resistito. Prima di abbandonare l’abitazione è bene chiudere i contatori della luce e i rubinetti di gas e acqua, in modo da prevenire corto circuiti, fughe di gas e allagamenti. ATTENZIONE! È consigliabile iniziare l’evacuazione solo dopo aver indossato gli abiti adeguati: meglio evitare di scappare precipitosamente in pigiama in pieno inverno. E calzare delle scarpe robuste: cocci, vetri e crolli rendono i percorsi insidiosi. Se ci si trova in automobile, la cosa migliore è rallentare e dirigersi verso uno spazio aperto allontanandosi il più possibile da edifici, ponti, linee elettriche e tutto ciò che potrebbe crollare. La stessa cosa vale anche se si è a piedi, cercando di evitare i terreni franosi, i margini degli strapiombi e le zone sottostanti a questi.


COSA FARE IN CASO DI ERUZIONE VULCANICA Prevenzione. L’Etna e il Vesuvio, ma anche altre realtà vulcaniche concentrate soprattutto nell’Italia meridionale, interessano un’enorme fascia di abitanti e di edifici esposti a rischio, in caso di eruzioni. Chi vive in queste zone deve essere ben informato sui piani di emergenza previsti dal proprio comune in modo da seguirli per l’eventuale evacuazione; inoltre deve rispettare i comportamenti indicati dalle autorità di protezione civile. Durante un’eruzione. È sempre fondamentale tenersi lontani dalle colate di lava che, anche se scorrono lentamente, possono sprigionare gas tossici o dare luogo a improvvise esplosioni di materiale incandescente. In caso di colate piroclastiche bisogna prepararsi ad abbandonare le aree dove è previsto che la lava possa arrivare distruggendo ogni cosa. Quando l’eruzione presenta le cosiddette “bombe vulcaniche”, ovvero l’espulsione violenta di masse incandescenti a grandi distanze, rimanere negli edifici non costituisce un rifugio sicuro. Non resta che prepararsi all’evacuazione seguendo i piani di emergenza. ATTENZIONE! Poiché durante i momenti di crisi spesso si diffondono informazioni distorte e fuorvianti, è sempre necessario seguire le indicazioni che vengono diramate dalla protezione civile attraverso televisione, radio, Internet o gli appositi numeri verdi. In caso di eruzione bisogna sempre rispettare i divieti di accesso alle aree interessate. Bisogna anche tenere presente il pericolo delle emissioni gassose che possono interessare le aree colpite o le vicinanze dei crateri. L’anidride carbonica è un gas inodore più pesante dell’aria, quindi può saturare l’ambiente e, in grandi concentrazioni, risultare letale. La caduta di ceneri vulcaniche che si è registrata più volte per esempio nella zona di Catania durante le ultime eruzioni è un fenomeno meno preoccupante che non costituisce un’emergenza. Tuttavia, quando si manifesta per periodi prolungati, bisogna tenere presente che può provocare dei disturbi all’apparato respiratorio, anche se moderati, o delle irritazioni agli occhi. Meglio prendere delle precauzioni, soprattutto per chi è affetto da patologie croniche dell’apparato respiratorio (dall’asma all’enfisema) e nel caso di anziani e bambini: rimanere in casa con porte e finestre chiuse; quando si esce all’aperto meglio proteggersi con apposite mascherine e occhiali che trattengono le polveri. In caso di contatto delle ceneri con gli occhi bisogna lavarli abbondantemente con l’acqua, evitando di strofinarli con il rischio di procurarsi abrasioni della cornea. Anche frutta, verdura e altri alimenti esposti all’aria dovranno essere lavati con cura. Infine, è bene cercare di rimuovere le ceneri che si accumulano sui tetti, per evitare sovraccarichi che possono provocare crolli senza però disperderle per strada: tornerebbero in circolo nell’aria. Bisogna invece metterle in sacchetti sigillati che si dovranno depositare negli appositi punti di raccolta indicati dalle amministrazioni locali.


COSA FARE IN CASO DI INCENDIO Prevenzione. Da qualche decennio, da quando la presenza degli estintori nei luoghi di lavoro e pubblici è stata resa obbligatoria per legge, il numero degli incendi domestici è decisamente diminuito. La tempestività per evitare la propagazione del fuoco è infatti importantissima. Per quanto riguarda gli incendi all’interno degli edifici la prevenzione è fondamentale. Bisogna per esempio fare attenzione alle prese elettriche che, oltre a essere a norma, devono sempre essere sgombre da materiali infiammabili nelle vicinanze, per esempio pile di giornali o libri che possono incendiarsi anche con una scintilla. Nel caso degli incendi boschivi, è risaputo che è pericoloso gettare mozziconi di sigaretta o fiammiferi ancora accesi, accendere fuochi fuori dalle aree attrezzate o bruciare sterpaglie. Ma anche parcheggiare un’automobile con la marmitta calda sopra l’erba alta può sviluppare incendi. In caso di avvistamento di un incendio è sempre necessario segnalarlo ai Vigili del Fuoco, al numero 115, in modo tempestivo. Durante un incendio. All’interno di un edificio è sempre importante arginare il fuoco da subito, prima che si propaghi, utilizzando estintori, soffocandolo con coperte e cercando di isolarlo allontanando dalle fiamme tutti i materiali che possono facilmente incendiarsi. ATTENZIONE! Non bisogna mai usare dell’acqua per spegnere un incendio che interessa delle apparecchiature elettriche: si rischia la folgorazione. È poi indispensabile chiudere immediatamente i rubinetti del gas, per evitare esplosioni, e staccare la corrente elettrica. Se l’incendio si è ormai propagato e non è arginabile, bisogna fuggire e mettersi al sicuro. In caso di evacuazione non si devono mai utilizzare gli ascensori e le scale, bensì usare quelle antincendio o, se possibile, calarsi dalle finestre. Nell’attraversare i locali, bisogna fare estremamente attenzione al fumo, che spesso porta al soffocamento ed è la principale causa di morte, più che al fuoco vero e proprio. La combustione di sostanze plastiche e degli oggetti quotidiani, infatti, produce un fumo denso e tossico che limita anche la visibilità. In questi casi ci si può allontanare a carponi così, visto che il fumo caldo tende verso l’alto, sarà più facile respirare. E nell’attraversare locali in fiamme bisogna avvolgersi in coperte bagnate per proteggersi il più possibile. È importante chiudere le porte di ogni locale, per isolare al meglio le zone interessate e rallentare la propagazione delle fiamme. Aprire le porte è sempre pericoloso: possono creare delle improvvise fiammate, correnti e colonne di fumo. ATTENZIONE! Se una maniglia è molto calda, significa che nella stanza adiacente l’incendio si è già sviluppato. In questo caso è necessario usare la massima circospezione. Se le uscite sono bloccate bisogna attendere i soccorsi per esempio rifugiandosi in bagno, dove l’acqua abbonda, coprendosi il viso e il corpo con stracci bagnati e cercando di tappare tutte le fessure da cui può entrare il fumo. In caso di incendi boschivi, le fiamme, oltre a vedersi, si avvertono dall’odore. Anche in questo caso la


segnalazione ai Vigili del Fuoco o al Corpo forestale (il 1515 è il numero per ogni emergenza ambientale) deve essere tempestiva. Se si viene coinvolti da un incendio boschivo, il comportamento migliore è quello di allontanarsi rapidamente andando nella direzione controvento. Se non ci sono alternative, meglio attraversare il fuoco dove è meno intenso e passare sulla parte già bruciata.


COSA FARE IN CASO DI DISASTRI IDROGEOLOGICI Nel nostro Paese capitano di frequente emergenze legate a frane, valanghe, alluvioni, inondazioni e disastri idrogeologici. Alcune di queste catastrofi, per esempio le tracimazioni di fiumi nei periodi di piogge e piene, sono prevedibili e previste: in tal caso bisogna attenersi ai piani di emergenza comunicati dai media e dai numeri verdi predisposti. Altre volte possono accadere del tutto improvvisamente. Alluvioni e inondazioni. Nel caso di preallarme, oltre a seguire le indicazioni delle autorità competenti, è bene cercare di mettere in sicurezza tutto ciò che può deteriorarsi nell’eventualità di un allagamento. Chi abita ai piani alti può prepararsi a ospitare chi si trova a quelli sottostanti. Anche in questo caso, è importante predisporsi a staccare tutti gli impianti elettrici che, a contatto con l’acqua, possono causare corto circuiti e folgorazioni. Durante e dopo le alluvioni, le strade si possono trasformare in veri e propri torrenti in piena che trasportano detriti pericolosi e trascinano via ogni cosa. È necessario mettersi al riparo. Frane. Le frane avvengono spesso in modo repentino, come le colate di fango. Durante piogge violente e temporali è meglio evitare di transitare in zone che in passato sono già state sottoposte a movimenti del terreno. Davanti a una frana che sta sopraggiungendo è consigliabile allontanarsi il più velocemente possibile e cercare di raggiungere un luogo più elevato. Gli edifici e le mura non riescono ad arginarne la forza distruttiva. Se non è possibile fuggire, l’unica alternativa è rannicchiarsi proteggendosi la testa. Dopo una frana bisogna fare attenzione ai crolli, alle fughe di gas e alla rottura di linee elettriche. Valanghe. Durante una valanga la neve tende ad accumularsi nella zona centrale ed è consigliabile tentare una via di fuga laterale. Se si viene travolti bisogna cercare di mantenere uno spazio libero davanti al petto e, nel tentativo di avvicinarsi al margine della valanga, si può provare a muovere braccia e gambe come se si nuotasse, per restare il più possibile in superficie.


Circa l’autore Antonio Zoppetti ha una lunga esperienza come divulgatore. Ăˆ autore multimediale, di libri di saggistica e di narrativa e di numerose pubblicazioni enciclopediche, digitali e su web. Ha inoltre alle spalle molti anni di volontariato come soccorritore.


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