Roma sotterranea

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INDICE Introduzione

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PARTE PRIMA

Capitolo primo

Cos’è la Roma Sotterranea ? 1. 2.

Analisi del fenomeno, cause, tipologie e breve storia I siti archeologici più interessanti, gli enti preposti

p. 9 p. 15

Capitolo secondo Il mondo romano 1. 2.

La vita nell’antica Roma, vista in funzione dei siti visitati Analisi dei siti visitati 2.1. Case 2.2. Anfratti vari 2.3. Mitrei, templi e santuari 2.4. Ninfei, terme e cisterne 2.5. Ipogei sepolcrali

p. 25 p. 27 p. 27 p. 35 p. 37 p. 40 p. 41

PARTE SECONDA

Capitolo terzo

La fruizione dei beni culturali 1. 2. 3. 4.

La crescita della domanda di beni culturali La normativa a favore dei beni culturali L’offerta culturale dal punto di vista numerico e qualitativo I comportamenti del “consumatore” di beni culturali: un’indagine empirica

p. 45 p. 53 p. 60 p. 64

Capitolo quarto

La fruizione dei siti ipogei di Roma: un’indagine sul campo 1.

2.

3.

L’ipotesi originaria, il questionario e il campione dell’indagine 1.1. L’associazione culturale LUPA per l’Archeologia e l’Arte Antica I dati che si ricavano dall’analisi del questionario 2.1. I dati relativi al campione 2.2. L’analisi dei dati relativi alla fruizione dei siti e ai comportamenti di consumo Conclusione

Bibliografia

p. 71 p. 75 p. 76 p. 76 p. 78 p. 85 p. 89

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INTRODUZIONE

g

li ultimi decenni di questo secolo sono stati per la città di Roma fecondi di ricerche e studi scientifici che ne hanno arricchito la problematica d’indagine storica, a tal punto che, in molti casi, hanno dato esito alla scoperta di nuovi luoghi, nuove fasi, nuove

attribuzioni. Monumenti già noti hanno assunto importanza e prospettive diverse; soprattutto quelli relativi alle epoche più antiche - dalle mura romulee ai templi dei re - hanno ricevuto dalle recenti indagini archeologiche nuove e diverse letture interpretative. L’archeologia è senz’altro la grande protagonista della rinascita di Roma e, come tutte le scienze, sposta sempre in avanti il limite delle sue conquiste con affascinante ambiguità: quanto più svela tanto più nasconde, poiché ogni nuova scoperta è da un lato, un monumento di rivelazione, ma è anche il punto di partenza di nuovi dubbi e quindi occasione di nuovi percorsi conoscitivi. A un pubblico sempre più attento alle nuove acquisizioni scientifiche è necessario fornire strumenti di conoscenza aggiornati, che tengano conto dei risultati delle nuove scoperte, nel nostro caso archeologiche, ma con un’attenzione particolare ai modi della comunicazione che dovranno essere sempre al passo con la crescita culturale del pubblico e, nello stesso tempo, in grado di catturare l’interesse e l’attenzione dei giovani. Della Roma archeologica non si finirebbe di scrivere mai, tante sono le testimonianze note e meno note. Anche oggi i Fori, il Palatino, il Colosseo o l’Appia Antica sono luoghi di forte richiamo e mete privilegiate di un turismo culturale che è diventato esigente ed attento ai valori che le testimonianze archeologiche conservano. In un clima di forte ripresa dei consumi culturali, l’Archeologia si pone senz’altro ai primi posti nell’interesse dei cittadini. A questa attenzione

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rinnovata per il patrimonio archeologico fa riscontro un grande impegno dell’Amministrazione dello Stato per moltiplicare e innovare l’offerta di musei e luoghi in grado di offrire una visione a tutto campo delle civiltà del passato e per arricchire il corredo informativo e aumentare, così, il bagaglio individuale di conoscenza della storia e dell’arte delle civiltà che ci hanno preceduto. Roma da questo punto di vista, non può che essere il centro di iniziative particolari. La concentrazione e la stratificazione di resti fondamentali per ricostruire le civiltà dell’occidente non ha eguali nel mondo: tutto il tessuto urbano può essere considerato e divenire concretamente il più grande libro di storia romana esistente. Le vestigia diffuse in modo uniforme disegnano un vero e proprio reticolo che dal cuore della città si diparte a connettere periferie e campagna: sono interi complessi monumentali o preesistenze assimilate in altri monumenti; sono i tracciati stradali militari o le lapidi murate nei palazzi storici; sono le Terme di Traiano, costruite su quel luogo straordinario che è la Domus Aurea neroniana, o le colonne scolpite, gli archi, gli acquedotti. Avvicinare i cittadini a questo sconfinato e straordinario patrimonio millenario con il contributo di chi questi monumenti studia e conserva da anni, sarebbe un’iniziativa importante che contribuirebbe a diffonderne una corretta informazione e conoscenza e a estendere l’interesse culturale. Un’iniziativa che completerebbe l’azione di studio e tutela di luoghi di cui siamo solo custodi e che è nostro dovere precipuo conservare intatti e ammirati per le generazioni future. Accanto alla Roma archeologica che tutti conoscono, densa di monumenti, fori, templi, convive un’antica urbe molto più affascinante e misteriosa: quella Roma nascosta che i turisti, ma anche il cittadino romano, non conoscono e che vorrebbero vedere ma che difficilmente potranno farlo senza un valido supporto scientifico e organizzativo. Lo scopo di questo lavoro è di contribuire a rendere fruibili le scoperte divulgate, nell’ambito di una ristretta cerchia di studiosi, da pubblicazioni

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scientifiche che si occupano di archeologia romana, con particolare riguardo alla Roma ipogea.

Si tratta di un’opera facilitata dalla consistenza di un

patrimonio archeologico talmente ricco, per i temi da trattare, da non lasciare che l’imbarazzo della scelta. Un’opera che, nel contempo, è

doverosa e

necessaria stante la scarsa conoscenza di cui soffre l’incredibile patrimonio monumentale della Roma sotterranea, anche ai fini della sua conservazione e salvaguardia, tenendo conto che il visitabile non è che la minima parte di ciò che si conserva dell’antico splendore dell’Urbe. Un patrimonio di topografia, di arte, di personaggi che può e deve essere trattato esaurientemente per essere messo a disposizione di un pubblico sempre più attratto e affascinato dalla Roma sotterranea e che attende solo di trovare chi realizzi questa mediazione culturale e conoscitiva fra il tesoro archeologico che sta sotto e con coloro che, nel mondo esterno, lo vogliono riscoprire.

Il presente studio, che si articola in quattro capitoli, intende affrontare preliminarmente un’analisi della Roma sotterranea, sia dal punto di vista della consistenza quantitativa, tipologica e storica del fenomeno, che da quello di una mappatura dei siti archeologici più interessanti, degli enti responsabili e della fruibilità di questi stessi siti per il pubblico, anche in considerazione dei problemi di messa in sicurezza dei cantieri e di custodia dei luoghi. Nel secondo capitolo si entrerà maggiormente nel merito della vita nell’antica Roma, al fine di fornire strumenti di conoscenza utili per meglio apprezzare la realtà dei siti oggetto di visita che saranno, a loro volta, descritti. Nel terzo capitolo si allargherà il discorso per affrontare il tema della fruizione dei beni culturali in generale. In effetti, in questi ultimi anni si sta assistendo a una crescita della domanda culturale, legata a condizioni di carattere sociale, che non sempre incontra un’offerta adeguata di beni culturali. Nel capitolo si analizzano i caratteri di questa domanda, gli adeguamenti normativi volti a rendere maggiormente fruibili, anche in senso qualitativo, i beni culturali, l’offerta di questi stessi beni da un punto di vista quantitativo e,

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infine, i comportamenti dei “consumatori” di beni culturali, attraverso un’indagine empirica. Infine, nel capitolo conclusivo, l’attenzione si sposterà sul piano sperimentale, attraverso un’indagine volta a verificare l’effettiva fruizione dei siti ipogei romani da parte di un campione scelto fra un pubblico generico di ipotetici fruitori.

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PARTE PRIMA Capitolo I

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CAPITOLO PRIMO Cos’è la Roma Sotterranea?

1. Analisi del fenomeno, cause, tipologie e breve storia.

p

er secoli i visitatori e gli studiosi di Roma sono rimasti colpiti dalla stratificazione della città preromana, romana, cristiana, medievale, rinascimentale e barocca, dal continuo e mutante aspetto urbanistico e dall’idea della città sulla città. Montaigne

scriveva che «…dall’arco di Settimio Severo è facile capire che siamo a più di due picche sopra il livello antico; e invero si cammina quasi da per tutto sulla sommità dei vecchi muri […]»1. Circa un secolo e mezzo dopo, Montesquieu ribadiva «[…] è facile giudicare di quanto il suolo romano si sia alzato osservando il Colosseo, l’arco di Settimio Severo e il Tulliano, così come la Colonna Traiana infossata di 20 piedi».2 Tra la città ipogea e quella visibile si frappone una epidermide costituita dallo strato di asfalto che invade tutte le superfici non edificate. Al di sotto è un’altra città che va studiata e resa pubblica, un affascinante mondo carico di suggestività e oscurità, silenzi millenari e bui tenebrosi, di odori acri e strani animali. Tutto questo sotto i nostri piedi.

Ma come si è arrivati a una Roma Sotterranea? È difficile spiegarlo in così breve spazio anche perché le cause sono molteplici e tutte di diversa natura. L’abbandono plurisecolare è chiaramente il 1

M. DE MONTAIGNE, Viaggio in Italia, Introduzione di Giovanni Greco, traduzione e note di Ettore Camesasca, Milano, BUR (Rizzoli), 1a edizione aprile 2003, § 72 Roma 30 Nov. 1580 – 15 Mar. 1581, p. 233. 2 C. S. de MONTESQUIEU, Note di viaggio pubblicate postume come Voyages de Montesquieu , (189498), alcune apparse come Note di viaggio, 1941. Montesquieu arrivò a Roma il 19 gennaio 1729 e vi soggiornò dal 6 maggio al 4 luglio di quello stesso anno.

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Veduta del foro romano di Henry Martin

più importante motivo: la naturale decadenza delle strutture murarie ha creato l’accumulo di terra.Verso la fine del 1800, il Lanciani3 era intento a scavare una villa, la Villa Vaconiana, che era stata abbandonata a se stessa, uccisa dalle intemperie e dal lento scorrere del tempo, senza che né un terremoto, né un incendio, né tanto meno l’intervento umano l’avessero intaccata. Le stratigrafie, di fronte alle quali egli si trovò, erano naturali in quanto nulla le aveva alterate. Egli poté constatare che una casa romana a un solo piano produceva, morendo, uno strato di materiale di risulta di quasi due metri di altezza nel giro di quasi duemila anni “un metro al millennio”, come egli precisò. Un edificio di dieci metri, sottoposto allo stesso degrado, può formare due metri cubi di detriti per ogni metro quadrato di superficie e quindi un accumulo di venti metri di spessore.

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LANCIANI, Sulle recenti scoperte di Roma e contorni, in “Bull. Inst.” 1871, pp. 257-72. “Notizie degli scavi”, ottantasei articoli apparsi fra il 1876 e il 1890. La Villa Vaconiana è citata da Orazio nelle Epistole 1. 10. 49: Panorama sulla valle Sabina Ode (Carm. 3, 1). Fons Bandusia (Carm. 3, 13) – Forum Novum ode a Talarico (Carm. 1,9).

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Sappiamo che in Roma, durante il periodo di massima estensione, e cioè nel I secolo d.C., le abitazioni raggiungevano circa 20 metri d’altezza e si

contavano

43.000

case

d’affitto, 2.000 palazzi, enormi edifici pubblici fra cui terme, teatri, anfiteatri, templi e portici. Tutte queste strutture murarie, crollando, hanno creato l’innalzamento del piano di calpestio. Sulle vestigia romane non frequentate si forma annualmente uno strato di polvere alto due centimetri; se non fossero di tanto in tanto ripulite, in un secolo si raggiungerebbe lo spessore di due metri e in quindici secoli il monumento tornerebbe sotterrato. Un esempio abbastanza concreto di quanto detto è dato dallo Stadio di Domiziano. Il monumento può essere visionato dall’alto abbastanza comodamente; non c’è dunque bisogno di entrare all’interno di esso. Per questo motivo

viene

spazzato

raramente. Anche in questo caso, nell’arco di un solo anno, è possibile che uno strato di polvere atmosferica, fogliame vario, fanghiglia ed immondizia raggiunga lo spessore di due centimetri, se non di più. Tertulliano, ma non solo lui, ci descrive una gigantesca insula4, l’Insula Felicles, come una sorta di moderno grattacielo: altri autori classici parlano di

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L’insula era un palazzo condominiale a più piani, anche cinque o sei, diviso generalmente in appartamenti d’affitto. Oltre a quella citata, i ruderi di molte insulae sono ben visibili negli scavi di Ostia. In particolare, per quanto concerne l’Insula Felicles, nel IV secolo d.C. gli elenchi ufficiali degli edifici

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case poste ad occidente del Campidoglio che uguagliavano in altezza la piattaforma del Tempio di Giove, posto quest’ultimo all’apice del colle. Il caseggiato si è in parte frantumato ma una buona sezione si conserva attualmente sotto le scalinate dell’Ara Coeli e quella michelangiolesca. Per non parlare poi del gigantesco Tempio di Serapide, sul colle del Quirinale. Di questo immenso edificio oggi non rimane altro che un enorme blocco marmoreo sul quale è scolpito un capitello di lesena e un angolo del frontone. Le “umili” vestigia non rappresentano che la decimillesima parte di tutto il complesso:

Veduta di Roma Antica di Samuel Palmer tutto il resto è terra e detriti. Anche l’azione dell’uomo ebbe effetti devastanti, analoghi a quelli prodotti dalla natura.

della città (Cataloghi Regionali) menzionavano un’ insula detta Felicula che, a quanto riferivano i contemporanei, doveva essere un vero e proprio grattacielo (riferimento a Tertulliano e Altri).

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Dagli antichi testi, ma anche dalle numerose iscrizioni, apprendiamo di sbancamenti e riempimenti di intere aree. Abbiamo notizia del drenaggio e dell’interramento dei Velabra così come del livellamento delle macerie causate dai numerosi terremoti. I livelli pian piano cominciarono ad elevarsi. Augusto e Mecenate pensarono di riempire con immani movimenti di terra i cimiteri delle Atrae Esquilie. Per riempire le cavità vennero utilizzati anche i cadaveri. Gli incendi contribuirono grandemente a creare una Roma Sotterranea. Nell’antica Roma le case, ma anche i grossi edifici, erano costruiti totalmente o parzialmente in legno, conseguentemente ogni qualvolta scoppiava un incendio, a causa del facile propagarsi delle fiamme gran parte della città ne veniva distrutta. Senza problemi, si ricostruiva sui detriti e se la cosa risultava impossibile o svantaggiosa, con quegli stessi detriti si riempivano valli paludose e inutili avvallamenti. Gli incendi erano tanto frequenti e di conseguenze così distruttive da essere passati alla storia: tra i più “famosi” incendi di età romana vanno ricordati quelli del 52 e del 12 a.C. e gli altri del 64, del 69, dll’80, del 100 del 217, del 250, del 283, del 410 e del 455 d.C. Anche le calamità naturali contribuirono molto ad aumentare il livello di calpestio. Il terremoto del 15 d.C. fece crollare buona parte della cinta muraria e causò l’incendio del Teatro di Marcello; quello del 191 devastò il Tempio della Pace, quello del 258 rase al suolo più di duemila abitazioni; quello del 443 rovinò il Foro e il Colosseo; quello del 477, durato circa 40 giorni, rovinò gravemente il Colosseo con il crollo dell’arena. Non meno devastanti, anche se di minore intensità, furono quelli dell’85, del 116, del 223, del 304 e quelli, assai più violenti, del periodo medievale. Alle devastazioni sismiche si aggiunsero quelle provocate dalle inondazioni, che interessarono le abitazioni più basse e più prospicienti al Tevere. Particolarmente frequenti, almeno due volte l’anno, tali inondazioni crearono montagne di fango e detriti sulle quali si preferì, il più delle volte costruire, anziché rimuoverle.

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Diversamente dalle calamità naturali, le invasioni altrettanto calamitose delle orde barbariche non causarono, comunque, la distruzione delle strutture e quindi l’innalzamento del piano di calpestio. I barbari, infatti, preferirono razziare l’Urbe degli oggetti di valore facilmente trasportabili più che sfogarsi sui giganteschi manufatti edilizi. Il loro arrivo determinò però un comprensibilissimo fuggi fuggi della popolazione e quindi il rapido abbandono della città. Le intemperie e la mancanza dei necessari restauri nei “secoli d’abbandono” portarono al crollo, uno dopo l’altro, dei grandiosi monumenti. Nel periodo medievale, la vegetazione coprì le trabeazioni ancora affioranti da cumuli di macerie e, per la prima volta, Roma assunse quel triste e melanconico aspetto di una città morta. Alla distruzione di Roma seguì il riutilizzo del materiale edilizio ad opera dei cavatori i quali, senza ritegno alcuno, smantellarono i muri in laterizio per crearne “tegolazza” e perforarono le viscere degli antichi colli alla ricerca di blocchi di fondazione degli edifici imperiali; questo causò ovviamente il crollo a valle delle costruzioni superiori. Solo pochi quartieri dell’antica Roma non furono mai abbandonati. Tutti gli altri rimasero occultati dal terreno e dall’accumulo di macerie. Il numero di abitanti in età imperiale era di circa un milione e mezzo; esso scese a non più di quindicimila nel periodo medievale e così rimase fino al 1804. Nel frattempo, con la ripresa edilizia del XV e XVI secolo, gli antichi resti ritenuti di intralcio vennero definitivamente eliminati. Si permetteva ancora lo scavo e lo smantellamento di intere aree archeologiche sotto l’incessante polvere delle “calcare” che nel Foro Romano trasformavano in calce le statue, i bassorilievi, i capitelli e le pietre. Per capire quanto è andato distrutto col tempo e quanto è invece rimasto dell’antica Roma è utile rifarsi a due cataloghi di epoca costantiniana che descrivono i monumenti urbani più importanti presenti a quell’epoca. Si tratta

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del Notitia regionum urbis romae e del curiosum urbis romae regionum XIV5, che ci parlano di due circhi, due anfiteatri, tre teatri, dieci basiliche, undici terme, trentasei archi marmorei, due colonne commemorative, sei obelischi, 423 templi 1.790 domus, 46.602 insulae, spazi aperti adornati con colossi, 22 statue equestri, statue dorate di divinità e 77 d’avorio e numerosissime altre statue sparse un po’ ovunque. Dove sono dunque finiti tutti quei monumenti ed edifici pubblici? La magnificenza della Roma antica non potrà mai essere immaginata nella sua interezza: il suo splendore si è frantumato, ma, per la quasi totalità, è ancora sotterrato e nascosto nelle viscere della terra. Sotto le piazze e sotto le strade e sotto i palazzi si celano quei resti grandiosi della città eterna. Si tratta di ambienti che la gente comune non può vedere sebbene il farlo potrebbe apparire così semplice: basterebbe scoperchiare uno dei tanti chiusini in mezzo ad una strada o ad una piazza per tornare vorticosamente indietro di duemila anni. È la Roma Sotterranea: un vero e proprio gigantesco museo ancora tutto da scoprire, creatosi in un arco di tempo di secoli in seguito alle razzie barbariche, alle intemperie, alle calamità naturali ma soprattutto all’incuria umana.

2. I siti archeologici più interessanti, gli enti preposti.

l

’Urbe conserva sotto il suo manto ancora tutto dell’epoca imperiale: le strade, le case, i ninfei, i colombari, i mitrei, i palazzi , le ville, gli stadi, i circhi, le tabernae e così via. Ma come poterci entrare?

Il comune visitatore della domenica, consultando una qualsiasi guida archeologica di Roma, non potrà mai essere in grado di capire in che modo si possa scendere nelle viscere della terra romana. I problemi che ostacolano il più che legittimo diritto di conoscere questo aspetto del reticolo museale sotterraneo romano sono molteplici e spesso insuperabili. Purtroppo solo alcuni 5

Notitia de regionibus; Curiosum Urbis Romae, dal Codes Urbis Romae Topographicus curato da C.L. ULRICHS, Würzburg, 1871, pp. 1-27.

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di essi sono regolarmente aperti al pubblico; per tutti gli altri si dovranno chiedere permessi speciali agli enti preposti. Si tratta di permessi che vengono concessi senza difficoltà, soprattutto per motivi di studio. Occorre fare un discorso a parte, invece, per quegli ipogei il cui unico accesso è attraverso abitazioni private. In questo caso, infatti, bisognerà, per ovvi motivi, sottomettersi alla disponibilità del proprietario dello stabile. Non è difficile incontrare persone che neghino addirittura l’esistenza di strutture sotterranee sotto la propria dimora. D’altro canto, da diversi anni gruppi speciali di speleologia urbana concretizzano sopralluoghi con appropriate documentazioni: un lavoro prezioso che ha consentito di visitare e studiare ben oltre 400 monumenti sotterranei. Nella presente analisi vengono proposti solamente circa un centinaio di siti ipogei, ritenuti però tra i più interessanti per motivi storico culturali o anche solamente per motivi suggestivi, come risulta evidente dalla relativa pianta annessa a fine capitolo. Nella pagine seguenti vengono elencati i siti archeologici più interessanti, nonché gli enti preposti, oltre ai privati. A fianco di ogni monumento è segnato l’ente di riferimento con una lettera alfabetica e precisamente:

A - Soprintendenza Archeologica di Roma B - Sovraintendenza Archeologica del Comune di Roma X Ripartizione. C - Pontificia commissione di Archeologia Sacra D - Privato Inoltre viene indicato il grado di difficoltà (da 1 a 5) che presenta la visita e se gli ambienti sono illuminati o meno. Occorre preliminarmente dare qualche spiegazione circa i gradi di difficoltà che un visitatore può incontrare nei sotterranei romani.

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Grado di difficoltà: •

primo: vi rientrano tutti quegli ipogei regolarmente aperti al pubblico, muniti di un buon impianto elettrico e senza particolari pericoli. Non sono moltissimi;

secondo: vi appartengono gli ambienti sotterranei senza un idoneo impianto di illuminazione. Non sono regolarmente aperti al pubblico e la visita è consentita solo previa richiesta scritta agli enti preposti. Occorre una buona lampada portatile ed un abbigliamento adeguato. Tali visite, di solito, vengono fatte attraverso le associazioni culturali che curano la parte burocratica e i raduni. Gli accompagnatori sono gli stessi funzionari che rilasciano i permessi;

terzo: vi si trovano ipogei il cui unico accesso è attraverso un tombino su strada o su marciapiede. Buio totale e pericoli già nella discesa. Non sono molti gli ambienti sotterranei di questo tipo ma sono molto suggestivi (Per esempio la Privata Traiani, il Dolocenum, il mitreo di via Giovanni Lanza , il colombario di Patlacius Maximus);

quarto: vi rientrano ipogei la cui visita è consentita unicamente a coloro che sono in possesso di brevetti di sub o di speleologia. Pochi sono gli ambienti e anche gli operatori;

quinto: vi appartengono gli ipogei per il cui sopralluogo necessita una specializzazione di speleologia subacquea.

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Roma Sotterranea

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Roma Sotterranea – Legenda

TIPOLOGIA

ENTE A

B

C

Grado Diffic.

Ambiente

Sito

D

I II

Buio

Visita

D

I

III

IV

Luce

CASE, PALAZZI, VILLE 1. La Domus Fauste

A

X

2. L’insula dell’Ara Coeli

B

I II

3. Casa romana alla regola 4. Casa Romana ai baullari 5. La Domus Aurea 6. La Domus Pudenti 7. La Privata Traiani 8. Ville Imp. Ad Catacumbas 9. Casa Bellezza

B B

I I I II II

A A

D B C

X

SI X X X

III III

SI

X X

II II

A

NINFEI, TERME, CISTERNE 10. Il ninfeo Terme di Traiano 11. La cisterna Pal. Sallustio

B A

12. L’Ipogeo di Via Livenza 13. Il ninfeo di V. Amba Radam 14. La cisterna della Colombo

D B B B

II

X

II

X

I II C

X III

SI X X

I

TEATRI E STADI 15. Lo stadio di Domiziano 16. Il teatro di Marcello 17. Gli ipogei del Colosseo 18. Il teatro di Pompeo

B B

D

D

I I II I I

D

I

D

II II I II

A

X X X X

IV

MITREI, TEMPLI, SANTUARI 19. L’Ara di Mercurio Sacro 20. Il Mitreo di Via G. Lanza 21. I 3 Templi del Foro Olitorio 22. Il Tempio di Apollo Sosiano 23. La Basilica Neopitagorica

B B B A

24. Il Mitreo di S. Clemente

D

25. Il Mitreo di V. dei Cerchi

B D

X

III

X X X

X

I

X

I

X

SI

I

X

SI

26. Il Mitreo di S. Prisca 27. Il Dolocenum

A

I

28. Il Mitr.delle Term. Caracalla

A

I

X

29. Il Mitreo Barberini

A

I

X

B

III

X X

X

SI

CHIESE SOTTERRANEE E TITULI 30. S. Saba 31. S. Salvatore in Onda 32. S. Crisogono 33. S. Sabina 34. S. Anastasia 35. S. Cecilia 36. S. Martino ai Monti 37. S. Maria in Via Lata 38. S. Maria dell’Oraz. E Morte 39. S. Carlo ai Catinari 40. S. Rufina

A

41. S. Pietro in Vincoli

A

42. SS Giovanni e Paolo

D D D D D D D D D D

I I I I I I I I I I I

II

X

D

I II

X

D

I

A

B

19

II II II II

X X X X III

II II III

X


[segue] ENTE TIPOLOGIA

A

B

C

Grado Diffic. D

I II

III

IV

Ambiente Buio

Luce

Sito Visita

IPOGEI SEPOLCRALI 43. I Cappuccini di Via Veneto 44. Le Sacre Stimmate 45. Il Criptoportico degli Acilii 46. I Colombari di V. Taranto 47. Il Colomb. di P. Maximus 48. 1° Colomb. di Vigna Codini 49. 2° Colomb. di Vigna Codini

A A

50. 3° Colomb. di Vigna Codini

A

51. Il Colomb. di Pomp. Hylas 52. La Necropoli di V. Aurelia 53. Il Sepolcro di Aulo Irzio 54. Il Sepolcro degli Aureli 55. I Mausolei ad Catacumbas 56. La Necr. di V. Portuense 57. I Sacconi Rossi 58. Il sep. dei Pancr e dei Valeri

D D C B B

I I I I

X

III D D D

B A C C C D D A

I I I I I I I I

II II

X X X

II

X

II II

X

SI

II II

II

IPOGEI CATACOMBALI 59. L’Ipogeo di V. D. Compagni 60. L’Ipogeo di Vibia 61. Le Catacombe di S. Callisto 62. Le Catacombe di Domitilla 63. Le Catacombe di Priscilla 64. Le Catacombe di S.Sebastiano

C C C C C C

II II II II II II

III III III III III III

X X

I II I

III

X X X X

X X X X

ANFRATTI VARI 65. L’Excubitorium 66. I sotter. di Pal. Farne 67. La Cloaca Massima 68. Stabule ai Cappellari 69. I sotterr di Pal. Massimo 70. Ter Rom. Sotto Pal. Valentini 71. Il mosaico della Gen Flavia 72. Il Crip del Clivus di Ven. Felice 73 Il Tullianum 74. Il Mamertino 75. Il Lapis Niger 76. La gall. sotto P. del Campid. 77. Il Foro della Pace 78. L’Aula Isiaca 79. S. Cesareo 80. La Casa rom. sotto S. Giovanni 81. Il Ludus Magnus 82. Il Summum Choragium 83. Il Sepolcro dei Semproni 84. Gli Horti Luculliani 85. Il Portico d’Ottavia 86. Il tempio di Marte

B D A

III B

I II

A

D

X X

B D D

D

I I I I I I I I II I I

D

I I

A B B A D C B

B

20

IV

SI

X

X X

X X X X X X X X

X

X X


[segue] ENTE TIPOLOGIA

A

B

C

Grado Diffic. D

I II

D D D

I I I II I

III

IV

Ambiente Buio

Luce

Sito Visita

ANFRATTI VARI 87. La Villa di Agrippina 88. Il Palazzo di Sallustio 89. La Casa di Augusto 90. Il Criptop. di Nerone 91. La Villa di Domizia Lucilla 92. La Domus Transitoria 93. La Casa dei Grifi. 94. L’Auditorium di Mecenate 95. Il Ninfeo di via Annibaldi 96. Le Sette Sale 97. Le Cisterne di S. Sabina 98. Il Tempio di Balbo 99. La Cripta Balbi 100. L’Ara Neron. Del Quirinale 101. Il Tempio di Vedove 102. L’Ara massima di Ercole 103. S. Lorenzo in Damaso 104. S. Susanna 105. S. Clemente 106. S. Teodoro 107. S. Passera 108. Monte del Grano 109. S. Goivanni dei Fiorentini 110. S. Maria dei Sette Dolori 111. La Necr. della Via Ostiense 112. L’ipogeo dei Flavi 113. I sotterranei di Pal. Spada 114. La Meridi. di Augusto

B A A A A A A

D

B B B

I

B B

I I

X X X X X X X

X X

X X X X X X X X

D B D

I II

D D D

I I

B

A

X X B

I

X

I

X

115. Il Calend. di S. M. Maggiore 116. La Latrina Gianicol. 117. Il Diribitorium 118. Le terme Neron.-Aless.

B

I

X X X

I

X

A D

SI

119. L’insula di Largo Chigi 120. L’insula di V. Maroniti

A

X

LA SPELEOLOGIA URBANA 121. Scavi alle Zoccolette 122. La Spelonca della N. Egeria 123. L’insula di Via G. Lanza 124. L’Ipogeo di Villa Glori !25. L’insula ai Monticelli 126. Il Ninf. Neron. del Grott. Traiano 127. L’immersione nell’Euripus 128. Il Porto Romano di Testaccio 129. Le Gallerie del Campidoglio 130. Le Cisterne di Pal . Farnese

B B B B

I

D B B B

I I

21

X X X X X X X X

X

X X

SI


22


PARTE PRIMA Capitolo II

23


24


CAPITOLO SECONDO Il mondo romano

1. La vita nell’antica Roma vista in funzione dei siti visitati

d

urante il 2002 sono state effettuate numerose visite guidate, condotte dall’Associazione Culturale Lupa per l’Archeologia e l’Arte Antica6, a case, anfratti, mitrei, templi, santuari, ninfei, terme, cisterne e sepolcri. Di seguito è riportato l’elenco dettagliato dei

siti visitati, dai quali si può già intuire quanto fosse complessa e articolata la vita quotidiana nell’Urbe durante l’epoca imperiale. 1) CASE

-

L’ insula dell’Ara Coeli

-

La Casa romana alla Regola

-

L’insula di via in Arcione

-

L’insula di S. Giovanni e Paolo

-

L’Excubitorium

-

La latrina del Granicolo

-

Mitreo Barberini

-

Mitreo di Via dei Cerchi

-

Mitreo di San Clemente

4) NINFEI, TERMAE, CISTERNE

-

Ipogeo di Via Livenza

5) IPOGEI SEPOLCRALI

-

Colombario di Pomponio Hylas

2) ANFRATTI VARI

3) MITREI, TEMPLI, SANTUARI

6

Associazione Culturale Lupa per l’Archeologia e l’Arte Antica – Roma, webmaster@archeolupa.it

25


26


2. Analisi dei siti visitati

2.1. Case

l

e abitazioni furono le prime strutture edilizie a crollare in seguito all’abbandono della città. Occorre ricordare che gran parte degli edifici era costruita con un grande utilizzo del legno il quale può facilmente deteriorarsi in seguito alle pressioni

degli agenti atmosferici, se non distrutto dagli incendi. Ad eccezione delle strutture portanti, i vari piani erano sorretti da tavolati lignei e così fino al tetto. Da qui l’immenso accumulo. È curioso notare quanto sia sprofondato il piano antico in alcune zone come, ad esempio, presso piazza Sallustio. In questa zona l’accumulo di detriti è impressionante. È altrettanto vero che si raggiunge lo strato romano a soli sei o sette metri di profondità nella zona di Campo Marzio. I motivi che hanno determinato tale fenomeno sono molteplici e tutti di diversa natura. Nei casi proposti si è cercato di analizzarli tutti. Nella Roma imperiale la maggior parte degli abitanti doveva accontentarsi di vivere, non molto diversamente da oggi, in palazzi a più piani, simili nella concezione ai nostri condomini. Marziale7 dice che in un certo momento della sua permanenza a Roma il suo alloggio era in cima a tre rampe di scale, per di più molto ripide, e lamenta continuamente il chiasso assordante che gli impedisce di riposare: «al mio capezzale – commenta sconsolato – c’è tutta Roma» (ad cubile est Roma). Giovenale8 descrive pittorescamente queste costruzioni, dove, se scoppia un incendio al piano terreno, chi abita sottotetto non si accorge di nulla, col vantaggio di essere arrostito per ultimo (ultimus ardebit). Seguire le vicende della casa romana significa, dunque, non solo occuparsi di problemi edilizi e urbanistici, ma anche riflettere sul modo di vivere e di pensare di uomini così lontani nel tempo, ma per molti aspetti ancora a noi vicini. 7 8

MARZIALE, Epigrammi, Libro XII, L VII, Torino, UTET, 1980. GIOVENALE, Satire, III 188-218, v. 201, Torino, UTET, 1979.

27


Ricostruire, inserendolo in una prospettiva storica, il sistema abitativo romano in tutti i suoi dettagli, ci fa indugiare sulle rovine suscitando in noi pensieri ed emozioni. Cicerone9 descrivendo l’appartamento di Celio, il cui proprietario era Clodio, adoperava il termine di insula. La parola, che originariamente indicava l’area su cui sorgeva la casa, assume ora il nuovo significato di casa d’affitto divisa in appartamenti, i Cenacula e sarà largamente usata per indicare le caratteristiche abitazioni urbane caratterizzate dall’insula, la casa a più piani. La crescente speculazione edilizia aveva determinato un incontrollato proliferare di tali abitazioni e un loro conseguente sovraffollamento. Non abbiamo molti dati sulle proprietà immobiliari urbane. Le fonti ne accennano raramente, anche se tale tipo d’investimento consentiva rendite elevate e i suoi detentori appartenevano ai ceti più abbienti della società. Lo stesso Cicerone ricavava annualmente 80.000 sesterzi dall’affitto di appartamenti a Roma e le famose ricchezze del triumviro Crasso provenivano quasi tutte dalla quantità dei suoi stabili10. Il modo frettoloso e precario con cui molte insulae venivano costruite dava origine a continui pericoli di crolli e di incendi. La legge secondo cui fra uno stabile e l’altro dovesse esserci uno spazio d’isolamento veniva solitamente violata e fu ripristinata solo dopo il catastrofico incendio neroniano, in seguito al quale venne anche prescritto l’uso di portici davanti alle case. Così pure l’altezza, era regolarmente limitata in 70 piedi, permettendo così lo sviluppo di sei sette piani, pena l’abbattimento. Traiano abbassò il limite a 60 piedi. Era prevista inoltre la riparazione degli immobili in rovina e spesso proibita la loro

9

CICERONE, Difesa di Marco Celio, con saggio introduttivo di Emanuele Narducci, traduzione di Camillo Giussani, Note di Caterina Lazzarini, Milano, BUR (Rizzoli), 8a edicione, 2003, § 17 , pp. 96-97. 10 Una ricostruzione interessante, seppur romanzata, della vita e delle modalità abitative e al sovraffollamento di questi veri e propri “casermoni” e anche della speculazione che si svolgeva attorno al problema dell’affitto, viene offerto dai racconti della storica Danila Comastri Montanari, imperniati sulla figura di finzione del senatore romano Publio Aurelio Stazio che nella Roma del I secolo d.C. indaga su delitti irrisolti. Si veda, ad esempio: D. COMASTRI MONTANARI, Parce sepulto, Milano, Hobby & Work, 1999.

28


demolizione per impedire la speculazione di chi aveva interesse a tale operazione per ricavare materiale da costruzione da reimpiegare. Dopo l’incendio neroniano l’insula tende ad affermarsi sempre più massiccia. Si presenta affacciata su portici e caratterizzata al piano terra dalla presenza di numerose tabernae coperte con volte a botte, divise in altezza da un soppalco provvisto di una piccola finestra che ne illuminava la parte sovrastante, abitazione del negoziante. Superiormente distingueva l’insula un lungo balcone e piani di abitazione in vario numero. Le scale avevano un accesso diretto dalla strada. Gli scrittori antichi ci hanno lasciato un vivido quadro di quello che doveva essere l’aspetto quotidiano di una grande e caotica città come Roma, in cui la vita si svolgeva per lo più all’aperto, nelle vie strette e tortuose, all’ombra di affollati stabili popolari, più o meno decorosi e di nobili, antiche dimore, in un accostamento stridente ed una visione forzatamente egualitaria che richiamava alla mente quella rinascimentale. Un esempio visibile di insula a Roma è quello presso l’Ara Coeli in cui si distinguono quattro piani addossati alla rocca del Campidoglio sui quali si estendeva in origine un quinto piano. Rimasta famosa l’Insula felicles, nel campo Marzio. Pare che sia stato abbastanza consueto raggiungere altezze di 30 metri almeno a Roma, dove la popolazione più numerosa si addensava fin nei sottotetti, ad summa tegulas, con comprensibili problemi di abitabilità.

29


“Le case in affitto nella Roma imperiale” Immagine di un’insula e delle tabernae nella ricostruzione di fantasia dell’archeologo Giuseppe Gatteschi

30


L’insula dell’Aracoeli L’insula dell’Ara Coeli

B

1

2

b

Numerose stanze su quattro piani, tabernae con soppalco ligneo, scale monumentali, criptoportico. Buio. Piazza dell’Aracoeli (scalinata) Per la Visita tel. 0667 103 819

s

i tratta di una rara e senz’altro più completa testimonianza di una casa d’affitto (insula) databile al I sec. d.C. L’eccezionalità della scoperta avvenuta nel 1926 durante i lavori di isolamento del Campidoglio, attraverso la demolizione di tutti gli edifici

addossati nel tempo alle sue pendici - risiede nel fatto che l’ insula conserva in elevato quattro piani a cui si sovrappongono i resti di altri due. Ricoperto nell’ala sud della gradinata della chiesa di S. Maria in Aracoeli, del fabbricato non sono visibili le tabernae (botteghe, laboratori artigiani) e i soprastanti mezzanini, poiché il piano di calpestio antico è a circa 9 metri di profondità rispetto al piano stradale odierno. Questo tipo di abitazione intensiva nei due primi secoli dell’impero ebbe una notevole diffusione a Roma a causa della penuria di alloggi rispetto alla popolazione in continuo aumento. Paragonabile sotto il profilo architettonico agli odierni caseggiati, l’insula mancava tuttavia di acqua, di illuminazione, di riscaldamento e di servizi igienici.

31


Casa Romana alla Regola Casa romana alla regola

B

1

Edificio intatto fino al terzo piano, splendida colonna in laterizio, mosaici pavimentali e intonaci pitturati. Via di S. Paolo alla Regola. Per la visita tel. 0667 103 819

l

a casa Romana alla Regola, è oggi uno tra gli esempi più belli che Roma conservi nelle viscere della sua terra, grazie al Comune di Roma X Ripartizione, è resa visibile per il pubblico godimento.

L’area archeologica si estende in tutte le altre cantine limitrofe e ancora moltissimo ci sarebbe da scavare. All’interno del labirinto sotterraneo si conservano, a circa 8 metri al di sotto del piano di calpestio attuale, grandi magazzini domizianei in struttura laterizia, una loggia costantiniana con un arco sorretto da una suggestiva colonna

in

muratura,

una

serie

di

magazzini di età severiana, pavimenti a mosaico in bianco e nero e una grande quantità di interventi edilizi che vanno dal medioevo ai giorni nostri, grande testimonianza del riutilizzo plurisecolare di strutture antiche. Il

tutto

è

reso

ancor

più

affascinante e suggestivo dalla sapiente posa in opera dell’impianto elettrico che quasi

riesce

ad

attenuare

quelle

misteriose ombre che per secoli hanno caratterizzato l’ipogeo.

32


Il Quartiere Romano di Via in Arcione L’insula di V. Maroniti

A

1

Due strade lastricate, basiliche, edifici pubblici e privati, colonne, colonne, pavimenti musivi. Semibuio

r

ecenti scavi effettuati per la realizzazione di un garage sotterraneo, all’interno del cortile di un complesso edilizio moderno, situato tra le vie in Arcione e dei Maroniti (dietro Fontana di Trevi), hanno consentito di riportare alla luce alcuni

edifici di epoca romana di particolare interesse. Le costruzioni, appartenenti ad un quartiere antico che si estendeva lungo il lato orientale della Via Lata (attuale Via del Corso), formano un complesso archeologico, che si estende per un’area di circa 1.600 metri quadrati, costituito da tre edifici distinti, separati da due ampie strade che corrono parallelamente alla Via Lata stessa. Il settore occidentale dell’area archeologica è occupato dai resti di una abitazione di tipo popolare (insula) che si sviluppava per più piani e che aveva una fila di botteghe al piano terreno. Al centro del complesso vi

è

una

caratterizzata

grande

aula

da

lunga

una

absidata, fontana

ornamentale, e che conserva ancora gran parte dei pavimenti a mosaico e a lastre di marmo. Il settore orientale dello scavo è costituito dagli ambienti di due grandi case signorili, in una delle quali è conservata ancora la ricca decorazione marmorea in opus sectile che ricopriva pareti e pavimenti.

33


Il Complesso dei SS. Giovanni e Paolo. SS Giovanni e Paolo

D

1

Ingresso dal Clivio di Scauro, ambiente restaurato. Biglietti ingresso in loco

s

ulle pendici occidentali del Celio e a sinistra dell’antico Clivio di Scauro la chiesa dei SS. Giovanni e Paolo fu innalzata sopra un gruppo di case romane individuate e rese agibili a seguito degli scavi avviati nel 1887: All’interno di questi edifici riconducibili a

tipologie diverse, insula (caseggiato ad appartamenti) e domus (casa signorile), nel corso di una complessa e non del tutto chiarita vicenda storica e monumentale venne adattato un luogo di culto da parte della comunità cristiana: Le fonti letterarie ed epigrafiche ricordano anzi la presenza di due tituli, fondati rispettivamente da Bizante e da Pammachio. Nel primo venne ad inserirsi un elemento del tutto inconsueto per un centro urbano: la sepoltura di Giovanni e Paolo martirizzati a Roma durante il regno di

Giuliano

l’Apostata

(361-363).

In

corrispondenza della loro tomba fu inoltre eretto un piccolo monumento (confessio) decorato da un significativo contesto pittorico con scene di martirio, peraltro molto

rare

nell’iconografia

cristiana:

l’arresto di tre persone ed il loro supplizio mediante decapitazione.

34


2.2. Anfratti Vari

i

nnumerevoli sono gli ambienti sotterranei considerati minori. Tale denominazione è dettata dal fatto che essi non sono monumentali come un mitreo, una catacomba, un ninfeo o una domus. Non sono suggestivi come la Domus Aurea, l’ipogeo dei

Flavi o il palazzo di Sallustio i quali riescono facilmente ad appagare lo spirito di qualsiasi visitatore. Gli anfratti vari non posseggono importanti decorazioni, pitture o mosaici di rilievo. Si tratta di ipogei di poco valore artistico e spesso privi di importanza archeologica. Ciononostante vengono considerati in un modo speciale dagli studiosi e dagli archeologi perché in quelle poche mura o in quei tracciati in pianta spesso complessi e poco leggibili si riescono a capire delle informazioni sui costumi degli antichi romani che nessuno altro ipogeo può fornire.

Excubitorium Esattamente di fronte a S. Crisogono e sempre alla stessa profondità si estendono gli spettacolari ambienti dell’unica Caserma dei Vigili dell’antica Roma, quella della XIV Regione Augustea, rimasta ancora in ottime condizioni. Tra resti di mosaici, pavimenti in opus spicatum e

splendide

decorazioni

in

laterizio,

potremo analizzare le stanze dei militari, vivere quegli intensi momenti di caserma che

le

viscere

di

Trastevere

ancora

conservano ad una profondità media di nove metri. Sotto lo sguardo vigile del Genio dell’Excubitorio, sguardo che ancora avvertiamo sebbene la statua sia scomparsa da

secoli,

ammireremo

la

fontana

35


poligonale, le pitture del sottarco centrale, il magazzino di fondo e poi, sempre che egli ce lo permetta, ci infileremo in un misterioso e buio condotto alla scoperta di una cisterna romana. L’Excubitorium della VII Coorte dei Vigili, uno spicchio di Roma antica concentrato in una ipogea area archeologica che, meravigliosamente salvata dalla X Ripartizione del Comune di Roma, ci fa conoscere un aspetto di vita di caserma altrimenti sconosciuto: quello dei Sebaciari e della loro organizzazione.

Una latrina romana sul Gianicolo Nel 1963 il crollo di una parte del muraglione che sostiene via Garibaldi, nel punto in cui la strada lambisce piazza S. Pietro in Montorio alle pendici sudest del Gianicolo (a ca 100 metri dal Tempietto del Bramante n.d.r.), ha riportato alla luce, alla profondità di circa 4 m, i resti di una latrina romana. Dell’edificio si conservano due muri in opera mista di intonaco dipinto, il canale di scorrimento delle acque nere e un pizzico lacerto della pavimentazione musiva, la cui decorazione geometrica, realizzata con tessere bianche e nere va attribuita, sulla base di confronti tipologici, in un ambito cronologico tra la metà del II e i primi decenni del III secolo d.C. Questa cronologia è perfettamente in accordo con quella proposta per gli affreschi conservati sulle due murature superstiti, ornati da

una

decorazione

pittorica

a

schema

geometrico che va inquadrata nell’ambito della pittura romana di fine II e prima metà del III sec. d.C., quando si diffuse uno stile detto “rosso e verde lineare” o anche semplicemente “stile lineare”. La sintassi decorativa trova puntuali confronti con altri affreschi di case di Roma e Ostia, nonché con alcune pitture funerarie.

36


2.3. Mitrei, templi e santuari uoghi di culti misterici, curiose religioni, templi di divinità di

l

importazione ed in alcuni casi quasi sconosciuti si nascondono nelle viscere della terra romana. Il mistero della sotterraneità romana va a sommarsi con quello dei luoghi. Stupende

testimonianze di un credo tipicamente romano ma che rispecchia il pensiero degli uomini che lo hanno creato. Paragoni con le religioni orientali, affinità con quelle quasi alle porte dell’urbe e che da qualche secolo si erano perse nei bui ricordi: ecco la grandezza di Roma; il bonario accordo ad accettare, o forse solamente a tollerare tutti i pensieri religiosi pur di conservare la Pax Romana. Centinaia di divinità all’interno della cerchia muraria, in tacito accordo. I più importanti reperti relativi a culti misterici si trovano oggi a notevole profondità rispetto al piano di calpestio moderno. Erano oscuri allora, lo sono oggi a maggior ragione per certi aspetti ben precisi; in più tale oscurità è resa ancor più tenebrosa dalla caratteristica prima

dell’ambiente,

ovvero

il

buio

millenario. Il Mitreo Barberini Nel 1936, durante la costruzione di una palazzina nel giardino di palazzo Barberini,

fu

rinvenuto

un

edificio

romano del II secolo una parte del quale, in un momento successivo a quello della costruzione,

era

stata

utilizzata

per

costruire un mitreo. L’importanza del piccolo santuario, che si presenta con le caratteristiche comuni a questo tipo di edifici, è costituita soprattutto dalla decorazione ad affresco che ricopre la parete di fondo dell’ambiente. Si tratta di

37


un ciclo pittorico formato da una serie di dieci pannelli con scene desunte dal mito di Mitra, distribuiti attorno ad un grande quadro centrale contenente la consueta scena del sacrificio del toro sacro. I vari quadri che compongono la narrazione, che presentano molti punti di contatto con quelli analoghi del mitreo di Marino, si riferiscono agli avvenimenti principali della vita del dio persiano, il cui culto aveva larga diffusione fin dal II secolo d.C. Gli episodi rappresentati si succedono secondo un ordine che vediamo ripetuto anche nelle composizioni di altri mitrei e contengono alcuni elementi iconografici che avranno in seguito notevole influenza sulla formazione della prima arte cristiana. Il Mitreo del Circo Massimo La ristrutturazione di un’ala dell’ex Pastificio Pantanella, acquisito dal Comune di Roma negli anni Venti e trasformato nella sede dei musei di Roma, diede l’avvio nel 1931 ad una vasta e fortunata esplorazione archeologica. Infatti al piano terra di un vasto complesso in opera laterizia del II sec. d.C. fu scoperto un mitreo, l’unico noto nella XI regione augustea e al tempo stesso straordinaria testimonianza del culto di Mitra, il cui mito è ricostruibile

in

raffigurazioni

base pittoriche

alle e

sculture dei mitrei per la totale mancanza di fonti scritte. Il

monumento,

compone

di

una

che

si

serie

di

ambienti comunicanti tra loro, assume un particolare rilievo sia

per

il

buono

conservazione

che

stato

di

per

la

ricchezza della decorazione marmorea, mentre la sua vicinanza al Circo

38


Massimo ne ha suggerito il probabile collegamento con una corporazione attiva nell’ambito dei ludi circensi.

Il Complesso di S. Clemente - Il Mitreo Si deve all’impegno e al lungo lavoro di scavo del Domenicano Irlandese p. Joseph Mullooly la scoperta, alla metà dell’800 della basilica paleocristiana di S. Clemente e delle strutture romane sottostanti, totalmente obliterate dalla fabbrica del XII secolo. Resa pericolante da eventi traumatici, forse collegabili con le devastazioni operate dai Normanni nel 1084, la basilica, eretta nel IV secolo su precedenti strutture romane a carattere commerciale e abitativo, fu abbandonata e tra il 1100 e il 1130 ne fu costruita una nuova ad un livello più alto. La basilica del XII secolo riprende la pianta della chiesa inferiore, sia pure con alcune varianti e riutilizza molto materiale di arredo già in uso nella precedente fabbrica. I resti ancora visibili al di sotto della basilica, su due livelli, costituiscono uno degli itinerari

più

ripercorrere,

affascinanti attraverso

per

leggere

strutture

e

eccezio-

nalmente conservate, la storia della Città dall’età imperiale romana al medioevo. Quello

di

S.

Clemente

è

l’unico

Santuario dedicato a Mithra regolarmente visitabile e, sebbene lo si veda attraverso un cancello, già frontalmente riesce a conferire al visitatore quell’aspetto tetro e terrificante che doveva possedere in antichità. Lo si raggiunge dopo aver superato le numerose stratificazioni che caratterizzano

39


l’area ipogea della chiesa di S. Clemente su via Labicana: quei tre edifici sovrapposti appartenenti a diversi periodi, facilmente individuabili nel mentre si scende, testimoniano, fornendo anche date sicure, l’innalzamemento del piano di calpestio della gola in cui il monumento si trova, gola racchiusa tra l’Esquilino e il Celio. Il mitreo è posizionato nello strato più antico, quello del I secolo dopo Cristo.

2.4. Ninfei, terme e cisterne

g

li immensi edifici pubblici come le terme avevano bisogno di grandi conserve di acqua, le cisterne. Spesso esse erano sotterranee ed ad oggi ovviamente lo sono a maggior ragione. In Roma si trovano conserve d’acqua di ogni tipo e fattezza. Gli

esempi proposti si classificano in tre tipologie precise: le cisterne ad una sola aula allungata, quelle a più aule parallele e quelle a pianta circolare. I chilometrici acquedotti convogliavano in città enormi quantità d’acqua che dopo l’uso termale venivano destinate alle fontane pubbliche e soprattutto ai ninfei, i ricchi santuari dedicati alle ninfe. L’acqua non andava mai sprecata e prima di tornare là dove proveniva, la terra, essa faceva sfoggio della sua importanza vitale.

L’ipogeo di Via Livenza A più di settanta anni dalla scoperta, l’Ipogeo di Via Livenza mantiene inalterato il suo misterioso fascino grazie alle pregevoli pitture del IV sec. d. C. conservate quasi intatte, nonché alla singolarità planimetrica e architettonica dell’edificio per lungo tempo al centro di un acceso dibattito.

40


Per questo monumento - uno dei più cospicui della Roma sotterranea e di competenza della Sovraintendenza Comunale - sono state formulate diverse ipotesi. Ritenuto dapprima un luogo di culto di una setta misterica, venne successivamente identificato con un battistero in base ad argomenti poco consistenti: l’idea che si trattasse di un ninfeo è stata più di recente ripresa e sviluppata in un articolato studio che ha peraltro fornito soddisfacenti risposte ai tanti quesiti che erano rimasti insoluti. La conclusione è che si tratta di una rara quanto interessante testimonianza di un’epoca caratterizzata da “una serena convivenza di paganesimo e di cristianesimo”.

2.5. Ipogei Sepolcrali

s

otto il piano di calpestio Romano abbondano i monumenti sepolcrali. Si può senza dubbio dire che essi costituiscono il maggior numero di ambienti sotterranei. Ciò è dovuto al fatto che, a differenza degli edifici pubblici o privati (i quali potevano

essere modificati strutturalmente o radicalmente), i monumenti a carattere cimiteriale non potevano essere toccati se non con l’apporto di piccole modifiche, comunque sempre relative al riuso di un loculo o all’allargamento di una ben precisa zona. Una distruzione dalle fondamenta di un sepolcro era in pratica assolutamente vietata. Ecco ancora che è facile trovarsi di fronte a semplici ipogei a carattere familiare, contenenti due o poche più deposizioni, o a vasti cimiteri per contenere un alto numero di cadaveri, da semplici colombari a vaste e ben articolate necropoli. Il tutto nel profondo rispetto dei morti. Il Colombario di Pomponio Hylas Più di 160 anni fa venne scoperto uno tra i più interessanti ed affascinanti luoghi sotterranei di Roma antica: uno splendido colombario, non grandissimo ma particolarmente ricco di decorazioni pittoriche e scultoree: anche l’architettura, a nicchie ed edicole munite di colonnine e capitelli, è del tutto

41


particolare. L’ipogeo si trova a pochi metri dalla porta Latina, nella parte interna delle mura Aureliane; è gelosamente custodito dalla X ripartizione del Comune di Roma che ne cura l’aspetto e il sempre necessario restauro. Si potranno ammirare lo splendido mosaico policromo, racchiuso entro una nicchia incrostata

di conchiglie, con la scritta Cn Pomponi Hylae (et)

Pomponiae, Cn L(iberate), Vitalinis, i due personaggi che danno il nome all’ipogeo, che qui hanno trovato la loro ultima dimora ma che sembra non siano stati i costruttori del monumento; gli episodi della discesa di Orfeo all’Ade con i personaggi di Cerbero, Ocnus che involge la fune e lo stesso eroe; il centauro Chirone ed Achille; la splendida edicola di Granio Nestore e sua moglie

Vinileia

Hedon;

soggetti

relativi al culto dionisiaco; la fantastica volta con le pitture delle Vittorie Alate, amorini che scherzano fra tralci di un contorto elemento floreale e simboli della vita umana con le vicende fortunose e, per finire, una grande

quantità

di

iscrizioni

marmoree che ci ricordano i nomi di una Roma che fu come Celadius, Pudens, Paezusa, e Philetus, tutti liberti del primo periodo imperiale: Il colombario

fu

usato,

o

almeno

frequentato, fino a tutto il II secolo dopo Cristo.

42


PARTE SECONDA Capitolo III

43


44


CAPITOLO TERZO La fruizione dei beni culturali

1. La crescita della domanda di beni culturali

n

el corso degli ultimi decenni è cresciuto notevolmente l’interesse nei confronti dei beni culturali, con la creazione di nuove strutture,

l’ampliamento

e

l’ammodernamento

di

quelle

esistenti, con l’investimento di ingenti somme nei progetti

museali. Molteplici sono le ragioni della recente fortuna dei luoghi d’arte e di cultura, a partire da alcuni fattori di ordine socio-economico. In primo luogo, l’espansione del settore dei servizi che ha comportato anche un aumento della spesa per intrattenimento, servizi culturali e tempo libero; in secondo luogo, il prolungamento delle aspettative di vita, una tendenza demografica che si traduce in un aumento della domanda di cultura in considerazione del maggior tempo libero a disposizione della terza età; infine, la relativa crescita del reddito delle famiglie, a cui si accompagna la maggior disponibilità di tempo libero e un più elevato livello di istruzione, che sono fattori che hanno determinato a loro volta una crescita complessiva del consumo culturale. È noto come, oramai, il sito museale stia diventando una sorta di «tempio laico del sapere»11, in grado di rappresentare un luogo di identità culturale tale da favorire la coesione sociale e il senso di appartenenza comune. Si tratta di un processo graduale, che vede il progressivo modificarsi della concezione del bene culturale come luogo di erudizione passiva, dunque destinato ad un pubblico preparato e, in un certo senso, già introdotto, verso una visione più

45


dinamica, in cui il bene assume centralità per l’offerta culturale che è in grado di proporre ad un pubblico più vasto, non necessariamente già addentro alle dinamiche culturali. Del resto questa evoluzione è strettamente collegata al parallelo fenomeno

in

atto

dell’incremento

dei

consumi

culturali

determinato

dall’accresciuta disponibilità di tempo libero, dall’innalzamento medio del livello culturale, dall’aumento di reddito. Giova sottolineare che questa tendenza al consumo di cultura è presente anche negli strati meno abbienti che vedono sempre più i luoghi archeologici e i musei come una fonte alternativa o integrativa di sapere. La ricerca e il soddisfacimento di nuovi bisogni culturali, che coinvolge strati sempre più ampi di popolazione, sta spingendo ad una crescita dell’offerta di prodotti culturali diversificati e, in questo nuovo contesto, anche i beni archeologici stanno ripensando alla loro vocazione e alla possibilità di attrarre una parte consistente di questa domanda altrettanto vasta e diversificata. Nel contempo, l’aumento del numero dei visitatori e le maggiori aspettative ed esigenze da parte del pubblico, legate all’informazione, all’interpretazione, alla esposizione e alla comunicazione sono ulteriori fattori che hanno indotto i beni culturali a ripensare alla loro missione. D’altro canto, i tagli di bilancio alla spesa pubblica hanno indotto la gestione dei beni culturali alla ricerca di fonti di reddito integrative, favorendo parallelamente l’introduzione nella vita dei musei e dei luoghi di cultura di attività di marketing, indagini di mercato, ricerche di customer satisfaction, orientate a captare un pubblico più ampio e differenziato. Parallelamente, la necessità di ricercare fonti aggiuntive di entrata ha favorito l’accresciuta competizione fra le istituzioni per il reperimento di dette risorse e il coinvolgimento del settore privato, Questo processo ha favorito la 11

Primo Rapporto Nomisma sull’applicazione della Legge Ronchey, ricerca promossa in occasione del Salone dei Prodotti e Servizi dedicati all’Arte, Arezzo, Centro Affari e Convegni, 12-15 maggio 2000,

46


progressiva affermazione di orientamenti gestionali derivati dalle logiche imprenditoriali proprie dell’economia di mercato. Un effetto macroscopico di quanto detto si ha nella constatazione che l’aspetto della fruizione ha progressivamente acquisito una dignità pari, se non superiore,

a

quelli

tradizionali

della

conservazione

e

dello

studio

precedentemente preminenti. La scelta market oriented, rivolta al pubblico ha consentito di far crescere la popolarità e la fama di siti e istituzioni fino a pochi anni fa considerate a torto luoghi per pochi studiosi eletti. Si sta facendo strada una nuova visione più dinamica del bene culturale, inteso non più come baluardo della memoria – artistica, scientifica, visiva, naturalistica, produttiva – e della tutela del patrimonio di un territorio, bensì come realtà complessa che interagisce con il luogo in cui opera, divenendo un ambito di esperienza conoscitiva, di aggregazione sociale, di crescita civile. Attualmente il bene culturale si colloca all’interno di uno scenario in forte evoluzione: cambia il concetto di pubblico - con un visitatore che non è più un soggetto passivo, bensì si è trasformato in un attore partecipe della stessa costruzione dell’immagine dell’istituzione – ed anche i profili professionali tradizionali subiscono modificazioni, favorendo l’introduzione di nuove competenze12. Alla base dei molteplici cambiamenti che coinvolgono, non solo a livello nazionale, le organizzazioni e le imprese culturali, vi è il concorso di numerosi fattori. Taluni di essi sono comuni ad altri settori: è il caso della riduzione tendenziale della gestione e della spesa pubblica, dell’orientamento delle politiche pubbliche nella direzione dei risultati e della valorizzazione e valutazione delle risorse, della trasformazione del lavoro.

http://www.musei.it.net/nomisma/PrimoRapportoLeggeRonchey.htm, p.4. 12 Per un approccio anche empirico, oltre che teorico, ai cambiamenti in atto si veda L.ZAN (a cura di), Conservazione e innovazione nei musei italiani. Management e processi di cambiamento, Milano, Etas 1999.

47


A questi si aggiungono fattori di crisi del quadro di riferimento che sono specifici, assumendo un rilievo peculiare all’interno dell’ambito culturale13. Si registra una generale accentuazione degli aspetti economici e sociali della cultura che favorisce una maggior attenzione alle componenti del turismo, dello sviluppo locale, della rigenerazione urbana, delle opportunità di creazione di occupazione. Inoltre la necessità di reperire fonti aggiuntive e di acquisire vantaggi competitivi ha portato a una ridefinizione degli assetti delle istituzioni pubbliche verso un allargamento della base sociale e della governance, con un crescente

coinvolgimento

dei

privati

attraverso

fondazioni,

imprese,

associazionismo territoriale e professionale. Nel

contempo,

l’irruzione

di

nuove

tecnologie,

che

hanno

profondamente modificato non solo le modalità e le forme di distribuzione dei prodotti, bensì, in molti casi, lo stesso processo di creazione e produzione di cultura, ha comportato la necessità di adeguare gli stessi spazi culturali per metterli in grado di sfruttare appieno queste nuove opportunità da mettere a disposizione di un pubblico sempre più attento ad accogliere nuovi modelli di consumo e di partecipazione culturale. La creazione di nuovi siti e la riconversione di vecchie strutture indicano come il mondo dei beni culturali si stia orientando sempre più nella direzione di conquistare un pubblico più vasto di quello tradizionale, acquisendo una visibilità che si pone in un’ottica apertamente competitiva nei confronti della cultura popolare tradizionalmente preda dei mezzi di comunicazione di massa. La sempre maggiore attenzione con cui i beni culturali si impegnano nella valutazione del proprio ruolo e delle possibilità di migliorare l’offerta e l’organizzazione dimostra che siamo in una situazione di grande espansione di questo settore della cultura sia dal punto di vista quantitativo che, soprattutto, qualitativo. 13

Cfr. U.BACCHELLA, Prefazione a F.COLBERT, Marketing delle arti e della cultura 1994, Milano, Etas 2000, p.XIV.

48


Questo fenomeno e il dibattito teorico che ha accompagnato lo sviluppo del settore dei beni culturali, hanno coinvolto anche l’Italia, seppure con peculiarità e accenti specifici rispetto a quanto è avvenuto in altri paesi. Rispetto all’ampiezza del nostro patrimonio storico-artistico, sono ancora assai limitate le risorse destinate alla sua conservazione e al suo sviluppo, anche se negli ultimi dieci anni sono state stanziate somme significative da parte dello Stato e degli Enti locali. In particolare, il budget del Ministero dei Beni culturali è passato dai 2,1 miliardi di euro del 2002, ai 3,8 miliardi di euro di quest’anno, anche se continua a rimanere molto bassa la percentuale destinata ai beni culturali sul prodotto interno lordo, che attualmente è pari allo 0,17%14. Inoltre, si sono affacciati sulla scena nuovi attori come le fondazioni ex-bancarie ed è aumentato l’impegno dei privati. Si tratta di un convergere di risorse che muove non solo dalla consapevolezza del valore dei beni culturali, ma anche dalla convinzione che la salvaguardia e la valorizzazione di questo patrimonio si può tradurre in nuove opportunità economiche, soprattutto in termini di creazione di ricchezza e prospettive occupazionali. In effetti, la crescita consistente dei consumi culturali legati al godimento delle opere d’arte, dei siti archeologici,

di

testimonianze

storiche

e

civili,

oltre

a

confermare

l’innalzamento della qualità dei consumi derivante da un più alto tenore di vita e di istruzione, rappresenta di per sé un indicatore importante e certamente promettente in questa direzione. Parallelamente, i programmi di restauro degli edifici e dei monumenti storico-artistici ha spinto ulteriormente nella direzione di un approccio anche economico alla gestione dei beni culturali. Va da sé, infatti, che, per avere effetti duraturi nel tempo, gli interventi conservativi e di recupero esigono che, una volta restaurati, i beni vengano aperti al pubblico o destinati ad usi compatibili,

14

Giova ricordare che, ad esempio, la Spagna impegna lo 0,35% del pil, la Germania lo 0,33%, il Portogallo lo 0,25% e la Francia lo 0,18%. Cfr., anche per il dato inerente il budget del Ministero dei Beni culturali, T.OLDANI, Giuro: nessun bene andrà in saldo. Intervista al ministro Urbani, in “Panorama” 31 gennaio 2003, www.panorama.it/cultura/musei/articolo.

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che non risultino onerosi ma, possibilmente, siano fonti di entrate economiche per sostenere i programmi di manutenzione e di valorizzazione. Tuttavia,

come

qualsiasi

cambiamento,

anche

questo

fermento

generalizzato che sta attraversando il mondo dei beni culturali, genera reazioni ed opposizioni. Così, negli anni passati si è registrata una certa tendenza da parte del mondo della cultura a rifiutare qualsiasi intrusione della sfera economica nell’ambito culturale, sulla base della convinzione che quest’ultima dovesse essere conservata immune da ipotetiche “contaminazioni” derivanti dalla logica del profitto. L’atteggiamento conseguente, da parte dei soggetti istituzionalmente deputati alla gestione del settore è stato quello di privilegiare la tutela e la conservazione del bene senza alcuna considerazione per le implicazioni economiche connesse ai processi di sviluppo e valorizzazione del settore15. Significativa, a questo proposito, quella che può definirsi come forma mentis della maggior parte degli operatori del settore, a partire dai soprintendenti la cui formazione, essenzialmente umanistico-artistica, è talvolta contrassegnata da una visione elitaria del bene culturale, tendenzialmente contraria alla fruizione e promozione allargata del medesimo. È difficile aspettarsi da figure professionali di questo tipo una preparazione manageriale in grado di tener conto positivamente delle logiche economico-aziendali16. Del resto il dibattito teorico che sta accompagnando i cambiamenti in atto nel settore culturale, sottolinea l’emergere di posizioni contrapposte,

15

L.SOLIMA, La gestione imprenditoriale dei musei. Percorsi strategici e competitivi nel settore dei beni culturali, Padova, CEDAM 1998, p.XVII. 16 A.M.MERLO, Assetti istituzionali innovativi per la cultura, in A.RONCACCIOLI (a cura di), L’azienda museo. Problemi economici, gestionali e organizzativi, Padova, Cedam 1996, p.10. Considerazioni analoghe, interessanti soprattutto perché provenienti da una operatrice del settore culturale, sono espresse in A.MOTTOLA MOLFINO C,, Mi è presa l’ansia di conoscere il linguaggio del contemporaneo, in “Il giornale dell’arte”, n.147, 1996. Ancora poco tempo fa, nel corso di un incontro pubblico fra la Soprintendenza ai Beni culturali della Lombardia e le autorità locali a proposito del destino della Villa Reale di Monza, la Soprintendente architetto Carla di Francesco ha ammesso di avere grosse resistenze personali a doversi occupare anche degli aspetti economici che il recupero di tale bene comporta. Cfr. Il rilancio della Villa Reale, dei Giardini e del Parco di Monza, Atti del Convegno 13 gennaio 2003, Sala del Consiglio, Comune di Monza.

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riconducibili, anche se forse un po’ troppo semplicisticamente, ai grandi concetti base della tutela e della valorizzazione. In effetti, se da un lato, gli impiegati nel settore dei beni culturali e dei musei tendono ad attribuire un valore preminente alla conservazione e alla ricerca scientifica, dall’altro gli economisti e gli studiosi di management sottolineano – spesso con un atteggiamento altrettanto assolutistico – la valorizzazione e la promozione del patrimonio culturale. Da queste posizioni divergenti derivano altrettanto divergenti visioni prospettiche per cui, mentre i primi tendono a sottovalutare l’aspetto della fruizione del bene - quasi volessero privilegiare il suo mantenimento nel tempo, quindi le generazioni future rispetto alle presenti - i secondi lo sopravvalutano e così facendo considerano implicitamente gli attuali fruitori del patrimonio custodito come i naturali destinatari dello stesso, al di là di possibili fruizioni future17. Sarebbe tuttavia limitativo considerare questa come una situazione statica, senza confronti e controtendenze. In realtà, la dicotomia fra mondo della cultura – sotteso a finalità sociali – e mondo dell’economia – riconducibile al perseguimento di finalità d’impresa di natura essenzialmente privatistica – tende a ridursi con il riconoscimento che esistono specifiche complementarità fra pubblico e privato e che è possibile un’integrazione fra la legittima necessità di considerare la particolarità del settore culturale e l’urgenza di sfruttare tutte le potenzialità che una gestione manageriale offre in una prospettiva evolutiva. Siamo, dunque, in presenza di un dibattito molto ampio, ma spesso disorganico che ha portato alla coesistenza di visioni anche molto lontane l’una dall’altra. Del resto, antinomie e contrapposizioni rigidamente dogmatiche sono spesso frutto di punti di vista che sarebbe, invece, utile considerare in una prospettiva dialettica, che tenda alla ricomposizione più che alla frattura, pur essendo in grado di cogliere le specificità delle singole posizioni. In altri 17

L.SOLIMA, La gestione imprenditoriale dei musei. Percorsi strategici e competitivi nel settore dei beni culturali, cit., pp.XVIII-XIX.

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termini, si tratta di aver sempre presente che in molti casi la tutela, intesa in modo rigido, deriva sia da necessità di conservazione del bene nella sua integrità e nelle sue caratteristiche, che dalla volontà di fare in modo che esso rimanga armonicamente inserito in un contesto ambientale che lo renda leggibile nei suoi significati originari per le generazioni presenti e future. Il problema qui sollevato non riguarda solo le caratteristiche, per così dire, esterne, architettonico-paesaggistiche del bene, bensì investe le sue vocazioni, per così dire, interne, le destinazioni d’uso ed è su questo terreno che spesso avvengono gli stravolgimenti più negativi e devastanti che legittimano resistenze ed opposizioni nei confronti dell’inserimento delle ragioni economiche nelle strategie culturali. È innegabile, tuttavia che, in taluni casi nei quali a predominare sono pregiudiziali ideologiche, priorità mal intese di conservazione portano alla conseguenza paradossale di compromettere la tutela del bene perché non si misurano con le necessità reali18. In effetti, la prassi che si sta facendo strada per importanti istituzioni culturali, anche a livello nazionale19 e non solo internazionale, dimostra che è possibile, oltre che necessaria, una conciliazione fra le diverse componenti della gestione dei beni culturali, soprattutto se si tiene conto dell’obiettivo comune di soddisfare le esigenze dei visitatori, favorendo la promozione dell’interesse e dell’arricchimento culturale di un numero sempre più esteso di persone: «nel contesto attuale, la “emancipazione” del settore dei beni culturali transita per una sua legittimazione in chiave economica, che porti a sostegno delle istanze di funzionamento non solo gli interessi collettivi sottesi alla più ampia e migliore fruizione del patrimonio ma anche le implicazione micro e macro-

18

C.ANNIBALDI, Introduzione a N.KOTLER, P.KOTLER, Marketing dei musei. Obiettivi, traguardi, risorse, cit., pp.XIX-XX. 19 Per una rassegna puntuale delle esperienze più significative nel panorama italiano si rinvia al già citato volume a cura di Luca Zan, che contiene, fra gli altri, gli esempi della società Arti Doria Pamphilj, della Galleria d’Arte Moderna di Bologna, dei Musei Civici di Venezia, del parco archeologico di Fiesole, dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.

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economiche connesse alla possibilità di un diverso modo di amministrare e valorizzare il patrimonio stesso»20. In una realtà come quella italiana, nella quale gran parte del patrimonio culturale è pubblica o comunque sottoposta a vincoli e controlli da parte della pubblica amministrazione21, solo un mutamento delle normative che recepisca i nuovi orientamenti espressi anche a livello internazionale, può consentire un mutato approccio anche da parte dei funzionari che operano nel settore dei beni culturali. In proposito occorre sottolineare che, se le innovazioni normative che si sono avute negli ultimi decenni, sono riuscite solo in parte ad aprire il settore dei beni culturali alla sperimentazione di nuove modalità di gestione e al contributo di nuovi soggetti, è opportuno soffermarsi su quanto è stato fatto dal punto di vista normativo per capire in che direzione si sta andando.

2. La normativa a favore dei beni culturali

i

l primo passo nella direzione nella sperimentazione di nuove modalità di gestione si è avuto con la Legge 512 del 1982, volta ad incentivare, attraverso una parziale defiscalizzazione delle spese, il contributo dei privati a favore dei beni culturali. Si

tratta di una legge la cui efficacia pratica è stata assai limitata22 - anche perché mancante di un regolamento di attuazione – ma che riconosce per la prima volta la necessità di integrare l’intervento pubblico con il contributo del privato, seppur ancor relegato alla mera elargizione. Ben più significativo il passo successivo, rappresentato dalla cosiddetta “Legge Ronchey”23, la Legge n. 4 del 1993, che prevede l’affidamento ai privati dei servizi accessori alle attività culturali, vale a dire di tutti quei servizi che si 20

L.SOLIMA, I livelli multipli di intersezione tra ambito economico e sfera culturale. Alcuni spunti offerti dal settore museale, in “Il Commercio”, n.57, 1996, p,10. 21 Il fondamento giuridico di questo primato è rinvenibile nell’art. 9 della Costituzione che pone la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione come compito della Repubblica. 22 I principali contributi si sono avuti nel campo del restauro. 23 Dal nome del ministro proponente.

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sono

progressivamente

venuti

affiancando

all’attività

culturale

in

considerazione della crescente domanda da parte dei visitatori: dai libri ai gadget, dai cd alle riproduzioni etc. Un mercato molto ricco e diffuso a livello mondiale che in Italia non aveva avuto possibilità di espansione soprattutto a causa della esistenza di regole pubblicistiche incompatibili con le attività di mercato che gravavano sulle strutture storico artistiche, in gran parte appartenenti allo Stato. La legge Ronchey ha cercato di porre rimedio a questa situazione di oggettivo danno tanto per i beni culturali quanto per i visitatori. In particolare, muovendo dalla constatazione che la visione istituzionale tradizionale della gestione dei beni culturali da un lato, comportava una rinuncia a un beneficio economico per lo Stato, e dall’altro deludeva le aspettative dei visitatori italiani e internazionali, la legge ha portato a compimento un processo di maturazione volto ad affidare ai privati le attività di mercato connesse alla politica culturale. La legge, dunque, prefigura la coesistenza di due gestioni, culturale ed economica, nettamente separate ed affidate, la prima, agli organi dello Stato e la seconda ad imprenditori privati ed orientata alla ricerca del profitto24. Tuttavia, la separazione di ruoli ipotizzata dalla legge si è tradotta solo in parte

in

un’occasione

valorizzazione

per

economica

cogliere del

le

opportunità

patrimonio

conseguenti

artistico,

poiché

alla lega

indissolubilmente i servizi aggiuntivi al successo della parte espositiva, penalizzando i musei, le pinacoteche e i siti archeologici di medio e basso livello di visitatori. In queste realtà, infatti, non si sono potute creare le condizioni necessarie per accrescere l’attenzione dei visitatori, perché non si è potuto contare su una politica culturale ed economica unitaria per le diverse situazioni. Ciò non toglie che la legge fosse ispirata a principi indubbiamente innovativi, fondati in primo luogo, sull’importanza del servizio come elemento decisivo per il successo dell’attività del bene culturale. Si tratta di un aspetto in 24

C.ANNIBALDI, Introduzione a N.KOTLER, P.KOTLER, Marketing dei musei. Obiettivi, gestione, risorse, cit., p.XXI.

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passato fin troppo negletto, che risulta invece decisivo in una nazione come la nostra che vanta un altissimo numero di turisti che devono poter contare sulla qualità del servizio non solo nelle realtà più rinomate e consolidate, ma anche in quelle situazioni, spesso esterne alle grandi rotte turistiche, che ospitano comunque istituti culturali seppur di medie e piccole dimensioni25. A questo si aggiunge il valore educativo del materiale che viene offerto in vendita nei servizi aggiuntivi, che consente una maggiore conoscenza del patrimonio culturale in modo economicamente accessibile. Non va poi dimenticato che bene culturale ricava un vantaggio economico dalla vendita del materiale connesso alle collezioni e alle mostre periodiche. La legge Ronchey, ha dato l’avvio a un processo che si sviluppa nella direzione dell’autonomia gestionale e finanziaria degli istituti, poiché stabilisce che il 50% degli introiti che lo Stato ricava dai servizi aggiuntivi venga assegnato agli enti che forniscono gli spazi o i beni riprodotti, mentre l’altro 50% rimane nelle casse del Ministero per la gestione generale. Secondo alcuni interpreti, anche se la legge ha spinto ad una gestione più attenta ed attiva nei confronti delle aspettative del pubblico ed ha favorito un allargamento del campo degli operatori nella direzione di nuove forme di imprenditorialità, la sua applicazione non ha consentito di raggiungere gli obiettivi che gli estensori si erano prefissati. Secondo questa interpretazione, la Legge Ronchey, malgrado le intenzioni originarie, non è riuscita a dare un nuovo impulso alle riforme poiché ha favorito di fatto un’ulteriore centralizzazione di poteri da parte del Ministero e, soprattutto, ha tolto argomentazioni ad un dibattito che avrebbe potuto portare a una riforma più organica della materia26.

25

S.ARCELLA, La gestione dei Beni culturali. Fruizione, valorizzazione e promozione del patrimonio culturale italiano, Milano, Finanza & Lavoro 2000, p.6 26 J. LUTHER , Principi per il diritto dei musei pubblici in Italia, Torino, Contributi di ricerca, Fondazione Giovanni Agnelli 1995, p.10. Secondo P.PETRAROIA, Proposte di innovazione gestionale del sistema museale italiano, in Aa.Vv., I beni culturali ambientali quali risorse: aree naturali protette,

55


Altri autori hanno sottolineato come il dibattito che ha accompagnato la stesura della legge abbia comunque avuto effetti positivi, in particolare abbia portato ad una diversa sottolineatura degli aspetti economici e gestionali dei musei, favorendo la formazione e l’estensione di una nuova cultura che ha raccolto stimoli e suggerimenti provenienti essenzialmente dall’esterno dei musei ed ha spinto a non demonizzare più le proposte a carattere “imprenditoriale”, promuovendo una visione meno difensiva e maggiormente disposta ad accogliere l’innovazione nella gestione27. In ogni caso, vi è generalmente accordo sul fatto che il dibattito abbia sortito il positivo effetto di riproporre la questione dell’autonomia dei musei in termini più complessivi, legati non solo agli aspetti ordinamentali o amministrativi, ma estesi alle forme ed ai modelli gestionali. Ciò ha anche favorito forme di esternalizzazione dei servizi ed ha sollecitato, come si è detto, un diverso orientamento e una maggiore attenzione nei confronti delle esigenze del pubblico. Un nuovo scenario per i beni culturali, con l’obiettivo di ridurre i casi di gestione diretta da parte dello Stato, si è aperto con la Legge n. 59 del 1997 che regola il trasferimento di alcune funzioni in materia di beni culturali agli enti locali. Tre sono gli obiettivi strategici che la legge si è posta: in primo luogo, la semplificazione del sistema amministrativo; in secondo luogo, il suo decentramento, con la responsabilizzazione del governo locale piuttosto che dell’amministrazione statale; infine, un piano di ridefinizione tanto funzionale che organizzativo. Questa promozione del massimo conferimento possibile di compiti e di funzioni amministrative, precedentemente riservate allo Stato, alle autonomie locali non si è tradotto in una delega totale. Infatti, la legge in oggetto riserva alcune materie alla esclusiva competenza dello Stato e fra queste vi è la tutela musei e aree archeologiche, atti del convegno di Gubbio 10-11 settembre 1995, Rimini, Maggioli, p.18, un primo bilancio degli effetti della Legge Ronchey evidenzia un «sostanziale fallimento […] dell’aurea passione per l’offerta commerciale interna al museo».

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dei beni culturali e del patrimonio storico artistico (art.1, c.3, 1.f). Materia questa, che era invece stata rivendicata dalle Regioni che avevano dato vita in proposito a un lungo contenzioso che sembra, al momento, risolto da un punto di vista normativo, ma non sul piano del confronto teorico. In pratica, la legge individua la soluzione del problema del decentramento delle funzioni dello Stato in materia di beni culturali, distinguendo fra le funzioni di tutela, che rimangono di competenza statale, e quelle di valorizzazione e di gestione, trasferite agli Enti locali. Tale distinzione operata dalla legge, se pure ha sollevato le critiche da parte delle Regioni sulla base della considerazione che non ci può essere gestione senza tutela e viceversa, è stata apprezzata per il fatto che apre uno spiraglio al coinvolgimento dei privati.28 Per quanto riguarda ciò che qui più interessa, vale a dire la materia della valorizzazione e promozione, i successivi decreti attuativi29 ne precisano la definizione, riferendosi ad ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali e ambientali, incrementandone la fruizione, attraverso un’attività di promozione e di sostegno. Significativamente il successivo intervento normativo, il D. lgs 490/99, il cosiddetto Testo unico dei beni culturali che si è accompagnato al D. lgs 300/99, recante la riforma del Ministero per i beni e le attività culturali, ha ulteriormente sottolineato l’aspetto della fruizione, garantendo a tal fine la possibilità di stipulare accordi, anche con soggetti privati, e convenzioni con associazioni di volontariato (art.105). Viene altresì confermata la disposizione della Legge Ronchey, ma ne viene sostituita la dizione – ritenuta non esaustiva – di «servizi aggiuntivi», con quella più rispondente di «servizi di assistenza culturale e ospitalità per il 27

D.JALLA, Il Museo contemporaneo. Introduzione al nuovo sistema museale italiano, Torino, UTET 2000, p.89. 28 C.ANNIBALDI, Introduzione a N.KOTLER, P.KOTLER, Marketing dei musei. Obiettivi, traguardi, risorse, cit., p.XXII. 29 I D.lgs 368/98, 300/99 e 286/99a per una lettura dei quali si rinvia a D.JALLA, Il Museo contemporaneo. Introduzione al nuovo sistema museale italiano, cit., pp. 144 e ss.

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pubblico» (art.112). A ciò si aggiunge la precisazione ulteriore del loro possibile affidamento in concessione ai privati, ma solo Qualora questo risulti finanziariamente conveniente e i servizi medesimi non possano essere assicurati mediante le risorse umane e finanziarie dell’amministrazione (art.113 comma 1). Gli assetti giuridico istituzionali mostrano, dunque, un profondo mutamento in atto. Si sta progressivamente passando da una visione essenzialmente “Statocentrica”, basata su un sistema museale nazionale ordinato gerarchicamente dal centro verso la periferia e dall’alto verso il basso, ad una visione, anch’essa di sistema, ma concepita a partire dal basso, vale a dire come integrazione territoriale dei musei30, in grado di cogliere le opportunità che da tale sistema sinergico possono nascere. A questa considerazione si affianca quella relativa alle aperture significative, anche se estremamente caute, verso il coinvolgimento dei privati non più solo attraverso un sostegno di tipo economico, ma anche nel senso di un’utilizzazione e gestione del bene. Si tratta, comunque, di scelte non facili, soprattutto in considerazione del fatto che una responsabilizzazione della gestione può implicare impegni destinati a prolungarsi nel tempo, riducendo la flessibilità nella destinazione delle risorse. Inoltre, il riferimento alle fondazioni, che negli altri paesi sono i soggetti privati più frequentemente coinvolti nella gestione, riveste ancora caratteri molto vaghi per quanto concerne la definizione statutaria e legale di enti compartecipati. Più recentemente, la legge finanziaria per il 2002, la n. 448 del 28 dicembre 2001, ha stabilito di dare in concessione a soggetti diversi da quelli statali la gestione di servizi finalizzati al miglioramento della fruizione pubblica e della valorizzazione del patrimonio artistico secondo modalità, criteri e garanzie definiti con regolamento apposito che dovrà stabilire, tra l’altro: le procedure di affidamento dei servizi, che dovranno avvenire mediante 30

D.JALLA, Il Museo contemporaneo. Introduzione al nuovo sistema museale italiano, cit., p.195.

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licitazione privata, con i criteri concorrenti dell’offerta economica più vantaggiosa e della proposta di offerta di servizi qualitativamente più favorevole dal punto di vista della crescita culturale degli utenti e della tutela e valorizzazione dei beni, e comunque nel rispetto della normativa nazionale ed europea; i rispettivi compiti dello Stato e dei concessionari riguardo alle questioni relative ai restauri e all’ordinaria manutenzione dei beni oggetto del servizio, ferma restando la riserva statale sulla tutela dei beni; i criteri, le regole e le garanzie per il reclutamento del personale, le professionalità necessarie rispetto ai diversi compiti, i livelli retributivi minimi per il personale, a prescindere dal contratto di impiego; i parametri di offerta al pubblico e di gestione dei siti culturali. Tali parametri dovranno attenersi ai principi stabiliti all’articolo 2, comma 1, dello Statuto dell’International Council of Museums. Con lo stesso regolamento sono fissati i meccanismi per la determinazione della durata della concessione per un periodo non inferiore a cinque anni e del canone complessivo da corrispondere allo Stato per tutta la durata stabilita, da versare anticipatamente all’atto della stipulazione della relativa convenzione nella misura di almeno il 50 per cento; la stessa convenzione deve prevedere che, all’atto della cessazione per qualsiasi causa della concessione, i beni culturali conferiti in gestione dal Ministero ritornino nella disponibilità di quest’ultimo. Viene altresì considerato titolo preferenziale la presentazione, da parte dei soggetti concorrenti, di progetti di gestione e valorizzazione complessi e plurimi che includano accanto a beni e siti di maggiore rilevanza anche beni e siti cosiddetti "minori" collocati in centri urbani con popolazione pari o inferiore a 30.000 abitanti. Si conferma, dunque, un indirizzo giuridico che valorizza il rapporto con i privati nella gestione dei beni culturali31.

31

Cfr. M.CAMMELLI, R.CAPPELLI, M.CAUSI. C.CENTRARI e al., Beni culturali e imprese, Roma, Editori Riuniti 2002.

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3. L’offerta culturale dal punto di vista numerico e qualitativo

n

on è agevole determinare con precisione il numero dei musei italiani. L’ultimo censimento Istat, relativo al 1992, attesta l’esistenza di 2586 beni culturali aperti al pubblico (di cui 510 statali, 53 regionali, 58 provinciali, 1043 comunali, 91 di altri enti

pubblici, 382 di enti ecclesiastici e 449 di privati). Giova, comunque, sottolineare che questi dati, oltre a non essere aggiornati e poco indicativi poiché privi di avvertenze e note metodologiche alle tabelle32, sono anche poco attendibili. Basti pensare che una ricerca di poco antecedente33, ne ha contati un numero significativamente maggiore, pari a 3.437 al 199034. Al di là del riferimento numerico, una prima distinzione significativa concerne i proprietari di beni culturali35: circa il 70% di essi è di proprietà pubblica, il 13% appartiene alla Chiesa e il 16% ai privati, con una concentrazione prevalente al nord e centro Italia (solo il 19% è situato in meridione. I beni culturali degli enti locali, generalmente di piccole dimensioni, sono la metà del totale. Dal punto di vista dei contenuti, i beni culturali più numerosi sono quelli di arte e di archeologia, pari a circa la metà del totale. Lo Stato o gli Enti locali finanziano quasi interamente i beni culturali, visto che solo una piccola parte percentuale del bilancio è coperta dalla tariffa d’ingresso. Anche il capitolo del personale presenta notevoli lacune per la possibilità d’analisi, dato che a tutt’oggi è difficile indicare il numero complessivo degli

32

È questa l’opinione di F.TASSINARI, La statistica dei musei, in “Economia della cultura”, n.2, 1992, p.72. 33 D.PRIMICERIO (a cura di), L’Italia dei musei, Milano Electa 1991. 34 Nel conteggio sono però inclusi i musei non operanti o non fruibili dal pubblico e la cifra scende a 3.335 includendo anche istituzioni che hanno specie viventi come i giardini zoologici, botanici, naturali e gli acquari. 35 C.ALLORIO, Istituti pubblici e privati, in M.GARBERI, A.PIVA, Musei e opere: la scoperta del futuro, Atti del convegno internazionale di museologia e museografia, Milano, Mazzotta 1989, p.37, osserva che in Italia «il sistema di garanzie che l’ordinamento giuridico pone a protezione delle cose d’arte, scandisce le distinzioni tra i vari istituti per l’arte, tra i diversi musei, a seconda della loro appartenenza a diversi soggetti».

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addetti. Secondo uno studio della prima metà degli anni novanta36, gli occupati nel settore nel 1991 sarebbero stati pari a 70.225, di cui 27.097 impiegati nei Beni artistici, storici, archeologici e ambientali e i rimanenti nelle biblioteche e negli archivi. Dei 27.097 addetti, 13.697 sono personale dello Stato, 5.000 degli enti locali (dato relativo solo ai musei) e 8.400 di privati (dato relativo solo ai musei), enti ecclesiastici e altri soggetti. Si tratta di cifre probabilmente sottostimate37, di cui l’unica certa è quella relativa ai dipendenti del ministero dei Beni culturali e ambientali, vale a dire 13.697, escludendo archivi e biblioteche. Se si considerano solo i beni archeologici, artistici e storici – ai quali i musei appartengono in qualità di uffici delle rispettive soprintendente, il dato scende a 9.218, anche se l’organico prevede 9.688 addetti. Si tratta di un organico che, dal punto di vista strettamente numerico, se confrontato con quello dei musei dell’Europa comunitaria e del nord America, risulta assai scarso e che, soprattutto, si caratterizza per uno scarso peso delle qualifiche specialistiche di contro a un eccessivo peso dei custodi38. Il personale di custodia, in Italia, è pari al 54,6% del totale mentre nei musei dell’Unione Europea la media si attesta attorno al 28,1%). Al contrario, il personale tecnico-scientifico non supera il 15,1% del totale degli addetti, contro un valore analogo del 23% nella media comunitaria. Ma al di là della carenza numerica, il problema principale relativo al personale di custodia è di ordine strutturale e deriva dalla cattiva distribuzione territoriale, con una netta penalizzazione dei beni culturali centrosettentrionali. Tale squilibrio è attribuibile principalmente alla retribuzione media della categoria, che non è adeguata al costo della vita e, quindi, è poco appetibile in regioni a più alto costo della vita. A ciò si aggiunge la facile considerazione secondo cui, poiché il personale assunto al Nord proviene in larga parte dall’Italia meridionale, è evidente che una volta ottenuto l’impiego

36

E.CABASINO, Proposta per una definizione del profilo professionale del manager culturale e del relativo percorso formativo, in C.BODO (a cura di), Rapporto sull’economia della cultura in Italia 19801990, Roma, Associazione per l’economia della cultura, Presidenza del Consiglio dei ministri 1994. 37 Ibid., p.252. 38 Cfr. P.A.VALENTINO 8a cura di), L’immagine e la memoria, cit., p.134.

61


cerchi e in molti casi riesca ad ottenere il trasferimento in loco39. Un tentativo di risolvere il problema delle carenze strutturali – peraltro ancora ben lungi dall’essere risolto – è stato attuato mediante l’eliminazione della qualifica di ‘guardia di sicurezza’ del personale di custodia; l’introduzione dell’art.2 della Legge n. 4 del 1993 che prevede la possibilità di impiegare personale in esubero o posto in mobilità da altre amministrazioni dello Stato presso altri uffici; l’art.3 della stessa legge, che consente di stipulare convenzioni con associazioni di volontariato per utilizzare personale volontario in funzioni didattiche e di sorveglianza. Un dato rilevante per quanto concerne l’offerta dei beni culturali è quello relativo alla fruibilità. Un dato che, unito agli altri fattori, penalizza fortemente l’immagine dei beni culturali italiani e si ripercuote significativamente sul numero di utenti che visitano i luoghi d’arte nel nostro Paese. Da un’indagine precedentemente citata40 emerge che solo il 52% circa dei siti culturali è aperto al pubblico e il 29% è aperto solo su richiesta. Quest’ultimo fatto, di per sé non è negativo, visto che se un sito, anche per le sue caratteristiche contenutistiche, è destinato ad avere pochi visitatori durante l’anno, è giusto che sia aperto solo quando serve, vale a dire in corrispondenza della domanda effettiva, per non gravare inutilmente su un bilancio generale già di per sé estremamente ridotto. L’aspetto negativo e allarmante sta nell’ambiguità che connota il termine “aperto su richiesta”, visto che molto stesso si traduce in un sinonimo di chiusura totale. Inoltre, alcuni siti, sono pressoché perennemente in restauro, il che rende la loro fruizione da parte del pubblico assai complessa per non dire impossibile. Questi dati, in verità poco confortanti, di ordine numerico, risultano ancor più sconfortanti qualora ci si misuri con le nuove dimensioni che l’offerta dovrebbe assumere in una prospettiva evolutiva. I beni culturali sono, infatti, chiamati ad adeguare le proprie strutture per rispondere positivamente alla mutata ed ampliata richiesta del pubblico. Il “nuovo bene 39

S.BAGDADLI, Il museo come azienda. Management e organizzazione al servizio della cultura, Milano, Etas 1997, p.28.

62


culturale” deve essere maggiormente attento alle esigenze del pubblico, deve orientarsi al mercato e questo comporta necessariamente l’inserimento, nell’offerta e accanto a quelli tradizionali, di nuovi servizi e di nuovi profili professionali. Questo vuol dire strutturare a un livello di eccellenza ancora lontano dall’essere raggiunto, le tradizionali funzioni di •

sviluppo e conservazione

ricerca e studio;

esposizione delle collezioni (permanente e temporanea);

didattica.

ma vuol dire anche sviluppare in maniera adeguata, e spesso ex novo, attività complementari e di supporto quali: •

marketing;

servizi al pubblico;

impiego di nuove tecnologie.

Ormai è diffusa la consapevolezza che ci si trovi di fronte ad una sfida decisiva per i beni culturali italiani, anche da un punto di vista competitivo, visto la sempre maggiore disponibilità, da parte dei possibili utenti, di mezzi e tempo per viaggiare e spostarsi là dove l’offerta culturale è più ricca e completa. E certamente la situazione, da questo punto di vista non è confortante. È noto infatti come, mentre in molti degli Stati membri dell’Unione Europea, oltre che negli Stati Uniti, l’introduzione di un’offerta museale differenziata e ricca con alti standard di qualità sia ormai acquisita, in Italia sia ancora là da venire. Nella quasi totalità i beni culturali italiani non sono attrezzati per effettuare analisi periodiche sul proprio pubblico e, conseguentemente, non sono in grado di avere indicatori certi sulla segmentazione del mercato, sull’esistenza di eventuali nicchie. Anche le funzioni di marketing sono ancora poco sviluppate nella maggior parte dei beni culturali italiani che esitano a raffinare le proprie tecniche di promozione e conoscono ancora troppo poco i target ai quali

40

D.PRIMICERIO (a cura di), L’Italia dei musei, cit., p.28.

63


rivolgerle. Questo è tanto più grave laddove si consideri che, al contrario, la soddisfazione di tutte le componenti dell’attuale clientela e la capacità di attrarre al sito culturale nuove fasce di pubblico è la sfida che i beni sono chiamati ad affrontare. Infatti, conoscere il pubblico significa offrire una gamma di esperienze in cui ogni visitatore possa trovare ciò che più gli si confà: l’esperienza

ricreativa,

socializzante,

educativa,

estetica,

celebrativa,

emozionante41. Da quanto detto consegue che, il primo passo deciso verso un percorso di normalizzazione e di adeguamento dell’offerta di beni culturali passa necessariamente per la conoscenza delle caratteristiche della domanda.

4. I comportamenti del “consumatore” di beni culturali: un’indagine empirica

r

ecentemente

la

Fondazione

Fitzcarraldo

ha

condotto

un’indagine sul pubblico dei beni culturali a Torino e in Piemonte nel 2001, che costituisce un interessante indicatore empirico delle tendenze del pubblico, soprattutto in relazione

alle modalità di fruizione e alle motivazioni che ne sono alla base, anche se limitata ad un’area geograficamente ristretta42. Sono stati analizzati i dati relativi a sei eventi culturali disseminati nel territorio piemontese in diversi periodi dell’anno43. Senza soffermarsi in particolare sulle caratteristiche socio-demografiche del pubblico, visto che tracciano un profilo che non si discosta da quello dei consumatori abituali di questi eventi44, giova sottolineare che il livello di istruzione elevato sembra 41

Primo rapporto Nomisma sull’applicazione della Legge Ronchey, cit., p.5. Un’analisi dell’indagine in A.BOLLO, Due o tre cose sul pubblico delle mostre, in “Fizz- Idee e risorse per il marketing culturale”, settembre 2002, http://www.fizz.it/argomenti/pubblico/2002/2_3_cose_print.htm 43 Si tratta della mostra Tra Gotico e Rinascimento, che ha inaugurato la prima porzione restaurata di Palazzo Madama a Torino; del Forte do Exilles in Val di Susa, recentemente anch’esso riaperto al pubblico; la mostra Landscapes – Paesaggi, tenutasi in diversi comuni della provincia di Cuneo; la mostra Volti, il ritratto nella pittura piemontese tra ‘800 e ‘900, allestita al Museo Borgogna di Vercelli; la mostra Form Follows Fiction, tenutasi presso il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea; la mostra Macrino d’Alba, protagonista del Rinascimento piemontese, organizzata dalla Fondazione Ferrero di Alba. 44 In estrema sintesi le variabili socio-demografiche emerse sono le seguenti: elevato livello di istruzione, leggera prevalenza di un pubblico femminile, consumi culturali mediamente molto elevati, numero ridotto di over 60. 42

64


essere la variabile che sta alla base dei comportamenti di consumo culturale, anche se si tratta di una correlazione che spiega solo in parte le decisioni di consumo culturale e che, conseguentemente appare troppo debole per supportare chi deve decidere – amministrazioni locali o responsabili delle istituzioni culturali – nelle scelte inerenti a interventi orientati all’ampliamento dei bacini di utenza o alla fidelizzazione del pubblico. È necessario, dunque, conoscere le motivazioni, i bisogni, i benefici ricercati nel comportamento di consumo di esperienze legate all’offerta dei beni culturali. Nel caso dell’indagine in oggetto, sono state analizzate le variabili delle motivazioni alla visita addotte dai visitatori, della durata della visita e del gradimento, stabilendo altresì l’eventuale correlazione fra di esse. A) Le motivazioni45: Più della metà degli intervistati (55%) ha dichiarato di aver visitato il bene culturale per interesse specifico verso il tema o l’artista trattato; il 14,5% ha dichiarato di essersi recato al sito poiché rientrava all’interno di una visita turistica della città o del luogo; il 12,3% del campione è stato motivato da interessi legati al proprio lavoro o alle proprie attività di studio; una parte esigua (4,7%) è andato per accompagnare l’amico o il partner; significativamente una percentuale abbastanza alta (18,9%) ha dichiarato di essersi recato nel luogo per caso. Si tratta, dunque di motivazioni eterogenee, alcune delle quali non dipendono tanto dalle caratteristiche e dai contenuti dell’offerta, quanto piuttosto da comportamenti di natura sociale, contingente o più generalmente legati alla ricerca del loisir. Le conseguenze, dal punto di vista della promozione, si traducono nella sollecitazione, ai responsabili della comunicazione, di tener conto di questi fattori nella scelta dei messaggi, dei valori trasmessi, nella elaborazione del significato complessivo che può rivestire l’esperienza di visita. A ciò si aggiunge la constatazione che le motivazioni 45

Giova ricordare che il questionario dell’indagine prevedeva la possibilità di più risposte. Conseguentemente, chi dichiarava, ad esempio, di avere avuto un interesse specifico verso la mostra, poteva dichiarare contemporaneamente di esservisi recato perché la mostra medesima rientrava all’interno di un giro turistico, o perché era inerente al proprio lavoro.

65


influiscono sui comportamenti di fruizione, in particolare sulla durata della visita e sul gradimento complessivo dell’esperienza. B) La durata: la variazione della durata della visita è in funzione del motivo principale della stessa. Il 55,5% dei visitatori ha dichiarato che il motivo principale della visita è stato il contenuto del bene; per questi utenti, la permanenza nella sede espositiva è stata la più alta (mediamente 61,6 minuti). Le visite più brevi (mediamente 46 minuti) sono state effettuate, invece, da chi è entrato per caso. I dati relativi alla durata media delle visite consentono anche di individuare un tratto distintivo di questa tipologia di offerta, sottolineando una modalità di fruizione relativamente veloce, soprattutto se confrontata con la permanenza media: circa il 70% dei visitatori ha impiegato meno di un’ora per vedere il sito, quando ricerche condotte sui beni culturali statali italiani46 attestano una permanenza media pari a 110 minuti. Solo per il 17,9% dei visitatori si è registrata una durata della visita inferiore a un’ora, mentre quasi la metà dei visitatori, circa il 47%, è rimasto in loco per più di due ore. Tenendo conto delle necessarie distinzioni conseguenti alla diversa consistenza delle collezioni e alla superficie espositiva, si può dedurre che la tipologia del bene culturale rientra in una modalità di consumo la cui variabile “tempo” può essere gestita senza grandi difficoltà. In effetti, la visita a carattere culturale sembra rappresentare una tappa all’interno di un processo di consumo del tempo disponibile, liberato dal lavoro e dalle incombenze domestiche, che si abbina ad altre attività quali quelle di shopping, di scoperta dei dintorni, di visita ad altre istituzioni museali. Infatti, oltre il 55% degli utenti ha dichiarato che, dopo la visita, intendeva visitare i dintorni o il centro cittadino per fare acquisti, mentre il 9,5% intendeva proseguire le visite in altri istituti culturali. Infine, un terzo del totale sarebbe ritornato a casa.

46

Cfr. L.SOLIMA, Il pubblico dei musei. Indagine sulla comunicazione nei musei statali italiani, Roma, Gangemi editore 2000; MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI, Indagine sui servizi di accoglienza nei musei statali italiani: la domanda, l’offerta, Roma, Ministero per i Beni e le Attività Culturali 2002.

66


C) Il gradimento: l’indagine ha mostrato che esiste una correlazione fra motivazione

alla

visita

e

gradimento

complessivo

dell’esperienza.

Generalmente si osserva che con l’aumentare dell’interesse specifico per il luogo aumenta il gradimento del luogo stessa. I dati emersi dall’indagine evidenziano come l’incidenza maggiore di soddisfatti è riferibile a chi è andato per interesse specifico per il tema trattato (91,3%) o per accompagnare amici o conoscenti. Non si sono riscontrate, invece, differenze significative fra livelli di scolarità all’interno dei raggruppamenti di pubblico individuati in funzione della motivazione, anche se si può ipotizzare che una conoscenza specifica e una maggiore preparazione rispetto ai contenuti del bene culturale possano essere fattori che rafforzano il gradimento e la soddisfazione per l’esperienza vissuta, poiché confermano ed arricchiscono un background culturale che, oltre ad essere genericamente forte, è anche specificamente qualificato rispetto alla specifica proposta culturale. L’osservazione empirica consente di osservare come il consumo di cultura svolga una funzione prevalentemente comunicativa che deve essere intesa come modo in cui gli individui dichiarano, caratterizzano, confermano la loro presenza nel mondo e la loro appartenenza sociale, non solo agli altri, ma anche a se stessi47. Verosimilmente, quello che distingue i visitatori occasionali dai nonvisitatori, vale a dire da coloro che non si recano mai, né sentono l’esigenza di recarsi a visitare un bene culturale, non ha a che fare tanto con i benefici ricercati nel consumo di attività del tempo libero (divertimento, socialità, svago, etc.), quanto piuttosto con la constatazione che il consumo di cultura non rientra fra le diverse opportunità di acquisto in grado di soddisfare l’esigenza di tipo comunicativo che servirebbe a posizionare i non visitatori all’interno del loro spazio sociale, distinguendoli e caratterizzandoli in relazione al loro stile di vita48. 47 48

A.BOLLO, Due o tre cose sul pubblico delle mostre, cit., p.3. In merito si veda P.BORDIEU, La distinzione. Critica sociale del gusto, Bologna, Il Mulino 1983.

67


68


PARTE SECONDA Capitolo IV

69


70


CAPITOLO QUARTO La fruizione dei siti ipogei di Roma: un’indagine sul campo

1. L’ipotesi originaria, il questionario e il campione dell’indagine

g

iunti alla fine di questo lavoro di ricostruzione della realtà della parte meno fruita del sottosuolo di Roma, ho ritenuto opportuno verificare, attraverso un’indagine diretta, la veridicità di questa asserzione e soprattutto le ragioni che sottendono la scarsa

conoscenza di questa, pur rilevante parte della archeologia romana. L’ipotesi originaria era che i fattori che incidevano negativamente fossero diversi e che concorressero tutti, anche se in vario modo e grado, a mantenere misconosciuta questa realtà. In estrema sintesi, i fattori da me individuati in via ipotetica erano i seguenti: •

la mancanza di un’informazione adeguata al di fuori degli ambiti degli specialisti e degli intenditori per coinvolgere un pubblico più largo;

la difficoltà di accesso diretto, senza mediazioni di enti o associazioni culturali;

la scarsa conoscenza degli aspetti più propriamente archeologici di questo patrimonio;

la scarsa conoscenza della stratificazione storica del territorio dell’Urbe. A questi motivi specificamente legati alla natura e alle condizioni di

notorietà e di fruibilità dei siti ipogei romani, ne ho presi in considerazione altri che attengono più direttamente alla propensione di un pubblico generico a fruire di questi particolari beni culturali. Anche in questo caso mi è parso utile formulare un’ipotesi di massima, individuando alcune variabili che ricorrono nella metodologia della ricerca sociologica quali l’età, il sesso, il grado di

71


istruzione, il profilo professionale, l’occasione della visita, sia dal punto di vista temporale (la scelta fra i giorni della settimana), che da quello della preferenza personale (visita da soli o in compagnia). L’ipotesi formulata preliminarmente all’indagine risulta schematicamente riassumibile nell’asserzione secondo cui: •

il maggior interesse è dimostrato da persone della fascia di età di mezzo, con un’istruzione medio-alta e una buona condizione professionale;

la maggior conoscenza è presente in chi utilizza il supporto di un’associazione culturale specifica.

Partendo da queste due ipotesi di ricerca, ho elaborato un questionario (riportato nelle pagine successive) che contiene venticinque domande a risposta chiusa e a risposta plurima, che colgono entrambi gli aspetti: quelli più direttamente legati alle caratteristiche del campione e quelli inerenti alla fruizione vera e propria di questo patrimonio archeologico. Per quanto riguarda gli interpellati, si tratta di un campione di 151 soggetti di cui un terzo iscritto a un’associazione culturale che si occupa di archeologia e due terzi di persone provenienti da diversi ambiti di lavoro, di studio o di ricreazione, scelti in modo volutamente generico e casuale al fine di ottenere un campione il più possibile composito e vario. I luoghi presso cui sono stati rilevati i questionari sono: •

Associazione LUPA Roma

Ospedale Bambin Gesù Roma

Facoltà di Biologia Università La Sapienza Roma

Circolo Tennis Garden Roma

Facoltà di Ingegneria Roma 3

Ospedale San Filippo Neri Roma

Fideuram e Ferrarelle

Uffici della Camera dei Deputati

Monte dei Paschi di Siena di Bologna

Varie (amici)

72


Questionario [NB: Il presente questionario è anonimo ed è finalizzato esclusivamente alla compilazione di una tesi di laurea.] Il visitatore dei siti ipogei di Roma Antica: Uno studio sui fruitori 1) Età

meno di 35 anni dai 36 ai 50 anni oltre i 50 anni

2) Sesso

M

3) Titolo di studio

F Università Scuole superiori Scuole medie _______________

4) Profilo professionale

Lavoratore dipendente Lavoratore autonomo Libero professionista Pensionato Studente

5) Da quanto tempo frequenti questi siti? 1 anno 2 anni da più di 2 anni 6) Con che frequenza nell’ultimo anno hai partecipato a visite a siti archeologici? 1 volta al mese 2 o 3 volte all’anno in media quante volte in un anno 7) Negli ultimi tre mesi hai partecipato a visite guidate e con quale frequenza? 1 volta Più volte (indicare) _____ Mai 8) Ti avvali del supporto di qualche Associazione Culturale? SI NO 9) Quanto ti interessano i siti ipogei? Poco Abbastanza Molto Moltissimo 10) Cosa ti aspetti da queste visite? Arricchimento spirituale Conoscenza del passato Svago Piacere

73


11) Consideri le visite come bene di consumo? Scarsamente accessibili Accessibili Difficilmente accessibili 12) A che cosa lo attribuisci? Difficoltà a reperire i permessi Impossibilità di access per lavori di restauri in corso Orari di apertura ed obbligo di prenotazione 13) Quali siti prediligi? Siti ristrutturati e fruibili con percorsi strategicamente preordinati Anfratti vari e poco conosciuti Catacombe e ipogei sepolcrali 14) Ti sei annoiato mai durante le visite guidate? SI NO 15) Se SI per Scarsa preparazione della guida Eccessiva prolissità della guida Poco tempo a disposizione della guida per illustrare sinteticamente bene l’oggetto della visita 16) Prima di ogni visita ti prepari a casa l’argomento in modo da trovarti preparato? SI NO 17) Di ritorno a casa ti rivedi la visita e trai un consuntivo? SI NO 18) Quanti siti ipogei conosci di Roma Antica? _______/ su 100 visitabili 19) Quanto ti ritieni soddisfatto dal partecipare a visite di questo genere? Moltissimo Molto Poco Pochissimo 20) Quanto costa l’iscrizione annua all’Associazione Culturale alla quale sei iscritto? _______ Euro 21) Il costo d’ingresso al sito va considerato a parte secondo le tariffe previste per le visite museali? SI NO 22) Per i siti di proprietà della Chiesa si segue lo stesso criterio? SI NO (specificare) _______ 23) Acquisti guide o libri presso il botteghino per ogni sito visitato? SI NO 24) Per queste visite frequenti da solo con amici con parenti 25) Giorni prefissati prevalentemente per le visite: Sabato Domenica Altri giorni

74


1.1. L’Associazione culturale LUPA per l’Archeologia e l’Arte Antica

l

’Associazione culturale LUPA per l’Archeologia e l’Arte Antica è un’associazione nata nel 1996 congiuntamente alla Rivista di Archeologia Forma Urbis-Itinerari Nascosti di Roma Antica. Scopo precipuo dell’Associazione è quello di «far conoscere ed

ammirare dal vivo a tutti coloro che sono appassionati della storia antica di Roma, siti ipogei e monumenti non comunemente visibili perché sotterranei e spesso situati a 10-15 metri sotto il piano di calpestio, quindi nascosti»49. Si tratta di luoghi che vengono rappresentati su “Forma Urbis” accompagnati da un’ampia descrizione storica e scientifica e con ampio apparato fotografico al fine di favorire la conoscenza diretta. Proprio la necessità di rispondere a una domanda crescente di visite guidate a partire dai lettori della rivista, visite realizzate con un forte impegno da parte dei collaboratori della LUPA ha spinto l’Associazione a dotarsi di una specifica organizzazione. Tale organizzazione si basa su una forma di partecipazione unica e maggiormente funzionale, che prevede un’iscrizione annuale che offre agli associati la possibilità di fare tutte le visite guidate previste per il corso dell’anno, oltre alla possibilità di partecipare alle numerose iniziative culturali intraprese dall’Associazione medesima: gite di carattere archeologico anche fuori Roma, conferenze, proiezioni, corsi tematici. Tutte le iniziative sono raccolte in un corposo Programma Annuale che viene consegnato ai soci all’inizio dell’anno o all’atto dell’iscrizione. Si tratta di un’organizzazione che ha consentito di sviluppare i programmi con successo. In particolare è stata fatta la scelta di organizzare le visite guidate ai siti mediante la formula di gruppi di visitatori a numero chiuso, per evitare l’affollamento e così consentire una miglior fruizione da parte dei partecipanti, anche con l’ausilio di dispense fornite e delle spiegazioni dei numerosi archeologi professionisti che collaborano con l’Associazione. 49

Dal sito dell’Associazione: http://www.archeolupa.it/

75


2. I dati che si ricavano dall’analisi del questionario

d

all’analisi del questionario sono stati ricavati dati significativi, dai quali è possibile trarre alcune conclusioni riguardo il pubblico dei siti ipogei di Roma Antica e il comportamento inerente alle caratteristiche della fruizione di questi particolari

beni culturali. 2.1. I dati relativi al campione Per quanto riguarda le caratteristiche

del

campione,

Uomini

esso è costituito per la gran maggioranza

di

donne

(89 Donne

donne, pari al 61% contro 56 uomini, pari al 39%)50.

Per quanto concerne

Sotto 35

l’età, la maggior parte ha oltre cinquanta anni (74, pari al 49%), mentre il rimanente

Sopra 50

si

suddivide

quasi

equa-

mente fra coloro che hanno meno di trentacinque anni (41, pari al 28%) e coloro che

36-50

hanno fra i trentasei e i cinquant’anni (34, pari al 23%)51.

50 51

Sei persone non hanno risposto per cui sono stati defalcati dal conteggio complessivo. Anche in questo caso vi sono stati due intervistati che non hanno risposto.

76


Dal punto di vista Medie inferiori

della formazione culturale, il

Non specifica

campione

è

costituito

prevalentemente da persone che hanno un alto livello di Università Medie superiori

istruzione (69, pari al 46% hanno fatto l’Università e 68, pari al 45%, si è diplomato alle superiori), mentre ben

pochi hanno un grado di istruzione inferiore (12, pari all’8% si sono fermati alla scuola dell’obbligo e 4, pari all’1% non hanno specificato ulteriormente). Per quanto riguarda il profilo professionale, la maggior parte del campione è costituito da lavoratori dipendenti (64, pari al 44%), e da pensionati (44, pari al 26%), mentre il rimanente si suddivide equamente fra gli studenti (21, pari all’11%), i liberi professionisti (14, pari al 9%), lavoratori autonomi (13, pari al 9%) e ad altre professioni non meglio specificate (6, pari all’1%).

Studenti

Altro

Dipendenti Pensionati

Professionisti

Autonomi

77


Un ultimo dato - che mi pare corretto, comunque, inserire in questa parte dell’analisi – concerne la considerazione dell’appartenenza o meno ad associazioni culturali e l’eventuale costo dell’iscrizione annua. Sui 151 intervistati, oltre i due terzi (94 persone) non sono associati ad alcuna organizzazione culturale, mentre quasi tutto il rimanente (48 persone) è associato con una cifra di 55 euro annui52 . I pochi altri (9 persone in tutto), dicono di essere iscritti a associazioni che richiedono meno di 50 euro annui (8 persone), e uno solo a un’associazione la cui iscrizione costa ben 210 euro. 2.2. L’analisi dei dati relativi alla fruizione dei siti e ai comportamenti di consumo Per quanto concerne la frequenza della visita ai siti, i tre quesiti che sono stati posti al campione riguardavano rispettivamente: la frequenza storica, la frequenza nell’ultimo anno e la frequenza negli ultimi tre mesi. In relazione alla frequenza storica, la maggior parte dichiara di frequentare questi siti da più di due anni (84 persone, pari al 55%), e il

1 anno

non risponde

2 anni

più di 2 anni

rimanente vede una maggioranza di frequentatori da un solo anno (24, pari al 16%), rispetto a quelli che frequentano da due anni (15, pari al 10%). Significativo mi è parso il dato di coloro che non rispondono a questa domanda che rappresentano quasi un quinto del campione (28, pari al 19%). 52

Verosimilmente il dato coincide con quello degli iscritti all’Associazione LUPA.

78


Il dato relativo alla frequenza delle visite a siti archeologici nell’ultimo anno, il campione si suddivide abbastanza equamente fra le tre fasce prospettate, fra coloro che hanno una periodicità di una volta al mese (44, pari al 29%), coloro che visitano i siti più volte l’anno (43, pari al 28%), e coloro che ci vanno due o tre volte l’anno (42, pari al 28%). Devo sottolineare, comunque, che stante il tenore delle risposte queste due variabili potrebbero forse essere sommate, visto che nel precisare quante volte di media in un anno, molti hanno risposto due o tre volte. Anche in questo caso c’è stato un buon numero di persone che non ha risposto (22 persone, pari al 15%). non risponde 1 al mese

Infine,

il

dato

riservato alla frequenza di siti archeologici negli ultimi più volte l'anno

2 o 3 volte l'anno

tre mesi, buona parte del campione

non

ne

ha

frequentati (61 persone, 40%), mentre una quota significativa ne ha frequentati mediamente due (45 persone, pari al 30%), o uno (35 persone, pari al 23%)53. Sommando questi due dati, se ne può dedurre che più della metà del campione ha frequentato uno o due siti archeologici negli ultimi tre mesi. È

non risponde 1 volta

collegare

interessante i

dati

precedenti relativi alla frequentazione mai

quello più volte

con

successivo

inerente al supporto di associazioni culturali in

queste visite: il campione si divide pressoché a metà fra chi dichiara di non avvalersi di alcun supporto (76 persone, pari al 50%) e chi invece si appoggia ad 53

La percentuale di chi non risponde scende al 7%.

79


associazioni culturali (47%)54. A ben vedere, una spaccatura di questo genere non risponde

nel campione si ha anche a proposito si avvale

non si avvale

delle

frequentazioni,

confermerebbe

che

un’associazione

è

il

il

che

supporto

di

propedeutico

alla

visita ai siti archeologici.

Quanto all’interesse dimostrato specificamente ai Siti Ipogei, la maggior parte dimostra un interesse medio, dichiarando di essere abbastanza interessato a questi siti (66 persone, pari al 46%), ma un buon numero conferma di essere molto interessato (41, pari al 28%) o addirittura moltissimo interessato (11, pari all’8%). Tuttavia, non e bassa nemmeno la percentuale di chi si dichiara poco interessato (26, pari al 18%).

moltissimo

poco

molto mediamente

54

La percentuale di chi non risponde scende ulteriormente al 3%.

80


D’altro canto, l’aspettativa nei confronti di queste visite è plurima55: in coloro che hanno compilato il questionario, il bisogno di conoscenza del passato che è senz’altro la motivazione più frequente (ben 116 risposte in questo senso), seguita da lontano da desiderio di arricchimento spirituale (20 risposte favorevoli), dal piacere (16 risposte) e dallo svago (13 risposte). Una risposta che, per taluni versi, non mi aspettavo, concerne l’accessibilità

non risponde

dei

archeologici. difficilmente

scarsamente

Una

percentuale molto alta del

campione

che

siano

senza

accessibili

siti

ritiene

accessibili

problemi

(98

persone, pari al 65%), rispetto a meno di un quarto che li ritiene o scarsamente accessibili (23, pari al 15%) o difficilmente accessibili (20, pari al 13%), non bassa nemmeno la percentuale di chi non risponde (10, pari al 7%). Il dato è, però, parzialmente contraddetto dalla risposta al quesito successivo, quello relativo a quale si ritiene sia la causa (o le cause) che non consentono la fruizione del sito come bene di consumo culturale. In effetti, il numero delle risposte che attribuiscono la scarsa accessibilità agli orari di apertura e all’obbligo di prenotazione superano il numero di coloro che avevano dichiarato che i siti erano scarsamente o difficilmente accessibili (51, contro 43). Se a questo si aggiunge anche il numero di coloro che denunciano le difficoltà di reperire permessi (31) e l’impossibilità di accesso per lavori di restauro in corso (22), si potrebbe concludere che sono assai di più le persone che lamentano la scarsa accessibilità dei siti.

55

Questo come altri quesiti (in particolare le domande 12, 13, 15, 24 e 25) erano, ovviamente, a risposta multipla, dato che diverse possono essere le motivazioni che sottendono la visita archeologica.

81


Si potrebbe pensare che il dato relativo alla scarsa accessibilità, almeno per un parte del campione, incida anche su quello relativo alla conoscenza dei siti in oggetto. In effetti, un terzo del campione (50 risposte) non conosce nessun sito; tuttavia, c’è una quota rilevante, nettamente maggioritaria che dichiara di conoscere i siti: un buon numero ne conosce da uno a dieci (33 risposte in questo senso), o anche da 10 a 20 (21) e, ancor di più, da 20 a 50 (39), mentre un numero non irrilevante ne conosce più di cinquanta (8). Quanto ai siti preferiti56 la maggior parte propende per quelli ristrutturati e fruibili grazie a percorsi strategicamente preordinati (66 risposte), ma molti non disdegnano anche la visita a catacombe ipogei sepolcrali (45 risposte) o ad anfratti vari e poco conosciuti (31 risposte).

Peraltro,

una

buona

percentuale dichiara di non

non risponde

essersi annoiato durante la visita (96 persone, pari al 64%), più del doppio di

si

coloro che hanno trovato la no

visita noiosa (46, pari al 30%)57,

soprattutto

causa

della eccessiva prolissità della guida (28 risposte), ma anche per la poca disponibilità di tempo che la guida aveva a disposizione per illustrare proficuamente l’oggetto della visita (15 risposte). Pochi hanno attribuito la noia alla scarsa preparazione della guida (solamente 8 risposte in questo senso).

56 57

Anche a questo quesito sono state date risposte plurime. Un 6% non risponde

82


D’altro canto, oltre la metà del non risponde

campione ha risposto che non si prepara si

preliminarmente per la visita al sito (82 persone, pari al 54%), mentre una buona percentuale preferisce arrivare alla visita

no

preparato (56, pari al 37%)58

Consistente il numero di coloro che, tornati a casa, riflettono sulla visita per

non risponde

trarne un consuntivo (71 persone, pari al 47%), che, tuttavia, è quasi raggiunto dal

numero di visitatori che preferiscono ritenere

conclusa

la

loro

no

esperienza

culturale al momento della fruizione diretta (60, pari al 40%). Molta alta la percentuale di coloro che non rispondono (13%).

poco

Generalmente

moltissimo

espresso

un

soddisfazione

pochissimo

buon

viene grado

derivato

di

dalla

partecipazione a queste visite archeologiche. Nessuno dichiara molto

di

averne

tratta

pochissima

soddisfazione, mentre la maggior parte afferma di essere molto soddisfatto (95 persone, pari al 69%) e anche moltissimo soddisfatto (27, pari al 20%). Meno di un decimo del campione,

58

Si riscontra ancora il dato fisiologico di una percentuale più o meno stabile di persone che non rispondono, pari in questo caso al 9%.

83


invece dichiara di aver tratto poca soddisfazione da questa esperienza culturale (15, pari all’11%). Due delle domande erano volte a verificare fino a quale punto la fruizione di questi siti fosse più o meno agevolata sia dal contenimento dei costi per la visita, che dalla disponibilità di quei supporti informativi che rientrano nel quadro dei servizi aggiuntivi introdotti dalla legge Ronchey, di cui ho parlato nel capitolo precedente. In particolare, per quanto riguarda i costi, si è chiesto l campione di esprimersi a proposito della circostanza che il costo della visita al sito dovesse o meno rientrare nel

biglietto

oppure

della

visita

considerato

museale

a

no

parte.

Significativamente quasi la metà del campione (71 persone, pari al 48%), si

non so

è dichiarata favorevole al fatto che il costo d’ingresso al sito debba essere considerato a parte, mentre il rimanente del campione si è letteralmente diviso a metà fra chi nega questa circostanza e chi non sa esprimere un parere (40, pari al 26%). Molto incerte le risposte a proposito del fatto se i siti di proprietà della Chiesa debbano seguire o meno il criterio suddetto: in effetti, il campione si divide pressoché a metà fra chi ritiene di sì (84 risposte) chi, invece nega questa circostanza (13 risposte), oppure non ne sa nulla (60). L’interesse

non risponde

materiale

per

informativo

l’offerta è

di

invece

confermata da quasi la metà degli

interpellati che dichiara di acquistare libri o guide presso i botteghini per

no

ogni sito visitato (70 persone, pari al 46%), di contro a una cospicua

84


percentuale che invece dichiara il contrario (57, pari al 38%). Anche il dato di quelli che non si esprimono in merito, mi pare significativo (24, pari al 16%). Un ultimo riscontro è quello riferito alle modalità di fruizione della visita, sia dal punto di vista temporale, che da quello della compagnia o meno di altre persone. Anche in questi due casi i quesiti erano necessariamente a risposta plurima, non esistendo una modalità unica e preferenziale per ciascuno. Ne risulta che ben 92 degli interpellati preferiscono visitare i siti con amici, o parenti (58 risposte), mentre un numero molto esiguo tende ad andarci da solo (14). Quanto alle giornate prescelte sono, come era facilmente immaginabile, la domenica (88 risposte), assieme al sabato (63 risposte), mentre solo 27 persone scelgono un giorno qualsiasi infrasettimanale. 3.Conclusione

a

lla fine di questa analisi mi sembra di poter affermare che i dati di riscontro raccolti con i questionari confermano l’ipotesi iniziale, vale a dire il fatto che vi fossero diversi fattori che potevano incidere negativamente sulla conoscenza di questa

parte della Roma sotterranea. In primo luogo, la mancanza di un’informazione adeguata al di fuori degli ambiti degli specialisti e degli intenditori per coinvolgere un pubblico più largo; in secondo luogo la difficoltà di accesso diretto, senza mediazioni di enti o associazioni culturali; in terzo luogo, la scarsa conoscenza degli aspetti più propriamente archeologici di questo patrimonio; in quarto luogo, la scarsa conoscenza della stratificazione storica del territorio dell’Urbe. Oltre a questi motivi, specificamente legati alla natura e alle condizioni di notorietà e di fruibilità dei siti ipogei romani, vi sono altri fattori che la verifica sperimentale ha consentito di individuare e che attengono più direttamente alla propensione di un pubblico generico a fruire di questi particolari beni culturali. Le

ipotesi,

formulate

preliminarmente

85

all’indagine

e

che

risultano


sostanzialmente confermate, concernono, in primo luogo, la circostanza che il maggior interesse è dimostrato da persone della fascia di età di mezzo, con un’istruzione medio-alta e una buona condizione professionale. A questo si aggiunge la conferma che la maggior conoscenza è presente in chi utilizza il supporto di un’associazione culturale specifica.

86


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