Anatome a Milano - Philippe Apeloig: dalla parola alla forma.

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ANATOME A MILANO Philippe Apeloig. Dalla parola alla forma.

Antonio Galesi Tesi di Laurea

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Anatome a Milano Philippe Apeloig. Dalla parola alla forma.

Antonio Galesi

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Corso di laurea in Design della Comunicazione Laboratorio di Sintesi Finale a cura di: Gianfranco Torri, Fulvia Bleu, Francesco E. Guida A.A. 2010/2011 Milano, 21 luglio 2011


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5 Indice 115 Bibliografia e sitografia 117 Ringraziamenti

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Introduzione 38 Rue Sedaine, Paris La particolarità di Anatome Marchio Cos’è un marchio? Il progetto del marchio - La costruzione - Il lettering - Il colore

Manual 18 Perché un manuale? 20 Il progetto del manuale

LA MOSTRA

L’AUTORE

LA GALLERIA ANATOME

Biografia 27 Cenni biografici 28 Il contesto storico - Il manifesto francese - La grafica olandese - La rivoluzione digitale 36 La comunicazione culturale - La grafica di pubblica utilità - La nascita e lo sviluppo - La spettacolarizzazione - della cultura - L’etica della comunicazione 43 46 54 56

Produzione La committenza I manifesti Marchi e logotipi Pubblicazioni

Poetica visiva 58 La grammatica del linguaggio - La fotografia - La tridimensionalità - Il ritmo e la modularità - La tipografia 66 L’evoluzione temporale

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Premesse L’immagine coordinata

Concept 72 Il progetto della mostra Percorso progettuale 74 Una parte per il tutto - L’elemento base - Colori e font 76 82 84 92 96

Progetto Il manifesto Il sedicesimo L’invito La cartella-stampa Lo stendardo

Allestimento 98 Lo spazio espositivo a Parigi e a Milano 100 I contenuti della mostra 102 Il pannello espositivo 104 La segnaletica 106 Rendering

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LA GALLERIA ANATOME

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INTRODUZIONE

38 Rue Sedaine, Paris

La rue Sedaine, nell’undicesimo arrondissement di Parigi, è nelle vicinanze della Bastiglia. Al numero 38 c’è un edificio tipico dell’architettura della seconda metà del XIX secolo. Superato il portone un cortile interno introduce a un vecchio atelier oggi occupato dai locali della Galerie Anatome. Galleria che, a partire dal progetto di Henri Meynadier e Marie-Anne Couvreu – proseguito più recentemente grazie all’impegno di Nawal Bakouri, l’attuale direttrice che si ringrazia –, ha fatto da anni la scelta di essere consacrata alla presentazione della produzione grafica contemporanea. Un’iniziativa senza precedenti in Francia in cui non esiste alcun luogo di esposizione permanente interamente dedicato al graphic design. La storia della Galleria è ormai piuttosto importante, a partire da settembre 1999, ed è sembrato interessante proporre la presentazione a Milano di una serie dei principali autori sia francesi che di altri paesi, simulando l’allestimento di una serie di mostre che fornisse uno spaccato di quanto presentato a Parigi in questi ultimi 11 anni. Durante il laboratorio di sintesi

finale (a.a. 2010-2011), in collaborazione con la Galleria, è stato proposto agli allievi di lavorare su una serie di artefatti – manifesto, un quaderno in formato sedicesimo, un coordinato che potesse funzionare come cartella stampa – che presentino 18 autori ritenuti particolarmente significativi della produzione recente e contemporanea. Con la speranza, se non l’aspettativa, che tale proposta possa essere di auspicio a iniziative similari anche nel nostro paese se non più semplicemente di presentare l’esito di questo lavoro in uno spazio espositivo interno alla Facoltà del Design. Gianfranco Torri

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INTRODUZIONE

La particolarità di Anatome

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Ci sono molte caratteristiche che rendono la Galerie Anatome unica e straordinaria, la prima è sicuramente il modo in cui è nata. Come racconta la stessa ideatrice MarieAnne Couvreu, Anatome è il nome dell’agenzia di comunicazione istituzionale dove lavora e proprio l’agenzia ha contribuito a creare la galleria mettendo a disposizione gli spazi e le risorse. Il problema è che “in Francia la cultura del graphic design è pressoché sconosciuta e perfino le istituzioni e i committenti sono completamente all’oscuro di quale sia il lavoro del grafico. Mentre in Inghilterra, in Germania, in Olanda ci sono spazi permanenti consacrati alla grafica e la cultura del graphic design è tanto comune che ogni persona fa attenzione alla propria carta da lettere o al manifesto appeso all’angolo della strada, in Francia la situazione è completamente diversa”1. La galleria ha lo scopo di fare cultura e di rendere la grafica accessibile ad un “pubblico più ampio, che magari non ha né il tempo né i mezzi per viaggiare”2, di far vedere a Parigi ciò che prima era impossibile vedere lì. Ogni mostra è monografica e ven-

gono esposti i manifesti di un singolo grafico in dimensioni originali. Ma la vera forza della Galerie Anatome consiste nella presenza fisica del grafico: ogni autore partecipa alla mostra “per discutere del proprio lavoro, della sua evoluzione e del rapporto con i committenti”3. Le mostre sono visitate spesso da studenti e grafici, ma non sono rari visitatori curiosi che non conoscono per nulla il graphic design e addirittura politici e personalità di spicco. La speranza di Marie-Anne Couvreu è che queste persone “non guardino mai più un progetto come lo vedevano prima, che capiscano che il designer non è solo un manipolatore, ma qualcuno che ha ragionato sul proprio lavoro”4. Il contesto in cui si inserisce la Galerie Anatome è - come spesso accade quando si parla dei nostri cugini d’oltralpe - molto simile all’Italia, dove sono presenti sporadiche mostre dovute all’intraprendenza di pochi soggetti. La fortuna della Galerie Anatome è stata quella di avere alle spalle un’agenzia, un privato, che si è preso la responsabilità di fare cultura e mettere la propria esperienza

1. Tratto dall’intervista di Damien Sausset a Marie-Anne Couvreu, http://www.exporevue.com/magazine/fr/interview_anatome.html 2. Ibidem 3. Ibidem 4. Ibidem


a disposizione della collettività. Se la speranza di Marie-Anne Couvreu è quella di educare i visitatori della mostra, qui è quella di vedere prima o poi realizzato un progetto simile. Che è poi il progetto del laboratorio che ha portato a questa tesi: una gemella della Galerie Anatome di Parigi, a Milano.

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MARCHIO

Cos’è un marchio?

Max Huber, la Rinascente, 1950.

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“La necessità del marchio oggi è sempre più sentita […] Infatti il marchio è il primo degli elementi della comunicazione visiva che caratterizza un’industria, un prodotto, ecc. e che determina poi tutto uno stile per la presentazione visiva e la conoscenza del prodotto stesso”1. Questo scriveva Albe Steiner già nel 1978 e nella società odierna è più vero che mai. Nella grafica moderna il marchio è il simbolo attorno a cui si costruisce l’intero immaginario in cui si vuole proiettare un prodotto, un’azienda, un movimento culturale o politico o un’istituzione, per questo motivo ha un’importanza strategica fondamentale. Esistono diverse classificazioni per i marchi, alcune basate più sulla forma e altre più sulla funzione, in questa sede si riportera quella fatta da Baroni nel suo manuale di grafica: “a) il marchio come monogramma e come sintesi delle lettere dell’alfabeto che compongono il nome in oggetto (marchio scritto sostitutivo della firma); b) il marchio come elemento figurativo più o meno stilizzato, convenzionale o simbolico, a seconda dell’ap-

partenenza a un settore (marchio illustrato); c) il marchio come impatto formale, simbolo astratto o elemento strutturale, senza particolari riferimenti a significati o a contenuti specifici”2. Il primo caso non si discosta molto dallo studio del logotipo, di cui si parlerà tra poco; nel secondo caso vengono visualizzati gli elementi che costituiscono il contenuto del soggetto, simbologie legate alle convenzioni o all’ambito di azione; nell’ultimo caso si entra nel mondo legato all’arte non figurativa, si riprendono gli elementi di background del soggetto per giungere a una sintesi grafica formale. Il logotipo è simile al monogramma concettualmente ma diverso graficamente. Un logotipo si costruisce utilizzando l’intero nome del soggetto e trattandolo graficamente fino a renderlo unico. Per questa ragione spesso vengono creati font ad hoc. Il rischio sempre presente in questo caso è che si trasformi così pesantemente le lettere da renderle illeggibili. Se la forza del logotipo sta nell’autosufficienza, cioè nel non avere bisogno di ulteriori scritte e infor-

1. Albe Steiner, Il mestiere del grafico, Einaudi, Torino, 1978, p. 173 2. Daniele Baroni, Il manuale del design grafico, Longanesi & C., Milano, 2003, pp. 110-113


Original Da sinistra: Bob Noorda, Arnoldo Mondadori, 1969; Albe Steiner, XIV Triennale di Milano, 1968; Francesco Saroglia, Segretariato Int. lana, 1963; Marcello Nizzoli, Olivetti, 1956; Roberto Sambonet, XII Triennale di Milano, 1959; Bob Noorda, Feltrinelli Editore; Landor Associates, WWF, 1986; Bob Noorda, ENI

mazioni, nel caso del marchio invece entra in campo il lettering, cioè l’arte della disposizione del testo di accompagnamento a un marchio. Il lettering è fondamentale, perché se è sbagliato, debole o non in equilibrio con il marchio, ne pregiudica l’efficacia. La scelta del font, la spaziatura tra le lettere e tra le parole, un layout armonioso ed essenziale sono le richieste da cui non si può prescindere3.

(restyling), 1972; Bob Noorda, Roberto Sambonet, Pino Tovaglia, Regione Lombardia, 1975; Landor Associates, Alitalia, 1960; Bob Noorda, Pirelli (restyling), 1985.

Find from Best brand recreate P

Un marchio non è facile da realizzare, ci sono diverse caratteristiche progettuali da prendere in considerazione. Prendiamo in esame il caso di un’ente culturale, oggetto di questa tesi: a livello progettuale un marchio deve rendere chiaro in che contesto si inserisce l’ente (locale, nazionale, ecc.), quali sono il suo ambito d’azione e i suoi obiettivi, deve rappresentare l’ente in qualunque circostanza presente e futura, un marchio se ben fatto non dovrebbe cambiare spesso, ma anzi durare il più possibile inalterato nel tempo, a meno che non sia l’ente stesso a cambiare e ad avere quindi bisogno di trasmettere un messaggio differente4.

3. Jan Tschichold, Treasury of Alphabets and Lettering, Lund Humphries, London, 1992 4. Mario Piazza, Progettare il marchio. Identità del GAI, GAI Edizioni, Torino, 2001, p. 40

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MARCHIO

Cos’è un marchio?

Nel disegno del marchio bisogna tener presente determinati attributi di qualità perché sia efficace5: - Solidità: la forma deve essere semplice e regolare per rendere la lettura immediata.

Anton Stankowsky, marchio per Deutsche Bank, 1974. Prenderemo come esempio questo marchio per spiegare visivamente gli attributi descritti.

- Contrasto: è bene progettare il marchio sempre in bianco e nero e pensare in seguito all’applicazione di un colore, per evitare che i colori una volta desaturati rendano illeggibile il marchio. Perché un marchio funzioni anche in negativo dev’esserci un buon contrasto figura-fondo o in alternativa vanno studiate due versioni distinte.

le forme e su tutti i mezzi, bidimensionali e tridimensionali. - Riduzione: la dimensione del marchio dev’essere riducibile al massimo. - Declinazione: un buon marchio deve prestarsi a una declinazione in diverse varianti per fornire un quadro completo delle diverse possibilità di applicazione. - Bella forma: “bisogna tener presente che un marchio perché raggiunga il suo scopo deve stimolare subito i riflessi condizionati prima ancora che la successiva lettura o spiegazione che ne chiarisca il significato”6.

- Proporzioni: il rapporto tra pieni e vuoti, e tra parti concave e parti convesse dev’essere equilibrato. 14

- Leggibilità: il marchio dev’essere chiaro e semplice affinché si possa comprendere e identificare immediatamente. Deve resistere al “rumore” che può renderne più difficoltosa la lettura. - Riproducilità: il marchio dev’essere facilmente riproducibile in tutte

5. Michele Spera, Abecedario del grafico, Gangemi Editore, Roma, 2005, p. 366 5. Alfred Hohenegger, Graphic Design, Romana Libri Alfabeto, Roma, 1979, pp. 284-286 6. Albe Steiner, op.cit.


Da sinistra: proporzioni del marchio; positivo e negativo; resistenza al rumore; esempio di riproduzione su un supporto non convenzionale; esempio di riduzione; possibile declinazione del marchio (e resistenza al rumore).

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MARCHIO

Il progetto del marchio

L’obiettivo principale nella progettazione del marchio di Anatome Milano era comunicare proprio queste due parole. Due parole chiave che dicono tutto ciò che in prima istanza c’è da sapere sulla galleria: è collegata ad Anatome e si trova a Milano. Ho usato il termine “collegare”, ma questo forse non rende bene l’idea. La galleria Anatome Milano nasce come una succursale della Galerie Anatome di Parigi, o meglio ancora come un’estensione. Come ho già detto sono molti i punti in comune che hanno il contesto parigino e milanese e questo rende Milano una città perfetta per replicare l’esperienza della Galerie Anatome esattamente com’è stata sviluppata in origine.

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La costruzione Dopo aver tentato diverse volte la via del marchio monogrammatico1, è stato preso come esempio il marchio del Brooklyn Museum: una B ritagliata all’interno di una forma che cambia a seconda dell’uso. Così prendendo spunto da quello si è ragionato con una prospettiva diversa e ci si è concentrati sul marchio della Galerie Ana-

tome, composto appunto da una A. L’idea è stata quella di modificare il marchio eliminando l’occhiello e sostituendolo con una forma che potesse rendere il marchio “modellabile” a seconda delle esigenze, in questo caso, con una forma che ricordasse il simbolo per eccellenza di Milano, cioè il Duomo. Nel processo di costruzione è stata modificata la A anche strutturalmente, ribassando l’asta orizzontale, per poter dare più respiro al segno, che in caso contrario avrebbe avuto un rapporto di proporzione e di pieni e vuoto decisamente squilibrato. Le forme che richiamano il Duomo sono state arrotondate per renderle più dinamiche e ammorbidirne l’aspetto. Il lettering Il marchio creato era un ibrido tra il tipo monogrammatico, partendo da una iniziale del nome della galleria, e il tipo illustrato, aveva quindi bisogno di ulteriori informazioni, cioè di una parte aggiuntiva di lettering. Ho preso in considerazione le sole parole Anatome, in Helvetica LT Std Bold, e Milano, in Helvetica LT Std Light (Roman per la versione in negativo), la differenza di peso

1. Si fa riferimento alla classificazione precedentemente riportata tratta dal manuale di Daniele Baroni (vedi nota 2 del capitolo Che cos’è un marchio?)


Dall’alto: varianti del marchio del Brooklyn Museum; prove di marchi monogrammatici; disegno e costruzione del marchio scelto.

e di corpo rende visivamente chiara l’importanza preponderante della parola Anatome, che identifica il sistema di gallerie, non la sola galleria di Milano. La parola Anatome è stata scalata e le lettere della parola Milano sono state spaziate per ottenere la medesima larghezza del logo. Il colore Per la scelta del colore il procedimento è stato analogo a quello seguito per la creazione del marchio. Si è cercato di prendere un elemento legato all’origine francese della galleria e avvicinarlo alla sfera simbolica dell’Italia e di Milano. Partendo dai colori blu e verde delle bandiere francese e italiana, si è arrivati a una via di mezzo che fosse gradevole alla vista e avesse lo stesso impatto sia su fondi scuri che su fondi chiari. Il colore scelto è un verde acqua corrispondente al pantone 3258 C. La percentuale in quadricromia è: C 51% M 0% Y 27,5% K 0%

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MANUAL

Perché un manuale?

Hans Von Klier , rogetto d’immagine coordinata per i punti vendita di Olivetti, 1985.

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L’introduzione al manuale della Birra Dreher progettato dall’Unimark offre una spiegazione esaustiva dell’importanza e dello scopo di un manual: “ogni manifestazione visiva della Società diventa così parte di un’‘immagine’ unitaria che […] è sempre presente nella sua totalità attraverso il ricorrere costante di elementi fondamentali. Sono elementi fondamentali il marchio e il logotipo. […] Questo libro fissa appunto questi elementi e li mostra nelle loro principali applicazioni. […] chiunque debba realizzare qualche cosa, parte anche piccolissima dell’‘immagine’, troverà in esso gli strumenti adatti. Come manuale, quindi, va seguito rigorosamente, alla lettera, senza possibilità di adattamento o d’interpretazioni”1. La nascita del progetto del manual è ineluttabilmente legata alla nascita dell’immagine coordinata, il primo esempio fu quello di Peter Behres per aeg all’inizio del Novecento, ma un vero sviluppo di questo settore si ebbe a partire dagli anni ‘50 in poi, con i progetti d’immagine coordinata della Walter Landor Associates (Alitalia e Montedison), Olivetti, ibm, i progetti

di Unimark e Vignelli Associates e il progetto dello studio Total Design per le poste olandesi. Anni di progetti, studi e ricerche hanno portato alla formalizzazione della struttura del manual. Generalmente il manual “si apre con la presentazione del marchio e del logotipo, il loro utilizzo secondo una serie di dimensioni prestabilite, il colore o i colori prescelti a rappresentare la società; seguono l’impaginazione degli stampati e della modulistica d’uso, i tipi di carta da utilizzare; le disposizioni per gli stampati delle consociate, delle società controllate, delle agenzie, delle sedi periferiche ecc.; le disposizioni per le insegne esterne, per le vetrine, i mezzi di trasporto. […] per il punto vendita viene formulato un apposito manual che comprende anche gli arredi, le strutture espositive, tutti gli aspetti collegati al packaging”2. Il manual è comunque un sistema aperto “suscettibile nel tempo di tutti i possibili cambiamenti determinati, ad esempio, dall’evoluzione delle tecnologie o da nuove strategie dell’azienda in questione”3.

1. Manuale di immagine coordinata della Birra Dreher progettato dall’Unimark, riportato su Michele Spera, op. cit. 2. Daniele Baroni, op. cit. 3. Ibidem


Dall’alto: manuale d’immagine coordinata per i punti vendita Olivetti, progetto grafico di Natlia Corbetta, 1985; Studio Dumbar, manuale d’immagine coordinata per le poste olandesi, 1989.

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MANUAL

Il progetto del manuale

Nel caso del progetto del manual per il marchio di Anatome Milano, ovviamente i punti da sviluppare riguardano solo il marchio, il suo utilizzo e i colori. È utile quindi in questo caso riportare l’indice del manuale e spiegarne le voci1. Costruzione: origine e progetto, disegno del marchio, riproduzione in outline su griglia. Dimensione minima: due dimensioni minime per una maggiore libertà di applicazione.

Per l’impaginazione si è optato per una composizione semplice e chiara, in maniera da mostrare le declinazioni del marchio senza influenzarle con caratteristiche e particolarità dell’impianto grafico. Perseguendo lo stesso obiettivo si è scelto di utilizzare come font l’helvetica, il più neutro esistente, adatto pressoché ad ogni occasione. La scelta delle doppie pagine è dovuta alla necessità di mostrare chiaramente contenuti che richiedevano più di una pagina, l’obiettivo è stato quello di organizzarli in maniera compatta e di immediata lettura visiva.

Versione in bianco e nero. Copertina del manuale.

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Versione in negativo. Versione a colori: scelta del colore e spiegazione, indicazione del codice pantone e della percentuale in quadricromia. Colori pantone: campioni di colore pantone asportabili per avere un riferimento certo.

1. Oltre a seguire le indicazioni fornite dal manuale di Michele Spera (vedi nota 5 del capitolo Che cos’è un marchio?), sono stati visionati i manuali di Poste Italiane e Trony.


Dettaglio della doppia pagina in cui viene mostrata la costruzione del marchio.

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MANUAL

Il progetto del manuale

Pagina della versione in negativo; dettaglio della doppia pagina in cui viene mostrata la versione positiva e negativa del marchio a colori

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Pagina pantone con i segni di ritaglio dei campioncini.

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L’AUTORE

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BIOGRAFIA

Cenni biografici

Philippe Apeloig è nato a Parigi nel 1962. Ha studiato presso l’École Supérieure des Arts Appliqués Duperré e l’École Nationale Supérieure des Arts Décoratifs. Nel 1983 e 1985 ha fatto due stage ad Amsterdam, allo studio Total Design, dove ha cominciato a interessarsi alla tipografia. Nel 1985 è stato assunto come grafico dal Musée d’Orsay a Parigi. Nel 1988 ha ottenuto una borsa di studio dal Ministero degli Esteri ed è partito alla volta di Los Angeles per lavorare con April Greiman. Nel 1993 studia all’Accademia di Francia a Roma (Villa Medici) dove conduce delle ricerche sul disegno dei caratteri tipografici. Dopo Los Angeles, Philippe Apeloig tornò a Parigi per creare il suo studio. Nel 1993 divenne il direttore artistico della rivista “Le Jardin des Modes”. Dal 1992 al 1998, insegnò tipografia all’Ecole Nationale Supérieure des Arts Décoratifs. Nel 1999 viene assunto come professore di grafica alla Cooper Union School of Art di New York e diviene curatore del Herb Lubalin Study Center of Design and Typography. Rimase negli Stati Uniti fino al 2003. Nel 1997 divenne consulen-

te artistico del Louvre e nel 2003 direttore artistico dello stesso. Philippe Apeloig creò, oltre a tanti altri, l’identità visiva del Musée d’art et d’histoire du Judaisme di Parigi e dello iuav di Venezia. Philippe Apeloig è membro dell’agi (Alliance Graphic Internationale).

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BIOGRAFIA

Il contesto storico

Henri de Toulouse-Lautrec, Moulin Rouge, 1891.

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Dovendo parlare di Apeloig è necessario fornire una visione d’insieme del contesto storico in cui si è formato e in cui si muove. La sua formazione comincia in Francia agli inizi degli anni ‘80, dove studia la grafica francese e il costruttivismo russo, prosegue a metà degli anni ‘80 in Olanda, con due stage di fonfamentale importanza allo studio Total Design. Sono quindi queste due realtà, e soprattutto la seconda, a plasmare la sua cultura visiva e a costruire l’immaginario da cui attinge all’inizio della sua carriera. Nel frattempo l’influenza della grafica svizzera si fa sentire anche in Francia, basti pensare all’opera di Monguzzi per il Musée d’Orsay o di Widmer per il Centre Pompidou. Bisogna sempre tener presente però, soprattutto avvicinandosi all’era informatica, che non si può pensare a una divisione netta di tradizioni grafiche e culturali stabilita in base a luoghi e periodi storici. La cultura e le immagini per loro stessa natura sono in continuo movimento e interagiscono tra loro con una complessità difficile da analizzare e registrare nella sua interezza.

Il manifesto francese In Francia, il lavoro di Cassandre rappresenta un punto di riferimento per me. Egli è tutto ciò che un graphic designer dovrebbe essere: un poster designer, un tipografo e un disegnatore di logotipi. Philippe Apeloig1 L’arte dell’affiche fa la sua prima comparsa alla fine dell’800, ad opera di due grandi maestri rimasti riferimenti imprescindibili per tutta la successiva produzione di manifesti: Jules Chéret (1836-1932) e Henri de Toulouse-Lautrec (18641901). A questi due disegnatori si deve l’importanza fondamentale che assunse il manifesto come mezzo privilegiato di comunicazione. Il grande formato del manifesto pose subito davanti ai progettisti il problema della struttura spaziale della comunicazione visiva. Col tempo si andò quindi differenziandosi l’approccio progettuale in base al contenuto: la comunicazione culturale si rivolgeva a un pubblico in grado di apprezzare qualità estetiche implicite nell’opera e disposto ad analizzarle in una lettura critica, quella pubblicitaria

1. Philippe Apeloig, Au cœur du mote - Inside the word, Lars Müller Publisher, 2002, p. 6


Da sinistra: Leonetto Cappiello, manifesto, 1927; Cassandre, manifesto, 1925; Cassandre, carattere Bifur, 1930; Cassandre, manifesto, 1927; Cassandre, manifesto, 1935.

si limitava all’informazione sintetica e attraente, destinata a richiamare l’attenzione immediata e superficiale del passante. Se i primi manifesti erano spesso composti da disegni realistici su sfondi chiari, Leonetto Cappiello (1875-1942), nato a Livorno ma trasferitosi poi a Parigi, dopo una prima vicinanza all’opera di Chéret, sconvolge tutte le regole fino ad allora applicate e passa all’uso di sfondi scuri e colori accesi, che gli permettono di rendere più incisivo il disegno della figura protagonista, a scapito del realismo. Proprio a partire da questa estrema sintesi cromatica Cappiello darà avvio al manifesto moderno. Cassandre (1901-1968) è il protagonista indiscusso degli anni ‘30. Egli sostiene che il manifesto “deve risolvere contemporaneamente tre problemi. 1. Ottico: la visibilità non dipende ad un semplice contrasto di colori, ma da un preciso rapporto dei valori in campo. 2. Grafico: esprimersi in senso ideografico ed emblematico. L’immagine è il veicolo stesso del pensiero e […] è necessario adottare una

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BIOGRAFIA

Il contesto storico

Adrian Frutiger, carattere Univers.

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grammatica, una sintassi per raggiungere l’armonia. 3. Poetico: provocare nello spettatore un’associazione di idee, una sensazione visuale fuggitiva, un’emozione, cosciente o inconscia…”2 Cassandre prende in eredità da Cappiello l’abitudine di cercare l’immagine partendo dal nome del prodotto e soprattutto ne adotta i forti contrasti cromatici, deve il tratto del disegno alla lezione futurista e cubista, mentre le ricerche condotte al Bauhaus lo convincono della necessità di inserire delle diagonali che aumentino il dinamismo della composizione. Ma ciò che caratterizza maggiormente l’opera di Cassandre è la tipografia. Come già aveva fatto Lautrec, Cassandre cerca un equilibrio tra la strutturazione geometrica dell’elemento figurativo e il lettering. “Nel mio lavoro”, disse, “sono il testo, la lettera […] che danno origine alle idee che generano forme plastiche”3. Lo sviluppo del lettering diventa fondamentale, tanto che Cassandre disegna interi caratteri tipografici per i suoi manifesti, come nel caso di Bifur e Peignot. Per lui “le lettere vivono solo quando sono al loro posto nella

parola. L’immagine grafica di questa parola […] forma nella nostra mente un’armonia che corrisponde esattamente a un’idea”4. Nel secondo dopoguerra la grafica dei manifesti si differenziò poco rispetto agli anni ‘30, perché continuarono ad essere molto presenti gli stessi protagonisti di quel decennio. Ma due grandi novità cominciarono ad affacciarsi. La fotografia cominciò ad essere maggiormente usata e venne riconosciuta come portatrice di qualità simbolica, non più come semplice registrazione di un momento. Ciò avvenne in concomitanza all’influenza sempre maggiore esercitata dalla scuola svizzera, determinata dal trasferimento di molti grafici svizzeri in Francia. Iniziò un periodo nuovo per la tipografia: caratteri come il Gill Sans, il Frutiger e l’Univers cominciarono ad essere sempre più usati e l’impostazione tipografica svizzera diede vita a sperimentazioni nuove per il panorama francese. Infine cominciò ad affacciarsi il nuovo campo del visual design, destinato ad acquistare sempre più importanza in tutto il mondo.

2. Daniele Baroni, Maurizio Vitta, Storia del design grafico, Longanesi, Milano, 2003, p. 120 3. Richard Hollis, Graphic Design. A Coincise History, Thames & Hudson, London, 2001, p. 83 4. Ivi, p. 85


Da sinistra: processo di stampa all’Atelier Populair; Atelier Populair, manifesto, 1968; Grapus, manifesti, 1981; Jean Widmer, manifesti, 1969; Bruno Monguzzi, manifesto, 1986.

Nel maggio del 1968 s’impose una nuova generazione di grafici rappresentati dall’Atelier Populair. Erano tutti studenti dell’Accademia di Belle Arti di Parigi che producevano manifesti come arma di propaganda. L’urgenza costringeva gli studenti a stampare velocemente i manifesti, quindi erano in bianco e nero e spesso stampati con la tecnica dello stencil. I caratteri e le immagini erano disegnati a mano come segno di protesta verso l’apparato di costruzione dell’immagine che si faceva bandiera della società del consumo. La grafica divenne allora un importante veicolo delle proteste studentesche e sociali. Tra gli anni ‘70 e ‘80 la comunicazione culturale assunse molta importanza nella grafica francese, un esempio ne è Grapus: un gruppo nato da tre grafici che si erano conosciuti all’Atelier Populair. Esso cominciò ad occuparsi di produzione di “immagini sociali, politiche e culturali”5, lavorando per lo più per il Partito Comunista Francese e per i teatri, e aveva l’obiettivo dichiarato di “combattere il rigido linguaggio della retorica tradiziona-

5. Ivi, p. 196

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BIOGRAFIA

Il contesto storico

le”6. Uno degli appartenenti a questo gruppo era Pierre Bernard (1942-), che diventerà una figura di spicco della comunicazione culturale.

Piet Mondrian, Composizione con piano rosso grande, giallo, nero, grigio e blu, 1921

Nel 1980 Jean Widmer (1929-), un grafico svizzero stabilitosi vent’anni prima a Parigi, fondò il proprio studio e cominciò a lavorare per organizzazioni pubbliche come il Centre Pompidou, mentre nel 1986 vinse insieme all’italosvizzero Bruno Monguzzi (1941-) il concorso per il marchio del neonato Musée d’Orsay. La grafica olandese

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[...] durante il mio soggiorno ad Amsterdam, scoprii il movimento di De Stijl. I quadri di Mondrian ebbero un forte impatto su di me, la sua progressione attraverso l’astrazione e l’impatto delle sue opere sulla grafica olandese. Rietveld, Van Doesburg e Piet Zwart mi aprirono gli occhi: il loro lavoro accese il mio interesse per la tipografia moderna, espressiva. Philippe Apeloig7 Negli anni ‘20 si affaccia sul panorama della grafica olandese

6. Ibidem 7. Philippe Apeloig, op. cit.

la figura di Piet Zwart (1885-1977). I maestri di Zwart avevano già cominciato una ricerca tesa a una composizione grafica legata alla forma quadrata e all’uso di caratteri sans-serif e la vicinanza con l’architetto wrightiano Jan Wils non fa che indirizzarlo ulteriormente verso l’uso di forme geometriche. Simili teorie furono sviluppate anche dal movimento di avanguardia De Stijl (a cui Zwart era molto vicino, se non da un punto di vista filosofico, sicuramente per quanto riguarda la ricerca formale e linguistica). Il gruppo teorizzò il valore cruciale della linea retta e del rettangolo, abbandonando l’arte figurativa in favore dell’arte astratta e della ricerca formale; un esempio perfetto si trova nell’opera di Piet Mondrian. Tra i fondatori e maggiori interpreti del movimento c’era Theo Van Doesburg (1883-1931), cui si deve il layout della rivista De Stijl. Van Doesburg s’impegnò molto nella ricerca di caratteri tipografici con forme geometriche che ne aumentassero la funzionalità; il suo incontro con Gropius lo portò a preparare il terreno per la fondazione della scuola del Bauhaus, da cui per altro


Da sinistra: Theo Van Doesburg, De Stijl, 1921; Piet Zwart, catalogo per NKF, 1925; Piet Zwart, catalogo tipografico per Drukkerij Trio, 1931; Piet Zwart, manifesto per ptt, 1932; Wim Crouwel, manifesto per lo Stedelijk Museum di Amsterdam, 1968.

sarà poi influenzato, fino a rinnegare il rigido neoplasticismo degli incroci ortogonali in favore della più dinamica diagonale. Nel frattempo Zwart incontrò El Lissitzky, uno dei maggiori esponenti delle avanguardie russe, e il suo lavoro tipografico si proiettò verso una nuova dinamica espressiva: voleva rompere gli schemi della lettura monotona e costante, mettendo in evidenza le necessità ritmiche e dinamiche del testo. La sua ricerca tipografica trasse spunti anche dal contatto epistolare con Jan Tschichold, grafico e professore di tipografia a Monaco. Ma la ricerca di Zwart non si esaurì con la tipografia, egli sperimentò anche l’uso di fotografie e fotomontaggi, spesso mettendoli in relazione a sovrapposizioni cromatiche e a integrazioni con il testo. La grafica si appropriò di nuovi linguaggi e testo e immagine diventarono due fattori organicamente uniti, sempre in equilibrio tra pieni e vuoti, figure e fondo. In seguito Zwart insegnò al Bauhaus e cominciò un’importante collaborazione con le poste olandesi (ptt), lasciando attraverso il suo lavoro e quello dei sui allievi un’importante tradizione di design

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BIOGRAFIA

Il contesto storico

all’interno dei servizi pubblici. Negli anni ‘40 si trasferisce in Olanda Willem Sandberg (1897-1984) portando con sé esperienze maturate in diversi paesi, in particolare quella svizzera, che tanta importanza avrà in tutta l’Europa dagli anni ‘60. Sandberg iniziò infatti la sua carriera in una tipografia svizzera, visitò il Bauhaus a Weimar e Dessau e studiò il sistema d’infografica di Otto Neurath a Vienna. Arrivato in Olanda lavorò per le ptt e per diversi musei ad Amsterdam. Wim Crouwel, New Alphabet, 1967.

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Una figura di spicco degli anni ‘60 è Wim Crouwel (1928-), che nel 1963 fondò con altri grafici lo studio Total Design. Crouwel riportò la grafica olandese a quel rigore geometrico che Zwart aveva scardinato, facendo un ampio uso di griglie sia in ambito compositivo che in tipografia. Estese l’uso di griglie per l’impaginazione di derivazione svizzera anche al disegno di caratteri tipografici, che seppur di scarsa leggibilità, furono precursori delle logiche legate alle nuove tecnologie che sarebbero arriverate dopo breve tempo. L’influenza svizzera si vede anche nell’attività dello studio Total Design che, chiamato

a lavorare per l’aeroporto di Amsterdam, fece ampio uso del carattere Univers. Negli anni ‘60 cominciò la sua attività anche Gert Dumbar (1940-), il cui contributo maggiore è stato l’aver spezzato la convenzione secondo cui i manifesti culturali dovevano riportare delle opere, egli invece le reinterpretò a modo suo, introducendo anche degli elementi di tridimensionalità in aperto contrasto con l’immagine bidimensionale delle avanguardie. Di grande importanza fu anche il lavoro svolto dallo studio Dumbar per ptt, delle quali fu chiamato a progettare l’intera immagine coordinata, nonostante un lavoro simile fosse stato fatto già verso la fine degli anni ‘30. Wim Crouwel lasciò lo studio Total Design nel 1983, ma lo studio, che ha assunto nel tempo importanza e fama a livello internazionale, continuò la sua attività, anche grazie all’apporto di nuove personalità più legate alle nuove tecnologie informatiche e all’uso della fotografia. La rivoluzione digitale L’avvento dei computer ha cambiato radicalmente la professione del grafico, ha permesso di controllare


Da sinistra: Studio Dumbar, manuali d’immagine coordinata per ptt, anni ‘80; Gert Dumbar, manifesto per una mostra su Piet Zwart; Bruno Monguzzi, manifesto, 1988.

facilmente lo sviluppo di un progetto fino all’esecutivo per la stampa, ma soprattutto ha dato il via ad un’ondata di nuove sperimentazioni legate alle infinite possibilità offerte dai supporti digitali. Il cambiamento maggiore ha avuto luogo nel disegno dei caratteri tipografici, che è stato reso molto più flessibile. La relativa facilità e velocità con cui si può disegnare un nuovo font ha spinto i grafici a trattare le lettere come se fossero immagini, portando la scrittura ad integrarsi con il livello figurativo della composizione. Spesso oltre al disegno del logotipo i grafici realizzano interi font da utilizzare solo per un certo committente, diversificando ulteriormente la comunicazione e puntando a una maggiore visibilità e riconoscibilità. Si può affermare tranquillamente che oggi il binomio leggibilità/visibilità si è invertito e conta molto più farsi vedere. In breve tempo il carattere tipografico si è trasformato da corpo fisico (piombo, pellicola) a puro elemento incorporeo di informazione. Ma il cambiamento più grande è stato provocato dalla globalizzazione: l’azzeramento dei tempi

necessari per trasmettere un’informazione hanno portato le scuole di grafica di tutto il mondo ad avvicinarsi sempre di più, fino a creare una rete internazionale senza precedenti di scambio e condivisione della cultura visiva. “La digitalizzazione e la rete rispondo alla domanda di un archivio infinito e di sua accessibilità”6. Si è creato “un sistema in grado di rendere accessibile, di trasmettere in ogni luogo, superando così i limiti degli archivi locali, ogni vincolo spazio-temporale”7.

6. Giovanni Baule, Lessico, in Valeria Bucchetti (a cura di), Culture Visive: contributi per il design della comunicazione, Poli.design, Milano, 2007, p. 34 7. Ibidem

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BIOGRAFIA

La comunicazione culturale

Albe Steiner, manifesto per la Mostra della ricostruzione, 1945.

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La grafica di pubblica utilità Affrontando l’argomento della comunicazione culturale bisogna innanzitutto inquadrarne le origini, che risiedono in quella disciplina denominata grafica di pubblica utilità. In un’accezione estesa tale disciplina “è fondata sulla ferma intenzione di tradurre, in un linguaggio visivo semplice e comprensibile al maggior numero di persone, le informazioni, nel senso più ampio che può assumere il termine”1; essa quindi comprende diversi ambiti: informativa e servizi, segnaletica stradale, segnaletica di orientamento, comunicazione culturale, identità visiva di enti pubblici. La prima definizione di grafica di pubblica utilità la dà Albe Steiner in un testo del 1973 intitolato La grafica degli enti pubblici2. “Già nella titolazione, come fosse un manifesto, contiene tutta una serie d’intenti, espressi rispettivamente dall’aggettivo pubblico, il quale sottolinea la duplice natura legata sia alla committenza, per lo più composta da enti, istituzioni o amministrazioni pubbliche, sia al sistema dei fruitori, i cittadini, e dal termine utilità, che ne sottolinea invece il carattere altamente

etico e strettamente necessario dell’erogazione di un’informazione, sia essa relativa alla sfera culturale, sociale o educativa”3. Questo nuovo modo di comunicare il pubblico faceva uso degli stessi criteri progettuali e degli stessi strumenti realizzativi già sperimentati dalla pubblicità e dalla propaganda, ma si differenziava da queste per gli intenti. Steiner in un testo del 1971 “presenta la pubblicità, con le sue peculiarità di retorica e di significati impliciti, distinta dalla propaganda tecnica (intesa come divulgazione informativa del progresso tecnologico) e dalla propaganda sociale (intesa come divulgazione ideologica, culturale, educativa)”4. L’obiettivo non era più quello di propagandare una visione unidirezionale del mondo a cui i cittadini dovevano aderire, ma doveva “informarli del cambiamento avvenuto, del nuovo modo di gestire la cosa pubblica” e “realizzare una comunicazione funzionale alla partecipazione dei cittadini alla gestione del territorio”5. La ragione del sorgere di questa nuova comunicazione visiva va ricercata nei cambiamenti politici e sociali avvenuti dopo la guerra:

1. Cinzia Ferrara, La comunicazione dei beni culturali, Lupetti, Milano, 2007, p.17 2. Albe Steiner, La grafica degli enti pubblici, in “Linea grafica”, n 1-3, 1973 3. Cinzia Ferrara, op. cit., p.17 4. Giovanni Anceschi, Circostanze e istituzioni della grafica di pubblica utilità, in Prima biennale della grafica, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1984, p. 14 5. Gaddo Morpurgo, Immagini e immaginario dei narratori urbani, in Prima biennale della grafica, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1984, p. 24


A sinistra: Harry C. Beck, mappa topologica della metropolitana di Londra, 1939; Total Design, segnaletica per l’aeroporto Schipold di Amsterdam, 1965.

“erano necessari nuovi simboli o nuovi tipi di costruzioni simboliche”6 che compensassero la caduta di quelli precedenti. A partire da questa premessa antropologica “si possono distinguere cinque funzioni della grafica nella comunicazione pubblica: orientamento in un ambiente che senza riferimenti sarebbe spaventosamente caotico; identificazione che, permettendoci di riconoscere noi stessi negli altri, ci permette di costruire la nostra identità e distinguerla dalle altre; rappresentazione dei significati simbolici” che ci permettono di orientarci all’interno della società;”integrazione dei vari simboli e segni in un codice valido per l’intera comunità; e infine valorizzazione come processo duale e circolare: l’attribuzione o la negazione di valori alle persone, agli oggetti e alle caratteristiche […] e l’affermazione di un sistema di valori basato sulle persone, gli oggetti e le caratteristiche a cui vengono attribuiti”7. La nascita e lo sviluppo Il capostipite della grafica di pubblica utilità è universalmente riconosciuto nella mappa topologica della metropolitana di Londra di Harry C.

Beck del 1939, ma è negli anni ‘60 che la cultura progettuale, ormai matura e internazionale, si sviluppa anche in questo senso. “Le parole chiave della seconda metà degli anni ‘60 furono sfera pubblica e democratizzazione. Le pubbliche istituzioni […] divennero oggetto di una richiesta di democrazia diretta e partecipata”8. I contenuti politici passarono in secondo piano, oscurati da quelli culturali e sociali. Inoltre l’avvento della televisione portò diversi cambiamenti nel mondo della grafica, perché le immagini dinamiche

6. Hugues Boekraad, Pierre Bernard: my work is not my work - Design for the public domain, Lars Müller Publisher, 2008 7. Ibidem 8. Ibidem

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BIOGRAFIA

La comunicazione culturale

e luminose avevano attirato a sé il mondo della comunicazione pubblicitaria, mentre “il messaggio culturale o di sensibilizzazione sociale aveva continuato ad affermarsi per mezzo del manifesto”9, rendendolo il mezzo per eccellenza della comunicazione culturale.

Müller-Brockmann, campagna contro il rumome Weniger Lärm, 1960.

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In Italia già nel 1945 con il manifesto per la Mostra della ricostruzione Steiner si era fatto portavoce di “una nuova concezione della comunicazione visiva proiettata verso un progresso sociale che invitava il progetto grafico a fare della forma stessa della comunicazione uno strumento pedagogico e culturale”10. In seguito la sua attività proseguì prolificamente con il progetto dell’immagine del Teatro Popolare Gassman (1959) e soprattutto dell’immagine coordinata della municipalità di Urbino (1970). Ma a parte il caso particolare di Steiner l’Italia registrò un certo ritardo sui paesi del Nord Europa, anche a causa delle difficoltà economiche e della mancanza di scuole professionali. Una progettualità legata al senso civico e al rispetto per l’uomo e l’ambiente pervade la campagna

9. Daniele Baroni, Maurizio Vitta, op. cit., p. 208 10 Ivi, p. 201

contro il rumome Weniger Lärm del grafico svizzero Müller-Brockmann (1960) e quella contro l’inquinamento atmosferico Gesündere Stadluft realizzata dagli studenti della scuola di Ulm nel 1963, mentre in Olanda era attivo dal 1945 un programma statale per il ridisegno della moneta, dei francobolli e della compagnia aerea di bandiera Klm (1958), e nel 1965 lo studio Total Design firmava il progetto per la segnaletica e il sistema di informazioni dell’aeroporto di Amsterdam. In Italia bisogna aspettare il 1964 per vedere concluso il pionieristico progetto della segnaletica per la Metropolitana Milanese, ad opera di Bob Noorda e Massimo Vignelli, che l’anno successivo fonderanno lo studio Unimark al quale saranno affidati i progetti per le metropolitane di New York, San Paolo e Napoli. Negli anni successivi al 1968 le spinte autonomiste avevano portato al decentramento delle attività statali e quindi le realtà locali sentivano il bisogno di darsi un’immagine. Si inseriscono in questo solco il progetto per


Da sinistra: Bob Noorda e Massimo Vignelli, segnaletica per la Metropolitana Milanese, 1964; Michele Spera, manifesto per il pri, 1973; Ettore Vitale, manifesto per il psi, 1978.

le Isole Eolie di Mimmo Castellano e quello per Venezia di Giulio Cittato. Tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80 l’attenzione si spostò ulteriormente sul piano culturale, incontrando a volte le campagne dei partiti volte alla sensibilizzazione sociale, come nel caso di Spera per il Partito Repubblicano e Vitale per il psi. Grafici come Fronzoni, Lupi e Dolcini si concentrarono invece sulla comunicazione per mostre ed eventi prettamente culturali. In Francia il 1968 porta un’ondata innovatrice che si concretizza nella produzione dell’Atelier Populair e del gruppo Grapus, che nasce proprio in quell’ambiente. Grapus si occupa di manifesti per il teatro, per delle mostre e per il Partito Comunista, che in quegli anni sosteneva le richieste di cambiamenti sociali e culturali. Da Grapus viene Pierre Bernard, figura di primaria importanza della comunicazione culturale negli anni ‘80. L’importanza assunta dalla grafica di pubblica utilità fu tale che nel 1984 si tenne a Cattolica la prima, e unica purtroppo, Biennale della

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BIOGRAFIA

La comunicazione culturale

grafica di pubblica utilità, che vide la partecipazione dei maggiori esponenti della disciplina e che pose “le basi teoriche per un’importante mostra che si svolse stavolta al Centre Pompidou di Parigi nel 1988, che sotto il nome di Images d’utilité publique riunì progetti di comunicazione pubblica provenienti da varie aree geografiche”11.

Grapus, manifesto per il partito comunista francese, 1978.

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La spettacolarizzazione della cultura La Biennale della grafica fu l’occasione per confrontarsi e fare il punto sullo stato della grafica di pubblica utilità e diede l’occasione a Giovanni Anceschi di porre l’accento su un fenomeno nuovo; Giovanni Lussu scrive a riguardo: “Egli osserva come di fatto le agenzie di pubblicità producono campagne di pubblica utilità, il committente pubblico si ristruttura come impresa, lo sponsor privato finanzia iniziative pubbliche, e i linguaggi trasmigrano e si accavallano”12. Con i cambiamenti avvenuti negli enti locali il manifesto-avviso è destinato a scomparire e lasciare il posto al manifesto illustrato. L’attività dei grafici poi è sollecitata

spesso da un aumento dei servizi offerti e dalle estensioni delle politiche culturali. “Servizi erogati dal comune (assistenza, scuola, consultori, biblioteche ecc.) ed esplosione delle attività culturali temporanee (rassegne, concerti, mostre, feste ecc.) sono i due filoni principali che caratterizzano il lavoro svolto dai grafici in questi anni di rapporto con gli enti locali”13. Tra tutti gli enti i più impegnati nell’educazione del pubblico sono senza dubbio i musei, che quindi devono “porsi in maniera più dinamica e comunicare la cultura in modi più accessibili”, devono adottare “realmente la filosofia dell’essere al servizio del pubblico […] Porsi in sostanza come un’azienda di servizi per cui il pubblico è una delle reali risorse e va quindi attratto, convinto e, possibilmente, invogliato a tornare”14. Esempi di interventi in questa direzione sono il progetto di Cerri e Castelli per l’immagine coordinata della Biennale di Venezia (1976), quello di Widmer per il Centre Pompidou di Parigi (1977) e quello di Lupi per il Museo Poldi Pezzoli (1986).

11. Cinzia Ferrara, op. cit., p. 23 12. Ibidem 13. Gaddo Morpurgo, op. cit., p. 25 14. Francesco E. Guida (a cura di), Comunicazione coordinata per i beni culturali: 4 progetti italiani, Valentino Editore, Napoli, 2003, pp. 33-34


Dall’alto: Jan Widmer, marchio del Centre Pompidou, 1977; Italo Lupi, marchio per il Museo Poldi Pezzoli, 1986.

I grafici nella committenza pubblica trovarono l’occasione per svolgere una ricerca sulle proprie capacità di riscrittura di un’immagine, i manifesti prodotti in quegli anni sembrano non corrispondere appieno a un’esigenza di informare rapidamente”, ma invece invitano a soffermarsi sull’immagine e a riflettere, il che ci richiama a quanto scriveva Steiner: dare al manifesto una funzione alternativa e quindi una chiave di lettura nuova della comunicazione significa mettere in atto “una persuasione che spinge il soggetto alla riflessione […], indurre al ragionamento suscitando l’interesse per un argomento specifico, fornendo determinate informazioni […]; convincere più che colpire con un’immagine”, il che “richiede da parte dell’autore un impegno maggiore, non solo di ordine formale, ma soprattutto di ordine etico”15.

logo tra il bene stesso e il cittadino, allo scopo di sviluppare una società civile che si riconosce in un’identità comune e da questa trae elementi di crescita”16, ma per raggiungere quest’obiettivo il pubblico, inteso come cittadini fruitori, deve essere attirato e invogliato. Gli enti nel continuo scambio di strategie tra il pubblico e il privato devono adottare un tipo di comunicazione che punti alla visibilità, “al punto che si può parlare di azienda cultura senza mancare di rispetto e senza

Se da un lato la trasformazione degli enti locali lascia più libertà di ricerca formale e culturale ai grafici, dall’altro li pone d’innanzi alla necessità di farsi notare. “ La struttura comunicativa” deve essere “pensata come un fitto dia-

15. Lamberto Pignotti, Appunti per una grammatica e una identificazione della grafica di pubblica utilità, in Prima biennale della grafica, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1984, p.35 16. Cinzia Ferrara, op. cit., p. 33 17. ibid.

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BIOGRAFIA

La comunicazione culturale

attribuire alla definizione un’accezione negativa”17. Va precisato però che proprio in virtù dell’intento culturale e pedagogico della grafica di pubblica utilità, il fine della spettacolarizzazione non è “risolversi in un mero pugno nell’occhio [...], un manifesto che rientra in tale sfera deve innanzitutto farsi riconoscere proprio come un manifesto socialmente utile, distinguendosi tuttavia in modo né scontato né prevedibile, dagli usuali messaggi della comunicazione visiva di massa generalmente finalizzati a un indiscriminato consumismo”18. Müller-Brockmann, campagna di attenzione ai bambini, 1953.

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L’etica della comunicazione La comunicazione culturale ha per sua natura delle implicazioni etiche, ma se un tempo il lavoro progettuale si fermava al singolo artefatto, ora il progetto può avere ricadute più a lungo nel tempo e nello spazio. “L’etica della responsabilità, nella società tecnologica, assume una dimensione più ampia: vuol dire che cambia la dimensione proiettiva del progetto, la sua portata, la sua gittata”19. La comunicazione di per sé risponde a certi parametri ben definiti: la funzionalità, legata

18. Lamberto Pignotti, op. cit., p.36 19. Giovanni Baule, op. cit., p. 57 20. Ibidem

all’accessibilità e all’usabilità, la veridicità e la correttezza delle informazioni, l’impatto nel tempo e nello spazio che produce. Ora che quest’ultimo parametro ha assunto caratteristiche più estese, bisogna andare nella direzione “di una comunicazione sostenibile, dove conta anche il modello della società che promuove, il modello di mondo cui partecipa”20.


PRODUZIONE

Committenza

Philippe Apeloig, Musée d’Orsay, 1996.

L’attività di Philippe Apeloig è legata fin dall’inizio della sua carriera alla comunicazione culturale. Nel 1985 cominciò a lavorare per il neonato Musée d’Orsay vincendo un concorso e da allora ha sempre lavorato per lo più per musei, enti, festival e scuole. Scrive Apeloig: “anche se la comunicazione culturale opera su budjet limitati, trovo stimolante lavorare su progetti culturali capaci di arricchire i miei interessi. Considero un privilegio espandere le mie conoscenze grazie al mio lavoro, essere aggiornato sui pensieri di scienziati, artisti o editori.”1 Le sue esperienze dopo quel colpo di fortuna (così lo definisce lui stesso) proseguono sempre nel solco della comunicazione culturale, approdando perfino al Museo del Louvre. Il mondo della committenza pubblica pone però diversi problemi: “in Francia i grafici sono considerati rogatori di servizi, buoni per eseguire un compito più che per creare qualcosa” e quindi “il rifiuto di considerare il graphic design una forma d’arte”2 porta a non riconoscerne le qualità artistiche e la dignità che merita. Inoltre c’è troppa burocra-

1. Philippe Apeloig, op. cit., p.11 2. Ivi, p. 12 3. Ibidem

zia, non c’è spazio per far emergere lavori innovativi frutto dell’immaginazione dei grafici. Nonostante queste difficoltà Apeloig continua dicendo : “alcuni designer scelgono di dedicare la loro carriera a combattere per giuste e nobili cause, sensibilizzare l’opinione pubblica e rendersi utili alla società creando immagini. Altri optano per cause differenti e meno mediatiche. Il mio lavoro non è commentare criticamente la società, appartiene al campo della cultura.”3

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PRODUZIONE

Committenza

Musei e mostre Enti Festival e fiere Teatri Scuole

Foire internationale du livre ancien Octobre en Normandie Octobre en Normandie Mostra su Henry Moore Octobre en Normandie Octobre en Normandie

1995

1994

1992

1991

1990

1989

1988

1987

1993

Exposition de livres d'artistes Octobre en Normandie

MusÊe d’Orsay


2007

2006

2005

2004

2003

Fête du Livre 2002

2001

2000

1999

1998

1997

1996

Brésil Brésil Fête du livre

abf Châtelet Fête du livre sncf Type Directors Club New York

abf Châtelet fiaf 2010

De la Lorraine Fête du livre Musée des beaux-arts

Châtelet London Design Museum Museum für Gestaltung Théâtre National de Toulouse

2011

abf Châtelet Échirolles Fête du livre Musée Rodin Palais de la Decouverte

Fête du livre Ecole Nationale Supérieure des Arts Décoratifs Fête du livre Octobre en Normandie

abf Fête du livre fiaf Litvak Gallery Musée d’art et d’histoire du Judaïsme Musée Rodin Yves Saint Laurent

2009

Fête du livre Graphic Cooper Union School of Art The p.o.s.t.e.r.

Fête du livre Musée du Louvre Octobre en Normandie

abf Fête du livre Le Havre

Musée des beaux-arts Voies navigables de France

2008

Fête du Livre Musée d’art et d’histoire du Judaïsme Musée du Louvre

Musée d’Orsay Musée du Louvre Octobre en Normandie


PRODUZIONE

Manifesti

Da sinistra: Philippe Apeloig, Musée d’Orsay, 1987; Foire international du livre ancien à la Conciergerie, Paris, 1991; Octobre en Normandie, 1991.

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I primi manifesti di Apeloig sono stati creati per delle mostre al Musée d’Orsay, aveva già effettuato gli stage allo studio Total Design e infatti dimostra di essere già spiccatamente influenzato dalla grafica olandese: utilizza la fotografia cercando un’integrazione con il testo e lavorando per sovrapposizioni. Anche l’impostazione della grafica francese, oramai influenzata da quella svizzera, è evidente, soprattutto nella disposizione del testo. Va precisato che al Musée d’Orsay aveva l’obbligo di utilizzare il carattere istituzionale, cosa

che poneva diversi limiti alla sua creatività. Tuttavia, come si vede nel secondo esempio, faceva parte anche del suo metodo l’uso di caratteri graziati e classici, in stridore con l’uso di forme e disposizioni che richiamavano le avanguardie. Nel primo manifesto per la manifestazione musicale Octobre en Normandie comincia a sperimentare con i caratteri, producendo un logotipo che richiama visivamente le sfumature musicali e il vento rappresentato nella foto scelta. L’impostazione è ancora molto


Da sinistra: Philippe Apeloig, Octobre en Normandie, 1995; ABF, Association des bibliothécaires de France, 2009; ABF, 2010; Piet Mondrian, Composizione con piano rosso grande, giallo, nero, grigio e blu (dettaglio), 1921; Bruno Monguzzi, Museo Cantonale d’Arte Moderna, 1988.

classica, ma Apeloig comincia a usare in maniera più ardita la sovrapposizione di forme, colori, fotografie e tipografia. Dopo lo studio effettuato a Villa Medici la predilezione di Apeloig per la tipografia diventa preponderante in tutto il suo lavoro. Il primo esempio è un altro manifesto per Octobre en Normandie, dove rifacendosi all’opera di Mondrian e De Stijl, costruisce una griglia che richiama il pentagramma, su cui dispone un font costruito su moduli come se fossero note. Sovrappone poi delle linee che spezzano l’ortogo-

nalità dell’immagine, secondo la lezione costruttivista. Da allora la ricerca tipografica si fa intensa, prendendo spunto anche dallo stile compositivo della moderna grafica svizzera, come quella di Monguzzi, con cui era entrato in contatto nel periodo trascorso al Musée d’Orsay e attraverso riviste di settore.

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PRODUZIONE

Manifesti

Da sinistra: Studio Dumbar, manifesto per uno spettacolo teatrale, 1992; Philippe Apeloig, Fête du livre, 2001; Fête du livre, 2002.

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Apeloig in alcuni manifesti fa uso anche della fotografia, qui si nota tutta l’influenza che ha avuto la scuola olandese non solo attraverso lo studio Total Design, ma anche attraverso la cultura visiva di quel paese. Ne è una prova il fortissimo richiamo ai manifesti dello Studio Dumbar che fa per la Fête du livre del 2001: l’uso del colore e della tipografia per disegnare delle forme ortogonali e mettere in risalto alcuni tratti distintivi della fotografia. In seguito ritroviamo ancora la sovrapposizione, utilizzata per lo stesso scopo che prima aveva

ricercato con il colore. Anche la scelta tipografica fa ancora fortemente riferimento alle avanguardie olandesi di Van Doesburg e Piet Zwart. Nel manifesto per la Fête du livre del 2005 la fotografia viene usata ritagliandola con un logotipo molto vicino al riferimento visivo dei manifesti dell’Atelier Populair. Il gioco della sovrapposizione è un elemento ricorrente nella sua opera, con essa cerca di mettere in scena la complessità del messaggio, di rappresentare un mondo poliedrico. Così nel manifesto per Octobre en Normandie del 1998 cerca di


Da sinistra: Philippe Apeloig, Fête du livre, 2005; Octobre en Normandie, 1998; Musée d’art et d’histoire du Judaïsme, 1998; fiaf : French Institute / Alliance Française de New York, 2009.

evocare una percezione sinestetica nello spettatore, mentre in quello per il Museo d’art et d’histoire du Judaïsme sovrappone immagini dei campi di concentramento, elementi architettonici e culturali che simboleggiano la nazione ebraica. Il suo è un modo per raccontare una storia dai tratti confusi, non vuole che sia definita, deve essere lo spettatore ad approfondirla e dargli una forma. Nel manifesto per fiaf si nota la fortissima influenza della più moderna grafica svizzera, contaminata però da quella ricerca tipografica che

fa ormai parte a pieno titolo di tutte le sue tappe progettuali. I colori diventano più basilari, le forme nette ritagliano il loro spazio sul bianco imponendosi con una griglia rigorosa. Non rinuncia a dare un tocco di dinamismo oltre che con le fotografie (trattate cromaticamente), anche con dei cerchi, che già di per sé denotano una cifra di riferimento alle ricerche della Gestalt, ma ancora di più se si fa caso alla disposizione spaziale e al cambiamento di dimensione, teso a indirizzare l’occhio verso il centro focale della rappresentazione.

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PRODUZIONE

Manifesti

Da sinistra: Wim Crouwel, manifesto per lo Stedelijk Museum di Amsterdam, 1968; Philippe Apeloig, Octobre en Normandie, 1997; Fête du livre, 2000. 50

“Con la comparsa dei computer nel mondo del design, abbiamo incontrato una rivoluzione tecnica. Alcuni designer erano visionari perché pensavano in termini di computer design ancora prima di cominciare a usare il computer. Un ottimo esempio è Wim Crouwel, che cominciò a usare la tipografia in modo inusuale; andando incontro a dei rischi, provando a immaginare il futuro del disegno al computer, senza dimenticarsi del disegno a mano. Altri designer come April Greiman sono stati pioneri che letteralmente hanno iniziato

a usare il computer prima ancora di cominciare a disegnare con questo liberamente”1. Apeloig parla di due personalità che ha conosciuto di persona, infatti Wim Crouwel è il fondatore dello studio Total Design, mentre da April Greiman Apeloig ha lavorato nel 1988. L’influenza di questi due grafici è enorme: le nuove potenzialità offerte dal computer modificano radicalmente il modo di disegnare di Apeloig, che comincia a sperimentare l’uso di retini e tipografia costruita sulla base di moduli che ricordano i pixel del

1. Philippe Apeloig, Computerized Revolution, in Ben & Elly Bos. (edit.), AGI : graphic design since 1950, Thames & Hudson, New York, 2007, p. 742


Da sinistra: Philippe Apeloig, De la Lorrain, 2004; Palais de la Decouverte, 2009; Fête du livre, 2009; fiaf, 2009; Museum für Gestaltung, Zürich, 2011.

computer. L’esempio perfetto sono il manifesto e la font per la regione La Lorrain. Ma tutta la sua produzione è ricca di esempi, soprattutto la più recente. Il computer gli permette di integrare in maniera più immediata e complessa gli elementi, di costruire immagini integrando diversi linguaggi, sovrapponendo per esempio retini e fotografie, costruendo caratteri attraverso moduli regolari e arrivando a ottenere effetti percettivi di notevole impatto, grazie alla sovrapposizione e alla manipolazione di forme, colori e caratteri.

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PRODUZIONE

Manifesti

Da sinistra: Piramide del Louvre, 1989; Philippe Apeloig, Musée du Louvre, 1998; vnf Voies navigables de France, 2003.

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Dice Apeloig: “tengo gli occhi aperti, mi faccio degli appunti mentali di quello che vedo per strada, nei musei e nei libri”2. E infatti in molti suoi manifesti si nota una rappresentazione del reale, spesso effettuata attraverso la tipografia. Cerca di mettere in scena la realtà, stimolando lo spettatore a cercarne i riferimenti visivi nel mondo, ad andare a vedere coi propri occhi ciò che lui ha manipolato graficamente. L’esempio per eccellenza è il manifesto del Louvre dove con una costruzione tipografica riproduce la piramide di ferro e vetro

2. Philippe Apeloig, op. cit., p.8

collocata all’ingresso. Ma anche nel manifesto che invita ad andare su un battello ed esplorare i canali e le vie d’acqua che costellano la Francia, riproduce con i colori e la manipolazione tipografica i battelli stessi e il loro riflesso sull’acqua. In questo modo opera anche nei manifesti più recenti per il teatro Châtelet, dove rappresenta graficamente lo spettacolo in questione, integrando disegno vettoriale e tipografico. Un linguaggio che richiama ancora lo Studio Dumbar di Amsterdam, in una sorta di evo-


Da sinistra: Studio Dumbar, manifesto per uno spettacolo teatrale, 2003; Philippe Apeloig, Châtelet, 2011; Châtelet, 2011; Musée du Louvre, 1999; Musée Rodin, 2009.

luzione e raffinazione. È un mezzo espressivo decisamente diverso da quello utilizzato in precedenza per il museo del Louvre e in seguito per il Musée Rodin, che si limita invece alla riproposizione di opere, nel primo caso colpendo con il collage di elementi simili, nel tentativo tipicamente post-moderno di creare un’opera nuova citando quelle del passato, nel secondo esaltando i particolari di un’opera o utilizzando le stesse come elementi compositivi utili alla definizione di una tensione spaziale.

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PRODUZIONE

Marchi e logotipi

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Dall’alto: Compagnie Chopinot, 1988; Carré d’Art, 1993; Octobre en Normandie, 1991.

Apeloig ha svolto anche un’intensa attività come disegnatore di marchi e soprattutto di logotipi. Anche in essi si notano le influenze stilistiche, infatti il primo logotipo che crea, per la Compagnie Chopinot, richiama chiaramente la ricerca tipografica di Apollinaire. Più avanti punterà invece sul quadrato, la forma per eccellenza della grafica olandese e di Piet Zwart, mentre per Octobre en Normandie comincia a sperimentare una manipolazione del carattere più ardita. In seguito la sua produzione si differenzia molto, ma è ascrivibile a tre filoni principali. Il primo riguarda la manipolazione di caratteri esistenti: punta alla creazione di logotipi con l’uso di caratteri graziati molto classici, cercando soluzioni visive fini e pulite e servendosi sempre delle forme rettangolari e delle linee che ha imparato a utilizzare dalle avanguardie olandesi. Il secondo consiste in composizioni solo tipografiche: dispone le lettere in maniera da inscriverle sempre dentro rettangoli invisibili. Ma la particolarità riguarda la creazione di caratteri tipografici molto particolari, ai quali spesso seguono

diverse varianti e vere e proprie famiglie. Il terzo riguarda i marchi veri e propri, più rari nella sua produzione, ma di forte impatto. Anche per questi si basa sull’uso di forme geometriche e ricerca la stessa compattezza e chiarezza con cui disegna i caratteri tipografici. Un caso particolare è quello della Direction des musées de France, in cui la m viene inserita dentro una forma che ricorda la stanza di un museo vista in planimetria. Mentre il marchio più significativo è sicuramente quello del Musée d’art et d’histoire du Judaïsme, che è una sintesi dei progetti inizialmente proposti da Apeloig, vincitori del concorso, ma recusati dai committenti. Il simbolo finale è una rappresentazione di una menorah, il caratteristico candelabro ebraico a sette braccia, disegnato come se fosse stampato da un timbro. Apeloig evita all’inizio di usare il computer apposta per evocare quel sapore calligrafico che evoca la storia e l’antichità del popolo ebraico.


Da sinistra: Ecole nationale Supérieure des Arts Décoratifs, 1994; Conservatoire Supérieur d’Art Dramatique, 1999; Institut national d’histoire de l’art, 2001; fiaf, 2005; Editions Nil, 2008; Musée des Beaux-Arts de Tours, 2004; iuav, 2004; Châtelet, 2006; Sounds French, 2001; La Maison de Photo, 2009; Litvak

Galley, Tel-Aviv, 2009; França.Br, 2008; Afrique Contemporaine, 2010; Direction des musée de France, 2006; Musée d’art et d’histoire du Judaïsme, 1997; Rose & Fafner, 2003; Claudine Colin Communication, 2008.

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PRODUZIONE

Le pubblicazioni

Copertina di Au coeur du mot / Inside the world.

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La pubblicazione più importante di Apeloig è sicuramente il librointervista edito da Lars Müller Publishers nel 2001. Il libro ripercorre con 80 immagini di poster e creazioni di Apeloig la sua carriera dai tempi del Musée d’Orsay fino alle ultime attività alla Copper Union School of Art di New York e la mostra presso la Galerie Anatome. Lo stesso titolo , Au coeur du mot / Inside the world, è un’anticipazione di ciò di cui si parlerà nel libro, cioè il mondo dal quale trae ispirazione Apeloig, tutto incentrato sulla parola e le sue forme. Un altro libro importante, edito questa volta da Gabriele Cappellini Editore nel 1999, racconta in 32 pagine la nascita e lo sviluppo del progetto del marchio per il Musée d’art et d’histoire du Judaïsme. Inoltre Apeloig durante la sua collaborazione con il Musée du Louvre ha pubblicato diversi libri sul museo e sulle opere in esso presenti, di cui il più importante è Louvre: 400 Masterpieces.

Oltre a produrre manifesti e logotipi Apeloig si è occupato anche della cura di diversi cataloghi di mostre, come quello per la Litvak Gallery o Les Artes Decoratifs.


Da sinistra: catalogo per la Litvak Gallery, 2011; Louvre: 400 Masterpieces,2008; catalogo per Les Artes Decoratifs, 2011; La man, la spiral et la menorah, 1999.

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POETICA VISIVA

La grammatica del linguaggio

Philippe Apeloig, Octobre en Normandie, 1992.

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Quando ci si addentra nell’analisi di un autore è inevitabile arrivare a definire delle caratteristiche ricorrenti. Potrebbe essere definito stile, ma portandosi dietro tutte le ambiguità di una parola dai mille significati. La definizione di poetica visiva descrive invece in maniera completa ciò di cui stiamo parlando: l’insieme strutturato degli intenti espressivo-contenutistici che un artista esplica nelle sue opere. In questo caso si sta parlando poi di un grafico, quindi di un progettista che lavora con le immagini, su un piano sensoriale prevalentemente visivo. Ogni autore possiede un proprio linguaggio attraverso cui comunica, ciò che vediamo è il frutto dell’elaborazione di regole grammaticali, di elementi non solo ricorrenti, ma basilari, utilizzati per costruire la comunicazione secondo un ordine di pensiero codificato. Alcuni di questi elementi sono già stati messi in evidenza, ma ora verranno trattati più dettagliatamente. La fotografia Apeloig non utilizza spesso la fotografia, ma proprio per questo è interessante notare il modo in cui

se ne serve. Nel manifesto per Octobre en Normandie del 1992 la fotografia è in accordo con il logotipo costruito, il vento che sfuma la scritta è lo stesso che fa sventolare i vestiti, viene rappresentato non il soggetto della manifestazione, ma l’atmosfera che si dovrebbe respirare in quel luogo. Altre volte la usa per rappresentare invece il soggetto del manifesto, e soprattutto quando questo possiede caratteristiche e peculiarità che è difficile rappresentare, che è meglio lasciar parlare da sè. È questo il caso dei manifesti per la Fête du livre, dove utilizza la foto di uno scrittore, mettendone in risalto attraverso un trattamento in post-produzione alcune caratteristiche, come lo sguardo. Ma ancora quando sceglie di utilizzare le fotografie di opere d’arte per comunicare una mostra o un museo. In altre occasioni la fotografia diventa invece fonte di sperimentazione, smette di comunicare qualcosa di particolare e si confonde nell’insieme, trasformandosi in puro elemento evocativo-figurativo, come nel caso del manifesto per la mostra su Alfred Nobel al Palais


Da sinistra: Philippe Apeloig, Fête du livre, 2001; Palais de la Deçouverte, 2008; Musée d’Orsay, 1987; Cooper Union School of Art, 2000.

de la Deçouverte o per il festival Crossing the line di fiaf. La tridimensionalità Già in un manifesto per il Musée d’Orsay Apeloig dimostra di essere estremamente interessato all’abbandono delle immagini bidimensionali. In quell’occasione manipola una scritta in maniera da piegarla in prospettiva, come se fosse un pezzo dell’architettura mostrata in fotografia. Più avanti

con l’utilizzo del computer si spingerà sempre più oltre, cercando di costruire i suoi manifesti su più livelli, così da dare un’impressione fittizia di profondità e rilievo. Un altro mezzo di cui si serve sono le linee, che modellano lo spazio delineandolo alla maniera costruttivista e secondo la lezione della percezione gestaltica sullo spazio tridimensionale.

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POETICA VISIVA

La grammatica del linguaggio

Philippe Apeloig, Octobre en Normandie, 1995.

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Il ritmo e la modularità Dalla predilezione per le forme geometriche della grafica olandese e dal rigore compositivo svizzero Apeloig prende una parte importante del suo linguaggio. Egli costruisce delle griglie ben definite su cui comporre il manifesto, permettendosi poi di trasgredire all’ordine imposto per inserire qualche elemento di discontinuità. Nella maggior parte dei suoi manifesti c’è un ritmo costante che lega l’intera composizione, avvertibile attraverso una forma, un colore o la tipografia stessa. Soprattutto nei manifesti tipografici si nota questo aspetto, perché lo stesso metodo progettuale usato per i manifesti viene usato per il disegno di caratteri. Apeloig utilizza dei moduli ripetuti con determinate differenze di dimensione e forma per costruire le lettere. Un esempio è il carattere, e il manifesto, disegnato per Octobre en Normandie nel 1995, o, guardando alle opere più recenti, il manifesto per la Fête du livre del 2009. L’esempio più lampante è costituito dal carattere La Lorraine, costruito con un modulo di base ripetuto fino

a creare una texture di forma rettangolare, dentro la quale vengono evidenziate le lettere accendendo singoli moduli. Sullo stesso solco si inseriscono i manifesti per fiaf del 2009 e quello per il Museum für Gestaltung del 2011. Guardando invece all’utilizzo dei moduli nella composizione fotografica il manifesto di riferimento è quello per il Musée du Louvre del 1996, dove una serie di volti appartenenti a diversi dipinti si susseguono una dopo l’altra creando un mosaico suggestivo. Nel manifesto per Octobre en Normandie del 1998 è invece un elemento grafico a ripetersi in maniera pressoché regolare dando un effetto dinamico che si integra perfettamente al resto della composizione.


Da sinistra: Philippe Apeloig, Fête du livre, 2009; De la Lorraine, 2004; fiaf, 2010; Octobre en Normandie, 1998; Musée du Louvre, 1996; Museum für Gestaltung, 2011.

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POETICA VISIVA

La grammatica del linguaggio

Alcune lettere di fonts disegnate da Apeloig.

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La tipografia L’elemento che più caratterizza in assoluto il linguaggio di Apeloig è l’uso di una tipografia varia ed elaborata. Dice lui stesso: “la tipografia è l’essenza del disegno: un equilibrio tra pieno e vuoto, luce e ombra. È una disciplina a metà tra scienza e arte… un materiale esatto e arbitrario… funzionale e poetico”1. Fin dal logotipo per Octobre en Normandie comincia a manipolare i caratteri, creandoli poi lui stesso. Spesso per progettare un manifesto parte proprio dalla tipografia e più di una volta i caratteri disegnati per un manifesto sono poi stati completati e declinati fino a creare una famiglia di font. L’obiettivo di Apeloig non è strettamente funzionale, non punta alla leggibilità estrema, anche se qualche accorgimento lo prende, come lo spessore delle aste di solito molto grande per essere letto anche in lontananza, ma più all’impatto visivo. Tratta le lettere non come simboli fonetici, ma come forme astratte con cui comporre l’immagine in un un modo sempre nuovo e sensazionale. Nel disegnare un carattere la prima

1. Philippe Apeloig, op. cit., p.49

cosa di cui tiene conto sono il ritmo e la modularità: cerca di disegnare ogni lettera con il minor numero possibile di elementi, ricercando le proporzioni con rigore matematico. Ma un altro aspetto importante è la committenza, infatti il carattere deve essere sì una forma astratta, ma deve comunque rappresentare il committente. Infatti per esempio l’Aleph, per una mostra su Apeloig in Giappone, ha forme molto orientali, che richiamano visivamente la calligrafia giapponese, mentre il Bollywood, disegnato per i manifesti del teatro Châtelet, ricorda molto le quinte teatrali e il loro sistema di pesi e luci sospese. Il carattere Ndebele, disegnato per Afrique Contemporaine richiama invece delle forme legate all’immaginario visivo delle culture etniche.


Da sinistra: CarrĂŠ, 1993; Drop, 1999; La Lorrain 2005; abf, 2006.

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POETICA VISIVA

La grammatica del linguaggio

Da sinistra: Aleph, 2006; Octobre, 2006; Serpent, 2007.

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Da sinistra: Bollywood, 2008; abf, 2010; Ndebele, 2010; Santaco, 2010.

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POETICA VISIVA

L’evoluzione temporale

Philippe Apeloig, Octobre en Normandie, 1991.

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Nell’opera di Apeloig si possono notare dei cambiamenti che avvengono nell’arco della sua carriera pluriventennale, dovuti all’esperienza maturata, al cambiamento del contesto in cui opera e alle influenze venute da altri grafici. Nelle prime sperimentazioni non osa spingersi troppo oltre, mantiene una composizione piuttosto classica e statica. Dal momento in cui comincia a sperimentare e disegnare propri caratteri tipografici, c’è un cambiamento profondo anche nel suo approccio con l’impaginazione del manifesto. Si fa più ardito, cerca sovrapposizioni non scontate, un dinamismo sporco, dato dai diversi strati che si fondono tra loro. I caratteri sono ancora molto rozzi, se pur d’impatto, sono disegnati con forme molto squadrate, più vicini ai riferimenti delle avanguardie olandesi che alla moderna tipografia nascente. È soprattutto l’avvento del computer che cambia radicalmente il suo lavoro. Il metodo resta lo stesso (“ricorrere alle nuove tecnologie non modifica il processo creativo, dato che questo dipende interamente dall’immaginazione del designer”, e ancora: “non sono incollato al mio

1. Philippe Apeloig, op. cit., p.49

computer, tutto il contrario: spesso lo abbandono in favore di carta e penna, dove posso stendere lo zigzagare del mio pensiero”1), ma il suo disegno si fa più raffinato. Prendendo esempio anche dalle ultime elaborazioni della grafica olandese e americana comincia a usare abbondantemente il disegno vettoriale, sia in campo tipografico, sia in campo figurativo. Il suo disegno nell’ultimo periodo si fa più pulito ed essenziale, ricerca la tensione spaziale mettendo in gioco pochi elementi che interagiscono tra di loro, o, in termini completamente opposti, riempiendo lo spazio con delle texture e dei retini che diventano il primo degli strati, la base su cui costruire una composizione ricca di punti di ancoraggio visivo, capace di stimolare la vista e la percezione. Anche dal punto di vista cromatico passa dall’utilizzo di colori forti ma non eccessivamente accesi a prediligere il contrasto cromatico e puntare su campiture calde e sgargianti. Il suo obiettivo da semplice racconto e descrizione di un evento o di un museo si trasforma in reinterpretazione dello stesso e seduzione dello spettatore.


Da sinistra: Philippe Apeloig, Fête du livre, 1997; Fête du livre, 1998; Châtelet, 2007; Litvak Gallery, 2009; Châtelet, 2011; London Design Museum, 2011.

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LA MOSTRA

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PREMESSA

L’immagine coordinata

orate image corp

porate identity cor

corporate personality

punti di contatto Diagramma della definizione di Olins, tratto dal volume di Francesco E. Guida4.

Il termine immagine coordinata è la traduzione fatta da Giovanni Anceschi del termine anglosassone corporate identity, definizione formalizzata da Henrion e Parkin nel 1967, in cui questa viene definita come “l’insieme delle immagini o idee o qualità di un ente che le persone hanno o si formano entrando in rapporto con loro tramite elementi, detti punti di contatto, quali marchi, edifici, prodotti, packaging, stampati, veicoli, pubblicazioni, uniformi, attività promozionali”1. L’obiettivo di un’immagine coordinata è quello di distinguere la società o l’ente dai concorrenti, in maniera da fissare un’immagine nella gente e rendersi riconoscibili. Nel 1995 Wolff Olins2 ha introdotto un nuovo termine, corporate personality, approfondendo ulteriormente il concetto di corporate identity. Egli distingue infatti la corporate personality, insieme delle qualità interne e immodificabili di una società o di un ente, dalla corporate identity e dalla corporate image. Prendendo la definizione di Baroni, la corporate identity include “il corpo di fabbrica, se ne esiste uno, le persone fisiche che

vi lavorano; pertanto anche la sua storia, oltre ai progetti del presente e del futuro, immediato e a medio termine, le sue strategie, il suo concept, le politiche di distribuzione e di vendita”3. Mentre la corporate image è l’immagine attraverso cui si comunicano tutti questi aspetti, pertanto va a sovrapporsi sostanzialmente alla definizione di corporate identity data da Henrion e Parkin. Semplificando potremmo dire che la personalità di un ente è il concetto, l’idea che lo anima, l’identità è l’emanazione concreta di questa idea e l’immagine è la comunicazione visiva dell’identità, che avviene attraverso i punti di contatto con gli interlocutori. Chiarito il concetto di immagine, è bene soffermarsi un momento su quello di coordinazione: perché un’immagine coordinata sia efficace deve essere costruita nel tempo, adattata alle necessità, ma sempre coerente, ogni elemento che la compone deve essere immediatamente riconducibile visivamente agli altri, per puntare alla soddisfazione dell’esigenza fondamentale di riconoscibilità e unicità dell’ente/ prodotto.

1. F. H. K. Henrion, Alan Parkin , Design coordination and corporate image, London : Studio Vista; New York : Reinhold Publ. Corporation, 1967 2. Wolff Olins, The new guide to identity, Gower Publishing Ltd, Aldershot, 1995 3. Daniele Baroni, op. cit., p. 257 4. Francesco E. Guida (a cura di), op. cit., p. 14

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CONCEPT

Il progetto della mostra

Il manifesto appeso.

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Il progetto del Laboratorio di Sintesi Finale si è svolto in diverse fasi. La prima è stata quella di disegnare il marchio per Anatome Milano, già descritto precedentemente. In seguito ci si è concentrati su uno degli autori che hanno esposto alla Galerie Anatome di Parigi, immaginando di proporre una sua esposizione anche a Milano. La parte che ha richiesto più energie, in termini di tempo e creatività, è stata dunque quella relativa alla mostra. Il progetto del laboratorio ha riguardato principalmente la comunicazione della mostra, quindi è stato creata l’immagine coordinata della stessa, che è stata poi declinata su diversi supporti e artefatti. Per comunicare la mostra all’esterno è stato richiesto un manifesto pensato per essere appeso nelle strade e in metropolitana, che rappresentasse il mondo e il linguaggio dell’autore, oltre a pubblicizzare la mostra. In seguito, partendo dal lavoro precedentemente svolto per il manifesto, è stato creato un sedicesimo che descrive l’autore in tutte le sue sfaccettature e che dovrebbe essere messo in vendita all’interno della mostra.

Infine sono stati progettati diversi artefatti per la comunicazione della mostra: una cartella stampa (contenente un comunicato stampa su carta intestata della galleria e un cd), un invito in formato cartolina da spedire e uno stendardo studiato per essere posizionato nell’atrio dell’edificio N della Facoltà del Design, il luogo scelto per allestire la mostra. In seguito è stato portato avanti il progetto del laboratorio aggiungendo il progetto dell’allestimento vero e proprio. Sono stati progettati il percorso della mostra, i pannelli espositivi e la segnaletica interna al campus del Politecnico.


Cartella stampa, invito e sedicesimo.

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PERCORSO PROGETTUALE

Una parte per il tutto

Il ragionamento dietro al progetto dell’immagine coordinata nasce dalla ricerca di alcuni elementi della poetica visiva di Apeloig che potessero essere sufficientemente rappresetantivi del suo lavoro. La difficoltà stava non nel creare un’immagine che fosse vicina al suo stile, perché sarebbe bastato copiare allora, ma nel riuscire a comunicare l’autore con una cifra personale: non era richiesta una mera riproposizione di alcuni lavori di Apeloig, ma una rielaborazione in cu si esprimesse anche il progettista.

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L’elemento base Tra gli elementi della poetica visiva individuati si è scelto quello del ritmo, individuato in un manifesto che non rappresenta la totalità dell’autore, ma una delle sue caratteristiche, che si è proceduto a sviluppare e manipolare. Il manifesto in questione è De la Lorraine, costruito con l’omonimo carattere tipografico. Ad un’analisi del font si nota come la costruzione si basi sulla ripetizione di un modulo, ed è proprio l’elemento base di questo modulo che è stato scelto come punto di partenza per la

costruzione dell’immagine coordinata. In sostanza il lavoro è stato svolto secondo la figura retorica della sineddoche: una parte per il tutto, un elemento disegnato da Apeloig che fosse utilizzato per rappresentarne l’intera opera. Colori e font Sono stati selezionati anche dei colori da utilizzare in tutto il progetto, individuati nei quattro colori della quadricromia: ciano, giallo, magenta e nero. In riferimento all’estetica prevalente dell’ultimo periodo di attività di Apeloig. Ma per aggiungere un elemento di ulteriore complessità e rendere più interessante l’immagine ampliandone la gamma cromatica, questi colori sono stati accostati in una texture, giocando sulla percezione del colore teorizzata da Chevreul e alla base della tecnica del pointillisme, cosicché un ciano accostato al giallo appare verde all’occhio, mentre un magenta accostato al giallo appare rosso. Come font si è scelto un Helvetica Condensed, in linea con la forma allungata dell’elemento base e vicino esteticamente agli ultimi caratteri disegnati da Apeloig.


Da sinistra: il font La Lorraine; la riproduzione di una lettera del font; l’elemento base isolato;

HELVETICA LT STD CONDENSED HELVETICA LT STD BOLD CONDENSED Helvetica LT Std Bold Condensed Oblique

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PROGETTO

Il manifesto

PHILIPPE APELOIG DALL’1 AL 15 MARZO 2011 DAL LUNEDÌ AL VENERDÌ 9.00/13.00 - 15.00/18.00

ANATOME MILANO FACOLTÀ DEL DESIGN VIA DURANDO 10

Sopra: il manifesto definitivo.

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Tel: 02 23995608 Fax: 02 56082399 info@anatome.it

Il progetto del manifesto è coinciso con quello dell’immagine coordinata, per questa ragione ci sono prove molto differenti l’una dalle altre. La prima prova è un collage di manifesti di Apeloig, si era cercato così di mettere in mostra parte del suo lavoro, seguendo il filo conduttore dei manifesti per i musei. Com’è evidente, i problemi erano molti, dalla tipografia, al corpo dei caratteri, al concetto di base sbagliato, perché puntava sulla riproposizione di opere dell’autore, invece che sulla creazione di un’opera sull’autore. È l’esempio perfetto di ciò che non andava fatto, ed è stato infatti scartato nelle primissime fasi di lavoro. La seconda prova, dal cui sviluppo è nata poi l’intera immagine coordinata, si basava sull’elemento base estrapolato dal carattere La Lorraine, attraverso il quale veniva costruita una texture e veniva evidenziato il testo attraverso il colore. La terza è uno sviluppo della seconda, dove si iniziava a sperimetare con la sovrapposizione e l’accostamento di colori. È già presente una prima prova di disposizione del testo con le informazioni sulla

mostra, ancora molto rozza, con un corpo troppo grande e non integrata con l’immagine. Le ultime tre prove sono quelle semi-definitive. L’immagine, ottenuta sempre partendo dalla stessa texture della seconda prova, viene resa dinamica spostando il testo e tagliandolo, l’impressione è che il testo scorra come nei pannelli delle insegne a led. Inoltre un ulteriore elemento di complessità viene dato dall’impronta bianca lasciata dal passaggio delle lettere, dando allo stesso tempo un’impressione di movimento e di rilievo sulla texture di fondo. Ci sono diverse prove di disposizione del testo con le informazioni, sempre alla ricerca della soluzione migliore per renderlo il più equilibrato possibile. Nella versione definitiva il colore del testo ha subito modifiche, diminuendo la saturazione del nero che sarebbe spiccato troppo rispetto al giallo smorzato dal bianco presente sullo sfondo. Inoltre il testo è stato riunito a pacchetti e allineato ad alcuni elementi dell’immagine, trovando una collocazione che non lo nascondesse, ma nemmeno lo facesse risaltare troppo rispetto all’immagine.


Sotto: prove del manifesto.

Philippe Apeloig Dal 18 dicembre 2010 al 16 gennaio 2010 Lu-Ve 10,00 - 19,00 Sa-Do 10,00 - 22,00

Galleria Anatome Milano Piazza Diaz 2

Philippe Apeloig Dal 18 dicembre 2010 al 16 gennaio 2010

Lu-Ve 10,00 - 19,00 Sa-Do 10,00 - 22,00

Galleria Anatome Milano

GALLERIA ANATOME MILANO PIAZZA DIAZ 2

DALL’1 AL 15 MARZO 2011

DAL LUNEDÌ AL VENERDÌ 9.00-13.00, 12.00-18.00

ANATOME MILANO FACOLTÀ DEL DESIGN, VIA DURANDO 10

PHILIPPE APELOIG INGRESSO GRATUITO

DAL 18 DICEMBRE 2010 AL 16 GENNAIO 2011

PHILIPPE APELOIG

MANIFESTI

LU-VE 10,00 - 19,00 SA-DO 10,00 - 22,00

Piazza Diaz 2

PHILIPPE APELOIG

DALL’1 AL 15 MARZO 2011 DAL LUNEDÌ AL VENERDÌ 9.00/13.00 - 15.00/18.00 ANATOME MILANO FACOLTÀ DEL DESIGN VIA DURANDO 10

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DAL LUNEDÌ AL VENERDÌ 9.00/13.00 - 15.00/18.00

PHILIPPE APELOIG DALL’1 AL 15 MARZO 2011

ANATOME MILANO FACOLTÀ DEL DESIGN VIA DURANDO 10

Tel: 02 23995608 Fax: 02 56082399 info@anatome.it


PROGETTO

Il manifesto

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Il manifesto appeso in metropolitana e in strada.

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PROGETTO

Il sedicesimo

Copertina e retro di copertina del sedicesimo.

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Un sedicesimo è un libretto di sedici pagine ottenuto da un unico foglio-macchina 70x100 cm. Sedici pagine sono un numero particolare per una pubblicazione, perché sono troppe per essere trattate come un depliant e sono troppo poche per essere trattate come un catalogo. Per avere un’idea delle potenzialità di un sedicesimo, sono stati presi come indicazione i sedicesimi della collana di Corraini, in cui per ogni numero un autore crea il sedicesimo raccontato sé stesso. A differenza del manifesto, dov’era stato messo in evidenza solo una parte dell’autore, qui si è cercato di fornire in maniera immediata e sintetica un quadro completo di quello che sono il mondo e il linguaggio di Apeloig. Ogni pagina è composta da una parte di testo e una parte figurativa. Il testo non riporta una biografia o delle spiegazioni su Apeloig, è stato lasciato proprio a lui il compito di raccontarsi, attraverso delle citazioni tratte dal libro-intervista Inside the word/Au cœur du mot. Ogni citazione ne descrive un aspetto, che sia inerente alla poetica visiva, alle sue fonti

d’ispirazione o al suo compito nella società. Le citazioni sono state quindi divise per macro-argomenti e a ciascuno di essi è stato assegnato un colore di sfondo, creando un alternza bianco-colore ad ogni cambio di argomento. In questo modo si è potuto creare una sorta di divisione visiva del sedicesimo in capitoli. La parte figurativa occupa tutta la pagina, dettando anche l’impostazione compositiva della stessa; per ogni citazione è stato creato un corrispettivo grafico elaborando alcuni manifesti di Apeloig, citati a piè di pagina e riportati sul retro di copertina.


Dall’alto: sedicesimo di Leonardo Sonnoli, ed. Corraini; sedicesimi della collana di Corraini.

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PROGETTO

Il sedicesimo

Si riportano le citazioni suddivise per argomenti e le pagine del sedicesimo nella pagina a fianco. Formazione: - Invidio il teatro per la relazione speciale che ha con il pubblico, il modo in cui ti può pervadere di sentimento e trasmettere un messaggio. - Il mio interesse per la parola stampata è passato dal contenuto alla forma. Ho cominciato ad apprezzare le lettere non solo come mezzo per esprimere dei pensieri, ma anche come materiale con un grande potenziale creativo in se stesso.

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Perché la comunicazione culturale: - Anche se la comunicazione culturale opera su bucjets bassi, trovo stimolante lavorare su progetti in grado di arricchire i miei interessi. Per me è un privilegio espandere gli orizzonti della mia conoscenza attraverso il lavoro, seguire l’evoluzione del pensiero di scienziati, artisti ed editori. Ispirazione: - Tengo gli occhi aperti, mi faccio degli appunti mentali di quello che

vedo per strada, nei musei e nei libri. Uso delle tecniche di montaggio video: “taglio” le mie idee e le riassemblo in un ordine differente finché la composizione non è abbastanza forte da avere un impatto visivo sul pubblico. - La maggior parte delle volte parto dal testo, dalla font e solo dopo mi concento sull’immagine. Tipografia: - La tipografia è l’essenza del disegno: un equilibrio tra pieno e vuoto, luce e ombra. È una disciplina a metà tra scienza e arte… un materiale esatto e arbitrario… funzionale e poetico. - Amo la tipografia moderna, il suo carattere sperimentale e anche un po’ maldestro. La tipografia prende vita quando è un po’ incerta e fragile. In quel caso la sensibilità dell’artista sboccia e dilaga in modo originale e radicale.


Da sinistra: pagine 2-3, 4-5, 6-7, 8-9.

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PROGETTO

Il sedicesimo

- Quando disegno una font metto in secondo piano le norme puramente funzionali e penso alla tipografia più come a un elemento astratto. Faccio ricorso a ritmi con precisione quasi matematica. Lo spessore rende le lettere leggibili specialmente a distanza, il che è perfetto per il disegno di un manifesto.

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Nuove tecnologie: - Sono interessato a tutto ciò che la terza dimensione può offrire come contributo al support bidimensionale. Sono affascinato dall’idea della profondità, dello spazio, ma anche dell’istantanea di un movimento. I computer rendono possibile aggiungere un’architettura tridimensionale ai testi. - Ricorrere alle nuove tecnologie non modifica il processo creativo, dato che questo dipende interamente dall’immaginazione del designer. Non sono incollato al mio computer, tutto il contrario: spesso lo abbandono in favore di carta e penna, dove posso stendere lo zigzagare del mio pensiero.

Ruolo sociale del grafico: - Alcuni designer scelgono di dedicare la loro carriera a combattere per giuste e nobili cause, sensibilizzare l’opinione pubblica e rendersi “utili” alla società creando immagini. Altri optano per cause differenti e meno “mediatiche”. Il mio lavoro non è commentare criticamente la nostra società; appartiene al regno della cultura. Futuro dei grafici: - Di fatto i grafici non hanno molti altri terreni in cui operare oltre alla comunicazione di gruppi nazionali e locali. Ma siamoall’alba di una nuova era, in cui si suppone che l’immaginazione prenderà il potere.


Da sinistra: pagine 10-11, 12-13, 14-15, copertina e retro di copertina.

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PROGETTO

Il sedicesimo

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A destra: doppia pagina del manifesto. Sotto: pagine del sedicesimo con i manifesti di riferimento.

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PROGETTO

L’invito

L’interno dell’invito.

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Per la comunicazione esterna della mostra è stato progettato anche un invito in formato cartolina chiuso (10x15 cm). L’obiettivo dell’invito è quello di informare chi lo riceve sulla presenza della mostra, il luogo, l’orario ecc. Questo scopo lo rende molto più vicino concettualmente al manifesto che al sedicesimo, e infatti dopo diverse prove si è giunti alla riproposizione all’esterno della stessa trama del manifesto, stavolta declinata in formato orizzontale. La forma richiama quella dell’elemento base, avendo ai lati delle alette tagliate in obliquo. Quando queste sono chiuse nascondono alla vita la parte interna dell’invito, cosicché le persone devono interagire con l’artefatto per capirne la natura. All’interno, sulla texture creata con l’elemento base, si trovano tutte le informazioni sulla mostra, distribuite a pacchetti verticali, e una breve biografia di Apeloig, per dare un’idea di chi siano le opere esposte. Vista la particolarità estetica della trama che copre la parte esterna dell’invito, si è deciso di non creare

una busta personalizzata né per la mostra né per la galleria Anatome Milano, la scelta è ricaduta invece su una busta semitrasparente che lasciasse intravedere il contenuto senza però esaurirne l’effetto percettivo prima dell’apertura e dello svelamento dell’invito.


Dall’alto: l’esterno dell’invito; l’invito chiuso nella busta.

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PROGETTO

La cartella-stampa

La cartella stampa.

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Per la stampa è stata progettata una cartella contenente un cd e le informazioni sulla mostra con la carta intestata di Anatome Milano. La cartella presenta sull’esterno la stessa immagine riprodotta sull’invito, quindi in formato orizzontale, e la texture si estende sulle linguette interne in modo da creare contrasto tra il colore giallo delle linguette e il bianco dell’interno della cartelletta. In principio l’interno era stato pensato nero, ma questo avrebbe posto dei problemi perché il contatto avrebbe sporcato le linguette, lasciando delle striature nere. Sempre cercando il contrasto, anche sul cd, situato al centro del lato sinistro dell’interno della cartelletta, è stata stampata la texture. Le informazioni sulla mostra e sulla galleria sono riportate sul retro di copertina, con una composizione a pacchetti identica a quella usata sul manifesto, mentre sul cd sono riportate solo le indicazioni di appartenenza alla mostra e il marchio della galleria. La carta intestata è molto semplice, per restare coerenti con la chiarezza compositiva del marchio. Nella parte alta del foglio si trova l’inte-

stazione della galleria, mentre più in basso sono indicate le informazioni istituzionali sulla mostra e un breve testo d’introduzione all’autore. La carta intestata non presenta caratterizzazioni legate all’immagine coordinata della mostra, perché è pensata per essere utilizzata in tutte le occasioni richieste da Anatome Milano.


La cartella stampa aperta, con carta intestata e cd.

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PROGETTO

La cartella stampa

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La cartella-stampa aperta.


Dettaglio della carta intestata; dettaglio del cd.

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PROGETTO

Lo stendardo

Lo stendardo è stato progettato per essere appeso nell’atrio dell’edificio N della Facoltà del Design, nel campus di Bovisa Durando. Ha dimensioni notevoli (9x2,5 m) e un formato alto e stretto. Il procedimento per applicare l’immagine del manifesto è stato analogo a quello dell’invito: se lì era stato trasposto da verticale a orizzontale, qui la verticalità viene accentuta. Le lettere vengono disposte in ordine fino a coprire l’intera superficie e lasciando uno spazio per il testo con le informazioni sulla mostra. Il testo ha un corpo molto grande per poter essere letto facilmente anche da grande distanza.

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ALLESTIMENTO

Lo spazio espositivo a Parigi e a Milano

La Galerie Anatome di Parigi.

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Lo spazio espositivo scelto per Anatome Milano è il seminterrato dell’edificio N della Facoltà del Design, un open space già adibito abitualmente a mostre organizzate dal Politecnico di Milano. Il campus Bovisa Durando è stato ricavato dalla restrutturazione della vecchia fabbrica Ceretti e Tanfani e presenta quindi spiccate qualità architettoniche post-industriali. È singolare l’assonanza con la sede della Galerie Anatome di Parigi, recuperata invece da un edificio di inizio ‘900 che presenta però anch’essa architetture industriali. In entrambi gli edifici domina il colore bianco delle pareti e dei sostegni in ferro verniciati. Questa coincidenza offre un segno di continuità inaspettato che lega ulteriormente la realtà milanese e parigina, aiutando i visitatori che siano stati in entrambe le gallerie a riconosce un ambiente simile e meglio identificare i due luoghi come appartenenti ad un sistema collegato, e non come due realtà separate e indipendenti.


Il seminterrato che ospiterebbe la galleria Anatome Milano.

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ALLESTIMENTO

I contenuti della mostra

Libri consultabili in una mostra alla Galerie Anatome di Parigi.

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L’obiettivo della mostra è mettere in evidenza i tratti distintivi di Apeloig e del suo lavoro, esattamente come il sedicesimo. L’idea è stata quindi quella di legare il sedicesimo anche all’allestimento della mostra. Le citazioni contenute nel sedicesimo diventano il filo conduttore della mostra che si sviluppa attraverso una serie di pannelli, su cui vengono riportate le citazioni e alcuni manifesti utili a far comprendere determinati aspetti dell’autore. Lo spazio limitato non permette di mostrare l’intera produzione di Apeloig, ma si va comunque al di là della semplice riproposizione dei contenuti del sedicesimo. Infatti l’attività di Apeloig con le nuove tecnologie si è estesa anche all’uso di artefatti multimediali per presentare alcune sue creazioni, saranno quindi presenti anche dei monitor in cui proiettare dei video. Per rendere più completa possibile l’esperienza uno spazio sarà adibito a sala di proiezione e verranno mostrate delle video-interviste fatte ad Apeloig nell’arco della sua carriera; l’ultimo pannello sarà dedicato ai marchi e logotipi, mentre su un tavolo potranno essere sfogliate le sue pubblicazioni.

A B C D E

1 2 3 4 5 6 7 8 9

Video multimediali Area ristoro Toelettes Saletta per le proiezioni delle video-interviste Pubblicazioni sfogliabili Pannelli: Biografia Formazione Perché la comunicazione culturale Ispirazione Tipografia Nuove tecnologie Il ruolo sociale del grafico Il futuro del grafico Marchi e logotipi


c Scala 1:100

primo piano primo piano seminterrato

spazio non utilizzabile

3

b

d

9 8

7

6 e 1

A

2 4 3

5

5

1

5d

5


ALLESTIMENTO

I pannelli espositivi

I pannelli riportano all’inizio la citazione di riferimento della sezione e sullo sfondo la texture utilizzata nel sedicesimo. La lunghezza del pannello varia in base alla sezione e alla posizione, mentre l’altezza è di due metri. I manifesti sono sistemati su un fondo bianco per annullare eventuali effetti percettivi causati dal contatto con la texture di fondo. Oltre ai pannelli su cui sono appesi i manifesti ci sono altri due tipi di pannelli: in uno sono incorporati degli schermi dove vengono proiettati i video, sull’altro sono presentati i marchi e i logotipi più importanti disegnati da Apeloig.

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Pannello espositivo per la sezione tipografia.


Atri pannelli espositivi.

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ALLESTIMENTO

La segnaletica

Una volta arrivati al campus si pone il problema di riuscire a raggiungere l’edificio N, per questo sono stati progettati dei totem da posizionare lungo il tragitto per raggiungere la mostra. È stata utilizzata la stessa immagine dello stendardo, modificata debitamente in maniera che le scritte siano in alto, all’altezza dello sguardo. Il corpo del carattere inoltre le rende leggibili anche a una certa distanza. Lo stesso tipo di totem può essere modificato per indicare all’interno della mostra alcuni servizi, come le toelettes o le distributrici automatiche dell’area ristoro situata nel seminterrato.

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Rendering di un totem.


I totem: per indicare l’ingresso e per indicare i servizi

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ALLESTIMENTO

Rendering

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107


ALLESTIMENTO

Rendering

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109


ALLESTIMENTO

Rendering

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BIBLIOGRAFIA SITOGRAFIA RINGRAZIAMENTI

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Bibliografia AA.VV., Prima biennale della grafica, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1984 AA.VV., Exposer/S’exposer: Galerie Anatome, Editions du Panama, 2005 Apeloig Philippe, Au cœur du mote Inside the word, Lars Müller Publisher, 2002 Baroni Daniele, Il manuale del design grafico, Longanesi & C., Milano, 2003 Baroni Daniele, Vitta Maurizio, Storia del design grafico, Longanesi, Milano, 2003 Boekraad Hugues, Pierre Bernard: my work is not my work - Design for the public domain, Lars Müller Publisher, 2008 Bos. Ben & Elly (edit.), AGI : graphic design since 1950, Thames & Hudson, New York, 2007 Bucchetti Valeria (a cura di), Culture Visive: contributi per il design della

comunicazione, Poli.design, Milano, 2007 Ferrara Cinzia, La comunicazione dei beni culturali, Lupetti, Milano, 2007 Guida Francesco E. (a cura di), Comunicazione coordinata per i beni culturali: 4 progetti italiani, Valentino Editore, Napoli, 2003 Henrion F. H. K. , Parkin Alan, Design coordination and corporate image, London : Studio Vista; New York : Reinhold Publ. Corporation, 1967

Spera Michele, Abecedario del grafico, Gangemi Editore, Roma, 2005 Steiner Albe, La grafica degli enti pubblici, in “Linea grafica”, n 1-3, 1973 Steiner Albe, Il mestiere del grafico, Einaudi, Torino, 1978 Tschichold Jan, Treasury of Alphabets and Lettering, Lund Humphries, London, 1992

Hohenegger Alfred, Graphic Design, Romana Libri Alfabeto, Roma, 1979 Hollis Richard, Graphic Design. A Coincise History, Thames & Hudson, London, 2001 Olins Wolff, The new guide to identity, Gower Publishing Ltd, Aldershot, 1995 Piazza Mario, Progettare il marchio. Identità del GAI, GAI Edizioni, Torino, 2001

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Manuali d’identità visiva:

Sitografia

Video:

Birra Dreher Poste Italiane Trony

www.apeloig.com Sito di Philippe Apeloig

www.youtube.com/ watch?v=jbSIAIfZjPM

www.exporevue.com/magazine/fr/ interview_anatome.html Intervista di Damien Sausset a Marie-Anne Couvreu

www.youtube.com/ watch?v=HrnUK1hiJzw

www.galerie-anatome.com Sito della Galerie Anatome di Parigi www.studiodumbar.com www.villamedici.com www.delicious.com/pospag/ Apeloig

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www.galerie-anatome.com/-Philippe-Apeloig-au-coeur-du-mot-. html?lang=en

www.etapes.com/video/apeloig-1 Philippe Apeloig Interview vimeo.com/3411150 www.incident.net/users/vadim/ travaux/culturesfrance/ Video presentazione di un’animazione che mostra l’identità della cultura francese - 2006


Ringraziamenti Il primo ringraziamento ovviamente va ai miei genitori e alle mie sorelle, che mi hanno sostenuto durante tutto il percorso universitario, anche economicamente quando hanno potuto; a mia nonna, alla quale devo il mio prezioso mac - strumento di lavoro insuperabile -, non avrà ancora capito cosa studio, ma so che è fiera di me e forse con questa tesi avrà un assaggio di quello che ho imparato negli ultimi tre anni. Grazie a Juri, Massimo, Roberto e Marco, che hanno sopportato i miei lunghi e frequenti periodi da eremita, chiuso in casa a lavorare sui progetti; a Elena, sempre pronta a sostenermi e risollevarmi il morale nei momenti più bui e difficili; a Davide e a mia zia Luisa, per l’entusiasmo dimostrato ogni volta che mostravo loro qualche nuovo progetto; a mia zia Teresa, che non ha mai mancato di mostrarmi la stima che nutre nei miei confronti. Un ringraziamento speciale va ai miei compagni di corso Marianne, che più volte mi ha con-

sigliato durante la preparazione di questa tesi, e Massimo, con il quale ho condiviso gioie e dolori di questo progetto e che è stato di fondamentale aiuto nella definzione dello stesso, oltre che - e non è cosa da poco - per essersi prestato come fotografo durante le sessioni di lavoro in laboratorio di fotografia. Grazie all’associazione aiap, per la possibilità di consultare testi altrimenti difficilmente reperibili. Un ringraziamento particolare al prof. Francesco Guida, che ha messo a disposizione un’enorme quantità del suo tempo e i cui consigli hanno saputo guidarmi lungo la preparazione e la stesura della tesi negli ultimi mesi; la sua disponibilità nei confronti degli studenti è andata ben oltre il dovere di un docente e sicuramente il mio operato sarebbe stato meno completo senza il suo aiuto.

Infine una dedica: ai miei nonni Annibale e Patrizia, che purtroppo non hanno potuto vedere il raggiungimento di questo traguardo, ma che sarebbero stati felici e orgogliosi di vedermi arrivare a questo punto.

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