ANTONIO MONTANARI PLEBE BRIGANTI RIBELLI La Romagna nel 1796-97 e l'invasione di Napoleone Bonaparte. Un'opera inedita in versione integrale.
Cap. 1 L’invasione del 1796 1.1 Giugno ’96: «Si minaccia il Sacco generale» «Ognuno continui tranquillo nell’esercizio de’ proprj impieghi, e mestieri, come se non vi fossero truppe»: il cardinal Legato di Bologna Ippolito Vincenti rassicura con queste parole la popolazione, il 19 giugno 1796, appena conclusasi l’occupazione francese della città che era iniziata il giorno precedente. All’indomani Bonaparte lo scaccia. Il 21 maggio, una settimana dopo la presa di Milano, il Legato aveva ordinato alle genti del contado che le truppe nemiche fossero «per ogni maniera rispettate sotto rigorose pene». Bologna è ancora scossa dal martirio dello studente piemontese di teologia Giuseppe De Rolandis, accusato di attività sovversiva e condannato alla forca. La sua esecuzione, avvenuta il 23 aprile, è stata straziante. L’imperizia del boia lo ha obbligato ad una crudele agonia, mentre la folla si gettava contro il palco e sfondava i cordoni dei gendarmi: «È la prima rivolta di una plebe già “giacobina”, se non per ragionamento, quanto meno per sentimento» [EVANGELISTI, p. 39]. De Rolandis aveva distribuito dei volantini di critica al governo pontificio, ideati da Luigi Zamboni, figlio di due commercianti, trovato impiccato nella propria cella il 17 agosto ’95 mentre era in attesa di giudizio. Quando fu impiccato De Rolandis, ad una forca vicina era stato appeso il ritratto di Zamboni cadavere. Il 23 giugno a Firenze è stipulato l’armistizio tra Francia e Stato della Chiesa. Restano sotto la dominazione napoleonica le Legazioni di Bologna e Ferrara. Tra 24 e 28 giugno, le truppe repubblicane, violando la tregua, entrano a Faenza, Ravenna e Forlì senza incontrare la minima resistenza. Di soldati papalini, nemmeno l’ombra. L’invasione vuole costringere il Papa ad una sollecita firma del trattato di pace. Il 24 giugno la magistratura forlivese ordina di non «opporsi, né armati né disarmati al passaggio dei francesi», di non infastidirli e di non recar loro alcun disturbo, anzi di accoglierli con «affetto», sempre sotto la minaccia delle «pene più rigorose inflittive delle nostre leggi veglianti», compresa la condanna a morte. Qualcuno si ribella. Come responsabili della sommossa sono arrestati un capomastro muratore, un canepino e don Pietro Valenti, mansionario della cattedrale. La cattura di don Valenti è movimentata: al suo colpo di pistola, la Forza risponde con il fuoco. Il sacerdote fugge in mutande a Terra del Sole, nello Stato di Toscana, dove viene preso il giorno seguente. I tre di Forlì sono poi liberati a Bologna dai francesi che vogliono accaparrarsi «gli animi di queste popolazioni». A Ravenna, lo stesso 24, «si suscita un terribile tumulto». I contadini giunti per deporre le armi, sono «sollevati» dal bandito Alessandro Perugia che li istiga ad uccidere i pochi francesi presenti in città. A Savignano c’è un «falso allarme», scrive il cronista Nicola Giangi: si sparge la notizia che la cavalleria francese aveva cominciato ad inseguire i soldati del Papa: gli abitanti di quel borgo si mettono «a fuggire verso Rimini, e Carpegna», spaventando tanti altri che scappano «e per monti e in mare» [GIANGI]. L’allarme non doveva essere tanto falso se nello stesso giorno il cardinal Legato di Romagna, il milanese Antonio Dugnani, avvisa il governatore di Rimini avvocato Luigi Brosi, «d’esser imminente l’avvanzamento» di un corpo di truppe francesi, da accogliere «in adempimento delle sovrane intenzioni di Nostro Santità», provvedendolo cioè «di alloggi, di viveri, e di foraggi». Il Legato sollecita pure il governatore ad adoprarsi per «mantenere il buon ordine e la conservazione della pubblica tranquillità», rassicurando che «il contegno delle Truppe Francesi, che si sono innoltratte in questa Provincia è tale, che non si deve assolutamente costernare veruna Popolazione» [AP 496]. Contemporaneamente la Municipalità riminese chiede lumi al cardinal Dugnani su come comportarsi: l’invasione straniera ed il ritiro delle truppe pontificie dalla Romagna hanno «prodotto in tutti i Concittadini un sordo mormorio che indica l’universale timore, e costernazione, dimodocche si è fino