MOSH'ELEWIN.
MOSHE LEWIN La paralisi colpisce Lenin per la prima volta il 25 maggio 1922. Da allora ,sino al giorno della morte egli combatte "la sua ultima battaglia, rivolta contro la degenerazione burocratica dello Stato sovietico. Dall'affare georgiano al «testamento» all'alleanza con Trockij contro Stalin,. Lewindà la prima analisi di questa vicenda
L'ultima battaglia
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Moshe Lewin è nato nel 1921 a Vilna, nella Polonia nord-orientale. Dopo aver trascorso gli anni della seconda. guerra mondiale in URSS, ha soggiornato a lungo in Israele e soprattutto in Francia. Attualmente insegna alla Columbia Unìversity. Ha pubblicato un volume su La
paysannerie et le pouvoir soviétique
1928-1930 (Paris-La Haye 1966)
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Titolo dell'edizione originale Le dernier comba! de Lénine Les Éditions de Minuit, Paris 1967
Mashe Lcwin
Traduzione di Rosalba Davico
L'ULTIMA BATTAGLIA DI LENIN
Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli, Bari, via Dante 51 Finito di stampare nel marzo 1969 dalle Arti Grafiche Savarese - Bari
Laterza
BREVE GLOSSARIO DEI TERMINI
RUSSI
UTILIZZATI
OPERA
NELLA
PRESENTE
Per il cambiamento di senso che la traduzione francese avrebbe comportato, i seguenti termini russi sono stati citati integralmente dall'Autore stesso della presente opera; nella traduzione italiana, per lo stesso ordine di considerazioni, essi sono stati conservati. Administrirovanie:
metodo di direzione utilizzato dalle amministrazioni burocratizzate, fondato su misure coercitive
Dzer;imorda
(pl. Dzer;imordy): letteralmente, quello che vi tiene per la cavezza; soprannome dei poliziotti zaristi
Gensek
(abbreviazione per Generalny; sekretar): segretario generale
Gosplan
Commissione del' piano
Kombedy
(abbreviazione per Komitety bednoty): comitato dei poveri (nei villaggi, all'inizio della guerra civile)
Kulturnicestvo
promozione della cultura, nel senso pi첫 largo del termine
Nepman
beneficiario della NEP (Nuova politica economica), neoborghese
Nezavisimets
partigiano della Nezavisimost, dell'indipen4enza nazionale
Orgb;uro
Ufficio di organizzazione
Il
.L.
VI
Glossario
RKI
(sigla designante la Roboce-KrestjanskajaI nspektsija): Ispezione operaia e contadina, commissariato incaricato del controllo delle amministrazioni
Sovnarkom
(abbreviazione per Soviet narodnykh komissarov): Consiglio dei commissari del popolo
Cinovnik
(plurale: Cinovniki): funzionario, termine usato in senso peggiorativo
Cinovnicestvo
mentalità e prassi tipiche dei funzionari
Velikoderjavnik
partigiano di una politica di grande potenza, imperialista, sciovinista
Zakkrajkom
(abbreviazione per Zakavkazsky kraevoj komitet): Comitato del partito in Transcaucasia.
I
È il peggio che possa capitare al capo di un partito estremo, il venir costretto ad assumere il potere quando il movimento non è ancor maturo per il dominio della classe ch'esso rappresenta e per l'attuazione delle misure che la signoria di questa classe richiede. [...] Esso si trova così preso in un insolubile dilemma: quel che esso può fare contrasta con tutta la sua condotta precedente, coi suoi princìpi, e con gli immediati interessi del suo partito; e ciò che esso deve fare non è attuabile. [...] Chi capita in una tale disgraziata posizione è irrimediabilmente perduto. F. Engels, La guerra dei contadini
Sicuramente perduti dovrebbero essere considerati quei comunisti che immaginassero possibile portare a termine - senza errori, senza ritirate, senza ripetuti rifacimenti
di
lavori
incompiuti
o mal
realizzati
-
una
« impresa» di portata storica mondiale come la costruzione delle fondamenta dell'economia socialista (particolarmente in un paese di piccoli contadini). Non sono invece perduti (e con tutta probabilità non lo saranno mai) quei comunisti che non si lasciano andare né alle illusioni né allo scoraggiamento, conservando la forza e l'elasticità del proprio organismo per «ricominciare daccapo» nuovamente la marcia di avvicinamento verso un obiettivo difficilissimo. . Lenin, Note di un pubblicista, febbraio 1922
Premessa
Dopo la seconda guerra mondiale sono apparsi sulla scena politica internazionale un buon numero di regimi progressisti dittatoriali, il cui unico precedente era l'Unione Sovietica, oggi al suo 50° anniversario. Questi cinquant'anni di esperienze socialiste potrebbero essere senza dubbio di estremo profitto per gli Stati nuovi venuti, se questi intendessero acquisirne una conoscenza approfondita e meditare le vicende della prima dittatura proletaria: il fallimento dei collettivi agricolo-industriali realizzati in URSS nel 1929-30 ha prefigurato quello delle comuni popolari cinesi, e Nikita Chruscev è stato vittima della stessa megalomania quando ha voluto lanciare nel 1950 le «agrocittà ». Per quanto riguarda le particolarmente ricche lezioni economiche e sociali della NEP, sono stati, se si eccettuano alcuni sovietici, soprattutto specialisti anglosassoni a tirarIe, in un paese quindi dove esse non possono affatto essere messe a profitto. Ma molti altri periodi e avvenimenti della storia sovietica restano nascosti in un'ombra più o meno densa, appena illuminata qua e là dal contributo di alcuni studiosi.
l Premessa
4
È poco probabile che l'élite domi11antesovietica conosca la vera storia del proprio paese
- prescin-
dendo da ciò che ciascuno ha potuto apprendere
-
per esperienza personale, poiché per un singolare fenomeno i paesi marxisti fanno della loro storia un segreto di Stato. I dirigenti sembrano pensare che la conoscenza di un passato sovente tragico scoraggi coloro che debbono intraprendere la costruzione dell'avvenire; ora, l'ignoranza della storia ipoteca senza alcun dubbio ogni prospettiva in una forma assai più pesante di quanto possano esserlo la sua divulgazione e il suo studio. Finché la storia non potrà essere resa pubblica che attraverso una sanzione ufficiale, essa resterà oscura, poiché si tratta della disciplina scientifica che più rischia di essere gravemente viziata dai controlli statali. Lo studio che qui presentiamo, concernente Lenin ed il suo pensiero negli ultimi mesi di vita, non è certo del tutto nuovo; già molto si è potuto apprendere a tale riguardo grazie alle rivelazioni di Trockij negli anni venti, e più tardi grazie agli sviluppi dell'affare del «testamento» di Lenin provocati dal xx Congresso del pcus. Ma alcune recenti pubblicazioni sovietiche mi hanno permesso di riprendere l'argomento e di tentare una ricostruzione al tempo stesso più fedele e più dettagliata dei rapporti che stavano nascendo nelle più alte sfere del potere al momento della malattia di Lenin. Contemporaneamente ci auguriamo di far progredire di qualche passo l'analisi del « testamento» di Lenin, cioè del suo pensiero politico nell'ultimo periodo di vita, e di proporre in qualche caso una nuova interpretazione. Tra i documenti che abbiamo utilizzato è necessario citare innanzi tutto: l'ultima edizione apparsa delle Opere di Lenin (V edizione), più completa delle precedenti e dotata di un importante apparato :1
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5
Premessa
esplicativo, e il Diario dei segretari di Lenin (note di servizio prese tra il 21 novembre 1922 e il 6 marzo 1923), pubblicato per la prima volta nel 1963 da una rivista storica sovietica e tradotto in francese nei «Cahiers du monde russe et soviétique» l. Tali note sono tanto importanti per il contenuto quanto singolari per la forma. Si presentano sotto forma di un quaderno a quattro colonne: data, nome del segretario in servizio, incarichi ricevuti, note sulla loro esecuzione; in quest'ultima colonna si trovano anche note critiche riguardanti gli avvenimenti vermcatisi nel corso della giornata di lavoro nell'Ufficio del presidente l «Voprosy Istorii», 1963, n. 2. Il Diario è anche riportato nella V edizione delle Opere (Socineni;a,voi. XLV, pp. 455-486); la traduzione francese è nei «Cahiers du monde russe et soviétique », n. VII-2, aprile-giugno 1967. I passi citati delle Socineniia corrispondono sempre alla V edizione. [Il Diario è stato pubblicato per la prima volta in Italia in «Rinascita », 4 ottobre 1968 (ora è in Lenin, Opere, voi. XLII, Roma 1968, pp. 451-481). Sia la traduzione italiana delle Socineniia (cfr. Lenin, Opere, 35 volI., Roma, Editori Riuniti, Roma 1965), sono state condotte in base alla IV parsa, dove - tolto il testo di quelle «note» facenti parte della Lettera al Congressodefinita il testamentopolitico di Lenin
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per il periodo 1917-1923 si raccolgono in un unico
volume le traduzioni di testi già comparsi sotto titoli diversi (cfr. L'Internazionalecomunista,la Teoria della questione agraria, Stato e Rivoluzione, La costruzione del socialismo, La Rivoluzione di ottobre, ecc. in Lenin, Opere scelte, Editori Riuniti, Roma 1965), sono state condotte in base alla IV (Mosca 1941-50) e non in base alla V edizione russa. Perciò nel presente volume per le citazioni di Lenin abbiamo lasciato il riferimento
-
di Lenin
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al testo russo della V edizione;
ci siamo attenuti alla traduzione degli Editori Riuniti per le citazioni comparse immutate nel testo della IV come della V edizione. Non avendo tuttavia i voll. XLV-UV della V edizione ancora avuto una edizione italiana, alcune citazioni tratte da questi ultimi sono state direttamente tradotte dal francese.]
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Premessa
del Sovnarkom, il Consiglio dei commissari del popolo. Le sue azioni, i gesti, gli incontri, la corrispondenza, i propositi, vi sono riportati talora giorno per giorno, fatto questo che ci illumina sui metodi di lavoro di Lenin ma non porta inizialmente a rivelazioni di grande importanza. Non tardiamo tuttavia a notare che Lenin lavora a ritmo più lento, che non viene regolarmente al suo ufficio, ma preferisce sovente far venire un segretario e dettare senza lasciare il suo appartamento privato: Lenin è già minato dalla malattia, i suoi medici lo obbligano a rallentare il ritmo del lavoro, a prendersi frequentemente un po' di riposo in campagna, a disertare alcune riunioni di lavoro del Consiglio dei commissari o dell'Ufficio politico. Il 13 dicembre 1922, giorno successivo ad un importante incontro con Dzerzinskij, Lenin ha due gravi attacchi e deve infine sottostare agli ordini perentori dei medici, cessare il lavoro e mettersi a letto. A partire da questo momento il diario comincia a diventare di interesse estremo. Quando Lenin fa venire nella sua stanza i segretari per affidar loro un incarico o per un dettato, questi l'osservano con grande attenzione, tesi alle sue parole ed ai suoi minimi movimenti, che riportano poi nel Diario sotto forma di brevi annotazioni. Lenin è a letto, si trova in una piccola stanza del suo appartamento del Cremlino, la mano e la gamba destre paralizzate, quasi completamente isolato dal mondo esterno e, in apparenza, lontano da ogni attività di governo. Gli ordini dei medici su questo punto sono severi, e sono appoggiati da proibizioni ufficiali dell'Ufficio politico. Ma le note del Diario, per quanto laconiche, sono sufficienti a mostrarci la battaglia intensa e drammatica che Lenin, paralizzato ed indubbiamente
Premessa
7
cosciente dellà sua prossima fine, conduce non solo contro il proprio cedimento fisico ma anche contro l'apparato direttivo del suo partito. Con fatica egli traccia un quadro d'insieme della situazione del paese, elabora un programma di azione e si sforza d'imporlo ai suoi colleghi dell'Ufficio politico e del Comitato centrale. Tale programma, non richiestogli dai membri dell'Ufficio, comporta cambiamenti importanti concernenti i metodi di governo, le persone e, in parte, gli obiettivi. La maggioranza dell'Ufficio è reticente. Col solo aiuto
di alcune
donne
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sua moglie
Krupskaja, sua sorella Marija Ilinicna, tre o quattro segretarie, in modo particolare la Fotieva e la Volodiceva - Lenin combatterà ostinatamente per ottenere i dossiers di cui ha bisogno. Interpella direttamente i responsabili, propone loro delle linee d'azione; cerca alleati, s'informa delle idee dell'uno o dell'altro dirigente, in forma indiretta se necessario; prepara un enorme rapporto per il successivo congresso del partito e pubblica articoli, dal momento che per una parte delle sue attività è riuscito ad ottenere, sia dai medici che dallo stesso Ufficio politico, le autorizzazioni necessarie. Ma ha le sue buone ragioni per condurre clandestinamente un'altra parte della sua azione. Con l'aiuto dei suoi intimi questo grande malato, inquieto delle sorti della sua opera, trama infatti un vero e proprio complotto. Il cuore della «cospirazione» - l'espressione è di Lenin stesso - è costituito da una commissione privata che egli ha segretamente messo insieme al fine di svolgere un'inchiesta sugli avvenimenti verificatisi in Georgia, avvenimenti nei quali sono stati implicati importanti personaggi del partito. Le circostanze di questo affare, che il Diario permette di ricostruire dettagliatamente, rivelano '
8
Premessa
o confermano quali 'fossero le relazioni personali e politiche dei tre capi più importanti: Lenin, Trockij, Stalin. Le stesse note ci permettono di valutare la dimensione dello sforzo fisico e intellettuale compiuto da un uomo cosi gravemente debilitato, ci fanno sentire la sua presenza e l'intensità delle sue emozioni, la forza della sua personalità e il fascino
delle sue risate.
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Ma il livello dell'aneddoto è qui largamente sorpassato. Gli storici parlano volentieri di una «crisi intellettuale» che Lenin avrebbe attraversato in questi giorni, di un «colpo di Stato» che egli avrebbe preparato, di una rivolta contro gli sbocchi cui la sua propria opera era pervenuta, della tragedia infine di un grande rivoluzionario che crede di vedersi svanire sotto gli occhi il suo ideale di liberazione e di emancipazione delle masse, e che ha l'impressione di perdere ogni presa sugli avvenimenti in seguito alla sciagurata coincidenza d'un infortunio della sua esistenza fisica con implacabili realtà politiche. Riprendendo l'analisi dei fatti, passeremo ad esaminare tali affermazioni. Bisogna aggiungere che la situazione nella quale si trova il regime sovietico al momento della malattia di Lenin, nonché i problemi cui quest'ultimo deve far fronte negli ultimi mesi di vita, sono oggi di grande attualità. Affrontandoli, ci renderemo conto che la nostra ricerca ha ben altra portata che quella di un contributo biografico. Lenin vuoI fornire al regime, alla cui nascita egli ha contribuito, un quadro socio-economico adeguato, e mettere in piedi i metodi di gestione adatti insieme a questo quadro ed ai fini ultimi della rivoluzione: tutto ciò sarà la NEP, la Nuova politica economica. Egli cerca di imprimere alla macchina della dittatura un certo stile, di darle una forza, una efficienza nuove. Il
Premessa
suo comportamento pone il problema dei doveri e delle responsabilità incombenti sui dirigenti di una dittatura che si vuole socialista. Queste tre questioni-chiave si trovano sempre aperte nella fase iniziale di un regime vicino all'archetipo sovietico, ed ogni volta che una dittatura si assegna come proprio compito lo sviluppo di un paese economicamente arretrato. La prima questione, cosi come si pone a Lenin, è quella di un equilibrio difficile a stabilirsi tra le forze economiche spontanee necessarie al «decollo », e precisamente la massa contadina delle aziende agricole private, gli artigiani, gli uomini d'affari e, al tempo stesso, il settore di Stato centralizzato e più o meno pianificato che deve assicurare all'insieme dell'economia una direzione generale voluta. C'è già sotto la NEP il dilemma del « mercato» e del «piano ». Malgrado la scomparsa dell'impresa contadina priva,ta e delle classi medie di tipo capitalistico, tale dilemma è ancora oggi in primo piano nelle preoccupazioni dei dirigenti sovietici, i quali si rendono conto che le due nozioni non si escludono affatto tra loro ma piuttosto si completano, purché si sia capaci di armonizzarle in sede di azione pratica. La seconda questione, quella del funzionamento dello stato dittatoriale, ci intratterrà più a lungo. All'inizio la dittatura si organizza per portare a termine il suo compito di sviluppo economico del paese e istituire una più larga giustizia sociale, principi in nome dei quali la rivoluzione è stata fatta. Ma lo Stato dittatoriale ha tendenza a cristallizzarsi in un organismo dotato di leggi ed interessi propri, rischia di subire distorsioni assolutamente discordanti con i suoi scopi di partenza e di sfuggire al controllo di coloro che l'hanno costituito, e infine di deludere, per lungo tempo almeno, le 2. Lewin
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Premessa
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speranze delle masse. Lo strumento si trasforma allora in un fine a se stesso.Un sistema coercitivo stabilito per promuovere la libertà può, piuttosto che assicurarealle forze sociali esterne all'apparato statale una partecipazione al potere sempre più larga, trasformarsi invece in un meccanismo oppressivo. Qualsiasi Stato che cerchi di portare a termine compiti difficili e spessocomportanti disagi per le masse, finisce inevitabilmente per costituire uno strato privilegiato di quadri godenti di un certo prestigio, di vantaggi materiali e politici. Questi privilegi, se non sonocontrollati e mantenuti in limiti rigorosi, funzionali alle realtà sociali ed economiche, divengono spesso dannosi e bloccano lo sviluppo. Ora, privilegi e poteri rischiano di corrompere gli uomini. I dirigenti e gli amministratori dello Stato uscito da una rivoluzione, anche se appartengono all' élite spesso coraggiosa, idealista ed austera che ha fatto questa rivoluzione, sono tentati di attaccarsi più ai privilegi che alle funzioni che li giustificano, soprattutto se si trovano perduti in una massa di funzionari nuovi che non hanno né il livello né il valore dei fondatori. Quali sono i mezzi per preservare l'integrità ed evitare tale degradazione? La risposta non è facile. Tutto quanto può dirsi è che la fermezza morale e la coscienza politica dell' élite, così come alcune garanzie istituzionali, sono fattori decisivi. In tali condizioni è tanto più fruttuoso meditare l'ammonimento di Lenin che raccomanda ai comunisti di conservare «forza e capacità di adattamento», di mantenersi pronti a «ripartire da zero »; si tratta, insomma di non perdere lo spirito critico e di sapersi battere per rifare, occorrendo, interamente o almeno in gran parte ciò che è stato tentato.
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Premessa
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Non intendiamo tornare, nel corso dell'opera, su questi motivi di attualità. Ci basta averli qui indicati, giacché il nostro proposito è semplicemente di fornire tutti gli elementi necessari per avviare la riflessione su questi problemi.
Capitolo primo UNA DITTATURA NEL VUOTO
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La rivoluzione d'ottobre non aveva agli occhi dei suoi promotori né senso né avvenire indipendentemente dalla sua funzione internazionale di catalizzatore e detonatore: questa prima scintilla doveva permettere l'instaurazione di regimi socialisti in paesi disponenti, differentemente dalla Russia, di una infrastruttura economica e di una base culturale adeguate. Senza l'assolvimento di una tale funzione il potere sovietico non avrebbe neppure dovuto sopravvivere: Lenin lo aveva sovente affermato, e mantenne questa concezione anche dopo che molti anni trascorsero senza portare conferma alcuna a tali speranze. Nel giugno 1921 egli dichiarava che la Repubblica socialista può mantenersi in condizioni aggiunge di accerchiamento capitalistico, ma «non molto a lungo certamente ». Nel febbraio 1922 rimane egualmente categorico: «...noi abbiamo sempre professato e ripetuto quella verità elementare del marxismo secondo cui la vittoria del socialismo richiede gli sforzi congiunti degli operai di più paesi avanzati» 1.
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I Soc;, voI. XLIV, pp. 9 e 418. [Cfr. Opere, voI. XXXIII, p. 185. Si tratta dell'articolo Note di un pubblicista scritto
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II/la
Capitolo primo
La Russia, entrata sola nella via della rivoluzione, si trovò sin dall'inizio abbastanza isolata, ma due elementi impedivano la presa di coscienza di tale situazione: da una parte le concezioni internazionaliste dei dirigenti, dall'altra il persistere per un certo periodo dell'agitazione sociale in Europa. Neppure nel corso della guerra civile, quando per sopravvivere la Russia doveva fronteggiare una sorta d'Internazionale capitalistica, i capi sovietici avevano sentito la solitudine del loro paese. Fu soltanto alla fine di tale guerra che le illusioni dei meno ideologi e dei meno internazionalisti tra loro cominciarono a dissiparsi, e alla fine dovettero arrendersi all'evidenza. Lenin nel suo ultimo discorso pubblico dichiara: «Da soli - ci siamo detti -. Da soli - ci dicono quasi tutti gli Stati capitalistici con i quali abbiaqlO concluso affari di qualunque genere, con i quali abbiamo intavolato trattative di qualunque genere. Proprio qui troviamo una particolare difficoltà. Bisogna che ce ne rendiamo conto» 2. Ma il fatto di questa solitudine, dalle conseguenze sul lungo periodo incalcolabili, doveva anche condurre alla constatazione di alcuni contraccolpi imprevisti che ne derivavano e alla revisione di alcuni princìpi. Metodo di governo della prima rivoluzione vittoriosa, la dittatura del proletariato avrebbe dovuto, secondo la più corrente interpretazione della teoria marxista, costituirsi in un paese a popolazione eminentemente operaia, la dittatura della classe operaia non esercitandosi in tal caso che su una minel febbraio 1922 e pubblicato sulla «Pravda », n. 87, 16 aprile 1924.] 2 Soc., voI. XLV, p. 304. [Cfr. Opere, voI. XXXIII, p. 403, Discorso alla seduta plenaria del Soviet di Mosca, 20 novembre 1922.]
dittatura nel vuoto
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110J'[1nza numericamente trascurabile. Niente di tutto qucsto era realizzabile in Russia, ma in realtà i holscev.ichi erano meno imbarazzati dei menscevichi di doverlo constatare, giacché accettavano un'interpretazione di Marx che ammetteva per la Germania IIrretrata intorno al 1850 un possibile successo del ~ocialismo sulle basi di «una rivoluzione proletaria IllIncheggiata da una guerra contadina ». Vi erano IIltrettanto minori ragioni di inquietudine circa la ~ituazione sociale russa quanto più la rivoluzione proprio in queste condizioni più facile a scatenllrsi - si sarebbe ben presto estesa ad altri paesi ed avrebbe ceduto il ruolo di avanguardia a partiti fmtelli più degni di assumerne la direzione. Ma se la seconda proposizione si rivelava falsa, per conseguenza la prima appariva a sua volta sotto una luce nuova. Incontestabilmente gli operai hanno Riuocato un ruolo di primo piano nella presa del potere ad opera dei bolscevichi. Nel corso della Ruerra civile essi continuano a fornire all'armata cd all'amministrazione sovietiche i quadri più sicuri. Ma questa guerra massacrante e devastatrice ha causato un arresto della produzione in numerose fabbriche, o persino la loro distruzione, ha imposto agli operai, ovunque combattenti di avanguardia, un pesante tributo di morti, ha provocato inoltre la loro dispersione nelle campagne alla ricerca dei mezzi di vita. Nello stesso tempo gli elementi più impegnati e più dotati sono mobilitati nei servizi governativi locali e centrali. L'attività di governo dissolve i ranghi della classe operaia, specialmente nei settori dove s'era reclutata la sua avanguardia: metallurgici, ferrovieri e minatori. L'utilizzazione degli operai nell'apparato amministrativo è forse stato il peso più schiacciante per il proletariato russo, la cui consistenza numerica era rappresentata da non più di tre milioni di operai industriali. _
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Capitolo primo
Lenin stesso constata che: «Le forze del proletariato sono state stremate soprattutto dalla creazione dell'apparato» 3 ed aggiunge che il proletariato è declassato, cioè deviato dal cammino proprio della sua classe. Sia che gli operai fossero stati uccisi nella lotta, integrati nell'apparato amministrativo o demoralizzati dalla carestia e dal mercato nero praticato per sopravvivere 4, il risultato era in tutti i casi tragico. La rivoluzione, che si era presentata come la presa del potere da parte della classe operaia e che in larga misura effettivamente lo era stata, trova al termine della guerra civile uno sbocco differente, avendo nella propria realizzazione distrutto i suoi stessi iniziatori. Due anni dopo l'Ottobre i soviet avevano perduto l'esercizio diretto del potere. Nel marzo 1919 Lenin constaterà con profondo rammarico - ma anche con la più grande franchezza - che a causa del livello deplorevole dell'istruzione e dell'educazione delle masse «i soviet, inizialmente organi di governo nelle mani dei lavoratori, non sono di fatto che degli organi di governo nelle mani dello strato più avanzato del proletariato, ma non certo nelle mani delle masse operaie» 5. Dal momento in cui si riconosceva l'indebolimento del proletariato, la dittatura perdeva fatalmente uno dopo l'altro i caratteri che le si erano 3 Soc., voI. XLIV, p. 106. 4 Ibià., pp. 103 e 106; voI. XLIII, p. 310. 5 Soc., voI. XXXVIII, p. 170. [All'VIII Congresso del PCR (b), dopo aver sottolineato come «questa arretratezza culturale freni il potere sovietico e faccia rivivere la burocrazia », Lenin aggiunge: «A parole l'apparato sovietico è alla portata di tutti i lavoratori, in realtà, come nessuno l'ignora, è lontano dall'essere alla portata di tutti ». Cfr. il Rapporto sul programmadel partito, 19 marzo 1919, pubblicatosulla « Pravda », marzo-aprile 1919, in Opere,voI. XXIX, p. 159.]
Una dittatura
nel vuoto
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attribuiti. Il potere rivoluzionario non è più considerato fondato sulla totalità della classe operaia, e neppure su una larga minoranza di quest'ultima. In realtà la dittatura non può contare, nell'esercizio del potere, che su «un esile strato di operai avanzati », e su questa troppo esile base essa non reggerebbe a lungo; il partito, in cui gli operai non sono che una importante minoranza, si sostituisce allora al proletariato, rappresentando allo stesso tempo braccio e spada del potere rivoluzionario. «La borghesia dirà Lenin - ritiene giusta-
-
mente che le forze reali della classe operaia siano oggi costituite dalla potente avanguardia di questa classe: il Partito comunista russo...» 6 Altrove egli scriverà ancora che il partito è la radice più solida della dittatura, il che costituisce un fenomeno aberrante alla luce della teoria marxista. Ben organizzate,guidate ed inquadrate, le cellule e le branche locali fornivano dei capi ed al tempo stessodegli esecutori per le lotte condotte su tutti i fronti, per ogni compito amministrativo ed economico. Uno storico americano difficilmente sospettabile di simpatie comuniste scrive: I «bianchi» dovevano combattere un nemico che aveva certamente da affrontare defezioni, casi di corruzione e disobbedienza, ma che nel partito comunista disponeva ancora in tutto quanto il paese di una massa di uomini esperti e disciplinati. 7
Non significa ciò rendere omaggio al potente strumento che Lenin aveva forgiato, e che stava 6 Soc., voI. XXXIX, p. 412; voI. XLIV, p. 107. [Cfr. articolo comparso sulla «Pravda» il 28 agosto 1921, ora in La costruzione del socialismo, Roma 1956, p. 335.] 7 Cfr. Donald Treatgold, Twentieth Century Russia, Chicago, Rand McNally & C. 1959, p. 181.
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Capitolo primo
assumendo forse ora un'importanza da Lenin stesso non prevista? Il partito deteneva il potere reale e ne reggeva il carico. Sin dai primi mesi della rivoluzione, e prima ancora dei vuoti provocati dalla guerra civile, era infatti apparso chiaramente che la classe operaia da sola non era in grado di governare, e nemmeno di gestire le fabbriche in cui lavorava. I comitati d'impresa, i consigli operai, il controllo operaio, creazioni spontanee ed autentiche sorte dallo slancio rivoluzionario immediatamente successivo alla presa del potere e dovute ad una spinta libertaria d'ispirazione anarco-sindacalista, si trovavano pienamente legittimati da Stato e rivoluzione di Lenin, ma non condussero che al disordine e ad un'inefficienza suscettibile di paralizzare l'apparato produttivo del paese. Fu necessario sbarrare la strada a tale orientamento e sceglierne uno nuovo; molti avrebbero visto in questo un tradimento degli ideali socialisti, ma Lenin al contrario doveva rigorosamente tenersi alle sue esigenze: esigenze di disciplina, assicurate dal regno dei direttori (edit1onatchalie) e il predominio delle amministrazioni. Prima dell'ecatombe operaia provocata dalla guerra civile, la breccia che si è aperta nella teoria e nella prassi della dittatura del proletariato è già larga. Ma altre ancora avrebbero seguito. Abbiamo visto, in una delle citazioni che precedono, come Lenin scrivesse tra virgolette l'espressione «le forze della classe operaia». L'avanguardia partigiana non aveva più dietro di sé il grosso delle sue truppe: la sua base sociale era ormai tra virgolette. I teorici più lucidi del partito si rendevano certamente conto di essere in certo qual modo sospesi nel vuoto, ma era ancora un'illusione da ideologi. Il vuoto sociale in questione sarebbe stato ben presto colmato da forze diverse da quelle pre-
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Una dittatura nel vuoto
viste inizialmente. Benché l'industria fosse ancora debole, le amministrazioni industriali cominciarono ad affermarsi, ma a loro fianco nei servizi locali e centrali si incontra una massa enorme di funzionari i quali non sono altro, secondo Lenin, che antichi burocrati zaristi, e che finiscono per occupare un posto sempre più importante nella vita politica. Il regime non poteva certo fare a meno di tale macchina governativa,
ma
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sempre secondo
l'opinione di Lenin - essa non è sovietica, essa è una vergognosa anomalia. Questi funzionari zaristi, il cui appellativo russo di cinovniki ne indica abbastanza bene il carattere, avevano in un primo tempo boicottato il nuovo regime, ma si erano lasciati convincere in seguito. «Essi tornarono di nuovo, e fu là la nostra disgrazia.» 8 Non sappiamo che cosa sarebbe avvenuto se essi non fossero tornati, sappiamo piuttosto ciò che in effetti avveniva: Abbiamo nelle sfere più alte del potere non si sa esattamente quanti, ma almeno qualche migliaio, al massimo qualche decina di migliaia, dei nostri. Tuttavia, alla base della gerarchia. centinaia di migliaia di ex funzionari che abbiamo ereditato dallo zar e dalla società borghese, lavorano, in parte coscientemente in parte incoscientemente, contro di noi. 9
Di fronte a questa struttura appena scalfita dall'influenza sovietica, Lenin resta perplesso e disarmato. Né d'altra parte la sua analisi è del tutto esatta, tale ingranaggio essendo diventato - malgrado i funzionari
in questione
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un reale sostegno
sociale del potere: bene o male porta ad esecu8 Soc., vol. XLV, p. 290. 9 Ibid.
20 Capitolo primo
~ion~ i compiti assegnatigli da quest'ultimo e gli cl,m grado tutto legato, se non altro per il fatto essele costituito almeno in parte - ed in una p~oPolzione più importante di quanto giudichi Let~m -_ da elementi fedeli al nuovo regime. Ascol~amo a questo riguardo un'altra testimonianza qualifi cata, quella di Trockij: . L~ smobilitazione di un esercito rosso di cinque mihom '{oveva avere nella formazione della burocrazia !-1nru.<>J.o considerevole. I comandanti vittoriosi presero 1 IUOStlpiù importanti nei soviet locali, nella produzione, ~e e .s~uole e fu per portare dovunque, ostinatamente, 1~~fg1~e che aveva loro consentito di vincere la guerra CIVIe. Le masse furono dappertutto eliminate, a poco a poco, dalla partecipazione effettiva al potere. IO
di ~l PSsto occupato da questi combattenti divenuti tIgen~i è stato molto più importante di quanto lasc1reSbero supporre le cifre avanzate da Lenin qua ~O~tacome qualche decina di migliaia di comUfllstl al sommo della gerarchia amministrativa, dal m0luento che essi si sono inseriti a fianco della mas~~ (lei cinovniki in tutti i vari livelli burocratICI. In effetti Lenin è profondamente inquieto e s~ont<ento delle forme di esercizio del potere e ~ell es~c;uzione dei compiti ordinari da parte delammtnhtrazione nel suo complesso, comunque fosse composf'a. Egli critica in continuazione è il solo a. ~oter lO fare impunemente gli eroi della guerra dl,:tle cl\e si mostrano incapaci di essere all'altezza el cOlI\piti del tempo di pace. Persino a Mosca, dovd .SOf:10concentrati qualche centinaio dei migliori qua tI C\omunisti, egli scopre e fustiga la routine e
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1956 Cfr. )1. Trockij, La rivoluzione tradita, Milano, Schwarz , p. '97.
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l'incuria 11.I comunisti si lasciano soffocare da una mRssa estranea, né sono loro a decidere effettivamente dell'andamento degli affari di governo: Che cosa manca allora? È chiaro: manca la cultura (l'R i comunisti che hanno funzioni dirigenti. Prendiamo Mosca - in cui vi sono 4 700 comunisti responsabili (' prendiamo questa macchina burocratica, questa massa. Chi guida e chi è guidato? Dubito molto che si possa dire che sono i comunisti a guidare questa massa. A dire il vero non sono essi che guidano, ma sono guidati 12.
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Nel loro insieme i fenomeni che abbiamo appena Jescritto esercitano una influenza profonda sui meccanismi del potere: praticamente il partito lo esercita ormai da solo, sottraendosi al controllo egemone di una forza sociale qualsiasi. Mentre si indebolisce la classe operaia, il partito si rafforza. Tra i suoi membri si trovano certamente degli operai, ma . anche un numero considerevole di contadini e soprattutto di intellettuali, di funzionari provenienti talora da differenti orientamenti politici. I legami con l'ideologia dei fondatori si allentano, e possono essere del tutto assenti qualora si tratti di volgari arrivisti attirati dai privilegi di un partito al potere. Nel giro di qualche anno il livello politico e culturale del partito, nel suo insieme, ha dovuto considerevolmente abbassarsi: l'immensa maggioranza dei membri del partito «...è oggi meno educata politicamente, in generale e nella media [...] di quanto non sarebbe necessario per una direzione 11Cfr. O prodnaloge, in Soc., voI.
XLIII, p. 234.
12Soc., voI. XLV, p. 95. [Cfr. Rapporto politico del Comitato centrale presentato all'XI Congresso del Partito comunista russo il 27 marzo 1922, in Opere, voI. XXXIII, p. 261.]
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mente quello della formazione culturale dei membri del partito, fossero essi operai o provenissero da altre classi sociali. La dittatura del proletariato, che la pressione delle circostanze aveva trasformato in dittatura di una minoranza socialmente composita, diventa ben presto una dittatura del solo partito. Ma, a tale stadio, il processo di restringimento del gruppo dirigente non è ancora finito. Nel marzo 1922, in una lettera ai membri del Comitato centrale, Lenin deve arrendersi ad una nuova evidenza: «Se non si vuole chiudere gli occhi dinanzi alla realtà, bisogna riconoscere che atrualmente la politica proletaria del partito è determinata non dalla sua composizione, ma dall'autorità immensa ed intatta di quel ridottissimo strato che si può definire la vecchia guardia del partito» 15. Il processo non è ruttavia ancora concluso. Continua a giuocare la singolare dinamica che spinge verso una concentrazione di potere sempre maggiore in un numero di mani sempre più ristretto. Si direbbe che una fatalità pesi sul regime sovietico; ma è più esatto vedere l'origine di questa evoluzione in un insieme di circostanze particolarmente sfavorevoli. La guerra civile ebbe sul regime un'influenza più decisiva e più durevole di quanto in generale si potesse supporre. Appena installato ed ancora così poco solido nella sua organizzazione e nei suoi metodi, esso si è visto imporre un terribile sforzo, ha dovuto concentrare rutte le sue forze su un unico scopo: vincere per sopravvivere. Vogliamo sottolineare il seguente punto: all'epoca di cui ci occupiamo il regime usciva dalla guerra civile, ed era stato modellato da essa almeno tanto quanto dalle dottrine del partito o dalla dottrina
effettivamente proletaria in un momento tanto difficile, soprattutto data l'enorme predominanza dei contadini, che si stanno risvegliando rapidamente ad una politica di classe indipendente» 13. A dire il vero, anche se vi fosse una maggioranza di operai nel partito, questo non cambierebbe nulla: essi sarebbero ugualmente incapaci di porre un freno alla sua degenerazione piccolo-borghese. Di questo Lenin si rende conto 14, ed è proprio la possibilità di restare soffocati nella massa piccoloborghese, così rilevante in Russia, a fondare le sue ipotesi più pessimiste. Egli è invece assai meno cosciente di un diverso pericolo profilantesi all'orizzonte in tutt'altra direzione: il partito, dovendo regnare sugli operai tagliati fuori dalla sua organizzazione, è portato ad assumere lo stesso atteggiamento verso quegli operai che hanno raggiunto i suoi ranghi e questa dominazione si eserciterà a maggior ragione sui membri di altre classi sociali che hanno potuto essere ammessi. La maggioranza degli operai, anche quelli della grande industria i
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quali
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teoricamente
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essere
le più solide colonne del potere, sono troppo incolti per poter partecipare effettivamente alla elaborazione della linea politica e all'esercizio delle funzioni governative; dicendo questo noi intendiamo parlare degli operai in quanto gruppo, poiché individualmente essi pervenivano ai posti più alti nel partito il quale, restato in questo campo fedele alla dottrina, attingeva i suoi quadri all'interno della classe operaia, talora sino all'esaurimento della fonte. Era la stessa élite interna che sola poteva assumere il compito della direzione politica e contemporanea13Soc., voI. XLV, p. 19. [Cfr. Lenin a Molotov, 26 marzo 1922, lettera diretta al cc, Opere, voI. XXXIII, p. 232.] 14Ibid., pp. 18-19.
15Ibid., p. 20. [Cfr. lettera cit., ivi, p. 233.]
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sul partito, in cui molti storici vedono il «peccato originale» di Lenin. Di fronte alle armate «bianche », numerose, ben equipaggiate e sostenute da molti paesi occidentali, un centralismo ed un assolutismo rigorosi s'imponevano imperiosamente. Tuttavia, nel corso di questo periodo, la discussione all'interno del partito non si è mai interrotta; essa era soltanto limitata dalla solidarietà contro il nemico. L'interdizione delle frazioni e l'illegalità di ogni dibattito toccante troppo da vicino il fondo delle questioni non intervennero che dopo la guerra. Il carattere costantemente allarmante della situazione e il perdurare dello stato di emergenza esigevano una mobilitazione costante dei quadri, il loro trasferimento da un fronte all'altro o da una funzione militare ad una economica, e viceversa. Nessuna prassi democratica avrebbe permesso queste soluzioni; soltanto la prassi le autoritaria - ordini, nomine, trasferimenti rendevano possibili. Questi metodi, in nulla previsti dalla teoria o dagli statuti ma praticati nel corso di tre anni, sono diventati una realtà della vita del partito. Nominare dall'alto il segretario di una organizzazione del partito è diventata cosa naturale; le organizzazioni locali che mancavano di personale s'indirizzavano talora spontaneamente alla gerarchia chiedendo di inviare loro dei capi; tutte le funzioni importanti nella vita nazionale e estranee all'apparato del partito venivano del resto già <:0perte con nomine. Con il ritorno della pace queste abitudini non cessarono, e continuò a funzionare uno speciale ufficio del Comitato centrale (ucraspred), che ripartiva i quadri secondo i bisogni. La procedura era efficace ma doveva suscitare numerose proteste, poiché diveniva in tal modo facile per il segretario del Comitato centrale trasferire tale o tal altra personalità politicamente ingom-
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brante, opposta ad una certa linea o ad uno dei capi, da un posto all'altro, o meno importante o più lontano. Le proteste, che con il lancio della NEP si levarono contro questo modo di procedere giudicato antidemocratico e contrario al principio elettivo consacrato dagli statuti del partito, erano, poco efficaci. Per mettere fine a questa politica che, all'interno del partito, dava un formidabile potere all'Orgbjuro, l'ufficio di organizzazione, bisognava procedere ad una ristrutturazione radicale del sistema di direzione, ad una modificazione quasi rivoluzionaria 16. Ora, l'introduzione della NEP in piena crisi dei vettovagliamenti, con la rivolta di Kronstadt e lo spettro di una sollevazione contadina generalizzata, non era ancora il momento propizio all'allentamento dei controlli. Verso il marzo-aprile 1921 la situazione pareva ancora più grave di prima; e Lenin, preoccupato di evitare la paralisi del partito, sola forza di cui disponeva, proibl le frazioni e riservò al Comitato centrale il diritto di escludere dal partito i suoi membri accusati di frazionismo. Movimento di impazienza di fronte al premere degli eventi, decisione provvisoria 17 oppure frutto di un errore di calcolo e d'un difetto di previsione: in ogni caso questa misura andava ad incidere pesantemente sull'avvenire del partito e del paese. Essa avrebbe rafforzato ancora di più l'Ufficio politico, il suo segretario e il suo Orgbjuro. La posizione del Co16Cfr. Carr, Il socialismo in un solo paese. I, La politica interna 1924-1926, Einaudi, Torino 1968, cap. XIX, in modo particolare pp. 691-700. 17Cfr. Carr, La morte di Lenin. L'interregno 1923-24, Torino 1965. Trockij, La rivoluzione tradita cit., p. 102: «La proibizione delle frazioni, ripetiamolo, era concepita come una misura eccezionale, destinata a cadere in desuetudine sin dal primo miglioramento della situazione ».
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mitato centrale stesso si trovò indebolita. Tutti gli affari pubblici mostravano sempre più la tendenza a passare attraverso l'Ufficio politico: gli alti funzionari, persino i commissari del popolo, presentavano davanti all'istanza suprema tutti i problemi su cui non si sentivano di decidere con propria responsabilità, e Lenin denuncerà il fenomeno con amarezza davanti all'XI Congresso del partito. Questa situazione rimane almeno in parte celata dalla presenza di Lenin al Sovnarkom - finché egli può continuare l'attività, - mentre l'Ufficio politico si dedica piuttosto all'elaborazione delle grandi linee della politica nazionale ed alla risoluzione dei problemi di fondo. Tuttavia Lenin stesso vi discuteva molti problemi correnti che avrebbero dovuto dipendere dall'attività del Sovnarkom e, quando cade gravemente ammalato, l'Ufficio politico diventa l'istituzione-chiave del paese, Il segretariato che dirige il lavoro amministrativo ed esecutivo per conto dell'Ufficio e del Comitato centrale resta in apparenza un ingranaggio secondario, ma, tenuto conto delle nuove abitudini comparse nel partito, si può constatare quale formidabile potere poteva derivarne al suo capo. Nell'aprile 1922 Stalin è nominato segretario generale - gensek, nel linguaggio del partito. A tale data egli è sempre commissario alle Nazionalità e, per qualche tempo ancora, anche commissario dell'Ispezione operaia e contadina: cumulo impressionante di poteri e di competenze che il solo accorto Preobrazenskij denunziò allora vigorosamente. A partire da questo momento non si è molto lontani dal delinearsi di quella situazione che Trockij, criticando il punto di vista di Lenin sull'organizzazione del partito, aveva previsto nel 19031904: «L'organizzazione del partito prenderà il
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posto del partito stesso; il Comitato centrale prenderà il posto dell'organizzazione; e, infine, il dittatore prenderà quello del Comitato centrale...» 18. Il solo errore di Trockij era di considerare il centralismo di Lenin come un «egocentralismo »: la concezione di Lenin non mostra alcuna sete di potere personale, ed in definitiva la macchina politica che Lenin e Trockij avevano contribuito a costruire si rivoltò contro ambedue. Sempre al fine di meglio comprendere il pensiero politico di Lenin negli ultimi mesi di vita, non è senza utilità insistere su di un altro aspetto del fenomeno della concentrazione del potere. I bolscevichi credevano sinceramente alla dottrina della dittatura del proletariato. La sostituzione del partito al proletariato
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dapprima solo uno stato di fatto
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dovette essere introdo,tta non senza ambiguità nella dottrina; la si considerò fenomeno transitorio, attendendo il concentrarsi degli operai nelle grandi fabbriche ed il rafforzamento dell'industria ad opera delle future realizzazioni. In realtà, cominciava nelle fabbriche il regno delle amministrazioni, e nell'insieme del paese la burocrazia si stabiliva 'durevolmente. Lenin dava una spiegazione a tale situazione con la carenza di basi economiche adeguate. Questo stato di fatto era poco preoccupante finché sussistevano in Europa prospettive rivoluzionarie; ma in seguito tale divario doveva diventare tragico. Lenin affermava che la Russia, pur disponendo del regime politico più avanzato del mondo, non era ancora giunta a costruire nemmeno i fondamenti di una economia nazionale; l'assenza delle basi del socialismo, cosi come la si doveva constatare, significava pressappoco che niente era acquisito defi18Cfr. B.D. Wol£e, Lénine et Trotsky, Paris, Calmann-Lévy 1951, p. 142.
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nitivamente: «Le forze avverse del capitalismo moribondo possono ancora riprenderci il potere» 19. Così i termini della formula fondamentale del materialismo storico si trovano ad essere capovolti dai suoi stessi più fedeli seguaci. Le basi socio-economiche indispensabili alla realizzazione dei fini ufficiali del potere mancano quasi completamente. È in una sorta di «vuoto a due piani» che il nuovo potere si trova sospeso: la prima carenza è quella del prqletariato, la seconda quella dell'infrastruttura economica; Carr sostiene che la dittatura del proletariato era «in posse» piuttosto che «in esse» 20. Si è molto lontani dalle concezioni ottimiste, utopiche e sempliciste esposte in Stato e rivoluzione nel 1917, dove tutti i problemi sembravano risolti in anticipo dall'esempio della Comune di Parigi. I militanti, abituati a dedurre il politico dall'economico e dal sociale, prendono coscienza di una situazione sconcertante, in cui una élite al potere sprovvista di base sociale incarna una sorta di «potere politico puro» e impone la sua volontà ad una società la cui intera dinamica spontanea, sotto la NEP, tende a fini opposti a quelli del Partito. Lenin e la dottrina leninista dovevano adattarsi a questa nuova situazione. Due elementi li aiutavano: l'importanza del ruolo attribuito alla presa di coscienza, la quale non è mai spontanea, ed una certa concezione del partito, secondo cui questo ha appunto il compito di risvegliarla. Il posto centrale riservato al partito nella strategia leninista e l'interpretazione piuttostovolontaristica che il leninismo dà del marxismo non devono tuttavia condurre ad imputargli, come alcuni fanno, tutta la responsabilità
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19Soc., voI. XLIV, p. 418.
20Carr, Il socialismoin un solo paese cit., pp. 98-99.
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di taluni fenomeni, quale il restringimento progressivo della sfera del potere politico precedentemente descritto, restringimento che doveva infine sboccare in una autocrazia. Il leninismo certamente non è monolitico; la dittatura del partito sul proletariato non entrava nei disegni di Lenin: essa costituiva la conclusione totalmente imprevista di una serie di circostanze impreviste. Malgrado la fine intuizione di Trockij, sarebbe falso credere che la concentrazione del potere, che pervenne al suo parossismo con il regime staliniano, fosse il risultato delle idee e delle scissioni del 1903-1904. È la storia di un altro periodo, sono gli eventi postrivoluzionari e il modo in cui questi hanno deviato la dottrina, ad esserne all'origine. Né il « comunismo di guerra », né le nozioni diametralmente opposte che stanno alla base della NEP possono essere spiegati con preoccupazioni e teorie pre-rivoluzionarie. Una volta guadagnata la pace con la vittoria l'Il'interno, Lenin cercava di dotare il potere politico, su tutti i fronti, di fondamenta sicure: la costruzione di una infrastruttura economica e il miglioramento del livello culturale dei quadri e del popolo, li cominciare dall'alfabetizzazione. Lenin si rendeva conto che nella situazione in cui si trovava il regime i fattori politici dominavano quelli economici, ma l'idea che una tale preponderanza potesse perdurare a lungo non lo lasciava rassicurato. Egli non si rassegnava a giuocare a lungo con la sola leva politica, che molti ai giorni nostri considerano la sola potente e decisiva 21. 21La priorità del politico sull'economico in un senso che differisce profondamente dalla concezione marxista classica è chiaramente espressa da Lenin in modo particolare in O nache;revoltsii (Soc.,voI.XLV,pp. 378-82)e nel testo sopra citato. A questo riguardo cfr. anche Carr, op. cit., pp. 131199. [Cfr. la trad. italiana Sulla nostra rivoluzione - A pro-
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Su questo punto un'altra delusione attendeva i militanti all'uscita dalle illusioni del comunismo di guerra: la costruzione delle fondamenta mancanti all'edificio non doveva permettere un accesso diretto al socialismo e, a più forte ragione, al comunismo. Lenin calma gli impazienti ripetendo che si tratta soltanto di un periodo di transizione per il quale egli si rassegna al prolungamento della politica della NEP. E tuttavia egli vede chiaramente le gravissime minacce che questa fa pesare sul regime: pericoli esterni, instabilità interna (quella delle classi contadine), ma anche il rischio rappresentato dalla degenerazione possibile dei comunisti stessi sotto gli influssi di un ambiente corruttore. Di fronte all'XI Congresso del partito Lenin, sviluppando la sua idea secondo la quale i comunisti non sono più guida, ma sono al contrario guidati, dichiara: Qui è accaduto qualcosa di simile a quello che ci raccontavano nelle lezioni di storia quando eravamo bambini. Ci insegnavano: talvolta un popolo ne conquista un altro, e il popolo che ha conquistato è il dominatore, mentre quello che è stato conquistato è il vinto. Ciò è molto semplice e tutti lo comprendono. Ma cosa accade della cultura di questi popoli? Qui il problema non è cosi semplice. Se il popolo conquistatore ha un livello culturale superiore a quello del popolo vinto, impone a quest'ultimo la propria cultura; se è il contrario, avviene che il popolo vinto impone la propria cultura al vincitore. Non è accaduto qualcosa di simile nella capitale della Repubblica federale russa, e non è avvenuto che i 4 700 comunisti (quasi un'intera divisione, e tutti fra i migliori) siano stati sottomessi da una cultura estranea? In verità, qui può sorgere ./. It,
posito delle note di N. Sukhanov (scritto il 16-17 gennaio 1923, pubblicato nella «Pravda », n. 117, 30 maggio dello stesso anno) in Opere, voI. XXXIII, pp. 436-39.]
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l'impressione che i vinti abbiano un livello culturale elevato. Niente affatto. La loro cultura è meschina, ma è tuttavia superiore alla nostra 22.
Questo testo indica che Lenin aveva una acuta percezione dei pericoli che minacciavano il suo regime. Anche se gli sviluppi ulteriori della storia dovevano essere assai differenti da quanto egli supponeva, bisogna riconoscere in Lenin un uomo che, analizzata la situazione, diceva poi al partito e all'intero paese la verità su di essa cos1 come egli la vedeva. 22Soc., voI. XLV, pp. 95-96. [Cfr. Rapporto politico del Comitato centrale presentato all'XI Congresso del Partito comunista russo il 27 marzo 1922, in Opere, voI. XXXIII, pp. 261 sgg.]
Capitolo
secondo
LA NEP, QUESTA SCONOSCIUTA
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Nelle condizioni precedentemente esposte, i dirigenti del regime sovietico dovevano dunque, usciti dalla guerra civile, provvedere alla soluzione di molti problemi: come evitare uno scontro con l'Occidente attendendo nuove rivoluzioni in Europa ed in Asia? Come impedire la degenerazione del potere o, piuttosto, come conservare integra la purezza ideologica e morale del partito diventato governo? Come venire a capo del flagello burocratico? Le risposte a tali quesiti carichi di incognite non erano facilmente formulabili, ma la situazione venne a complicarsi ulteriormente con l'introduzione del nuovo sistema economico noto sotto il nome di Nuova politica economica (NEP). Questa politica fu adottata per far fronte all'imperiosa necessità di riparare al marasma in cui era immerso il paese, ed in particolare l'agricoltura. In capo a due anni di funzionamento essa si rivelò salutare, ma per i bolscevichi essa rappresentava un vero e proprio patto col diavolo. Lenin spiegava che, per salvare il paese dal disastro; si trattava di fare ai contadini le concessioni necessarie per la ripresa della produzione e dell'approvvigionamento del paese, e che tali conces-
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Capitolo secondo
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sioni potevano riassumersi nell'iniezione di una dose di capitalismo: ...capitalismo che possiamo e dobbiamo permettere, che possiamo e dobbiamo mantenere entro certi limiti, perché questo capitalismo è necessario alle masse contadine e al capitale privato, che deve commerciare in modo tale da soddisfare i bisogni dei contadini. È necessario fare in modo che sia possibile il decorso abituale dell'economia capitalistica e della circolazione capitalistica, poiché ciò è indispensabile al popolo, e senza di ciò è impossibile vivere. Per le masse contadine, tutto il resto non è assolutamente necessario; con tutto il resto esse possono conciliarsi l.
Lenin dunque effettua un'operazione quale raramente si è vista nella storia. Egli concede ai contadini una forte dose di capitalismo in cambio del « resto », cioè del potere politico nelle mani dei bolscevichi: operazione certamente vantaggiosa ma ugualmente piena di rischi. Numerosi militanti temevano che tale rimedio, per quanto salutare per il paziente, si rivelasse mortale per il medico. In tutto il mondo i commenti non mancarono: i nemici del regime poterono formulare la speranza che la NEP, reintroducendo il capitalismo, annunziava la fine del bolscevismo. All'inizio tuttè le tendenze esistenti all'interno del partito avevano accettato questa soluzione come la sola possibile, ma molti non tardarono a vedervi un vero e proprio tradimento, un'alleanza contro natura. Il partito era comunque inquieto, e non senza ragione, poiché ora cadevano le illusioni suscitate dal comunismo di guerra, e bisognava ristabilire il mercato contadino e il commercio privato,
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che non avrebbero mancato, penetrando in tutti i settori della vita sovietica, d'essere elementi di corruzione e di dissoluzione, anche per lo Stato e per il partito. Si sarebbe forse arrivati a dare ragione a Rosa Luxemburg: «La riforma agraria di Lenin ha creato per il socialismo, nelle campagne, una nuova e potente categoria di nemici la cui resistenza sarà molto più pericolosa e più ostinata che non quella dei grandi proprietari aristocratici» 2. Si vedrà che Lenin, senza rimettere in causa la riforma, sui contadini dice pressappoco le stesse cose. Le classi contadine russe, poco interessate dalle esperienze socialiste, e per giunta pessime produttrici, costituivano una massa di cento milioni di persone in cui covava costantemente un certo spirito di rivolta, quello della pugacevchcina o ;acquerie, che spesso aveva turbato i sonni degli zar. La NEP aveva il vantaggio d'accordare la libertà di commercio, ma sembrava accrescere ancora gli inconvenienti politici del frazionamento conseguente alla riforma; essa non faceva che attaccare un po' di più i contadini all'economia capitalistica ed allontanarli dai principi collettivisti del partito. Ma vi era di peggio. La NEP conduceva a riprodurre la classe capitalistica: uomini di affari, commercianti, industriali (nuovi e vecchi). In tal modo, non solo la rivoluzione continuava a deludere i proletari 3, ma finiva anche per fornire alle masse contadine un centro di unificazione antibolscevica ed i capi necessari alla rivolta nel caso che un 2 Cfr. R. Luxemburg, La Rivoluzione Russa, Milano, Prometeo, p. 15. 3 Lenin confermerà pubblicamente nel 1921 che sinora erano i contadini
e non gli operai
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ai quali spettava
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carico più pesante - che avevano tratto più profitto dalla rivoluzione. Cfr. Soc., voI. XLIV, p. 46. La conferma sarà ancora più esatta un anno più tardi.
l Soc., pp. 85-86. [Cfr. Rapporto politico del Comitato centrale presentato all'XI Congresso del Partito comunista russo il 27 marzo 1922, in Opere, voI. XXXIII, p. 253.]
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tappa socialista era, con l'instaurazione della democrazia proletaria, semplicemente iniziata. Ma nello stesso testo traspariva un'altra periodizzazione, che si riaccostava a quella adottata nell'autunno 1918. La tappa socialista sarebbe stata raggiunta quando il movimento del comitato dei poteri o kombedy avesse portato nelle campagne la lotta di classe contro i kulak. Ora non è superfluo ricordare che i kombedy furono soppressi alla fine del 1918 5. Due mesi dopo l'articolo citato, nell'ottobre 1921, si vede comparire ancora una nuova periodizzazione. La tappa borghese-democratica della rivoluzione non sarebbe terminata che nel 1921. Ed un po' più avanti si trova una versione leggermente differente: la rivoluzione di ottobre sarebbe stata una rivoluzione completamente proletaria, ma essa avrebbe assolto en passant i compiti di una rivoluzione borghese-democratica 6. A dire il vero tali incertezze non sono particolarmente sorprendenti. Soltanto i risultati a lungo termine del rivolgimento di ottobre avrebbero potuto permetterne un'esatta valutazione. Altro punto: come giustificare teoricamente la NEP, quale definizione strategica darne? In rapporto al
qualsiasi conflitto con lo Stato diffondesse malcontento nelle campagne. Nessuno si nascondeva il pericolo di veder le classi contadine piegare dalla la nuova borghesia e dei parte dei nepmany quadri borghesi tradizionali ancora ostili al regime, eventualmente aiutati dai paesi capitalisti stranieri, che beneficiavano sempre di una schiacciante supe- ' riorità economica e militare. La NEP faceva pensare ad una vera e propria carica di esplosivo posta sotto l'edificio ancora mal consolidato del nuovo regime 4. Che li abbia o meno riconosciuti in pubblico, Lenin era non meno preoccupato di altri militanti dalla prospettiva di tali pericoli. La NEP era una scommessa, nient'affatto vinta in anticipo. Ci si continuava a porre, con Lenin, la questione Kto kovo? (Chi vincerà?), questa volta sul fronte interno. In questo periodo, nella speranza di iniziare infine una fase di costruzione pacifica, i bolscevichi compiono uno sforzo considerevole. Il periodo che va dal marzo 1921 (introduzione della NEP) sino all'aprirsi delle prime speranze con il buon raccolto del 1922 ed un certo acquietarsi delle classi contadine, fu quello nel corso del quale si ricercarono più intensamente metodi di gestione ed espedienti per compensare gli scacchi subìti; ma fu anche un periodo di grande confusione teorica nei militanti. Molte delle concezioni e dei dogmi anteriormente ammessi sono crollati alla prova dei fatti. Si doveva di nuovo porre la questione di fondo del significato della rivoluzione di ottobre. Lenin non si sottrae alla confusione: la riconosce nel momento stesso in cui ne è vittima. Nell'agosto 1921 scrive che la rivoluzione tra il novembre 1917 ed il 5 gennaio 1918 era stata borghese-democratica, e che la
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Capitolo secondo
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periodo precedente
si trattava
di una «ritirata»
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e cioè non si rinunziava né ai fini né ai metodi del comunismo di guerra, che si consideravano tutt'al più prematuri, - oppure si era, al contrario, ripresa la linea più giusta adottata nella primavera 1918? Da quest'ultimo punto di vista il comunismo 5 Il testo dell'agosto 1921 è in Soc., voI. XLIV, pp. 101102. Lenin dichiarava il 6 novembre 1918 al Congresso dei soviet: «La rivoluzione d'ottobre delle città è diventata una vera rivoluzione d'ottobre anche per i villaggi soltanto nell'estate e nell'autunno del 1918 ». [Cfr. Opere, voI. XXVIII, p. 140.] 6 Soc., voI. XLIV, pp. 102, 145, 147.
4 Cfr. cap. I, nota 20. a
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di guerra non era altro che una scelta contingente in gran parte sbagliata 7. Lenin non opta chiaramente né per l'una né per l'altra di queste due idee; ma nel suo ultimo discorso tornerà al concetto di una «ritirata », di un indietreggiare per meglio prender la rincorsa 8. Tutto questo non forniva una spiegazione sufficiente della NEP. Lungo periodo di transizione, essa doveva essere necessariamente all'inizio una ritirata strategica, e poi una ripresa della marcia in avanti. Lenin cercò di mettere un po' d'ordine in tale confusione avanzando la teoria del «capitalismo di Stato », che egli formulò nel suo scritto Sull'imposta in natura al momento del lancio della NEP, senza che si fosse totalmente abbandonata la tesi dell'inizio della tappa socialista. Questo concetto, già utilizzato dopo la rivoluzione di febbraio e ancora all'inizio del 1918, s'ispira all'esperienza dell'economia di guerra tedesca, fortemente statalizzata e rigidamente controllata. Nel quadro dell'economia sovietica esisteva tuttavia una differenza sostanziale: lo Stato non era capitalista ma proletario, ed occupava direttamente importanti posizioni economiche. Lenin impiegava il termine «capitalismo di Stato» in quanto dava per scontata la collaborazione del capitalismo russo e soprattutto del grande capitale straniero: pensava che la Russia necessitava di un lungo periodo di sviluppo capitalistico per assimilare i metodi di organizzazione e le competenze tecniche, per acquisire i capitali e i mezzi intellettuali che lo Stato operaio non possedeva ancora. Quest'ultimo doveva evidentemente restare costan7 Cfr. Carr, La rivoluzione bolscevica, Einaudi, Torino 1964, pp. 680 sgg. 8 Soc., voI. XLV, p. 302.
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temente vigilante e forgiarsi i necessari metodi di sorveglianza e di controllo. Lenin sperava dunque di costruire il socialismo «con mani. straniere », pensando che queste non avrebbero disconosciuto l'interesse del profitto che in simile circostanza avrebbero potuto trarne. Un'altra particolarità di questa teoria contribul a renderla accettabile per altri dirigenti, e tra essi Preobrazenskij, Bucharin e anche Trockij, sebbene con molte riserve. Secondo Lenin in quel momento il principale nemico dello Stato non era il grande capitale, bensl il settore piccolo-borghese, anarchico, frazionato, sfidante qualsiasi pianificazione e qualsiasi disciplina statale. Soltanto il grande capitale offriva caratteristiche utili al progresso, e precisamente la sua capacità di organizzazione in grande scala, la sua tendenza a pianificare, il suo senso della disciplina. È per tali ragioni che lo Stato operaio doveva concludere con esso un'alleanza per combattere l'influenza perniciosa della piccola borghesia oscillante. Lenin afferma: «Si tratta di un contratto, di un blocco, di un'alleanza del potere statale sovietico, cioè proletario, col capitalismo di Stato, contro l'elemento piccolo-proprietario (patriarcale e piccolo-borghese)>>, ed in un testo anteriore dello stesso anno cita un giudizio già avanzato nel 1918, precisamente che: «...bisogna denunciare l'errore di coloro che non vedono le condizioni economiche piccolo-borghesi e l'elemento piccoloborghese come il principale nemico del socialismo» 9. Ora, si tratta di comprendere che la piccola borghesia in questione non è altro che la massa con. tadina. Che cosa diventava allora l'imperativo stra9 Soc., voI. XLIV, p. 108 e voI. XLIII, p. 206. [Cfr. i passi sopra citati nell'articolodi Lenin, Sull'impostain natura, pubblicato in opuscolo nel maggio 1921, in Opere, voI. XXXII, pp. 30944.]
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Capitolo secondo
tegico, giudicato esso pure fondamentale, d'una alleanza coi contadini, cos1 come gli slogan la formulavano? Nel corso della storia, Stalin doveva risolvere questa profonda contraddizione coi metodi che gli erano propri. I metodi proposti da Lenin erano diversi, ma non gli toccò di poterli applicare. Sul momento, la teoria ambigua del capitalismo di Stato doveva conoscere una sorte curiosa. Essa era concepita per servire simultaneamente a molteplici funzioni: in primo luogo dissipare ogni illusione sul carattere sedicente socialista della società sovietica, secondariamente formulare in termini marxisti la natura del periodo di transizione in corso in Russia e definire in che modo lo svolgersi di questo periodo avrebbe condotto la Russia al socialismo, le cui condizioni preliminari non erano ancora realizzate. La nozione di capitalismo di Stato, considerato come la forma politica e sociale più completa del capitalismo e di conseguenza anche come antecedente immediato del socialismo, poteva svolgere questo ruolo di chiarificazione e di spiegazione a condizione che la teoria si trovasse verificata nella situazione specifica della Russia. Ma due anni più tardi, contraddetta dai fatti, essa dovette essere abbandonata. Lenin, non avendo ottenuta la collaborazione del grande capitale, cercò quella delle classi contadine. Ritorneremo su questa questione; limitiamoci a constatare che per il momento la NEP si rivelava positiva per la vita economica del paese: un periodo di edificazione pacifica sembrava aprirsi, senza che si sapesse realmente per quanto tempo esso sarebbe durato. Lenin, senza pronunziarsi pre" cisamente, sembrava ammettere che, nelle condizioni di accerchiamento capitalistico, non sarebbe stato «evidentemente molto lungo» IO. IOIbid., voI.XLIV, p. 9. Cfr. sopra,nota 1, p. 34. Egli si mostra tuttavia più ottimista in altri passi.
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La NEP, questa sconosciuta
Per riuscire in tale impresa necessitava un'organizzazione, soprattutto sul piano concreto. In tale situazione totalmente nuova l'esperienza, i metodi tradizionali ed ogni base scientifica non potevano aiutare l'elaborazione dei programmi d'azione. Primo male cui porre rimedio, il più sovente denunziato, quello della burocrazia. Lenin riconosce: «Non sappiamo che fare» 11. Credette per un certo tempo che l'iniziativa sarebbe venuta dalla provincia. Pensava che sarebbe stato più facile esperimentare ed imparare i metodi di una buona gestione in unità amministrative ridotte, poiché «il male della burocrazia per sua natura si concentra al cuore ». Ma di fronte ai fatti ben presto Lenin mutò parere e, pur continuando a denunziare Mosca come la capitale delle nefaste routines burocratiche, metteva in causa le influenze locali, oscurantiste e corruttrici, e gli esempi di regolamento di conti che esse fornivano 12..Bisognava dunque rifarsi agli operai più avanzati, all'élite proletaria o, piuttosto, al partito. Grazie all'appoggio di cui questo ultimo godeva presso una parte degli operai e dei contadini poveri si poteva ripartire su nuove basi, avvantaggiandosi della neutralità dell'insieme dei contadini soddisfatti della NEP. L'élite doveva essere dotata di nozioni teoriche sicure e di ampie competenze governative. In particolare essa doveva, in caso di bisogno, essere capace di impiegare il terrore al fine di « organizzare la costrizione nell'interesse dei lavoratori» 13, secondo una vecchia formula del 1917. Per il momento, la prima arma dell'élite e cioè un chiaro programma di azione non esisteva. Nel suo ultimo
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11Soc., voI. XLIII, p. 234. 12Soc., voI. XLV, p. 199. 13Formula utilizzata il 21 novembre 1917 (Soc., voI. XXXV, p. 110).
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Capitolo secondo
discorso Lenin si pone il quesito: «Sapremo impostare a dovere questo problema? », e risponde: «Non lo sappiamo ancora» 14. L'altra arma cui si sarebbe sempre potuto fare ricorso doveva anch'essa essere adattata a un periodo di costruzione pacifica e di economia di mercato: Lenin comincia a riorganizzare la Ceka e a diminuire le sue prerogative. Concludendo, il problema più importante rimaneva aperto: come preservare la purezza della élite detentrice di un potere assoluto? dove cercare delle garanzie contro la sua eventuale degenerazione? 14 [Cfr. discorso tenuto alla seduta plenaria del Soviet di Mosca il 20 novembre 1922, in Opere, voI. XXXIII, p. 407.]
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al La formidabile macchina amministrativa messa a punto nel corso della guerra civile fu un fattore decisivo della vittoria bolscevica. Lenin aveva un bel rivolgerle le critiche più amare, ma non poteva evitare di constatare questo successo. Egli dichiara che la vittoria nel corso degli anni 1917-21 non ha potuto essere ottenuta che grazie alla creazione dell'apparato militare e statale. Aggiunge anche che «fu un'opera grande ed esaltante» l. Ma in Russia la storia ha ritmi rapidi, da una crisi si passa ad un'altra: un fattore favorevole diventa presto una maledizione e produce amare conseguenze. Quelle della guerra si fecero sentire anche sul personale della direzione del partito. Si vide ben presto un tipo particolare di dirigente - e soltanto quello salire i gradi della gerarchia. Si doveva saper essere sbrigativi, essere dei buoni organizzatori, ci si doveva mostrar capaci di usare senza scrupoli eccessivi dei poteri enormi conferiti dalla dittatura in periodo di guerra, poiché ciò che si domandava loro era di vincere a qualsiasi prezzo, e non di ra~ionare e di esitare.
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Capitolo terzo
La fine della guerra non fu risentita immediatamente come una fase distensiva. La coscienza che un'epoca nuova veniva ad aprirsi non sarebbe sopraggiunta che nel corso dei due anni seguenti. L'instaurazione della NEP si presentava come una misura d'emergenza presa per prevenire la catastrofe. Il funzionamento della macchina governativa doveva dunque in modo del tutto naturale continuare per qualche tempo ancora nel solco del passato. Il fatto che l'interdizione delle frazioni sia sopravvenuta solo dopo la guerra civile mostra bene che l'orientamento psicologico restava quello di una lotta per la vita. Un certo numero di uomini lasciarono allora il Segretariato e il Comitato centrale. Si trovano tra loro i tre segretari Krestinskij, Preobrazenskij, Serebriakov, tutti futuri membri dell'opposizione di sinistra e future vittime delle purghe staliniane. E, fatto significativo, Kaganovic, Uglanov, Jaroslavskij, Molotov, pervengono ai più altri gradi. Sono tutti dei futuri stalinisti, e sono quasi tutti della «razza» degli uomini di azione realisti e pratici 2. Le scosse della guerra civile non hanno lasciato che una sola strutal paese - a parte il partito tura sufficientemente resistente e ben articolata: l'apparato amministrativo dello Stato. Ovunque si tratta di ricostruire e rimettere tutto in questione; ma la macchina amministrativa e, in questo momento ancora più di prima, la macchina del partito, prosegùono la loro evoluzione nel senso dell'irrigidimento dittatoriale. Tale processo senza dubbio era inizialmente conforme al volere di Lenin, ma a poco a poco si profilarono, sia a sua insaputa, sia contro
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la sua intenzione, tendenze contro le quali egli è male armato, tanto più che, dopo tre anni stremanti di guerra e di lotte, di fatica e d'inquietudine, si ammala. È già gravemente debilitato verso la fine del 1921, e costretto a lasciare l'attività pubblica per parecchie settimane. Durante il primo semestre dell'anno successivo la sua capacità di lavoro si riduce e si logora sempre di più. Poi improvvisamente, il 25 maggio 1922, sopraggiunge una crisi catastrofica: paralisi della mano e della gamba destre e perturbazioni - o persino perdita - della capacità di parlare. La convalescenza è lenta e penosa. «Capite - dirà più tardi Lenin a Trockij; - non potevo né parlare né scrivere. Ho dovuto imparare daccapo. » 3 . La sua robusta costituzione lo salva ancora una volta, ma egli non riprende il lavoro prima del 2 ottobre, e la sua salute non è interamente ristabilita. I sintomi di fatica e di malessere già da prima evidenti, le sue frequenti assenze dalle sedute di lavoro, la sua ultima crisi non passarono inosservate ai membri del Sovnarkom e dell'Ufficio politico. Nel circolo ristretto dei dirigenti il problema della successione era senza dubbio già sin d'ora posto. Il rientro pubblico fu per Lenin una dura prova. Alfred Rosmer, che l'ha visto comparire alla tribuna del IV Congresso dell'Internazionale, il 13 novembre 1922, porta la sua testimonianza:
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Quelli che lo vedevano per la prima volta esclamarono: è sempre lui, Lenin; ma questa illusione non era permessa a noialtri. Non era più il Lenin di una volta: la figura che avevamo dinanzi era quella di un
" 2 Dopo avere efficacemente aiutato Stalin a battere la opposizione di sinistra, Uglanov diventerà tuttavia buchariniano nel 1928.
3 Cfr. Trotsky, La mia vita, Milano, Mondadori 1933, p. 421.
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uomo duramente provato dalla paralisi; il suo aspetto era come congelato, la sua abituale eloquenza semplice, rapida, sicura, s'era mutata in un eloquio esitante; qualche volta gli mancavano le parole. Il compagno che gli era stato messo vicino per aiutarlo non adempì bene al suo compito e fu rimpiazzato da Radek. 4
Il rientro nella vita pubblica non fu di lunga durata. Il 13 dicembre un nuovo attacco della malattia obbliga Lenin a ritirarsi, questa volta de. finitivamente. È chiaro dunque che la sua partecipazione all'attività pubblica nel corso del 1922 è assai ridotta. Si tratta di un fatto importante per comprendere bene l'intero periodo, che ha giuocato un ruolo capitale nei destini della Russia sovietica. La macchina governativa creata sotto Lenin (molto più dalle circostanze che da una deliberata volontà) continuava a girare senza quasi ch'egli vi partecipasse. I suoi compagni dell'Ufficio politico s'abituavano a governare soli e prendevano gusto a questa indipendenza acquisita grazie all'assenza del « vecchio ». Ma i loro metodi, il loro stile d'azione continuavano ad ispirarsi soprattutto all'esperienza e alla routine anteriori. All'inizio del 1922, Lenin ha accettato
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e forse egli stesso suggerito
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nomina di Stalin alla carica di Segretario generale. Questo ruolo non aveva ancora un'importanza di primissimo ordine, ma ne acquisì una considerevole nel corso dell'anno. Sorprendendo forse Lenin stesso, la cui assenza ha un marcato rapporto con questo fatto. Mentre Lenin perdeva la sua capacità di lavoro e la direzione delle attività sfuggiva sempre più al suo controllo, Stalin s'affermava, acquistava disinvoltura e sicurezza, spesso in opposizione a Lenin. 4 Cfr. A. Rosmer, A Mosca al tempo di Lenin, Firenze, La Nuova Italia 1953, p. 209.
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Egli si circondava degli uomini che voleva: del resto s'era già costituita una propria cricca durante la guerra civile. Alcuni membri dell'Ufficio politico non se ne rendevano neppure conto. Questo fenomeno diviene assai evidente alla luce dell'affare cosiddetto «del commercio estero », e meglio ancora attraverso i meandri del conflitto georgiano, le due occasioni in cui Lenin poté lottare contro i suoi collaboratori per difendere le proprie posizioni e che riflettono tutti i problemi del regime al momento dell'eclissi del suo leader. Il problema del monopolio del commercio estero si pose con una certa gr'avità verso la fine del 1921, quando Miljutin, delegato sovietico all'incontro di Riga, promise l'abolizione di questo monopolio 5. Non si sa chi gli diede istruzioni in questo senso, ma è probabile che la maggioranza dei capi del partitQ cercassero di regolare la questione nello spirito generale della NEP. Bucharin, Sokol'nikov , Frumkin e altri ancora, dubitando della capacità del commissariato al Commercio estero di condurre in porto la questione degli scambi economici internazionali e nell'intenzione di favorirne il più rapido sviluppo, sostenevano l'attenuazione del regime di monopolio, e persino la sua abolizione pura e semplice. Anche Stalin patrocinava una di queste tesi. Ma Lenin vi vedeva un errore capitale, un attentato inammissibile agli interessi del paese. A suo giudizio era non solo imprudente, ma senza alcun dubbio nefasto permettere agli esportatori stranieri di entrare in contatto diretto con gli uomini d'affari privati dell'interno, i nepmany, poiché in tal caso «gli stranieri acquisteranno e importeranno nel loro paese tutto ciò che ha un valore». Ma 5 Soc., voI. XLIV, pp. 562-63.
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l'argomento più forte riguardava il mondo contadino, che in Russia era la realtà sociale di base. Senza dubbio il contrabbando insidiava in tutti i modi il monopolio del commercio- su questopunto insistevano i sostenitori dell'attenuazione del monopolio; ma, sempre secondo Lenin, non si trattava che di un pugno di specialisti, mentre del tutto differente sarebbe «avere a che fare con tutta la classecontadina, che si difenderà come un sol uomo e si batterà contro il potere che cerca di privarla del suo proprio interesse»6. Leriin accumulavaprove per cercaredi convincere il Comitato centrale dell'esattezzadei suoi punti di vista. Soltanto la conservazione rigida del principio del monopolio avrebbe permesso di far fronte alla debolezza economica del paese. Bisognava considerare la possibilità per lo straniero di offrire prezzi di favore, senza parlare delle condizioni del mercato internazionale, di per sé molto vantaggiose per il produttore agricolo russo. La minima breq:ia aperta nella difesa avrebbe finito per distruggere la debole industria nazionale e contribuito a saldare un'alleanza contro il potere dei soviet tra le forze del capitalismo internazionale e gli uomini d'affari da una parte e l'insieme delle masse contadine russe dall'altra. Nel mese di marzo gli argomenti di Lenin sembrarono prevalere, e il monopolio fu confermato da una serie di decreti; ma non si trattava che d'una tregua. Lenin constata con inquietudine che gli ambienti del governo e del Comitato centrale non cessano di rimettere questa questione all'ordine
del giorno e di contestare la soluzione datane formulando. in continuazione nuovi progetti di modificazioni legislative. Queste tergiversazioni continue nuocevano considerevolmente agli incontri dei delegati commerciali sovietici con i circoli d'affari stranieri, cosa che Krestinskij, a quel tempo delegato a Berlino, segnala a Lenin. Gli stranieri, supponendo che il monopolio del cummercio estero sarebbe stato abrogato, preferivano probabilmente. aspettare la possibilità di entrare in contatto con i commercianti privati piuttosto che trattare con quello sconosciuto che era in questo campo il governo sovietico. Lenin, preoccupato, finì per esigere, in una lettera a Stalin, che il principio del monopolio fosse riconfermato e che fossero interdetti tutti i progetti in senso contrario 7. È forse in questa occasione che Lenin scopre che il gensek non è del tutto d'accordo con lui, e che gli tiene testa con crescente sicurezza. Sulla lettera di Lenin Stalin appose la nota seguente: «A questo punto, non mi oppongo all'interdizione formale di misure nel senso dell'attenuazione del monopolio del commercio estero. Credo tuttavia che l'attenuazione diventerà inevitabile» 8. Le proposte di Lenin furono adottate dall'Ufficio politico il 22 maggio; ma, durante la sua lunga assenza causata dal primo attacco di paralisi, gli avversari del monopolio riportarono finalmente un successo. Alcuni giorni dopo il ritorno di Lenin al lavoro, nella seduta del Comitato centrale del 6 ottobre, le proposte di Sokol'nikov tendenti ad introdurre notevoli deroghe al monopolio dello Stato furono ratificate dal Plenum. Lenin, sofferente, era assente dalla seduta. Egli risentì
6 Lettera segreta a Kamenev, del 3 marzo 1922, pubblicata per la prima volta nel 195.9 (Soc., voI. XLIV, p. 427). Cfr. egualmente la lettera indirizzata a Stalin il 13 ottobre 1922, pubblicata nel 1950 (Soc., voI. XLV, p. 221).
7 Lettera a Stalin del 15 maggio 1922, non resa pubblica prima del 1959 (Soc., voI. XLV, p. 188). 8 Loc. cit., p. 548.
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questa decisione come un vero e proprio colpo portato contro di lui. Come sua abitudine, si gettò nella battaglia per esigere dal Comitato centrale la revisione della decisione, e cominciò a preparare il terreno per ottenere la rivincita alla successiva seduta plenaria. Bisognava in primo luogo ottenere l'accordo del Comitato centrale affinché la questione figurasse di nuovo nel suo prossimo ordine del giorno. Per ottenere il suo scopo Lenin invia lettere su lettere ai membri dell'Ufficio politico, ai membri del Comitato centrale, ad alti funzionari; incontra Stalin ed altre personalità, cerca attivamente appoggi sovente in modo riservato - presso i membri più importanti del governo. Dopo il suo ritorno all'attività pubblica questa azione occupa la più gran parte del suo tempo. Fatto significativo: 1'11 ottobre egli invita Trockij ad intrattenersi con lui, in particolare di questo problema. Due giorni dopo egli invia una lettera urgente all'Ufficio politico esigendo in termini categorici la revisione della decisione. L'Ufficio deve cedere un po' di terreno: decide di far votare i membri del Comitato centrale sulla richiesta di Lenin. Anche questa volta, Stalin aggiunge una nota alla lettera di Lenin: «La lettera del compagno Lenin non m'ha fatto cambiare la precedente opinione riguardo l'esattezza della decisione del Plenum [...] concernente il commercio estero» 9. Alla fine tuttavia cedette, come d'altra parte la maggioranza del Comitato centrale, e diede il suo assenso per un nuovo esame della questione «vista l'insistenza del compagno Lenin per una revisione ».
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9 Citato da Fotieva, Iz vospominanij o Lenine, Mosca, Izd. Polito Lit. 1964, pp. 28-29. La lettera è riprodotta nell'Appendice IV del presente volume.
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La maggioranza del Comitato centrale dunque accetta, sotto la «preghiera pressante» di Lenin; questi in attesa della seduta si occupa di mobilitare i suoi sostenitori e di «lavorarsi» i membri del Comitato centrale, ma il suo stato di salute andava aggravandosi ed egli si rendeva conto che non avrebbe potuto assistere a questo Plenum. Sapendo che Trockij era come lui un difensore del monopolio, gli propose, il 12 dicembre, di fare causa comune. Trockij rispose immediatamente, ma colse l'occasione per rimettere in campo la sua vecchia idea di un rafforzamento del ruolo del Gosplan, in modo particolare in quel che concerneva il regolamento del commercio estero. Lenin preferì rinviare questa seconda questione accontentandosi di far comprendere che egli era pronto a fare delle concessioni. L'accordo di principio essendo acquisito sui punti essenziali, Lenin insistette con Trockij, in termini d'altra parte di volta in volta più cordiali, affinché questi si incaricasse della difesa della loro tesi comune, quali che fossero le loro divergenze sulla questione del Gosplan: «In ogni caso vi prego d'intraprendere al prossimo Plenum la difesa della nostra comune posizione» IO. Dal 12 al 15 dicembre i due uomini si scambiano IOLa prima lettera di Lenin a Trockij a proposito del monopolio fu scritta il 12 dicembre. Trockij rispose lo stesso giorno. Il giorno dopo Lenin gli scrisse nuovamente costa. tando il loro accordo sul problema del monopolio, ma mettendo in evidenza la sua esitazione sul problema del Gosplan. Queste lettere sono state pubblicate da Trockij in La Révolution defigurée (De la Révolution, Paris, Les Editions de Minuit 1963, pp. 155-58). Questa corrispondenza è ora pubblicata in Socineni;a, voli. XLV e LIV, salvo una lettera riportata da Trockij. [Segnaliamo che I. Deutscher (Il profeta disarmato, Longanesi, Milano 1961, p. 99) riportando il passo citato lo attribuisce alla lettera del 13 di. cembre.]
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Capitolo
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una copiosa corrispondenza, così come con alcuni alti funzionari guadagnati alla tesi di Lenin, il quale, in questo stesso periodo, si prepara - ricordiamolo a lasciare l'attività pubblica. In caso di scacco, si stabilisce una tattica: S1 tornerà alla .
carica di fronte alla frazione comunista nel prossimo Congresso dei soviet, e più tardi di fronte al Congresso del partito. Il 15 dicembre Lenin tira le sue conclusioni: «Compagno Trockij, mi sembra che siamo arrivati a un completo accordo; vi chiedo di proclamare la nostra solidarietà alla seduta plenaria ». Egli aggiunge in un poscritto che respinge fermamente ogni tentativo di tergiversare e di aggiornare ancora il dibattito sotto pretesto della sua malattia e dell'importanza di aspettare la sua partecipazione diretta alla discussione: «Mi tormenta diecimila volte di più l'aggiornamento, che rende assolutamente instabile la nostra politica in uno dei settori essenziali» 11. Lo stesso giorno, in una lettera indirizzata a Stalin e agli altri membri del Comitato centrale, annunzia di avere preso le disposizioni necessarie per ritirarsi, ma e questo dovette produrre sensazione nel Comitato - egli dichiara anche: «Ho concluso un accordo con Trockij sulla difesa delle mie posizioni per quel che concerne il monopolio del commercio estero» 12. Nel Comitato centrale e nell'Ufficio politico, il problema della successione preoccupava segretamente i dirigenti. Trockij, che aveva da poco riportato dei successi grazie a Lenin, suscitava ostilità sia tra gli antichi compagni di emigrazione di Lenin che tra i vecchi militanti clandestini dell'interno. I «vecchi », agli occhi dei quali Trockij non era che un intruso arrogante
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11Soc., voI. UV, pp. 325-26. 12Soc., voI. XLV, p. 338. :1
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ed insopportabile, stringevano le file dopo la lettera
di Lenin. Le linee del futuro triunvirato - Stalin, Kamenev, Zinov'ev - fondato sul solo odio verso
Trockij e sulla volontà di sbarrargli il cammino del potere, cominciavano a profilarsi in questi giorni 13. Lenin era di fatto andato ancora oltre in un altro poscritto della sua lettera, riaffermando la sua ostilità ad ogni aggiornamento del dibattito, sicuro affermava - che «Trockij non difencom'era derebbe in alcun modo meno bene i miei punti di vista di quanto avrei fatto io stesso» 14. Tali affermazioni non potevano che accrescere la tensione, favorire diffidenza e gelosia all'interno dell'Ufficio politico. Il 18 dicembre il Comitato centrale riunito in sessione plenaria annullava la sua precedente deliberazione che aveva data tanta preoccupazione a Lenin. Stalin aveva ceduto su tutta la linea: era già sin d'allora il suo espediente preferito quando si sentiva nella posizione più debole. Lenin, già costretto a letto, soddisfatto del successo riportato, si felicitò calorosamente con Trockij: «A quanto pare, compagno Trockij, siamo riusciti a prendere la posizione senza colpo ferire, con una semplice manovra. Vi propongo di non fermarci e di continuare l'offensiva» 15. Si vedranno più avanti le conseguenze di questa lettera, che fece perdere a
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13Non possiamo occuparci qui a fondo delle relazioni tra Trockij e gli altri membri dell'Ufficio politico durante il periodo della malattia di Lenin. Si consultino su tale argomento i capitoli relativi in I. Deutscher (Il proleta disarmato cit.), Carr (La morte di Lenin cit.) e Daniels, The Conscience 01 the Revolution, Harvard University Press 1960). 14Soc., voI. XLV, p. 339. 15Soc., voI. UV, pp. 327-28. [Cfr. la stessa citazione in I. Deutscher,op. cit., p. 99 e L. Trockij, La mia vita cito p. 426. La traduzione del passo citato è tratta da quest'ultima opera.]
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Stalin il suo sangue freddo. Per il momento, accontentiamoci di tirare qualche conclusione da questa «battaglia del monopolio ». In primo luogo si può osservare che Lenin, se prevedeva il mantenimento della NEP per un lungo periodo, non era meno cosciente dei pericoli ch'essa faceva pesare sul regime. L'alleanza con i contadini non poteva essere ottenuta senza far loro delle concessioni, ma d'altra parte non si potevano fare delle concessioni senza mantenere anche certi limiti di sicurezza. Dunque, nessuna libertà di commercio con l'estero. Questa libertà priverebbe il potere di ogni mezzo di controllo dei prezzi e del produttore contadino. Allo stesso modo nessuna necessità di libertà politica per le classi contadine: «Senza capitalismo la classe contadina non può né vivere né produrre, mentre essa lo può, noi l'affermiamo, senza stare ad ascoltare la propaganda dei socialisti rivoluzionari e dei menscevichi.» Lenin su questo punto non intende giuocare all'equivoco con nessuno, né cedere alla demagogia: «Non promettiamo nessuna libertà e nessuna democrazia» 16,Notiamo tuttavia che questo rifiuto è palesemente provvisorio: è legato ad una situazione di emergenza, presente finché il regime si trova in condizioni estremamente pericolose. Una volta che queste siano state superate, il testo di Lenin implica un cambiamento di orientamento 17. Secondo punto che lo studio dell'affare del commercio estero ci ha permesso di chiarire: qual ~ la natura della direzione leninista? Si può constatare che le opinioni ed i progetti di Lenin non sono adottati automaticamente; sovente egli è costretto 16Soc., voI. XLV, p. 120; voI. XLIV, p. 54. [Cfr. Rapporto presentato al III Congresso dell'Internazionale comunista il 5 luglio 1921, in Opere, voI. XXXII, p. 470.] 17Ibid., pp. 53-54.
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a battersi contro altri membri della direzione la quale, malgrado la posizione preminente occupata da Lenin, resta ancora a quest'epoca effettivame:nte collettiva: in primo luogo gli altri membri dell'Ufficio politico, ma anche quelli del Comitato centrale, possono imporre le loro opinioni e lottare per guadagnare la maggioranza. Lenin come gli altri deve dunque, in caso di dissidio, ricercare appoggi, operare abilmente e fare opera di persuasione affinché le sue proposte siano accettate, senza che il successo finale sia acquisito a priori. Grazie al suo immenso prestigio, alle sue capacità tattiche, alla sua forza di persuasione, egli otteneva, è vero, la prevalenza nella maggior parte dei casi in cui erano in giuoco problemi di fondo. Quando è necessario, Lenin arriva sino ad organizzare i partigiani delle sue tesi in un modo che avrebbe potuto essere tacciato di frazionismo se qualcuno avesse osato lanciare contro di lui una tale accusa. I metodi utilizzati sarebbero peraltro sembrati del tutto ordinari in un contesto diverso da quello dell'interdizione delle frazioni. Si dice sovente che Lenin era «il padrone della Russia ». È indispensabile precisare che non era un dittatore nel suo partito, ma piuttosto un capo. La sua direzione era incontestabile e incontestata, ma essa esigeva da lui uno sforzo costante di pensiero e di organizzazione: egli doveva agire come per riaffermarla e riconquistarla ogni giorno. Un anno di malattia non gli fa certo perdere il suo prestigio, ma allenta il suo controllo effettivo degli affari. Opporsi a Lenin diventa un mezzo per affermarsi, mezzo di cui Stalin non si priva nel corso dell'anno in questione. Egli ne usa infatti assai più sovente di quanto non si pensasse prima di alcune recenti pubblicazioni sovietiche. Se capita a Lenin di restare in minoranza su una questione
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Capitolo terzo Capitolo
da lui giudicata vitale, egli ricerca contro Stalin e gli altri dirigenti l'aiuto di Trockij; è a lui che si rivolge quando si trova in una qualsiasi difficoltà. Il secondo conflitto che prenderemo in esame illustra ancor meglio questi fenomeni.
quarto
STALIN, TROCKI] E I GEORGIANI
Negli anni 1920-21 le relazioni tra le sei repubbliche nazionali: Ucraina, Bielorussia, Georgia, Azerbaigian, Armenia, e Federazione russa (RSFSR), senza essere definite con chiarezza, erano regolate da una serie di trattati bilaterali tra la Federazione russa e ciascuna delle altre cinque repubbliche. In virtù di questi trattati si era stabilita una collaborazione nei settori dell'economia, della difesa e della politica estera. Ogni governo repubblicano aveva una struttura parallela a quella del governo della Russia. La direzione centrale dello Stato era garantita di fatto soprattutto attraverso i Comitati centrali dei partiti di ogni repubblica, che dirigevano i governi locali ma che attraverso i legami della disciplina interna del partito si trovavano subordinati al Comitato centrale e all'Ufficio politico di Mosca. Un secondo fattore di coesione, rafforzante la sicurezza del regime, era la centralizzazione dell'armata, anche se le repubbliche erano implicitamente autorizzate a disporre di unità militari distinte. Le tre repubbliche caucasiche, che qui ci interessano particolarmente, non erano diventate soviee, per la Georgia, tiche che nel corso del 1920
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Capitolo quarto
Stalin, T rockij e i georgiani
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solo all'inizio del 1921 dopo la loro conquista ad opera dell'Armata rossa, con la complicità più o meno grande dei comunisti locali e della popolazione operaia russa, preponderante nei centri industriali di questi paesi. Ordzonikidze era stato al tempo stesso responsabile politico e capo militare del fronte caucasico durante la guerra civile; era stato lui a conquistare militarmente al regime sovietico le repubbliche del Caucaso. Dopo la guerra restò sul luogo e rappresentò Mosca nella regione in qualità di capo dell'Ufficio caucasico del partito, il Kavbjuro. Dal 1921, per ragioni di efficienza, Lenin fa pressioni sul Kavbjuro perché proceda all'unificazione economica delle tre repubbliche soprattutto in quel che concerne le comunicazioni, le poste ed il commercio estero, nel quadro di una Federazione transcaucasica; la direzione regionale del partito sarà ribattezzata Zakkrajkom. Ordzonikidze s'incarica con impegno della cosa, impiegandovi tutta l'esperienza acquisita ed alcuni dei metodi appresi nel corso della guerra civile e delle operazioni militari. Ora, sebbene georgiano lui stesso, si scontra con l'opposizione del Comitato centrale dei comunisti georgiani che, pur approvando il rafforzamento dei legami con la Russia ed il sistema sovietico, si preoccupavano che fossero salvaguardati gli attributi dell'indipendenza nazionale. Ansiosi di ottenere un appoggio popolare in questo Caucaso dove i sentimenti nazionali e nazionalisti erano tenaci ed erano stati recentemente risvegliati dall'esperienza dell'indipendenza sotto un governo menscevico che era stato liquidato con la forza, i comunisti georgiani, con un gruppo dirigente di valore, affermavano con più forza di ogni altro gruppo nazionale del partito il principio dell'indipendenza nel quadro del sistema sovietico. Inoltre, l'opposizione dei georgiani a Ordzonikidze fu esa-
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cerbata in particolar modo dai suoi metodi di proconsole poco sensibile all'opinione dei responsabili locali. Essa era talmente decisa che Lenin ammise verso la fine del 1921 che il progetto era prematuro e che bisognava prima preparare il terreno con una campagna di propaganda tra la popolazione 1. Lo scontro tra il rappresentante del Comitato centrale di Mosca, vigorosamente sostenuto da Stalin, il cui peso politico aumentava grazie alle sue nuove funzioni di gensek, e il Comitato centrale georgiano s'intensificava, poiché anche questo si valeva di un appoggio, quello del prestigio so Macharadze, fino ad allora partigiano del Zakkrajkom. Macharadze era conosciuto per il suo internazionalismo, che a suo tempo gli aveva fatto combattere il principio, caro a Lenin, dell'autodeterminazione nazionale; egli non poteva essere facilmente accusato di «deviazione nazionalista '», errore ormai costantemente rimproverato ai georgiani da Stalin e Ordzonikidze. I georgiani sabotavano nei limiti del possibile le misure prese da Ordzonikidze per realizzare l'integrazione economica delle tre repubbliche. Essi installarono dei controlli militari sulle frontiere della repubblica georgiana, imposero dei permessi di soggiorno, ecc. 2. Mentre Ordzonikidze si preparava a ritornare all'attacco, i georgiani fecero adottare dal loro Comitato militare rivoluzionario, e poi dal congresso dei soviet della loro repubblica, delle risoluzioni ufficiali sull'inviolabilità della loro indi1 Il problema n~ionale e le relazioni tra la Russia sovietica e le Repubbliche caucasiche sono dettagliatamente trattate da R. Pipes, The Formation 01 the Soviet Union, Cambridge, Massachusetts, Harvard University ]'ress 1964, capp. V e VI. 2 Fotieva, op. cit., p. 54.
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pendenza nazionale, il cui carattere antifederazionista non era neppure velato. Tuttavia, a marzo, Ordzonikidze, sprezzando l'opposizione georgiana e contando sui dirigenti più docili dell' Armenia e dell'Azerbaigian, proclamò il progetto di costituzione della Federazione, il quale, pur promettendo la salvaguardia della sovranità delle repubbliche, annunziava la creazione di un governo federale. La tensione tra Stalin e Ordzonikidze da una parte e il Comitato centrale georgiano dall'altra aumentò di un altro grado. I rappresentanti di Mosca dichiaravano nei loro discorsi che le tendenze nazionaliste del Comitato centrale georgiano dovevano essere «bruciate col ferro rovente» 3. Questa lotta ostinata e piena di peripezie proseguì per tutto il 1922, ed a Mosca ne giungevano sovente gli echi. Questo affare, il più grave ma non il solo sorto dal difficile coordinamento delle relazioni tra le repubbliche, sopraggiunto nel mome.nto in cui lo Stato sovietico faceva il suo ingresso nell'arena internazionale, spinse i dirigenti a normalizzare e a precisare l'insieme del sistema politico nazionale del paese. Il 10 agosto 1922 l'Ufficio politico ricorse all'Orgbjuro al fine di costituire una commissione che preparasse per la prossima sessione del Comitato centrale un progetto di regolamentazione delle relazioni della Federazione russa con le altre repubbliche. Lenin era malato e controllava sempre meno gli affari. I dirigenti avevano visibilmente fretta, e forse avevano già un'idea precisa delle conclusioni alle quali sarebbero arrivati, poiché la commissione era già costituita all'indomani stesso della decisione dell'Ufficio politico. La sua composizione non è priva di interesse. Vi si trovano, come rappresentanti del centro, Stalin, Kujbyscev, 3 Ibid.
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e i georgiani
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Ordzonikidze, Rakovskij, Sokol'nikov e probabilmente anche Molotov, che presiedette una delle sessioni; e per le repubbliche Agamali-Ogly (Azerbaigian), Mjasnikov (Armenia), Mdivani Georgia), Petrovskij (Ucraina) e Cerviakov (Bielorussia) 4. A capo della commissione si trovava naturalmente Stalin, in quanto commissario alle Nazionalità (egli avrebbe conservato questo posto ancora per circa un anno). Forte delle sue furlzioni di gensek, poteva in quel momento influenzare la composizione delle commissioni costituite dall'Ufficio politico. Si nota infatti che i suoi amici politici sono preponderanti in seno alla commissione di cui qui ci occupiamo. È Stalin stesso a redigere, con la mano del padrone, la risoluzione relativa alle mutue relazioni tra la RSFSR e ~e repubbliche indipendenti, progetto detto «di autonomizzazione» che prevedeva l'inclusione pura e semplice di queste «repubbliche indipendenti» nella Federazione russa a titolo di «repubbliche autonome ». Il progetto stabiliva anche che il governo della repubblica russa, il suo VCIK (Comitato esecutivo centrale) e il suo Sovnarkom avrebbero costituito, a partire da quel momento, il governo dell'intero sistema 5. Il testo di Stalin fu inviato ai Comitati centrali dei partiti delle repubbliche perché ne prendessero visione; raccolse l'approvazione dell'Azerbaigian e dell' Armenia, dirette da uomini fidati, ma altrove esso fu rifiutato. Il Comitato centrale della Bielorussia rispose di preferire relazioni fondate, come era avvenuto fino ad allora, su trattati bilaterali. Secondo le nostre fonti, l'Ucraina non avrebbe preso posizione sulla questione, ma non se ne 4 Secondo le note dell'Istituto del marxismo.leninismo pubblicate nelle Soc., voI. XLV, pp. 556.60. 5 Cfr. nell'Appendice I il progetto di Stalin.
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precisa la ragione 6. La risposta dei georgiani, al contrario, fu netta: essi erano contro. La sessione del 15 settembre del loro Comitato centrale decise: «L'unificazione proposta sulla base delle tesi del compagno Stalin sotto forma d'autonomizzazione delle repubbliche indipendenti dev'essere considerata come prematura. Al contrario, l'unificazione degli sforzi economici e della politica comune deve essere considerata come indispensabile, ma salvaguardando tutti gli attributi dell'indipendenza» 7. Questa deliberazione, presa all'unanimità (1 solo voto contrario), provocò una risposta immediata di Ordzonikidze e del suo Zakkra;kom, che adottò all'istante una risoluzione favorevole al progetto di Stalin ed in più, valendosi della sua superiorità nella gerarchia del partito, ordinò al Comitato centrale georgiano di conformarsi agli ordini di Stalin e di non rendere pubbliche le sue divergenze con Mosca 8. Sempre secondo la stessa fonte, non era la prima volta che si tentava di mettere i georgiani davanti al fatto compiuto: un precedente si era già verificato quando, senza prevenire i comunisti locali, s'era deciso d'invadere la Georgia e di farla finita con quel governo menscevico. Ora, prima ancora che i suoi progetti sulla «autonomizzazione» fossero stati dipare a scussi, Stalin avrebbe telegrafato Mdivani il 29 agosto 1922 per annunziargli che ormai le decisioni delle istanze governative superiori della RSFSR - VCIK, Sovnarkom e STO (il Consiglio del lavoro e della difesa) - avevano forza esecutiva per tutte le repubbliche. Una tale iniziativa non poteva che rendere più categorico il niet dei georgiani sull'insieme del progetto. Registrate da 6 Cfr. Soc., voI. XLV, 7 Ibid. 8
p. 556.
Pipes, op. cit., pp. 271-72.
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parte di Mosca le reazioni dei Comitati centrali delle repubbliche, la commissione si riunì un'altra volta il 24 e il 25 settembre, approvando il quadrogenerale della mozione di Stalin. Ci fu una sola astensione, quella del delegato della Georgia Mdivani. La discussione dei singoli paragrafi non diede molte difficoltà a Stalin e a Molotov, presidenti delle successive sedute. Soltanto il secondo paragrafo, stabilente che il governo della Federazione russa sarebbe diventato il governo dell'insieme delle repubbliche, incontrò un'opposizione rilevante; astensione del delegato dell'Ucraina, Petrovskij, e voto ostile di Mdivani. In realtà, non era che un successo apparente. Il vero sentimento dei delegati doveva rivelarsi in occasione dell'esame di problemi secondari: è probabile che nessuno desiderasse sfidare i rappresentanti dell'Ufficio politico e dell'Orgb;uro sul terreno pericoloso di una questione di principio. Ma, allorché Petrovskij propose che il progetto fosse sottomesso ancora una volta alla discussione degli obkomy, i comitati regionali del partito nelle repubbliche, il suo emendamento che nascondeva male la volontà di rinviare la decisione e forse di sotterrarla - raccolse quattro voti su nove, tra i quali quello di un « duro» di Mosca, Agamaly-Ogly, unitosi a quelli di Mdivani, Petrovskij e Cerviakov. Questo fatto mostra la vera dimensione dell'opposizione delle repubbliche all'autonomizzazione: su sei almeno quattro in diversa misura - erano contro. Una volta respinta la sua mozione, Petrovskij insisté che figurasse a verbale la menzione che l'Ucraina non aveva ancora preso posizione sull'insieme del progetto. Il giuoco degli ucraini diventava chiaro: essi non osavano, o non volevano ancora, attaccare frontalmente il testo di Stalin -.:. forse volevano sondare il terreno e informarsi dapprima della posizione di Lenin e dei rapporti di
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forza nell'ambito dell'Ufficio politico e del Comitato centrale; ma, secondo lo storico americano Pipes, il 3 ottobre, alcuni giorni dopo le sedute della commissione, il loro Comitato centrale votò per la conservazione delle relazioni con la RSFSR nel quadro delle proposte della commissione di Frunze, cioè in quello dell'indipendenza, dello statu quo. Nel frattempo Lenin, sempre in convalescenza ma vivamente interessato al problema, domandò a Stalin delle informazioni sui progressi dei lavori della commissione. Le ottenne il 25 settembre: Stalin gli trasmise tutto il dossier. La reazione di Lenin non si fece attendere. La lettera ch'egli inviava il giorno successivo a Kamenev, suo immediato collaboratore al Sovnarkom (e non direttamente a Stalin), attirava l'attenzione di Kamenev sull'importanza dell'affare e gli chiedeva di dedicargli una riflessione approfondita. Lenin non è allarmato da avvenimenti precisi, dai metodi utilizzati per la già iniziata applicazione del progetto. Il conflitto georgiano non l'interessa ancora in quanto tale e, malgrado i suoi frequenti incontri con tutti i protagonisti dell'affare, prevale l'impressione ch'egli continui invece a fidarsi delle informazioni fornite da Stalin e dal suo amico Ordzonikidze. Se ne hanno prove supplementari il mese seguente. Nella sua lettera Lenin parla di Mdivani come di qualcuno «che si sospetta essere un nezavisimets », cioè un nazionalista nel senso peggiorativo, ma non riprende formalmente come propria tale accusa, e d'altra parte trova Stalin «un po' troppo precipitoso » 9. È dunque da considerazioni di principio e non di fatto che Lenin è portato a respingere il progetto di autonomizzazione e a proporre una
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9 La lettera di Lenin è riprodotta nell'Appendice Il.
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soluzione differente. Bisogna arrivare -
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« a una Federazione
di repubbliche
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di uguali diritti ». Per meglio garantire questa parità egli cancella nel progetto di Stalin il paragrafo relativo all'adesione delle repubbliche alla RSFSR e richiede al suo posto «una unificazione formale, unitamente con la RSFSR, in una Unione delle repubbliche sovietiche dell'Europa e dell'Asia ». Il governo russo non sarà quello dell'Unione. Lenin propone la creazione di un Comitato esecutivo federale dell'Unione delle Repubbliche sovietiche, cosi come di un Sovnarkom federale, organo che ingloba ugualmente sotto il suo controllo il governo particolare della Russia. Nacque cosi il progetto che prese il nome di URSS. Dopo la sua lettera a Kamenev (lettera che doveva essere egualmente comunicata agli altri membri dell'Ufficio politico) Lenin, dalla sua casa di campagna di Gor'kij, seguirà d'ora in avanti attentamente gli sviluppi dell'affare. Egli riceve Ordzonikidze il 29 settembre, e il giorno dopo incontra alcuni membri del cc georgiano: Okudjava, Dumbadze e Minadze. inviati d'urgenza a Mosca dai georgiani contro Stalin. È probabile che Lenin dovette deluderli, ma almeno li ascoltò. In questo periodo Stalin si comporta effettivamente come un uomo che ha fretta. Sicuro della giustezza del suo punto di vista e deciso a stabilire il fatto compiuto egli comunica, senzu aspettare il parere di Lenin, i risultati dei lavori della sua commissione a tutti i membri del Comitato centrale, come oggetto della loro prossima seduta, che deve aver luogo il 6 ottobre.' La lettera di Lenin contenente un progetto di Unione delle repubbliche sovietiche dell'Europa e dell'Asia non era ai suoi occhi che una inutile ingerenza del « vecchio» in un dominio in cui lui, commissario alle Nazionalità, aveva acquisito una solida reputa-
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zione e garantiva un procedere indisturbato degli affari pubblici, che gli agitatori georgiani non potevano pretendere di turbare a lungo. L'intervento di Lenin irritò Stalin, ma non lo impressionò affatto. Probabilmente in occasione di una delle sedute dell'Ufficio politico, Stalin e Kamenev scambiarono due brevi note a proposito del memorandum di Lenin. Nota di Kamenev: «Il'ic parte in guerra per difendere l'indipendenza ». Risposta di Stalin: «Penso che bisogna mostrare della fermezza contro Lenin» 10. È precisamente quello che faceva in quel momento, allontanandosi dalla sua prudenza abituale. Comunicando il testo di Lenin ai membri dell'Ufficio politico egli vi univa il 27 settembre una lettera dove non nascondeva la sua opinione e accusava apertamente il capo del Sovnarkom di un «liberalismo nazionale» che non avrebbe mancato d'incoraggiare i separatisti. Citiamo un estratto di questa lettera, di cui abbiamo una parte: Paragrafo 2. La modificazione apportata da Lenin al paragrafo 2 sulla creazione di un Comitato esecutivo centrale della Federazione a fianco di quello della RSFSR è a mio parere inaccettabile. La coesistenza di due Comitati centrali esecutivi a Mosca, di cui l'uno sarà sicuramente la Camera alta e l'altro la Camera bassa, genererà delle frizioni e dei conflitti [H.]. Paragrafo 4. A proposito del paragrafo 4, il compagno Lenin è, a mio avviso «un po' troppo precipitoso» reclamando la fusione dei commissariati delle finanze, dei rifornimenti, del lavoro e dell'economia pubblica, con i commissariati federativi. È appena dubbio che questa precipitazione servirà gli «indipendenti» a detrimento del liberalismo nazionale di Lenin.
5. La modificazione domandata da Lenin
nel paragrafo 5 è a mio avviso superflua 11.
Stalin rende a Lenin colpo per colpo, non senza cadere nella faciloneria e nella demagogia. L'accusa, tutto sommato abbastanza moderata, formulata da Lenin a carico di Stalin (di essere stato un po' troppo precipitoso) gli viene ritorta, e Stalin vi aggiunge una condanna di principio tacciandolo di «liberalismo nazionale». Ma non si ferma là; prevenendo i contrattacchi di Lenin, lo dichiara colpevole di un centralismo avventato, che è esattamente il contrario del preteso «liberalismo nazionale ». Tutto Stalin è, in un certo senso, in questa lettera. Si vede dal suo modo di argomentare che, per lui, la tattica passava prima di ogni altra considerazione. D'altra parte non ha creduto necessario difendere per più di un giorno le opinioni che presentava con un tono così tagliente. Rendendosi conto che sarebbe stato messo in minoranza nel Comitato centrale, cedette su tutta la linea e trasformò egli stesso il suo progetto di autonomizzazione in progetto di Unione nel senso degli emendamenti di Lenin. Il nuovo testo, firmato con i nomi di Stalin, Molotov, Ordzonikidze e Mjasnikov, fu inviato ai membri del Comitato centrale senza che i punti in contrasto con il progetto precedente fossero segnalati. I redattori del voI. XLV delle Opere di Lenin affermano che queste differenze «furono aggirate ». L'introduzione al nuovo progetto pretendeva tranquillamente non trattarsi che di una «formulaI
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lOV.I. Lenin, Biografi;a,Mosca 1963, p. 611.
11Questa lettera è riportata da Trockij (cfr. De la Révolution cit., pp. 160-61). L'Istituto del marxismo-Ieninismonon la riporta ma conferma la sua esistenza e le accuse di Stalin contro il «liberalismo nazionale» di Lenin.
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zione più dettagliata per. la prossima sessione. Mdivani, presente, non si oppose ma pretese che la Georgia fosse ammessa nell'Unione come l'Ucraina e la Bielorussia - a titolo di membro con pieni diritti e non attraverso una Federazione del Transcaucaso, che Ordzonikidze e Stalin insistevano nel richiedere. Il Comitato centrale passò oltre senza domandarsi come potesse configurarsi la Federazione transcaucasica nel quadro del nuovo progetto. Era di fatto il seguito di una vendetta personale nella quale Stalin e Ordzonikidze avevano impegnato tutto il loro prestigio: si trattava per questi due georgiani di avere ragione contro altri georgiani, ed il silenzio di Lenin su questo punto particolare non poteva che incoraggiarli. I georgiani protestarono ancora una volta a Mosca contro la Federazione transcaucasica. Essi si attirarono una dura risposta di Stalin, secondo il quale il Comitato centrale aveva respinto la loro protesta all'unanimità 14.Una nuova più violenta ondata di proteste emerse allora nel corso di riunioni clandestine, e anche pubbliche, in cui i georgiani non cessavano di proclamare e di riaffermare la loro indipendenza. Ordzonikidze cominciò a impiegare i metodi forti. Con la copertura del Segretario di Mosca, di cui egli benefìciava costantemente, allontanò dalla Georgia i sostenitori del Comitato centrale di questa repubblica, ordinando loro per via disciplinare di lasciare il paese e di mettersi a disposizione del Comitato centrale di Mosca 15. Quando al loro ritorno dalla capitale, dove avevano seguito gli sviluppi dell'affare per conto del Comitato centrale georgiano, i tre emissar~ inviati da questa repubblica fecero il loro rapporto, il Comitato centrale
zione leggermente modificata, più precisa» di quella dell'Ogbjuro, quest'ultima essendo stata «corretta nei principi e pienamente accettabile» 12. Non sappiamo se Lenin lesse la lettera critica di Stalin, né il preambolo al progetto rifatto interamente dal gensek. D'altra parte egli non ha neppure partecipato alla seduta del Comitato centrale che, il 6 ottobre, ratificò la nuova versione. Ma curiosamente, mosSO da un impulso di cui non conosciamo la ragione diretta, il giorno della seduta fece giungere a Kamenev una breve nota, che non sarebbe stata resa pubblica che quindici anni più tardi. Non senza una punta di humour Lenin esclama: Compagno Kamenev! Dichiaro guerra (e non una guerricciola, ma una lotta per la vita e per la morte) allo sciovinismo grande-russo. Non appena mi sarò liberato di questo maledetto dente, lo assalirò con tutti i miei denti sani. Bisogna assolutamente che il CEC federale sia presieduto a turno da un russo, un ucraino, un georgiano, ecc. ilssolutamente! Vostro Lenin."
Grazie all'autorità di Lenin, le cui concezioni sembrano essere accettate da tutti, il Comitato centrale adottò il progetto nel suo insieme, affidando ad una nuova commissione il compito d'una elabora12Soc., voI. XLV, p. 559. Il testo delle risoluzioni finali è riprodotto nell'Appendice IIl. 13Ibid., p. 214. [Cfr. biglietto all'Ufficio politico sulla lotta contro lo sciovinismo di grande potenza, scritto il 6 ottobre 1922, pubblicato per la prima volta nella « Pravda », n. 21, 21 gennaio 1937, in Opere, voI. XXXIII, p. 339.]
14Pipes, op.' cit., p. 274. 15 Fotieva,
op. cit.,p. 49.
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georgiano confermò a larga maggioranza la sua volontà di aderire direttamente all'Unione. Al tempo stesso Macharadze e Tsintsadze inviarono lettere personali a Bucharin e a Kamenev sperando di prevenire l'azione di Stalin. Furono ben presto disillusi: i loro due nuovi interlocutori parlavano lo stesso linguaggio del Segretario; essi risposero con nuove accuse di nazionalimso ed insistettero sulla sottomissione alla disciplina. Una delusione ancora più amara attendeva i georgiani. Quando Bucharin trasmise la loro protesta a Lenin questi, che non vedeva ancora la contraddizione tra i suoi principi «unionisti », la sua risoluzione di combattere lo sciovinismo grande-russo e la politica praticata nei riguardi della Georgia, rispose immediatamente con un telegramma glaciale ed irritato: 21/10/22
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(cifrato)
Tbilissi, al cc del PCG, Tsintsadze e Kavtaradze (copie al membro del Comitato centrale Ordzonikidze e al Segretario del Zakkra;kom Orahelachvili). Stupito dal tono sfrontato della nota per comunicazione telefonica diretta firmata Tsintsadze e altri, che mi è stata trasmessa non si sa perché da Bucharin e non da uno dei segretari del Comitato centrale. Ero persuaso che tutte le divergenze si fossero esaurite colle risoluzioni . del Plenum del Comitato centrale, a cui abbiamo partecipato sia io (indirettamente) che Mdivani (direttamente). È per questo che condanno risolutamente le invettive lanciate contro Ordzonikidze e insisto sul trasferimento del vostro conflitto, su un tono conveniente e leale, perché esso sia deciso dal Segretario del cc del PCR, al quale trasmetto la vostra dichiarazione per comunicazione telefonica diretta. Firmato:
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Lenin era dunque talmente sicuro del valore delle sue informazioni sulla questione da rimettere la protesta contro Ordzonikidze e Stalin nelle mani di... Stalin ! Al limite della resistenza, disperando di trovare giustizia a Mosca, esasperato per le «deportazioni» ordinate da Ordzonikidze, il cc georgiano compi un gesto senza precedenti: il 22 ottobre rassegnò collettivamente le dimissioni 17. Ordzonikidze probabilmente non attendeva che questa occasione. Il suo Zakkrajkom nominò immediatamente un nuovo Comitato centrale composto di giovani incompetenti e docili, che accettarono senza battere ciglio la Federazione. Il segretariato di Mosca si era affrettato ad accettare la dimissione del vecchio cc e le nuove nomine. Tuttavia l'ascesso non era ancora guarito. I membri del Comitato centrale dimissionario non avevano rinunziato alla lotta. Il cambiamento di équipe non faceva che sottolineare l'impopolarità di Ordzonikidze nel suo paese natale; ciò gli causava la più viva irritazione, tanto più che le misure concrete di messa in opera della Federazione avanzavano troppo lentamente per i suoi gusti, sabotate com'erano dai partigiani dell'indipendenza georgiana. Gli incidenti, gli intrighi, le lagnanze a Mosca si moltiplicarono. Nel corso di uno di questi scontri i nervi di Ordzonikidze saltarono: egli colpi un altro membro del partito, partigiano di Mdivani. Questo si verificò durante una seduta privata presso Ordzonikidze. Rykov, assistente di Lenin e membro dell'Ufficio politico, era presente 18. L'« impetuoso 17Fotieva, op. cit., p. 52. Di fatto nove membri su undici del Comitato centrale georgiano dimissionarono. 18Ibid., p. 75. L'incidente si è prodotto senza dubbio verso la fine di novembre.
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16Soc., voI. UV, pp. 299-300. "
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Sergo» (Ordzonikidze) si credeva invulnerabile. Ma questa volta una protesta contro di lui e una domanda di apertura di un'inchiesta, pervenute a Mosca con la firma di Macharadze e di altre personalità, non potevano più essere ignorate 19. Pur ostinandosi a difendere «la linea del Zakkra;kom, giusta in sede di principio» e a fustigare «le posizioni fondamentalmente scorrette» del Comitato centrale
georgiano
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che essi designano
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dubbio sulla imparzialità della commissione, i cui tre membri Dzerzinskij, Lozovskij e KapsukasMitscevitchius erano stati proposti da Stalin, ma è almeno chiaro che egli diffidava ormai dei suoi primi informatori e cercava altre fonti per formarsi una opinione sugli avvenimenti. Rykov si recò in Georgia, non si sa se perché inviato da Lenin o per altre ragioni. In ogni caso doveva seguire anch'egli l'affare e riferirne a Lenin. Quest'ultimo attende con un'impazienza ogni giorno crescente il ritorno della commissione e di Rykov. Le segretarie notano fedelmente nel Diario le sue incessanti domande sui loro itinerari. Arrivati a questo stadio dello sviluppo dell'affare, possiamo avanzare qualche osservazione di ordine generale. Non si è più in presenza di un semplice divario, inevitabile nel corso dell'applicazione di una linea politica, tra principi e fini da una parte e metodi utilizzati dall'altra. Adesso l'insieme dei mezzi adoperati esprime un mutamento di obiettivo, in certi dirigenti - inconche avviene spesso sapevolmente: essi hanno fatto in realtà del centralismo nello Stato il principio supremo. Ordzonikidze si comporta da vero e proprio governatore generale, si beffa di considerazioni legalitarie e statutarie, impiega la violenza pura e semplice contro i comunisti delle repubbliche nazionali, fa in sostanza tutto ciò che gli oppositori all'interno del partito e sovente, per un paradosso, gli stalinisti stessi, inglobano sotto il termine critico di administrirovanie. Queste pratiche si irrigidiscono in un sistema che si vuole giustificare con motivazioni differenti da quelle che avevano determinato la rivoluzione di ottobre. Pur sottolineando la necessità di prudenza, circospezione, duttilità, soprattutto a proposito del difficile problema nazionale, Lenin dirigeva una dittatura che non poteva soprav-
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nei loro
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commentari col nome di «gruppo di Mdivani» i presentatori delle Opere di Lenin nella loro ultima edizione enumerano tuttavia una serie impressionante di «errori commessi da Ordzonikidze »: «Non ha dato prova della duttilità e della prudenza necessarie nella direzione della politica nazionale del partito in Georgia, ha usato metodi amministrativi, ha preso troppo rapidamente certe misure, non ha sempre tenuto conto delle opinioni e dei diritti del Comitato centrale del Partito comunista di Georgia. Non ha d'altra parte mostrato un'opportuna padronanza di sé nelle sue relazioni con il gruppo di Mdivani » 20. A questo punto Lenin comincia ad inquietarsi. Una lettera del georgiano Okudjava, membro del cc dimissionario, che accusava Ordzonikidze di avere proferito minacce contro i comunisti di Georgia, l'avrebbe di colpo allarmato 21. Quando l'Ufficio politico gli fece pervenire, per il voto, i nomi dei membri della commissione d'inchiesta che il Segretario inviava in Georgia per ricondurre la pace in seno al partito, Lenin (lo si legge nel Diario in data 24 novembre) preferì astenersi. Non sappiamo se in tal modo egli intendesse manifestare un
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19Ibid., p. 52. 20Soc., voI. XLV, p. 595. 21 Pipes, op. cit., p. 281.
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vivere se non mostrandosi implacabile. Non è sorprendente che egli abbia contribuito a designare dei dirigenti capaci di vincere; così Ordzonikidze era stato inviato nel Caucaso da conquistatore. Tra questi delegati e commissari, comandanti di fronti e segretari di grandi regioni (nel corso dei combattimenti della guerra civile ed immediatamente dopo) si ritrovano le due grandi categorie di militanti che compongono il partito. Gli uni erano intellettuali sensibili alle esigenze della dottrina, idealisti attaccati alla loro visione del socialismo: essi erano stati iniziati in maggioranza ad un marxismo di tipo occidentale, in modo particolare attraverso lunghi soggiorni in Europa durante l'emigrazione. Gli altri erano anzitutto degli esecutori, degli uomini d'azione, degli specialisti della rivoluzione, più aderenti alle realtà quotidiane; la loro formazione e le loro capacità ne facevano raramente degli intellettuali: erano per lo più degli antichi agitatori dell'interno i quali non avevano conosciuto l'emigrazione. Ciascuna di queste due categorie d'uomini aveva avuto un ruolo da svolgere nei compiti della rivoluzione, della guerra civile, in quelli proposti dagli ideali di Lenin. Ma il corso degli avvenimenti, più tragico e più tormentato di quanto i teorici avessero previsto, doveva ben presto dare la prevalenza agli attivisti della tempra di Ordzonikidze, Kaganovic, Molotov, Kujbyscev o Stalin piuttosto che ai Rakovskij, Krestinskij, Serebrjakov, Preobrazenskij, Macharaclze, Trockij, ecc. La terribile logica della realtà russa spingeva gli uni verso destini catastrofici e prometteva agli altri un lungo regno sebbene alcuni di questi dovessero essere eliminati dalle grandi purghe del 1936-38. Isaac Deutscher propone di distinguere tra i bolscevichi quelli che restavano attaccati ad un'immagine ideale e quelli che si attaccavano piuttosto al potere. Nel processo
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della realizzazione dell'ideale comparvero dilemmi sempre più gravi, e la separazione tra queste due categorie d'uomini divenne sempre più netta 22. La personalità di Lenin rappresentava in un certo senso una felice sintesi di questi due tipi caratterologici; egli poteva così unire una fedeltà ideale alle basi dottrinali ad un prammatismo che lo preservava da ogni rigidità dogmatica, utopistica o conservatrice. Era questo che faceva insieme la sua forza, la sua debolezza e i' suoi tormenti; era questo che gli permetteva di collaborare con Trockij e di affidare nello stesso tempo a Stalin cariche della più alta responsabilità. L'ascesa di Stalin si era realizzata nel corso della «guerra civile» e
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della malattia
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di Lenin.
Malgrado
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e benché il paese quasi non lo conoscesse affatto, mentre Trockij godeva d'una immensa popolarità, Stalin era diventato sotto Lenin un dirigente di prim'ordine; Lenin lo riconosceva come tale. Lo si nota in modo particolare nella lettera sulla costituzione dell'uRss scritta a Kamenev il 26 settembre, lettera in cui Lenin si felicita di avere strappato a Stalin una concessione su di un paragrafo del progetto. Lo studio del «testamento» confermerà questa constatazione. Nel corso del 1922 Lenin vede sovente Stalin ed ogni volta s'intrattiene a lungo con lui. La sua fiducia in lui è provata dal fatto ch'egli ha potuto nel conflitto georgiano dargli per un anno di seguito costantemente ragione contro gli uomini di Mdivani, malgrado i suoi incontri personali con i rappresentanti del loro gruppo. Tuttavia, confrontando le loro rispettive concezioni defIa: questione nazionale, si può misurare quanto profonda fosse la differenza tra Lenin e Stalin. Stalin propone una Il
profeta disarmato cit., pp. 73-74.
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Capitolo quarto
soluzione tanto semplice quanto sbrigativa che cristallizzerebbe e rinforzerebbe l'esistente situazione di potere. Il governo delle RSFSR non era forse praticamente quello dell'insieme delle repubbliche? Ebbene, esso diventerà ufficialmente quello dell'Unione. In che modo procedere? Si può leggere al paragrafo 6 del progetto di Stalin: La presente decisione, se confermata dal Comitato centrale del PCR, non sarà pubblicata, ma comunicata ai Comitati centrali delle Repubbliche perché sia fatta circolare negli organi sovietici, i comitati esecutivi centrali o i congressi dei soviet delle dette repubbliche prima della convocazione del congresso panrusso dei soviet, dove essa sarà presentata come esprimente i voti di queste repubbliche.
Poiché in ogni modo era il Comitato centrale di Mosca a decidere e ad imporre la sua decisione ai Comitati centrali nazionali per «direttiva circolare », cioè attraverso un ordine la cui mancata esecuzione era passibile di misure disciplinari, dal momento che la volontà del Comitato centrale doveva alla fine essere solennemente dichiarata rispondente all'attesa delle repubbliche, il senso del progetto di Stalin è chiaro: si trattava di far ratificare il fatto compiuto affinché esso divenisse il diritto. Lenin al contrario rifiuta di prendere in considerazione i soli strumenti amministrativi e cerca di risolvere il problema applicando i principi che da anni sosteneva. Afferma nella sua lettera, e non vi è ragione di dubitare della sua sincerità, di voler non distruggere l'indipendenza delle repubbliche sovietiche, ma creare un nuovo gradino nell'ordinamento costituzionale: «una Federazione di repubbliche indipendenti ». L'efficienza conta, certamente, per Lenin, e la soluzione adottata deve anche rafforzare lo
Stalin, Trockij
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e i georgiani
Stato; ma proprio per questo la questione delle nazionalità nel suo insieme deve essere risolta e non soppressa. L'internazionalismo non deve essere rinnegato a vantaggio del centralismo; bisogna anzi continuare a combattere la potente tradizione di oppressione che caratterizzava lo Stato zarista. Questa volontà di tenere costantemente presenti i principi dell'ideologia socialista trova la sua espressione nel progetto di Unione di Lenin, progetto che sottolinea il carattere federativo dell'Unione, i diritti delle repubbliche, la salvaguardia della loro indipendenza ed il rispetto delle loro suscettibilità. Le istituzioni da lui proposte dovevano servire di garanzia contro le usurpazioni da parte della nazione predominante. Perché questo progetto diventasse realizzabile nelle condizioni sovietiche, bisognava che il Comitato centrale di Mosca avesse la volontà, la convinzione, la forza di vegliare a che le istituzioni e le garanzie previste non restassero lettera morta, quali che fossero le pressioni in senso contrario. Bisognava pure che le repubbliche e soprattutto i comunisti locali potessero legalmente e istituzionalmente difendere nell'ambito del partito il loro -punto di vista senza rischiare di cadere immediatamente sotto i colpi di misure punitive per «attività frazionista» o per «aver rotto la disciplina ». Perché le proposte di Lenin avessero un senso si sarebbe dovuto apportare alcune modificazioni al regime interno del partito; si vedrà più avanti come ed in qual misura Lenin le avesse previste. Stalin da parte sua era sincero quando presentava la nuova versione del progetto dell'Unione come differente soltanto per qualche dettaglio dal suo egli affermava progetto iniziale, anch'esso «corretto in linea di principio ed assolutamente accettabile ». Era in effetti persuaso che il corso
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Capitolo quarto
Capitolo quinto
degli avvenimenti, gli interessi reali dello Stato avrebbero avuto la rivincita, e che comunque l'Unione avrebbe funzionato cosi com'egli l'aveva prevista 23. Stando cosi le cose, egli non vedeva inconveniente sulla carta alcuno nel cedere completamente di fronte a Lenin. D'altra parte ai suoi occhi non vi era divorzio tra i principi del programma bolscevico e la pratica. Lenin al contrario si accorgerà di questa sfasatura e riterrà d'esserne in parte responsabile e di dover evitare che gli avvenimenti prendano una piega troppo divergente dalla sua volontà.
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IL MALATO ED IL SUO SORVEGLIANTE
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.~
23 [Sulle
posizioni
«ufficiali» di Stalin sulla questione georgiana cfr. in Stalin, Opere, Roma, Rinascita 1952 La questione dell' unione delle repubbliche nazionali indipendenti
(intervista di Stalin alla «Pravda », 18 novembre 1922,
voI.V, pp. 169-77);Sull'Unionedelle RepubblicheSovietiche (Rapporto al X Congresso dei soviet di tutta la Russia, 26 dicembre 1922), ibid., pp. 178-90, nel quale si sostiene la necessità della «Unione» e si propone il progetto di risoluzione approvato dal Presidium del Comitato esecutivo centrale di tutta la Russia. Cfr. ancora la versione di Stalin sulla questione georgiana, l'allontanamento di Mdivani e Macharadze, le due commissioni successive Dzerzinskij e Kamenev-Kujbyscev, sino alla risoluzione in senso «orientale» della questione dopo la polemica con le posizioni di Bucharin e R:ikosi, in XII Congresso del PCR(b), Discorso pronunziato a conclusione del dibattito sul rapporto organizzativo del Comitato centrale, il 19 aprile 1923, ibid.,
pp. 273-82; Rapporto sugli aspetti della questione nazionale nell'edificazionedel partito e dello Stato, 23 aprile 1923, ibid., pp. 291-315; Discorso pronunziato a conclusione del. dibattito sugli aspetti della questione nazionale nell'edificazione del partito e dello Stato, 25 aprile 1923, ibid., pp. 323-28.]
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Quando nell'ottobre 1922 riprende l'attività politica, Lenin non ritrova più né la sua capacità di lavoro né l'antico ascendente. Il discorso del 20 è confuso e palesemente improvvisato. Egli vi affronta le questioni che lo preoccupano ma, attento a non seminare il panico, ad infondere coraggio al suo udi. torio, cerca di formulare soluzioni; difetta tuttavia la visione lucida delle prospettive. La NEP, indispensabile ma pericolosa, non è ancora ben controllata né sufficientemente familiare: «Questo cambiamento di direzione continua a causarci delle difficoltà, dirò anzi delle grandi difficoltà ». Ed ancora: «Le difficoltà sorgono quando ci troviamo di fronte a un problema la cui soluzione richiede molto spesso uomini nuovi, misure eccezionali e metodi eccezionali di lavoro». . Il regime attuava certo una ritirata, ma bisognava riprendersi e passare nuovamente all'attacco; non si sapeva però con qual mezzo. La situazione generale era disastrosa: Noi viviamo in un paese talmente devastato dalla guerra, uscito a tal punto di carreggiata, un paese che ha tanto sofferto e sopportato tante privazioni che siamo
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Capitolo quinto
Il malato ed il suo sorvegliante
costretti a incominciare tutti i nostri calcoli da una piccola, piccolissima percentuale, la percentuale prebellica. 1 f
L'aiuto esterno non sarebbe venuto tanto presto, e il discorso mostra un Lenin dolorosamente diviso tra' la volontà di salvaguardare tutte le conquiste e tutte le speranze del passato quelle delle giornate d'Ottobre e quelle, reali od illusorie che fossero, della guerra civile - e la coscienza che bisognava risolversi, se necessario, a ceder ancora terreno, senza perdere né la speranza né il potere. La conciliazione tra fini e mezzi non era facile. Con la NEP bisognava apprendere tutto daccapo:
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...in nome di questo nuovo studio, penso che ancora una volta dobbiamo dichiarare a noi stessi che, con la Nuova politica economica, ci siamo, sl, ritirati, ma ritirati in modo da non cedere niente di nuovo e nello stesso tempo in modo da offrire ai capitalisti vantaggi tali da costringere qualunque Stato, per quanto avverso ci sia, a stabilire rapporti e a concludere affari con noi.
Lenin si rende conto che questo ha l'aria di una scommessa, poiché i comunisti non hanno ancora esperienza degli affari pubblici e sono dominati dagli apparati amministrativi più che dominarli. La sola cosa che Lenin può proclamare ad alta voce e senza esitazione è che «la NEP continua a restare la parola d'ordine principale, urgente, esauriente, del momento» 2. Tuttavia questo nuovo 1 Soc., voI. XLV, pp. 302-03. [Cfr. discorso tenuto alla seduta plenaria del Soviet di Mosca il 20 novembre 1922 (ultimo discorso di Lenin) in Opere, XXXIII, pp. 401-02.] 2 Ibid., p. 308. [Cfr. discorso tenuto alla seduta plenaria del Soviet di Mosca il 20 novembre 1922 (ultimo discorso di Lenin) in Opere, voI. XXXIII, pp. 405-406.]
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orientamento non ha ancora ricevuto una formulazione definitiva: niente è ancora definitivamente acquisito. Qualche giorno dopo questo discorso, allorché penosi sospetti cominciano a nascere in Lenin a proposito dell'affare georgiano, i medici esigono da lui una riduzione considerevole del ritmo di lavoro. Lenin è un paziente difficile a curarsi; questo bulldozer si adatta malvolentieri all'inattività, ma deve pur arrendersi di fronte al declino delle forze fisiche. Alla fine egli accetta di partire per Gor'kij per riposarsi, ma la sua partecipazione attiva alla vita politica continua mediante lettere e telefonate. Aspetta impazientemente notizie di Rykov e di Dzerzinskij, ma consacra la parte migliore del suo tempo all'organizzazione del lavoro dei suoi assistenti, che sono in quel momento tre: Rykov, Kamenev e Cjurupa; resta costantemente in contatto con essi per definire, collettivamente, le linee delle attività del Sovnarkom. Nel suo pensiero la riorganizzazione del Sovnarkom, con una nuova ripartizione dei compiti, è visibilmente legata alla problematica della successione. D'altra parte all'inizio di dicembre Lenin invita Trockij ad un nuovo incontro, nel corso del quale gli suggerisce in primo luogo la costituzione di un «blocco contro la burocrazia », cioè in pratica di partecipare ad un comitato speciale da istituirsi per condurre questa lotta; gli propone inoltre di diventare uno dei suoi assistenti nel governo. In tale occasione Trockij esprime il suo convincimento, che datava da tempo e che costituiva probabilmente il fondamento delle sue anteriori critiche contro l'Ispezione operaia e contadina (la quale irritava fortemente Lenin), che la lotta contro la burocrazia doveva iniziare eliminando il male in coloro che l'avrebbero condotta, cioè nell'ambito
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Capitolo quinto
del partito ed in special modo nelle sue istanze più alte 3. Lenin, meglio informato e meno sicuro di quanto non fosse precedentemente, doveva adottare ben presto questa idea di Trockij e tirarne numerose conseguenze. Rykov rientrò infine dalla Georgia e fece il suo rapporto a Lenin il 9 dicembre 1922 4. Il Diario riporta solamente la menzione dell'incontro, e noi ignoriamo ciò che Rykov disse. Dzerzinskij rientrò anche lui tre giorni più tardi, e Lenin tornò da Gor'kij a Mosca per incontrarlo. L'inchiesta di Dzerzinskij andava naturalmente nel senso delle spiegazioni anteriormente fornite dal Segretario: Ordzonikidze era discolpato e tutte le colpe addossate ancora una volta a dei pericolosi deviazionisti. Ma questa volta l'attenzione di Lenin era ben in guardia, ed egli sospettava una menzogna sotto l'impalcatura della tesi ufficiale. Due fatti, che Dzerzinskij non poté nascondere, lo colpirono in modo particolare: la commissione aveva preso la decisione di richiamare a Mosca i capi del vecchio Comitato centrale georgiano a cui si attribuivano tutti i torti. Altra rivelazione: Ordzonikidze, irritato, era arrivato al punto di colpire un oppositore, anche lui membro del partito. La Fotieva racconta, e Lenin stesso conferma, che il rapporto di Dzerzinskij «l'ha profondamente abbattuto» s. La lettura del Diario mostra quanto questo incidente abbia preoccupato Lenin durante tutta la 3 Cfr. la testimonianza di Trockij su questa conversazione
in La Révolution défigurée (De la Révolutioncit., p. 165) e Deutscher, op. cit., pp. 66, 68-69. Trockij rifiutò ancora una volta di diventare assistente di Lenin, ma senza la stessa fermezza di prima. Sulle critiche anteriori di Trockii contro la RKIe il Gosplan, cfr. Soc., voI. XLV, pp. 180-82. 4 Pipes, op. cit., p. 281. 5 Fotieva, op. cit., p. 54 e Soc., voI. LIV, p. 596.
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Il malato ed il suo sorvegliante
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sua malattia. Ci si potrebbe domandare se non fosse piuttosto ridicolo attribuire tanta importanza alle esuberanze emotive di un capo di partito alle prese con la difficile applicazione della linea politica cui doveva attenersi, in un paese ancora il giorno prima in preda al massacro e alla fame. Ed effettivamente si poteva chiederselo in seno al segretariato del partito, tra uomini induriti e complici. Ma, agli occhi di Lenin, l'immagine di un uomo di governo comunista che si comporta come un satrapo in terra di conquista rappresentava un indice, un sintomo inquietante della malattia di cui il corpo politico tutto intero era affetto e delle rovine che essa poteva ancora causare. Le tortuosità dell'affare georgiano gli apparvero di colpo sotto una luce diversa. Il 30 dicembre egli doveva scrivere: Se le cose erano arrivate a tal punto che Ordzonikidze ha potuto lasciarsi andare all'uso della violenza fisica come mi ha comunicato il compagno Dzerzinskij, ci si può immaginare in quale pantano siamo scivo~ati.6
L'incontro con Dzerzinskij ebbe una influenza nefasta sulla progressione della malattia di Lenin, ed accelerò senza dubbio la crisi. La notte dovette essere agitata; il mattino del 13 dicembre due gravi attacchi obbligarono Lenin a lasciare definitivamente l'attività. I due giorni dedicati all'effettuazione delle consegne furono ancora abbastanza intensi. Lenin prosegue la corrispondenza con i suoi assistenti a proposito dell'organizzazione del lavoro al Sovnarkom; riceve qualche personalità col cui appoggio 6 [Cfr. Opere scelte, Roma 1965, p. 1784 (Sulla questione delle nazionalità o della «autonomizzazione », 30 dicembre 1922). Cfr. anche Deutscher, op. cit., p. 104.]
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Capitolo quinto
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conta d far annullare la decisione del cc concernente il moropolio del commercio estero; scambia delle lettere con Trockij e lo incarica, come si è detto, di difendere la loro comune opinione. Ancora una notte d'insomia e, il mattino del 16 dicembre, si verifica un nucvo e violento attacco. Lenin si affretta tuttavia ~ dettare un'ultima nota destinata ai suoi assisterti prima dell'arrivo dei medici. Ogni speranza di poter partecipare al prossimo Congresso dei soviet, cui s'era preparato durante le settimane precedmti la crisi, è perduta. Ormai Lenin non lascerà più la sua piccola stanza del Cremlino: era iffi)ossibile trasportarlo a Gor'kij, come si era pensate di fare. Questa circostanza sarà d'altra parte di um grande importanza per lo sviluppo delle attività del grande malato in quei 24 giorni nel corso :lei quali egli doveva ancora conservare le sue c!"pacità intellettuali. Da questo momento in poi le visite gli sono proibite: egli non vedrà che sua 1J1)glieKrupskaja, sua sorella Marija llinicna e tre) quattro delle sue segretarie, senza contare naturalnente il personale medico. Alle persone che lo cirondano è proibito trasmettergli qualsiasi lettera o informarlo dei correnti affari di Stato, al fine «di non procurargli materia di riflessione e preocctpazione » 7. Così comincia la sfibrante lotta di Lenin per essere tenuto al corrente di ciò che l'interessa, per esprirrere le proprie opinioni e metterne al corrente gli oqani competenti. Non si tratta del capriccio di un malato che, rifiutando di accettare l'approssimars: della morte, prosegue un sembiante di attività. :'enin al contrario si rendeva conto che la morte poteva coglierlo all'improvviso in un momento in cui il paese e il partito si trovavano in una 7 Soc, voI. XLV, p. 710.
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Il malato ed il suo sorvegliante
situazione estremamente difficile, senza un chiaro programma di azione, senza che fosse stata neppure abbozzata la linea da seguirsi nel futuro; sentiva di dover dire almeno l'essenziale sui problemi più impellenti, che questo era il dovere del capo dello Stato, del leader di una rivoluzione senza precedenti. Si giudicava che lo stato del malato si sarebbe aggravato per le preoccupazioni politiche, ma era ben più grave preoccupazione per il capo dello Stato
quella
di non
poter
assolvere
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nella
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sura in cui era umanamente possibile - sino in fondo il suo compito. L'ambiguità della situazione si trova ad essere ancora accresciuta dal fatto che l'uomo incaricato di vegliare a che il regime del malato fosse scrupolosamente rispettato non era altri che Stalin 8. Le prescrizioni erano date dai medici, ma in coordinamento costante con il sorvegliante nominato dal Comitato centrale. Stalin era ufficialmente incaricato di tenersi al corrente di quanto avveniva al capezzale di Lenin, e vi si applicò con zelo. Un significativo incidente sopraggiunto tra la Krupskaja e Stalin chiarisce in che senso egli intendesse svolgere il suo compito. Il 22 dicembre, apprendendo dai suoi informatori che il giorno prima la Krupskaja aveva scritto una lettera (in realtà un biglietto) sotto la dettatura di Lenin, la chiamò a telefono e la coprl, afferma la stessa Krupskaja, «di ingiurie indegne e di minacce » 9. Pretendeva di incriminarla davanti la Commissione centrale di controllo del partito per la sua «infrazione» alle prescrizioni del regime del 8 Per una decisione del Comitato centrale del 18 dicembre 1922, cfr. ibidem, p. 608. 9 La lettera
della Krupskaja
sembra con dei tagli Appendice V.
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a Kamenev
è riportata
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in Soc., voI. UV, pp. 674-75. Cfr.
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Il malato ed il suo sorvegliante
Capitolo quinto
tesi di Trockij concernenti la NEP: intendeva anzi che fossero pubblicate in opuscolo e largamente diffuse. Era questo senza dubbio un notevole riconoscimento, trattandosi di un problema tra i più complessi della politica sovietica e causa per Lenin di gravi preoccupazioni. Non è sorprendente che Stalin, più interessato di chiunque al problema della successione, abbia sussultato di indignazione apprendendo questa notizia, segno della stima di Lenin per Trockij, tanto più che il riavvicinamento poteva già sospettarlo - dodei due uomini veva accompagnarsi ad una vera e propria campagna contro di lui, Stalin. È per questo che egli farà il necessario per rafforzare ancora la sua sorveglianza su Il'ic. Ed eccone una testimonianza: una telefonata fatta a una vicina collaboratrice di Lenin, la Fotieva, sua segretaria principale. Il tono è questa volta corretto. La Fotieva nota nel Diario il 30 gennaio: «Stalin ha domandato se non dico a Vladimir Il'ic delle cose di troppo. Come mai egli è al corrente delle faccende in corso? Per esempio il suo articolo sull'Ispezione operaia e contadina mostra ch'egli è informato di certe circostanze ». Si trattava ancora di una questione attraverso la qual~ Stalin era preso di mira personalmente, in modo velato senza dubbio, ma evidente per l'interessato. È contro tale sorveglianza e contro tali limitazioni alle sue attività, del resto ben nascoste sotto un manto di legalità, che Lenin dovrà dar battaglia. Questa comincia il 23 dicembre. Egli è stato scosso da un forte attacco della malattia nel corso della notte dal 22 al 23. Ha potuto tuttavia addormentarsi, ma constata il mattino d'avere nuovamente una parte del corpo (la mano e la gamba destre) paralizzata. La notizia è immediatamente comunicata all'Ufficio politico. Malgrado lo choc
malato. Tale volgarità era senza precedenti nelle relazioni tra i capi del partito e la famiglia di Lenin. Non vi era evidentemente alcuna ragione di dubitare della devozione della Krupskaja al malato e della sua competenza a vegliare su di lui. L'intervento di Stalin non era neanche giustificato di diritto: la Krupskaja aveva avuto l'autorizzazione del medico curante, e Stalin poteva facilmente verificarlo. Egli aveva lasciato da parte ogni considerazione di prudenza e di tatto poiché aveva agito in un vero e proprio accesso di collera: la lettera di Lenin era quella indirizzata a Trockij per felicitarlo di aver vinto «senza colpo ferire» alla sessione del Comitato centrale, nel dibattito dedicato al monopolio del commercio estero. Stalin non ignorava niente delle relazioni sempre più strette che in questi ultimi tempi si intrecciavano tra Lenin e Trockij. Nel corso del 1922 se ne era ben poco preoccupato, dal momento che i due « grandi », senza combattersi su questioni di principio, erano perennemente in controversia sugli affari correnti. Cosa che non aveva impedito a Lenin di proporre a Trockij di diventare suo assistente; ma Trockij aveva rifiutato, ed in questa occasione Stalin era riuscito, non senza una maligna soddisfazione, a far adottare dall'Ufficio politico una censura contro Trockij, per mancanza al dovere lO. Soltanto in seguito era sopraggiunta la cordiale intesa sulla questione del monopolio. Inoltre, dal 25 novembre Lenin
(l'abbiamo appreso recentemente11)
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aveva fatto
sapere all'Ufficio politico di approvare le proposte di Trockij relative alla tattica dell'Internazionale; soprattutto, nella seconda parte di questo messaggio egli esprimeva un'opinione molto lusinghiera sulle lODeutscher, op. cit., pp. 60, 71, 97 sgg. 11Soc., voI. UV, p. 314.
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Capitolo quinto
provocato da questo attacco, il pensiero di Lenin è volto essenzialmente alle sorti dello Stato e del partito. Egli esige allora il permesso di dettare per cinque minuti ogni giorno. Sente che il momento in cui bisognerà «abbandonare il campo» può sopraggiungere improvvisamente, e se non detta «quando un problema lo inquieta, non può dormire ». Il permesso viene accordato, Lenin chiama una delle sue segretarie e le detta una trentina di righe in quattro minuti. Si sente male; i medici, pronti, si tengono vicini. L'indomani egli rivendica il diritto di continuare quello ch'egli chiama il suo «diario ». I medici tentano di impedirlo, ma Lenin pone loro un ultimatum: se non gli si permette di dettare rifiuterà di curarsi 12. Un consiglio composto di medici e di membri dell'Ufficio politico (Stalin, Bucharin, Kamenev) non vede come superare la impasse. L'autorizzazione è accordata, ma la decisione dell'Ufficio politico precisa che le note non possono avere il carattere di una corrispondenza e non possono richiedere alcuna sorta di risposta 13. È così che è stato composto il «testamento »: una serie di note, brevissime all'inizio, dettate, a prezzo di un enorme sforzo, per qualche minuto ogni giorno. Tuttavia la robusta costituzione di Lenin sembra fare miracoli. Il suo stato di salute comincia a migliorare, compaiono speranze di guarigione. Potrà dettare sino a tre quarti d'ora al giorno, e potrà anche leggere e continuare la lotta tramite il suo fedele entourage: la moglie, la sorella, le segretarie, tutte devote a Lenin e a lui attaccatissime. Il «testamento» nel senso stretto del termine è costituito da note dettate tra il 23 e il 31 dicembre, con un supplemento del 4 gennaio (nelle Opere esse 12Versionedella Ul'janova,sorella di Lenin, riportata in Soc., voI. XLV, p. 591. 13Ibid., p. 710. Cfr. AppendiceVI.
Il malato ed il suo sorvegliante
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portano il titolo « Lettera al Congresso»). Ma la vera e propria sintesi delle concezioni di Lenin, il testamento nel senso vero e proprio del termine, è l'insieme degli scritti di questo periodo. In essi si può certamente trovare una visione coerente della situazione e delle prospettive internazionali, alcuni elementi validi per un programma e una linea d'azione, oltre che un tentativo di chiarificazione dei problemi dello sviluppo interno. Oltre al « testamento» vi sono - benché la maggioranza dell'Ufficio abbia talora cercato di evitarne o di rinviarne la pubblicazione
14
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cinque articoli
scritti nel gennaio
e febbraio '23. Momenti di riflessione, dettato (talora in due versioni), correzione, studi preliminari, documentazione, lettura intensa di opere sulla storia, l'economia, il socialismo, il marxismo, i problemi agrari: tutto questo lavoro era rigorosamente pia, nificato. Appena le sue condizioni migliorarono un poco, Lenin dettò «come promemoria» un piano di lavoro, che finalmente riuscì a delineare quasi interamente 15. La malattia non aveva intaccato la sua lucidità, ma la diminuzione delle forze doveva inevitabilmente riflettersi sulla rapidità di elaborazione del progetto e - a tratti - sulla chiarezza della redazione, in particolar modo nei primi dettati, troppo brevi. 14Le note di Lenin sono state tradotte in francese (cfr. Oeuvres, IV edizione, voI. XXXVI) e gli articoli raccolti in un volume (cfr. ivi, voI. XXXIII). [Nelle Appendici VII e IX sono riportati il piano di lavoro e l'ultimo articolo di Lenin. Le note e gli articoli pubblicati nel voI. XLV e le lettere pubblicate nel voI. UV della V ed. delle Socinenija sono in corso di pubblicazione nelle Opere (voI. XXXV-XLV). L'ultima antologia delle opere di Lenin (le Opere scelte cit.) è ancora basata sulla IV edizione (cfr. la nostra nota 1 alla Premessa).] 15Questo piano di lavoro è riprodotto in Soc., voI. XLV, p. 592. Cfr. l'Appendice VII. 7. Lewin
..
Capitolo
sesto
IL «TESTAMENTO» DI LENIN
,
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1
~ II
Le note che Lenin ha cominciato a dettare il 23 dicembre avevano come fine - egli lo afferma sin dalla prima riga - di proporre al prossimo Congresso del partito l'esecuzione di «una serie di mutamenti nella nostra struttura politica» l. Egli elenca con estrema concisione le ragioni che lo spingono a proporre tali cambiamenti: la direzione del paese avrà senza dubbio da affrontare una congiuntura poco favorevole, dal momento che la lotta nell'arena internazionale si aggraverà. È necessario in primo luogo rafforzare l'unità del Comitato centrale, affinché esso sia in grado di assolvere quel compito urgente che è la riorganizzazione, o piuttosto la ricostruzione dell'apparato dello Stato, al fine stesso d'impedire al partito di soccombere al pericolo che lo minaccia: la scissione, che potrebbe sopraggiungere come conseguenza delle lotte tra gruppi o tra personalità. Secondo Lenin la stabilità del partito è in pericolo. È questa la questione ch'egli considera come prioritaria. Primo rimedio: un notevole aumento del numero dei l Soc., voI. XLV, p. 343. [Cfr. Opere scelte cit., p. 1773, Lettera al Congresso, 23 dicembre 1922.]
92
Capitolo sesto
membri del Comitato centrale permetterebbe a questa assemblea di rafforzare « mille e mille volte» la stabilità del partito. Lenin propone anche «di dare, a certe condizioni, un carattere legislativo alle decisioni del Gosplan, andando incontro a questo riguardo al compagno Trockij, fino ad un certo punto e a certe condizioni» 2. Non è possibile comprendere a fondo tali idee se non le si inserisce nell'insieme del piano di Lenin; tuttavia quello che ci interessa qui è il ruolo giocato da queste note nello sviluppo delle relazioni tra i capi e della loro lotta. La prima nota, quella del 23 dicembre - l'abbiamo saputo recentemente - fu inviata immediatamente a Stalin per essere consegnata ai membri dell'Ufficio politico. Stalin non la mostrò probabilmente a nessuno 3. Questo nuovo sintomo di riavvicinamento a Trockij non poteva lasciare dubbi: si trattava. in effetti di un tema (il Gosplan) che era stato oggetto di dissidio tra Lenin e Trockij nel corso di tutto il 1922. Seguiranno altre note, che avrebbero potuto rassicurare Stalin se ne fosse stato al corrente. Ma per un certo tempo esse non furono più comunicate a nessuno: erano, secondo le indicazioni di Lenin, «categoricamente segrete » 4. Le divergenze più serie e la scissione che poteva
del regime
ave-
po-
2
risultarne
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vano ragione di poter contare su di essa -
i nemici
Il «testamento» di Lenin
il
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Ibid.
3 Soc., voI. XLV, pp. 593-94. 4 Ibid., pp. 592-93. Le note dovevano essere preparate uno per gli archivi segreti, uno per in cinque esemplari e poste in buste sigillate. È Lenin, tre per la Krupskaja
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la Volodiceva che rivelò questo dettaglio nel 1929. Soltanto Lenin aveva il diritto di aprire queste buste e, dopo la sua morte, la Krupskaja. Ma la Volodiceva non osò scrivere sulle buste le parole fatidiche «dopo la sua morte ».
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tevano avere due origini. L'una consisteva nella stessa base sociale del regime. Tutto il sistema riposava sulla alleanza tra operai e contadini; se questa falliva era «inutile prendere queste o quelle misure e in generale discutere della stabilità del nostro cc ». Ma quest'eventualità restava lontana ed improbabile. Il pericolo più immediato risiedeva nei rapporti personali nelle alte sfere del potere. « Una buona metà del pericolo di quella scissione» 5 cui Lenin voleva far fronte dipendeva dalle relazioni tra Stalin e Trockij. Fatta questa constatazione profetica, Lenin abbozza i ritratti di sei personalità: Stalin e Trockij, Zinov'ev e Kamenev, Bucharin e Pjatakov. Redatte il 23 e 24 dicembre, quando lo stato di salute del malato era estremamente allarmante, queste note portano il segno di un doloroso sforzo di riflessione e di sintesi critica per dire l'essenziale senza rischiare di mancare, per una parola imprudente, l'obiettivo voluto: la continuità e la stabilità del potere nelle mani del partito unito. Dei due uomini più giovani, Bucharin e Pjatakov, l'uno è un brillante teorico, favorito del partito, l'altro ha volontà e grandi capacità. Ma hanno ugualmente delle carenze. Il pensiero di Bucharin non è interamente marxista «poiché in lui vi è qualcosa di scolastico (non ha mai appreso e, penso, non ha mai compreso a fondo la dialettica)>>. Pjatakov da parte sua è «...troppo attratto dal metodo amministrativo e dall'aspetto amministrativo dei problemi, perché si possa contare su di lui in una seria questione politica ». Entrambi tuttavia (hanno rispettivamente trentaquattro e trentadue anni) potevano ancora correggere le proprie carenze. Su Zinov'ev e Kamenev Lenin fa un'unica osser[Cfr. Opere scelte cit., pp. 1774-775.]
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Capitolo sesto
vazione, la cui interpretazione solleva però qualche difficoltà: si tratta del loro «episodio di Ottobre », della loro debolezza al momento del colpo di Stato: Ricordo soltanto che l'episodio di cui sono stati protagonisti nell'ottobre Zinov'ev e Kamenev certamente non fu casuale, ma che d'altra parte non glielo si può ascrivere personalmente a colpa, cosl come il non bolscevismo a Trockij.
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Perché questo richiamo al passato? È una messa in guardia o una discolpa? Oppure le due cose insieme? A tale quesito sarà forse più facile rispondere alla luce dei ritratti che Lenin traccia di Stalin e di Trockij, i cui caratteri opposti potevano provocare una scissione improvvisa e non intenzionale: Il compagno Stalin, diventato segretario generale, ha accentrato nelle sue mani un immenso potere ed io non sono sicuro che egli sappia servirsene sempre con sufficiente prudenza. D'altro canto il compagno Trockij, come ha dimostrato la sua lotta contro il cc nella questione del Commissariato del popolo per i trasporti, si distingue non solo per le sue eminenti capacità. Personalmente egli è forse il più capace tra i membri dell'attuale cc, ma è anche uno che ha una eccessiva sicurezza di sé e una tendenza eccessiva a considerare il lato puramente amministrativo dei problemi.6 L'idea che Stalin e Trockij fossero i due capi eminenti aveva, per il posto riconosciuto a Stalin, di che stupire il paese, ferire Trockij e sorprendere sgradevolmente Zinov'ev e Kamenev, i quali nel futuro triumvirato dovevano credersi ancora, per
qualche anno, i più forti. Essa consacrava forse per Lenin la presa di coscienza di due fatti nuovi: l'importanza della carica di segretario generale, creata appena otto mesi prima, e la possibilità per il suo detentore d'aver acquisito un potere immenso in così breve tempo. Si può notare allo stesso tempo che il parallelo tra i due capi61a è formulato in termini tali da non permettere di scoprirvi la minima preferenza. Infatti le qualità riconosciute a Trockij sono controbilanciate da importanti difetti. In che senso pesava la critica della sua «disposizione a non considerare che il lato puramente amministrativo dei problemi »? Bisogna ricercare le qualità che Lenin esigeva da un vero capo: cosa che egli chiarisce nelle note sul Gosplan. Il 27, 28 e 29 dicembre Lenin enumera e ripete con insistenza quali siano a suo parere le qualità richieste per dirigere qualsiasi istituzione statale, che sono certamente le stesse necessarie ai detentori delle cariche supreme. Secondo Lenin il capo deve possedere una solida preparazione scientifica in uno dei rami dell'economia e della tecnologia, deve essere in grado di cogliere una realtà globale, deve essere in grado di esercitare un forte ascendente sulle persone al fine di guidarne e di controllarne il lavoro. Al tempo stesso deve essere dotato di capacità di organizzatore e di amministratore. Ma «la combinazione di queste due qualità in una sola persona difficilmente potrà trovarsi, e forse non sarà nemmeno necessaria» 7. Per una istituzione come il Gosplan l'aspetto amministrativo doveva restare secondario. Dei due uomini che costituirebbero un' équipe ideale, è lo scienziato, uomo di riflessione ma anche ben dotato 7 Ibid., p. 351. [Cfr. Opere scelte cit., p. 1780 (continuazione della lettera 28 dicembre 1922 sul carattere legislativo delle decisioni del Gosplan).]
6 Soc., voI. XLV, p. 345. [Cfr. Opere scelte cit., p. 1775 e A. Rosmer, A Mosca al tempo di Lenin cit., pp. 281 e 282.]
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per i contatti umani, che deve essere il capo. Senza dubbio Lenin pensava di aver trovato qui la formula ideale per la direzione dell'intera macchina statale. Egli non vi avrebbe cosi marcatamente insistito se si fosse soltanto trattato di mantenere Krzizanovskij alla testa del Gasplan, ponendogli a fianco Pjatakov. Ora, Trockij e Stalin non formavano un tale tandem. Invece di completarsi tendevano piuttosto ad escludersi mutuamente. Era senza dubbio ingiusto rimproverare a Trockij un atteggiamento rispondente alle circostanze della guerra civile, e che in quelle precise circostanze rappresentava una forza e una garanzia di successo. In circostanze differenti, Trockij era capace di affrontare i problemi dello Stato e della rivoluzione in modo più scientifico che non gli altri membri del Comitato centrale. Egli era certo capace di cogliere una « 1;ealtà globale », come Lenin esige da un capo modello. Era in compenso dubbio che ci fosse in lui una «capacità di ascendente », e d'altra parte Lenin sapeva bene ch'egli mancava di alcune delle qualità del politico in senso più stretto: duttilità con gli uomini, gusto della tattica, capacità di manovra, abilità a destreggiarsi nei «corridoi» politici della dittatura senza inibizioni né scrupoli eccessivi. Il seguito degli avvenimenti mostrò che Trockij era incapace di giocare questo gioco e, a più forte ragione, di vincerlo; Lenin aveva ragione nel mettere in dubbio le sue capacità di uomo politico, sebbene le critiche formulate contro di lui non fossero del tutto esplicite. In breve, la posizione di Trockij esce un po' diminuita dalle considerazioni del «testamento », specialmente perché egli non è collocato su di un gradino più alto di Stalin e perché il suo non-bolscevismo, per quanto «non [debba] essere chiamato in causa personalmente contro di lui ),),è tuttavia menzionato.
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Se Lenin non trova apparentemente niente di preciso da rimproverare a Stalin, una riserva è fatta nei suoi riguardi: saprà egli usare con sufficiente ponderazione l'immenso potere che detiene? Ma, in pratica, questa riserva, quale che fosse il valore dell'intuizione che l'ispirava in questo inizio di 1923, non aveva una grande importanza politica e non poteva nuocere a Stalin. Supponiamo che la redazione delle note fosse terminata qui e che queste fossero state lette subito dopo alla tribuna di un congresso del partito: esse sarebbero parse dominate da una preoccupazione di equilibrio, dalla volontà di mantenere lo statu qua per evitare la scissione. Salta infatti agli occhi nel documento il carattere intenzionale della equa ripartizione dei riconoscimenti e delle critiche. Lenin non poteva trasmettere il suo potere: non era un monarca. Egli non si sentiva autorizzato a proporre un delfino al partito, benché il problema della successione l'avesse preoccupato già prima della malattia. Aspettando l'ora di «lasciare il campo» egli si sforzava di non nuocere, con una preferenza personale troppo marcata, alla coesione del suo partito. È possibile che, nel momento in cui dettava queste prime note, egli non ne avesse ancora una. Anche se già in quel momento era propenso piuttosto per Trockij, egli doveva nasconderlo per non avvelenare le relazioni tra i dirigenti. Non poteva ignorare le posizioni nei riguardi di Trockij dei suoi antichi compagni di lotta: quella di Zinov'ev e di Kamenev, quella di Stalin e di diversi gruppi di militanti. Il suo ,non-bolscevismo lo aveva sovente danneggiato in numerose polemiche, a proposito delle quali Lenin aveva dovuto usare il suo prestigio per difenderlo. Non poteva pensare di imporlo come erede, tanto più che sinché non si fu fatta una opinione nuova di Stalin non considerò l'ipotesi di un unico suc-
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cessore. Insomma, Lenin a questo punto suggeriva che i due capi più importanti, Stalin e Trockij, conservassero ambedue la loro preminenza; che Zinov'ev e Kamenev restassero in seconda posizione, poiché la debolezza che essi avevano mostrato nel momento di una grande prova non era fortuita e poteva dunque ripetersi; che i due giovani, Bucharin e Pjatakov, restassero infine in terza posizione in attesa di perfezionarsi. Ma - non po-
tendosi fare di meglio ~
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Stalin è troppo grossolano, e questo difetto, del tutto tollerabile nell'ambiente e nei rapporti tra noi comunisti, diventa intollerabile nella sua funzione di segretario generale. Perciò io propongo ai compagni di pensare alla maniera di togliere Stalin da questo incarico e designare a questo posto un altro uomo che, a parte tutti gli altri aspetti, si distingua dal compagno Stalin solo per questa migliore qualità, di essere cioè più tollerante, più leale, più cortese e più riguardo so verso i compagni, meno capriccioso ecc. 8
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nersi in guardia e controllare i suoi capi, non essendo essi esenti da difetti e potendo le loro rivalità avere conseguenze fatali. Inoltre non bisognava dimenticare di controllare l'uso che Stalin avrebbe fatto del suo potere. Era necessario, per esercitare questi controlli, che la competenza e il prestigio del Comitato centrale fossero rafforzati. Ma, per poter valutare la chiaroveggenza di Lenin, si noti ch'egli già da quel momento registrava il «dettaglio» che doveva sconvolgere tutto: quel «potere immenso» di Stalin che metteva fortemente in svantaggio gli altri personaggi. Dettaglio sul quale egli non faceva per il momehto commento alcuno, ma di cui più tardi, tornando sul problema delle personalità dopo aver lungamente riflettuto sulle questioni di fondo, avrebbe tirato le conseguenze. Infatti, poiché il suo stato di salute glielo permette ancora, Lenin continua il suo lavoro e dieci giorni dopo la redazione delle prime note, quando già la sua attenzione era volta verso altri problemi, aggiunge al suo « testamento », il 4 gennaio 1923, un ultimo documento che capovolge interamente il sapiente equilibrio dei primi testi o, piuttosto, corregge lo squilibrio di fatto del quale egli implicitamente si rendeva conto. Lenin propone di togliere a Stalin le sue funzioni di segretario generale:
Queste parole non erano forse l'espressione di una brusca reazione ad un fatto irritante? A questo punto si è tentati di pensare al grave affronto di Stalin alla Krupskaja, avvenuto il 22 dicembre. Stalin non l'avrebbe commesso se non avesse saputo il leone ferito mortalmente, e Lenin da parte sua, come doveva affermare in una lettera scritta due mesi dopo a Stalin, non era uomo da perdonare tali impertinenze: «Non ho l'intenzione di dimenticare così facilmente ciò che è stato fatto contro di me, e va da sé che ciò che è stato fatto contro mia moglie lo considero come fatto contro di me» 9. La reazione che rischiava di provocare in Lenin informandolo del fatto era stata una ragione sufficiente per trattenere la Krupskaja dal riferirglielo negli ultimi giorni di dicembre, poiché egli era allora troppo gravemente malato. Sul momento, essa aveva calmato la propria indignazione lagnandosi amaramente con Kamenev in una lettera che riproduciamo nell'Appendice V. Ma qualche giorno più tardi essa potrebbe aver rivelato l'incidente al ma8 [Cfr. il poscritto del 4 gennaio 1923 alla lettera al cc del pCR(b), in Opere scelte cit., p. 1776 e A. Rosmer, op. cit., p. 282.] 9 Soc., voI. UV, p. 337. Cfr. più avanti il testo della lettera. I
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rito, spontaneamente o anche perché premuta dalle sue domande, s'egli aveva notato in lei i segni di una particolare afflizione. Lenin, irritatissimo, avrebbe allora immediatamente dettato questa nota dove non parla che dei difetti di carattere di Stalin, senza fargli rimproveri d'ordine politico. I presentatori delle Opere suppongono che la Krupskaja abbia raccontato il fatto a Lenin soltanto all'inizio del mese di marzo. Ma questa versione non può essere tenuta per certa più di un'altra. In ogni caso noi ne sappiamo abbastanza su Lenin per trovare alle dichiarazioni di Il'ic contro Stalin una spiegazione che collima meglio col suo carattere e colla sua coscienza di capo responsabile, per il quale la politica stava prima di ogni altra considerazione. Lo studio della prima nota del « testamento» mostra quale fosse la più urgente preoccupazione di Lenin, e alcuni altri dati lo confermano. Non ha molto senso supporre che una offesa personale
fatta a sua moglie
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zioni per i problemi politici fossero tali da far precipitare l'aggravarsi della malattia. Le considerazioni sulla questione nazionale iniziano con un'autocritica: A quanto pare io sono fortemente colpevole verso gli operai della Russia perché non mi sono occupato con sufficiente energia e decisione della famosa questione dell'autonomizzazione, ufficialmente detta, mi pare, questione dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. IO
Segue una lunga giustificazione personale, poggiante soprattutto sulla malattia, e quindi la descrizione dell'effetto rivelatore prodotto dal rapporto di Dzerzinskij: la violenza di Ordzonikidze si era dunque scatenata a tal punto d'arrivare a colpire un oppositore comunista! «In che pantano siamo sprofondati!» Conoscendo la Russia, la sua burocrazia «appena appena ricoperta di uno strato di vernice sovietica », conoscendo soprattutto il carattere di « quell'uomo veramente russo, quello sciovinista grande-russo in sostanza vile e violento che è il tipico burocrate russo », Lenin ha potuto rendersi conto che il suo regime non ha fatto il necessario per difendere le nazioni minoritarie contro l'invasione degli aguzzini, dei dzerjimordy russi. Ma la critica va oltre: i colpevoli non sono più unicamente, com'egli aveva pensato, dei transfughi dall'antico apparato di oppressione; il regime sovietico, i capi collocati nei posti più importanti del partito avevano tenuto un vero e proprio comportamento
non dimenti-
chiamo che egli giudica i metodi bruschi «pienamente ammissibili nelle relazioni tra comunisti» abbia potuto spingerlo a un atto politico di natura tale da capovolgere il rapporto di forze nel Comitato centrale. Per farlo vi erano ragioni ben altrimenti serie. Per convincersene è sufficiente analizzare le note sulla questione nazionale e sul progetto di autonomizzazione, dettate il 30 e 31 dicembre, problemi che egli affrontò, fedele al suo piano di lavoro, una settimana dopo l'inizio dei suoi dettati. Questi testi sono tra i più importanti del «testamento» e senza dubbio i più significativi, in quanto ci permettono di misurare la profonda crisi che Lenin attraversava in questo periodo e al tempo stesso la sua onestà intellettuale, la sua audacia politica. È anche ragionevole pensare che le sue profonde preoccupa-
IOSoc., voI. XLV, p. 356. [Cfr. Opere scelte cit., p. 1783 (Sulla questione delle nazionalità o della «autonomizzazione », continuazione degli appunti, 30 dicembre 1922). Cfr. anche Deutscher, op. cit., p. 104.]
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imperialistico, non fosse che nei dettagli. Lenin sapeva bene - e non aveva paura di dirlo che una tale situazione, che egli scopriva con costernazione, riduceva a niente il valore di «tutta la sincerità dei nostri princìpi, tutta quanta la nostra difesa di principio della lotta contro l'imperialismo ». Questo era tanto più grave in quanto « il domani della storia universale sarà appunto il giorno in cui si sveglieranno definitivamente i popoli oppressi dall'imperialismo, che ora appena si destano, e in cui si comincerà la lunga e difficile, decisiva lotta per la loro liberazione» 11. Era inutile aggiungere che la sincerità socialista e rivoluzionaria del partito era altrettanto messa in questione, se si consideravano i metodi di azione che Lenin avrebbe continuato d'ora in avanti a stigmatizzare. Secondo Lenin, i capi del partito non hanno neanche compreso il più elementare principio che doveva guidarli per proporre una soluzione al problema delle nazionalità in uno spirito internazionalista. Il proletariato doveva - d'altra parte nel suo stesso interesse conquistare la fiducia degli allogeni. Questi ultimi sono profondamente diffidenti nei riguardi della nazione maggioritaria, che ha fatto loro subire le offese più sanguinose e cosi numerose e ripetute ingiustizie; perciò se la grande nazione si accontenta di proclamare una mera eguaglianza formale, il suo atteggiamento può essere qualificato borghese. Per riparare i torti commessi verso le piccole nazioni, la grande nazione degli ex-oppressori ha l'obbligo di ammettere un'ineguaglianza a suo danno, di praticare una sorta di auto-discriminazione per compensare la diseguaglianza di fatto che continua ad esistere nelle condizioni di vita a scapito delle
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11 [Cfr. Opere scelte cit., p. 1789 (Continuazione degli appunti, 31 dicembre 1922).]
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piccole nazioni. Bisogna raddoppiare le attenzioni, le concessioni e le misure che vanno a vantaggio dei piccoli popoli. Non era questa la politica di Stalin, Ordzonikidze e Dzerzinskij. Lenin condanna costoro in termini di tale severità che la sua profonda ostilità politica nei riguardi loro e dei loro simili non può più esser messa in dubbio. Stalin è accusato di essersi mostrato «fatalmente precipitoso» e «nefastamente collerico» verso il preteso «social-nazionalismo ». Dzerzinskij ha rivelato l'atteggiamento «veramente russo» che caratterizza gli allogeni russificati: responsabile di una commissione d'inchiesta, egli ha dato prova di preconcetti imperdonabili, e il lavoro della sua commissione dev'essere considerato nullo e rifatto « per correggere questa enorme massa di irregolarità e di giudizi preconcetti che senza dubbio vi è contenuta ». Lenin accusa senza mezzi termini Ordzonikidze e Stalin di essersi rozzamente comportati da grandi russi, di aver violato le regole dell'internazionalismo proletario e di essere caduti in un atteggiamento imperialistico. Egli chiede quindi per Ordzonikidze una «punizione esemplare» (secondo Trockij lo si doveva espellere dal partito, almeno temporaneamente), e per Stalin e Dzerzinskij - ambedue politicamente responsabili dei fatti una messa in stato d'accusa ufficiale. Contemporaneamente Lenin ritorce contro di loro la qualifica di «deviazionisti» 12. Riconosce che l'intero affare dell'autonomizzazione «era probabilmente ingiusto nella sostanza e prematuro »; accetta di mantenere l'Unione, ma rimane pronto a fare marcia indietro - se l'esperienza ne mostri
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e a ridurre
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sione della politica estera e della difesa, ricosti12 Cfr. più avanti, cap. VII.
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tuendo «in tutti gli altri settori la completa autonomia dei singoli commissariati del popolo» 13.Ciò che equivaleva a ritornare - dopo il successivo congresso dei soviet - alla situazione precedente. È legittimo supporre, come fa lo storico americano Pipes, che se Lenin non fosse stato messo definitivamente a terra nel mese di marzo «la struttura finale dell'Unione Sovietica sarebbe stata differente da quella che Stalin doveva darle più tardi» 14. Si può formulare un'ipotesi analoga a proposito dell'insieme delle strutture del regime sovietico. Per il momento segnaliamo che Lenin dettava le sue riflessioni sull'autonomizzazione precisamente mentre si apriva il Congresso dei soviet, che ratificò quella stessa soluzione su cui egli nutriva dubbi così forti. La Fotieva afferma che non fu un caso, poiché Lenin « provava un sentimento d'inquietudine crescente circa la soluzione corretta della questione nazionale » 15. La critica della politica delle nazionalità di Stalin e del suo comportamento verso i georgiani spiega abbastanza il brusco cambiamento di Lenin sboccante nell'idea della destituzione di Stalin. L'opinione di Lenin era fatta. Ormai, solo considerazioni di ordine tattico lo guideranno nella scelta dei metodi e dei tempi adatti alla difesa delle sue nuove idee. 13 [Cfr. Opere scelte cit., p. 1788, loc. cit.] 14Cfr. Pipes, op. cit., p. 276. 15Fotieva, op. cit., p. 50.
Capitolo settimo L'« AFFARE CLANDESTINO»
Il gennaio e il febbraio 1923 furono per Lenin due mesi di lavoro intenso. Durante questo periodo la sua salute non conobbe che degli alti e. bassi. Talora l'umore era eccellente, si constatava un miglioramento dello stato generale, Lenin era soddisfatto dei suoi dettati e scherzava; allora i medici gli accordavano un tempo di lavoro supplementare ed il permesso di leggere. Poi, quando la paralisi della mano destra sembrò diminuire, si giudicarono possibili persino i giornali e le visite. Sovente Lenin si sentiva in perfetta salute, a tal punto che credette un giorno che la sua malattia avesse un'origine nervosa 1. Ma i buoni momenti si alternavano con momenti di grave fatica, di cedimento della memoria, di difficoltà di parola, di tensione e di dolori. L'entourage di Lenin era attento alle altalene della malattia; i membri dell'Ufficio politico ne osservavano l'andamento con vigilanza. Durante quei I Cfr. il Diario in data 14 febbraio. Noi non sappiamo quale fosse in quel momento la diagnosi dei medici e in quale misura Lenin ne fosse al corrente. Il decesso fu attribuito ufficialmente all'arteriosclerosi.
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mesi si giocavano l'avvenire del potere, il destino dei suoi capi; tutto dipendeva dalla risposta che la sorte avrebbe dato al quesito: Lenin si rialzerà e potrà partecipare al Congresso del partito? Per dire che cosa? Durante questi due mesi gennaio e i progetti di Lenin divennero, attraverso febbraio cinque articoli che sviluppavano le idee espresse nelle note, un vasto programma di strategia politica preparato in vista del prossimo Congresso del partito, che avrebbe avuto luogo qualche settimana dopo. Lenin è spinto ad accelerarne la messa a punto sia dal timore di non poter assistere al congresso sia dal carattere urgente delle riforme preconizzate. In pratica tre questioni tenevano particolarmente occupata la sua attenzione. In primo luogo egli voleva prendere conoscenza dei risultati del censimento dei funzionari nelle grandi città, il quale era appena stato effettuato su sua iniziativa. La sua costante ossessione della burocrazia glieli fece ripetutamente richiedere. Alla fine, la sua segretaria dovette confessargli che questi documenti non potevano essergli forniti senza l'autorizzazione di Stalin, cosa che Lenin non sapeva. Secondo la versione della Fotieva nelle sue Memorie 2 quest'affare provocò tre giorni più tardi, il .10 gennaio, una profonda irritazione in Lenin e un mese dopo, il 12 febbraio, gli procurò una vera e propria crisi. Uno dei suoi medici, Forster, che stava già per permettergli giornali e visite, mise di colpo fine alle sue speranze e proibl «l'informazione politica ». Poiché Lenin domandava che cosa egli intendesse con questo, il medico rispose: « Ecco, per esempio siete interessato della questione del censimento dei funzionari sovietici ». TaIe risposta procurò a Lenin un tale choc che
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2 Fotieva, op. cit., p. 70.
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le sue labbra ne tremarono: che i medici fossero al corrente di tali dettagli e facessero delle simili distinzioni, ecco di che confermare i suoi sospetti. La Fotieva annota nel suo Diario con parole prudenti: «È probabile che, per giunta, Lenin abbia riportato l'impressione che non i medici dessero gli ordini al cc, ma il cc ai medici ». In realtà per la Fotieva si trattava senza dubbio non più soltanto di una semplice probabilità, ma di una vera e propria certezza 3. Secondo oggetto di preoccupazione per Lenin: il suo progetto di fusione del commissariato all'Ispezione operaia e contadina con la Commissione centrale di controllo, cardine del suo piano di riorganizzazione del Comitato centrale e dell'intero vertice dell'organigramma del partito. Si vede dal Diario com'egli domandi costantemente l'opinione del suo assistente Cjurupa e dei membri del commissariato a cui questi progetti sono stati comunicati. Egli li sollecita all'azione, alla preparazione di questi importanti cambiamenti della struttura statale, e si mostra infine fermamente deciso a portare il Congresso a conoscenza dell'intera questione. Ma le cause principali di attività e di agitazione continuano ad essere l'imbroglio georgiano e la costituzione dell'uRss. Ben precisata, nel memorandum di fine dicembre, la sua posizione di principio e espresso il suo giudizio sulle persone, Lenin doveva agire (e agire presto) al fine di riunire prima dell'apertura del Congresso i documenti necessari per precisare gli errori commessi e i ruoli rispettivi dei responsabili, stanti le misure radicali che dovevano colpire questi ultimi. Si può anche datare in modo abbastanza sod3 Cfr. le note della Fotieva neI Diario in data 1 e 3 febbraio.
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disfacente la «grande cospirazione» di Lenin grazie al Diario e a diversi altri testi sparsi nella quinta edizione delle Opere. Il 24 gennaio, dopo aver terminato e consegnato alla «Pravda» il suo articolo sull'Ispezione operaia, Lenin chiamò la Fotieva e domandò i dossiers della commissione d'inchiesta Dzerzinskij in Georgia. Egli non sapeva che questa questione doveva essere immediatamente discussa dall'Ufficio politico. L'indomani Lenin domanda di nuovo se StaliQ e Dzerzinskij gli hanno fatto pervenire il dossier. Contemporaneamente l'Ufficio politico approva ufficialmente le conclusioni della commissione, condanna una volta di più i georgiani e discolpa Ordzonikidze e Stalin. La commissione aveva espresso il parere che Mdivani, Macharadze, Tsintsadze ed altri ancora dovevano essere richiamati a Mosca. Questo parere fu accolto, e Pipes sostiene persino che l'ordine fu emanato prima ancora della riunione dell'Ufficio 4. La Fotieva riusd a tenersi al corrente di tutto ciò che avveniva nelle alte sfere. Essa doveva anche trovare il modo di informare Lenin, «per disattenzione », il 3 febbraio. Quando domanda nuovamente la trasmissione del dossier, la Fotieva urta questa volta contro una forte opposizione. Dzerzinskij rinvia la Fotieva a Stalin, e Stalin non è a Mosca. Alla fine quest'ultimo le fa sapere che non può trasmetterle il dossier senza un'autorizzazione dell'Ufficio politico. La richiesta di Lenin lo inquieta. Egli interroga la Fotieva per sapere se essa non riferisca troppe cose a Lenin, che deve essere tenuto rigorosamente lontano da ogni informazione sugli affari ordinari. La Fotieva evidentemente nega, ma essa ripeterà la cosa a Lenin, che farà questa breve osservazione ironica ed irritata: «La questione na4 Pipes, op. cit., p. 282 e Fotieva, op. cit., p. 54.
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zionale sarebbe dunque un affare ordinario? ». Lenin ha troppo insistito perché Stalin possa rifiutargli il dossier senza essere coperto dall'Ufficio, poiché non c'era dubbio che non si trattava di un affare ordinario. La Fotieva, senza precisare oltre le sue fonti, riporta uno scambio di messaggi tra Kamenev e Stalin nel corso della seduta dell'Ufficio: Kamenev: Poiché Vladimir Il'ic insiste, credo che sarebbe ancor peggio rifiutarglielo. Stalin: Non ne so niente; che faccia come crede.
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Ma evidentemente tale non era il suo desiderio, poiché egli esige di essere liberato dall'incarico di responsabile del regime medico di Lenin. L'Ufficio non ne tiene conto e decide di fare pervenire il dossier a Lenin, senza comprendere davvero che cosa egli conti di fame 5. Lenin voleva semplicemente verificare i fatti con i propri occhi. Con questa intenzione egli costituì una commissione di inchiesta privata composta da Gorbunov, suo incaricato di affari al SNK, e dalle sue segretarie Fotieva e Gliasser. Le prime questioni che questa commissione doveva mettere in chiaro
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altre emergeranno man mano che lo studio del
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dossier avanzerà
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1) Perché il vecchio cc georgiano era accusato di deviazionismo? 2) Che cosa si imputava loro come infrazione alla disciplina? 3) Perché il Zakkrajkom è accusato di repressione nei confronti del cc georgiano? 4) I mezzi fisici dell'oppressione (la «biomeccanica»). 5) La linea del cc del PCR in assenza di Vladimir Il'ic ed in sua presenza.
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erano le seguenti:
5 Fotieva, op. cit., pp. 64-65.
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6) Con chi è entrata in relazione la commissione? Ha essa indagato sulle sole accuse portate contro il cc georgiano, oppure anche su quelle portate contro il Zakkrajkom? Ha essa studiato il caso di «biomeccanica »? 7) La situazione attuale; la campagna elettorale, menscevichi, l'oppressione, la questione nazionale 6.
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certo senso passa anche immediatamente all'azione, poiché dà l'ordine seguente:
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Direttiva di Vladimir Il'ic: fare davanti a Soltz allusione all'idea ch'egli [Vladimir Il'ic] è dalla parte del più debole. Fare comprendere a qualcuno tra gli offesi ch'egli prende partito per loro. 7 .
Lenin dunque non vuole più conservare né il segreto né la neutralità: cerca al contrario di avvertire gli interessati. Soltz, messo al corrente, ne ha senza dubbio informato i membri dell'Ufficio politico, e probabilmente Stalin. I georgiani hanno dovuto, da parte loro, comunicare a qualcuno dei loro protettori la notizia. Essa dovette dunque circolare, in modo abbastanza limitato per il momento, ma sufficiente per rinforzare da ambe le parti la vigilanza. Alcuni documenti troppo compromettenti avevano potuto sparire dal dossier. Non senza stupore la Fotieva apprese da Soltz quanto segue:
Fornite di queste indicazioni e costantemente stimolate da Lenin, le tre segretarie si misero al lavoro, sperando di venirne a capo neI. giro di tre settimane. Lenin tempesta la Fotieva con quesiti di volta in volta più precisi, poiché la sua inquietudine si rivela sempre meglio fondata, la responsabilità delle persone implicate più grave. Il 14 febbraio sono date alla commissione nuove indicazioni, che sono sintomatiche dello stato d'animo di Lenin e della sua risoluzione di non lasciare nulla nell'ombra: «Tre elementi: 1) non è permesso colpire nessuno; 2) delle concessioni sono indispensabili; 3) non si può mettere sullo stesso piano un piccolo Stato e uno grande. «Stalin era al corrente [dell'incidente]? Perché non ha reagito? ». L'errore personale diventa un errore politico di estrema gravità. Leggiamo più avanti: «L'accusa di "deviazionisti" per deviazione sciovinista e menscevismo rivela la stessa deviazione nei velikoderjavniki ». Questo termine, che comprende ormai sotto una stessa denominazione gli uomini che Lenin critica, è difficile a tradursi: evoca l'idea di sciovinismo, di egocentrismo da grande potenza, d'imperialismo. Lenin è ora deciso a liquidare nel partito questa tendenza avversa. In un
Ma questo non cambia la situazione, perché la ccc dispone di un rapporto obiettivo di Rykov, che
6 Soc., voI. XLV, pp. 606-607. La «biomeccanica» è l'affronto fatto da Ordzonikidze a Kabaridze.
7 Ibid., p. 607. Queste note sono state fatte dalla Fotieva. 50hz è uno dei dirigenti della Commissione centrale di controllo.
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Dei compagni del cc georgiano gli hanno fatto rimettere dei materiali concernenti tutti i tipi di vessazione subiti dai georgiani (partigiani del vecchio cc del PCG). Per quel che concerne l'incidente [si tratta dell'ingiuria fatta a Kabaridze dal compagno Ordzonikidze] la Commissione centrale di controllo era in possesso di una dichiarazione della vittima, ma essa è sparita. Alla mia domanda: «Come, sparita? », il compagno Soltz ha risposto: «Così, sparita ».
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era allora presente sul luogo 8. (Senza perdersi nei dettagli, si potrebbe mettere in dubbio l'obiettività di Rykov, il quale il 9 dicembre, al momento del suo rapporto a Lenin, non aveva minimamente accennato all'incidente, che Lenin non apprese che tre giorni più tardi dallo stesso Dzerzinskij.) Lenin pungola la sua commissione: il suo stato di salute è precario ed egli vuole ad ogni costo essere pronto ad inviare un memorandum sulla questione nazionale al congresso ormai imminente. Ora, degli elementi nuovi potrebbero ancora richiedere un allargamento dell'inchiesta, forse persino l'invio di qualcuno sul luogo, cosa che prenderebbe molto tempo. Un qualsiasi ritardo della commissione, osserva egli il 14 febbraio alla Fotieva, rischia di guastare tutto e di provocargli il più vivo scontento. Tra 14 febbraio e 5 marzo nessuna nota nel Diario. Neppure i presentatori delle Opere forniscono alcuna indicazione su queste tre settimane. È probabile che Lenin non abbia scritto niente in questo periodo, e d'altra parte le segretarie sono assai occupate dal lavoro della loro «commissione clandestina» 9. Un fatto tuttavia ci è noto: è il 3 marzo che questa commissione consegnò le sue conclusioni l0. Ma questo documento continua a rimanere sconosciuto. Perché l'Istituto per il marxismo-leninismo non l'ha ancora reso pubblico? È forse « sparito» come la protesta di Kabaridze? Per il momento non ne sappiamo niente. In ogni caso, i risultati dei lavori della commissione dovevano dare ai due ultimi giorni attivi della vita di Lenin il 8 Fotieva, op. cit., p. 75. 9 La Fotieva menziona pertanto in Iz vospominani;... delle note prese il lO gennaio (p. 70) e il 16 febbraio (p. 75). Tali note tuttavia non figurano nel Diario. IOSoc., voI. XLV, p. 714.
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carattere di un combattimento in piena regola. Essi dovettero portare al colmo la sua amarezza e la sua collera contro i suoi collaboratori, e rafforzare la sua convinzione che il triste affare georgiano non fosse che il sintomo di un male molto più profondo. Ma le forze declinanti di Lenin non dovevano permettergli di vivere a lungo in tale tensione morale e nervosa; la sua malattia doveva uscirne fatalmente aggravata. E di fatto, sotto l'azione congiunta del dramma che viveva e del processo sclerotico in corso, Lenin cominciò a sentirsi assai male Il. Questa fu senza dubbio la ragione che lo spinse a sferrare senza indugio i colpi che da due mesi si preparava a portare contro i suoi avversari, anche se in quel momento era un po' troppo presto per farlo. I tre primi assalti furono diretti contro un solo e medesimo obiettivo: Stalin. Nascondendo ai medici il profondo turbamento che s'impadronl di lui nel prendere queste decisioni, afferma la Fotieva che si trattava disse loro soltanto di qualche lettera d'affari. Il 5 marzo verso mezzogiorno egli chiamò la Volodiceva e dettò due lettere. La prima, strettamente segreta e scritta in un tono affettuoso assai raro in Lenin, era destinata a Trockij, e il contenuto doveva essergli comunicato immediatamente per telefono. Eccola:
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Vi chiedo insistentemente di assumere la difesa della questione georgiana nel Comitato centrale del partito. Ora è fatta segno a una «persecuzione» da parte di Stalin e di Dzerzinskij, così che non posso fidarmi della loro imparzialità. Purtroppo è vero il contrario! Se voi acconsentite di prenderne la difesa io mi sentirò assai sollevato. Se per qualche ragione voi non potete Il Cfr. il Diario del 5 e 6 marzo e Trockij, De la Révolution cit.) p. 164.
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Capitolo settimo
acconsentirvi, vi prego di restituirmi tutte le carte. Lo considererò come il segno del vostro rifiuto. Coi miei migliori saluti camerateschi. Lenin. 12
Lenin non poteva far nulla senza un alleato. Trockij non era soltanto l'unico possibile, ma era anche un appoggio sicuro. Con la protezione di Lenin vivente, Trockij era ancora imbattibile in questo inizio di 1923. La formula di commiato era cosi amichevole che Stalin, obbligato a leggere
questa lettera davanti al .Comitato centrale nel luglio 1926, quando già la sua posizione non poteva più essere seriamente minacciata, preferl tuttavia trasformarla in un semplice «il mio saluto comunista » 13. Per Trockij questa lettera significava una grande vittoria: la conclusione definitiva di quel «patto contro la burocrazia» che Lenin gli aveva proposto all'inizio di dicembre e di cui egli aveva dovuto attendere invano la realizzazione 14. Poteva inoltre sentirsi autenticamente consacrato successore, e dunque rassicurarsi sulla soluzione finale dell'oscuro intrigo che si tramava contro di lui dopo l'inizio della malattia di Lenin. Quest'ultimo, avendo preso le decisioni politiche, poteva ora permettersi di spingere più lontano l'offensiva e di regolare con Stalin un conto privato. Aspettando la risposta di Trockij alla sua prima lettera, si mise a dettarne un'altra per Stalin relativa all'offesa fatta alla Krupskaja, ma la fatica, ed anche una esitazione d'ordine tattico, lo spinsero a rinviare al giorno seguente la redazione definitiva di questo difficile messaggio. Lenin si domandò senza dubbio se questo intervento concernente questioni personali non atte12Soc., voI. UV, p. 329. 13Cfr. Trockij, De la Révolution cit., p. 163. 14Ibid., p. 165.
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nuava la portata della critica di fondo, e se esso era compatibile con l'insieme della sua azione. Ma il giorno dopo, presa conoscenza della risposta di Trockij (che fu senza dubbio positiva 15),egli terminò il dettato, rilesse ancora una volta il tutto, domandò alla Volodiceva di consegnare la lettera a Stalin e di aspettare la risposta. Ecco il testo gelido di questo messaggio, inteso a colpire il più duramente possibile. Al compagno Stalin strettamente segreto, personale, copie ai compagni Kamenev e Zinov'ev. Rispettabilissimo compagno Stalin, vi siete permesso la volgarità di chiamare mia moglie a telefono e d'ingiuriarla. Essa si è dichiarata d'accordo
per dimenticare ciò che è stato detto. Tuttavia essa ne
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informò Zinov'ev e Kamenev. Non ho l'intenzione di dimenticare ciò che è stato fatto contro di me, e va da sé che ciò che è stato fatto a mia moglie lo considero diretto anche contro di me. È per questo che vi domando di decidere se siete disposto a ritirare ciò che avete detto e a presentare le vostre scuse, oppure se preferite rompere le relazioni tra di noi. Rispettosamente. Lenin. 16
Questo 6 marzo, man mano che il tempo passa, Lenin si sente sempre peggio, il che lo spinge a bruciare le tappe. La vigilia la Fotieva e Gliasser, che facevano la spola tra Lenin e Trockij - immobilizzato lui stesso per una lombaggine in un altro avevano annunziato appartamento del Cremlino
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a quest'ultimo che Kamenev e che lui, Trockij, poteva,
partiva per il Caucaso se lo desiderava, affi-
15Cfr. la nostra nota sulla risposta di Trockij nell'Appendice VIII. 16Soc., voI. UV, pp. 329-30.
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Capitolo settimo
dargli qualche commissione 17.Non si sa esattamente quale fosse lo scopo del viaggio di Kamenev. Ma Trockij, che aveva ricevuto da Lenin il memorandum del 30 dicembre e altri documenti sulla Georgia, propose di mostrare questi testi a Kamenev affinché questi potesse cominciare subito a prendere alcune misure sul posto. La Fotieva andò ad interpellare Lenin, e ritornò da Trockij portando una risposta categoricamente negativa: «Assolutamente no! Vladimir Il'ic dice che Kamenev mostrerebbe la lettera a Stalin, il quale farebbe un finto compromesso per poterci ingannare più tardi » 18. Questo avviene probabilmente nella mattinata. Poco dopo la prima risposta, la Fotieva ritornò da Trockij con nuove istruzioni di Lenin e la copia di un'altra lettera: Lenin proponeva ora di svelare tutto a Kamenev, e persino di metterlo al corrente di questo nuovo messaggio, indirizzato ai pretesi deviazionisti georgiani. Si trattava di una breve nota piena di ardore combattivo: (Rigorosamente segreto) Ai compagni Mdivani, Macharadze e altri (copie ai compagni Trockij e Kamenev)
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Stimati compagni, sono con voi in tale questione con tutto il mio cuore. Sono indignato dell'arroganza di Ordzonikidze e delle connivenze di Stalin e Dzerzinskij. Per voi sto preparando delle note e un discorso. Con stima. Lenin. 19 17Ibid., p. 329. 18Cfr. Trockij, op. cit., pp. 163-64. Il Diario e le altre fonti a cui ci riferiamo qui permettono di confermare l'esattezza della testimonianza di Trockij su questi punti. Gli capita soltanto di fare, talora, un errore di ventiquattro ore nella cronologia dei fatti. 19Soc., voI. UV, p. 330.
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Si era lontani dalla risposta irritata data ai georgiani il 21 ottobre. Lenin era giunto a conclusioni diametralmente opposte; non lo nascondeva, ed era una ragione in più per difenderle. Trockij, stupito dal brusco cambiamento di Lenin circa la partecipazione di Kamenev al segreto, domandò spiegazione. La Fotieva gli riferì quanto supponeva: «Probabilmente Vladimir Il'ic si sente peggio e si affretta a fare tutto ciò che può ». Si può prestare fede a Trockij, che cita una delle segretarie di Lenin, probabilmente la Gliasser. Quest'ultima gli disse: «Vladimir Il'ic sta preparando una bomba contro Stalin» 20. Malgrado il desiderio chiaramente espresso da Lenin che la lettera richiedente le scuse pervenisse a Stalin, la Krupskaja esitò a far trasmettere il messaggio. Il gensek già a quest'epoca le faceva evidentemente paura. Ella domandò alle segretarie di ritardare l'invio della lettera. Ma l'indomani la Volodiceva rifiutò di tergiversare: essa era tenuta ad eseguire gli ordini formali di Lenin. La Krupskaja cercò un consiglio prima di decidersi; e, come faceva sovente, fu all'amabile Kamenev che domandò un parere. È probabilmente in quest'occasione che Kamenev apprese che «Vladimir Il'ic si prepara a stritolare politicamente Stalin» 21. La Volodiceva portò allora la lettera a Stalin, che rispose immediatamente presentando le scuse (lo si seppe più tardi grazie alla testimonianza della sorella di Lenin). Ma Lenin non poté prendere conoscenza di queste scuse: quel giorno, 7 marzo, era vittima di un forte attacco della malattia. Le sue condizioni precipitavano; il lO marzo metà del corpo era paralizzata. 20 Trockij, op. cit., p. 164. 21Deutscher, op. cit., p. 127.
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Non doveva mai più ritrovare la parola 22. Così terminò la vita politica di Lenin. Aveva soltanto 53 anni; sarebbe morto 11 mesi più tardi, il 21 gennaio 1924. Il suo organismo di ferro non aveva cessato di battersi disperatamente.
Capitolo ottavo LA RUSSIA TRA OCCIDENTE E ORIENTE
22Cfr. nell'Appendice X la nostra nota sulla malattia di Lenin dopo la ricaduta del lO marzo.
La parte più caratteristica, e che colpisce maggiormente l'attenzione, dell'evoluzione del pensiero di Lenin negli ultimi ventiquattro giorni durante i quali gli fu ancora possibile formularlo ed esprimerlo, è costituita da giudizi su singole persone. Ma essi non sono che elementi subordinati, giacché in realtà Lenin non perde mai di vista i problemi d'insieme che il suo Stato deve affrontare. E naturalmente la prima analisi - quella che permette di render conto di tutti gli altri dati, di apprezzare le grandi tendenze di questa evoluzione e consente ai dirigenti di misurare le ragioni di speranza e di timore è quella della politica mondiale. Ora, per l'appunto, questa situazione si sviluppa in quel momento secondo direzioni differenti da quelle che i bolscevichi si erano attesi dopo il suçcesso della presa del potere. Nessuna rivoluzione si è realizzata nei paesi occidentali. Il paese dove tale rivolgimento era stato ad un soffio dalla riuscita non poteva sollevare la testa dal giogo imposto dai vincitori. Degli altri, i più importanti avevano acquisito una stabilità inattesa e la possibilità - così sembrava di offrire ai loro proletariati vantaggi tali che le prospettive rivoluzio-
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Capitolo ottavo
narie all'Ovest sembravano per il momento svanire. Da allora Lenin, mentre va prendendo coscienza della solitudine della Russia, comincia anche a cercare degli appoggi, rivolgendosi, con crescente fiducia, ad Oriente. Egli vi notava gli inizi di un processo di immensa portata. Sotto l'incalzare della stessa forza che bloccava e opprimeva la Germania, le masse asiatiche entravano nell'èra del capitalismo, conoscendo al tempo stesso un periodo di violente scosse rivoluzionarie di carattere nazionalistico e antimperialistico. È piuttosto dalla parte di queste forze che Lenin intravvede, a.1unga scadenza, la fine dell'isolamento russo, con la speranza di un rinnovamento delle forze rivoluzionarie nel mondo:
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della Russia, a mezzo tra il mondo della civiltà capitalistica e l'Est asiatico, unitamente ad una preponderanza, nel momento in cui parla, degli elementi orientali. Talora si cerca la spiegazione dell'affermarsi del fenomeno staliniano in un retaggio orientale: è un'interpretazione abbastanza leninista. Non è privo di interesse citare a questo riguardo un passaggio del testo Sulla nostra rivoluzione, scritto contro le tesi dei socialdemocratici. Queste ultime non tengono conto del fatto che ...la Russia - la quale sta alla frontiera tra i paesi civili e i paesi attratti definitivamente da questa guerra per la prima volta nell'orbita della civiltà, i paesi di tutto l'Oriente,
L'esito della lotta dipende, in ultima analisi, dal fatto che la Russia, l'India, la Cina ecc. costituiscono l'enorme maggioranza della popolazione. Ed è appunto questa maggioranza che negli ultimi anni, con una rapidità mai vista, è entrata in lotta per la propria liberazione, sicché in questo senso non può sorgere ombra di dubbio sul risultato finale della lotta mondiale. 1
Se lo sbocco finale è ancora oggi incerto, la previsione era giusta quanto alla dinamica della storia contemporanea. Con un senso profondo della realtà, Lenin prevede anche che lo svolgimento del processo rivoluzionario assumerà nel futuro forme ancora più originali e sconcertanti per i sostenitori di un marxismo eccessivamente s,?hematico - di quelle che aveva conosciuto in Russia. In questo contesto, Lenin analizza la specificità della rivoluzione russa. Egli la spiega con la posizione
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1 Soc., voI. XLV, p. 404. [Cfr. Meglio meno, ma meglio, in «Pravda », 14 marzo 1923, ora in Opere, voI. XXXIII, p. 457.] Cfr. Appendice IX.
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manifestare alcuni caratteri peculiari, i quali naturalmente sono compresi nella linea generale dello sviluppo mondiale, ma distinguono tuttavia la sua rivoluzione da tutte le rivoluzioni precedenti dei paesi dell'Europa occidentale e determinano innovazioni parziali quando si passa ai paesi orientali. 2
Questo fatto è fonte di difficoltà e di debolezza. Per un quarto di secolo esso trascinerà la Russia in un sistema che alcuni amano caratterizzare con la formula del «modo di produzione asiatico ». Ma esso era contemporaneamente sul piano strategico - quasi un vantaggio: la faccia occidentale della Russia era troppo debole per poter scatenare delle rivoluzioni in Occidente, ma il suo rovescio asiatico sembrava avere maggiori possibilità di giocare il ruolo di acceleratore e di modello presso le moltitudini orientali. Lenin si era con ciò conquistato una certezza, ma per un avvenire lontano. Il problema dell'uomo di Stato era di rispondere
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2 Ibid., p. 379. [Cfr. Sulla nostra rivoluzione - A proposito delle note di N. Sukhanov cit., loc. cit., p. 437.] 9. Lewin
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a questo quesito: come resisterà la Russia sino all'arrivo di questi rinforzi? Lenin non nascondeva ai suoi concittadini - sottolineiamo che le sue dichiarazioni passavano nei grandi quotidiani - che si era assai lontani dall'aver vinto la partita. C'era la possibilità per la Russia sovietica di avvantaggiarsi ancora per un lungo periodo delle contraddizioni tra l'Occidente e il Giappone, contraddizioni che avevano giocato in suo favore al tempo della guerra civile? Lenin rifiuta di pronunziarsi. Egli non lesina le profezie ottimiste quanto alla saggezza della storia in generale, ma si astiene prudentemente dal formulare previsioni troppo rassicuranti per l'immediato futuro. Va notato che la prospettiva di Lenin su tale problema non è quella adottata dai suoi successori, quella che si esprime con la tesi del «socialismo in un solo paese ». Si tratta al contrario di proderjatsija, di resistere sino all'arrivo dei rinforzi e, in attesa, di costruire non certo subito il socialismo, ma una società di transizione. In Meglio meno, ma meglio afferma: «Anche noi non abbiamo un grado sufficiente di civiltà per passare direttamente al socialismo» 3. L'idea-chiave di questo articolo, che racchiude la sostanza del lascito ch'egli intendeva legare al suo popolo prima di morire, è che gli obiettivi devono essere più modesti, più realisti, meno ambiziosi: si deve diffidare della megalomania. Ma questo realismo non giunge ancora a dissipare il grave malessere che la situazione specifica della rivoluzione russa provocava ai suoi più fervidi promotori. Rimaneva il fatto paradossale, aberrante, che il potere proletario fosse nell'impossibilità di affrontare i compiti per i quali era nato. Per quanto preoccupato di assicurare la sopravvivenza pratica della 3 [Cfr. Meglio meno, ma meglio, loc. cit., p. 458.]
rivoluzione, Lenin avvertiva però anch'egli questo malessere e si sforzava perciò di dimostrare la legittimità della rivoluzione nei termini della teoria marxista. Essendo persuasi della propria capacità di prevedere meglio di chiunque altro il cammino della storia, i marxisti erano imbarazzati dal fatto che questa si discostava - nel suo svolgimento reale - da alcuni clichés belli e pronti. La rivoluzione russa quadrava infatti cosi male con la più corrente interpretazione del marxismo, essa pareva ai suoi avversari talmente «anti-marxista », che i menscevichi, battuti e piegati sul campo dell'azione storica (soprattutto ad opera del genio politico di Lenin) potevano ora brandire contro di lui, con un sentimento di superiorità, le formule della dottrina. La presa del potere politico in assenza di una infrastruttura adeguata, la dittatura del proletariato quasi senza proletariato, accaparrata da un partito nel cui ambito quest'ultimo era minoritario, la riammissione del capitalismo dopo una rivoluzione sedicente socialista, la preponderanza di un'enorme macchina statale burocratizzata all'estremo: ecco altrettanti fatti innegabili che sfidavano la dottrina ed il senso comune. Ed ecco che ora si puntava sulle masse precapitalistiche dell'Oriente piuttosto che contare sull'Occidente civilizzato! Dal suo letto di malato, Lenin analizza queste critiche. La risposta del teorico non è più ortodossa dell'azione dell'uomo di Stato: Che fare se la situazione, assolutamente senza via d'uscita, decuplicava le forze degli operai e dei contadini e ci apriva più vaste possibilità di creare le premesse fondamentali della civiltà, per una via diversa da quella percorsa da tutti gli altri Stati dell'Europa occidentale? [...] Se per creare il socialismo occorre un certo grado di cultura [...] perché non dovremmo allora
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cominciare con la conquista, per via rivoluzionaria, delle premesse necessarie per questo certo grado in modo da potere in seguito - sulla base del potere operaiocontadino e del regime sovietico - metterci in marcia per raggiungere gli altri popoli? 4
Più precisamente, riferendosi ad una fonte abbastanza sorprendente, Lenin aggiunge: «Napoleone, se ben ricordo, scrisse: on s'engage et puis... on voit »5. La Russia sovietica contemporanea, seguita dalla Cina e da Cuba, ha provato di fatto che si può dapprima conquistare il potere, e applicarsi in un secondo tempo a raggiungere il livello delle altre nazioni. Tuttavia la massima «Ci si impegna, e poi si vedrà» non è sprovvista di ambiguità. Lenin, marxista in tutta la sua Weltanschduung e nel suo metodo di comprensione dei fatti sociali, partigiano di un'azione sempre funzionalizzata allo stadio di maturazione delle forze sociali, lontano da qualsiasi atteggiamento avventurista, sembra al tempo stesso dire che il momento della presa del potere e il modo di questa non possono essere rigorosamente calcolati nei termini di un'analisi storico-sociale teorica. L'atto rivoluzionario, come del resto ogni azione politica, è in un certo senso un'arte, nella quale il realismo si mescola intimamente al gusto del rischio. Nessuna rivoluzione concordava interamente con la teoria che la precedeva e tendeva a realizzarla. Ecco perché il messaggio di Lenin ai rivoluzionari del futuro, pur se sembra assomigliare ad un appello all'avventura, esige soprattutto che ci si sappia disfare dei clichés, quale che sia stata 4 Soc., voI. XLV, pp. 380-81. [Cfr. Sulla nostra Rivoluzione cit., loc. cit., pp. 438.] 5 Ibid., pp. 343-44.
la loro utilità in passato. In questo senso tale messaggio contiene un implicito avvertimento anche contro quei clichés che potrebbero nascere dalle stesse teorie leniniane. Tutto questo non era facile a dirsi: e Lenin non avrebbe sentito questo curioso bisogno di giustificare la sua vittoria se fosse stato sicuro della sopravvivenza del proprio regime. Ma non era questo il caso: la rivoluzione poteva ancora essere schiacciata, e Lenin non sapeva quale giudizio la storia avrebbe allora dato di essa. Lo studio dei problemi internazionali non esauriva la lista dei pericoli che incombevano sullo Stato sovietico. Esso doveva agire in circostanze che si facevano sempre più complicate 6. E, poiché s'era deciso di tener duro per tutto il tempo necessario, attraverso quale programma, con quali riforme ci si sarebbe riusciti? Certo il tumore burocratico inquietava seriamente Lenin; ma, a suo parere, non era di là che proveniva la più grave minaccia: era piuttosto una rottura tra operai e contadini che avrebbe sonato a morto per la rivoluzione. L'analisi, fondata il più delle volte sull'esistenza di due classi essenziali, doveva con la NEP contemplarne una terza, la borghesia. Il quadro ne risultava ancor più oscurato. Proponendo loro un possibile alleato, si rendeva più concreto il rischio di una defezione dei contadini. 'L'alternativa era allora la seguente: ...il destino della nostra repubblica dipenderà da questo: la massa contadina sarà con la classe operaia, rimanendo fedele all'alleanza con questa, oppure per6 Ibid., pp. 387-88. [Cfr. Come riorganizzare l'Ispezione operaia e contadina, proposta al XII Congresso del partito, pubblicata nella «Pravda» il 25 gennaio 1923, ora in Opere, voI. XXXIII, p. 444.]
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metterà ai nepmany, cioè alla nuova borghesia, di staccarla dagli operai, di provocare una scissione?7
L'alleanza sulla quale riposa l'esistenza del regime è precaria: Lenin non lo dissimula. Certo i contadini piccoli e piccolissimi, nati dalla rivoluzione, hanno fiducia nel sistema sovietico. Tuttavia è « difficile reggersi su questa fiducia fino alla vittoria della rivoluzione socialista nei paesi più progrediti » 8. La classe contadina è troppo arretrata perché il suo appoggio sia garantito con sicurezza, tanto più che la guerra civile e l'intervento straniero hanno causato un regresso nell'economia del paese. Una tale base sociale compromette insieme la stabilità dello Stato e del partito. E quella del partito è già minacciata per la possibilità di una brusca scissione provocata dall'urto fra i capi. Una volta di più, Lenin prova il bisogno di giustificarsi dal punto di vista dottrinale a proposito dell'importanza accordata ai rapporti tra gli individui nel quadro dello svolgimento storico, importanza che un dogma sociologico diffuso dal fondatore del marxismo russo, Plechanov, aveva minimizzato. Ancora una volta era Lenin ad avere ragione. Ai rischi corsi dall'alleanza da una parte, ai pericoli di scissione dall'altra, occorre far fronte rispettivamente con delle misure a lungo termine e con una riorganizzazione immediata dei gradi più alti della macchina governativa. In questa situazione i progetti di 'Lenin dovevano essere considerati misure di urgenza, anche se la maggior parte d'essi non poteva portare frutti che in capo 7 Ibid., p. 401. [Cfr. Meglio meno, ma meglio, loe. cit., p. 455.] 8 Ibid., p. 367. [Cfr. Paginedi diario,datate 2 gennaio 1923, pubblicate dalla «Pravda», n. 2, 4 gennaio 1923, in Opere, voI. XXXIII, p. 426.]
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ad un periodo piuttosto lungo. E le due serie di rimedi sono legate l'una all'altra, l'efficienza e il minor costo possibile della macchina governativa dovendo contribuire a conquistare il contadino. Si deve conquistare il contadino, certo, ma non con la propaganda diretta del comunismo. Il partito è messo in guardia contro una tale impresa: Non bisogna affatto comprendere ciò nel senso che noi dobbiamo portare immediatamente nelle campagne delle idee puramente e strettamente comuniste. Finché noi non avremo nelle campagne una base materiale per il comunismo, fino ad allora ciò sarebbe, per cosi dire, nocivo; ciò sarebbe, per cosi dire, nefasto per il comunismo. 9
Lenin auspica un sistema di proselitismo grazie al quale le cellule operaie delle città diffonderebbero nelle campagne l'influenza urbana e sovietica, a condizione tuttavia poiché Lenin conosce il suo che questa sorta di attività resti ambiente interamente volontaria e si guardi dallo sboccare in organismi burocratizzati come gli altri apparati. Si potrebbe forse definire l'insieme del programma di Lenin concernente il problema contadino con lo slogan: «rivoluzione culturale ». Questa nozione, oggi molto in voga in un paese che afferma di richiamarsi a Lenin, è caratterizzata in lui innanzitutto da un realismo e da un antidogmatismo cosi assoluti da sembrar rozzi. Lenin schernisce impietosamente tutti coloro che blaterano di «cultura proletaria'» mentre si vive in uno « stato d'incultura semi-asiatico »; varrebbe meglio mirare alla cultura tout court, o anche più modestamente - al
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9 Ibid., p. 389. [Cfr. Meglio meno, ma meglio cit., p. 445.]
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saper leggere e scrivere. Prima di dissertare sapientemente sulla cultura proletaria bisogna proporsi di raggiungere il livello di un paese occidentale medio: ...per cominciare ci accontenteremo della vera borghese, ci basterebbe sbarazzarci dei tipi di preborghese particolarmente odiosi, cioè della burocratica, feudale, ecc. Nei problemi della è soprattutto dannoso aver fretta e voler fare in grande.
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Benché questo programma si chiami «rivoluzione », la sua esecuzione deve occupare un lungo periodo storico. È un'opera di lunga lena; si tratta di affrontare «tutta un'epoca di sviluppo culturale della massa popolare ». È soltanto questo che è necessario alla Russia per passare al socialismo, dirà Lenin nel suo Sulla cooperazione l0. Questa impresa deve essere al centro delle preoccupazionidel regime. La figura del maestro di scuola popolare deve essere sollevata ad un prestigio nuovo e godere di certi privilegi materiali (in questo momento: avere diritti prioritari nella distribuzione del pane). Questa parte del programma di Lenin resterà tra le più utopiche del suo grande disegno: i maestri di villaggio dovevano conservare a lungo in URSs una condizione piuttosto sfavorevole. Il programma socio-economico di Lenin per il mondo rurale (il suo «piano cooperativo») si rivela intimamente legato alla «rivoluzione culturale »; e l'importanza di quest'ultima ne risulta accresciuta. Ma rappresenta anch'esso un lavoro di lunga lena. Agli occhi di Lenin la NEP è e deve restare a lungo il quadro socio-economico accessibile al conIO[Cfr. Sulla cooperazione,terminato il 6 gennaio 1923, pubblicatoper la primavolta sulla «Pravda», nn. 115 e 116, 26 e 27 maggio1923.Ora in Opere,voI. XXXIII, p. 430.]
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tadino, da lui comprensibile e conforme ai suoi interessi. Prima di morire Lenin sottolinea il carattere di principio fondamentale di questa idea per un lungo periodo di transizione: «In sostanza, l'organizzare in misura sufficientemente ampia e profonda la popolazione russa in cooperative nel periodo della NEP, è tutto quanto ciò che occorre...» 11. Doveva a questo punto porsi la questione della conformità di una tale concezione agli obiettivi socialisti del regime. Lenin aveva sempre considerato la cooperazione come essenzialmente borghese; a maggior ragione ci si poteva chiedere se le tendenze capitalistiche della NEP non andavano a rafforzare questo supposto carattere del movimento cooperativo contadino. A questo riguardo Lenin opera una completa revisione dottrinale. È convinto che la cooperazione sia il metodo adatto per condurre la classe contadina verso strutture socialiste; e crede in ciò così fermamente che la cooperazione occupa nei suoi progetti il posto lasciato vacante dal capitalismo di Stato, che egli ha messo bruscamente da parte dopo il suo fallimento pratico. È proprio perché il potere ed i principali mezzi di produzione si trovano ormai nelle mani della classe operaia che la cooperazione cessa di essere quella istituzione essenzialmente bogrhese e mercantile che era in precedenza. Essa sarebbe ora una istituzione socialista, il cui processo di sviluppo andrebbe di pari passo con quello del socialismo. Questo metodo permetterebbe ad ogni contadino di partecipare alla costruzione del socialismo secondo esperienze che gli sono familiari. Il buon cammino sembra essere stato trovato: In sostanza ci è rimasta soltanto una cosa da fare: 11Soc., voI. XLV, p. 370. [Cfr. Sulla cooperazione cit., loc. cit., p. 428.] .
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Capitolo ottavo
rendere la nostra popolazione talmente «civile» ch'essa comprenda tutti i vantaggi che dà la partecipazione generale alla cooperazione e organizzi questa partecipazione. Soltanto questo. Ora non abbiamo bisogno di nessun altro genere di saggezza per passare al socialismo.
« Passare al socialismo»; cioè, vuoI dire Lenin, al termine del lungo periodo necessario alla realizzazione del primo obiettivo. In funzione della nuova strategia cooperativa, Lenin definisce di nuovo anche il socialismo in generale: «Il regime dei cooperatori civili, data la proprietà collettiva dei mezzi di produzione, data la vittoria di classe del proletariato sulla borghesia, è il regime del socialismo» 12. Lenin non ha il tempo di sviluppare questa idea nel suo articolo, che è perfettamente chiaro nel suo interesse. I soli passaggi un po' confusi sono quelli che tentano di spiegare in che cosa una cooperativa (e non sappiamo di quale specie:' di consumo, di vendita o di produzione?) sarebbe socialista, anzi altrettanto socialista di una impresa di Stato (sulla natura socialista di quest'ultima Lenin non ha alcun dubbio). Questo mutamento dottrinale pone tanti problemi quanti ne risolve. Per esempio, Lenin non parIa delle cooperative di produzione: le funzioni di quelle che egli prevede sarebbero soprattutto commerciali. Il contadino ed il commerciante russo «commerciano ora alla maniera asiatica, ma per saper essere un buon mercante bisogna commerciare all'europea »; la cooperazione permetterà ai contadini di diventare «dei mercanti intelligenti e colti ». Questo sarebbe per Lenin un indice da cui riconoscere che la Russia è riuscita
12Ibid., p. 373. [Cfr. loe. cit., p. 431.]
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a compiere l'intero tratto di strada che la separava dai paesi evoluti. Il socialismo sarebbe dunque un regime di « mercanti colti »? Non è certamente così che Lenin intendeva la cosa. L'applicazione pratica dei concetti di «socialismo» e «comunismo» è per lui così lontana che non si fa scrupolo di utilizzarne la carica mobilitante e il valore propagandistico in riflessioni concernenti essenzialmente la strategia
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politica
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senza
preoccuparsi
della loro definizione scientifica. Lo stesso articolo fornisce la chiave per comprendere il suo modo piuttosto disinvolto di trattare questo tipo di concetti. Giustificandosi per aver abbandonato la nozione di capitalismo di Stato, contro alcuni comunisti i quali, più scrupolosi di lui in fatto di purezza dottrinale, ne avevano sempre criticato l'impiego, afferma: «Essi non hanno notato... che per me quel che è sempre stato importante è l'obiettivo pratico» 13.In questi testi quindi i più importanti obiettivi immediati sono tranquil. lamente battezzati coi nomi di «socialismo» o di « comunismo », s'egli giudica che una tale politica avrebbe fatto avanzare lo Stato verso la realizzazione dei suoi obiettivi finali. La cooperazione essendo a suo giudizio un'impresa d'importanza capitale, egli le concede facilmente patenti di nobiltà socialista al fine di stimolare le sfere superiori del partito a prestarIe la necessaria attenzione. Ogni ordine sociale nasce egli spiega con il sostegno di una determinata classe; sostenere il sistema cooperativo, la circolazione cooperativa accordando loro crediti e favori, era utile: ecco ciò che egli voleva si facesse. Ma i suoi successori non lo seguiranno su questa strada che assai parzialmente.
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13 [Cfr. Opere, voI. XXXIII, p. 432.]
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Capitolo
nono
PER UNA RIFORMA DELLE STRUTTURE GOVERNATIVE
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Dal momento che per imporre una direzione socialista allo sviluppo della società russa il potere politico è praticamente la sola leva nelle mani dei bolscevichi, la riforma delle strutture governative è il tema più ampiamente elaborato nei progetti di Lenin. Effettivamente i movimenti spontanei della società sovietica non esprimono ancora un orientamento socialista, e lo strumento disponibile, se mal impiegato, rischia di sfuggire alle mani che lo guidano. Lenin dalla fin~ della guerra civile non cessava di ripetere: «Impariamo a. governare ». Per lottare contro tutte le tendenze nefaste, per cercare di rimediare a tutte le malattie dell'apparato dello Stato e del partito, Lenin non ve~eva che un solo punto di partenza: organizzare in modo esemplare l'élite comunista e, innanzitutto, il gruppo dirigente del partito. Il rinnovamento doveva partire di là. Per il momento, anche i grandi commissariati funzionavano male; Lenin non risparmia loro le sue critiche più severe. V'era di peggio: egli era preoccupato anche dal funzionamento.. del suo Sovnarkom, fatto che spiega com'egli ~bbia, nel corso del 1922, consacrato una parte notevole del lavoro che poteva ancora svolgere all'organizzazione, delle
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Capitolo nono
funzioni dei suoi assistenti e, attraverso questi, del!'intero governo centrale. Lenin scopre con orrore che il Sovnarkom ha costituito centoventi commissioni laddove sedici di queste sarebbero a suo giudizio largamente sufficienti a sbrigare lo stesso lavoro. D'altra parte, ritornato al lavoro dopo un periodo di malattia, Lenin si rende conto che in sua assenza 'le due macchine (il governo e il partito) hanno cominciato a non andare d'accordo, a fare doppio lavoro oppure a girare a vuoto, mentre gli alti funzionari, ivi compresi i commissari, mostrano tutti la tendenza a fuggire le responsabilità sia rifugiandosi dietro le centoventi commissioni, sia rimettendo
ogni questione
appena un po' importante
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e talora anche problemi di mera routine - direttamente all'Ufficio politico. La raccomandazione più importante (quella datata 23 dicembre) era di aumentare il numero dei membri del Comitato centrale. Lenin si proponeva con questa misura di attenuare gli urti tra i capi, di sollevare il prestigio del cc, che ne aveva bisogno, e di affidare a questo un compito che finallora gli era stato estraneo: la ricostruzione dell'intero apparato statale su una nuova base l. Lenin non spiega perché il prestigio del Comitato centrale ha bisogno di essere rialzato; ma non è difficile comprendere che, di fronte agli altri venti membri di questo organo, i sette « grandi» dell'Ufficio politico vi godevano un'influenza eccessiva. Dopo l'XI Congresso, questi sette furono: Lenin, Stalin, Trockij, Zinov'ev, Kamenev, Tomskij e Rykov 2, l Queste idee saranno riprese da Lenin nei suoi articoli sull'Ispezione operaia e contadina (di cui la prima versione è pubblicata in Soc., voI. XLV, pp. 442-50) e in Meglio meno, ma meglio. 2 Unitamente a quattro supplenti tra cui Bucharin e Kujbyscev
Per una riforma delle strutture governative
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Nella seconda versione del suo progetto Lenin preciserà di voler proporre la creazione, a fianco del Comitato centrale allargato, di una Commissione centrale di controllo (da 65 a 100 membri) come nuovo grande organismo da incaricare per l'appunto dei compiti di ricostruzione dell'apparato statale. L'idea iniziale era che i nuovi membri dovessero essere reclutati tra gli operai, ma questo punto sarà alla fine abbandonato, i compiti assegnati essendo troppo complessi per essere condotti in porto dai soli operai industriali. Il Comitato centrale e la nuova Commissione centrale di controllo costituiranno insieme il nuovo Comitato centrale, grossa assemblea (da 150 a 200 membri) che diventerà in realtà una Conferenza del partito e si riunirà sei volte l'anno. Inoltre, il Presidium della Commissione centrale di controllo parteciperà ai lavori dell'Ufficio politico, con compiti insieme di collaborazione e di controllo, veglierà sul regolare funzionamento del Comitato centrale e dell'Ufficio verificando tutti i documenti, ecc. Il Comitato centrale così rafforzato sarebbe dotato di competenze più vaste. Ma, alla fine, da dove verrebbero l'iniziativa e il metodo per la formazione di un efficiente corpo di funzionari? Lenin si rifà all'istituzione di cui un tempo era stato il promotore, ma che l'aveva profondamente deluso: l'Ispezione operaia e contadina, che noi designeremo sotto la sua sigla russa con le tre lettere: RKI. Essa era incaricata di controllare il lavoro degli organismi governativi e delle amministrazioni. Sotto la direzione di Stalin, commissario al Controllo dal marzo 1919 al 25 aprile 1922, s'era trasformata in un organismo pletorico e fortemente burocratizzato comprendente qualcosa come dodicimila funzionari, di cui pochi operai: il cinovnik era riuscito assai presto a colonizzare le istituzioni destinate. precisamente a combattere la burocrazia.
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Capitolo nono
Trockij aveva cominciato ad attaccare la RKI all'inizio del 1922. Lenin a tale data difendeva ancora questo commissariato e quindi, indirettamente, la persona del suo capo; ma nei suoi ultimi testi lo dipinge come un focolaio d'inettitudine, una «faccenda senza speranza ». Egli scrive: «Diciamolo pure: il Commissariato del popolo per l'Ispezione operaia e contadina non gode ora di nessun prestigio. Tutti sanno che non esistono organismi peggio organizzati dell'Ispezione operaia e contadina e che, nelle condizioni attuali, è inutile pretendere qualcosa da questo Commissariato del popolo ». Queste frecce scoccate a Stalin attraverso il Commissariato di cui egli aveva avuto la responsabilità furono senza dubbio la ragione per cui l'articolo Meglio meno, ma meglio, la cui redazione era terminata il lO febbraio, non apparve sulla «Pravda» che il 4 marzo 3. Bisognava sbarazzarsi senza attendere oltre di tutto questo ciarpame, per non conservare in seno al commissariato che tre o quattrocento dei migliori specialisti nei metodi scientifici di gestione e di organizzazione del lavoro, reclutati tra i vecchi funzionari della RKI o altrove. Essi potrebbero così svolgere un ruolo pedagogico presso i nuovi membri del Comitato centrale. Inoltre, per tutto quel che concerne le amministrazioni governative, la nuova RKI si unirebbe alla Commissione centrale di controllo in una sorta di commissariato modello conglobante «tutto ciò che c'è di meglio nel nostro ordinamento sociale ». Gli specialisti 3 Secondo Deutscher, op. cit., pp. 88-90, la maggioranza dell'Ufficio s'opponeva alla pubblicazione; Kujbyscev avrebbe persino proposto di stampare, a uso di Lenin, un esem. plare speciale della «Pravda» con l'articolo in questione. Ma Trockij insistette perché l'articolo fosse pubblicato normalmente ed ebbe alla fine ragione con l'appoggio di Kamenev e Zinov'ev. ~~
Per una riforma delle strutture governative
della RKI godrebbero quindi, allo stesso tempo, di una situazione materiale privilegiata e di un grande prestigio, grazie a una fusione parziale con i gradi superiori della gerarchia. La nuova Commissione centrale di controllo sarebbe anche secondo le occasioni, una sorta di Accademia o d'Istituto; essa consacrerebbe una parte del suo tempo allo studio, sotto la direzione di esperti, dei metodi di gestione, di controllo e di razionalizzazione del lavoro. Di colpo, questo CCC-RKIcon i suoi cinquecento esperti e membri della Commissione centrale diventerebbe un organismo dotato della massima capacità lavorativa, di una efficienza e di un rango senza precedenti nello Stato: un singolare supercommissariato con funzioni di organizzatore e di supervisore, incaricato di diffondere i buoni metodi a tutti i livelli dell'ammini. strazione pubblica. Apprendere a governare ed addestrarvi la macchina amministrativa, guadagnare in tal modo la fiducia dei contadini e ridurre al minimo i rischi di rottura dell'« alleanza », prevenire i pericoli di scissione «accidentale» del partito, aiutare lo Stato a muoversi più agevolmente sulla scena internazionale: «Ecco quali sono - afferma Lenin - gli alti compiti che vorrei affidare alla nostra Ispezione operaia e contadina. Ecco perché progetto la fusione di un autorevolissimo organo dirigente del Partito con un "semplice" Commissariato del popolo ». È con queste parole che termina l'ultimo articolo scritto da Lenin. Lenin, che volentieri si diceva marxista ortodosso, che utilizzava indubbiamente il metodo marxista nell'analisi dei fenomeni sociali e che affrontava i problemi internazionali in termini di classe, si comporta tuttavia, nel suo programma, piuttosto da capo d'esecutivo, guidato in quel che concerne i problemi di governo da una concezione rigorosamente 10. Lewin
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Capitolo nono
ditaria. Egli non estende anche al governo i metodi dell'analisi sociale, e si accontenta di esaminarlo dal punto di vista delle tecniche organizzative. Questo non è che il risultato della situazione del potere sovietico all'inizio del 1923, dal momento che, lo ripetiamo, e soprattutto con la NEP, il potere politico restava praticamente il solo strumento d'azione nelle mani dei bolscevichi. Questo fatto inaspettato, che inquietava i detentori di tale potere, era una prima manifestazione d'una delle caratteristiche più originali della nostra epoca: la priorità dei fattori politici, il dominio dei governi sull'economia e la società in generale. Il leninismo era più adatto delle altre scuole marxiste a cogliere questa realtà, dal momento che il suo volontarismo poneva l'accento sulla coscienza politica e sulla possibilità d'inculcarne gli elementi alle forze sociali. L'elitismo di Lenin non fa dunque che tradurre il suo adattarsi ad una situazione in cui la forza principale del regime era rappresentata da una élite. Egli si preparava ad utilizzarla nel modo migliore affinché servisse da fattore di stimolo del processo di trasformazione sociale di tutto il paese. Ma il pensiero di Lenin rivela a questo riguardo qualche debolezza; egli allenta la vigilanza proprio su alcune tendenze pericolose che diventeranno ben presto preponderanti al vertice del potere. Sino alla fine del 1921 la situazione era stata tale da legittimare che la principale preoccupazione di Lenin fosse la difesa del potere, conquistato a prezzo di tanta audacia e di tanti sacrifici, piuttosto che l'organizzazione della difesa contro il potere, contro l'ipertrofia della dittatura. La questione avrebbe dovuto porsi nel 1922, ma essa gli sfugge «quasi completamente» (doveva egli stesso ammettere), come era avvenuto per la questione nazionale.
Per una riforma delle strutture governative
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Lenin, prigioniero della malattia ma anche della sua stessa macchina governativa, s'interroga infine sul problema così difficile, e forse insolubile a breve scadenza, dei freni e delle garanzie necessarie per assicurare la salute politica e morale della dittatura. Non si può in questo momento fondarsi sulle forze sociali che dovrebbero governare i suoi ingranaggi, poiché la Russia deve in primo luogo istruirsi. Gli operai in modo particolare «vorrebbero darci un apparato migliore, ma non sanno come farlo, non possono farlo: non hanno finora potuto acquisire la cultura che è indispensabile per farlo» 4. I contadini da parte loro debbono piuttosto essere sorvegliati. È per questo che Lenin si oppone fieramente a tutto ciò che può richiamare, anche remotamente, la democrazia borghese. Certo sarebbe stato preferibile ch'egli vi riflettesse più attentamente, ma in quella particolarè congiuntura queste pratiche avrebbero presto portato all'espulsione dei bolscevichi dal potere. È per questo che si punta nuovamente sull'élite, sulla qualità dei suoi uomini, in attesa che il paese si istruisca. Se in tal modo tutto l'edificio riposa su un fondamento «idealistico» (la qualità dei quadri superiori) e non sulla forza e la coscienza della classe operaia, questo atteggiamento, per debole e inatteso ch'esso sia in un marxista, risponde bene alla situazione che Lenin affronta. In altri paesi dovevano più volte ripresentarsi, in seguito, analoghi 4 Soc., voI. XLV, pp. 390-91. La prima versione delle tesi sulla RKI afferma che gli operai dovrebbero rappresentare la forza sostanziale del nuovo Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo. L'articolo pubblicato dalla « Pravda» ne parla già meno. In Meglio meno, ma meglio l'idea della preponderanza operaia all'interno delle nuove istituzioni è completamente abbandonata. [Cfr. il passo citato in Opere, voI. XXXIII, p. 446.]
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Capitolo nono
problemi strutturali, che avrebbero dato luogo allo stesso tentativo di soluzione. In questo senso ed in questa misura il «testamento» di Lenin conserva un interesse attuale, proponendo una politica dei quadri governativi. Ma si tratta di indagare più a fondo e di riuscire a cogliere lucid!lmente l'altro aspetto della realtà del potere: la burocrazia, di cui soffrono quei paesi in via di sviluppo che hanno scelto per svilupparsi metodi statalisd e centralisti. Lenin combatteva ferocemente il fenomeno burocratico, ma non l'analizzava con sufficiente profondità. Ammetteva di comprenderlo ancora male: «È una questione che non abbiamo ancora potuto studiare» 5. Lenin il più delle volte vuoI vedervi un'eredità dell'ancien régime. La spiegazione, senza essere falsa, è tuttavia insufficiente. D'altra parte la burocrazia doveva diventare un tratto cosi profondamente ancorato alla realtà sovietica e modellarsi, per la sua composizionee i suoi metodi, a tal punto .sul sistema, che gli elementi del passato dovevano ben presto perdere ogni importanza. Bisogna cercare altrove una spiegazione. L'aumento incessante del numero dei funzionari e della loro influenzasulla vita del paese era alimentato dal confluire di fattori inerenti ad un paese arretrato con un bisogno reale di amministrazioni nuove o di amministrazioni supplementari, bisogno determinato dall'economia in via di sviluppo e dalla pianificazione centralizzata. A questo punto - e Lenin non se n'è reso conto la burocrazia è diventata la vera base sociale del potere. Un potere politico «puro », privo di ogni fondamento sociale, non esiste. Il potere deve trovare una base sociale diversa dai meri apparati coercitivi. Il
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5 Ibid., p. 251.
Per una riforma delle strutture governative
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« vuoto » in cui il regime sovietico sembravasospeso è stato ben presto riempito, anche se i bolscevichi non l'hanno visto o non hanno voluto vederlo. Si potrebbe caratterizzareil periodo staliniano proprio attraverso la sostituzione della burocrazia alla base sociale originaria del potere, costituita dalla classe operaia, una parte dei contadini più poveri e alcuni strati dell'intelligencija. Stalin era come Lenin un tecnico del potere, ma, non avendone la statura intellettuale e morale ed essendosprovvisto degli scrupolidei « quadri europei del partito », non gli costava nulla incorporare nei suoi progetti tutti gli emendamenti di Lenin orientarli in senso idealista, internazionalista o socialista, dando per scontato che molte cose sarebbero restate sulla carta e che la realtà, cosi come egli la comprendeva, avrebbe preso il sopravvento. In questo modo tutti i progetti ai quali Lenin attribuiva tanta importanza - allargamento del Comitato centrale, creazione della grande Commissione centrale di controllo e fusione con la RKI -
saranno accettati
e realizzati; ma non essendo più animate dallo spirito nel quale erano state concepite, tali realizzazioni non servirono che a facilitare la vittoria delle tendenze che Lenin intendeva combattere. Se il regime di Lenin ha finito per appoggiarsi su una forza, la burocrazia, che questi aborriva, non si tratta che del risultato di una situazione in cui uno sforzo di sviluppo è imposto da un regime nuovo ad un paese arretrato, le cui forze sociali vitali sono deboli, indifferenti od ostili. Se Lenin non ha previsto questo fenomeno è perché la sua analisi sociale è stata condotta in base a tre classi soltanto: gli operai, i contadini e la borghesia, senza tener conto dell'apparato statale come forza sociale distinta in un paese che stava nazionalizzando i settori fondamentali dell'economia. Un
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Capitolo nono
grande storico rimprovera a Lenin il disconoscimento del ruolo delle amministrazioni in una società o, diciamo, in via di modernizzazione 6. moderna Questo rimprovero è giustificato nella misura in cui Lenin confondeva gli apparati con il regno del cinovicestvo di tipo zarista. Ma aveva già affrontata la questione del 1918, favorendo le amministrazioni contro le tendenze anarco-sindacaliste degli operai; nel 1923 i suoi progetti di riorganizzazione mostrano ch'egli prendeva sempre meglio coscienza del problema. Egli lo affrontava ancora in modo indiretto. Lenin continua ad analizzare il partito come « l'avanguardia del proletariato ». Ma in esso gli operai sono una minoranza, minoranza che, per di più, non gioca il ruolo principale, e Lenin se ne inquieta. La composizione del partito riflette, più o meno, il quadro delle forze sociali del paese. Nel suo ambito come nell'insieme del regime la tendenza generale - che d'altra parte rafforzerà
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più tardi il suo « monolitismo
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è verso la buro-
cratizzazione; essa si esprime in modo particolare con la preponderanza delle funzioni esecutive e con la struttura piramidale dell'apparato. Il processo è quello della trasformazione di un partito politico in un apparato di potere. Stalin avverte la tendenza e, invece di bloccarla come voleva Lenin, l'accetta, s'appoggia su di essa e la sviluppa. Alla fine della sua vita, Lenin si rende conto sempre più lucidamente di tutti questi problemi, come mostra il fatto che l'intenzione esplicita o implicita di tutti i suoi progetti è di opporsi alle tendenze che si profilano nel regime e si affermeranno definitivamente dopo la sua morte. Avrebbe dovuto vivere per provare che egli poteva cam6 Carr, Il socialismo in un solo paese cit., p. 689.
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Per una riforma delle strutture governative
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biarvi sostanzialmente qualche cosa; ma avrebbe anche dovuto superare un certo numero di debolezze della sua analisi e del suo ragionamento: i fenomeni di cui parlava nel suo «testamento» non gli erano ancora perfettamente chiari. Ad esempio il CCC-RKIda lui proposto doveva essere indipendente dagli altri organi al vertice delle strutture di governo, il che era assicurato in teoria dal suo collegamento diretto con il congresso del partito e dalla sua responsabilità esclusiva davanti a questa assemblea. Ora, Lenin non dedica una sola parola al Congresso e al suo ruolo. Si tratta di una lacuna importante. Forse si spiega col fatto che il Congresso era sempre stato fino allora una istanza di sufficienti importanza e prestigio. Ma esso doveva trovarsi, senza che Lenin l'avesse voluto, vincolato dalle sue disposizioni del marzo 1921 sull'interdizione delle frazioni. Quest'arma temibile offerta al Segretariato permise a quest'ultimo di paralizzare qualsiasi velleità di discussione o di contestazione, identificando ogni disaccordo con il frazionismo. Inoltre, il Congresso sarà messo fuori combattimento dal potere detenuto dal Segretario di designare praticamente i responsabili di tutte le funzioni dirigenti del partito. Ben presto la composizione dei congressi sarà liberamente manipolata dal Segretariato. In tali condizioni la libertà necessaria alla ricerca e alla formulazione di una linea politica è cessata. Il meccanismo che avrebbe permesso un cambiamento di linea politica e di équipe è falsato o inesistente; Lenin non ne parla. Altra grave lacuna: i membri del futuro CCC-RKI non dovevano essere eletti ma nominati dall'Orgbjuro. La sorte dell'intera riforma veniva quindi a dipendere dai criteri e dallo spirito di questa scelta. Lenin continua inconsapevolmente a ragionare come
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Capitolo nono
se dovesse parteciparvi. Egli ha constatato che un membro dell'Ufficio politico, il gensek, detiene un potere che gli altri membri non possiedono, e vuole dei controllori che sorveglino l'attività sua e dell'Ufficio. Ora, se il gensek conserva le prerogative di cui è in possesso
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Lenin
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Capitolo decimo SE LENIN FOSSE VISSUTO...
ha esplicita-
mente proposto una revisione di tale carica, se non è lui che, nel senso della sostituzione del titolare praticamente, sceglierà i propri controllori. Ed è precisamente questo che si è verificato. Ultima lacuna, infine, di carattere ben differente e diversamente significativa: tutto il programma di Lenin tendeva ad assicurare l'unità del partito, ad evitare la scissione. Ora, egli non dice una parola sul fenomeno del frazionismo, la cui repressione più tardi servirà come un inesauribile pretesto per la persecuzione di tutte le posizioni critiche: sotto Stalin la Commissione centrale di controllo, costituita in apparenza nello spirito dei progetti di Lenin, doveva farne quasi la sua unica preoccupazione. A questo riguardo, una ipotesi è possibile e non inverosimile: Lenin non vedeva più nel frazionismo il medesimo pericolo dell'epoca dell'insurrezione di Kronstadt, ed era disposto a rinunciare alle clausole segrete delle deliberazioni del X Congresso. Questa ipotesi concorda con il senso generale del «testamento» quale noi cercheremo, concludendo, di mettere in evidenza.
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Si è talora tentati, vista la scarsa influenza concreta che i suggerimenti di Lenin hanno avuto sullo sviluppo degli avvenimenti in URSS, di concludere per il loro carattere utopico, staccato dal reale, od alla loro inefficacia. Ci sembra tuttavia che essi meritino maggiore attenzione ed un giudizio più positivo. Certamente, anche se Lenin considerava con occhio obiettivo i problemi del suo regime, alcune tendenze non gli sono apparse che assai tardi, e altre non sono state da lui colte con tutta la chiarezza auspicabile. Nondimeno, le sue proposte di riforme comportavano nella loro sostanza, tanto per il loro contenuto esplicito che per le loro conseguenze implicite, una risposta globale alla realtà politica del paese. Ricapitoliamo rapidamente l'insieme di questi punti. Lenin non ha visto nelle sue reali dimensioni il pericolo rappresentato dall'abuso del potere che il vertice della gerarchia poteva compiere e la sua degenerazione in una dittatura personale irresponsabile. Ma si è reso conto del problema al livello di un settore particolare della vita politica del paese, la questione delle nazionalità, e ne è stato
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Capitolo decimo
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così seriamente allarmato abbiamo visto da essere pronto a fare annullare la struttura dell'Unione che il Congresso dei soviet aveva adottato e da esigere la liquidazione politica degli dzer;imordy. Quando si considerano le posizioni occupate, due anni dopo la morte di Lenin, dalle tre principali personalità tra di loro, si può misurare l'enorme divario tra la direzione presa dagli avvenimenti ed il corso che Lenin voleva dare loro: invece di essere espulsi dal partito, Ordzonikidze occupava la presidenza dell'apparato di controllo del partito e dello Stato, Dzerzinskij presiedeva il Consiglio nazionale dell'economia e Stalin occupava sempre il posto-chiave al partito. L'idea della Commissione centrale di controllo non era un semplice espediente destinato a migliorare il lavoro dell'apparato dello Stato. La sua creazione doveva produrre cambiamenti importanti nella natura stessa del vertice della gerarchia e dell' élite regnante in seno al partito. Se si otteneva il rafforzamento del Comitato centrale, esso avrebbe avuto come conseguenza la sottomissione del Segretariato e di tutto l'esecutivo del partito ad un controllo ad opera di un organo più largo e più rappresentativo. Un ruolo nuovo Lenin lo voleva preponderante - sarebbe stato accordato agli specialisti ed agli scienziati con il loro inserimento al vertice del partito e del governo. Dall'idea iniziale di dare maggiore importanza alle decisioni del Gosplan, Lenin era pervenuto a concepire questo CCC-RKI,che avrebbe dovuto educare i membri del Comitato centrale e coadiuvarli nel compito della riforma degli apparati. Se questo sforzo spettacolare per riunire intorno al Comitato centrale «tutto ciò che di meglio vi era nella dittatura» fosse stato veramente messo in opera, si può supporre che le qualità del personale al vertice del potere, i suoi metodi di lavoro e i ~'l!'
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Se Lenin fosse vissuto...
rapporti interni sarebbero mutati da cima a fondo.
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Si sarebbe almeno seriamente tentato pur senza riuscirvi - il rovesciamento delle tendenze dell'apparato. Questi cambiamenti d'altra parte sembravano richiesti dal carattere nuovo del periodo nel quale si entrava: periodo di riflessione, secondo la valutazione di Lenin. Lo spettro della fame, particolarmente terrrncante nel corso degli anni 1920 e 1921, si ritirava con il primo buon raccolto, quello del 1922, effettuato sotto il segno della NEP. Si sarebbe potuto passare a quei compiti di costruzione e di civiltà (nel senso dinamico: Kulturnicestvo) che domandavano un tempo indeterminato. Questo lavoro in profondità avrebbe richiesto naturalmente, anche senza bisogno di dirlo espressamente, non soltanto una evoluzione nei metodi e nello stile del governo, ma anche che elementi nuovi (amministratori e politici preparati e specializzati) giungessero al vertice, con uno spostamento del centro di gravità del potere dal Segretariato verso il Comitato centrale, e tendessero a soppiantare l'apparacik, rude di costume e scarsamente istruito. Il progetto di Lenin era un vero e proprio «colpo di Stato », poiché si trattava insieme di liquidare alcuni capi e di introdurre un orientamento nuovo in tutto il funzionamento della dittatura: metodi di reclutamento e di lavoro, nuovi criteri per la scelta degli obiettivi. Si sarebbe tentati, usando un termine di moda, di parlare di una «rivoluzione tecnocratica» contro la burocrazia, giudicata troppo primitiva. Per un altro verso Lenin tenta di stabilire al vertice della dittatura un equilibrio tra elementi differenti, un sistema di controlli reciproci che possa
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il ruolo
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il parallelo
è approssi-
mativo - della separazionedei poteri in un regime democratico. Un importante Comitato centrale elevato al rango di Conferenza del partito traccia le
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Capitolo decimo
linee d'insieme della politica e sovrintende all'insieme dell'apparato del partito, partecipando contemporaneamente esso stesso all'esecuzione dei compiti più importanti sia come istituzione considerata nel suo complesso sia per le attività svolte dai suoi singoli membri. Una parte di questo Comitato. centrale, organizzata in Commissione centrale di controllo, oltre a partecipare alle funzioni comuni del Comitato centrale, deve anche controllare quest'ultimo e gli organi ristretti che ne emanano: Ufficio politico, Segretariato, Orgbjuro. La Commissione centrale di controllo, affiancata dagli specialisti della RKI o CCC-RKI,doveva occupare una posizione speciale nel quadro complessivo delle istituzioni; la sua indipendenza doveva essere assicurata dal suo collegamento diretto al Congresso del partito, senza passare per l'Ufficio politico ed i suoi strumenti amministrativi, né per il Comitato centrale. Visti sotto questo aspetto, questi progetti appaiono farraginosi e poco elaborati. Ma, anche se embrionalmente, essi pongono il problema di fondo: come assicurare la sopravvivenza di una dittatura rivoluzionaria avviata in condizioni «premature », pur salvaguardando la purezza iniziale ed il rispetto dei princìpi? Lenin cercava di razionalizzare la dittatura, di modo che essa potesse insieme difendersi contro i nemici esterni e i pericoli inerenti al potere dittatoriale. Schematicamente, si potrebbe riassumere la parte più esplicita del legato di Lenin in tre comandamenti: 1) Date un colpo di freno al nazionalismo, particolarmente al nazionalismo russo; combattete questo sciovinismo da grande potenza che tutte le branche della macchina governativa tendono a utilizzare;
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Se Lenin fosse vissuto...
vegliate sull'educazione internazionalista dei popoli dell'Unione. 2) Combattete la burocrazia incolta, fonte di spreco e generatrice d'oppressione; combattetela in tutti i settori, compreso il vertice del partito; lottate per un'amministrazione efficace dello Stato. 3) Destituite Stalin. L'assenza, nel «testamento », di qualsiasi m~nzione dell'interdizione delle frazioni, è resa significativa dall'uguale assenza di qualsiasi riferimento al terrore come mezzo per promuovere la realizzazione dei piani del governo. Tuttavia il terrore aveva occupato un posto abbastanza importante negli scritti anteriori
di Lenin, il quale
come il rimedio estremo
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concependolo
ne era sempre stato
un fervido difensore. Il nuovo volume XLV delle Opere raccoglie numerosi testi, rimasti sinora sconosciuti o mal conosciuti, che analizzano il terrore come metodo; questa arma doveva sempre essere tenuta di riserva - Lenin teneva a ricordarlo - tanto
..
più che la liberalizzazione che accompagnava la NEP rischiava di minare le basi di sicurezza del potere. Così egli dichiara in una lettera a Kamenev, apparsa per la prima volta nel 1959: «È un errore assai grande pensare che la NEP abbia messo fine al terrore; noi ricorreremo ancora al terrore, ed al terrore economico »1. Egli spiega a Kamenev che bisognerebbe trovare modo di farlo comprendere «delicatamente e garbatamente» a quanti in quel momento avessero intenzione di valicare i limiti assegnati dal potere agli uomini d'affari. Ma in altri testi, più sconcertanti se si considera l'uso che se ne sarebbe fatto in futuro, Lenin andava 1 Lettera a Kamenev, datata 3 marzo 1922 (Soc., voI. XLIV, p. 428).
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Capitolo
decimo
oltre. Nei suoi emendamenti al progetto di codice penale egli insisteva perché si desse l'interpretazione più larga possibile alla nozione di «comportamento contro-rivoluzionario ». La sua definizione doveva essere agganciata alla «borghesia internazionale» in modo tale che questo reato diveniva giuridicamente del tutto impreciso e da aprire la porta a ogni arbitrio. Il reato sarebbe stato riconosciuto, tra l'altro, in una «propaganda ed agitazione» a vantaggio di quella parte della borghesia internazionale che non riconosce al regime sovietico diritti eguali a quelli del capitalismo o cerca di rovesciarlo con la forza. Questa formulazione è già abbastanza vasta; ma ciò che fa fremere, se si pensa che la punizione poteva andare sino alla pena capitale, è l'estensione del reato per analogia: sarebbe colpevole «chi prestasse obiettivamente concorso a questa parte della borghesia internazionale» (che combatte il regime) e ugualmente chi partecipasse ad una organizzazione all'interno del paese il cui comportamento aiutasse o fosse suscettibile di aiutare « questa borghesia »! 2 Noi citiamo questo esempio per mostrare che Lenin si preoccupava allora di lasciare un campo libero all'impiego del terrore o alla minaccia di tale impiego (non più attraverso la sola Ceka, ma a mezzo di tribunali e di una procedura regolare) finché i grandi paesi capitalistici continuassero a minacciare l'URSS. Lenin è dunque lontano dall'essere un liberale molle e incapace d'intraprendere, occorrendo, una azione risoluta. Ma, contrariamente a certuni dei suoi successori, la repressione gli ripugnava; egli la riservava alla difesa del regime contro minacce gravi e alla punizione di chi trasgrediva la legalità.
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2 Lettera a Kurskij, commissario alla Giustizia, 15 maggio 1922 (lbid., voI. XLV, pp. 189-90).
in data
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Se Lenin fosse vissuto...
Ora, per ritornare all'ultimo programma di Lenin, l'utilizzazione
della costrizione
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e a più forte ra-
gione del terrore - è palesemente esclusa allorché si tratta di gettare le fondamenta di una nuova società. Il secondo Che fare? di Lenin esalta la prudenza, l'equilibrio, la moderazione e la pazienza. Lenin, se si tratta di difendere il regime, non ha abbandonato l'arma della costrizione; ma, per costruire, ogni precipitazione è condannata: «Bisogna compenetrarsi di una salutare diffidenza verso ogni progresso troppo rapido, verso qualsiasi millanteria », egli afferma in Meglio meno, ma meglio. È meglio «avere un buon materiale umano fra due o anche tre anni piuttosto che lavorare affrettatamente, senza alcuna speranza di ottenerlo ». « Nessuna seconda rivoluzione! » Tale sarà l'interpretazione del « testamento» che Bucharin, cinque anni più tardi, lancerà, con ragione, contro Stalin. Lenin non evocherà più la forza come «levatrice di una nuova società» dopo la presa del potere ed il ritorno della pace; la nuova consegna in questa nuova situazione è netta: seguire il cammino di una evoluzione graduale. E questa nuova consegna è formulata contro la pressione dell'intera realtà russa che, Lenin lo sapeva assai bene, non faceva che pesare in senso opposto. La regola del « meglio meno, ma meglio» sarà difficile da far osservare, ma Lenin rifiuta in anticipo l'argomento delle tendenze spontanee: So che la regola opposta si farà strada attraverso migliaia di fessure. So che sarà necessario resistere energicamente, che bisognerà dimostrare una diabolica tenacia e che il lavoro in questo campo, almeno per i primi anni, sarà diabolicamente ingrato: tuttavia sono convinto che solo mediante questo lavoro potremo raggiungere il nostro scopo e che solo dopo averlo rag-
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Se Lenin fosse vissuto.,.
Capitolo decimo
dalla guerra civile non potevano essere scongiurate che con riforme audaci; e perché in assenza di un capo capace e prestigioso i progetti in questione valevano come semplici aspirazioni. La macchina messa in piedi sotto Lenin andrà facilmente oltre le intenzioni profonde del capo scomparso: l'imbalsamazione del suo corpo e l'istituzione postuma di un culto della sua persona dovevano servire a tentare di coprire un tipo di dittatura completamente estranea ai suoi piani. Lo scarto più grande tra le intenzioni di Lenin e lo svolgimento reale' dei fatti si incontra nel campo dei metodi. Sembra che oggi l'URSS sia entrata in un periodo di evoluzione interna in cui i metodi economici e pedagogici si sostituiscono progressivamente' alla costrizione amministrativa, come voleva Lenin. Ma durante un lunghissimo periodo il terrore fu il principale strumento della creazione di nuove strutture. Ai nostri giorni si discute vivacemente per definire se i metodi di Stalin, cosi pregiudizievoli per l'idea che ci si fa del socialismo e per lo sviluppo del movimento socialista nel mondo, rappresentassero la scelta, brutale ma giusta, della sola via possibile, oppure se esisteva un'altra formula che Stalin sarebbe stato personalmente incapace di trovare. Nessun dubbio che forze inerenti alla situazione interna della Russia e alla sua posizione internazionale spingevano' al ricorso alla maniera forte per spezzare gli ostacoli allo sviluppo, estremamente tenaci in questo paese arretrato, agricolo ed isolato. Nessun dubbio che, quale che fosse stata la capacità dei suoi capi e delle sue élites, la Russia sovietica era destinata a subire delle crisi e delle scosse. Una curva dello sviluppo dolcemente e gradualmente ascendente, senza urti né convul-
giunto creeremo una repubblica veramente degna di essere chiamata sovietica, socialista ecc.' ecc. 3
Non è lecito, a nostro giudizio, parlare di utopia a proposito dei grandi obiettivi di Lenin. Molti degli obiettivi assegnati al regime nel campo dello sviluppo economico e culturale del paese sono stati oggi raggiunti. L'altro grande progetto, quello di creare una macchina dittatoriale capace di un sostanziale autocontrollo,' se è oggi più vicino ad essere realizzato, ha all'inizio conosciuto uno scacco bruciante: il regime sovietico è passato attraverso un lungo periodo, sommariamente detto « staliniano », i cui tratti essenziali erano diametralmente opposti alle prospettive del «testamento ». Questo fatto richiede alcune spiegazioni. La dittatura progressista è uno dei fenomeni politici più importanti del nostro secolo. Il suo ruolo è grande, e le sue prospettive di sviluppo sono lontane dal perder vigore. Ma niente permette di concludere che questo tipo di dittatura ad un certo stadio dello sviluppo è obbligatoriamente destinata, in tutti i casi, a degenerare in una tirannide personale, dispotica ed irrazionale. Visto in una prospettiva storica, l'obiettivo di Lenin tendente a realizzare un regime dittatoriale razionale, avente alla sua testa dei capi integri, dotato d'istituzioni efficaci e impegnato coscientemente a superare il sottosviluppo e la dittatura, non aveva in sé niente di utopico. D'altra parte al tempo di Lenin, in condizioni peraltro cosi difficili, la macchina dittatoriale sovietica funzionava ancora in modo ben diverso da come avverrà più tardi. Se i progetti di Lenin non sono diventati operativi è perché le tendenze uscite :1 ,I
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3 Ibid., p. 392. Cfr. Meglio meno, ma meglio, loe. cit., pp. 447 sgg.
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sioni, era difficile ad immaginarsi. Lenin non si faceva illusioni a questo riguardo, e si guardava dal diffonderne. Voleva tuttavia in qualsiasi circostanza una politica ben ponderata; voleva che si restasse padroni di sé dinanzi a qualsiasi tensione o qualsiasi dilemma ci si trovasse ad affrontare. Se fosse vissuto avrebbe inevitabilmente avuto da risolvere il problema dell'« accumulazione primitiva» (formazione del primo capitale necessario al decollo dell'economia industriale), quale che fosse stata la sua avversione per tale concetto. Avrebbe dovuto reagire quando i contadini, anche senza un'intenzione politica deliberatamente ostile, si fossero rifiutati di vendere il proprio grano ed avessero minacciato praticamente di affamare il paese a causa dell'insufficiente offerta di prodotti industriali. Avrebbe dovuto costantemente affrontare il paradosso di un partito unico in un paese socialmente diversificato, avrebbe dovuto preservare l'unità del partito e le esigenze di disciplina e di efficienza cos1 spesso contraddittorie con quelle che impongono di lasciare posto alla libera critica per impedire al partito di cadere nella degenerazione burocratica. Sarebbe riuscito Lenin a risolvere praticamente tutti questi problemi in modo corretto, e per quale via? (È legittima per lo storico una tale ricerca? Noi affermiamo di sl, alla condizione che non superi certi limiti, al di là dei quali essa si trasformerebbe in una speculazione gratuita. ) Per rispondere a questa domanda bisogna procedere ad un'estrapolazione il cui punto di partenza si trova nella nostra conoscenza della personalità di Lenin e del suo ultimo programma. Senza dubbio Lenin si sarebbe impegnato nella realizzazione delle sue riforme; alcune gli si sarebbero rivelate per strada irrealistiche od irrealizzabili e sarebbero state sostituite da altre soluzioni. Altre invece,
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e l'insieme stesso della sua politica, si sarebbero urtate con un'opposizione all'interno del partito e con delle difficoltà nel paese. L'opposizione interna sarebbe venuta dalla burocrazia, dagli apparaciki nominati dall'Orgbjuro; opposizione affievolita tuttavia, almeno per un certo tempo, dall'allontanamento del gruppo di Stalin, al quale Lenin avrebbe provveduto conformemente alle sue intenzioni. La lotta contro i «metodi amministrativi» e contro l'inefficienza della burocrazia, contro il nazionalismo russo (e i nazionalismi locali alimentati da quest'ultimo) non sarebbe mai cessata sotto Lenin. Egli sarebbe stato costantemente costretto a mobilitare degli alleati nel partito e fuori del partito; avrebbe dovuto fare appello alle «forze vive.» del paese: la gioventù operaia e studentesca, gli intellettuali, i migliori elementi delle classi contadine, certi elementi della vecchia guardia rivoluzionaria degli altri partiti socialisti e l'uno o l'altro gruppo, secondo le circostanze, della vecchia guardia bolscevica, composta allora di uomini ancora giovani; le forze più illuminate della struttura amministrativa sarebbero pure state un appoggio. L'apparacik, le polizie, gli dzerjimordy, i cinovniki, senza poter mai sparire del tutto, sarebbero stati costantemente attaccati, scoraggiati, respinti. Sarebbero venuti in primo piano numerosissimi militanti che Stalin doveva eliminare, e anche militanti più mediocri ma sovente onesti, che saranno poi utilizzati dal sistema stalinista, insieme con ogni sorta di persone di valore, anche non iscritte al partito, che periranno poi nelle purghe. Si concepisce più facilmente Lenin morire in prigione, piuttosto che infliggere al proprio paese una tale pazza emorragia. Una coalizione di Lenin, Trockij ed alcuni altri avrebbe permesso una utilizzazione razionale dei migliori quadri, in
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Capitolo decimo
luogo della loro eliminazione. Certamente, questo gruppo di uomini non avrebbe soltanto contribuito a promuovere il programma di Lenin: esso sarebbe stato anche una riserva di oppositori che avrebbero cercato di prevalere, sia da destra che da sinistra. Senza dubbio, Lenin non avrebbe utilizzato i metodi staliniani per disfarsene. Il nostro discorso diventerebbe una pura fantasia se dicessimo che Lenin avrebbe vinto e si sarebbe affermato a colpo sicuro. Avrebbe anch'egli potuto soccombere e finire da « deviazionista », come tanti altri. Ma ciò che si può affermare con certezza è che avrebbe combattuto con accanimento quegli sviluppi che portarono a fare del periodo staliniano quello che è stato. Per non essere battuto Lenin avrebbe dovuto compiere prodigi di abilità, avrebbe dovuto mostrarsi audace, abile manovratore, innovatore politico; e queste qualità gli sono largamente riconosciute. Avrebbe dovuto, secondo le sue parole, «dare prova di una ostinazione prodigiosa »; ed è lecito supporre che egli ne fosse capace. È legittimo pensare che Lenin, agendo di concerto con Trockij ed altri ancora, avrebbe potuto fare passare la Russia sovietica per un cammino meno tragico, più razionale e che avrebbe meno compromesso l'idea del socialismo. In effetti Lenin aveva bisogno dell'aiuto di Trockij per condurre in porto la sua idea: non era soltanto a causa della malattia che egli aveva fatto appello a quest'ultimo. I due uomini si completavano felicemente, anche se non ne risultava quella simbiosi che Lenin voleva vedere tra Krzizanovskij e Pjatakov al Gosplan. Insieme, Lenin e Trockij simboleggiavano l'appello suscitatore della rivoluzione di ottobre. Trockij, da solo, non era in grado di operare il raggruppamento, il rafforzamento e il mantenimento dei «futuri epurati ». Deutscher spiega bene
in qual senso egli non poteva essere 1'« erede »: per citare un esempio, dopo che Lenin fu definitivamente paralizzato egli fini per concludere quel «precario compromesso» contro il quale quest'ultimo l'aveva messo in guardia. Egli calmò Kamenev, dicendogli che, pur essendo d'accordo con Lenin sulle questioni di fondo, non riteneva che si dovesse «deporre Stalin, espellere Ordzonikidze e trasferire Dzerzinskij »4. Si mise a rampognare Stalin: «Basta con gli intrighi, ci vuole una collaborazione onesta» 5. Voleva mostrarsi magnanimo, sicuro di poterselo permettere con l'appoggio di Lenin affidato al «testamento », ma provava - proprio comportandosi in questo modo - di non comprendere le raccomandazioni di quest'ultimo. Sua debolezza era anche di essere uomo troppo orgoglioso e, in un certo senso, troppo idealista per mescolarsi agli «intrighi» politici della ristretta cerchia dei dirigenti. La sua posizione di outsider, causa il suo passato ed il suo stile, gli impedl di agire al momento opportuno non ve ne fu
che uno solo per lui
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con la risolutezza ne-
cessaria. Egli soccombette a una feticizzazione del partito, ad un legalismo e a degli scrupoli che lo paralizzavano e gl'impedivano di rispondere senza esitazione, come Lenin avrebbe fatto, agli attacchi dei suoi nemici. Lenin, il fondatore, non aveva timore di disfare e di rifare ciò che aveva fatto con le sue proprie mani. Lenin non aveva timore di organizzare le persone intorno a lui, di complottare, di battersi per la vittoria della sua linea e per conservarne la direzione nelle sue mani. Trockij non era cosi; scomparso Lenin, Stalin era sicuro di vincere.
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4 [Cfr. Deutscher,op. cit., p. 127.] 5 Cfr. Trockij, La mia vita cit., p. 431. [Cfr. anche Deutscher,op. cit., pp. 129-30.]
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I IL PROGETTO DI STALIN DETTO «DI AUTONOMIZZAZIONE»
1. Considerare l'utilità della conclusione di un accordo tra le Repubbliche sovietiche di Ucraina, di Bielorussia, d'Azerbaigian, di Georgia e d'Armenia e della RSFSR, concernente l'adesione formale di queste repubbliche alla RSFSR, lasciando da parte la quesl ione di Bukhara, del Khorezm e della Repubblica di Estremo Oriente, e limitando l'accordo alla conclusione di protocolli sulle tariffe doganali, il commercio estero, gli affari esteri, le questioni militari ecc. Addenda: Apportare le modificazioni necessarie alle costituzioni delle Repubbliche enumerate al paragrafo 1 e a quella della RSFSR, dopo esame della questione da parte degli organi sovietici. 2. Per conseguenza, le risoluzioni del VCIKl della RSFSR saranno considerate esecutive in quel che concerne le istituzioni centrali delle Repubbliche enumerate al paragrafo 1, e quelle del SNK2 e del STO3 della RSFSR per i commissariati unificati di queste Repubbliche. Addenda: I rappresentanti di queste Repubbliche sederanno nel presidium del VCIK della RSFSR. 3. I servizi degli Affari esteri e del Commercio estero, della Difesa, delle vie di comunicazione e delle poste l Comitato esecutivo centrale panrusso. 2 Consiglio dei commissari del popolo. 3 Consiglio del lavoro e della difesa.
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e telegrafi delle Repubbliche enumerate al paragrafo 1 si fonderanno con le istituzioni corrispondenti della RSFSR, i commissariati corrispondenti della RSFSR delegando in queste Repubbliche dei rappresentanti accompagnati da un numero ristretto di funzionari. Questi rappresentanti sono designati dai commissariati della RSFSR d'accordo con i CIK delle Repubbliche. Bisogna considerare come utile la partecipazione dei rappresentanti delle Repubbliche interessate nelle rappresentanze dei commissariati degli Affari esteri e del Commercio estero all'estero. 4. I commissariati alle Finanze, all' Alimentazione, al Lavoro e all'Economia delle Repubbliche saranno formalmente sottomessi alle direttive dei commissariati corrispondenti della RSFSR. 5. Gli altri commissariati delle Repubbliche enumerate al paragrafo 1, cioè i commissariati alla Giustizia, all'Istruzione pubblica, all'Interno, all'Agricoltura, al Controllo operaio e contadino, alla Salute pubblica e alle Assicurazioni sociali saranno considerati come indipendenti. Addenda 1: Le organizzazioni delle Repubbliche enumerate precedentemente aventi per oggetto la lotta contro-rivoluzionaria saranno sottomesse alle direttive della GPU della RSFSR. Addenda 2: I CIK delle Repubbliche non disporranno del diritto di amnistia se non nel campo degli affari civili. 6. La presente decisione, nel caso sia confermata dal Comitato centrale del PCR, non sarà pubblicata ma comunicata ai Comitati centrali delle Repubbliche per circolare negli organi sovietici, i comitati esecutivi centrali o i Congressi dei soviet delle dette Repubbliche, prima della convocazione del Congresso panrusso dei soviet, dove essa sarà dichiarata quale esprimente l'istanza di dette Repubbliche.
(Archivio centrale del Partito all'Istituto del. marxismoleninismo presso il cc del pcus. Fonte: Lenin, Socineni;a, V ed., voI. XLV, pp. 557-58.)
II LE NOTE CRITICHE DI LENIN ED IL SUO PROGETTO DI FORMAZIONE DELL'URSS
Lettera a L.B. Kamenev, destinata ai membri dell'Ufficio politico del cc del PCR(b) 26jIX
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e.j Il , 1:1 . . I: 1
Compagno Kamenev! Avete senza dubbio già ricevuto da parte di Stalin la risoluzione della sua commissione concernente l'incorporazione delle Repubbliche indipendenti nella RSFSR.Nel caso non l'abbiate ancora ricevuta, vi prego di ritirarla al Segretariato e leggerla immediatamente. Ho avuto ieri su tale soggetto alcune conversazioni con Sokol'nikov, ne ho parlato oggi con Stalin e devo incontrare Mdivani (comunista georgiano sospettato di nezavisimstvo) domani. A mio parere, la questione ha una enorme importanza. Stalin è un po' troppo precipitoso. Voi dovete - dato che precedentemente avete avuto già l'intenzione di occuparvene
e che
l'avete
anche
in parte
studiata
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riflettervi seriamente, ed ugualmente Zinov'ev. Stalin ha già accettato di fare una concessione, quella di sostituire il termine «adesione» alla RSFSR del paragrafo 1 con l'espressione «unione formale con la RSFSR nel quadro di una Unione delle Repubbliche sovietiche di Europa e di Asia ». Spero che il senso di questa concessione sia chiaro: noi ci riconosciamo eguali in diritto con la RSS dell'Ucraina ecc. ecc., ed entriamo con essa su un piede
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di eguaglianza in una nuova Unione, una nuova Federazione. In questo caso il paragrafo 2 deve pure essere modificato per creare, su un piano di parità con le sessioni del VCIK della RSFSR, qualche cosa come un «VCIK federale dell'Unione delle Repubbliche sovietiche d'Europa e d'Asia ». Se il primo organismo deve riunirsi una volta la settimana ed il secondo allo stesso ritmo (o anche una volta ogni quindici giorni), le cose non saranno difficili a combinarsi. È importante non portare acqua al mulino dei nezavisimtsy, non distruggere la loro indipendenza, ma stabilire un nuovo grado, una Federazione di Repubbliche aventi eguali diritti. La seconda parte del paragrafo 2 potrebbe restare intatta: le lagnanze [contro le decisioni della STO e del SNK]saranno esaminate dal VCIKfederale senza per ciò ritardarne l'esecuzione (come per la RSFSR). Il paragrafo 3 potrebbe essere mantenuto con questa modificazione: «I commissariati corrispondenti della RSFSR disponenti nelle Repubbliche membri dell'Unione delle Repubbliche d'Europa e d'Asia di rappresentanti accreditati e di un numero ridotto di funzionari si fondono in commissariati federali di stanza a Mosca ». La seconda parte del paragrafo 3 resta inalterata; si potrebbe forse dire, per essere più equi: «dopo accordo dei VCIKdelle Repubbliche membri dell'Unione delle Repubbliche sovietiche d'Europa e d'Asia ». Bisognerebbe anche riflettere alla terza parte: non sarebbe il caso di sostituire «utile» con «obbligatorio »? O non sarebbe il caso di stabilire un obbligo teorico, non fosse altro che. sotto la forma di una interpellanza e non ammettere decisione non soggetta a interpellanza che nei casi «eccezionali»? Il paragrafo 4 dovrebbe forse dettare: «fondersi dopo accordo dei VCIK»? Si potrebbe aggiungere al paragrafo 5: «con la creazione di conferenze e congressi comuni (o generali) di carattere puramente consultivo (o unicat7Jente consultivo) »?
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Questo porterà delle corrispondenti modificazioni agli addenda 1 e 2. Stalin ha dato il suo accordo per ritardare il deposito della risoluzione all'Ufficio politico del Comitato centrale sino al mio arrivo. Arriverò lunedì 2 ottobre. Avrei voluto vedervi con Rykov per circa due ore nella mattinata, per esempio da mezzogiorno alle due o, se necessario, la sera, per esempio dalle 5 alle 7 o dalle 6 alle 8. Questo costituisce il mio progetto di base. Vi apporterò delle aggiunte e delle modifiche sulla base delle mie discussioni con Mdivani e gli altri compagni. Vi prego vivamente di fare lo stesso e di rispondermi. Vostro Lenin. P.S. Inviate copia a tutti i membri dell'Ufficio politico. (Redatta il 26 settembre 1922 e pubblicata dal testo manoscritto. Prima edizione nel 1959 nei Leninskij sbornik, XXXVI. Fonte: Socinenija, V ed., voI. XLV, pp. 211-13.)
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5. I commissariati alle Finanze, all'Alimentazione, all'Economia, al Lavoro e al Controllo delle Repubbliche e Federazioni membri dell'« Unione delle Repubbliche », allo stesso modo che i loro organi centrali di lotta controrivoluzionaria, saranno sottomessi alle direttive dei corrispondenti commissariati ed alle decisioni del Sovnarkom e dello STO dell'« Unione delle Repubbliche ». 6. Gli altri commissariati delle Repubbliche membri dell'« Unione », cioè i commissariati alla Giustizia, all'Istruzione pubblica, all'Interno, all'Agricoltura, alla Salute pubblica ed alle Assicurazioni sociali saranno considerati come indipendenti.
PROGETTO SOTTOPOSTO AL COMITATO CENTRALE IL 6 OTTOBRE 1922, REDATTO DA STALIN TENENDO CONTO DEGLI EMENDAMENTI DI LENIN
1. Considerare come indispensabile la conclusione di un accordo tra Ucraina, Bielorussia, Federazione delle Repubbliche caucasiche e RSFSR, concernente l'unificazione nel quadro di una «Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche», ciascuna di esse conservando il diritto di lasciare liberamente 1'« Unione ». 2. L'istanza suprema dell'« Unione» sarà il «CIK federale» costituito dai rappresentanti dei CIK della RSFSR, della Federazione transcaucasica, dell'Ucraina e della Bielorussia, rappresentate proporzionalmente alla loro popolazione. 3. L'organo esecutivo del «CIK federale» sarà il «Sovnarkom federale» designato dal «CIK federale ». 4. I commissariati degli Affari esteri, del Commercio estero, della Difesa, delle Comunicazioni e delle Poste e telegrafi delle Repubbliche e della Federazione facenti parte dell'« Unione» si fonderanno con gli organi corrispondenti dell'« URSS »; i commissariati corrispondenti dell'« Unione delle Repubbliche» avranno in tutte le Repubbliche e Federazioni i loro rappresentanti accreditati con un piccolo numero di funzionari, designati dai commissariati dell'« Unione» d'accordo con i CIK delle Federazioni e delle Repubbliche. Addenda: Considerare come indispensabile l'aggiunta di rappresentanti delle Repubbliche interessate alle rappresentanze all'estero dei commissariati degli Affari esteri e del Commercio estero.
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(Archivio cito Fonte: Lenin, Socinenija, V ed., voI. XLV, p. 559.)
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OPINIONE DI STALIN SULLALETTERA DI LENIN DEL 13 OTTOBRE CONCERNENTE IL MONOPOLIO DEL COMMERCIO ESTERO
La lettera del compagno Lenin non mi ha fatto cambiare opinione sulla correttezza della decisione del Plenum del Comitato centrale del 6 ottobre concernente il commercio estero. I «milioni» del commissariato del Commercio estero (devono essere peraltro ancora definiti e calcolati) perdono ogni valore se si considera che sono compensati abbondantemente dalle decine di milioni-oro che questo commissariato fa uscire dalla Russia. Tuttavia, visto il carattere pressante della proposta del compagno Lenin concernente l'aggiornamento dell'esecuzione della decisione del Plenum del Comitato centrale, io voto in favore, affinché questa questione venga discussa dal prossimo Plenum con la partecipazione di Lenin.
(Archivio cito Fonte: Fotieva, Iz vospominanij o Lenine, pp. 28-29.)
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LETTERA DELLA KRUPSKAJA A KAMENEV, IN DATA 23 DICEMBRE 1923, CONCERNENTE IL COMPORTAMENTO TENUTO DA STALIN. NEI SUOI RIGUARDI
Lev Borisovic! Stalin si è permesso ieri una scortesia delle più grossolane nei miei riguardi a proposito di un biglietto che mi' è stato dettato da Lenin con l'autorizzazione dei medici. Non è da ieri che milito nel partito. Nel corso di trent'anni non mi è mai avvenuto di udire da un compagno una sola parola villana. Gli interessi del partito e di Il'ic non sono meno cari a me che a Stalin. Ho bisogno in questo momento di tutta la padronanza di me stessa. So meglio di qualsiasi medico di che cosa si può parlare e di che cosa non si può parlare con Il'ic, dal momento che so cosa lo turba e cosa no, ed in ogni caso lo so meglio di Stalin. La Krupskaja domanda (sono i redattori che riassumono, senza citare) di essere protetta «da ingiurie indegne e da minacce ». Essa continua: Non ho alcun dubbio quanto alla decisione unanime della commissione di controllo di cui Stalin si permette minacciarmi, ma non ho né forza né tempo da perdere in una così stupida commedia. Sono anch'io un essere umano, ed i miei nervi sono tesi all'estremo.
N. Krupskaja. (Archivio cito Fonte: Lenin, Socinenija, voI. XLV, pp. 674-75.)
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VI L'UFFICIO POLITICO AUTORIZZA LENIN, IN DATA 24 DICEMBRE, A DETTARE LE SUE NOTE
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PIANO DI LAVORO DETTATO DA LENIN IL 27 (O 28) DICEMBRE 1922
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1. Si concede a Vladimir n'ic il diritto di dettare tutti i giorni da cinque a dieci minuti; ma questo non può avere carattere di corrispondenza, né n'ic può attendere risposte alle sue note. Le visite sono proibite. 2. Amici e famigliari sono tenuti a non comunicare a Lenin niente che concerna la vita politica, per non dare motivo di riflessioni e di agitazione.
(Archivio cito Fonte: Socinenija, voI. XLV, p. 710.)
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Pro memoria: Nella lettera sull'aumento del numero dei membri del Comitato centrale si è omesso (un paragrafo) sulle relazioni tra il Comitato centrale allargato e l'Ispezione operaia e contadina. Argomenti da trattare: 1. n Centrosojuz l e la sua importanza dal punto di vista della NEP. 2. La relazione tra il Glavprofobr 2 e il lavoro dell'istruzione popolare in generale. 3. La questione nazionale e l'internazionalismo (a proposito del conflitto recente all'interno del partito georgiano ). 4. Il nuovo libro statistico sull'educazione nazionale comparso nel 1922. (Fonte: Socinenija, voI. XLV, p. 592.) l Unione cooperativa. 2 Comitato dell'educazione
professionale.
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VIII LA RISPOSTA DI TROCKI] A LENIN SULLA DIFESA DEI GEORGIANI
L'Istituto del marxismo-Ieninismo di Mosca afferma che Trockij rifiutò di assumere la difesa dei georgiani davanti al Comitato centrale ed al Congresso, sotto pretesto di essere ammalato. Nessuna prova è portata a sostegno di questa asserzione, ripresa per suo conto da Louis Fischer nella sua biografia di Lenin. Ma Deutscher afferma il contrario l e il Diario menziona, il 6 marzo 1923, che «la risposta [di Trockij] fu ricevuta telefonicamente e stenografata »; se questa risposta fosse stata negativa, Lenin non avrebbe inviato a Trockij il testo del suo memorandum e la copia della lettera ai georgiani che fu scritta dopo che egli ebbe ricevuto la risposta di Trockij. Noi disponiamo anche di una lettera della Fotieva a Kamenev, datata 16 aprile 1923, che conferma l'assenso di Trockij. Eccone il testo 2: « Al compagno Kamenev, copia al compagno Trockij L.B. In seguito alla nostra conversazione telefonica, vi rendo noto, nella vostra qualità di presidente dell'Ufficio l Cfr. Lenin, Socineni;a, voI. XLV, p. 607; Fischer, The Lile 01 Lenin, New York, Evanston and London 1964, p. 671; Deutscher, op. cit., pp. 101-106 e specialmente pp. 126-129. 2 Lettera citata da Trockij, op. cit., p. 163 (corsivo nostro).
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politico, quanto segue: come vi ho detto, il 31 dicembre 1922 Vladimir Il'ic ha dettato un articolo sulla questione nazionale. Tale questione lo inquietava profondamente ed egli si preparava ad intervenire su questo argomento al Congresso del partito. Poco tempo prima della sua ultima ricaduta, egli m'informò che avrebbe pubblicato questo articolo, ma più tardi. Poi cadde ammalato, senza avermi dato disposizioni definitive. Vladimir Il'ic considerava questo articolo come una direttiva e vi annetteva una grande importanza. Per suo ordine esso fu comunicato al compagno Trockij, che Vladimir Il'ic aveva incaricato di difendere al Congresso il suo punto di vista, constatata la loro convergenza di opinioni su tale questione... ». L'Istituto del marxismo-leninismo non cita questa lettera, ma ne conferma l'esistenza e segnala che la Fotieva la inviò all'Ufficio politico il 16 aprile 1923.
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IX difetti, ricordando che questi difetti hanno le loro radici nel passato, che, sebbene abbattuto, non è stato superato, non è ancora una fase della cultura appartenente a un passato ormai remoto. Pongo qui il problema della cultura, proprio perché in questi problemi bisogna considerare come acquisito soltanto ciò che è entrato a far parte della cultura, della vita, ciò che è diventato un abito. E da noi si può dire che quanto di buono esiste nell'organizzazione sociale non è oggetto di profonda riflessione, non è compreso, sentito; è stato afferrato in fretta, non è stato messo alla prova e confermato dalla esperienza, non è stato consolidato, ecc. E non poteva certo essere altrimenti nel periodo della rivoluzione, e con un ritmo di sviluppo cosi vertiginoso che ci ha condotti in cinque anni dallo zarismo al regime sovietico. Bisogna riflettere quando si è ancora in tempo. Bisogna compenetrarsi di salutare diffidenza verso ogni progresso troppo rapido, verso qualsiasi millanteria, ecc., bisogna pensare a controllare quei passi in avanti che proclamiamo ogni ora, che facciamo ogni minuto, e che ad ogni secondo si rivelano instabili, precari e non compresi. La cosa più nociva sarebbe qui la fretta. La cosa più nociva sarebbe partire dal presupposto che sappiamo pur qualcosa, oppure che disponiamo di un numero più o meno rilevante di elementi per costruire un apparato veramente nuovo che meriti veramente il nome di socialista, di sovietico, ecc. Questo apparato da noi non esiste, e perfino gli elementi che abbiamo sono ridicolmente pochi; non dobbiamo dimenticare che per costruire questo apparato non bisogna risparmiare il tempo e che occorrono molti, moltissimi anni. Di quali elementi disponiamo per costruire un tale apparato? Di due soltanto. In primo luogo, degli operai, impegnati nella lotta per il socialismo. Questi elementi non sono abbastanza istruiti. Essi vorrebbero darci un apparato migliore, ma non sanno come farIo, non possono farIo; non hanno sinora potuto acquisire la cultura che è indispensabile per farIo. E la cultura è quel che occorre. L'irruenza, l'impeto, l'audacia o l'energia, o in
MEGLIO MENO, MA MEGLIO
Per poter migliorare il nostro apparato statale, l'Ispezione operaia e contadina, a parer mio, non deve correr dietro alla quantità e non deve aver fretta. Finora abbiamo avuto cosi poco tempo per riflettere sulla qualità del nostro apparato statale e preoccuparcene, che sarebbe giusto dedicarsi con particolare sollecitudine alla seria preparazione di questo apparato e concentrare nell'Ispezione operaia e contadina materiale umano di qualità realmente moderna, cioè non inferiore ai migliori modelli dell'Europa occidentale. Certo, per una repubblica socialista questa condizione è troppo modesta, ma il primo lustro ci ha resi piuttosto diffidenti e scettici. E involontariamente siamo propensi ad esserIo verso coloro che troppo, e troppo alla leggera, blaterano per esempio, sulla «cultura proletaria»: per incominciare ci accontenteremo della vera cultura borghese, ci basterebbe sbarazzarci dei tipi di cultura preborghese particolarmente odiosi, cioè della cultura burocratica, feudale, ecc. Nei problemi della cultura è soprattutto dannoso aver fretta e voler fare le cose in grande. Molti nostri giovani letterati e comunisti se lo dovrebbero ficcare bene in testa. Cosi, riguardo all'apparato statale dobbiamo trarre dall'esperienza precedente la conclusione che sarebbe meglio andare più adagio. Nell'apparato statale la situazione è a tal punto deplorevole, per non dire vergognosa, che dobbiamo innanzitutto pensare seriamente al modo di combatterne i
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generale qualità umane anche migliori non servono a nulla. In secondo luogo, gli uomini che sanno, che sono istruiti e che sanno insegnare, sono da noi, in confrbnto a tutti gli altri Stati, in numero esiguo sino al ridicolo. E qui non bisogna dimenticare che siamo ancora troppo propensi a compensare (o a immaginare di poter compensare)questa mancanzadi cognizioni con lo zelo, la fretta, ecc. Per rinnovare il nostro apparato dobbiamo a ogni costo porci il compito, in primo luogo, di imparare; in secondo luogo, di imparare; in terzo luogo, di imparare, e poi di controllare ciò che si è imparato, affinché la scienza non rimanga lettera morta o frase alla moda (come da noi, e non v'è ragione di nasconderlo, accade molto spesso),affinché la scienzadiventi realmente carne della nostra carne, sangue del nostro sangue, affinché essa diventi in modo completo e reale parte integrante della nostra vita. In una parola, dobbiamo avanzare non le esigenze che avanza la borghesia dell'Europa occidentale, ma quelle che sono degne di un paese che si è posto il compito di divenire un paese socialista. Conclusione di quanto è stato detto: noi dobbiamo far si che l'Ispezione operaia e contadina, che è uno strumento per il miglioramento del nostro apparato, diventi un organismo veramente esemplare. Per essere all'altezza del compito che le è affidato, l'Ispezione deve attenersi alla regola: misurare sette volte prima di tagliare. Per costituire questo nuovo Commissariato del popolo è quindi necessario che effettivamente quanto vi è di meglio nel nostro regime sociale sia utilizzato con la massima cautela, riflessione e cognizione di causa. È quindi necessario che i migliori elementi esistenti cioè, innanzitutto, gli operai nel nostro regime sociale d'avanguardia e, in secondo luogo, gli elementi veramente istruiti, per i quali si può essere certi che non prenderanno nessuna parola per oro colato e non ne pronunceranno nessuna contraria alla loro coscienza non indietreggino di fronte a qualsiasi difficoltà, non abbiano paura di riconoscerla e di lottare per raggiungere il fine che si sono seriamente posti.
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Da ormai cinque anni ci facciamo in quattro per migliorare il nostro apparato statale, ma è stato soltanto un tramestio inutile, che in cinque anni non ha dimostrato altro che di servire a nulla e di essere persino dannoso. Il tramestio ci dava l'impressione che si stesse lavorando, ma in realtà si ingorgavano i nostri uffici e i nostri cervelli. Bisogna, infine, che le cose cambino. Bisogna imporsi la regola: meglio pochi, ma buoni. Bisogna imporsi la regola: meglio avere un buon materiale umano fra due o anche fra tre anni piuttosto che lavorare affrettatamente senza alcuna speranza di ottenerlo. So che sarà difficile attenersi a questa regola e applicarla alla nostra realtà. So che la regola opposta si farà strada attraverso migliaia di spiragli. So che sarà necessario resistere energicamente, che bisognerà dimostrare una diabolica tenacia e che il lavoro in questo campo, almeno per i primi anni, sarà diabolicamente ingrato; tuttavia sono convinto che solo mediante questo lavoro potremo raggiungere il nostro scopo e che solo dopo averlo raggiunto creeremo una repubblica veramente degna di essere chiamata sovietica, socialista, ecc. ecc. Probabilmente molti lettori avranno trovato che le cifre da me riportate a mo' d'esempio nel mio primo articolo sono troppo piccole. Sono convinto che si possono citare molti calcoli per dimostrarlo. Ma credo che al di sopra di tutti questi e di qualsiasi altro calcolo dobbiamo porre una cosa sola: l'interesse che ha per noi una qualità realmente esemplare. Penso che proprio ora sia infine giunto il momento in cui si deve lavorare con la massima serietà per migliorare il nostro apparato statale, il momento in cui l'aspetto più dannoso di questo lavoro sarebbe la fretta. E vorrei quindi mettere ben in guardia contro l'aumento di queste cifre. AI contrario, secondo me, bisogna essere particolarmente cauti con le cifre. Diciamolo pure: il commissariato del popolo per l'Ispezione operai;! e contadina non gode ora di nessun prestigio. Tutti sanno che non esistono organismi peggio organizzati dell'Ispezione operaia e contadina e che, nelle condizioni attuali, è inutile pretendere
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qualcosa da questo commissariato del popolo. Dobbiamo fermamente ricordarcene, se realmente ci proponiamo di formare nel corso di alcuni anni un organismo che, in primo luogo, dev'essere esemplare e, in secondo luogo, deve ispirare a tutti la più assoluta fiducia e, infine, dimostrare a tutti che abbiamo veramente giustificato il lavoro di un cosl alto organismo qual è la Commissione centrale di controllo. A parer mio, dobbiamo senz'altro, irrevocabilmente, respingere tutte le norme generali sul numero degli impiegati. Dobbiamo scegliere gli impiegati dell'Ispezione operaia e contadina in maniera del tutto particolare e basandoci esclusivamente su un esame severissimo. A che varrebbe, infatti, creare un commissariato del popolo che lavori alla bell'e meglio, che non ispiri la mtnima fiducia e la cui parola non goda nemmeno di un'ombra di prestigio? Ritengo che evitare tutto questo sia il nostro compito più importante nel corso del lavoro di riordinamento che ci proponiamo di fare. Gli operai che facciamo partecipare al lavoro come membri della Commissione centrale di controllo devono essere irreprensibili come comunisti, e penso che biso-
gnerà istruirli per lungo tempo per insegnar loro i metodi e gli obiettivi del loro lavoro. Inoltre un determinato numero di impiegati della segreteria, che dovranno essere messi alla prova tre volte prima di essere assunti, dovrà cooperare a questo lavoro. Infine, i quadri
che, in via di eccezione, decideremo di nominare subito come funzionari dell'Ispezione operaia e contadina devono soddisfare alle seguenti condizioni: in primo luogo, devono essere presentati da parecchi comunisti; in secondo luogo, devono sostenere un esame per provare che conoscono il nostro apparato statale; in terzo luogo, devono sostenere un esame per dimostrare che conoscono i principi della nostra teoria sull'apparato statale, le basi della scienza dell'amministrazione, del disbrigo delle pratiche, ecc.; in quarto luogo, devono lavorare in stretto contatto coi membri della Commissione centrale di controllo e
della loro segreteria, in modo da
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poter
rispondere
interamente del lavoro di tutto l'apparato. So che questi requisiti presuppongono
eccezionali e
sono incline
a temere
condizioni
che la maggioranza
dei «pratici» dell'Ispezione operaia e contadina dichiarerà inattuabili queste esigenze o se ne farà beffe. Ma io chiedo a qualsiasi attuale dirigente dell'Ispezione operaia e contadina o a chiunque abbia a che fare con essadi rispondermi in coscienza: quale è l'utilità pratica di un commissariato del popolo come l'Ispezione operaia e contadina? Credo che la domanda lo aiuterà a trovare il senso della misura. O non vale la pena di occuparsi di riorganizzare - come si è fatto tante volte un'impresa così disperata come l'Ispezione operaia e contadina, oppure bisogna realmente porsi il compito di creare in maniera lenta, difficile,insolita e non senza ripetuti controlli, un qualcosa di veramente esemplare, capace di infondere rispetto a tutti, e non solo perché i gradi e i titoli lo richiedono. Se non ci si vuole armare di pazienza, se non si vuole dedicare a questo lavoro alcuni anni, è meglio non accingervisi neppure. A parer mio, di tutti gli organismi che abbiamo già istituti superiori del sfornato in questo campo lavoro e simili - bisogna sceglierne pochissimi, controllare se l'impostazione del lavoro è seria e continuare questo lavoro soltanto in modo che sia realmente all'altezza della scienza moderna e ci dia tutte le garanzie. E allora non sarà un'utopia sperare di ottenere nel corso di alcuni anni un organismo che sia in grado di adempiere il suo compito, di lavorare cioè sistematicamente, con perseveranza, al miglioramento del nostro apparato statale, avendo la fiducia della classe operaia, del Partito comunista russo e di tutta la popolazione della nostra repubblica. Il lavoro preparatorio si potrebbe già cominciare fin d'ora. Se il commissariato del popolo per l'Ispezione operaia e contadina fosse d'accordo col piano di questa riorganizzazione, potrebbe fin d'ora prendere i provvedimenti necessari per poter lavorare sistematicamente fino alla loro completa attuazione, senza fretta e senza rifiutarsi di rifare ciò che è già stato fatto una volta.
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Qualsiasi decisione presa a metà sarebbe in questo caso estremamente dannosa. Ogni norma che stabilisce il numero dei funzionari dell'Ispezione operaia e contadina partendo da qualsiasi altra considerazione sarebbe in sostanza basata sulle vecchie considerazioni burocratiche, sugli antichi pregiudizi, su ciò che è già stato condannato e suscita lo scherno generale, ecc. In sostanza, la questione si pone nei seguenti termini: o dimostriamo ora di aver appreso seriamente qualcosa sull'edificazione dello Stato (dovremmo pure aver imparato qualcosa in cinque anni!), oppure dimostriamo di non essere maturi, e allora non vale la pena di accingersi all'opera. Credo che con il materiale umano di cui disponiamo non peccheremmo di immodestia se supponessimo di aver imparato abbastanza per poter creare sistematicamente ed ex novo almeno un commissariato del popolo. È vero che questo commissariato del popolo deve da solo dare una fisionomia a tutto il nostro apparato statale. Bisogna bandire un concorso per due o più manuali sull'organizzazione del lavoro in generale, e del lavoro amministrativo in particolare. Si può prendere come base il libro di Ermanski, benché egli, sia detto tra parentesi, si distingua per un'evidente simpatia per il menscevismo e sia incapace di compilare un manuale adatto per il potere sovietico. Inoltre si può prendere come base il recente libro di Kergentsev; infine possono essere utili alcuni testi già esistenti. Bisogna mandare alcune persone preparate e coscienziose in Germania o in Inghilterra per raccogliere le pubblicazioni esistenti e per studiare questo problema. Dico in Inghilterra, nel caso in cui non sia possibile mandarle in America o nel Canadà. Occorre nominare una commissione che prepari uno schema di programma di esami per coloro che vogliono entrare nell'Ispezione operaia e contadina, e anche per i candidati a membri della Commissione centrale di controllo. Naturalmente, questi lavori e altri simili non intralceranno il lavoro né del commissario, né dei membri del collegio dell'Ispezione operaia e contadina, né del Presidium della Commissione centrale di controllo.
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Parallelamente bisognerà nominare una commissione che proceda alla scelta dei candidati a membri della Commissione centrale di controllo. Spero che per queste mansioni troveremo un numero più che sufficiente di candidati, sia fra gli impiegati esperti di tutte le amministrazioni che fra gli studenti delle nostre scuole sovietiche. Non credo sarebbe giusto escludere a priori l'una o l'altra categoria. Probabilmente dovremo decidere di dare una composizione eterogenea a questo organismo, che deve assommare in sé molte qualità e requisiti diversi, sicché la compilazione dell'elenco dei candidati richiederà un lavoro molto serio. Per esempio, sarebbe soprattutto non desiderabile che il nuovo commissariato del popolo fosse composto di gente di un solo tipo, di funzionari, diciamo, o se fossero esclusi uomini con qualità di agitatori, o altri il cui tratto caratteristico è la socievolezza o la capacità di penetrare in ambienti che funzionari di questo tipo abitualmente non frequentano, ecc. Credo che esprimerò meglio il mio pensiero se paragonerò il mio progetto con le organizzazioni di tipo accademico. I membri della Commissione centrale di controllo dovranno, sotto la guida del loro Presidium, studiare sistematicamente tutti gli incartamenti e i documenti dell'Ufficio politico. In pari tempo dovranno distribuire razionalmente il loro tempo fra le varie operazioni di controllo sul disbrigo degli affari nei nostri organismi, incominciando dai più piccoli per giungere fino ai massimi organismi statali. Infine farà parte del loro lavoro lo studio della teoria, cioè della teoria dell'organizzazione del lavoro a cui essi intendono dedicarsi, e l'attività pratica sotto la guida di compagni anziani o di professori degli istituti superiori di orga-' nizzazione del lavoro. Ma credo sarà loro assolutamente impossibile limitarsi a questo lavoro accademico. Essi dovranno al tempo stesso prepararsi ad un lavoro che non mi periterei di definire addestramento alla caccia, non dirò degli imbroglioni, ma di qualcosa di simile, e escogitare speciali accorgimenti per non rivelare le proprie mosse e tener segreti i propri metodi, ecc.
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Negli organismi dell'Europa occidentale simili proposte susciterebbero uno sdegno inaudito, un sentimento di indignazione morale, ecc.; ma io spero che non siamo ancora burocratizzati a tal punto da essere così suscettibili. La NEP non ha ancora potuto conquistarsi un così grande rispetto che ci si possa scandalizzare al solo pensiero che qualcuno possa essere colto sul fatto. La Repubblica sovietica è stata creata da così poco tempo e vi si è ammonticchiato un tal mucchio di ciarpame di ogni genere che è poco probabile che a qualcuno venga in mente di séandalizzarsi al pensiero che si possa frugare in questo mucchio ricorrendo a qualche astuzia, mediante esplorazioni che talvolta devono risalire a origini abbastanza lontane o seguire vie traverse; e se a qualcuno venisse in mente di scandalizzarsi possiamo esser certi che gli rideremo tutti dietro di cuore. La nostra nuova Ispezione operaia e contadina non sarà affetta, speriamo, da quel che i francesi chiamano pruderie, e che noi possiamo chiamare affettazione ridicola o ridicola presunzione, la quale torna a tutto vantaggio
della
nostra
burocrazia
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presa
nel suo in-
sieme sia sovietica che di partito. Sia detto tra parentesi, la burocrazia esiste da noi non solo negli organismi sovietici, ma anche in quelli di partito. Se più sopra ho scritto che dobbiamo studiare e ancora studiare negli istituti per l'organizzazione superiore del lavoro, ecc., ciò non vuoI dire affatto che io intenda questo «studio» in maniera più o meno scolastica, o mi limiti a pensare a uno studio unicamente scolastico. Spero che nessun vero rivoluzionario sospetti che dallo «studio» io voglia escludere in questo caso qualche tiro semischerzoso, qualche arguzia, qualche tranello o qualcosa del genere. So che in uno Stato austero e serio dell'Europa occidentale quest'idea susciterebbe veramente orrore, e nessun funzionario per bene acconsentirebbe di metterla in discussione. Ma io spero che non ci siamo ancora burocratizzati a tal punto, e che la discussione di questa idea susciterà in noi soltanto buon umore. Perché infatti non unire l'utile al dilettevole? Perché
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non servirsi di un tiro scherzoso o semischerzoso per scoprire qualcosa di ridicolo, di dannoso, semiridicolo, semidannoso, ecc.? Mi pare che se la nostra Ispezione operaia e contadina terrà conto di queste considerazioni ci guadagnerà non poco, e che la lista dei casi nei quali la nostra Commissione centrale di controllo o i suoi colleghi dell'Ispezione operaia e contadina hanno raggiunto alcuni dei più brillanti successi sarà di molto arricchita grazie alle gesta dei nostri futuri «ispettori» e «controllori» in posti che non è decoroso ricordare in manuali austeri e rispettabili. Come è possibile fondere organismi di partito con organismi sovietici? Non c'è qui qualcosa di inammissibile? Pongo questa domanda non a nome mio, ma a nome di co.loro a cui ho accennato sopra, quando ho detto che da noi esistono dei burocrati non solo negli organismi sovietici, ma anche in quelli di partito. E perché mai non fonderli se gli interessi della causa lo esigono? Vi è forse qualcuno che non abbia avuto occasione di osservare che in un commissariato del popolo come quello degli Affari esteri questo è estremamente utile ed è stato praticato sin dall'inizio? L'Ufficio politico non discute forse da un punto di vista di partito una quantità di problemi piccoli e grandi circa le «mosse» da noi compiute in risposta alle «mosse» delle potenze estere, allo scopo di prevenirne, diciamo, le astuzie, per non dir di peggio? Questa fusione elastica di un organismo sovietico con un organismo di partito non è forse la sorgente della forza eccezionale della nostra politica? Penso che ciò che si è dimostrato utile, che si è affermato ed è ormai entrato nell'uso comune tanto da non sollevare più alcun dubbio, sarà almeno altrettanto opportuno (anzi credo sarà molto più opportuno) per tutto il nostro apparato statale. L'Ispezione operaia e contadina dovrà appunto occuparsi di tutto il nostro apparato statale, e la
sua
attività
dovrà
toccare
tutti
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senza
ecce-
zione gli organismi statali sia locali che centrali, commerciali o puramente burocratici, educativi o di
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archivio, teatrali, ecc., in una parola, tutti, senza la più piccola esclusione. Perché dunque per un organismo con funzioni così ampie, il quale inoltre deve essere straordinariamente duttile nelle forme della sua attività, non ammettere un tipo particolare di fusione, cioè quella dell'organismo di controllo di partito con l'organismo di controllo sovietico? Non vi vedrei nessun ostacolo. Credo inoltre che tale fusione sia la sola garanzia per la riuscita del lavoro. Credo che tutti i dubbi in proposito possano spuntar fuori dagli angoli più polverosi del nostro apparato e che bisogna rispondere in un modo solo: con lo scherno. Un altro dubbio: è opportuno unire lo studio con l'esercizio delle proprie funzioni? Mi pare che non solo sia opportuno, ma obbligatorio. In generale, nonostante il nostro atteggiamento riv9luzionario verso i princìpi sui quali poggiano gli ordinamenti degli Stati europei occidentali, noi siamo riusciti a lasciarci contagiare da tutta una serie dei più dannosi e ridicoli pregiudizi, e in parte il contagio ce l'hanno di proposito portato i nostri cari burocrati, i quali hanno intenzionalmente speculato sul fatto che sarebbero riusciti a far buona pesca nelle torbide acque di questi pregiudizi, e vi sono riusciti a tal punto che fra noi solo coloro che sono completamente ciechi non hanno visto come questa pesca era largamente praticata. In tutti i campi delle relazioni sociali, economiche e politiche noi siamo «terribilmente» rivoluzionari. Ma quando si tratta di rispettare i gradi, di osservare le forme e i riti amministrativi, il nostro «rivoluzionarismo» è spesso sostituito dal più stantio tradizionalismo. In questo campo si può osservare spesso un fenomeno estremamente interessante: il grandioso balzo in avanti nella vita sociale si unisce ad una mostruosa timidezza di fronte ai più piccoli cambiamenti. E ciò è comprensibile, perché i più audaci passi in avanti sono stati fatti su un terreno che da lungo tempo era riservato alla teoria, su un terreno che era stato coltivato principalmente e persino quasi esclusi-
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vamente in modo teorico. Il russo si sfogava in casa contro l'odiosa condizione di impiegatuccio, si sfogava con elucubrazioni teoriche ardite, e queste elucubrazioni teoriche estremamente ardite acquistavano quindi un carattere eccezionalmente unilaterale. Nel nostro paese vivevano l'una accanto all'altra, in buona armonia, l'audacia teorica nelle costruzioni generali e una sorprendente timidezza per la più insignificante delle riforme burocratiche. Una grandiosa rivoluzione agraria mondiale è stata elaborata con un'audacia sconosciuta in altri Stati, e in pari tempo mancava la fantasia per una riforma burocratica di infimo ordine; mancava la fantasia o la pazienza per applicare a questa riforma quelle tesi generali che davano risultati così «brillanti» quando erano applicate a questioni di carattere generale. Perciò la nostra vita odierna unisce in sé, in misura sorprendente, i tratti dell'audacia più temeraria e della timidezza mentale di fronte ai cambiamenti più insignificanti. Penso che non sia stato altrimenti in nessuna delle rivoluzioni realmente grandi, in quanto le rivoluzioni realmente grandi nascono dall'antagonismo tra il vecchio, tra la tendenza a rielaborare il vecchio e la più astratta aspirazione al nuovo, che deve essere talmente nuovo da non contenere in sé nemmeno un briciolo di antico. E quanto più questa rivoluzione è repentina, tanto più a lungo dureranno tali contraddizioni. Il tratto generale della nostra vita odierna è il seguente: noi abbiamo distrutto l'industria capitalistica, ci siamo sforzati di distruggere dalle fondamenta gli istituti medievali, la grande proprietà fondiaria, e al suo posto abbiamo creato la piccola e piccolissima proprietà dei contadini, che seguono il proletariato per la fiducia che hanno riposto nei risultati della sua opera rivoluzionaria. È tuttavia difficile reggersi su questa fiducia fino alla vittoria della rivoluzione socialista nei paesi più progrediti, perché la classe dei piccoli e piccolissimi contadini, specialmente durante la NEP, si mantiene per necessità economica a un livello estremamente basso di rendimento del lavoro. Inoltre, la situazione internazionale ha fatto sì che oggi la Russia 13. Lewin
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è stata respinta indietro, e che, in generale, il rendimento del lavoro è ora considerevolmente inferiore a quello dell'anteguerra. Le potenze capitalistiche dell'Europa occidentale, in parte consapevolmente, in parte spontaneamente, hanno fatto tutto il possibile per respingerci indietro, per utilizzare gli elementi di guerra civile in Russia al fine di rovinare il più possibile il nostro paese. Appunto una soluzione simile della guerra imperialistica si presentava, naturalmente, come cosa che offriva considerevoli vantaggi: se non rovesceremo il regime rivoluzionario in Russia ne renderemo in ogni caso difficile lo sviluppo verso il socialismo. Così press'a poco ragionavano quelle potenze, e, secondo il loro modo di vedere, non potevano ragionare diversamente. Il risultato che hanno ottenuto è che il compito che si erano prefisso è stato assolto a metà. Non rovesciarono il nuovo regime creato dalla rivoluzione, ma non gli permisero di fare subito un passo in avanti tale da giustificare le previsioni dei socialisti e da permettergli di sviluppare con grandissima rapidità le forze produttive, di sviluppare tutte quelle possibilità che, messe insieme, avrebbero dato il socialismo, di dimostrare a tutti in modo evidente, lampante, che il socialismo racchiude in sé forze gigantesche e che l'umanità è ora passata in una nuova fase di sviluppo, che racchiude in sé possibilità magnifiche. Il sistema delle relazioni internazionali ha preso oggi una forma tale che uno degli Stati europei - la Germania è asservito agli Stati vincitori. Inoltre, parecchi Stati, tra i più vecchi dell'Occidente, avendo vinto la guerra, hanno avuto la possibilità di sfruttare la vittoria per fare alle loro classi oppresse diverse concessioni che, puressendo poco importanti, ritardano il movimento rivoluzionario e creano una sembianza di « pace sociale ». Nello stesso tempo, una serie di paesi, Oriente, India, Cina, ecc., a causa appunto dell'ultima guerra imperialistica, sono stati definitivamente gettati fuori dai loro binari. Il loro sviluppo si è adeguato allo sviluppo del capitalismo europeo. È incominciato in essi un fermento simile a quello che si ha in Europa. È ormai chiaro per il mondo intero che essi sono stati
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trascinati su una via di sviluppo che non può non portare a una crisi del capitalismo mondiale nel suo insieme. Ci troviamo così, nel momento attuale, davanti alla domanda: saremo noi in grado di resistere con la nostra piccola e piccolissima produzione contadina, nelle nostre condizioni disastrose, fino a che i paesi capitalistici dell'Europa occidentale non avranno compiuto il loro sviluppo verso il socialismo? Ed essi tuttavia non lo compiono come ci attendevamo. Essi lo compiono non attraverso una «maturazione» uniforme del socialismo, ma attraverso lo sfruttamento di alcuni Stati da parte di altri, attraverso lo sfruttamento del primo Stato vinto nella guerra imperialistica, unito allo sfruttamento di tutto l'Oriente. L'Oriente, d'altra parte, è entrato definitivamente nel movimento rivoluzionario appunto in seguito a questa prima guerra imperialistica, ed è stato trascinato definitivamente nel turbine generale del movimento rivoluzionario mondiale. Quale tattica prescrive dunque tale situazione per il nostro paese? Evidentemente la seguente: dobbiamo essere estremamente cauti per poter conservare il nostro potere operaio, per poter mantenere sotto la sua autorità e sotto la sua guida i nostri piccoli e piccolissimi contadini. Dalla nostra parte c'è il vantaggio che tutto il mondo sta già passando a un movimento da cui dovrà nascere la rivoluzione socialista mondiale. Ma vi è anche lo svantaggio che gli imperialisti sono riusciti a scindere tutto il mondo in due campi, e che inoltre questa scissione si complica per il fatto che la Germania, paese capitalistico effettivamente sviluppato e colto, incontra estreme difficoltà per rimettersi in piedi. Tutte le potenze capitalistiche del cosiddetto Occidente la beccano e non le permettono di rialzarsi. E, d'altra parte, tutto l'Oriente, con le sue centinaia di milioni di lavoratori sfruttati e ridotti all'estremo limite della sopportazione, è messo in condizioni tali che' le sue forze fisiche materiali non possono essere messe a confronto con le forze fisiche materiali e militari di
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uno qualsiasi degli Stati più piccoli dell'Europa occidentale. Possiamo noi salvarci dall'incombente conflitto con questi Stati imperialistici? Possiamo noi sperare che gli antagonismi e i conflitti interni fra i floridi Stati imperialistici dell'Occidente ed i floridi Stati imperialistici d'Oriente ci diano un periodo di tregua per la seconda volta come ce l'hanno data la prima volta, allorché la campagna della controrivoluzione dell'Europa occidentale, volta ad appoggiare la controrivoluzione russa, fallì a causa delle contraddizioni esistenti nel campo dei controrivoluzionari d'Occidente e d'Oriente, nel campo degli sfruttatori orientali e degli sfruttatori occidentali, nel campo del Giappone e dell'America? A questa domanda, io penso, dobbiamo rispondere che la soluzione dipende qui da troppe circostanze, e che l'esito di tutta la lotta in generale può essere previsto solo considerando che, in fin dei conti, il capitalismo stesso educa ed addestra alla lotta l'enorme maggioranza della popolazione del globo. L'esito della lotta dipende, in ultima analisi, dal fatto che la Russia, l'India, la Cina, ecc., costituiscono l'enorme maggioranza della popolazione. Ed è appunto questa maggioranza che negli ultimi anni, con una rapidità mai vista, è entrata in lotta per la propria liberazione, sicché in questo senso non può sorgere ombra di dubbio sul risultato finale della lotta mondiale. In questo senso la vittoria definitiva del socialismo è senza dubbio pienamente assicurata. Ma quel che c'interessa non è l'ineluttabilità della vittoria finale del socialismo. Ci interessa la tattica alla quale dobbiamo attenerci noi, Partito comunista russo, noi, potere sovietico della Russia, per impedire agli Stati controrivoluzionari dell'Europa occidentale di schiacciarci. Affinché ci sia possibile resistere sino al prossimo conflitto armato tra l'Occidente controrivoluzionario imperialistico e l'Oriente rivoluzionario e nazionalista, tra gli Stati più civili del mondo e gli Stati arretrati come quelli dell'Oriente, che peraltro costituiscono la maggioranza, è necessario che questa maggioranza faccia in
tempo
a diventare
civile. Anche noi non abbiamo
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un grado sufficiente di civiltà per passare direttamente al socialismo, pur essendoci da noi le premesse politiche. Dobbiamo attenerci a questa tattica oppure attuare per la nostra salvezza la politica seguente. Ci dobbiamo sforzare di costruire uno Stato in cui gli operai mantengano la loro direzione sui contadini, godano della fiducia dei contadini e con la più grande economia eliminino dai rapporti sociali ogni traccia di sperpero. Dobbiamo ridurre il nostro apparato statale in modo da fare la massima economia. Dobbiamo eliminare ogni traccia di quello che la Russia zarista ed il suo apparato burocratico e capitalistico ha lasciato in così larga misura in eredità al nostro apparato. Non sarà questo il regno della grettezza contadina? No. Se la classe operaia continuerà a' dirigere i contadini, avremo la possibilità, gestendo il nostro Stato con la massima economia, di far sì che ogni più piccolo risparmio serva a sviluppare la nostra industria meccanica, a sviluppare l'elettrificazione, l'estrazione idraulica della torba, a condurre a termine la centrale elettrica del Volkhov, ecc. Questa e solo questa è la nostra speranza. Solo allora, per dirla con una metafora, saremo in grado di passare da un cavallo all'altro, e precisamente dalla povera rozza contadina del mugik, dal ronzino dell'economia, adatto a un paese contadino rovinato, al cavallo che il proletario cerca e non può non cercare per sé, al cavallo della grande industria meccanica, dell'elettrificazione, della centrale elettrica del Volkhov, ecc. Ecco come nella mia mente lego il piano generale del nostro lavoro, della nostra politica, della nostra tattica, della nostra strategia con i compiti dell'Ispezione operaia e contadina riorganizzata. Ecco che cosa, secondo me, giustifica le cure eccezionali, l'attenzione eccezionale che noi dobbiamo dedicare all'Ispezione operaia e contadina, ponendola su un piano eccezionalmente elevato, dandole un gruppo dirigente che abbia gli stessi diritti del Comitato centrale ecc. ecc. Tale giustificazione consiste nel fatto che soltanto epurando al massimo il nostro apparato, riducendolo
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il che è assolutamente necessario saremo veramente in grado di resistere. Inoltre, saremo in grado di resistere non già restando al livello di un paese a piccola economia contadina, al livello di questa ristrettezza generale, ma a un livello che immancabilmente si eleverà fino alla grande industria meccanica. Ecco quali sono gli alti compiti che vorrei affidare alla. nostra Ispezione operaia e contadina. Ecco perché progetto la fusione di un autorevolissimo organismo dirigente del partito con un «semplice» commissariato del popolo.
al massimo
NOTA SULLAMALATTIADI LENIN DOPO IL lO MARZO1923
N. LENIN
2 marzo 1923. (Pubblicato sulla «Pravda» il 4 marzo 1923; la traduzione qui data è quella delle Opere, voI. XXXII, pp. 445-59.)
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La paralisi della metà destra del corpo e la perdita della parola sopraggiunte il lO marzo apparivano cosi allarmanti che il governo decise di rendere pubblica la gravità della malattia. Le «Izvestija» pubblicheranno d'ora in avanti un bollettino sanitario quotidiano. Il 15 maggio Lenin è trasportato dal suo appartamento al Cremlino alla sua casa di campagna di Gor'kij. Due mesi dopo, nel mese di luglio, sembra verificarsi un miracolo: la salute di Lenin migliora nuovamente. Comincia a passeggiare, si esercita a scrivere con la mano sinistra. È persino in grado di andare a visitare il presidente del sovkhoz locale e passare con lui tre giorni. Verso il IO agosto gli si permette di leggere. Riceve tutti i giorni la «Pravda », e più tardi le «Izvestija» ed altre pubblicazioni. Ben presto potrà intraprendere la lettura di libri, dei quali gli si prepara una lista. Abitualmente è la Krupskaja a leggergli gli articoli di giornale, talora anche i passaggi dei libri ch'egli le indica; infatti Lenin è lontano dall'essere completamente ristabilito. È per questo che è stupefacente ch'egli abbia potuto fare accettare dal suo entourage il viaggio ch'egli intraprende il 18 ottobre. Ritorna a Mosca, raggiunge il Cremlino in macchina, poi ne riparte per percorrere le strade e visitare i terreni dell'esposizione agricola. Rientra in seguito. nel suo gabinetto di lavoro, vi resta silenzioso un lungo
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momento, prende alcuni libri nella sua biblioteca e rientra a Gor'kij. Tra il 24 novembre e il 16 dicembre Bucharin, Preobrazenskij, Skvortsov-Stepanov, Krestinskij, Pjatnitskij e il redattore di «Krasnaja Nov' », Voronskij, vengono a rendergli visita. Gli parlano degli affari correnti e recano notizie che Lenin ascolta attentamente; ma egli non sembra aver ricuperato l'uso della parola: la cronologia inclusa nel volume XLV delle Socinenija, che segnala la perdita della parola, non ritorna più in seguito su questo argomento. All'inizio del 1924 Lenin assiste ad una serata natalizia organizzata al sovkhoz. Il 19 gennaio segue dalla troika una partita di caccia nella foresta. Ma la sua attività essenziale tra il 17 e il 20 gennaio consiste nell'ascoltare la lettura del rendiconto della XIII Conferenza del partito. Lenin sembra attentissimo, e a gesti pone talora delle domande; alcuni punti lo contrariano visibilmente, ma la Krupskaja riesce a calmarlo, probabilmente con informazioni inventate di sana pianta a questo scopo. Il 21 gennaio la salute di Lenin si aggrava improvvisamente. Muore alle ore 18,50.
CENNI BIOGRAFICI SULLE PERSONALIT A CITATE ~
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Agamali-Ogly
Capo del Sovnarkom
dell' Azerbaigian.
Bucharin, N.I. (1888-1938) Importante leader e teorico del partito bolscevico, al momento della morte di Lenin membro candidato dell'Ufficio politico, piĂš tardi membro effettivo, nel 1928-29 capo della cosiddetta ÂŤopposizione di destra Âť; giustiziato dopo il terzo processo di Mosca. Cerviakov, A.G. (n. nel 1892) della Bielorussia.
Capo del Sovnarkom
Cjurupa, A.D. (1870-1928) Vecchio bolscevico, commissario agli Approvvigionamenti dal 1918 al '21. Vice di Lenin al Sovnarkom dalla fine del 1921. Membro del cc. Dumbadze
Membro del Comitato centrale georgiano.
Dzerzinskij, F.E. (1877-1926) Importante dirigente del partito, capo della polizia politica e commissario agli Interni, alle Ferrovie e alle Comunicazioni. N.B. - Non compaiono nell'elenco Lenin, Stalin e Trockij.
Forster, O.R. Uno dei medici di Lenin, fatto venire dalla Germania.
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Cenni biografici
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Cenni biografici
Fotieva, L.A. (n. nel 1881) Iscritta al partito dal 1904,' segretaria del Sovnarkom e segretaria privata di Lenin.
Krzizanovskij, G.M. (1872-1959) Membro del partito, ingegnere e studioso, diresse il Gosplan negli anni 1921-30.
Gliasser, M.I.
Kujbyscev, V.V. (1888-1935) Leader del partito, commissario politico in Turkestan durante la guerra civile, divenne segretario del Comitato centrale quando Stalin assunse la çarica di segretario del partito nell'aprile 1922. Fu a capo più tardi del CC-RKI,del VSNKH,del Gosplan, ecc. Membro dell'Ufficio politico dal 1927.
Segretaria privata di Lenin.
Gorbunov, N.P. (1893-1938) Capo della segreteria del Sovnarkom e in tale funzione praticamente aiuto amministrativo di Lenin. Mori durante le purghe di Stalin. Kabaridze Membro del partito georgiano, partigiano di Mdivani, schiaffeggiato da Ordzonikidze in un impeto di collera.
Kamenev,L.B. (1883-1936) Importanteleader del partito, si oppose al colpo di Stato di Lenin nel 1917; ma, presto riconciliatosi con Lenin, diventava membro dell'Ufficio politico e uno dei tre vice di Lenin al Sovnarkom. Dopo la morte di Lenin fa parte del uiumvirato dominante (con Zinov'ev e Stalin) , ma, voltosi contro Stalin nel 1925, viene rapidamente silurato. Giustiziato dopo processo a Mosca nel 1936. Kapsukas-Mitscevitchius, V.S. (n. nel 1893) Membro del partito, di origine lituana, membro della commissione d'inchiesta presieduta da Dzerzinskij inviata in Georgia dall'Ufficio politico. Kavtaradze
Macharadze, F.E. (1868-1958) Importante leader bolscevico georgiano, presidente del Comitato centrale georgiano. Miljutin, V.P. (1884-1938) Vecchio bolscevico, uno dei primi leaders della VSNKH. Mjasnikov, A.F. (1886-1926) Dirigente del partito armeno, capo del Sovnarkom dell'Armenia.
Molotov, V.M. (n. nel 1890) Nel partito bolscevico dal 1906, dirigente importante sino alla sua rimozione per opera di N.S. Chrusd~v, era stato eletto al cc nel 1921 ed era divenuto in seguito segretario del cc e vice-presidente dell'Ufficio politico. Okudjava Membro Mdivani.
del
cc
georgiano,
partigiano
di
Membro del cc georgiano ribelle.
Krestinskij, N.N. (1883-1938) Vecchio bolscevico, segretario del Comitato centrale dal dicembre 1919 al marzo 1921, più tardi ambasciatore sovietico in Germania. Nel 1930 vice-commissario agli Affari Esteri. Scomparso nelle purghe degli anni trenta.
Krupskaja, N.K. (1869-19.39) Moglie di Lenin e sua collaboratrice.
Ordzonikidze, G.K. (1886-1937) Vecchio bolscevico, georgiano, leader militare e amministrativo del partito nel Caucaso durante la guerra civile e plenipotenziario nella stessa regione sino al 1926, quando passò al CC-RKI.Fu eletto al cc nel 1921 e all'Ufficio politico nel 1930; da quello stesso anno fu a capo dell'industria pesante, sino al suo suicidio nel 1937.
Petrovskij, G.I. (1878-1958) Vecchio membro del par-
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Cenni biografici
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tito, presidente del Comitato centrale ucraino (19191939), membro del cc del partito. Peri nel corso delle purghe.
partito, occupò posti importanti nella diplomazia sovietica e nell'amministrazione economica. Commissario alle Finanze dal 1922 al 1926. Vittima delle purghe.
Pjatakov, G.L. (1890-1937) Dirigente importante, economista, proposto da Lenin come vice-presidente del Gosplan. Espulso dal partito nel 1927 per trockismo, riammesso nel 1928, fu il vice di Ordzonikidze nel commissariato all'Industria pesante.
Sohz, A.A. (1872-1945) Vecchio membro del partito, dal 1921 membro della direzione del cc e della Corte suprema.
Pjatnitsldj, LO. (1882-1939) Lavorò nell'apparato del Komintern.
Tomskij, M.P. (1880-1936) Nel partito dal 1904, diresse i sindacati sovietici sino al 1928, quando fu espulso dal partito come uno dei capi dell'opposizione di destra. Membro dell'Ufficio politico dal 1922. Giustiziato dopo processo nel 1936.
Radek, K.B. (1885-1939) Membro del partito socialdemocratico polacco e tedesco, si uni ai bolscevichi nel 1917. Importante leader del Komintern, abile conferenziere e scrittore. Espulso per trockismo nel 1927, riammesso nel 1929, condannato alla prigione nel 1936.
Tsintsadze Membro del Comitato centrale georgiano che si oppose a Stalin e Ordzonikidze.
Rakovskij, Ch.G. (1873-1941) Socialista bulgaro, si uni ai bolscevichi nel 1917, fu a capo del Sovnarkom ucraino negli anni 1918-1923. Ambasciatore a Parigi e Londra, espulso dal partito per trockismo nel 1927, riammesso nel 1936, arrestato e inviato in campo di concentramento nel 1938.
Volodiceva, M.A. Segretaria privata di Lcnin. Ebbe l'incarico con la Fotieva e Gorbunov di raccogliere segretamente dati sull'affare georgiano.
Rykov, A.L (1881-1938) Importante leader del partito, fu a capo della VSNKHnel 1918-21, più tardi vice di Lenin nel Sovnarkom e nello STO. Successore di Lenin alla testa del Sovnarkom sino al 1930; voItosi in seguito contro Stalin nel 1928 come leader dell'opposizione di destra, fu giustiziato nel 1938 dopo processo pubblico. Skvortsov-Stepanov, LI. (1870-1928) Studioso, dirigente politico di secondo piano. Tradusse in russo Il capitale di Marx; dopo la morte di Lenin diresse l'Istituto per il marxismo-Ieninismo.
Sokol'nikov, G.Ya. (1888-1939) Vecchio membro del
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Cenni biografici
Ul'janova, M.L Sorella di Lenin, lavorò nella redazione della «Pravda »; non giocò, al di fuori di questo, alcun ruolo di primo piano.
Vorovskij, V.V. (1871-1921) Scrittore sovietico e personalità del partito nel campo letterario. Zinov'ev, G.E. (1883-1936) Eminente leader bolscevico, si oppose con Kamenev al colpo di Stato di Lenin e alla sua intenzione di costituire un governo esclusivamente bolscevico. Sotto Lenin membro dell'Ufficio politico e leader del Komintern, si uni a Kamenev e Stalin contro Trockij dopo la morte di Lenin. Ma nel 1925 si oppose a Stalin e si alleò con Trockij. A partire da allora egli fu a più riprese espulso e riammesso nuovamente nel partito, restando tuttavia definitivamente escluso dalle posizioni di comando. Fu giustiziato dopo il primo processo di Mosca nel 1936.
Glossario
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Premessa
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I. Il. III. IV. V. VI. VII. VIII. IX. X.
Una dittatura nel vuoto La NEP, questa sconosciuta L'eclissi di Lenin Stalin, Trockij e i georgiani Il malato ed il suo sorvegliante Il «testamento» di Lenin L'« affare clandestino» La Russia tra Occidente e Oriente Per una riforma delle strutture governative Se Lenin fosse vissuto...
13 33 43 57 79 91 105 119 133 145
APPENDICI
I. Il. III. il'
Il progetto di Stalin detto «di autonomizzazione » Le note critiche di Lenin ed il suo progetto di formazione dell'URSS Progetto sottoposto al Comitato centrale il 6 ottobre 1922
161 163 166
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Indice
IV.
Stalin sulla lettera di Lenin concernente il commercio estero V. Lettera della Krupskaja a Kamenev VI. L'Ufficio politico autorizza Lenin a dettare le sue note VII. Piano di lavoro dettato da Lenin VIII. La risposta di Trockij a Lenin sulla difesa dei georgiani IX. Meglio meno, ma meglio X. Nota sulla malattia di Lenin dopo il lO marzo 1923 Cenni biograficisulle personalitĂ citate
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