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ANNO 1 N. 4 APRILE 2009 ● Supplemento mensile di Appunti Alessandrini ● appunti.alessandrini@alice.it
EDITORIALE
Le celebrazioni del 25 aprile RESISTENZA E NAZIONE Agostino Pietrasanta ●
Il presidente del Consiglio ha dichiarato che parteciperà alle celebrazioni del 25 aprile; ne prendiamo atto, con soddisfazione. Ovviamente non ci aspettavamo che il cavaliere ammettesse di aver sbagliato, stante il suo ruolo istituzionale, a non partecipare alle precedenti edizioni della ricorrenza; né, peraltro, lo pretendevamo. Non sarebbe stato in linea con i suoi comportamenti. In cambio ha motivato ( nel senso proprio che ha svelato il movente) la scelta delle sue precedenti assenze: imputava (e non credo abbia cambiato opinione) ad una parte politica la responsabilità storica di essersi appropriata dell’evento resistenziale, impedendo alla data del 25 aprile di essere punto di riferimento comune della nazione. Con tutta onestà, va ammesso, ci sono alcuni nodi che hanno costituito, ed in parte ancora costituiscono, oggetto di valutazione. Il primo problema riguarda la frattura, di cui non si può che prendere atto, che si è prodotta nello stesso avvenimento: non tutti gli Italiani hanno combattuto dalla stessa parte. Giustamente, si afferma che solo il riconoscimento della lealtà e della buona fede di tutte le scelte può contribuire a sanare le conseguenze di lungo periodo di tale frattura. (continua a pag.2)
Dario Fornaro ●
Tardi o tosto il federalismo economico-fiscale arriverà. Se non per vasta convinzione, per esaurimento. Esaurimento dei contorti tentativi politici di prendere tempo con le pretese leghiste. E sorgerà l’alba (in macro) dell’equità distributiva, tra regioni, delle risorse tributarie e della potestà di spesa e (in micro) della reale possibilità del cittadino di rendersi conto – di poi premiando o castigando – della bontà, o meno, delle scelte amministrative locali e del conveniente rapporto fra entrate e spese, tra costi e benefici, anche a livello di singole decisioni d’intervento. Obiettivo commendevole, probabilmente condivisibile ben oltre le agguerrite schiere celto-padane. Se non fosse per il tragico dubbio che, se tanto mi da tanto, se proseguono, come proseguirànno, il verticismo, l’oligarchia, la cooptazione, l’autoreferenzialità delle forze politiche in campo (e in panchina), la carenza o l’inefficienza dei mitici “corpi intermedi”, le possibilità del cittadino di capire e dire la sua, saranno altrettanto esigue o precarie di quelle che oggi largamente e inutilmente lamentiamo. Con la felice eccezione dei comuni con poche anime – ove l’informazione orale si deposita e si tramanda nel bar del paese - a livelli minimamente più vasti e complessi, il cittadino medio è condannato a brancolare nella nebbia delle mezze notizie, dei dati smozzicati, delle polemiche strumentali e,
complessivamente, della minestra che passa, quando passa, il convento della stampa. Di fronte ad una proposta d’intervento a contenuto economico di qualche rilievo, il cittadino non dispone – e ben difficilmente anche se volesse documentarsi – dei dati, delle coordinate di bilancio, dei confronti e degli indirizzi programmatici necessari per formarsi un opinione non avventata ed esercitare una qualche forma di “controllo federale”. Problema vecchio come le disquisizioni sulla democrazia (ristretta? allargata?) ma al quale si era pensato di ovviare, almeno parzialmente, con il suffragio universale e con la presenza attiva dei partiti, o delle formazioni equivalenti, delegati ad acquisire e gestire, verso l’alto e verso il basso, un’informazione amministrativa sistematica e perciò stesso “privilegiata”. Oggi non più. I partiti, o meglio, i loro disseccati simulacri, gestiscono come una gelosa pertinenza l’informazione privilegiata, di cui dispongono come rendita di posizione “professionale”, quando , addirittura, non fanno argine tra i Consigli (comunali, provinciali, regionali) e i rispettivi retroterra civici: fascino, esclusivo ed escludente, del Palazzo e tutela degli arcana imperii. Di qui il grande patema: un federalismo con corporazioni, ma senza autentici “corpi intermedi”, rischia di presentare un pesante conto di leaderismi territoriali, con i cittadini nuovamente pregati di non disturbare i manovratori, e di andare, all’occorrenza, tranquillamente al mare. Federalismo all’incontrario? Ahi, ahi, ahi!
RESISTENZA E NAZIONE (Editoriale - continua da pagina 1)
Si tratta di riconoscimento propedeutico al recupero della Resistenza come riferimento comune e fondativo della nazione; ad un patto: che non si metta sullo stesso piano chi ha scelto di combattere per la libertà del Paese e chi ha scelto la parte contraria. Riconosciuta la lealtà di tutti, va distinto il giudizio, almeno politico, delle differenti posizioni assunte. Il secondo problema riguarda ancora una frattura: tra chi ha combattuto e la stragrande maggioranza degli Italiani che hanno vissuto l’esperienza senza impegno di lotta armata. In fondo i partigiani combattenti non hanno superato (o l’hanno superato di poco) i centomila; eppure l’opposizione ferma e generalizzata alla violenza ed alla guerra, l’attenzione ad una vicenda dagli esiti incerti, risolutiva delle sorti dell’umanità ed in particolare del paese Italia, la voglia di chiudere l’esperienza dell’arroganza politica (ne siamo fuori sul serio oggi?!) e del totalitarismo, lo stesso appoggio molte volte offerto ai partigiani in pericolo costituiscono atteggiamenti generalizzati di tutti gli Italiani coinvolti, spesso anche loro malgrado, nell’evento. La sua conclusione, il 25 aprile appunto, ha posto per l’Italia, le premesse di istituti di democrazia reale: la Costituzione della Repubblica ne costituisce il documento fondamentale: per questo non sarebbe fuori luogo chiedere a chi si appresta, per la prima volta, a partecipare alle celebrazioni della liberazione, di smetterla di attaccare la Carta dello Stato nei suoi valori costitutivi. Un terzo problema riguarda proprio l’appropriazione egemonica della Resistenza operata da una parte politica. Su questo c’è poco da dire: se c’è stata (e qualche volta c’è stata) si è trattato di un errore: non basta essere forza trainante di un’operazione per pretenderne l’esclusiva.
Il risultato è semplicemente logico: ogni pretesa esclusiva si risolve in una scelta di parte e, fin che tale rimane, non può essere rappresentativa della cittadinanza comune. Un’ultima osservazione. Indubbiamente c’è stato nell’evento resistenziale una forte motivazione di classe. Tuttavia non si può affermare che abbia riguardato la generalità dei suoi protagonisti; né si può accettare un’interpretazione del movimento che riduca la sua forza propulsiva alla lotta di classe. A riguardo ci sono ormai valutazioni rilevanti; basti accennare alla ricorrente pubblicistica sulla Resistenza di parte cattolica ed alle tesi che sostengono una maggiore presenza ed un maggior impegno del “basso” clero, rispetto a quello dei vescovi. Ci sono studi, ormai datati di qualche decennio, che dimostrano la non sostenibilità di tale impostazione; la presenza riguardò i vari livelli “gerarchici” ed in definitiva, fu molto più rilevante il numero delle presenze dalla parte dei resistenti che dalla parte della repubblica di Salò. Anche su quest’ultimo punto gli stereotipi sono rischiosi: escludono e non favoriscono un processo che faccia del 25 aprile una data nella quale tutti gli Italiani possano riconoscersi.
Una società italiana ed una giapponese decisero di sfidarsi in una gara di canoa. I giapponesi vinsero con un vantaggio di oltre un chilometro. Dopo la sconfitta il morale della squadra italiana era a terra. Il top management decise che si sarebbe dovuto vincere l'anno successivo e mise in piedi un gruppo di progetto per investigare il problema. Si scoprì dopo molte analisi che i giapponesi avevano 7 uomini ai remi e uno che comandava, mentre la squadra italiana aveva un uomo che remava e 7 che comandavano. In questa situazione di crisi il management dette una chiara prova di capacità gestionale: ingaggiò immediatamente una società di consulenza per investigare la struttura della squadra italiana. Dopo molti mesi, gli esperti giunsero alla conclusione che nella squadra c'erano troppe persone a comandare e troppe poche a remare. Con il supporto degli esperti fu deciso di cambiare la struttura della squadra. Ora ci sarebbero stati 4 comandanti, 2 supervisori dei comandanti, un capo dei supervisori e uno ai remi. L'anno dopo i giapponesi vinsero con un vantaggio di 2 chilometri. La società italiana licenziò immediatamente il rematore a causa degli scarsi risultati ottenuti sul lavoro. Al momento la società italiana è impegnata a progettare una nuova canoa...
Ap ● Supplemento ANNO 1 N.4 Aprile 2009 Coordinatore: Agostino Pietrasanta Staff: Marco Ciani ● Walter Fiocchi Dario Fornaro ● Roberto Massaro Carlo Piccini Per ricevere questa Newsletter manda una mail all’indirizzo
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