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ANNO 1 N. 6 GIUGNO 2009 ● Supplemento mensile di Appunti Alessandrini ● appunti.alessandrini@alice.it
EDITORIALE
L’analisi dei dati elettorali usciti dalle urne il 6 e 7 giugno
QUALCOSA MANCA
Tengono i conservatori, arretra la sinistra, calano i votanti
Agostino Pietrasanta ●
Se il riferimento di valutazione fosse il referendum da cui Berlusconi sperava e si augurava un plebiscito trionfante, il maggior sconfitto delle elezioni sarebbe proprio Lui, il cavaliere ossidato. Purtroppo la questione è di ben altra natura. Le elezioni riguardavano, prima di tutto, il Parlamento europeo ed il risultato più eclatante si risolve in due variabili: l’astensionismo ed il successo delle forze euroscettiche. Intanto l’astensionismo. Si possono proporre molte ragioni, ma la più semplice è sotto gli occhi di tutti: manca una politica europea. Manca una comune politica estera, manca una comune politica di difesa, manca una politica dell’ambiente che faccia presente la forza contrattuale dell’ Europa, manca una politica dell’emigrazione e della “presenza inevitabile” come fenomeno complessivo, dello “straniero”, e le conseguenti politiche della sicurezza, problema comune. Su tutti questi problemi in Europa si balbetta, senza conclusioni significative; eppure sarebbe bastato porre mente a ciò che ha significato il capitolo positivo dell’euro ed alle possibilità che tale capitolo (uno dei rarissimi che si sia concluso positivamente) ha aperto nell’affrontare l’aspetto finanziario della crisi attuale, per imparare la lezione: la lezione (continua a pag.2)
Marco Ciani ●
Le elezioni tenutesi il 6 e 7 giugno scorso per il rinnovo del Parlamento Europeo e di molte amministrazioni provinciali e comunali sono state caratterizzate da un significativo astensionismo. Riguardo al primo aspetto, la media dei votanti nei 27 Paesi dell’Europa, si è attestata su un poco lusinghiero 43%, in calo di due punti rispetto alle elezioni di 5 anni fa (dove i Paesi erano però 25). Dalle prime elezioni nel 1979 ad oggi il dato dell’affluenza è in costante arretramento tanto che in 30 anni, pur in un’Europa via via sempre più ampia, i votanti si sono tuttavia ridotti in termini percentuali di quasi 20 punti. Va meglio in Italia, dove due elettori su tre si sono recati alle urne, ma anche nel nostro Paese si registra una progressiva contrazione della partecipazione al voto. Stando ai dati forniti dall’Unione Europea, le percentuali ai vari raggruppamenti europei e i 736 seggi sarebbero suddivisi: popolari (PPE) 35,9% e 264 seggi; socialisti (PSE) 21,9% e 161 seggi; liberali (ALDE) 10,9% e 80 seggi; verdi (GREENS/EFA) 7,2% e 53 seggi; euroscettici (UEN) 4,8% e 35 seggi; comunisti e sinistre radicali (GUE/NGL) 4,3% e 32 seggi; indipendenti (IND/DEM) 2,4% e 18 seggi; altri 12,6% e 93 seggi. In questi giorni, i democratici italiani hanno sottoscritto con i socialisti europei un accordo per la costituzione di un nuovo gruppo, l’ASDE che raccoglierebbe assieme ai 161 socialisti anche i 21 eurodeputati
del PD, rafforzando così la pattuglia riformista a Strasburgo. Ma al di là di questi aspetti, sembra evidente la prevalenza dei partiti moderati e conservatori che confermano, con qualche lieve spostamento, i consensi ottenuti cinque anni fa. Hanno invece poco di che gioire i partiti di sinistra che escono ridimensionati dalla competizione, ad eccezione dei verdi che guadagnano qualche posizione. I socialisti vengono umiliati a Londra, Parigi e Berlino dove toccano i minimi con percentuali oscillanti tra il 15 ed il 21 per cento, mentre in Spagna, dove il risultato sfiora il 40%, vengono superati dai popolari. In Italia si conferma largamente maggioritaria l’alleanza tra Berlusconi e Bossi che incassa il 45,5% dei voti, in linea con le politiche 2008, ma con una Lega che incrementa di quasi 2 punti a spese del PDL. Le cose vanno poco diversamente a sinistra, dove la somma di PD, IDV e Radicali che assieme avevano nel 2008 il 37,6% cala di circa un punto. Anche qui però si assiste ad una erosione significativa dei voti democratici in favore del partito dipietrista che, passando dal 4,4 all’8 per cento, quasi raddoppia i propri consensi. Soddisfacente il risultato dell’UDC che spostandosi dal 5,6% al 6,5% incrementa di circa un punto, mente le due sinistre di Vendola e Ferrero collocandosi poco sopra il 3% rimangono escluse anche dal parlamento europeo dopo essere state estromesse, lo scorso anno, da quello nazionale. (continua a pag.2)
QUALCOSA MANCA
(Editoriale - continua da pagina 1)
cioè di quanto possa essere proficua una politica europea comune. Davanti al nulla o alla debolezza di una politica, il disinteresse non può stupire; davanti ad una campagna elettorale nella quale, almeno in Italia (ma non solo), le questioni europee non si sono neppure sfiorate, l’esito dell’astensionismo era inevitabile. E non mi si ribatta, per carità, che in Italia è andata molto meglio che nel resto del continente. Da noi hanno influito due variabili: si votava anche per le amministrative e non può stupire che chi si recava ai seggi per il rinnovo dei consigli comunali e provinciali, si adattasse poi a votare anche per le europee; inoltre, lo zoccolo duro della partecipazione elettorale, sempre ben più alto della percentuale dei giorni scorsi, ha avuto certamente il suo effetto. Resta il fatto di una diffusa disaffezione al voto europeo. Il successo delle forze euroscettiche non è che l’altra faccia della stessa medaglia: manca l’Europa e vince chi non la vuole, o ne vuole una versione evanescente. C’è ovviamente l’altro problema della sconfitta delle forze riformiste di sinistra in quasi tutti i Paesi europei. E qui si apre la questione di un ridimensionamento di rappresentanza popolare di queste forze.
Mi si permetta un accenno, con un occhio di attenzione all’Italia. La fine di alcuni blocchi sociali (si fa riferimento in genere alla crisi della classi medie e della compagine sociale operaia) apre problemi di rappresentanza mai risolti, a cominciare da quelli della legalità e della sicurezza, nonché a molti altri su cui in questa sede ed in altre abbiamo troppe volte parlato per ripeterci ora. C’è però una sottolineatura che va ripresa: per risolvere questi problemi ci vuole un luogo, che per un progetto riformista non può essere che il partito politico; ci vuole un “luogo pedagogico” che, proprio come parte, sappia confrontarsi dialetticamente con posizioni alternative; ci vuole un richiamo alla forza del dialogo come riscatto dall’omologazione dell’immagine. Tutto questo ci pone davanti ad un problema tanto intricato da sembrare irrisolvibile. Lo esprimo senza ulteriori valutazioni, peraltro anche queste più volte richiamate. A mio avviso, l’unica speranza di una ripresa del dibattito e del dialogo politico in contrapposizione alla “socializzazione televisiva delle masse” sta nell’iniziativa possibile del partito democratico (PD), senza escludere ulteriori apporti; bene (anzi male), oggi all’interno del PD, già si sentono voci di resa dei conti. Tanti auguri!
Ap ● Supplemento ANNO 1 N.6 Giugno 2009 Coordinatore: Agostino Pietrasanta Staff: Marco Ciani ● Walter Fiocchi Dario Fornaro ● Roberto Massaro Carlo Piccini Per ricevere questa Newsletter manda una mail all’indirizzo
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LE ELEZIONI PROVINCIALI AD ALESSANDRIA
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(continua da pagina 1)
Alle elezioni amministrative italiane, il risultato della destra appare ulteriormente rafforzato. Nel 2004, su 59 provincie, 50 erano state conquistate dal centrosinistra e solo 9 dal centrodestra. Nel 2009, su 62 provincie al voto (3 di nuova creazione), il centrodestra vince in 26 province, delle quali 15 strappate al centrosinistra che ne conquista solamente 14; in 22 si andrà al ballottaggio. Per quanto riguarda più in particolare la Provincia di Alessandria, rimandiamo al video di Ap Supplemento in calce a questo numero. Alle comunali, infine, 9 città capoluogo vanno al centrodestra che ne aveva 4; il centrosinistra si aggiudica 5 capoluoghi contro i 26 delle precedenti elezioni. I ballottaggi saranno 14. Da annotare che tutte le province ed i comuni che andranno al ballottaggio il 21 giugno prossimo erano retti fino ad ora da amministrazioni di centrosinistra. Naturalmente i risultati italiani possono essere interpretati, a seconda dei casi, come una conferma della vittoria della destra e l’inizio di una penetrazione di quest’ultima in zone tradizionalmente rosse, anche grazie alla spinta propulsiva della Lega. Oppure, come uno stop alla irresistibile ascesa del Cavaliere che vedeva il PDL proiettato addirittura sopra il 40% e, in compagnia dell’alleato padano, oltre la metà dell’elettorato. Il centro a sua volta sosterrà la fine della tendenza bipartitista, mentre la sinistra radicale ed altri rivendicheranno un nuovo spazio politico per le proprie posizioni. In un simile bailamme dove nessuno ammette di avere perso, si può però sostenere, con la ragionevolezza dei numeri, che la casa comune europea entusiasma sempre di meno. E malgrado siano passati solamente pochi mesi dalle elezioni presidenziali americane che sembravano avere aperto una nuova stagione politica, da noi la sinistra continua a non vincere (e a non convincere) né sul continente, né tantomeno in casa nostra.
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Ap ● Supplemento
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