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ANNO 2 N. 10 OTTOBRE 2008 ● Newsletter mensile di politica e attualità ● appunti.alessandrini@alice.it
EDITORIALE
Fine di un modello, tra crisi e riforma dei mercati finanziari
La scuola italiana al bivio SCELTE EDUCATIVE Agostino Pietrasanta ●
Nel corso del primo anno della nostra attività abbiamo cercato le ragioni di una presenza di cattolici nel centro/sinistra. Nello stesso tempo non abbiamo mai negato la legittimità di scelte alternative, il che ci ha permesso di usufruire di gradite collaborazioni di amici schierati su posizioni dialettiche rispetto alle nostre. Ora si fa urgente un percorso di definizione ulteriore: se, in una prima fase, abbiamo tentato di definire il contenitore, dobbiamo, in una fase ulteriore, definire i contenuti, in una prospettiva di prudenza, ma anche di chiarezza. Abbiamo più volte affermato che, in assenza di dibattito sui temi e sugli snodi della politica, anche un soggetto come il partito democratico (PD) si sarebbe arenato nelle secche della gestione del potere. Anzi: in presenza di apporti di cultura politica diversi e talora in contrasto su questioni di assoluta rilevanza e di importante impatto sulle istituzioni, il PD si sarebbe incartato nei meandri della irrilevanza. In altre parole, esistono, nella complessità sociale in cui viviamo, problemi che esigono risposte ed i soggetti politici che convivono nel PD propongono soluzioni diverse e molto spesso alternative. Si possono percorrere due strade: ignorare i problemi ed i nodi verranno tutti al pettine molto presto; affrontarli con chiarezza ed onestà di intenti alla ricerca del massimo di bene possibile, nella mediazione razionale e reciprocamente rispettosa. (continua a pag.4)
Nuove regole per un’economia socialmente responsabile Giuseppe Gallo ●
Il crac finanziario che sta sconvolgendo in questi giorni i mercati è iniziato nell’agosto 2007 negli Usa ed è dilagato velocemente assumendo i contorni di una crisi tendenzialmente sistemica e planetaria. Esso rappresenta, a mio parere, il capolinea storico del modello liberista che ha governato la globalizzazione nell’ultimo quarto del secolo scorso e nei primi anni del nuovo. Quella dei mutui subprime è l’ottava crisi finanziaria globale registrata da un ventennio a questa parte e, per unanime riconoscimento, si tratta della più grave dai tempi del crollo di Wall Street del 1929. Il Fondo Monetario Internazionale stima che essa porterà un effetto di riduzione complessiva di valore intorno a 1.400 miliardi di dollari. Queste considerazioni ci inducono a riconsiderare l’egemonia teorica e strategica del liberismo nel processo di globalizzazione; egemonia che ha fatto seguito alla crisi del fordismo-keynesismo e che ha favorito, nell’ultimo quarto di secolo, la transizione ad una fase storica dominata dal capitale finanziario. In tale scenario sono ricomparse, dopo mezzo secolo dalla grande depressione degli anni trenta, le crisi finanziarie, frutto avvelenato di un capitalismo deregolato e globale. Queste crisi, sospinte dai venti impetuosi della speculazione, impongono al ciclo economico andamenti erratici e determinano imponenti e ricorrenti distruzioni di valore, determinando il consueto corollario di fallimenti societari.
Per evitare il peggio, negli Usa e in Europa, banche e assicurazioni vengono salvate dalle autorità governative e si pongono garanzie sui depositi. Il piano approvato negli Stati Uniti, da solo, vale complessivamente 850 miliardi di dollari. Nel frattempo, i Paesi europei si muovono in ordine sparso, mettendo in evidenza la fragilità di una struttura incapace di esprimere una politica comune. Malgrado questi interventi, più o meno incisivi, incertezze, timori e sfiducia persistono. In realtà le crisi sono il sintomo di un malfunzionamento a lungo rimosso dal dibattito sulle riforme economiche. Malfunzionamento che si è trasformato, in tempi relativamente brevi, in una patologia strutturale tale da esigere una terapia rigorosa di riforma del capitalismo finanziario. A mio avviso, per favorire la transizione dall’attuale situazione ad una economia sociale di mercato - unica alternativa realistica all’attuale sistema - bisognerà partire dall’impresa, cioè dall’unità cellulare del modello. Assieme alla missione tradizionale - la creazione di valore l’impresa dovrà assumere in capo anche la responsabilità della compatibilità sociale ed ambientale del proprio operato complessivamente inteso. Se, al contrario, le aziende continuassero a rendere conto in via esclusiva ai propri azionisti - spesso circoscrivendoli a quelli di controllo – e ad avere come unica stella polare la massimizzazione dei profitti, diventerebbe impossibile interrompere il contrappasso infernale del liberismo costituito da crisi finanziarie di intensità crescente. (continua a pag.4)
QUI ALESSANDRIAL
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Via libera alla costruzione del nuovo nosocomio
Stipulato il protocollo tra gli enti, rimane il problema della localizzazione Dario Fornaro ●
La discussione – fatta di pochi eventi e molti rumors – sul nuovo ospedale di Alessandria, mostra già alcune tare che sostanzialmente rimandano alla solita partizione tra i pochi che sanno e i molti che chiacchierano. Viene ora, sul piatto, la questione importantissima della localizzazione dell’ospedale (“dove lo facciamo”) che sembra anticipare oltre misura il “come lo facciamo”. Si pensa, infatti, o si lascia pensare, che individuati e fissati i 100-150 mila quadri necessari, vale a dire il terreno-contenitore, tutto il resto, a cominciare dalla tipologia delle costruzioni da immettervi, si possa determinare in corsa, tra svariate possibilità e sensibilità. Sarà anche così, ma non fino al punto da assimilare la scelta dell’area alla scelta del gelato (a me piace alla crema, a me alla frutta, a me al cioccolato) come si potrebbe evincere da indicazioni di puro gusto, ovvero di pura capocchia come quella di piazzare l’ospedale in Fraschetta, tra la zona industriale Michelin e Ventolina. La scelta – e speriamo che vada poi così – dovrà essere ben ponderata e ben motivata sul piano sanitario, urbanistico, infrastrutturale e sociale (interazione con la comunità di riferimento). Ogni ritardo o superficialità o incongrua riservatezza, lascerebbe adito, infatti, a cattivi pensieri del tipo: gli interessi privati (i poteri forti, secondo il lessico comune) pilotano la scelta, opzionano terreni e prospettano appalti, poi la funzione pubblica confeziona il vestito, ragionevole ed elegante, per la scelta autorevolmente suggerita. Il ragionamento sembra olezzare di pregiudizio e dietrologia; e sarà pure. Ma occorre badare anche al fatto che un nuovo ospedale non è solo un ospedale, ma, come ha ammesso un esponente della maggioranza, anche una corposa premessa/indicazione per una nuova direttrice di sviluppo edificatorio della città stessa. Alla quale indicazione verranno poi subordinate, di fatto, scelte urbanistiche che in teoria dovrebbero
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AIl protocollo d’intesaA
maturare prima, o al più contemporaneamente, alla “grande opera”. In altri termini (fantastici, si spera) un pezzo importante del prossimo Piano Regolatore potrebbe essere in qualche modo predeterminato. E’ ovvio che non si può rimandare l’occasione ospedale, ma la discussione sulla localizzazione non va “stoppata” e compressa al puro ambito della competenza decisionale, vale a dire al consiglio comunale. Le implicazioni sono tante e di tale interesse per la cittadinanza tutta che certe ammonizioni, di provenienza incongrua e ruspante, a non interferire, a non suggerire, a non disturbare i lavori di Palazzo Rosso sul nuovo ospedale, tendono ad ottenere, si spera, l’effetto opposto, di stimolare l’attenzione assopita o menata per l’aia. Questa città si espande già, da anni, a ritmi sostenuti e sostanzialmente incontrollati. Se l’ospedale deve diventare anche il rompighiaccio di ulteriore cementificazione del territorio (di superamento della città mesopotamica di sindacal memoria) decida pur chi di dovere, ma ci si lasci l’onere e l’onore di discuterne liberamente e adeguatamente.
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Il protocollo d'intesa per l'elaborazione di uno studio di fattibilità per il nuovo ospedale di Alessandria è stato firmato il 9 settembre dal vicepresidente della Regione, Paolo Peveraro, dall'assessore regionale alla Tutela della salute e Sanità, Eleonora Artesio, dal direttore generale dell'azienda ospedaliera SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo, Maria Teresa Flecchia, dal presidente della Provincia, Paolo Filippi, e dal sindaco Piercarlo Fabbio. Nel documento il Comune di Alessandria si impegna a formalizzare entro 120 giorni, con una delibera di Consiglio comunale, la localizzazione scelta per la costruzione del nuovo presidio, tenendo conto delle indicazioni sulle caratteristiche che dovrà avere il nuovo nosocomio elaborate dalla direzione generale dell'ospedale. A quel punto, l'azienda ospedaliera, grazie a uno stanziamento di 500mila euro della Regione, potrà procedere alla gara per l'assegnazione dell'incarico di redazione dello studio di fattibilità sull'area individuata. Quest'ultimo dovrà essere predisposto secondo i criteri definiti da un gruppo di lavoro appositamente costituito dalla Regione e formato da esperti di tutti gli enti sottoscrittori dell'intesa e di altri soggetti istituzionali competenti alla redazione di pareri sull'opera, come ad esempio l'Arpa. Dal momento della sua formazione, il gruppo avrà 90 giorni di tempo per mettere a punto gli indirizzi. Lo studio, invece, dovrà essere consegnato entro 180 giorni dall'affidamento dell'incarico. Il processo di realizzazione del nuovo ospedale sarà successivamente definito con uno specifico accordo di programma, che dovrà prevedere l'approvazione del progetto preliminare e definitivo e della contestuale variante urbanistica, nonché le indicazioni programmatiche di valorizzazione dei beni di proprietà dell'azienda ospedaliera, finalizzate alla loro alienazione per il finanziamento dell'opera.
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L’INTERVISTAL
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Il Presidente Nazionale delle ACLI e l’impegno dei laici cristiani
Un confronto su scelta religiosa e politica, opinione pubblica, volontariato A cura di Dario Fornaro ●
Si ripropone periodicamente al vasto arcipelago dei movimenti cattolici una sorta di alternativa, quasi un bivio storico tra ”scelta religiosa” e ”scelta politica”. Con riferimento ai nostri anni, condivide l’attualità del problema? Oggi viviamo in un contesto sociale del tutto diverso da quello in cui maturò la cosiddetta “scelta religiosa” del laicato cattolico e che interessò prima di tutto l’Azione Cattolica. Si trattò di una scelta evidente per la sua caratterizzazione spirituale proprio perché allora esisteva il partito dei cattolici, la DC. Il fatto nuovo è la necessità di ripensare il rapporto tra religione e politica in una prospettiva di rigenerazione della democrazia, dal basso, ma anche con l’impegno ad incidere sulle regole del gioco e dunque sulle istituzioni. L’alternativa tra “scelta religiosa” e “scelta politica” – che nel secolo scorso aveva le sue ragioni – mi sembra vada superata evitando due opposte derive: il fondamentalismo, da un lato, e il pragmatismo avaloriale dall’altro. Scelta politica e scelta religiosa, nelle diversità degli orizzonti di riferimento devono poter trovare un terreno comune, una “visione” positiva di una nuova laicità. Passa di qui la possibilità di una rinnovata stagione di impegno dei laici cristiani nella polis e anche la possibilità di un’etica pubblica condivisa. Il “bivio” mi sembra oggi riproporsi in termini diversi. Richiede soprattutto di scegliere tra “rassegnazione” alla politica così com’è e la volontà di esserci, con competenza e rigore morale, come ci ha invitato a fare Benedetto XVI nel recente incontro di Cagliari. Parliamo di opinione pubblica. Questa estate si è dibattuto a lungo sulla sua ipotetica scomparsa. Ritiene che questa preoccupazione, ove concreta, abbia anche qualche riflesso o corrispondenza a livello di mondo cattolico?
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Andrea OLIVERO Presidente Nazionale delle ACLI Non mi sembra che l’opinione pubblica sia scomparsa, semmai appare così frastagliata e polverizzata che è difficile da condensare come qualcosa di consistente e rappresentativo. Direi che sono rimaste le “opinioni” e che si è dissolto il carattere “pubblico”, ossia il collante sociale che le rendeva potenti: il potere dell’opinione pubblica. Questo fenomeno interpella certamente la tenuta democratica del nostro Paese prima ancora del mondo cattolico. Infatti, il passaggio dalla democrazia rappresentativa alla democrazia d’opinione segna un esito ambivalente perché da una parte premia l’opinione del singolo soggetto, ma dall’altra penalizza i corpi sociali a tutto vantaggio dell’individualismo radicale e di una società post-sociale, come dice oggi Alain Touraine. Per i cattolici una democrazia sostanziale ed effettiva non può trasformarsi in una sondo-crazia (potere dei sondaggi) se non si vuole che essa degeneri prima o poi in un regime medio-cratico. In un recente, ampio focus del Corriere della Sera, si evidenziava un calo della tensione al volontariato e all’atteggiamento solidaristico. Come reagiscono, o si riposizionano, le ACLI di fronte a questa imprevista tendenza? Che questa tendenza sia vera o no, il calo del volontariato non mi sorprende. 3
Se però a causare il decremento del volontariato giovanile, come sostiene don Vittorio Nozza, direttore della Caritas Italiana, è soprattutto la precarietà del lavoro e la sua mobilità… allora non dobbiamo strapparci le vesti perché il tempo che poteva essere “donato” agli altri è ora diventato “necessario” per meglio garantire se stessi. Ciò non toglie che per le ACLI il calo della tensione al volontariato è un dato preoccupante, soprattutto perché si accompagna ad una diminuzione della partecipazione politica. Infatti la scelta che le ACLI hanno fatto nel loro Congresso di Roma (maggio 2008) è chiara: promuovere la partecipazione dei cittadini alla vita politica a partire dalle comunità locali e trasformando la democrazia associativa in democrazia deliberativa. Affermava Stefano Zamagni nel nostro recente incontro di studi di Perugia, che la democrazia deliberativa è molto conosciuta e praticata in altri Paesi dell’Europa e del mondo mentre è pressoché sconosciuta in Italia. Essa è uno strumento prezioso per consentire ai cittadini di indirizzare le scelte politiche riguardanti i temi più vicini alla vita della gente e al territorio. Le ACLI vogliono, insomma, rilanciare la partecipazione alla vita sociale e politica, insieme. Utilizzare questo metodo democratico per le politiche locali e nazionali sarebbe una vera svolta. Andrea OLIVERO 12° presidente nazionale delle ACLI. A 38 anni, è il terzo presidente più giovane di sempre. Nato a Cuneo il 24 febbraio 1970, laureato in lettere classiche a Torino, insegnante. Ha iniziato la sua storia nelle ACLI nel 1992, promuovendo nella sua provincia natale l’IPSIA (Istituto, pace, sviluppo e innovazione delle ACLI) per un importante progetto di cooperazione internazionale in Bosnia Erzegovina e altre iniziative in Kenya e Brasile
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SCELTE EDUCATIVE
Goodbye liberismo!
(Editoriale - continua da pagina 1)
(continua da pagina 1)
Per parte nostra, cercheremo di scegliere, di volta in volta, alcuni di tali snodi controversi. Cominciamo dal pluralismo scolastico. Si tratta di punto quanto mai controverso, perché noi non possiamo accettare il monopolio di Stato e tuttavia ci sono possibilità di confronto perché sosteniamo con forza la laicità del sistema formativo e la libertà dei relativi processi di formazione. Cominciamo con l’affermare che la scuola non può non essere sistema pubblico; strumento fondamentale di democrazia, perché rende tutti i cittadini ed ogni cittadino soggetto consapevole di diritti e di doveri, persegue il suo fine in un contesto di rilevanza pubblica. Il fatto è che pubblico, almeno per noi, non significa automaticamente monopolio di Stato; anche la scuola non statale può, a certe condizioni, rispondere alla qualifica di rilevanza pubblica. Il problema nasce in Italia perché la scuola non statale è prevalentemente, se non esclusivamente scuola religiosa ed il rischio per la laicità del sistema viene chiamato in causa e non sempre a torto. Forse la soluzione, meglio il punto di apertura del dibattito potrebbe trovarsi quando si prenda in considerazione la funzione pubblica del docente. In fondo su tale funzione si radica la formazione e, di conseguenza si garantisce la sostanza di una democrazia, che non si accontenta delle regole, ma si preoccupa della capacità dei cittadini di esserne titolari attivi. Il docente però svolge la stessa funzione, pena la caduta del suo stesso
operare, tanto nella scuola statale che in quella non statale e dunque dovrebbe essere assicurato dallo Stato, anche sul piano economico. Ovviamente ad alcune condizioni: primo, che la scuola non statale assicuri gli stessi livelli di quella di Stato e che si ponga le stesse finalità formative; eventuali aggiunte di progetto educativo devono appunto costituire delle aggiunte non delle sostituzioni; secondo, che accetti gli stessi controlli sulla sua qualità di quelli cui è sottoposta (?) la scuola di Stato; terzo, che accetti il controllo dei docenti in ingresso ed in itinere, scegliendo, a certe condizioni che andrebbero affrontate, i docenti stessi nelle graduatorie generali previsti dalle istituzioni, o con concorso o con altri mezzi. In altre parole facciamo pur valere il principio di non finanziamento della scuola non statale come istituzione, ma pensiamo alle forme per la remunerazione del docente, sempre funzione pubblica, ponendo in discussione ed in confronto dialettico le varie condizioni che abbiamo schematizzato. Aggiungo appena, ma anche questo dovrebbe essere oggetto di opportuno confronto, che il “senza oneri per lo Stato” viene assoggettato ad un numero troppo importante di interpretazioni per accontentarsi di quella esclusivamente letterale. Il problema si pone con rilevanza ed urgenza. Se non risolto, all’interno del PD, potrebbe succedere di trovarcelo sul cammino e magari come grimaldello per la maggioranza di destra, per dividere ancora le forze di centro/sinistra. Se qualcuno ne sente il bisogno…!
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L’INCUBO AMERICANO
ANNO 2 N.10 Ottobre 2008 Coordinatore: Agostino Pietrasanta Staff: Marco Ciani ● Walter Fiocchi Dario Fornaro ● Roberto Massaro Carlo Piccini Per ricevere questa Newsletter manda una mail all’indirizzo
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Vi sono invece altri “portatori di interesse” in relazione con le aziende che queste ultime dovranno riconsiderare attentamente. Piccoli azionisti, management, lavoratori, clienti, fornitori, pubblica amministrazione, collettività, generazioni future, l’ecosistema, e tutti quei soggetti/sistemi che sono realmente o potenzialmente in rapporto con l’impresa stessa. E in quali modi l’impresa può incorporare responsabilità? Almeno in 5 forme tra di loro complementari. 1) Nel modo di produrre valore (sostenibilità sociale ed ambientale). 2) Nel modo di distribuire valore (equilibrio distributivo tra tutti i portatori di interessi). 3) Negli orizzonti temporali (prevalenza del medio-lungo periodo sul breve-brevissimo periodo). 4) Nelle forme di governance (ispirate alla democrazia economica attraverso il patto sociale tra tutti i portatori di interessi). 5) Nella trasparenza informativa (bilancio “sociale” con particolare attenzione alla composizione e ripartizione del valore aggiunto tra i vari portatori di interessi). In conclusione. Il presente risulta caratterizzato da relazioni strutturali tra mercati finanziari deregolati, strategie d’impresa irresponsabili, crisi finanziarie ed economiche ricorrenti, globali e tendenzialmente sistemiche di gravità sempre maggiore, declino reddituale del lavoro dipendente, del reddito fisso e del ceto medio, crisi del welfare. Per risolvere positivamente il conflitto tra primato esclusivo dell’azionista e strategie di responsabilità sociale ed ambientale è necessario riformare i mercati finanziari secondo un modello alternativo a quello attualmente dominante. La questione della responsabilità sociale ed ambientale delle imprese (RSI o CSR) è da tempo all’attenzione del dibattito internazionale, ma nel nostro Paese risulta ancora episodica e legata alla contingenza. Nella discussione sulla turbolenza della transizione d’epoca che scuote il nostro tempo, non è azzardato sostenere che il protagonismo della società civile, la collaborazione con il mondo dell’associazionismo e delle reti nell’interesse dei cittadini rappresenteranno necessariamente e sempre di più nel futuro, positivi ed ineludibili punti di riferimento.
Ap ● PER UN DIBATTITO POLITICO