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ANNO 2 N. 12 DICEMBRE 2008 ● Newsletter mensile di politica e attualità ● appunti.alessandrini@alice.it
EDITORIALE
“L’antimafia sociale” nel commento di G. Caselli per Ap
SI ALLA FAMIGLIA NO ALL’IDEOLOGIA DELLA FAMIGLIA
Gode sempre di buona salute. Ma sta cambiando pelle
Renato Balduzzi ●
Partiamo da una singolare contraddizione: nel passaggio da un governo di centrosinistra a uno di destra, la famiglia ha perso quella centralità che aveva riacquistato, sia con la nomina di un ministro per le politiche della famiglia e la previsione di un’organica, ancorché ancora abbozzata, politica per la famiglia nelle leggi finanziarie, sia con l’acceso dibattito sul disegno di legge governativo in tema di diritti e doveri dei conviventi e con l’imponente manifestazione romana del maggio 2007, sia con la partecipata e feconda prima Conferenza nazionale sulla famiglia di Firenze sempre del 2007, sia infine con la nascita di un vero e strutturato Osservatorio nazionale sulla famiglia. Ridimensionato se non soppresso l’Osservatorio, lasciati nell’ombra le intese sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, gli asili-nido, le assistenti familiari e i centri consultoriali per la famiglia, sembra di essere tornati al consueto costume italiano: tanto ossequio verbale per la famiglia e il matrimonio, poca o nessuna politica concreta per le giovani coppie, la vita familiare della donna lavoratrice, la dimensione solidale della famiglia verso anziani e disabili. Paghi dall’aver “salvato”, a loro dire, la famiglia dagli attacchi delle convivenze, i più accesi tifosi, almeno a parole, del modello costituzionale di famiglia sembrano accontentarsi della famiglia-manifesto, incuranti non (continua a pag.4)
Carlo Piccini ●
In una intervista televisiva del 20 ottobre scorso, Vittorio Sgarbi in veste di Sindaco di Salemi in Sicilia (guarda il video), dichiarava a proposito di mafia: “Io sono convinto che la mafia in Sicilia non ci sia più. Tutti i capi della mafia sono stati catturati. Oggi l’unico latitante mitizzato è Matteo Messina Denaro, ma non ha il potere di influenzare alcun sindaco”. Poi parlando dell’idea di creare un museo della mafia: “La mafia in Sicilia è interpretata come stato d’animo, come costume, come attitudine” come “idea metafisica”. Infine, sull’associazione antiracket di Salemi, “nessun cittadino ha mai denunciato o denuncia il pizzo”, concludendo, tra la perplessità dei conduttori, che dunque il pizzo: “non c’è”. A riportarci con i piedi per terra ci ha pensato tra gli altri, pochi giorni dopo, anche il Ministro Roberto Maroni durante l’inaugurazione di un agriturismo realizzato in una villa confiscata a Totò Riina a Corleone. Accompagnato da Luigi Ciotti, in veste di presidente dell’Associazione Libera, spiegava come solo in Provincia di Palermo quest'anno "sono stati sequestrati beni per 571 milioni di euro: la sfida è quella di metterli definitivamente a disposizione dei cittadini". E Maroni ancora non sapeva che il successivo 18 novembre la DIA avrebbe sequestrato altri 700 milioni di euro (dodici società, 220 tra palazzine e ville, 133 terreni per un totale di 60 ettari) ad un imprenditore prestanome proprio del suddetto Matteo Messina Denaro.
Altro che non esserci più! La guerra ai poteri mafiosi è tuttora in pieno corso. Ma come vengono messi a disposizione dei cittadini questi beni? L’Associazione Libera è molto attiva su questo anche in Piemonte, sia sul fronte dei beni confiscati, sia su quello dell’antimafia culturale. In occasione della sua recente intervista per Appunti Alessandrini, abbiamo quindi chiesto al Procuratore Giancarlo Caselli, uno degli ispiratori di Libera assieme a Luigi Ciotti, che senso abbia parlare di antimafia sociale al Nord: “L’antimafia sociale al Nord si spiega con il fatto obiettivo che la mafia è questione nazionale, non circoscrivibile a certe aree geografiche, specie sul versante economico-finanziario”. La mafia sta quindi cambiando. “Infatti, il potere criminale ormai è sempre più potere economico e sta trasformando radicalmente il mercato e la concorrenza, riducendoli a simulacri. Ciò perché il sistema illegale gode di vantaggi enormi (capitali a costo zero. Facilità di aggirare molti ostacoli di legge nell’acquisizione di quote di mercato. Offerta di prezzi più bassi, non essendo il profitto l’obiettivo immediato. Possibilità di avere costi unitari nettamente inferiori. La corruzione e la violenza intimidatrice praticate sistematicamente), vantaggi che spiazzano ogni concorrente pulito, ne comprimono gli affari o lo espellono dal mercato, quando non lo svuotano fino a risucchiarlo, consentendo ai mafiosi o ai loro prestanome di impadronirsi delle sue attività. (continua a pag.2)
(continua da pagina 1)
Così il libero mercato e la leale competizione economica diventano scatole sempre più vuote.” Prosegue Caselli: “togliere alla mafia i beni che essa ha rapinato alla collettività è importante dovunque, non solo nel Mezzogiorno ma anche nel Nord. Anche perché l’antimafia sociale è materializzazione della legalità come convenienza: in quanto restituzione del maltolto, cioè di parte delle ricchezze accumulate dalla mafia mediante un sistematico drenaggio delle risorse ed un’economia di rapina che condiziona e vampirizza il tessuto economico legale (a forza di estorsioni, usure, truffe, appalti truccati, tangenti, eccetera). L’antimafia sociale, in altre parole, è la dimostrazione che l’antimafia è recupero di legalità che paga anche in termini di nuove opportunità di lavoro e di nuove occasioni di iniziative imprenditoriali. Siamo nell’orbita di quell’antimafia dei diritti che è indispensabile realizzare (insieme all’antimafia della cultura) perché i successi della repressione si consolidino e non risultino alla fine effimeri. L’antimafia sociale diviene così baluardo della democrazia contro i ricatti e le umiliazioni dei mafiosi. E’ sintesi di dignità ed indipendenza conquistate col lavoro: il modo più efficace per coinvolgere la società civile in un effettivo impegno antimafia, senza più deleghe esclusive alle Forze dell’Ordine e alla Magistratura, inevitabilmente indebolite se lasciate sole”.
CHE FINE FANNO I SOLDI SEQUESTRATI ALLA MAFIA? Effetto di una petizione popolare del 1995, con cui Libera raccolse un milione di firme per il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie, la L.109/1996 prevede l’assegna zione dei patrimoni e dei beni di provenienza illecita a quei soggetti – Associazioni, Cooperative, Comuni, Province e Regioni – in grado di restituirli alla cittadinanza, tramite servizi, attività di promozione sociale e lavoro. In 11 anni ha permesso la destinazione a fini sociali di oltre 3000 beni immobili (appartamenti, ville e terreni) in tutta Italia.
APPUNTI ALESSANDRINI
QUI ALESSANDRIAL
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Il rifacimento di Corso Roma
Tra politiche della viabilità e decoro urbano Dario Fornaro ●
Con una prosa a dir poco enfatica, è stata annunciata, anzi riannunciata, l’intenzione di Palazzo Rosso di procedere, appena esaurita la gara, all’integrale rifacimento di Corso Roma, con svolazzi/aperture sui cortili che vi si affacciano. Intenzione commendevole, decisione improcrastinabile, anche se, con i tempi che corrono, un occhio al piemontese “esageruma nen” non verrebbe male in termini di spese e ambizioni estetiche. Ora, la main street alessandrina giace indubbiamente in condizioni deplorevoli e sottoporla a cura radicale, con parecchi mesi di lavori e disagi, è anche un atto di un certo coraggio elettorale. Ciò detto e dato, occorre sottolineare con forza che il problema del centro storico è più vasto e perfino contradditorio: mentre si correrà ai ripari, ai grands travaux in Corso Roma, un’altra mezza dozzina di vie importanti, e per di più di non lontano rifacimento, proseguiranno a degradarsi pesantemente secondo una logica inesorabile: mentre tappi un buco qui, se ne apre un altro là. Il tutto perché da decenni questa città si è legata/condannata alle pavimentazioni in porfido, scegliendo il decoro più costoso (e fin qui si può quasi capire) e impegnandosi pervicacemente (e questo è assai difficile da capire) nel non proteggere il porfido dal traffico, interdetto o limitato. Anche i bambini sanno, o vedono, che il porfido non va d’accordo con il traffico veicolare, ma c’è sempre stata una “volontà superiore” (non ardisco pensare a interessi!) che “per il bene della città” ha imposto i cubetti di porfido, essendo di bocca buona anche sulla qualità della posa in opera. I risultati sono clamorosamente evidenti, sol che si voglia guardare. Via Cavour è prossima allo sfascio. 2
Seguono via Trotti, via della Vittoria, via San Lorenzo e Piazzetta della Lega (che cominciò a rovinarsi il giorno dopo l’inaugurazione) con cubetti mobili anche in via dei Martiri. La situazione più disastrosa è da tempo quella di via Savona-Piazza Garibaldi (e il viale dei Giardini comincia a smozzicarsi): l’ingresso della città sembra un campo prove per carrarmati. Anche le traverse trafficate di Corso Roma iniziano a dar segni di cedimento. L’unico “miracolo” è, per ora, Piazza della Libertà (che sia anche questione di materiali e tecniche di posa?) e ci auguriamo che duri. Il problema è – anche questo noto ai bambini più svegli – che i “rappezzi” al pavimento di porfido non tengono se sollecitatati continuamente e inesorabilmente dal passaggio dei veicoli, anche di media taglia. Hai voglia di proclamare che “il traffico è libertà e sviluppo commerciale”: il porfido non ascolta e va in pezzi. E il centro città, contro tutte le nobili intenzioni, assume un aspetto butterato e trasandato. E’ inutile chiedersi se una strada ben asfaltata (e anche ben riparabile), adorna di conveniente segnaletica orizzontale, non sia meglio, non sia più decorosa, salvo casi particolari, di una strada in porfido ridotta a grattugia. Rien à faire: noi dobbiamo essere, nei secoli, Alessandria PP, della Paglia e del Porfido. Contenti noi!
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L’INTERVISTAL
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Mons. VERSALDI ci racconta il primo anno di attività in Diocesi
Autonomia, dialogo e coerenza con i principi alla base dell’impegno politico A cura di Agostino Pietrasanta ●
Da un anno Lei è Vescovo della Chiesa di Alessandria: come giudica la situazione locale? Quali prospettive Le sembrano possibili per una pastorale efficace? Esprimo, intanto, il mio grazie al Signore, per avermi affidato la guida di questo popolo di Dio che è in Alessandria e testimonia la sua fede in Cristo, nel mondo. Sono grato a mons. Charrier che mi ha preceduto nella guida della Diocesi lasciandomi una preziosa eredità. In questo primo anno, sono stato in ascolto della realtà concreta in cui vivono i cristiani, per confortarli con la Parola di Dio e la partecipazione ai Sacramenti. Ho trovato un’accoglienza positiva, come Vescovo, ministro di Cristo di cui indica la sequela. In continuità con le direttive del Sinodo diocesano (1998) e del Convegno della Chiesa italiana di Verona (2006) ho raccolto le forze vive sul territorio per una pastorale di comunione, corresponsabilità e collaborazione. Ho cercato di descrivere il mio stile nella lettera pastorale “Chiesa di Alessandria: conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza” ed ho rivolto un messaggio in occasione dell’Anno Paolino, indetto dal Papa per indicare in S. Paolo un modello di evangelizzatore. Continuerò con gradualità e perseveranza con futuri piani pastorali. Primo appuntamento: la missione in città, da estendere a tutta la Diocesi; sarà un evento che partirà dall’esigenza di testimoniare il Vangelo alla Comunità Cristiana, ma anche a coloro che ritengono di non condividere la nostra fede. Quali tappe dei programmi futuri ritiene prioritari? Su quali collaborazioni ritiene di poter contare? Ho ripetuto in diverse occasioni: prima dei programmi ci sono le persone a cui far giungere Cristo Salvatore. La centralità della persona costituisce il criterio dell’azione pastorale volta a condurre gli uomini all’incontro con la Persona di Cristo Redentore. Incoraggio, su questi presupposti a continuare i cammini intrapresi; il rinnovamento è necessario, ma non si può dimenticare il lavoro compiuto. In questo contesto è necessaria la collaborazione di tutti i credenti, di ciascuno secondo il proprio carisma.
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S.E. Mons. Giuseppe VERSALDI C’è ancora della strada da percorrere, con maggiore unità e con un più efficace inserimento dei laici cristiani nella vita della Chiesa. I rapporti con la società complessa del mondo alessandrino può essere di aiuto alla sua azione di pastore? Con quali caratteristiche? Ottima l’accoglienza al Vescovo ed ottima la successiva collaborazione; ciò ha aiutato il mio inserimento. Necessita però un maggior contatto con la complessa società civile; la Chiesa di Alessandria è presente, con i suoi laici cristiani e le sue istituzioni, nel mondo del lavoro, nella scuola, nella sanità, e nella vita di solidarietà, secondo le indicazioni della carità. E’ mio desiderio rendere più incisiva e visibile la presenza della Chiesa nel mondo, per un servizio di animazione della realtà terrena. C’è la necessità di un dialogo con il mondo che non invento io, ma è prescritto dal Vangelo, nel rispetto dei singoli ruoli della Chiesa e delle istituzioni civili (“Rendete a Cesare ciò che è di Cesare ed a Dio Ciò che è di Dio” Mt 12,17). I laici cristiani e la politica. Vuol esprimere un suo parere ed una sua indicazione di orientamento? In senso stretto la politica, intesa come impegno nel mondo per il governo della cosa pubblica, è campo in cui i laici sono protagonisti; la Chiesa istituzione ed i pastori, come tali, non entrano come parte. Al mio arrivo, ho sentito la pressione per una identità di parte che ho respinto e respingo.
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Un documento della Congregazione della dottrina della fede del 2002, rivendica sì la legittimità della presenza della Chiesa nel sociale, ma attribuisce la responsabilità della relativa testimonianza ai laici credenti che animano la realtà terrena in coerenza col Vangelo. I cattolici scelgono con autonomia e secondo discernimento tra opinioni politiche anche diverse, ma tra quelle compatibili con la fede e la legge morale naturale, da cui derivano principi irrinunciabili che vanno assunti nella loro integrità. Ciò significa, ad esempio, che non si può in nome della giustizia dimenticare la carità o viceversa; che non si può promuovere la pace dimenticando i criteri di giustizia. Rimane, nella realizzazione del principio, un margine di discrezionalità, da giudicare alla luce dei risultati, lasciato alla responsabilità dei laici. Come Vescovo, intendo lasciare ai laici la scelta di libertà che ne consegue e mi adopero per aprire un dialogo sereno e rispettoso sia all’interno del mondo cattolico sia nel confronto con tutti perché si individuino la basi razionali dell’azione politica, compatibili con i principi nella loro integrità. Si tratta di animare il temporale, senza dimenticare l’eterno, nel rispetto dell’autonomia dei laici e nel richiamo alla coerenza. La Chiesa vuole concorrere ad animare la vita degli uomini, ma non opera scelte nei confronti delle parti politiche.
Giuseppe VERSALDI è nato a Villarboit (VC) il 30 luglio 1943. Ordinato sacerdote nel 1967. Docente di psicologia e diritto canonico presso la Pontificia Università Gregoriana. Avvocato e poi docente di antropologia presso lo Studio della Rota Romana e membro del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Vicario dell’Arcivescovo di Vercelli dal 1994, il 4 aprile 2007 è nominato Vescovo di Alessandria dove il 10 giugno dello stesso anno inizia il servizio pastorale
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SÌ ALLA FAMIGLIA. NO ALL’IDEOLOGIA DELLA FAMIGLIA (Editoriale - continua da pagina 1)
solo delle statistiche circa l’aumento crescente delle convivenze di fatto, ma altresì del ruolo marginale che il nostro Paese ha in Europa su queste tematiche e dunque della cattiva testimonianza che esso offre, in quanto Paese “cattolico” e con una normativa costituzionale assai esigente sul punto. Ora, perché l’attenzione alla famiglia, in una società multietica e multietnica, possa confermarsi e consolidarsi, è indispensabile evitare che della famiglia si pensi e si parli in astratto e che su di essa si costruisca un’ideologia. A ciò aiuta la Costituzione. Il modello costituzionale di famiglia da un lato riconosce l’intrinseca giuridicità della famiglia (i suoi “diritti”, appunto) quale luogo ordinario di umanizzazione e appresta un’indicazione di preferenza o privilegio per il modello della famiglia fondata sul matrimonio, a causa della tendenziale stabilità del rapporto e della serietà dell’impegno che essa comporta, dall’altro evita qualsiasi discriminazione. Sorge qui la domanda: l’art. 29 è da leggersi soltanto come rivolto a favorire discipline di vantaggio per la famiglia fondata sul matrimonio, oppure come esclusività di tutela? Poiché la legge non è solo certificazione della realtà, ma altresì regola della medesima, discipline che applicassero indiscriminatamente
normative di tutela dei diritti della famiglia a situazioni diverse dal modello costituzionale di famiglia verrebbero a menomare la funzione della norma costituzionale. Ciò non significa assenza di garanzia per situazioni, diverse da quella familiare, ove vengano comunque in rilievo affidamenti reciproci tali da consentire di parlare di formazione sociale e pertanto di considerare applicabile il richiamo dell’art. 2 della Costituzione. La risposta alla domanda può venire dalle caratteristiche delle due fattispecie costituzionali: da un lato la convivenza familiare dell’art. 29, fondata su un atto di volontà che determina un corrispondente status, valorizzato e incentivato dall’ordinamento; dall’altro convivenze diverse, caratterizzate dall’elemento di fatto della formazione sociale e dai connessi vincoli di solidarietà, nelle quali si pone, ancorché su un altro piano, un problema di riconoscimento di diritti e di previsione dei corrispondenti doveri. Ne consegue uno spazio per il legislatore ordinario, che può dare rilievo a situazioni di fatto nelle quali la convivenza costituisca una formazione sociale rilevante ai sensi dell’art. 2, senza però porre in essere discipline che si pongano come concorrenziali o parallele rispetto alle situazioni tutelate dall’art. 29.
Si muoveva in questa direzione il ddl del Governo Prodi sui cosiddetti Dico, mentre le alternative avanzate o introducono modelli paralleli (costituendo un nuovo istituto giuridico e un nuovo status civilistico), oppure trascurano il profilo dell’adempimento dei doveri connessi alle situazioni di convivenza, in contrasto con il sistema costituzionale. Certo, un riconoscimento legislativo di diritti e doveri dei conviventi, applicabile altresì a coppie di fatto sia eterosessuali sia omosessuali, può generare il convincimento di una sorta di equiparazione tra coppia coniugale e unione di fatto. Si tratta però di chiederci se non sia meglio tutelabile il valore insito nel modello familiare costituzionale attraverso una chiara discussione sui limiti etici e costituzionali del riconoscimento di diritti dei conviventi, piuttosto che sul rifiuto di ogni legislazione in materia. Il riconoscimento legislativo dei diritti e doveri dei conviventi, purché siano rispettate le condizioni eticocostituzionali di cui sopra, appare allora l’espressione di un bene comune possibile, che aiuti le convivenze, anche quelle più deboli e fragili, a essere sempre più formazioni sociali che sviluppano la personalità e a vivere sempre meglio rapporti di solidarietà. APPUNTI ALESSANDRINI Ap ● per un dibattito politico ANNO 2 N.12 Dicembre 2008
E con Natale Ap raddoppia…
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