APPUNTI ALESSANDRINI N.6-09

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NR. MONOGRAFICO NEL 50° DALL’ANNUNCIO DEL CONCILIO VATICANO II

ANNO 3 N.6 GIUGNO 2009 ● Newsletter mensile di politica e attualità ●  appunti.alessandrini@alice.it

EDITORIALE

Sacralità, partecipazione e ruolo del popolo cristiano

Sul Carattere pastorale del Concilio

I DUE NODI DEL VATICANO II Maurilio Guasco ● Da ormai vari anni la storiografia ha dedicato molta attenzione al Concilio Ecumenico Vaticano II, sia per raccontarne le varie fasi, sia per esaminare i testi che i Padri hanno elaborato. Tra i vari elementi che hanno sollevato maggiore discussione, ve ne sono due che hanno attirato l'attenzione e qualche polemica: il rapporto tra testi ed evento, e in che misura il Concilio abbia rappresentato un momento di rottura nella storia della Chiesa. Il primo problema è nato soprattutto dal fatto che la cosiddetta scuola di Bologna, che fa capo al professore Giuseppe Alberigo, recentemente scomparso, ha molto insistito sul fatto che l'elemento più significativo del Concilio è il fatto stesso che sia stato realizzato. Non è un problema indifferente: altri papi vi avevano pensato, ma forse ci voleva il coraggio di Giovanni XXIII per indirlo veramente. La presenza a Roma di un tale numero di vescovi, il diminuito potere della curia romana, il modo in cui i lavori sono stati condotti: tutto questo rappresenta di per sé un elemento periodizzante. I testi sono importanti, ma non possono non risentire del tempo in cui sono stati elaborati. Ma l'evento come tale rappresenta quasi un unicum nella storia della Chiesa. Il secondo problema si può riassumere in uno slogan: il Concilio rappresenta una continuità o una rottura nella storia della Chiesa? (segue a pag.4)

I cambiamenti introdotti con la riforma conciliare Silvano Sirboni ●

Premessa A 50 anni dall’annuncio della sua convocazione e a 44 dalla sua conclusione e dalla prima concreta applicazione della riforma liturgica (7 marzo 1965), abbiamo mai considerato che la maggioranza dell’attuale popolazione non può ricordarsi di come fosse la celebrazione della liturgia prima del Vaticano II? Chi è oggi al di sotto dei 50/55 anni non può fare un consapevole confronto e rendersi veramente conto delle trasformazioni e delle ragioni che le giustificano. Ragioni che la costituzione conciliare (“Sacrosanctum Concilium”= SC) così sintetizza: “Affinché più sicuramente il popolo cristiano possa avere l’abbondanza di grazie nella sacra liturgia, la santa madre Chiesa desidera fare un’accurata riforma generale della liturgia stessa. Infatti la liturgia consta di una parte immutabile, perché di istituzione divina, e di parti suscettibili di cambiamento, che nel corso dei tempi possono o anche devono variare, qualora in esse si fossero insinuati elementi meno rispondenti all’intima natura della stessa liturgia, o si fossero resi meno opportuni. Di tale riforma occorre ordinare i testi e i riti in modo che esprimano più chiaramente le sante realtà che significano e il popolo cristiano, per quanto possibile, possa capirle facilmente e parteciparvi con una celebrazione piena, attiva e comunitaria” (SC 21). Sarebbe questa un’intenzione diabolica?

La partecipazione attiva I più anziani, a prescindere dalle comprensibili nostalgie personali, ricordano certamente come quel culto che il Signore aveva affidato alla sua Chiesa, popolo tutto sa-

cerdotale, si fosse ridotto ad un’esecuzione di riti (talvolta anche vistosa nell’aspetto cerimoniale) affidata di fatto ad una categoria specializzata (= il clero) che, sola, aveva il potere di “contattare” la divinità. In altri termini, il ministero ordinato, per complesse vicende storiche, era diventato, in qualche modo, simile a quello degli stregoni pagani, unici detentori di un potere sacrale. I fedeli assistevano come “muti ed estranei” spettatori (SC 48). Poiché la liturgia non è solo culto a Dio, ma manifestazione dell’identità e della missione della Chiesa (cf SC 2 e 33), anzi “palestra” per sviluppare i fondamentali atteggiamenti di vita cristiana (= consapevolezza del proprio peccato, capacità di ascolto, di comunione, di condivisione, attenzione all’altro...), la prima preoccupazione della riforma liturgica è la partecipazione attiva. “La madre Chiesa desidera ardentemente che tutti i fedeli vengano guidati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione delle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano <<stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo di acquisto>> ha diritto e dovere in forza del battesimo” (SC 14). (segue a pag.4)


L’INTERVISTAL

L

Cosa rimane del Concilio Vaticano II a 50 anni dall’annuncio

Il cammino impegnativo da continuare con coraggio e perseveranza A cura di Agostino Pietrasanta ● Era il 25 gennaio del 1959 quando nella basilica di San Paolo Fuori Le Mura di Roma, Papa Giovanni XXIII annunciò la sua decisione di convocare un Concilio Ecumenico: il Concilio Vaticano II, in cui tutti i vescovi del mondo si riunirono per affrontare una lunga serie di problemi rimasti irrisolti per secoli nella Chiesa Universale. Nel 50° anniversario, abbiamo intervistato uno degli ultimi testimoni diretti di uno degli eventi più rivoluzionari nella storia plurimillenaria della Chiesa. Le sembra possibile, con approccio schematico, descrivere lo scenario, il contesto e lo spirito con cui si lavorava, nell’aula conciliare? Se sì, in che modo? La realtà nuova ed imponente era trovare in S. Pietro tutti i vescovi del mondo, in un’atmosfera veramente ecumenica (ecumene significa letteralmente “il mondo abitato”). I precedenti Concili, anche se dichiarati “ecumenici”, raccoglievano in realtà vescovi di territori determinati, prima intorno a Bisanzio, poi mediterranei o europei (allo stesso Concilio Vaticano I – 1869-70 – tolti alcuni nordamericani, i vescovi erano tutti europei, anche se missionari nei vari continenti). Al Vaticano II i vescovi africani erano indigeni, nati in Africa e portatori di cultura africana; così i vescovi dell’Asia, dell’America Latina, dell’Oceania. E vi era molto fervore, non solo negli interventi in aula, che talora bisognava limitare (spesso, dopo i Cardinali, si permetteva di parlare a chi fosse portavoce di almeno settanta confratelli), ma negli incontri pomeridiani, promossi dalle

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Mons. Luigi BETTAZZI Vescovo Emerito di Ivrea Conferenze episcopali nazionali o da iniziative particolari (rivolte, ad esempio, ai vescovi sudamericani o agli africani, un po’ sperduti e tendenti ad appoggiarsi ai confratelli delle antiche nazioni colonialiste, di cui parlavano anche la lingua). Papa Giovanni aveva fatto capire, con alcuni suoi interventi risolutivi, che il Concilio era nelle mani dei vescovi; e l’aveva confermato Paolo VI affidando a quattro “Moderatori” la guida dell’assemblea, prima riservata alla Segreteria, espressione delle esitazioni della Curia vaticana. Lei fu nominato Vescovo a Concilio iniziato. In ogni caso, è stato un protagonista su disparate questioni. Quale ricordo dei suoi interventi? Qualche cenno sui loro contenuti? Arrivai molto giovane (nominato alle soglie dei quarant’anni, giunsi così alla seconda Sessione), senza preparazione specifica, ma come Ausiliare del Card. Lercaro, ArciVescovo di Bologna, appena nominato tra i quattro Moderatori. Il Cardinal Lercaro si era portato da Bologna don Giuseppe Dossetti, il politico giurista divenuto sacerdote ed esperto di storia e strutture della Chiesa, e questi s’era preso con sé il professor Giuseppe Alberigo, 2

mandato prima in Germania proprio ad approfondire la dottrina e la storia di Concili Ecumenici. Essi avevano preparato per il Card. Lercaro un significativo intervento sulla collegialità (cioè sulla collaborazione dei vescovi al ministero pontificio), dopo un altro importante intervento del Card. Frings, Arcivescovo di Colonia (preparato dal suo teologo Joseph Ratzinger). Mi trovai a dover leggere quell’intervento, che fu di incoraggiamento alla maggioranza dei vescovi. In seguito dovevo limitarmi, per non far sembrare che il Card. Lercaro continuasse a servirsi di me per esprimere le sue sollecitazioni. Feci alcuni interventi di minor rilievo, altri li presentai per iscritto, fino a quello che risultò come la proposta – condivisa da molti – di una canonizzazione per acclamazione di Papa Giovanni come espressione della condivisione dei Padri conciliari con le aperture ecumeniche e personali del “Papa buono” (ma...tutti i Papi sono buoni!).

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Giovanni XXIII il Papa che indisse il Concilio Nel periodo, lei era ausiliare dell’Arcivescovo di Bologna, Cardinal Giacomo Lercaro. Quali episodi di collaborazione in Concilio, ritiene più interessanti? E’ innegabile che l’ “aggiornamento” della Chiesa suggerito dal Concilio porta a modifiche notevoli sul modo di agire delle strutture ecclesiali, e questo non può non creare problemi per chi si trova a gestire queste strutture, consolidate dal cammino dei secoli. Penso ad esempio alla consapevolezza personale con cui va misurata la fede dal ritrovato contatto con la Bibbia, prima pressoché riservato alla gerarchia, o alla riscoperta della liturgia come preghiera dei cristiani, che non “assistono” ma “partecipano” (prima per pregare durante la Messa si diceva il Rosario o – nei Seminari – si faceva la meditazione). Vengono più fortemente contestate le cosiddette “rivoluzioni copernicane”, che propongono il centro della realtà e dell’attenzione ad esso subordinando il resto. In realtà se, nella Chiesa, prima sembrava centrale il clero, garante dell’insegnamento della verità e della distribuzione di grazia, di cui i laici risultavano beneficiari, oggi si precisa che la Chiesa si identifica col popolo di Dio, di cui la gerarchia è al servizio.

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E questo viene indicato espressamente nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa (“Lumen gentium”). Così equivalentemente la Costituzione pastorale “Gaudium et spes” sulla Chiesa nel mondo contemporaneo indica che non è il mondo al servizio della Chiesa, unico territorio di salvezza, bensì la Chiesa ha il compito di fermento di salvezza per tutta l’umanità, tutta chiamata a costituire il “Regno di Dio”. Ed è innegabile che queste due “rivoluzioni copernicane” richiedono grande disponibilità per l’accoglienza e tanta intelligenza e generosità per l’attuazione. L’attuazione del Concilio è un cammino lungo, impegnativo, già certamente iniziato ma da continuare con coraggio e perseveranza

Il giovane teologo Joseph Ratzinger a colloquio con il Card. Frings Una recente pubblicazione di Melloni/ Ruggeri ha per titolo “Chi ha paura del Vaticano II?” Ritiene si tratti di indicazione significativa di una difficile ricezione? Come vede, oggi, nella prassi pastorale e nella vita della Chiesa, la realizzazione delle indicazioni del documenti conciliari? Più che alla “paura” penso alla difficoltà di attuare il Vaticano II, proprio perché non ha definito nuovi dogmi ma ha richiamato prospettive pastorali che obbligano a capovolgere, o quantomeno a modificare profondamente il modo di valutare e di operare. Quanto ho appena detto sul rilancio dell’ascolto della Parola di Dio o della partecipazione alla liturgia e sulle due “rivoluzioni copernicane”, che 3

alimentano l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, e, all’interno della Chiesa sollecitano non solo la collegialità intorno al papa ma anche organismi di partecipazione e di comunione, apre la via ad un cammino necessario ma faticoso, dopo secoli di cristianesimo a prevalenza difensiva e gerarchica. E’ per questo che son solito dire, guardando all’attuazione del Concilio, “già e non ancora”: molto cioè è stato fatto ma molto rimane da fare. E spetta a ciascuno, qualunque sia il suo livello di appartenenza alla Chiesa, fare del suo meglio, con discrezione ma con coraggio.

Mons. Luigi BETTAZZI Nasce a Treviso il 26 novembre 1923. Trascorre l'infanzia a Treviso e si trasferisce successivamente a Bologna dove è ordinato sacerdote il 4 agosto 1946. Laureato in Teologia alla Pontificia Università Gregoriana e in Filosofia presso la Università degli Studi 'Alma Mater' di Bologna. A Bologna ha insegnato presso il Pontificio Seminario Regionale ed è stato impegnato nei movimenti giovanili, in qualità di assistente diocesano e vice assistente nazionale degli universitari cattolici della FUCI. Il 10 agosto 1963 è nominato Vescovo titolare di Thagaste e Vescovo ausiliare di Bologna. Ordinato Vescovo il 4 ottobre 1963 dal Cardinale Giacomo Lercaro, partecipa a tre sessioni del Concilio Vaticano II. Al termine del Concilio, il 26 novembre 1966, diviene Vescovo di Ivrea. Nel 1968 è nominato presidente nazionale di Pax Christi e nel 1978 ne diventa presidente internazionale fino al 1985. È stato presidente della Commissione "Justitia et pax" della CEI ed è una delle figure di riferimento per il movimento pacifista di ispirazione cristiana. Il 20 febbraio 1999, si dimette per raggiunti limiti di età, conservando il titolo di Vescovo emerito di Ivrea.

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I DUE NODI

La celebrazione…

Indicazioni cronologiche

I sostenitori di una certa rottura, hanno anche elaborato una storia del Concilio, in diversi volumi, tradotta in varie lingue. L'interpretazione che ne risulta è stata messa in causa da vari membri della gerarchia, e da altri che si sono accodati, pur non avendo mai letto i volumi dedicati alla storia del Concilio. Ora, lo storico potrebbe affacciare due osservazioni. Sul primo problema: è chiaro che l'evento-Concilio è un dato qualificante. Rimane il fatto che in futuro anche i testi avranno la loro importanza, dal momento che saranno loro i testimoni dei lavori dei Padri. Il problema di continuità o rottura mi sembra invece un falso problema, spesso usato solo per ragioni polemiche. La storia non utilizza tali categorie, anche se non le trascura. Esiste una continuità sostanziale nel fluire della storia, i problemi rimossi restano aperti, e quasi come un fiume carsico proseguono il loro cammino in attesa di riapparire in superficie. Ma non si può neanche dire con Qohelet che non vi è nulla di nuovo sotto il sole. Il cammino umano è anche fatto di momenti di rottura, di abbandono di vecchie categorie, di emergere di modelli scientifici e comportamentali del tutto nuovi. Si tratta quindi di individuare il cammino della storia e le novità, senza preoccuparsi se questo implichi rotture o continuità. Anzi, rileggere la storia condizionati da tali categorie, spinge involontariamente a enfatizzare quegli elementi funzionali alla teoria stessa. Il Concilio rimane uno dei grandi eventi ecclesiali del secolo XX, e la sua grande importanza è dovuta al fatto che si è trattato di un Concilio eminentemente pastorale. Qualcuno ne mette in causa l'importanza proprio perché ha privilegiato la pastorale sulle affermazioni dogmatiche. Strano modo di pensare. La Chiesa ha come compito di dire nel tempo la Parola eterna del Vangelo: e dire nel tempo significa fare azione pastorale. Il Concilio sarebbe meno importante perché ha fatto ciò che Gesù ha chiesto di fare alla Sua Chiesa?

La partecipazione attiva esprime e alimenta la convinzione che il cristiano non è un semplice consumatore di riti religiosi e neppure un semplice collaboratore del prete. Il cristiano è un corresponsabile. L’identità cristiana non si riduce ad una semplice conservazione delle tradizioni né ad un’accanita difesa di una particolare cultura. Si è veri cristiani nella misura in cui si partecipa alla missione di Cristo mettendo a sua disposizione le nostre mani, la voce, il cuore tutta la nostra vita. Per questo il Catechismo afferma con autorevolezza che chi celebra non è solo il sacerdote, ma “tutta la comunità, il corpo di Cristo unito al suo Capo” (CCC 1140). La ministerialità laica (= lettori, accoliti, ministri straordinari della comunione, ministranti...) è espressione visibile di questa realtà teologica. Parola di Dio e lingua parlata Dal principio fondamentale della partecipazione attiva derivano tutte le altre innovazioni: Una più abbondante proclamazione della parola di Dio attraverso il lezionario domenicale e festivo e quello feriale nella consapevolezza che solo da un corretto confronto con la Scrittura può sorgere una corretta spiritualità cristiana capace di cogliere i semi del Verbo nella storia quotidiana, capace di dialogo e di impegno su questa terra per costruire quel regno di Dio che è regno di giustizia, di verità, di amore e di pace. Su questo impegno saremo giudicati. Perché questa missione sia chiara è indispensabile che non solo i brani biblici, ma tutta la celebrazione, che dalla bibbia prende gesti e parole, sia comprensibile a tutti. La lingua parlata e compresa da tutti è indispensabile per una partecipazione attiva, consapevole e fruttuosa. Da qui anche la riforma del linguaggio gestuale. La riforma liturgica ha lo scopo di manifestare e alimentare un’immagine di Chiesa: quella emersa dal concilio. Il rifiuto di questa liturgia coincide con il rifiuto di questa Chiesa.

Usciamo con un numero monografico sul Concilio Vaticano II, in occasione del cinquantesimo anniversario del suo annuncio (25 gennaio 1959), nonché dei primi atti preparatori: costituzione della Commissione antepreparatoria (17 maggio), apertura della consultazione di tutto l’episcopato del mondo (lettera del Card. Segretario di Stato del 18 giugno) titolazione del Concilio come Vaticano II (cesura rispetto al Vaticano I, 14 luglio). Dopo complessa preparazione il Concilio si apre il giorno 11 ottobre 1962 e si protrae per quattro distinti periodi nel corso dell’autunno degli anni 1962/ 1963/ 1964/ 1965; si chiude il giorno 8 dicembre 1965. Approva sedici documenti nelle forme della Costituzione (quattro) del decreto (nove) della dichiarazione (tre). Citiamo i fondamentali:

(Editoriale - continua da pag. 1)

(continua da pagina 1)

 Sacrosanctum Concilium (liturgia, 4/12/1963);  Lumen gentium (sulla Chiesa, 21/11/1964);  Unitatis redintegratio (ecumenismo, 21/11/1964);  Nostra aetate (rapporto con religioni non cristiane, 28/10/1965);  Dei verbum (sulla rivelazione, 18/11/1965);  Dignitatis humanae (libertà religiosa, 7/12 1965);  Gaudium et spes (rapporti chiesa/mondo, 7/12/1965). Ap

ri-conciliamoci… col Vaticano II

APPUNTI ALESSANDRINI Ap ● per un dibattito politico ANNO 3 N.6 Giugno 2009 Coordinatore: Agostino Pietrasanta Staff: Marco Ciani ● Walter Fiocchi Dario Fornaro ● Roberto Massaro Carlo Piccini

Questa Newsletter non é una testata giornalistica, pertanto non deve essere considerato un prodotto editoriale soggetto alla disciplina della legge n. 62 del 7.3.2001

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