ZACREPUBLIC!
N°1 dicembre 2016
Il coraggio di mettersi in viaggio
IN COPERTINA: Coucher du Soleil 2 - Diatta Lamine
Il coraggio di mettersi in viaggio
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Zacrepublic di Coop. Soc. Arca di Noè è in edizione limitata (500 copie). L’obiettivo è limitare i costi di stampa e accrescerne il valore dando unicità ad ogni copia.
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SOMMARIO 6 UN ALTRO PASSO, UN’ALTRA IMPRONTA 8 SVEGLIA MAMMA AFRICA 10 DI-MÒ: SCUOLA DEI MONDI 12 LA SUMMER SCHOOL 14 SONO UNA MADRE E AMO I MIEI FIGLI 16 SPECCHIO RIFLESSO 18 CANTIERI METICCI 22 LA VITA IN UN VILLAGGIO PAKISTANO 23 LA PARENTÈ A PLAISANTEIRE 26 B! RACCONTO DI UN’ESPERIENZA DI RISTORAZIONE E NON SOLO 28 L’UMANITÀ 32 SEME DOPO SEME: UN PRODOTTO VIRTUOSO DI COMUNICAZIONE SOCIALE SUI RICHIEDENTI ASILO 35 UN ORTO AFRICANO IN VALSAMOGGIA, UNA DOPPIA SCELTA DI CAMPO 38 WELCOME TO ITALIA 41 QUAND JE PARTIRAI 44 MAI PIÙ MILITARE 46 CAMMINANDO PER BOLOGNA 47 BOLOGNA, UNA CITTÀ 48 VI PRESENTO CHI SONO, A BOLOGNA 48 GRAZIE 50 HOW MANY KILOMETERS 52 INTEGRAZIONE SUI PEDALI 54 QUAL È IL MIO POSTO NELLA SOCIETÀ
Un altro passo, un’altra impronta
Ci sono viaggi che richiedono più coraggio di altri, percorsi che si programmano e mete che si scelgono o partenze improvvise e destinazioni incerte. Che i chilometri siano tanti o pochi, che si viaggi a piedi o in bicicletta, che si faccia ritorno presto o che si stia lasciando tanto, tutti i viaggi portano con sé il bisogno di comprendere il nuovo che si incontra e il desiderio di potere esprimere quello che si è visto e vissuto. Anche l’accoglienza è un viaggio: richiede un certo tempo e si coprono distanze. Questo numero di ZacRepublic! è un altro passo che lascia un’impronta, un racconto plurale attraverso immagini e parole di chi vive l’accoglienza come ospite, come operatore, e di chi affianca questo cammino come compagno di viaggio. Per chi scrive e colora queste pagine è occasione per ritrarre scorci di esperienze vissute, raccontare la città da un altro punto di vista, rifiutare l’appiattimento di etichette come “profughi”, condividere percorsi e sforzi fatti per dare spazio ad opportunità di esprimere, imparare, conoscere riconoscere ed essere riconosciuti. Per chi queste pagine le legge, è opportunità di essere ospitato togliendo le scarpe come si fa entrando in una casa in molte parti del mondo, per scoprire poi come il confine tra “dentro” e “fuori” e tra “noi” e “loro” si dissolva in fretta trovandosi ad essere compagni di viaggio.
Editoriale - Arca di Noè
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7 African Rythm - Diatta Lamine
Sveglia Mamma Africa
Sveglia Mamma Africa, sveglia! Se ti sei addormentata i tuoi figli stanno soffrendo e morendo il tuo nome e la tua fama stanno scomparendo la tua casa sta diventando desolata. Desolato come deserto senza oasi. La tua dignità svanisce con il passare dei giorni, i tuoi bambini sono bendati e lasciati in balia della divisione, distruzione e ignoranza il tuo patrimonio sfugge all’attuale generazione e l’eroismo della terra sembra essere morto,
Madre, siamo veramente tuoi figli? Non mostriamo alcuna somiglianza? Ovunque io guardo tutto quello che vedo è il caos siamo un mondo a parte tutti, uno dopo l’altro vengono uccisi e la terra viene distrutta. Combattiamo l’un l’altro per un motivo poco chiaro, quando potremo essere un popolo unificato? Perché dobbiamo soffermarci sulle nostre differenze? Quando parlerà l’umanità? Dobbiamo rinunciare? No! No!! No!!! 8
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Guardando nei tuoi occhi, ho visto piccoli bambini da tutte le nazioni che giocano e si amano l’un l’altro liberamente, è stato allora che ho visto la vera bellezza che ha catturato la mia anima stanca, e mi ha dato speranza che l’umanità e l’unità regneranno. Svegliati dal tuo sonno Madre, sveglia altrimenti altri figli muoriranno.
Taufic Mohammed
GHANA
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9 Terra Madre - Diatta Lamine
DI-MÒ: scuola dei mondi
La scuola di italiano Di-Mò nasce a Bologna nel contesto dell’accoglienza a richiedenti asilo, prendendo avvio da diverse sperimentazioni di insegnamento della lingua italiana all’interno di strutture dello Sprar adulti e di Centri di accoglienza straordinaria. All’inizio siamo partiti in pochi insegnanti, pochissimi. I corsi prima erano realizzati solo nelle strutture di accoglienza, poi, grazie all’ospitalità del centro Interculturale Zonarelli, iniziarono ad essere realizzati in un luogo esterno che diventa lo spazio scuola, con i suoi ritmi, i suoi incontri, la sua quotidianità.
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Proprio da qui siamo partiti, la scuola per noi è un posto accogliente, bello, divertente. La scuola è il luogo dove si struttura il tempo dello studio e si prova a lasciare fuori il tempo del permesso di soggiorno, della questura, del lavoro che non si trova. È il posto in cui tessere relazioni tra le persone, un luogo che possa farsi ponte con il territorio. La scuola, accanto a tutto questo, deve saper leggere i bisogni di apprendimento e gli interessi delle persone che la vivono. Per questo diventa fondamentale strutturare l’offerta formativa, renderla sempre più ricca e appetibile in modo da rispondere alle diverse esigenze e sostenere la motivazione di studenti e studentesse, apprendenti adulti che si rimettono in gioco, nello studio oltre che nel nuovo contesto di vita. Questa rotta di ricerca è per noi la costante da tenere a mente. Dare struttura, farsi guidare dal tempo dell’apprendimento e non dell’emergenza. Di pari passo va la ricerca sul metodo di insegnamento: esploriamo diversi approcci e impostazioni, cercando di coniugare l’idea dell’insegnante e l’immaginario di scuola dello studente, entrambe culturalmente connotate. Così all’insegnamento attivo che sprona la mente e il corpo si affiancano tecniche più tradizionali; la didattica ludica si incontra con le regole; le tecniche montessoriane si innestano nella didattica per adulti. In
questo contesto è cresciuto il numero di insegnanti, di studenti e dei corsi. La scuola si modifica insieme alle persone che l’attraversano. Molto è stato fatto, ancora molto c’è da fare, ci stiamo lavorando...
Alessia Pauselli Arca di Noè
ITALIA
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Summer School: la scuola (non va) in vacanza!
Dall’1 al 10 agosto 2016 la scuola di italiano di Arca di Noè ha cambiato veste, si è trasferita al DLF, ha smesso i panni invernali ed è diventata uno spazio di sperimentazione per laboratori a tema Cinema, Sport e Città. Tra le classi e le strade di Bologna, abbiamo sperimentato una forma
di insegnamento/apprendimento laboratoriale, in cui condividere saperi ed esperienze. Il laboratorio di cinema ci ha dato l’occasione di presentare ai cinefili di ogni provenienza gli artisti più importanti del cinema italiano dagli anni ’50 ad 12
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oggi, attraverso clips e giochi per tracciarne l’identità. Abbiamo così riso insieme alla scena degli spaghetti di “Miseria e nobiltà” ed a quella del ristornate di Benigni ne “La vita è bella”. Virando poi sui generi cinematografici e le emozioni che ci suscitano; abbiamo fatto un lavoro sui gusti di ognuno e sulla cinematografia del proprio Paese d’origine. Ci siamo fatti quattro risate davanti ad una sit-com guineana, per assaporare poi un trailer di un film di Bollywood fino ad arrivare ad un documentario sulla passione di Cristo. Ma non è finita qui! La classe si è spostata all’aperto per andare al cinema, all’Arena Puccini, dove abbiamo visto una bella commedia americana con pop-corn e patatine, e al DLF con una proiezione di “Veloce come il Vento” con Stefano Accorsi. Il laboratorio a tema Sport ha colto l’occasione dell’inizio delle Olimpiadi a Rio de Janeiro e, con l’ausilio di immagini, supporti audio-visuali e giochi, gli studenti hanno avuto l’occasione di rafforzare strutture grammaticali attraverso il linguaggio legato allo sport. Grazie alla disponibilità e collaborazione del Bologna Cricket Club, abbiamo avuto l’opportunità di giocare a Cricket su un campo professionale, dando la possibilità di sperimentarlo a chi lo aveva visto solamente giocato dai compagni pachistani e bengalesi. Grazie al DLF
abbiamo avuto a disposizione un campo da calcio all’interno del centro sportivo. Il laboratorio sulla città è stato partecipato soprattutto dagli studenti appena arrivati a Bologna ed è stato strutturato insieme a loro in modo da essere una bussola attraverso la città. I vari partecipanti hanno scoperto tramite una mappa interattiva i servizi, gli svaghi, i punti di ritrovo che Bologna offre. L’abbiamo così svelata sulla carta (geografica) per poi fare un’incursione vera e propria fra le sue strade ed i suoi vicoli. Ci siamo preparati imparando ad orientarci ed a utilizzare “Google Maps” per i nostri spostamenti, poi abbiamo aperto la porta della classe e siamo andati. Abbiamo esplorato Sala Borsa grazie alla guida degli attenti bibliotecari, abbiamo ottenuto
la tessera della biblioteca. Abbiamo poi scoperto com’è fatto il centro. Perché è così antico ed obliquo? Perché ci sono così tante chiese? Perché i negozi sono così costosi? Insomma, ci siamo appropriati un po’ della città che non è di nessuno di noi e che in realtà è anche nostra. Conoscere e capire è un po’ forgiare le proprie chiavi della città! La Summer School 2016 ha dato a noi insegnanti e a chi ha partecipato molta motivazione, spingendoci a lavorare e progettare nuovi laboratori per la Summer School 2017. Arrivederci alla prossima Summer!
Alessandra Laurito e Tatiana Cerretani Arca di Noè
ITALIA
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Sono una madre e amo i miei figli
Sono madre devo sorridere anche quando sono triste devo consolare me stessa e chi ha bisogno di consolazione devo ridere anche quando voglio piangere devo lavorare anche quando sono stanca devo essere sempre pronta per i miei figli anche se sono malata. A tutte le madri formidabili!
Renè Coulibaly
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MALI
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Affinità - Diatta Lamine
Specchio riflesso
Accendo la radio e il cuore fa un sobbalzo. La voce concitata del giornalista entra sotto pelle. Senza immagini a far da mediazione, il termine “prima accoglienza” rende nostro il suo racconto. Sta parlando di noi, penso, del nostro lavoro di operatori sociali. Descrive un’emergenza, la messa in moto della macchina dell’aiuto per assistere grandi numeri di persone scampate, tutte in una volta, a una tragedia. Racconta di campi, di tende e di alberghi vuoti fuori stagione convertiti a un’ospitalità forzosa, non vacanziera. Nomina brandine e kit di prima accoglienza, perché fa freddo e servono coperte, vestiti pesanti da dare a chi è arrivato con nulla con sé tranne gli abiti che indossa. Descrive gli sforzi dell’assistenza, materiale e psicologica da fornire subito, le file per la distribuzione del cibo portato da una mensa, del tè che riscalda, che ha un buon sapore, che nonostante tutto ha il potere di ingentilire il dramma, di dare un po’ di ristoro a questi corpi bagnati. D’acqua dolce. Perché non è il mare ad aver portato questa gente. Anche se qualche sindaco l’ha definita una “migrazione epocale”, i “migranti” di cui parla il giornalista non sono “gli altri”. Le dinamiche sono le stesse di una qualunque “prima accoglienza”, ma ora a svuotarsi sono i borghi del nostro prezioso passato, di cui la Natura, inascoltata, ha
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messo in luce la fragilità con la violenza che le è propria. Contraltare della bellezza che ci dona. I “migranti” stavolta sono gli italiani che il 24 agosto prima e poi ancora la sera del 27 ottobre hanno conosciuto la fuga, la paura, la perdita delle sicurezze che abitavano. Dalle parole del giornalista, a esserci entrati sotto la pelle non sono “loro”. Siamo “noi”. L’emergenza è un assoluto. Accorcia gli spazi, squaderna l’ordinario, mette a nudo le esistenze. Attraverso la sofferenza avvicina, fa crollare le barriere, annulla le distinzioni. Ci si ritrova in ginocchio, tutti alla stessa altezza. Lacrime negli occhi e maniche rimboccate. Il cuore geografico dell’Italia, chiuso nell’abbraccio dolce degli Appennini, in una notte si è bruscamente specchiato in ciò che accade ai suoi confini. Laggiù, dove le braccia del mare sono spalancate in un richiamo al possibile. Dove donne, uomini e bambini trovano la stessa accoglienza, riparo dallo stesso cielo. Noi e loro, una narrazione comune, una nuova pagina di storia che se davvero fosse maestra di vita ci porterebbe a guardarci negli occhi, riconoscendo lo straniero che è in noi. Come dovrebbero fare le emigrazioni di OttoNovecento verso le Americhe e l’Europa, gli spostamenti interni del secondo dopoguerra. E invece l’emergenza, spesso, non riesce a farsi sviluppo.
Gioia - Diatta Lamine
Le conseguenze del terremoto le abbiamo vissute anche allo Zaccarelli. Ci siamo stretti un poco, per far posto a tre ragazzi ivoriani arrivati il sabato mattina. Il loro viaggio doveva fermarsi nelle zone colpite dal sisma, ma le scosse li hanno portati più su, nell’Emilia che conosce la paura della terra che trema e delle notti in tenda, e che adesso può offrire la sua solidarietà alle regioni che in questo momento si stanno occupando dell’accoglienza dei propri abitanti. Forse non hanno nemmeno capito di questo cambio di programma, ma nel loro viaggio verso il nord si sono portati dentro la stessa esperienza frastornante vissuta da molti italiani. Come i nostri ragazzi pachistani, che hanno il terremoto nel sangue, come tutti i nostri ospiti, in fondo, dall’esistenza terremotata soprattutto per mano dell’uomo. Mentre l’Italia ha la possibilità di trasformare una tragedia in un’occasione di cambiamento anche sul piano dell’accoglienza, noi continuiamo a servirlo, quel tè che dà pace, a chiunque entri dentro. E a guardarli negli occhi, i nostri ragazzi, per non dimenticare chi siamo.
Eleonora Grandi Arca di Noè
ITALIA ZACREPUBLIC!
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Cantieri Meticci
Siamo tutti profughi senza fissa dimora nell’intrico del mondo, respinti alla frontiera da un’esercito di parole cerchiamo una storia dove avere rifugio . Siamo in un tempo che ci vede naufraghi sulla sponda di un approdo in fiamme. Questo tempo dove ci salveremo insieme o non si salverà nessuno. (da Timira, romanzo meticcio).
Sono in Italia da diverso tempo, ho vissuto sulla mia pelle le file in questura quando ero straniero, ho visto la legge “Martelli”, e qualche anno dopo sono diventato cittadino italiano, ma comunque mi sento e mi sentirò sempre uno straniero. 18
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Il panorama sociale, i colori delle persone sono tanti e vari, le lingue, gli usi, i costumi le proprie fedi religiose sono tante e varie. Nonostante questo “paesaggio” cambiato attorno a noi l’Italia si sente ancora un paese bianco, ci vorrà del tempo per potersi sentire un pò come la Francia o la Gran Bretagna, dove la maggior parte delle persone hanno il trattino come amico intimo, anglo-pakistano, franco-algerino etc. Arriverà anche qua il trattino, e solo una questione di tempo. Quando il “paesaggio” cambia, molte persone si chiedono cosa vuole dire essere italiano nel 2016? Cosa è l’italianità? Amo il teatro, perchè è come un rito, un rito collettivo ed è uno strumento per indagare il nostro tempo, che sfugge, che ha poche certezze ed è in continuo ed inarrestabile mutamento, e il teatro dei profughi prima e dei cantieri oggi di questa varietà ne fa la sua ragion d’essere, domandandosi, chi è lo straniero? Chi è il barbaro? (dal greco, barbaros, è colui che balbetta nella mia lingua) e quello che viene fuori è che siamo tutti stranieri in questo mondo e tutti balbettanti quando incontriamo l’altro, l’altro che è in noi e che è di fronte a me, perché noi tutti siamo stranieri a noi stessi.
E quando hai a che fare con qualcuno che proviene da un’altro Paese ti dici è un caso, in fondo nascere in un posto rispetto ad un’altro, nessuno sceglie di poter nascere in un posto o in una famiglia rispetto ad un’altra, perchè in fondo, siamo tutti “gettati al mondo”, come sostiene il filosofo Heidegger nel suo saggio “Essere e Tempo”. Quindi se siamo gettati, dobbiamo adattarci, essere resilienti rispetto alle avversità che la vita ci pone dinanzi, a volte siamo tristi e sconsolati anche se la vita continua ad andare avanti. Nel nostro lavoro teatrale, ci mettiamo nei panni di qualcun altro, proprio perchè siamo consapevoli che è un caso, ma al contempo sappiamo che questo caso determina esiti molto differenti, quando avevo il
passaporto somalo non riuscivo neanche ad avere un visto per San Marino, ma da quando sono comunitario mi posso permettere di viaggiare in tanti altri paesi solo con la carta d’identità, e posso viaggiare con poco, mentre un mio compagno o compagna di cantieri meticci proprio perchè è Extracomunitario paga cifre folli per rischiare anche di morire nel deserto oppure in mare, perchè non sà nuotare, perchè è nato in un villaggio o una città lontana dal mare. Con quelle cifre che spendono noi comunitari possiamo fare il giro del mondo! Noi queste cose le sappiamo e nei nostri spettacoli cerchiamo di farlo sapere a chi non pensa che è un caso nascere a Crema o a Cotonou. Le merci si possono muovere, ma le persone no! ZACREPUBLIC!
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I confini devono essere rispettati ma agli uccelli e agli animali quando emigrano importa poco dei confini, perchè loro cercano acqua, pascoli e cibo. L’essere umano cerca la libertà di andarsene da dove è nato, e il viaggio diventa il viaggio dell’eroe o eroina come fosse il viaggio, un rito di passaggio, passare da un’età ad un’altra e la ricerca dell’altro che è in ciascuno di noi, per dirci e farci dire che le differenze sono il grano della vita, e che noi siamo qui per un tempo, per poi andare in un’altro posto di cui sappiamo poco e per andarci non abbiamo bisogno di passaporto o di visti, ci andiamo e basta quando questo senza sapere perchè siamo tutti profughi senza fissa dimora...e cerchiamo una storia dove avere rifugio. Questa storia per noi è Cantieri Meticci, e meticcio sarà inevitabilmente il mondo che verrà.
Antar Mohamed Marincola Cantieri Meticci
www.cantierimeticci.it
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SOMALIA
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La vita in un villaggio pakistano I villaggi in Pakistan contano da 5000 a 10000 persone e quasi in ogni casa abitano 6/12 persone. Per le persone è difficile lavorare e nelle campagne spesso è necessario lavorare giorno e notte. Nei villaggi il 90% delle persone lavorano la terra e allevano gli animali e la scuola è molto costosa e non basterebbe il 70% del proprio guadagno. In Pakistan cresce ogni tipo di coltura. Nonostante le condizioni non facili la vita nei villaggi mi piace. La mattina tutte le persone e i bambini vanno a pregare e poi vanno a scuola mentre le bambine e le donne pregano in casa. Dopo la prima preghiera si fa la colazione preparata dalla madre e dalle sorelle. I bambini rimangono a scuola per assistere alle lezioni sull’Islam per 2 o 3 ore tutti i giorni. Gli uomini vanno a lavorare nelle campagne mentre la madre lavora in casa, chi lavora in campagna si prende cura del proprio raccolto e pianifica cosa seminare successivamente, permettendo alla famiglia di autosostenersi. Una volta ritornati a casa da scuola i bambini pranzano e fanno i compiti, nel pomeriggio giocano soprattutto a Cricket o a Hockey, che sono i due sport nazionali in Pakistan. Nel tardo pomeriggio gli uomini tornano a casa per dare da mangiare agli animali e quando arriva la sera tutta la famiglia si ritrova
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per mangiare tutti insieme. Dopo cena gli uomini si ritrovano fuori mentre i bambini rimangono in casa a fare i compiti. Gli uomini devono incontrarsi per mantenere i rapporti con le altre persone del villaggio e per prendere le decisioni. In ogni via c’è un luogo d’incontro. In caso di matrimonio tutti vengono invitati, anche le persone con cui si è litigato o con cui non si hanno buoni rapporti, è un’occasione di riconciliazione. In Pakistan ci sono molte feste ma le principali sono il Eid-Ul Fitr e Eid-ul Azha. L’Eid-ul Fitr si celebra quando arriva l’ultimo giorno di Ramadan. Nel periodo precedente si mangia alle 4 di mattina e alle 9 di sera si cena. Durante questa festa tutte le persone indossano i vestiti nuovi e alle 8 tutti pregano e si salutano l’un l’altro prima di mangiare da una casa all’altra per festeggiare e confrontarsi.
Dopo 15 giorni arriva la festa Eid-ul Azha. Anche in questa festa tutti pregano e festeggiano insieme. In questa occasione vengono sacrificati gli animali e la carne viene distribuita alle persone più bisognose e tutte le persone vengono coinvolte in questo giorno felice. Come per i matrimoni anche quando una persona muore ci si ritrova a casa della famiglia per pregare, confortare i parenti e mangiare.
Mohamed Afzaal PAKISTAN
La parentè a plaisanteire Voglio parlare della Parentè à plasenterie che è un’antica tradizione del Mali insieme al Bogolan*, sono entrambe molto importanti nel mio Paese. La parentè à plasenterie è un gioco tra due persone di comunità differenti che si dicono la verità prendendosi in giro. Questo patto antico serve per evitare la guerra tra due famiglie, per esempio tra la famiglia Diarra e Traore in Mali. La parentè a Plasenterie è chiamata in tanti modi Bassetereye in Songai, Dendiraaku in Fulfuldé, Sinaankuya in Bambara, ed era una realtà dei grandi imperi del Sudan occidentale. Oggi ci sono tante guerre in Mali e probabilmente questo accade anche perché si stanno dimenticando queste tradizioni. *Il Bogolan è una tintura dei tessuti tradizionale dell’Africa occidentale. Il significato della parola bogolan è “il risultato che dà l’argilla”, e in effetti le decorazioni sono ottenute MALI utilizzando il fango applicato sul tessuto.
Moussa Diarra
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B! Racconto di un’esperienza di ristorazione e non solo
B! La cucina biologica al DLF: la scommessa culturale proposta alla città di Bologna Da inizio giugno 2016 a fine settembre al Parco del DLF si è illuminato un nuovo angolo di inclusione, socializzazione, incontri e, ultimo ma non per importanza, cibo buono e sano: B! è infatti un ristorante che utilizza solo prodotti biologici e da fornitori del territorio, un percorso di inserimento lavorativo per rifugiati e richiedenti asilo, un luogo di inclusione e di accoglienza per tutti, un’occasione di riqualificazione di un’area non utilizzata di un Parco che vuole sempre di più tornare ad essere a portata dei cittadini e delle famiglie. B! La cucina biologica al DLF è nato dalla collaborazione tra la Cooperativa Sociale Arca di Noè e GoGreen Store, anche come occasione di formazione e di inserimento lavorativo per cinque rifugiati e richiedenti asilo, che hanno costituito parte dello staff di sala e di cucina. Ad animare le serate estive al ristorante, sono stati realizzati una serie di eventi culturali, musicali, teatrali, di presentazione delle diverse realtà del variegato mondo del sociale bolognese, tra cui il Gruppo Altronauti, Cantieri Meticci, Re Mida, Next Generation Italy, Associazione Sopra i Ponti, il fumettista Salvatore
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Giommarresi. L’incontro e la collaborazione con l’Arena Puccini ha creato un perfetto legame tra cibo e cinema, celebrato anche da alcune serate a tema. Le liste di attesa nelle serate di luglio e agosto hanno dato la misura di come inclusione, mangiare bene e cinema abbiano incontrato i gusti di tutti, per una scommessa culturale riuscita!
Giulia Bommaci Arca di Noè
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L’Umanità
E’ dal 15 Aprile 2015 che siamo allo Zaccarelli. Si tratta per noi del nostro primo soggiorno in Italia. All’inizio tutto è stato estremamente difficile, a causa della lingua ma, grazie all’aiuto degli operatori e all’incontro con qualche gruppo di volontari, abbiamo cominciato ad apprezzare la vita. Abbiamo conosciuto svariate organizzazioni,
come ad esempio Baum, Cantieri Meticci e Prendiparte che tutt’ora continua a lavorare con noi. Durante i giovedì si discutevano temi di attualità, mentre al sabato si suonavano le percussioni. All’inizio tutto era 28
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per noi banale, perchè la nostra sola preoccupazione era quella di ottenere i documenti, capitava anche di condividere dei pasti per curiosotà e bere del tè insieme. Il tempo passa, le attività continuano, e tutto questo ha dato origine alla nostra prima rivista del centro. Ci incontravamo nel salone per discutere di niente, e di tutto ed è durante quest’anno che ho scoperto l’importanza delle visite. Il salone raggruppava molte persone di diverse nazionalità attorno a un tavolo: italiani, asiatici (pachistani) e africani (senegalesi, ivoregni, ghanesi, nigeriani, gambiani). Prendiamo ora il tema della mobilitazione della popolazione. Siamo tutti coscienti del fatto che il mondo diventi sempre più incentrato su noi stessi senza rendercene conto. Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da conflitti come l’Iraq, l’Afghanistan, la Siria e il Medio oriente in generale, la Nigeria, il Mali, la Libia, gli attentati in Europa e i conflitti tribali, meno trattati dalla stampa, come la Birmania. Credo che siamo tutti vittime e protagonisti al tempo stesso poiché alcuni diventano rifugiati, altri degli invasori o degli invasi da alcuni nazionalisti che inneggiano al proprio emblema e alla propria bandiera, disegnando delle frontiere nella propria testa, nel proprio pensiero, chiedendo l’innalzamento di muri. Non dimentichiamo anche che altri li accolgono a braccia aperte. Insomma, c’è la
confusione tra noi. Quelli che invece si sentono al sicuro dimenticano che si tratta del medesimo sistema che li obbliga a svegliarsi alle 4 del mattino per correre sulla metropolitana, essere schiavo del lavoro (bisognerebbe lavorare per piacere e non per sentirsi come schiavi) o pagare gli affitti, o il diritto di avere una casa, risparmiare per poi morire di fame o poter mangiare quando si ha fame, vivendo sempre con un pensiero in testa. Imporre delle ideologie che non sono che delle illusioni, dei semplici giochi di parole (socialismo, comunismo) per farci accettare la loro ipocrisia. Arriverà il giorno in cui non penseremo più al lavoro, all’auto, alla casa: la sola cosa che ci resterà sarà la nostra vita, la nostra parola e infine la morte. Non dimentichiamo che la competizione c’è ed è sempre esistita. La cooperazione tra i nostri paesi non è che una semplice parola. Gli accordi nucleari sono stipulati da persone che sono anche avversari della competizione mondiale, dunque tutto il mondo mostra il proprio interesse ad avere l’ultima parola, il monopolio della situazione. Noi perdiamo il nostro valore umano man mano che accettiamo questa competizione, che manteniamo questo silenzio. Dunque nulla è escluso dal gioco. Questo errore dell’umanità dura da molto tempo. Il valore umano, l’amore, l’umanità devono essere le scelte di tutta l’umanità, qualunque sia la nostra convinzione, la nostra religione, perchè senza l’umanità le religioni non vedranno mai il giorno. Contrattiamo per portare avanti delle esistenze semplici, per dei numeri ma dimentichiamo anche che ciò riduce
il nostro benessere perché il valore della nostra vita dipende dalla relazione che abbiamo con gli altri, dal rispetto gli uni verso gli altri. Se gli altri non sono altro che una semplice esistenza, un semplice numero, lo stesso sarà il nostro benessere. Dunque è giunto il momento di svegliarci da questo lavaggio di cervello, cercando il nostro benessere, trovando il nemico dell’umanità. Battersi per l’amore, la sicurezza del pianeta, la sicurezza dei nostri bambini. È vergognoso lasciare così questo mondo per le generazioni future. Credo nel tempo per la rivoluzione umana, la rivoluzione della vita e dell’amore come fanno molte associazioni che lavorano nell’ombra. Certi si battono per il clima (riciclaggio di materie plastiche), altri per il riscatto delle popolazioni sfavorite, altri per il ritorno dell’agricoltura rurale. Certi si battono per la libertà, la libera circolazione delle persone, contro le frontiere, le guerre ma tutti nell’ambito dell’umanità. Credo che ciò che passa allo Zaccarelli insieme a Prendiparte, sia questo dialogo tra le genti e la popolazione. Non chiediamo di essere amati ma lavoriamo insieme per il benessere dell’umanità senza fare distinzione tra i popoli. Grazie.
Lamine Diatta
SENEGAL
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Sorry Aylane - Diatta Lamine
“Seme dopo Seme”: un prodotto virtuoso di comunicazione sociale sui richiedenti asilo
Il filmato realizzato dalla Cooperativa Sociale Arca di Noè “Seme dopo seme: una storia di accoglienza in Valsamoggia” rappresenta, senza dubbio, un’esperienza virtuosa di comunicazione sociale su un tema attualmente al centro di molte polemiche, quello dei richiedenti asilo ospitati nei centri di accoglienza straordinari disseminati sui territori del nostro paese. Un bel video, che parla sia alla ragione che all’emozione di chi lo guarda, attraverso il racconto di tutte le persone coinvolte nel progetto, quello dei ragazzi ospitati nella struttura di Crespellano e dei tanti attori sul territorio della Valsamoggia che li hanno accolti, entrando in contatto con loro in un lavoro di comunità. Un filmato di 15 minuti che ci racconta un percorso di successo, di accoglienza e di integrazione sul territorio, con lo sguardo e la voce dei suoi protagonisti, che ci fa entrare nella struttura, mostrandoci come si svolge la vita nei diversi momenti della giornata: dai pasti alle lezioni di lingua italiana, dalle partite di calcio alla costruzione e cura dell’“orto africano”, e molto altro ancora, e, così facendo, rompe quell’aurea di mistero che aleggia su queste strutture, che finisce per favorire paura e diffidenza nei cittadini. Il risultato è una rappresentazione dei richiedenti asilo 32
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molto diversa dall’immagine veicolata dal discorso pubblico, mediatico e politico, mainstream nel nostro paese, che li dipinge come “vittime passive”, “disperati” e, proprio per questo, “potenzialmente pericolosi”. Discorsi nei quali si impongono rappresentazioni astratte dell’alterità e attraverso cui si conserva la distanza e la negazione dell’altro, favorendo lo sviluppo di una percezione negativa dei richiedenti asilo da parte dei cittadini, di un clima diffidente e sospettoso verso la loro presenza nel proprio territorio. Il filmato “Seme dopo seme” contrasta questa immagine negativa che suscita allarme, paura e diffidenza sia verso le persone che chiedono asilo nel nostro paese che verso i luoghi e i soggetti che le accolgono. Il video realizzato dalla Cooperativa Sociale Arca di Noè trasforma, infatti, i richiedenti asilo e il centro che li ha accolti da oggetto a soggetto della comunicazione; sono i protagonisti di questa esperienza che ci parlano di loro e cercano il nostro sguardo, nella convinzione che guardare induca alla comprensione, al reciproco riconoscimento e rispetto, e al dialogo. La storia dei ragazzi ospitati nel centro, il loro sguardo sulle persone e il territorio che li ha accolti si intrecciano con la storia e lo sguardo degli operatori della cooperativa e degli
altri attori del territorio coinvolti nel progetto. Tutti parlano con un tono gioioso e propositivo, guardando direttamente la telecamera, a cercare, appunto, i nostri occhi e la nostra attenzione. Un filmato dai toni positivi, rassicuranti e appassionanti, e ideato con immagini colorate - molte delle quali esterne, complici i colori estivi della campagna della Valsamoggia - che suscita il desiderio e la curiosità di conoscere e condividere la storia di questi ragazzi e l’esperienza che stanno vivendo nel centro di Crespellano.
Paola Parmiggiani
UniversitĂ di Bologna www.unibo.it
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Un Orto Africano in Valsamoggia, Una (doppia) scelta di campo Dalla primavera del 2016, qualcosa di nuovo, interessante e stimolante sta succedendo in Valsamoggia. Dietro al CAS (Centro di Accoglienza Straordinaro) di Crespellano, gestito dagli operatori di Arca di Noè, è sorto un orto curato dagli ospiti del
Centro stesso. Nato da un incontro inatteso tra Arca di Noè e Slow Food Samoggia e Lavino, condotta della quale sono il fiduciario (cioè responsabile del club locale dell’associazione fondata nel 1986 da Carlo Petrini e i suoi amici), e dal suggerimento di uno dei ragazzi
migranti del Centro, l’idea si è man mano sviluppata con una naturalezza che non deve lasciar dubbi sul suo esito: quando le volontà di vari esseri umani si sintonizzano con spirito costruttivo sulla stessa frequenza, la trasmissione dell’energia avviene in modo fluido e produce risultati concreti. Il COB di Valsamoggia, spazio di co-working gestito da Valerio Betti e Silvia Salmeri, è stato teatro dell’incontro tra la piccola comunità di migranti di Crespellano condotta dagli operatori di Arca di Noè e le realtà associative del comune del territorio bolognese. Parlando di 10.000 Orti in Africa, progetto di Slow Food* che ha sostenuto l’avviamento di orti comunitari nel continente africano da parte delle varie componenti dell’associazione ormai divenuta internazionale, abbiamo deciso di progettare un orto gestito da africani…in Italia. Con la consulenza volontaria del botanico Gian Lorenzo Calzoni, presentatoci da Raffaela Donati, presidente di Slow Food Emilia Romagna, l’aiuto estemporaneo di un allevatore e un agricoltore locali, e l’acquisto di alcune piante e materiale per l’irrigazione da parte di Slow Food Samoggia e Lavino, i ragazzi del Centro hanno piantato le prime file di ortaggi per, dopo poco tempo, allargarle fino a coprire un’area di 400 m2! Non c’era ZACREPUBLIC!
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dubbio che il progetto stava entusiasmando sia gli ospiti che i gestori del CAS di Crespellano, entusiasmo contagioso per i soci di Slow Food coinvolti. Bisogna riconoscere che all’inizio questa idea sembrava una scommessa un po’ azzardata ma, col passare dei giorni, ci si è resi conto che si stava operando una scelta di campo, nel senso doppio dell’espressione. Oltre ad individuare il perimetro da arare, si era presa la decisione di aiutare persone bisognose di coltivare la propria autostima, affidando loro un pezzo di terra da valorizzare. Insomma, il campo di azione è al contempo quello materiale e quello mentale dove uno sostiene l’altro. L’orto ha attirato l’attenzione del TGR di Rai 3 che gli ha dedicato un servizio. Un filmato è stato realizzato sotto la regia di Michele Cattani la cui presentazione a Terra Madre – Salone del Gusto a settembre di questo anno ha beneficiato dell’intervento di Anselme Bakudila del Centro Studi di Slow Food e dell’apprezzamento di Daniele Buttignol, segretario nazionale di Slow Food che ne ha chiesto una copia per affidarla alla Fondazione Slow Food per la Biodiversità. Ora, dopo la prima fase, forti dell’incoraggiamento di chi ci aveva dato una mano all’avviamento dell’orto, si tratta di rendere questo progetto durevole e sostenibile. A questo scopo sono state valutate le azioni da intraprendere: formazione sul posto con l’aiuto di professionisti del settore agricolo, creazione di un semenzaio, preparazione del terreno per la prossima semina, richiesta di patrocinio da parte della proprietà del terreno (la ditta Beghelli) e delle istituzioni locali. La possibilità che un’iniziativa di questo 36
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genere funga da modello per altri orti che presentano condizioni di fattibilità simili, carica di responsabilità gli attori della seconda fase di “Orto Africano in Valsamoggia”. Questa ultima sarà avviata a breve, previo coinvolgimento dei formatori già individuati che usufruiranno dell’indispensabile appoggio finanziario in via di definizione. Gli operatori Valentina Tiecco, Francesco Di Sirio, Valentina Marziali, Francesca Basile e Marta Bertelli e me stesso siamo pronti a dare ai ragazzi del CAS gli strumenti utili ad affrontarla con sapienza e una giusta dose di energia.
Giuseppe Zappalà
Slow Food Samoggia e Lavino www.slowfood.it
*Slow Food è un’associazione internazionale non profit impegnata a ridare valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie ai saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali. La valorizzazione di questa cultura materiale si esplica anche attraverso Terra Madre, un movimento internazionale promosso da Slow Food che raggruppa agricoltori, allevatori, pescatori, produttori e consumatori (o co-produttori) e agisce con una comunità d’intenti ideale a rafforzare l’importanza strategica del cibo nel mondo e del ruolo di custodi del nostro pianeta di chi lo produce, trasforma e consuma per il bene di tutti.
ITALIA
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Welcome to Italia
On vivait dans les cases avec les differents familles, le grand pere, les peres et nous les enfants. Et voilà quelque plantation que nous entourais . Les bananieux, les baobabs, les fleurs et d’autre animaux domestique qui vivait avec nous, la poulle et ses poussins, les chevres, etc. Et mon grand pere est un coultivateur et le voilà avec la haux. Je m’appelle Abdoul-Rahim Kendouma Sow, je viens de la Guinée. C’est le jour de mon depart a Lybie pour l’Italie sur la mer mediterranée. On etait sur le sodjak avec beaucoup des amis; et la croix rouge italiens nous a sauvée. En fin, je n’oublierais jamais l’Itaie et les italiens, si un jour j’avais du bon je commencerais par l’Italie. Merci, merci pour votre bravoure.
Vivevamo nelle case con le rispettive famiglie, il nonno, i padri e noi, i figli. Ecco qualche pianta che ci circondava, i banani, i baobab, i fiori e gli animali domestici che vivevano con noi, la gallina con i suoi pulcini, le capre, etc. E mio nonno, un contadino, eccolo con la zappa. Mi chiamo Abdoul-Rahim Kendouma Sow, vengo dalla Guinea. Questo è il giorno della mia partenza dalla Libia per l’Italia via mar Mediterraneo. Ero sulla barca con molti amici e la Croce Rossa italiana ci ha salvato. Non dimenticherò mai l’Italia e gli italiani. Se un giorno avrò fortuna ricomincerò dall’Italia. Grazie, grazie per il vostro coraggio.
Abdoul-Rahim Kendouma Sow
GUINEA CONAKRY
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Casa - Abdulrahim Sow
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Welcome to Italia - Abdulrahim Sow
Quand Je partirai Il testo appartiene a Fouine. Amo questa canzone perchè quando l’ascolto mi tocca veramente e perchè contiene consigli che danno dignità agli ultimi.
Quand j’partirai ne venez pas pleurer sur ma tombe, combien sont sincères? Combien de drames, de vraies galères, combien de faux frères? Quand j’étais vraiment dans la merde, combien m’ont tendu la main? Ne jamais remettre à demain ce qu’on peut faire à une main Déjà à l’époque, on m’enviait pour une barrette J’fais d’l’auto-stop sur le chemin du Paradis et seul le Diable s’arrête Cimetière de Trappes, en p’tite équipe, ramenez pas trop d’de-mon On vit entre anges et démons, combien me connaissent de nom? Quand j’partirai, dites à ma famille que j’les aime Que mon truc c’est la solitude, que j’ai du mal à dire “je t’aime” Quand j’partirai, dites à mon dealer qu’il est au chômage Drôle de personnage, pas besoin qu’on m’rende
hommage Dites à mes vrais amis que l’amitié s’étend à jamais Que j’étais nul en maths car quand on aime on n’compte jamais Vous direz aux matons que l’peura m’a fait changer d’air Que ma fierté c’est l’Maroc et que j’préfère manger par terre Aucun remords, j’ai vécu pleinement Un titulaire sur le terrain, c’est dix rageux qui parlent sur le banc Quand j’partirai, dites à mon père que rien ne sert de pleurer Dites à ma fille que ses prières remplaceront les courriers Dites à mes profs que rien à foutre si j’ai pas eu leurs diplômes Dites aux rageux que cet album va sûrement peser dix tonnes Quand j’partirai, vous passerez le salam au Congo Vous leur direz qu’on y mange bien, vous remercierez le Togo Le Cameroun et l’Algérie, le Canada, Djibouti J’aurai p’t-êt’ un seul remords: ne pas revoir l’public du Mali... ZACREPUBLIC!
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Quando me ne andrò, non venite a piangere sulla mia tomba, quanti sono sinceri? Quanti drammi, vere prigioni, quanti falsi fratelli? Quando mi trovavo davvero nella merda, in quanti mi hanno teso la mano? Non rimandare a domani ciò che puoi fare ad una mano, Alora, m’invidiavano perché avevo le sigarette Faccio l’autostop sulla strada che conduce al Paradiso, ma soltanto il Diavolo si ferma Al cimitero, solo pochi intimi, non radunate troppa gente Viviamo sospesi tra angeli e demoni, quanti conoscono il mio nome? Quando me ne andrò, dite ai miei parenti che ho voluto loro bene, che la mia condizione ideale è la solitudine, che per me era difficile dire “ti amo” Quando me ne andrò, dite al mio spacciatore che ora è disoccupato Sono un tipo strano, non pretendo omaggi da parte vostra Dite ai miei amici, che l’amicizia non ha mai fine Che coi numeri ero negato poiché quando si ama i calcoli sono superflui Direte ai secondini che il rap mi ha cambiato, non l’ora d’aria Che la mia fedeltà va al Marocco e che preferisco mangiare seduto a terra Nessun rimorso, ho vissuto una vita piena Un titolare in campo è meglio di dieci giocatori indispettiti
che chiacchierano in panchina Quando me ne andrò, dite a mio padre che piangere non serve a niente Dite a mia figlia che le sue preghiere rimpiazzeranno le lettere Dite ai miei professori che non me ne fotte niente di non essermi diplomato Dite ai miei detrattori che questo album sarà certamente un successo Quando me ne andrò, direte al Congo “Pace a voi” Direte ai suoi abitanti che da loro si mangia bene, ringrazierete il Togo Il Camerun e l’Algeria, il Canada e il Gibuti Avrò, forse, un solo rimpianto: non rivedere il pubblico del Mali...
Moussa Diarra
MALI 42
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La Source - Diatta Lamine
Mai più militare
L’Eritrea è un piccolo Paese che si trova nel Corno d’Africa. Ci sono molti gruppi etnici: tigrina, tigre, saho, afar, kunama, blien, Hdarb, Nara e Rashayda. Noi siamo Tigrina e la maggior parte provengono dal sud Eritrea. Il governo eritreo non è buono a causa di una dittatura ed è per questo che molti giovani si sono rifugiati in altri Paesi dall’Etiopia al Sudan fino alla Libia. Durante il viaggio ci sono stati molti problemi e molte persone sono morte del deserto a causa della scarsità di cibo e acqua. Quando abbiamo raggiunto la Libia non c’era più un governo e non c’è nessun rispetto per i diritti dell’uomo. Nel periodo in Libia nessuno di noi ha ricevuto cure mediche e molti sono stati percossi e maltrattati dalle persone libiche. Anche in Libia il cibo ci era negato e dopo vari mesi siamo partiti per l’Italia con una barca malmessa attraversando il mar Mediterraneo. Durante questo viaggio sono morte molte persone. Ora io (Micheal) sto aspettando per essere trasferito da qui e in futuro mi piacerebbe andare in Olanda o in Finlandia. Dell’Italia posso dire che le persone che ho incontrato mi hanno accolto bene e sono state gentili con me. Per questo porterò nel mio cuore queste persone se riuscirò a proseguire il mio viaggio.
Io (Ghebre), ho 35 anni e quando ne avevo 18 mi sono arruolato nell’esercito nazionale eritreo. Se dovessi tornare nel mio Paese dovrei finire il servizio militare. Non sono andato al college perché ho dovuto fare il servizio militare. Sono scappato in Sudan per 6 anni per poi venire qui in Europa. Come quasi tutti sono passato per la Libia restandoci per 5 mesi. Ora vorrei imparare qualche lavoro per poter smettere di essere un militare.
Micheal e Ghebre
ERITREA 44
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L’aube au Village - Diatta Lamine
Camminando per Bologna
Era giovedì 10 novembre 2016, ho fatto una camminata a Bologna e sono rimasto impressionato dai monumenti antichi, i giardini erano belli e ordinati e sono un po’ diversi dall’Africa. L’ordine e la pulizia devono essere preservati dalla popolazione. La biblioteca è formata da due aule in cui si può rimanere a leggere gratuitamente anche più di un giornale scritto in lingue diverse. Tutto è ordinato e catalogato anche per lingua. Sotto terra c’erano esposizioni di magnifici monumenti che rappresentano la storia della città. Era la prima volta che vedevo monumenti del genere.
Fofana Loceny COSTA D’AVORIO
Mi chiamo Sangaré Oumar, saluto tutto il gruppo di Prendiparte che ci ha permesso di conoscere Bologna. Sono stato molto impressionato dalla città, dalla sua biblioteca, la Sala Borsa, dai suoi monumenti e statue, 46
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le sue case ordinate e le strade così grandi. Mi piace Bologna! Io ringrazio tutto il popolo italiano soprattutto il gruppo di Prendiparte.
Oumar Sangaré
COSTA D’AVORIO
Bologna, una città Bologna è una città in Emilia Romagna, una regione del Nord Italia. Siamo arrivati a Bologna il 19 Aprile 2016, circa 7 mesi fa. Siamo arrivati con i nostri amici e fratelli. Siamo partiti dal Mali, dal Senegal, dalla Guinea, dalla Costa D’Avorio , dalla Liberia, dal Gambia, dalla Guinea Bissau e poi siamo arrivati in Libia. Siamo partiti dalla Libia, e siamo arrivati in Italia, in Calabria o Sicilia, poi a Bologna. A Bologna siamo arrivati in via Mattei, che era un buon centro, e siamo rimasti lì un mese. Dopo abbiamo cambiato città e siamo arrivati a Montepastore. Montepastore non è una grande città, ed è in montagna, con vicino tanti alberi e colline. In montagna tutti i giorni fa freddo, anche se d’estate fa freddo solo la notte, mentre il giorno fa caldo. A casa ci sono davvero tantissimi alberi. A Bologna c’è Piazza Maggiore, ci sono le due torri, e tante facoltà universitarie. Ci sono tante chiese, la Sala Borsa, che è una grande biblioteca. Ci sono anche tante strade, tante scuole, tanti supermercati, tanti campi agricoli, tanti parchi. Bologna è una città vecchia, ma bella, grande, rumorosa. Tutti mangiano pasta e pizza, bevono vino e caffè,
fumano sigarette. Ci sono tanti innamorati in giro. Tante ragazze fumano, le persone sono sempre al telefono, tutti mangiano tantissimo e tante persone vanno in bicicletta. Noi siamo studenti adesso, e quando non siamo a scuola cuciniamo, mangiamo, usiamo internet, giochiamo a carte, telefoniamo a casa, giochiamo a calcio e guardiamo le ragazze. Vorremmo lavorare e trovare una ragazza da sposare, per avere una famiglia qui. Tutti cerchiamo lavoro, un lavoro come meccanico, professore, medico, operaio, calciatore, ognuno in base alla propria passione. E ora vi parlo un po’ della nostra casa, dove per abitare c’è un regolamento. Ci sono tante regole da rispettare, ma la più difficile è che i nostri amici non possono dormire da noi. Però la casa è grande: ci sono quattro camere da letto, due grandi sale, una cucina, tante sedie, e un grande giardino, con tanto tanto spazio. Questa casa è bellissima per noi.
Mamadou Cellou Baldè
GUINEA CONAKRY
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Vi presento chi sono, a Bologna
Sono Coulibaly Aly e vengo dal Mali. Ho 21 anni e sono nato il 29 Novembre 1995. Ora abito a Montepastore con altre persone, siamo in 18. Sono in Italia da sei mesi, dove sono arrivato dopo aver attraversato l’Algeria e la Libia. Sono arrivato in Sicilia, poi mi hanno trasferito al Mattei e ora sono a Montepastore. Studio italiano quattro giorni a settimana, lunedi, martedi, mercoledi e giovedi, e lo faccio per sapere molte cose ma vorrei anche lavorare qui.
Aly Coulibaly
Grazie
Salve a tutti ricordati dove sei grazie a Dio ricordati le persone con cui passi le giornate quelle con cui messaggi quelle con cui trascorri le serate al telefono guarda dove sei adesso, le persone con cui sei grazie a tutti gli italiani specialmente quelli che ho incontrato Vorrei ringraziarli ancora perchĂŠ grazie a loro ho potuto realizzare il mio sogno il sogno di diventare studente amo il lavoro di giornalista e vorrei diventarlo anche se mi piacerebbe lavorare in copisteria o nei 48
MALI
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supermercati Io mi trovo molto bene in Italia Soprattutto nel luogo dove vivo, Montepastore, dove tutte le persone che abitano e lavorano con me sono veramente buone.
Gaoussou Traore
MALI
Chiesa di San Petronio
(1390). Dentro si prega e i turisti visitano le pitture, i monumenti e le tombe di persone importanti del passato, ci sono molte sedie per fedeli e molte candele. Secondo me questa chiesa è storica, con i mmagini di grandi uomini e importante per le nuove generazioni. E’ un bellissimo monumento e le candele all’interno sono bellissime e illuminano la chiesa.
Il Palazzo Comunale (1100).
Il Sacrario di Piazza Nettuno (21 aprile 1945).
E’ un monumento in memoria dei partigiani e delle partigiane morte per liberare l’Italia dal Fascismo dal 1943. Cisono circa 2000 foto. Dopo la fine dellaguerra nel 1945 i bolognesi iniziano a portare in quel luogo le foto degli amici e parenti morti per la libertà. W la resistenza.
Dentro ci sono molte sale come la sala rossa al primo piano. In questa sala nel 1500 facevano le riunioni del Parlamento di Bologna e dopo il 1800 è diventata una sala d’attesa. E’ importante per i suoi decori rossi e quando avrò una ragazza la porterò qui.
La Sala Borsa. Aperta il lunedì dalle 14:30 alle 20,
da martedì a venerdì dalle 10 alle 20 e sabato dalle 10 alle 19. Si possono leggere libri, video, musica, giornali, internet, bar, scuola mappe, cd audio e riviste. E’ possibile prendere fino a 10 libri o DVD e il prestito dura un mese. Sotto la Sala Borsa c’è l’antico foro romano ed è possibile visitarlo e vedere le vecchie strade molto antiche.
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How Many Kilometers
153842 migranti provenienti da Nigeria, Eritrea, Gambia, Pakistan, Siria e tanti altri Paesi, sono sbarcati sulle coste italiane nel 2015; ed è con una parte di queste persone che nasce il progetto “How Many Kilometers”. Ritratti di uomini e donne che hanno viaggiato verso l’Europa attraversando deserti, mari e svariati Paesi; sono fotografie di persone che hanno intrapreso un lungo viaggio per motivi spesso differenti da quelli per i quali noi tutti viaggiamo. Il progetto è la ricerca dello sguardo di chi ha marciato per anni attraverso la sete, la fame e la prigionia, percorrendo uno a uno tutti i chilometri che danno il nome al progetto. Dentro alla cornice neutra del lenzuolo bianco si appoggiano infatti gli occhi di chi ha una storia da narrare. Sono gli sguardi che spesso evitiamo di incrociare per paura o pregiudizio camminando nelle nostre città. Ritratti di un mondo che non prende l’aereo per spostarsi, visi sui quali sono scritti come su una mappa migliaia di chilometri di strada percorsa e chissà quanti ancora da percorrere. Il progetto è il tentativo di descrivere quella forza interiore che spinge popoli e persone a percorrere distanze
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interminabili. E’ la ricerca dell’interiorità profonda, propria di chi viaggia per necessità, che spesso a noi si cela dietro una cortina di differenze e paure. La distanza totale percorsa dalle 100 persone fotografate sono:
59.247.142 chilometri
Giovanni Rimondi Studente al liceo Minghetti di Bologna Giovanni Fabbri Studente alla Facoltà di Architettura di Ferrara
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Integrazione sui pedali
“La bicicletta è un mezzo di trasporto politico. Il più democratico del mondo visto che tutti se lo possono permettere e tutti ci sanno andare. La bicicletta è un mezzo di trasporto inclusivo e universale (...). Sovversiva, perché fugge gli standard dell’omologazione, infrange la regola del consumo globale. La bicicletta è anche un mezzo di pace. Mai sentita una guerra combattuta con una bicicletta” (da “Europa Europa! Dal Mediterraneo al Baltico in bicicletta” di Matteo Scarabelli). Pedalare per molti è una scelta, una scelta per stare meglio, per essere meno invasivi verso il pianeta che ci ospita, per scoprire angoli del nostro spazio urbano altrimenti irraggiungibili, per guardare negli occhi gli altri che come noi attraversano ogni giorno le strade della nostra città. Per tanti altri pedalare è l’unica mobilità possibile. Una mobilità semplice, veloce, economica, giusta. Una mobilità democratica e per tutti, di tutti. L’11 settembre scorso, un gruppo di ciclisti dell’Associazione Salvaiciclisti Bologna ha raggiunto a Bazzano, in bicicletta, i ragazzi ospitati dal Centro di Accoglienza gestito da Arca di Noè. In sella alle bici rosse prestate da Demetra Social Bike, il gruppo ha pedalato nella campagna della Valsamoggia per raggiungere, nella Piazza di Bazzano, la partenza della 52
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biciclettatata organizzata dalla ProLoco nell’ambito dell’INfestiVAL, a cui hanno partecipato oltre 300 persone. Ancora una volta la bicicletta è stata capace di eliminare le barriere, le differenze, le incomprensioni linguistiche. Pedalare fianco a fianco, in silenzio, nel sole chiaro del mattino per sentirsi un po’ a casa, un po’ sempre in viaggio, parte di un gruppo che non pretende niente da nessuno di noi, di un’esperienza individuale e collettiva allo stesso tempo, priva di retorica, reale, fisica, inclusiva.
Alice Fanti
Salvaciclisti Bologna www.salvaiciclisti.bologna.it
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Qual è il mio posto nella società?
La mia visione delle cose è molto complessa in quanto mi dico che il pensiero di un essere umano non ha limite. Percepisco l’universo come una fonte di energia senza fine. Mi pongo domande per sapere qual sia il posto da occupare o l’importanza della nostra esistenza in questo mondo, nella società. Questi pensieri mi possono rimandare al senso della vita. Un’amica mi ha detto che lei ritrova il suo posto facendo cose buone per gli altri e per lei stessa; m’intriga questo pensiero. In questo mondo noi non sappiamo fare cose buone e questa dovrebbe essere la domanda da porci ogni giorno. Da quando sono uomo pensante, mi pongo la domanda su quale sia questo posto da occupare, il senso della vita su una terra dove ci sono tanta sofferenza e guerre; per quanto sappiamo quanto dolore provochi la perdita di una persona cara, noi non possiamo neanche immaginare questa sofferenza moltiplicata per milioni. Bisogna domandarsi:” Qual è il mio posto? Che posso fare?” L’energia che circonda il nostro universo può essere da noi utilizzata per delle novità positive, per migliorare 54
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le cose; usarla per purificarsi, poiché l’elevazione è possibile solo quando ci sentiamo liberi. La società è un tempio dove alle volte è necessario purificarsi dalla fuliggine per poter intraprendere la strada per trovare il proprio posto. Quando satana vi parla ditegli che solo la verità può darci un posto nella società. Purificarsi in un’aria superiore. Vivere in società non è come andare al cinema. Ho vissuto nella calma sensualità, il mare è il mio specchio, non credete ai miei scritti poiché immediatamente la ragione scorre via, mi sento solo.
Lamine Sadio
SENEGAL
La Mappa del Senegal - Sekou Thior
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Sabarr - Diatta Lamine
Progetto e fotografie MICHELE CATTANI Illustrazioni LAMINE DIATTA, SEKOU THIOR, ABDULRAHIM SOW, RENÈ COULIBALY Traduzione testi DI-MÒ: SCUOLA DEI MONDI Partner del progetto ASSOCIAZIONE PRENDIPARTE Finito di stampare nel mese di dicembre 2016 © COOP. SOC. ARCA DI NOÈ Tutti i diritti riservati Riproduzione vietata All rights reserved
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