RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959
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ISSN 2239-6365
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Scena teatrale — Fusione creativa — Fiere acrobazie cromatiche — Il mondo del possibile — Una soluzione (im)possibile: la restituzione del Teatro Romano di Verona — La Guerrina ritrovata — Verso un nuovo Ordine — Boccioni a Verona— Progetto a vista — Mall in progress — Architettura per divertimento — Itinerario: Architetture per l'università .
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Il nuovo Codice degli appalti: novità e primi commenti Testo: Arnaldo Toffali
Il Consiglio dei Ministri ha approvato in data 3 marzo 2016 il decreto legislativo 1 con cui il Governo, come previsto dalla legge delega del 28 gennaio 2016 n. 11, recepisce in un unico decreto le direttive appalti pubblici e concessioni e riordina la disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture e contratti di concessione. Il nuovo “Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione”, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 pubblicato nella G.U. Serie Generale n. 91 del 19 aprile 2016, sostituisce il precedente d.lgs. 163/2006 e contiene criteri di semplificazione, snellimento, riduzione delle norme in materia. È una disciplina che non prevede, come in passato, un regolamento di esecuzione e di attuazione, ma l’emanazione di linee guida di carattere generale, da approvare con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti su proposta dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e previo parere delle competenti commissioni parlamentari. “Le linee guida, quale strumento di soft law, contribuiranno ad assicurare la trasparenza, l’omogeneità e la speditezza delle procedure e fornire criteri unitari. Avranno valore di atto di indirizzo generale e consentiranno un aggiornamento costante e
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coerente con i mutamenti del sistema”. Dove sono previsti decreti amministrativi attuativi, di natura regolamentare, è stata individuata, nel regime transitorio, la valenza temporanea di alcune norme del regolamento relative a contabilità, verifiche e collaudi, per consentire l’immediata applicabilità della nuova normativa. Rispetto alla versione iniziale, nella versione definitiva: 1) è stato inserito il tetto del 30% al subappalto; 2) non è stato previsto il riferimento obbligatorio al DM Parametri; 3) non sono state abbassate le soglie per il massimo ribasso e la procedura negoziata, che sono rimaste ferme a un milione di euro. Entrano subito in vigore: 1) l’aggiudicazione con l’offerta economicamente più vantaggiosa; 2) il divieto di appalto integrato; 3) il limite del 30% al subappalto; 4) la cancellazione dell’incentivo del 2% ai progettisti interni alla Pubblica Amministrazione. La novità più rilevante riguarda il massimo ribasso, “che resterà solo per casi assolutamente marginali e ben normati”. Gli appalti verranno infatti assegnati in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, con attenzione alla qualità e non più al prezzo più basso. Il criterio del prezzo più basso potrà essere utilizzato per i servizi e le forniture di importo inferiore alla soglia comunitaria,
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caratterizzati da elevata ripetitività. Relativamente ai servizi di ingegneria e architettura, ossia gli incarichi di progettazione, coordinamento della sicurezza in fase di progettazione e esecuzione, direzione dei lavori e collaudo, per quanto riguarda le soglie di rilevanza comunitaria, definite per tutti i settori dall’articolo 35 del Nuovo codice appalti, non intervengono modifiche sostanziali prevedendo con alcune modifiche ed integrazioni, tre situazioni principali: 1) incarichi per importi inferiori ai 40.000 euro (esclusa IVA): l’articolo 36 comma 2, lettera a) prevede che l’incarico possa essere conferito al professionista con l’affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento a condizione che l’affidatario disponga dei requisiti di idoneità morale, capacità tecnico-professionale ed economico-finanziaria necessari per le prestazioni da svolgere, e che venga eseguita una ricerca di mercato secondo i principi della rotazione e trasparenza. Per questa tipologia di affidamenti il criterio di aggiudicazione consentito è quello del minor prezzo (anche per gli affidamenti di servizi di ingegneria e architettura) fermo restando che è possibile applicare in questa fascia anche il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa; 2) incarichi per importi pari o superiori ai 40.000
e inferiori ai 100.000 euro (esclusa IVA): l’incarico avviene mediante procedura negoziata – invito (non bando) rivolto ad almeno 5 soggetti idonei (art. 157, comma 2) individuati con indagini di mercato o elenchi di professionisti – applicazione solo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa che diventa obbligatorio per gli affidamenti di importo stimato pari o superiore a 40.000 euro (art. 95, comma 3, lettera b). Per incarichi sia inferiori che superiori ai 100.000,00 euro i soggetti affidatari possibili sono quelli indicati dall’articolo 46; 3) incarichi per importi pari o superiori ai 100.000 euro: si applicano i criteri indicati dall’articolo 157, comma 2 e previsti dalla Parte II, Titoli I (contratti di rilevanza comunitaria), II (qualificazione delle stazioni appaltanti), II (procedura di affidamento), IV (aggiudicazione per i settori ordinari), in pratica si tratta di procedure aperte o ristrette come disciplinate dagli articoli 60 e 61 del decreto. Anche nel caso di questa tipologia di affidamenti superiori alla soglia indicata è obbligatoria l’applicazione del solo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (art. 95, comma 3). Il 29 aprile sono arrivate le prime indicazioni dell’ANAC, sette documenti 2 approvati dal Consiglio dell’Autorità posti subito in consultazione, per consentire a imprese e pubbliche amministrazioni di valutarne l’impatto sul codice, prima della pubblicazione delle linee guida stesse. Secondo i primi commenti saranno tempi duri quelli prossimi futuri, con i decreti correttivi che modificheranno in itinere il contenuto del Nuovo Codice Appalti. “Nonostante le decise indicazioni di Cantone e di Delrio (…) la situazione è operativamente un’altra cosa rispetto alle loro facili indicazioni. È un giungla di fili incrociati. L’entrata in vigore lo stesso giorno della pubblicazione in Gazzetta, l’assenza di un adeguato periodo transitorio e le discrepanze sulla data a partire dalla quale i bandi dovranno rispettare in Nuovo Codice sono problemi che cadono sul lavoro quotidiano degli operativi”. A complicare ulteriormente la situazione è l’abrogazione a singhiozzo del DPR 207 (Regolamento). L’art. 217 (abrogazioni), lettera u) del Nuovo codice appalti prevede infatti l’abrogazione immediata di alcune parti del
Regolamento, mentre altre resteranno in vigore fino alla data di entrata in vigore degli atti attuativi del d.lgs. n. 50/2016 che ancora non sono stati pubblicati. La Rete delle Professioni Tecniche lamenta la scomparsa nel nuovo Codice Appalti, di una parte specifica dedicata ai servizi di ingegneria e architettura. I servizi dei professionisti tecnici risultano dispersi nelle varie pieghe del Codice. Altro punto molto criticato è la non obbligatorietà del “decreto parametri” (DM 143/2013 ) per la determinazione del corrispettivo da porre a base di gara. In più, la limitazione all’appalto integrato risulta scomparsa e la cauzione diventa obbligatoria anche per la progettazione. Anche Rino La Mendola, del Consiglio Nazionale degli Architetti PPC e coordinatore del Tavolo Lavori Pubblici della Rete delle Professioni Tecniche, sostiene che il nuovo Codice Appalti “tradisce una serie di principi enunciati dalla legge delega e presenta una serie di criticità. Prima fra tutte, la mancanza di una disciplina speciale sui Servizi di Architettura e Ingegneria ed altri servizi tecnici; (…) carenza fondamentale, nella consapevolezza che servizi come la progettazione non possono essere regolamentati con regole analoghe o anche soltanto simili a servizi generici, come quelli sociali o della ristorazione; servizi che hanno peraltro riferimenti comunitari diversi”. Parere negativo sul codice Appalti anche attraverso Armando Zambrano, coordinatore della Rete e Presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, che ha dichiarato: “Un testo deludente: sembra tradire lo spirito della Legge delega sulla centralità della progettazione. (…) Siamo di fronte ad un arretramento rispetto alla normativa precedente, in particolare se ci riferiamo alla Determinazione Anac 4/2015”. La Rete delle Professioni Tecniche ha comunque proposto un documento che, attraverso la modifica di un modesto pacchetto di articoli, supererebbe le tante anomalie rilevate.
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Consiglio dell’ordine • Presidente Arnaldo Toffali • VicePresidente Nicola Brunelli • VicePresidente Paola Ravanello • Segretario Elena Patruno • Tesoriere Giovanni Mengalli • Consiglieri Marco Campolongo, Vittorio Cecchini, Laura De Stefano, Federico Ferrarini, Giancarlo Franchini, Daniel Mantovani, Raffaele Malvaso, Amedeo Margotto, Donatella Martelletto, Diego Martini
1 In attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014. 2 1. Sottosoglia; 2. Nomina, ruolo e compiti del responsabile uni-
co del procedimento per l’affidamento di appalto e concessioni; 3. Affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria; 4. Linee guida in materia di offerta economicamente più van-
taggiosa; 5. Il Direttore dei Lavori: modalità di svolgimento delle funzioni di direzione e controllo tecnico, contabile e amministra-
tivo dell’esecuzione del contratto; 6. Il Direttore dell’esecuzione: modalità di svolgimento delle funzioni di coordinamento, direzione e controllo tecnico-contabile dell’esecuzione del contratto; 7. Criteri di scelta dei commissari di gara e di iscrizione de-
gli esperti nell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici.
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PROGETTo
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Il nuovo Codice degli appalti: novità e primi commenti di Arnaldo Toffali
Il mondo del possibile di Alessandro Merigo, Gianpietro Rinaldi
La Guerrina ritrovata di Luisella Zeri
Scena teatrale di Federica Guerra
A volo d’uccello in punta di penna di Angelo Bertolazzi
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PROGETTO
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Una soluzione (im)possibile: la restituzione del Teatro Romano di Verona di Riccardo Campagnola
Verso un nuovo Ordine di Chiara Tenca
Città al verde: salute! di Andrea Lauria
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progetto
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SAGGIO
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progetto
Fusione creativa di Michelangelo Pivetta, Matilde Tessari
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editoriale
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Indipendentemente di Alberto Vignolo
progetto
Fiere acrobazie cromatiche di Angela Lion
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Zang Tumb Rip Boccioni a Verona di Luisella Zeri
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Camminate mura di Luisella Zeri
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Progetto a vista di Francesca Castagnini
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Stefano Feriotti a Verona di Angela Lion
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itinerario
Architetture per l’università di Giulia Bernini
Editore Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona
Redazione Via Oberdan 3 — 37121 Verona T. 045 8034959 — F. 045 592319 redazione@architettiveronaweb.it
Direttore responsabile Arnaldo Toffali
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Direttore Alberto Vignolo av@architettiveronaweb.it
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Un veronese a New York di Gaia Passamonti
Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959 Terza edizione • anno XXIV n. 2 • Aprile/Giugno 2016
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Architettura per divertimento di Dalila Mantovani
Distribuzione La rivista è distribuita gratuitamente agli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona e a quanti ne facciano richiesta agli indirizzi della redazione.
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Mall in progress di Nicola Tommasini
copertina Foto: Ianus - Restauro architettonico e archeologico www.ianus.co
Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.
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Redazione Angelo Bertolazzi, Nicola Brunelli, Laura De Stefano, Alessio Fasoli, Federica Guerra, Angela Lion, Dalila Mantovani, Michelangelo Pivetta, Matilde Tessari, Lorenzo Marconato, Chiara Tenca, Nicola Tommasini, Luisella Zeri collaboratori Giulia Bernini, Francesca Castagnini, Sara Polo, Federica Provoli Fotografia Carlo Ambrosi, Cristina Lanaro, Lorenzo Linthout, Diego Martini, Michele Mascalzoni, Simone Sala contributi Riccardo Campagnola, Andrea Lauria, Alessandro Merigo, Gaia Passamonti, Gianpietro Rinaldi
Si ringraziano Vittorio Cecchini, Silvia Dandria, Paola Fornasa
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Indipendentemente
Lo spazio pubblico tra apertura e chiusura, tra idee concorsuali rigettate e progettualità rinserrate nei recinti della pubblica amministrazione
Indipendentemente da come si potranno verificare gli esiti, che ora possiamo solo prefigurare attraverso le simulazioni rese pubbliche, la recente presentazione del progetto “di riqualificazione” di piazza Indipendenza, cuore storico della città antica compreso tra i palazzi scaligeri e il fagiuolesco palazzo ex Poste, solleva alcune questioni sulle quali ciclicamente occorre ritornare. La prima riguarda il famigerato tema dei concorsi-beffa. Correva infatti l’anno 2012 quando «AV» presentò con il giusto risalto gli esiti del concorso di progettazione bandito dall’amministrazione cittadina con il supporto fattivo del nostro Ordine. Sedici progetti elaborati da novantasei tra architetti, consulenti e collaboratori non sono bastati a far emergere un’idea che potesse essere utilizzata, magari rielaborata o almeno assunta come punto di partenza. Per tutti, il progetto presentato ora da parte dell’amministrazione cittadina suona come un beffardo “marameo!” per aver ingenuamente creduto che quel concorso potesse essere una cosa seria. Si dirà che questa non è la prima né l’ultima volta: il che non vale certo come consolazione, tutt’altro. Ritornano così i “banditi e
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arrestati” (cfr. «AV» 89, pp. 98-100): là dove c’erano gli antichi orti, ci pensano oggi i moderni ortolani ad affossare un progetto vincitore nel rimpallo al ribasso da un ufficio all’altro, coltivando scientemente l’indifferenza per l’architettura. Ping, pong, flop: così il concorso è rimasto lettera morta e la progettualità è rientrata intra moenia, un fortino ben serrato che si è specializzato nell’alzar recinti e cancellate. Per l’appunto: la proposta per la piazza, che indipendentemente dall’appellativo è in realtà un giardino pubblico, è incentrata sulla sua chiusura con una cancellata, “per cercare di ridare dignità e decoro a questo luogo storico”. Da cui la seconda questione: sono i cattivi usi a degradare gli spazi, o sono gli spazi
Testo: Alberto Vignolo
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01-03. Gli interventi progettuali previsti per la riqualificazione di piazza Indipendenza, nei render resi pubblici dall’amministrazione cittadina.
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lasciati nel degrado a ingenerare usi impropri? L’amministrazione cittadina supporta la prima opzione: la soluzione pertanto è legge e ordine, cancelli e telecamere, recinti e barriere. Poi, come contentino, qualche erbetta qua e là, e due fiorellini nelle aiuole. La cognizione dello spazio collettivo come spazio condiviso, e la forza di un disegno che sappia far dialogare antico e moderno, storia e progetto, attualità e memoria, sembrano concetti alieni dalle sfere del potere. Un giardino pubblico va trattato alla stregua di quello di una qualsiasi villetta, dove fioriscono gli allarmi e gli attenti al cane (e al Padrone). Il concorso per Piazza Indipendenza è dunque servito unicamente
come sfogatoio per questi illusi di architetti. D’altronde, anche i molti “se” e i “ma” a proposito del concorso di idee recentemente bandito per la copertura dell’Arena lasciano presagire null’altro che una spassosa Sagra del Render: a ulteriore conferma dell’uso (abuso) baracconesco che della nobile piazza cittadina si continua a fare a ogni piè sospinto, altro tema sul quale varrebbe la pena di spendere qualche non vana considerazione. Da una parte i recinti e le cancellate, dall’altra i chioschi Tyrol style trasudanti cibarie d’ogni sorta e provenienza: lo status dello spazio pubblico veronese non sta vivendo una stagione di grazia. Indipendentemente da tutto.
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04-05. La magnificenza autunnale dei giardini di piazza Indipendenza (foto di Michele Mascalzoni).
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PROGETTO
Fusione creativa
Il recupero delle fonderie didattiche dellâ&#x20AC;&#x2122;istituto Ferraris consegna alla cittĂ un nuovo spazio teatrale valorizzando i caratteri archeologici dei macchinari
Progetto: arch. Valeriano Benetti
Testo: Michelangelo Pivetta, Matilde Tessari Foto: Diego Martini
Verona
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Tra i molti ambiti in cui l’agire architettonico si muove nella contemporaneità non può passare inosservato il denso comparto del cosiddetto riuso. Il moderno, ormai derubricato in senso storico ad un passato che seppur recente appare sempre più remoto, ha abbandonato sul campo architetture che, come relitti – o forse già quasi rovine –, necessitano di azioni di reintegro funzionale all’interno del tessuto del costruito. La vicenda della Fonderiaperta Teatro si inserisce quasi ingenuamente, in un personale ambito di strategia di riciclo architettonico e rigenerazione urbana, approfittando di un pezzo di città inutilizzato, abbandonato quale l’ex fonderia didattica dell’Istituto Galileo Ferraris. Se già in Europa, come sempre verrebbe da dire, queste operazioni appartengono da decenni alla sfera della normalità, in Italia dove paradossalmente il concetto di demolizione appare assente, tali eventi rigenerativi stentano a trovare spazio. Ma è utile cercare di capire quale sia davvero il significato di riuso e cosa lo differenzi da quello di restauro o ristrutturazione. A stabilire il passaggio tra una categoria di intervento e l’altra vi sono zone grigie che diluiscono i tentativi di matematica schematizzazione, ma si può provare a definire un processo logico e un atteggiamento progettuale diverso, in fondo è qualcosa che già conosciamo dalla storia dell’architettura, densa di eventi di riuso dall’antichità ad oggi, dal teatro di Marcello al Museo della Centrale Montemartini a Roma, alla milanese Città delle Culture. Il riuso diversamente dal restauro si pone non tanto il problema della conservazione quanto quello della rifun-
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zionalizzazione, quindi, l’ulteriore passaggio tra progetto ed oggetto, è la ricerca di una linguistica di responsabilità e rispetto del testo già scritto da altri. Il linguaggio della sintesi e una rinnovata coscienza del valore della rovina sono i paradigmi fondamentali che stanno segnando il percorso dell’architettura contemporanea. Il primo scaturisce dall’omologazione del gesto architettonico, dalla necessità di riassumere ogni espressione del minor numero di passaggi, nel minor numero di tracce compositive, nel minor numero di materiali, secondo una distorta ma altrettanto condivisa interpretazione modaiola del miesiano less is more. Tanto comoda per ritenersi à la page e soprattutto per convincere i committenti dell’economicità (possibile) dell’Architettura quanto difficile da utilizzare davvero sul campo. Il secondo, invece, è necessario data la resilienza degli oggetti architettonici e pure dell’uomo, capace di adeguarsi alle criticità preferendo a questo punto governarle piuttosto che determinarne l’eliminazione.
01. Veduta generale del foyer e della sala teatrale. 02. Il fronte verso via del Pontiere con la promenade di accesso tra i due fabbricati dell’Istituto “G. Ferraris”. 03. L’ingresso del teatro; sul fondo il muro di cinta dell’ex convento di San Domenico. 04-05. Dettagli dei vecchi macchinari della fonderia didattica.
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06. Il percorso di accesso verso il foyer. 07. Veduta d’insieme dal ballatoio di ispezione dei vecchi macchinari.
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Fonderia trova il suo spazio in un contesto urbano in fermento. Solo un muro di cinta separa l’Istituto Ferraris dall’ex convento di San Domenico, attuale sede del comando dei Vigili urbani, edificio ai limiti dell’agibilità che, una volta trasferita l’attuale funzione, dovrà essere restaurato e destinato a nuovi usi. Dall’altro lato di via del Pontiere, giusto di rimpetto al varco tra gli edifici del Ferraris che dà accesso al Teatro, da novembre è visitabile la extended version del Museo degli Affreschi G.B. Cavalcaselle, ampliato dopo un lungo restauro negli spazi e nel percorso delle opere esposte, che accoglie il grande patrimonio degli affreschi veronesi e una rilevante quantità di materiali proveniente dai depositi dei Civici Musei e che meritava di essere accessibile. Poco più in là, sempre su via del Pon-
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tiere, non solo grandi interventi ma anche un piccolo accurato progetto di interni di carattere architettonico gastronomico (cfr. pp. 64-65 in questo stesso numero). E poi due questioni aperte in cui torna buona l’idea di restauro e riuso: sicuramente destinati a una riconversione funzionale sono infatti l’edificio che ha ospitato fino al recente trasloco l’Archivio di Stato, in via delle Franceschine, e i palazzi degli Uffici tributari progettati da Libero Cecchini e affacciati su lungadige Capuleti, praticamente dismessi. Anche questi esempi connotano l’area di una forte potenzialità urbana, proiettata verso un nuovo destino (che ci auguriamo comprenda anche la vocazione culturale). L’esempio di Fonderiaperta Teatro si configura così come l’esempio di
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08. Planimetria generale con evidenziata in rosso la zona di distribuzione esterna, in bianco gli spazi del teatro. 09-11. Dettagli e vedute su più piani dei macchinari e degli allestimenti della Fonderia.
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un’occasione colta capace di far ger- naugurazione di Fonderiaperta Teaminare nuovi cicli di vita, ispirata tro nel novembre 2015. – forse inconsapevolmente in senso A Fonderiaperta Teatro si accede da architettonico – ai concetti di reuse- via del Pontiere, attraverso un largo reduce-recycle e in senso economico corridoio che fa da filtro tra l’edifico a quelli di economy-equity-environe- scolastico “Galileo Ferraris” e un anment. nesso della scuola stessa, in una sorta L’idea del teatro nata nel 2003 di promenade che invita l’ingresso al dall’attore e regista Roberto Totola, teatro. L’idea di usare un pezzo di un presto assume forma di spazio poli- edificio scolastico per una funzione funzionale, diserale e compleventando sì teatro mentare agli usi « Il riuso diversamente di prosa ma anche didattici tradiziodal restauro si pone auditorium, spanali va nella direnon tanto il problema zio espositivo per zione di pensare della conservazione le arti e il design, ai complessi scosala congressi e lastici come orgaquanto quello della luogo sociale per nismi urbani, di rifunzionalizzazione » attività didattiche rompere i recinti e culturali. I lavodella loro autoreri partono dal 2004, con Roberto To- ferenzialità spaziale, temporale e amtola assieme a Marina Furlani, attrice ministrativa: una ottima idea. coreografa, e ad alcuni collaboratori Gli spazi del teatro sono ricavati e amici; tutto è gestito in autonomia nell’edificio che ospitava le fonderie nel corso di undici anni tra le fasi di didattiche, annesso al fabbricato scopulizia, sgombero e riordino, e poi al- lastico sul lato est. Il teatro è organizlestimento e risoluzione di questioni zato in due spazi principali, un granburocratiche. Fino ad arrivare all’i- de foyer e la sala teatrale. Si arriva
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12. Il foyer allestito con un tavolo riunioni. 13. L’area di regia e controllo luci sopra la platea. 14. Uno scorcio della platea e del palco.
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al foyer attraverso un percorso dove sono esposte le tele di Alessandro Capuano, artista e direttore artistico del teatro, e che si apre in un primo spazio a destra, più piccolo, definito da un rialzo, dove è predisposto un tavolo per riunioni, distribuito sotto i vecchi macchinari della fonderia; a
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sinistra il ridotto è ampio e vi si trovano delle sedute e un piccolo bar, e ancora i macchinari della fonderia che da qui si possono cogliere con un angolazione più ampia, notando i camminamenti in quota che un tempo servivano per la manutenzione dei macchinari e adesso conducono a due
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15. I 156 posti a sedere della sala teatrale. 16. Palco e platea, guardando verso il foyer.
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soppalchi, un piccolo ufficio e un atelier di pittura. La sala teatrale ha 150 posti, uno spazio raccolto e intimo, ed è separata dagli altri spazi da tendaggi scuri. Tutto il teatro è stato allestito e arredato con materiali di recupero o forniti da sponsor tecnici: i segni più evidenti sono le mattonelle rosse che rivestono la struttura in ferro del bancone del bar, i gradini della platea e che creano la cornice del palco. La pavimentazione è un continuum con l’esterno di sanpietrini di porfido disposti ad archi.
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Qui il tempo, le difficoltà pratiche e la tenacia degli ideatori hanno sedimentato un’esperienza architettonica di notevole spessore. L’operare certosino tra i macchinari della ex fonderia della scuola è la matrice dell’intero progetto, condotto per la parte tecnica e burocratica dall’architetto Valeriano Bonetti. Tra rulli, forni e contenitori di materiali ferrosi il tempo sembra essere andato in pausa, pure garantendo attraverso il fondale creato da questo straordinario fermo immagine un supporto più che adeguato alla vita e alle attività contempora-
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Fusione creativa
PROGETTO
17. Un inconsueto punto di vista dallâ&#x20AC;&#x2122;alto di un ballatoio. 18. Lo spazio del foyer durante un evento: una piazza coperta (foto di Alessandro Capuano). 19. Veduta generale del foyer dal livello ballatoio con la zona bar sulla destra.
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Committente Fonderia Aperta Teatro Progetto architettonico arch. Valeriano Benetti staff Roberto Totola, Marina Furlani, Eugenio Chicano, Alberto Bronzato, Valeriano Benetti, Chiara Chiappa, Demetrio Chiappa, Riccardo Tedeschi, Riccardo Pippa, Alessandro Capuano Forniture Gruppo Manni (strutture in acciaio per il palco) Stone Italiana (rivestimenti) Prisma (apparecchi illuminanti) Cronologia Progetto: 2004 Inaugurazione: 2015 Dati dimensionali Posti a sedere: 156
nee. Come potessimo muoverci oggi all’interno di una scenografia sironiana resa reale, ogni momento è vissuto attraverso una sorta di alienazione e mistica sublimazione del concetto spazio/tempo. Il concetto che sta dietro a queste operazioni di riuso è l’elaborazione di una nuova condizione della modernità, che smette di essere una natura morta e semplicemente cambiando lingua diventa still life cioè “ancora viva”. Forse, proprio per questo e in quale modo, riuso è da ritenere segnale di interesse per una postmodernità altra, per la contemporaneità.
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Fiere acrobazie cromatiche
Il ripristino dopo un prolungato oblio di una scenografica sala di ritrovo nel piĂš blasonato hotel del centro cittadino mette in luce gli affreschi a tema circense di Pino Casarini
Progetto: arch. Simonetta Paparella Testo: Angela Lion
Foto: Marco Baldassarri
Verona
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Con l’apertura delle porte del suo storico palazzo per una fastosa cerimonia, l’Hotel Due Torri ha inaugurato a dicembre 2015 i lavori di restauro della “sala delle feste” dell’albergo al piano interrato, ribattezzata in tale occasione “Arena Casarini”. L’intervento fa seguito a un lungo periodo di oblio che aveva portato a mascherare la struttura originaria con pannelli in cartongesso decorati con stucchi, specchi e lampade. È grazie alla ricerca progettuale dell’architetto veronese Simonetta Paparella e alla lungimiranza della proprietà che si manifesta, nel vero senso etimologico della parola, quanto voluto da Enrico Wallner, nobile d’origine austriaca che negli anni ’50 trasformò il palazzo di famiglia in hotel di lusso. Collezionista d’arte ed esperto di antiquariato, decise di affidare i lavori per l’intervento edilizio all’ingegnere Alessandro Polo e a Pino Casarini per gli aspetti decorativi.
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« All’interno della sala si è spettatori e nel contempo attori: l’illusione prospettica dilata lo spazio, rendendolo ‘abitabile’ »
Pino Casarini, veronese di nascita – anno 1897 – figlio di un artigiano intagliatore e indoratore, riceve dal padre i primi insegnamenti nel suo laboratorio fuori porta San Zeno. Diplomatosi alla scuola statale d’arte Nani, si perfeziona in pittura e scultura presso l’Accademia Cignaroli. A partire dagli anni ’20 frequenta l’ambiente veneziano della Biennale, dove viene ammesso a partire dal 1930 e fino al 1948. Dopo la sua prima importante mostra personale a Ca’ Pesaro nel ‘27, dal 1931 al 1947 partecipa a tutte le Quadriennali di Roma. A Verona diventa sempre più assidua la sua attività nel campo delle scenografie areniane e per il teatro Romano. Sono anni di grande attività in cui prevale l’attività di frescante in edifici pubblici e privati, come a Verona nel palazzo INA o a Padova nel rettorato del Bo di Gio Ponti. Nel dopoguerra lavora al grande affresco per la ricostruita sala Boggian a
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Castelvecchio (ora mascherato dalla contro soffittatura introdotta per ragioni climatiche), e dopo un decennio dedicato all’arte sacra e alle scenografie areniane viene chiamato a decorare all’interno del rinnovato Due Torri il grande salone d’entrata e il teatrino. È il 1958: le immagini d’epoca ci mostrano il teatrino in diversi allestimenti compresi tra il caba-
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01. Domatrice di leoni, scena dipinta sulla parete sinistra dell’Arena Casarini dopo il restauro del 2015. 02-03. Un’immagine della sala Casarini risalente al 1958 e una di un allestimento degli anni ‘60. 04. Veduta d’insieme dell’Arena dalla zona palco verso la scala di accesso dal piano superiore.
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Fiere acrobazie cromatiche
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05-06. Pianta e schizzo assonometrico del progetto di riqualificazione. 07. Particolare della demolizione delle pareti in cartongesso che occultavano gli affreschi del Casarini. 08. L’Arena in una veduta verso il palco dopo il completamento dei lavori di restauro. 09. Particolare delle contropareti retroilluminate che accentuano la profondità prospettica della scena dipinta. 10-11. Particolari degli affresci: la grande parete centrale del palco con ritratti la cavallerizza e il domatore, e contorsioni di un’acrobata.
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ret, il ristorante e la sala per convegni. Spicca la decorazione delle pareti, un ciclo di pitture murali a tema circense che rappresenta un unicum nella carriera del Casarini, sintesi dei tanti volti sfaccettati dell’artista. Il disegno d’insieme rivela la volontà di stupire con effetti luccicanti ed acrobatici gli avventori dell’hotel. Ed è quanto l’architetto Paparella coglie nel rimettere in luce l’opera, attraverso un intervento estremamente difficoltoso tra ripristino dell’assetto spaziale, messa a norma, adeguamento degli impianti e, non ultimo, l’accurato restauro degli affreschi. Il loro stato di conservazione era a dir poco pessimo: i fondali, diventati il retro di un’intercapedine impiantistica, presentavano una situazione di grave degrado. Grazie ai sapienti interventi dello studio Cristani Pierpaolo, nella sala sono tornati a risplendere colori, giochi cromatici, luci. Il ciclo decorativo dipana su tutte le pareti il tema circense, tra giochi acrobatici, belve e danze, in cui si alternano misura compositiva e una travolgente
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forza ritmica. Il circo diviene così il geniale concetto progettuale, che sta “non solo per scene pittoriche eseguite, peraltro di vivace ed attraente gusto coloristico, ma altresì nell’articolazione spaziale, giocata lungo l’asse longitudinale su una planimetria evocativa delle soluzioni teatrali settecentesche” 1 . All’interno della sala si è spettatori e nel contempo attori: l’illusione prospettica dilata lo spazio, rendendolo ‘abitabile’. Il gioco scenografico è, infatti, non solo pittorico ma architettonico, grazie alla stratificazione delle pareti con pannelli in muratura disposti ritmicamente su più piani, evidenziati dalla disposizione delle luci che teatralmente accentuano l’effetto di profondità. La configurazione planimetrica della sala combina una sorta di cavea proiettata su una platea-pedana con la dimensione assiale originata dal percorso a scendere dal foyer, in direzione del palco. Le variazioni di quote del pavimento accentuano la suddivisione degli ambiti, e due colonne separano percettivamente la platea dalla scena-palco semicircolare. Altri elementi verticali, ulteriormente avanzati, fungono da paraste e proseguono sul soffitto leggermente curvato, creando un sistema di travature a conferma visiva della struttura dello chapiteau. Aveva pensato a tutto, Casarini, persino ai tavolini del bar, giocati su dei tondi su legno dipinti con un tono di fondo chiaro e riccamente decorati con scene circensi, oggi in parte recuperati e posti lungo la parete dello scalone che accompagna il percorso verso la sala.
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Committente Duetorri Hotels Progetto architettonico arch. Simonetta Paparella responsabile tecnico geom. Luigi Bonicelli (Duetorri Hotels) Consulenti Studio Protecno (impianti elettrici e meccanici) restauro affreschi Cristiani Pierpaolo snc Cronologia Progetto e realizzazione: 2013-2015 Inaugurazione: 17 dicembre 2015
‘Il teatro è la passione del pensiero nello spazio’, un luogo vivo, in costante evoluzione, dove conoscere i grandi maestri del passato e dove gli artisti del domani sono chiamati a lasciare il segno, proprio come fece il Casarini.
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1 Daniela Zumiani, L’Arena Casarini tra scenografia e architettura,
in Maria Teresa Ferrari, L’Arena Casarini. Pino Casarini, il mago, Minerva, 205, pp. 27-28.
PROGETTO
Il mondo del possibile
Il progetto per un piccolo teatro in legno realizzato nei primi anni Novanta è stato occasione per Giuseppe Tommasi di misurarsi con un archetipo dell’architettura
Progetto: arch. Giuseppe Tommasi
Testo: Alessandro Merigo, Gianpietro Rinaldi Foto: Åke E:son Lindman
Sanguinetto
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Una definizione di architettura a cui l’architetto Giuseppe Tommasi era molto legato è: “l’architettura è la scena fissa delle vicende umane”; questa definizione evoca immediatamente l’idea del teatro e del teatro antico, la cui scena fissa non era altro che la messa in scena del lessico e della sintassi dell’architettura. Progettare un teatro è dunque come misurarsi con l’archetipo dell’architettura. La committenza incaricò l’architetto Tommasi di realizzare un piccolo teatro in legno inserito in un’ala di un antico monastero a Sanguinetto, zona agricola e artigianale della provincia di Verona. Il progetto, pieno di riferi-
« Il teatro è ellittico, come un anfiteatro romano, e come tale vi è il distacco fra arena e gradinata, cioè tra belve feroci e spettatori» menti alla storia e alla letteratura antica, nacque dalla volontà di mettere in forma un’idea complessa: far convivere, nello stesso manufatto, il teatro a pianta centrale, il teatro a scena fissa, il teatro in cui attori e spettatori occupano posizioni tali da permettere o suggerire un virtuale interscambio e il teatro ottocentesco con i suoi palchi. Il teatro è ellittico, come un anfiteatro romano, e come tale vi è il distacco fra arena e gradinata (cioè tra belve feroci e spettatori); tuttavia, mentre nell’anfiteatro antico questo distacco protettivo è costituito da un muro, qui il muro inesorabile diviene un criptoportico: un ordine di piccoli fornici che alludono ai palchi del teatro ottocentesco permettono l’irruzione, sulla scena dell’arena, di uno o più eventi
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teatrali, anche improvvisi e pericolosi. L’idea della scena fissa appare al di sopra dei gradoni e si palesa nell’allusione ad un tempio esastilo su di un alto ed arcuato stilobate: ciò avviene con modestia, data l’aulicità del tema, mediante il suggerimento del timpano nella capriata in legno che sostiene il tetto. Il pubblico siede sulle gradinate in legno, la cui forma e tecnica costruttiva sono ispirate al teatro Olimpico di Sabbioneta di Vincenzo Scamozzi. Sui gradoni, che potrebbero essere sentiti come una scalinata al tempio, è possibile in alternativa organizzare una azione teatrale, con gli spettatori questa volta in basso, nell’arena; in questo caso è il teatro a guardare se stesso come scena fissa. L’arena offre la possibilità di togliere parte dell’assito, in modo da fendere il palcoscenico ed evocare l’idea della strada, ponendo così in comunicazione il teatro con il mondo esterno. Il collegamento con il giardino sul retro avviene anche tramite uno stretto passaggio pavimentato con pietre nere lucide che, riflettendo gli alberi, costituisce una soglia galleggiante tra il teatro e il mondo esterno (città, giardino; o altro luogo anche fantastico). Al piano primo la sala de-
gli specchi ha vari significati poetici; essa pone gli attori e i visitatori nella condizione di distacco, per esaminare un’idea o pensare a se stessi da diverse angolazioni. Il tracciamento dell’ellisse in cantiere è stato un momento importante, spiega Luigi Rodighiero colla-
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01. Dall’alto, veduta delle gradinate in legno. 02. Il giardino sul retro dell’ala dell’antico monastero a Sanguinetto. 03. Particolare dall’interno della stretta apertura verso il giardino. 04. Schizzo di studio.
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Il mondo del possibile
05. Il passaggio d’accesso al teatro. 06. Un pilastro di sostegno dei fornici del criptoportico. 07. Pianta a livello delle gradinate e pianta del piano terra.
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boratore di Tommasi a partire dalla metà degli anni Ottanta, sia perché dal profilo abbozzato della cavea ne è risultata la forma perfetta definitiva, che dava unità a tutto l’impianto architettonico, sia perché l’opera in sé aveva il fascino del gesto antico. I fuochi dell’ellisse sono stati fissati con dei chiodi su delle assi disposte trasversalmente rispetto alla cavea. Un grosso spago da cantiere in juta è stato fissato ai chiodi dei due fuochi e, con una matita da muratore con la punta ben fatta, si è regolata la lunghezza sugli estremi del diametro maggiore. Quando tutto fu impostato con precisione, ebbe inizio l’affascinante scorrere della matita secondo la traiettoria dell’ellisse che si era disegnata sulla pianta del progetto in scala 1:25. Il carpentiere eseguì poi il taglio dell’assito secondo il profilo geometrico tracciato.
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Assi visivi e fondali prospettici sono componenti fondamentali nell’articolazione delle architetture di Tommasi. I percorsi nelle opere dell’architetto hanno sempre un inizio e una fine terminando in un punto ben preciso e studiato. Simmetria nella composizione, chiarezza d’impianto, equilibrati rapporti tra volumi e proporzione tra tutti gli elementi che compongono l’opera sono alcuni dei principi fondativi del lessico progettuale dell’architetto che portano il tema degli Ordini alla questione dell’ordine della composizione. Affrontando un’analisi simbolica del progetto si rivela, dagli scritti Tommasi, l’importanza particolare del numero sette, il quale appare due volte: nei pilastrini di legno del criptoportico (7+7) e nel numero dei piani calpestabili (dal piano terra allo stilobate del tempio, in alto). Sette è con-
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08. Il teatrino in una veduta interna verso il criptoportico. 09. Veduta del corridoio con aperture semicircolari a pavimento. 10. La sala degli specchi.
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siderato numero sacro e rappresenta il trionfo dello Spirito sulla Materia; è consacrato allo Spirito Santo che elargisce sette doni (Isaia). Sette sono i pianeti, ognuno con aspetto positivo e negativo (7+7), Venere come amore e lussuria; sette sono i Cieli presieduti da sette Arcangeli; sette le Virtù, i colori, le beatitudini, i giorni della Genesi, i gradini del Tempio. Nei salmi di David: “bisogna lodare Dio sette volte al giorno”. Sette sono i Sacramenti della Chiesa e sette i colli dove sorge la città per antonomasia, l’antica e sacra Roma. Si potrebbe continuare a lungo. Il numero sette è in forte relazione con le strutture, la forma del mondo e dunque con l’Architettura. Nel teatro si allude a questo numero in senso processionale e continuo; il percorso ellittico torna incessantemente su se stesso, e come possibilità di vivere il mondo su diversi livelli.
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committente Privato progetto architettonico arch. Giuseppe Tommasi ............................... Collaboratore arch. Luigi Rodighiero cronologia Progetto e realizzazione: 19931994
PROGETTO
Una soluzione (im)possibile: la restituzione del Teatro Romano di Verona Una “archeologia del progetto” ripropone un erudito studio su Verona, il suo fiume e il teatro, incentrato su una teorica ricomposizione
Progetto: Riccardo Campagnola Cura: Michelangelo Pivetta
Verona
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È con tutta l’incertezza dell’apprendista che mi accingo a proporre un estratto di un lavoro di uno dei miei mentori. L’intenzione non è solo quella di tributare il giusto onore a un ottimo lavoro di ricerca condotto da un nostro concittadino/collega durante il I° Corso di Dottorato di Ricerca in Composizione Architettonica tra l’83 e l’86 1, ma è anche quello di suggerire la “possibilità dell’utopia” a tutti quelli che quest’estate frequenteranno il Teatro Romano di Verona e verranno accolti, lungo l’Adige, da un muro prefabbricato avvolto da un patchwork grafico di pubblicità e sponsor. Sì, proprio lì, dove duemila anni fa sorgeva uno delle più straordinarie prove dell’architettura romana. Attraverso disegni che ormai, abituati al mirabolante universo effimero del digitale, sembrano antiche sinopie, il lavoro di Riccardo Campagnola ha il compito di ricostituire una traccia di città che solo l’oblio delle persone, nel tempo, ha reso dimenticata. Traccia che, a ben guardare, meriterebbe tutta l’attenzione necessaria, quella sul teatro innanzitutto: luogo di cultura e socialità, immanenza costante di quella cultura classica di cui tutti siamo, o dovremmo ritenerci, figli. (M.P.)
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01. La cavea: prospetto-sezione sulle paradoi. In giallo, le parti originali; in grigio, gli edifici sorti sul teatro; in rosso, il progetto di ricostruzione. 02. La citttà e il fiume in una veduta dal teatro Romano (foto di Michele Mascalzoni). 03. Lo sviluppo dell’ipotesi progettuale. In nero, l’argine romano.
Le “restituzioni” del teatro Il ridisegno dell’ultima della grandi “restituzioni” del teatro – E. Guillame (1860) – si riporta a documento dello studio compiuto su quella vita parallela dell’edificio che inizia con le impazienti intuizioni di G.B. da Sangallo (1549) e prosegue con l’“editio princeps” di G. Caroto, la personalissima riprogettazione del Palladio, la meticolosità dell’“ingegnare” Cristofali, sino allo “scientifico” rilievo di A. Monga e, infine, alla passione del giacobino G. Pinali. Se al penultimo si deve la prima parte degli scavi del teatro, al Pinali – ultimo erede della “città illuminista” – si deve l’illustrazione della necessità del teatro nella riscoperta romanità di Verona, più o meno ai tempi nei quali il Catasto Napoleonico annotava con indifferenza il quartiere sorto sopra il teatro nel corso del tempo. Sul piano formale un elemento accomuna tutte le ricostruzioni. Il teatro viene visto come un elemento di una composizione più vasta che a partire dal
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Una soluzione (im)possibile
PROGETTO
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04. Prospetto laterale dell’edificio scenico, la strada delle Regaste con la chiesa del Redentore e l’edificio sul fiume. 05. La chiesa del Redentore attraverso i resti della summa cavea (foto di Michele Mascalzoni). 06. Tipo e individualità. Il valore quasi “topografico” dell’edificio. 07. Studio del progetto nella composizione del Colle di San Pietro.
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fiume trasfigurava al proprio interno anche l’elemento naturale. Una composizione che un incandescente lavoro di immaginazione estendeva anche alla riva destra (il Controteatro, la Naumachia…). In definitiva, il teatro veronese viene sempre visto dall’esterno, cioè nella sua relazione con la città. Questo aspetto, ormai inscindibile del monumento, sarà accolto come problema fondamentale all’interno del progetto.
Il teatro oggi: rilievo delle rovine del Teatro Romano di Verona Il rilievo mette fine alle favolose restituzioni che dal Cinquecento si sono sedimentate sul teatro a costituirne quasi una seconda immagine, parallela alla realtà del teatro: una seconda vita “in libris” che va ad aggiungersi alla storia dell’uso delle sue strutture da parte della città nel tempo. Dopo la scomparsa, all’inizio di questo secolo, del quartiere che ne aveva preso possesso e ne usava con logica la struttura - abitando le sostruzioni, coltivando la cavea che sfruttava direttamente il pendio del colle, usando la “valvae regiae” ed una della “hospitales” come ingressi al quartiere stesso e seguendo la particolare logica degli “scalaria” come mezzo per la conquista del colle in straordinaria aderenza al loro scopo originario - rimangono, a testimonianza di quest’uso continuo, il Convento di S. Gerolamo che ha trovato posto parte in “summa cavea” e parte sul primo dei terrazzamenti del colle, la Chiesa di SS. Siro e Libera, quasi “templum in ima cavea”, ed il piccolo Palazzetto cinquecentesco che occupa una delle “versurae procurrentes”. […] Immagine forse legittima – data l’inevitabile “storicità” di ogni restauro, anche si conservazione – se non fosse d’impaccio alla riconoscibilità architettonica degli elementi e dei loro rapporti sintattici, impedendo così la comprensione del loro ruolo nella composizione…
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Il tipo: gli elementi normativi Condotta seguendo la traccia della normativa vitruviana, l’analisi tende a riconoscere l’unità sintattica degli elementi della composizione del teatro; ma se è relativamente noto il diagramma che esplicita la correlazione cavea/scena, già diviene problematica l’indagine del perché della particolare sezione della cavea, ed è forse discutibile la ricerca di un “criterio esatto” di localizzazione del teatro che sappia esplicitare tutti i nessi compositivi della sua singolarità. […] Il significato infatti di un monumento rispetto alla struttura urbana non decade: costituisce un elemento di chiarezza, un fattore di intelligibilità della città stessa. […] Se questo è vero per ogni monumento, diviene ancora più pertinente per un tipo che non sembra conoscere declinazioni storiche e per la cui comprensione sembra irrilevante l’erudizione, secondarie le relazioni colturali che pure lo sottendono, esibendo egli stesso le portai “teatralità” quasi al di fuori del tempo.
Il processo di progettazione […] A partire dall’accettazione di tutti i suggerimenti posti dalla coerenza sintattica degli elementi tipologici il disegno cerca di riscoprire il senso di tutte le “interpretazioni” del teatro che si sono succedute nel tempo: condivide con quest’ultime il problema formale-architettonico di quella relazione fra il teatro e la città che, estranea alla canonicità del tipo, costituisce anche il promo dei caratteri di individualità del teatro veronese. […] L’enorme entità delle parti mancanti che rendono problematica la possibilità di una loro “restituzione”, per la presenza degli edifici sorti al suo interno, oggi li teatro veronese si presenta come una successione di costruzioni scenografiche che misurano in profondità e in altezza il Colle d S. Pietro. Di qui l’idea di “ridurre” il progetto all’elemento scenografico mancante: una facciata sul limite fiume-teatro che ricomponga in unità la disparità degli elementi compresenti. […] Il processo di progetto si qualifica come un
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continuo approfondimento, come una paziente ricerca di adeguatezza. Alain nel cercare una definizione della composita e del tutto caratteristica “bellezza” della città e dell’architettura, parlava appunto di adeguatezza, di idee giuste: idee che non costituiscono una prevaricazione dell’esistente, architetture che non negano nessuna delle difficoltà che incontrano nel loro processo di formazione ma che conservano in se stesse tracce dei problemi di cui pure sono la trasfigurazione. A quanto rigido e di schematico questa introduzione può gettare sul progetto, posso opporre la cosciente assunzione di una ideale trasmissibilità del processo di progettazione. Poiché l’architettura è per essenza un fatto collettivo diviene necessaria una “tensione fissa: cioè quella di render razionale il processo di progetto, in modo che ogni proposizione abbia in ciascuno una risposta commensurabile… è necessario che nell’opera i processi logici, i concetti astratti – come quelli di ordine e verità sul piano formale – siano visti tutti come cose concrete, come esperienza…”
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Il progetto: lo sdoppiamento dell’edificio scenico Individuato il proprio tema architettonico, il fronte del teatro sul fiume, l’ipotesi dello sdoppiamento volumetrico dell’edificio scenico, nasce dall’irrinunciabile strada (Regaste Redentore) che attualmente scorre tangente alla scena. L’origine di tale strada è forse da ricercare nella scomparsa, in epoca medievale, di un elemento che legava il teatro alla città: il ponte Postumio. Il progetto cerca di iscriversi subito nella geometria del luogo, in uno sforzo che è innanzitutto di apprendimento, per non disattendere la “scala” quasi topografica dell’edificio e per accogliere tutti i suggerimenti che l’incompiutezza dell’edificio, le sue rovine, esibiscono. Per questo il progetto, ripercorrendo una tecnica antichissima dell’architettura, accetta gli allineamenti e si appoggia alle enormi costruzioni che scorrono nel sottosuolo attuale: quelle reali (il grande argine romano) e quelle forse immaginate (l’edificio occupa il luogo dei quel “porthico poco più alto de l’aqua” che compare in tutte le ricostruzioni).
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La cavea: studi di ricostruzione Il teatro romano – a differenza di quello greco – è definito dallo stretto legame dell’edificio scenico allo scopo di creare quella chiusura dello spazio interno che costituisce la sua principale caratteristica tipologica. Per questo i due elementi, cavea e scena, possiedono la medesima altezza. Poiché nel caso veronese questa possibilità di “chiusura” dello spazio è ormai perduta – vista l’entità delle parti mancanti – il progetto non può che evocarla o suggerirla, ricostruendo un settore della cavea – laddove per essere quest’ultima direttamente ricavata nel tufo del colle e non sostenuta da costruzioni: per essere quindi parte del colle stesso – è possibile senza coinvolgere il problema del prospetto esterno. […] Se immediatezza e comprensibilità hanno un senso proprio all’interno del processo di composizione, diventando letteralmente importanti nel caso di un teatro: cioè un edificio immediatamente collettivo e popolare nel senso più nobile e talmente vicino all’essenza dell’Architettura, da esserne quasi l’immagine stessa.
della città nel tratto fluviale a fronte del teatro, è topico luogo di dileggio da parte dell’archeologo – perché non ripercorrere il senso di questa soluzione archetipica? Non era forse questa l’intenzionalità. così trasparente nel suo “progetto” di restituzione di un Palladio? (…) I disegni inseguono a lungo, con vari artifici formali, proprio l’obiettivo di proiettare su tutta la facciata il senso racchiuso dalla presenza dell’elemento scenografico che giace incompiuto ai suoi piedi. Il riferimento è a sulle architetture che pur non costruendo l’intera opera ne determina tuttavia la costruzione futura: il tempio di Rimini, il basamento del Filarete a Bergamo... Una trasposizione sul piano compositivo di quello sforzo cui costringono, sul piano dell’immaginazione le rovine stesse, le opere incompiute. Al di la dei riscatti dei disegni, è da ricordare che così si presentano, disseminati nella città, i resti della Verona romana, rendendo familiare e di quotidiana esperienza questo procedimento di logica formale.
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La facciata sul fiume: il settizonio
1 Riccardo Campagnola, Verona e il suo fiume. Ipotesi generale di
Si indica qui una via di ricerca che trova i propri riferimenti in quella “famiglia” di edifici romani che rivelavano una capacità di adattamento – insospettata rispetto alla canonicità del tipo – nel rispondere in modo bifronte, oltre che al rapporto con la cavea, anche a delle necessità di sintassi urbana. Il teatro di Pompeo a Roma, il teatro di Orange, ma soprattutto i casi di Pessinunte e Aenzani (nei quali la scena del teatro si trasforma in elemento del circo contiguo) stanno a dimostrare come l’edificio possa dilatare la propria “teatralità” anche nei confronti della città stessa. Questa disponibilità si assolutizza nei “teatri senza cavea” dei Ninfei oppure nel mitico Settizonio messo a fondale della Via Appia. Nel raccogliere l’esperienza dei disegni rinascimentali, soprattutto il problema dal loro additato _ vale a dire il teatro visto nel suo rapporto con il fiume, anche se la naumachia ipotizzata dai dotti storici
mano di Verona, tesi di dottorato in Composizione Architettonica,
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utilizzazione e restituzione del complesso monumentale del Teatro Ro-
RICCARDO CAMPAGNOLA Riccardo Campagnola è Professore Ordinario di Progettazione Architettonica presso il Politecnico di Milano. Da anni condivide l’attività di ricerca e professionale con Maria Grazia Eccheli nell’omonimo studio. L’interesse per le matrici compositive e tipologiche fondamentali nel processo evolutivo dell’architettura ha sempre guidato il suo percorso d’indagine. Tra i vari progetti recenti: Piazza della Libertà e il restauro del Torrione Quattrocentesco a Legnago. Tra i concorsi è da ricordare il secondo premio per il progetto di ricostruzione del Castello di Berlino. Innumerevoli i contributi teorici, sotto forma di saggi e articoli, pubblicati su riviste nazionali e internazionali.
relatore prof. Giorgio Grassi, 1986.
08. Studio di ricostruzione della summa cavea: pianta prospetto e sezione dal fiume al colle. 09-10. La facciata verso la città: l’ipotesi del settizonio.
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La Guerrina ritrovata
Il restauro di Villa Mantovanelli detta “La Guerrina” a Montorio mette in luce il ricco apparato decorativo in funzione dell’uso contemporaneo
Progetto: arch. Roberto Grigolon, arch. Lisa Zorzanello Testo: Luisella Zeri Foto: Simone Sala
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01. Villa Mantovanelli detta
Il territorio veronese è disseminato di “La Guerrina” un vasto patrimonio di edifici storici a Montorio. 02-03. Disegni d’archivio spesso semisconosciuti, che racchiurelativi al progetto dono al loro interno tesori artistici dell’architetto di immenso valore. Villa Mantova Francesco Ronzani. 04. Veduta del fronte nord. nelli, detta “La Guerrina” se ne sta 05. Raddrizzamento nascosta, come un bene prezioso da fotografico (prospetto scoprire dopo una lunga ricerca, dienord) utilizzato ai fini dei lavori di recupero delle tro ad un alto muro di cinta all’inifacciate. zio dell’abitato di Montorio, lungo la 02 03 strada che collega Verona alla frazione cittadina. Da questa sua posizione che commissionò all’architetto Franappartata racconta e svela a chi vuole cesco Ronzani un progetto per l’amtendere l’orecchio, infinite lezioni di modernamento della villa che all’epodenominata “Villa Guerrina”, è situata a Verona, in prossimità del centro abitato di architettura e storia dell’arte stratificadenominata riportava forme settecentesche. L’area,L’area, “Villa Guerrina”, è situata a Verona, in prossimità del centro abitato di Montorio, in un luogo sono presenti di notevole importanza ambientale e Montorio, in un“la luogo doveè dove sono presenti fattori fattori di notevole importanza ambientale e cate negli anni. Dal 1969 Guerrina” di propriepaesaggistica. paesaggistica. Il progetto di restauro che la riguar- tà del Banco Popolare, che la acquiVilla Guerrina èdisita all’interno di un’area a parco di pertinenza di mq. circa47.000: mq. 47.000: Villa èvolere sita all’interno diMarani un’area di pertinenza di circa a nordasinord si da e che narreremo in questa sede, è Guerrina stò per Giorgio e a parco affaccia sulla via Guerrina, est confina un recente intervento residenziale affaccia via Guerrina, ad estad con uncon recente intervento residenziale PEEP,PEEP, a sud a sud di sulla Pietro Bianchi, quando ilconfina nome confina con via dei Tigli e ad ovest con la strada di rapido scorrimento con direzione Valpancon via deidi Tiglicredito e ad ovest la strada di rapido scorrimento con direzione Valpanera con ancora « I progettisti assumonoconfinadell’istituto tena. L’area in oggetto nasce come circolo ricreativo culturale adesclusivo uso esclusivo del persotena. L’area in oggetto nasce come circolo ricreativo culturale ad uso del persoBanca Mutua Popolare di Verona. il ruolo di numi tutelarinale dipendente nale dipendente del Banco Popolare. All’interno del parco sono collocate attrezzadel Banco Popolare. All’interno del parco sono collocate alcunealcune attrezzaL’edificio, insieme alla barchessa che ture sportive. Nell’area insistono due corpi di fabbrica: Villa Guerrina con l’annesso rustico, della villa, preservandone ture sportive. Nell’area corpi di fabbrica: Villa Guerrina con l’annesso rustico, lo compone, ad uninsistono manufattodue di tipo un manufatto dirurale tipo rurale confinante lungo via Guerrina, e un piccolo edificio a servizio un manufatto di tipo confinante lungo via Guerrina, e un piccolo edificio a servizio la storia ma dando nuova rurale confinante e un piccolo edifidella piscina uso del circolo sportivo. della piscina ad usoad del circolo sportivo. cio finalità a servizio della piscina ad uso del di riportare la villa all’originale splendore nel suo aspetto forma al flusso di vita cheLealfinalità Le della Banca sono quelle della Banca sono quelle di riportare la villa all’originale splendore nel suo aspetto circolo sportivo, configura all’interno architettonico monumentale, di adeguarne gli aspetti tecnologici di un utilizzo suo interno continueràarchitettonico monumentale, di adeguarne gli aspetti tecnologici al finealdifine un utilizzo legatolegato di un’ampia area a parco, il complesso alle attività di rappresentanza e di formazione del Banco Popolare. alle attività di rappresentanza e di formazione del Banco Popolare. a snodarsi » ricreativo, di formazione e rappresentanza che il Banco Popolare ha pro04 parte di uno di questi racconti. Esso gressivamente composto negli ultimi ha come protagonisti i gesti sapienti anni, trasponendo ai giorni nostri i di un intervento conservativo rispet- valori che costituiscono il suo patritoso, discreto e non urlato, che proba- monio culturale fin dalla fondazione. bilmente non darà fama ai suoi pro- Da maggio 2014 a settembre 2015 è gettisti nell’accezione più “archistar” stato condotto in tempi record l’interdel termine, ma di sicuro coprirà di vento di restauro dell’edificio, su prolode la capacità dell’architetto di es- getto degli architetti Roberto Grigosere stato in grado di fare un passo in- lon e Lisa Zorzanello. I lavori hanno dietro, anteponendo il volto della sto- previsto un accurato processo conserria al proprio. vativo e l’adeguamento impiantistico I tratti più antichi che villa Mantova- e funzionale dell’edificio alla nuova nelli conserva li troviamo nelle por- destinazione di rappresentanza. Nel zioni del muro in sasso che in passato recupero della Guerrina la presa di cingeva la proprietà, mentre l’attuale posizione è stata chiara: il gesto è preconformazione architettonica è quel- sente ma misurato, quasi i progettisti 05 la voluta da Ognibene Bajetta, il pro- assumessero il ruolo di nume tutelare prietario della “Guerrina” nel 1860, dell’edificio, preservandone la storia
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PROGETTO
06-07. I soffitti affrescati valorizzati dall’illuminazione appositamente studiata per l’intervento di recupero. 08-09. Elaborati grafici del progetto di recupero rispettivamente dei piani primo e terra.
PROGETTO PER IL RESTAURO DI VILLA GUERRINA - MONTORIO PER CONTO DEL BANCO POPOLARE - RILIEVO ARCHITETTONICO PROGETTO PER IL RESTAURO DI VILLA GUERRINA - MONTORIO PER CONTO DEL BANCO POPOLARE - RILIEVO ARCHITETTONICO
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PIANTA PIANO INTERRATO PIANTA PIANO PRIMO
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PIANTA PIANO SECONDO
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PIANTA PIANO TERRA
ma dando contemporaneamente nuova forma al flusso di vita che al suo interno continuerà a snodarsi. Per fare questo è stato necessario uno studio approfondito della preesistenza. Il rilievo architettonico e critico è stato eseguito con il supporto di tecnologie avanzate come la nuvola di
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punti e l’esecuzione dei fotopiani per la restituzione digitale dei prospetti, dei volumi interni, delle facciate e delle decorazioni. Per l’analisi degli impianti esistenti, è stata eseguita la ricerca delle tubazioni in traccia attraverso l’ausilio di telecamere ad infrarosso con il rilievo
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committente Bipielle Real Estate S.p.a. Progetto architettonico e direzione lavori arch. Roberto Grigolon arch. Lisa Zorzanello collaboratori arch. Sofia Bertoldi project management bp Giorgio Paganotto, Ermanno Bertoldi
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metrico della parte meccanica. Esternamente l’edificio ha conservato l’aspetto imponente e monumentale dovuto alla notevole altezza di tre piani fuori terra e alla simmetria di facciata. Il ritmo è interrotto sul lato sinistro del prospetto tramite l’innesto di una barchessa laterale. Questo è l’elemento che ha subito una ricomposizione prospettica e planimetrica più consistente rispetto al resto dell’edificio, con la complessiva ridistribuzione funzionale interna e l’adeguamento igienico sanitario, il tutto finalizzato ad accogliere le nuove funzioni di bar e cucina. Le finiture esterne della villa neoclassica erano state oggetto di restauro intorno agli anni ‘80, pertanto le tracce dell’intonaco originale e quelle meglio conservate sono state comple-
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tate con nuovi inserimenti in intonaco di calce e tinture con terre colorate, permettendo di mettere in risalto la mappatura delle diverse epoche di intervento. Anche i contorni in pietra tenera di Avesa hanno subito leggeri interventi di ripulitura, sistemazione e in alcune parti ricostruzione, soprattutto in corrispondenza dei prospetti nord e ovest. Anche gli interni sono rimasti sostanzialmente invariati dal punto di vista planimetrico, conservando l’impianto centrale caratteristico delle ville venete. Al piano terra troviamo un grande salone adibito a zona mensa-ristorante, attorno al quale si innestano locali di dimensioni più contenute, adibiti a loro volta a salottini e locali guardaroba. Al piano primo una grande sala riunioni corredata di
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consulenti arch. Gianantonio Prospero (restauro paramenti esterni e lapidei) ing. Franco de Grandis (progetto strutture ) ing. Francesco Campagnola, ing. Arrigo Andreoli, HTW sas (impianti tecnologici) arch. Andrea Malesani (sicurezza) geom. Daniele Salvador (contabilità) arch. Fausto Randazzo, arch. Silvia Dandria - Ianus (rilievo scanner laser 3D) imprese e forniture C.P. di Caldana geom. Paolo (capocommessa) Arredoluce (illuminazione) Cronologia Progetto e realizzazione: 2012-2014
10-11. Particolari degli interni della villa. In evidenza, l’attenzione del progetto allo studio illuminotecnico.
PROGETTO PER IL RESTAURO DI VILLA GUERRINA - MONTORIO PER CONTO DEL BANCO POPOLARE - RILIEVO ARCHITETTONICO
PROGETTO
La Guerrina ritrovata
12, 15. La scala interna di collegamento fra i vari piani riccamente affrescata. 13. Sezione trasversale. 14. Una sala riunioni per le attività di formazione nell’interrato.
villa guerrina il restauro 2014-2015 Il video prodotto dagli architetti Grigolon Zorzanello documenta le fasi dei lavori di restauro e rende omaggio, mostrandone i volti, a tutti i tecnici che hanno composto lo staff di progettazione integrata. video http://www.architettiveronaweb. it/video-architettura-verona/villaguerrina-il-restauro/
SEZIONE LONGITUDINALE
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piccoli locali satellite ricalca sostanzialmente l’impianto del piano terra. Al piano secondo-sottotetto sono collocati alcuni studioli e ulteriori locali di ritrovo e studio. I vari livelli sono collegati fra loro da un vano scala che percorre l’edificio dall’interrato al sottotetto e che vede innestarsi su di esso non solo gli accessi ai principali locali di rappresentanza, ma anche gran parte dei cavedi di controllo impiantistico mascherati attraverso un sistema di “passaggi segreti” già esistente nel progetto originario della villa. I vari passaggi tecnologici si collegano al piano interrato dove sono collocati la centrale per il controllo dell’impianto geotermico, altri locali accessori e alcune ulteriori sale di incontro. Durante i lavori di restauro è stato rinvenuto il vero tesoro di Villa Mantovanelli, conservato tra il piano primo, il vano scala di collegamento e
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SEZIONE TRASVERSALE
SEZIONE LONGITUDINALE
Roberto Grigolon - Lisa Zorzanello STUDIO DI ARCHITETTURA - Viale Alessandro Manzoni, 14 - 37138 Verona - tel. 045 8102790 - e.mail: info@grigolonzorzanelloarchitetti.it collaborazioni: Rilievo strumentale STUDIO IANUS - architetti Fausto Randazzo - Silvia Dandria Editing grafico: arch. Giacomo Tappainer - ing. Francesco Della Torre
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alcuni locali ora adibiti a salottini e piccole sale riunioni. Grazie alle accurate analisi preliminari in questi spazi è stato scoperto un ricco apparato decorativo, parzialmente occultato in passato da coloriture a tempera sin-
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tetica. Dopo la rimozione della pittura con l’ausilio di impacchi sverniciatori, nel grande salone al piano primo è stata portata in luce la decorazione affrescata che caratterizza tutto il perimetro della sala, rappresentante un
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16-17. Disegni di studio per il locale bar, accolto nella barchessa laterale.
grigolon zorzanello Roberto Grigolon e Lisa Zorzanello operano in collaborazione dal 1996. Fondano il loro studio nel 2000 come associazione tra professionisti. Nell’arco degli anni lo studio integra le proprie competenze con varie e durature collaborazioni interdisciplinari svolgendo incarichi di restauro, ristrutturazione e nuovi complessi immobiliari nel campo residenziale, direzionale e commerciale.
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paesaggio classico con colonne e capitelli corinzi. Nelle salette laterali sono ora visibili finte tappezzerie dipinte, mentre il vano scale mostra motivi decorativi di vario genere lungo tutto il suo sviluppo. Per dare risalto a questa scoperta è stato portato avanti, in collaborazione con la ditta Arredoluce, un intenso lavoro di ricerca illuminotecnica. I vari punti luce, tutti con tecnologia a Led, in alcuni casi progettati appositamente per questo intervento, sono stati scelti con il preciso intento di mettere in risalto gli affreschi senza intaccare l’aspetto dei locali, la conservazione dei dipinti e l’effetto visivo d’insieme. Anche l’allestimento delle stanze è basato sul racconto di una vicenda, nello specifico quella dell’istituto che in Villa Mantovanelli trova casa. La maggior parte degli elementi d’arredo utilizzati sono stati recuperati dai
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magazzini della Banca, che conservavano anche alcuni pezzi di design. Tutti questi elementi, attraverso un accurato lavoro di restauro, trovano ora una seconda collocazione negli spazi recuperati della Guerrina. L’intervento si presenta come un lavoro certosino di cui dar merito ai progettisti ma anche, come deve essere, all’impresa e alle numerose maestranze specializzate che sono via via intervenute, scelte specificatamente sul territorio fra quelle che tramandano e coltivano lo spirito imprenditoriale, la cultura e il valore professionale del lavoro. È così che Villa Mantovanelli grazie a questo intervento traspone ed estende al territorio il proprio valore: la villa riemerge dalla sua condizione di edificio semisconosciuto, restituendo alla provincia di Verona un patrimonio storico e culturale infinitamente moltiplicato.
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www.grigolonzorzanelloarchitetti.it 16
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STRALCIO SOFFITTO PIANO SECONDO
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37138 Verona - tel. 045 8102790 - e.mail: info@grigolonzorzanelloarchitetti.it
ia Editing grafico: arch. Giacomo Tappainer - ing. Francesco Della Torre
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18. Raddrizzamenti fotografici dei soffitti affrescati. 19. Veduta del prospetto sud. 20. Particolare esterno con uno scorcio, in secondo piano, sul Castello di Montorio. 21. Il gioco decorativo di un parapetto in ferro battuto proietta l’ombra di una “B”, l’iniziale di Ognibene Bajetta, primo proprietario della villa.
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In anteprima il recupero degli edifici agli ex Magazzini Generali che ospiteranno a breve le sedi degli ordini professionali
Progetto: M28
Testo: Chiara Tenca
Foto: Michele De Mori
Verona
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Lo sguardo verso il futuro è la parola chiave di questo progetto, giunto ormai al suo compimento attraverso un percorso cominciato quasi dieci anni fa. L’utilizzo del termine “progetto” va considerato nella sua accezione più ampia, ed è doveroso sottolineare quanto sia stata importante la componente innovativa, sia nella metodologia dell’approccio, sia nella prassi della messa in atto di tutte le fasi. L’apertura trasversale che ha caratterizzato questo percorso è stata un punto fermo già dagli albori, in primis per lo spirito che ha mosso gli obiettivi: i magazzini sarebbero stati una “casa” delle professioni, un punto di riferimento per i professionisti ma allo stesso tempo un luogo fortemente connesso con la città. Un progetto per le persone. Parallelamente, si è combattuto affinché l’affidamento del progetto avvenisse nella maniera più democratica possibile (intento che era sembrato a tratti naufragare dopo che la proprietà aveva fatto cadere la possibilità di indire un concorso internazionale). L’Ordine degli Architetti è stato molto fermo nella sua volontà di selezionare attraverso un bando i professionisti che avrebbero fatto parte del gruppo di progettazione non tra personalità di spicco, ma tra i giovani under 35 del territorio, che hanno formato l’Associazione Temporanea tra Professionisti denominata “M28”: era chiaro sin dall’inizio che sarebbe stata “un’esperienza di formazione e lavoro per giovani professionisti” (dallo statuto dell’ATP). è difficile scrivere di un progetto così articolato, ricco di tappe importanti, che ha coinvolto innumerevoli identità. In questi anni ci sono state tante teste, tante mani, tante lingue. Perché i magazzini, prima ancora che essere
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01. La facciata esterna in corrispondenza dell’ingresso: in primo piano la scritta recuperata e la pensilina metallica, unico marker che segnala l’accoglienza. 02-04. Accostamenti materici. Il corpo servizi in cemento di nuova costruzione istituisce un dialogo anche di tipo geometrico con gli elementi di confronto.
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un assemblaggio di manufatti ospitanti differenti attività, sono un brano di città. E si è fatto l’impossibile in questi anni, un pezzo alla volta, per ricomporre il rapporto tra quest’area immensa e la sua città. Un rapporto che si ruppe ormai molti anni fa con la dismissione dei fabbricati originari; una sorta di lutto che divenne con gli anni un vuoto e poi una voragine di senso. Si è ricucito da zero un pezzo della città con il resto della città. Lembi adiacenti di una ferita mai riemarginata. Fare architettura è stato un pro-
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PROGETTO
Verso un nuovo Ordine
05-06. Particolare della scala in cemento che conduce al piano interrato e dettaglio dello stesso materiale che “gioca” con il legno: l’armonia nella diversità. 07. Dettaglio della testata del Magazzino 15, in corrispondenza del cancello di ingresso originario, rivolto verso viale Piave.
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committente Fondazione Cariverona progettisti M28 RTP: Antonio Ravalli, Giorgio Valentini, Elena Fornaro, Jacopo Casolai, Massimiliano Guidara, Irene Perobelli, Cecilia Pierobon, Rosa Mirandola, Federico Reginato, Luca Zenari. Collaboratori esterni: Michele De Mori, Elvis Cescatti, Albino Mirandola, Mirko Sgaravato, Stefano Filippini, Daniela Zumiani, Maria Luisa Ferrari, Emanuela Bullado, Silvia Bellomo, Erika Bossum, Riccardo Cella, Valeria Rainoldi capogruppo arch. Paola Ravanello progetto e d.l. strutture ing. Federico Reginato S.M. Ingegneria progetto impianti ing. Andrea Fornari (D.L.), ing. Maurizio Zerbato, ing. Stefano Chinese 08
getto di sartoria; sociale, fisica e di comunicazione. Sono state tante le persone impegnate in questo lungo viaggio. L’equipaggio della nave ha costituito un gruppo, dove non ha mai prevalso l’autoreferenzialità del singolo, ma dove ogni apporto individuale ha avuto importanza fondamentale. È stato un esempio di architettura partecipata, se così possiamo dire. E adesso poco importa di tutte le parole spese negli anni, delle progressioni, delle retrocessioni, della schizofrenia, delle tensioni. Adesso è il momento della rinascita, della seconda vita delle cose. Il progetto generale è vasto, ma descriveremo la palazzina 15, proprio
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« Si è ricucito da zero un pezzo della città con il resto della città. Lembi adiacenti di una ferita mai rimarginata » perché ci vede protagonisti come progettisti ed utilizzatori. Stiamo parlando del blocco di testata, che possiede il suo gemello simmetrico a cavallo dell’ingresso coronato dal cancello che guarda verso nord, viale Piave e Porta Nuova. Un ingresso ancora “nascosto”, soverchiato dall’ombra del cavalcavia imponente e che
forse, in futuro, se i tasselli dei piani urbanistici si incastreranno tra loro nella maniera corretta, troverà la sua giusta valorizzazione. Ora sono le palazzine 15 e 17 a splendere, incuneandosi in questo cono visivo. Nella 15 stanno per trovare la loro collocazione gli Ordini degli Architetti, quello dei Commercialisti e quello dei Consulenti del lavoro. La testimonianza che qui si è riuscita a mantenere ancora viva l’idea iniziale della coesistenza tra le diverse professioni; concetto che doveva guidare la formazione dell’intero comparto, ma che nel tempo, per volontà altre, si è persa. Lo spazio esterno compreso tra i due
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csp-cse arch. Giorgio Valentini direzione lavori arch. Antonio Ravalli impresa esecutrice Mantovani S.r.l. Cronologia Inizio lavori: dicembre 2014 Inaugurazione: settembre 2016
08-09. Alcuni dettagli della facciata: la lavorazione manuale dell’intonaco, i sistemi di chiusura e copertura dell’ingresso nella loro elegante essenzialità.
PROGETTO
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10-11. Dettagli dello scalone in marmo originario e recuperato; abbracciato dalla “sciarpa” metallica che lo accompagna in elevazione. 12. Planimetrie dei tre piani fuori terra, da cui si evincono i gesti progettuali mirati alla semplificazione funzionale. Da notare la gestione degli apparati tecnologici nella parte esterna di competenza del Magazzino 15.
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fabbricati è parte del disegno complessivo del comparto, ma la sua progettazione è stata demandata ad altri – e non per scelta dell’Ordine degli Architetti! -, rendendo di fatto ancora più complessa la progettazione dei due singoli immobili i quali, com’è naturale che sia, devono per forza dialogare con la loro pertinenza sia dal punto di vista architettonico, ma anche da quello più strettamente tecnico e funzionale. Ignorando eventuali polemiche circa l’opportunità di questa “scissione”, resta comunque il rammarico per aver perso l’opportunità di poter curare l’architettura nel suo complesso, di operare un ragionamento organico che unisse il dentro e il fuori e ricucisse l’originario rapporto che legava l’architettura fatta di volumi e l’architettura a volume zero. Restiamo in attesa di poter vagliare gli esiti formali dell’operazione.
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Il progetto del magazzino 15 (il 17 è speculare dal punto di vista tecnico e sono stati adottati i medesimi accorgimenti tecnologici, ma è ancora incerto chi andrà ad ospitare) è tecnologicamente e tecnicamente articolato, ma pulito e preciso, logico e razionale. Non era facile mantenere una tale correttezza, quando il rischio di perdersi nei meandri della finzione formale era dietro l’angolo. A livello spaziale, la planimetria è semplice e pulita e frutto di gesti progettuali diretti e decisi. C’è molta tecnologia, ma abilmente mascherata sia nelle parti macroscopiche, per lo più esterne (macchinari per il trattamento aria, ad esempio), sia nelle sue articolazioni interne. L’occultamento degli elementi impiantistici diventa un gesto progettuale e non un rimedio per presenze scomode. Gli ambienti interni che vengono a crearsi
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sono ampi e ariosi, inondati di luce; la tecnologia invisibile permette la massima flessibilità nella divisione delle stanze, che possono ospitare convegni o riunioni a seconda di come vengono gestite le partizioni mobili scorrevoli. È stato dato molto risalto al significato e all’importanza degli spazi comuni e di aggregazione e la volontà di non parcellizzare gli ambienti ne è una testimonianza. Sono stati ricavati doverosamente gli spazi amministrativi dotati della proporzionata riservatezza, ma in generale l’impressione è quella di una forte
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fluidità degli spazi, forse dovuta anche al massiccio apporto di luce naturale e alla congruenza e continuità nell’utilizzo dei materiali. Questo progetto è soprattutto un progetto di visione della Professione in prospettiva futura e questo si esprime attraverso la materia. L’involucro dell’immobile è quello storico e massiccio, era sofferente a livello strutturale e il rifacimento delle partizioni orizzontali ne ha reso necessario un consolidamento in corrispondenza del piano terra con iniezioni di malta a bassa pressione.
I solai, di nuova costruzione, sono composti da travi in ferro, sormontate da lamiera grecata collaborante con getto in cls e fissate puntualmente al perimetro con profili puntuali in acciaio. Le parti nuove inserite nell’edificio si concretizzano in setti posti trasversalmente allo sviluppo prevalente dell’edificio, che creano un alternarsi ritmico di spazi e marcano un’armonia che si sviluppa lungo tutti i piani. Il corpo scala e l’ascensore sono posti in posizione centrale rispetto alla pianta ed accolgono il visitatore
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in corrispondenza del suo ingresso, quasi fossero una scultura che troneggia in altezza, lasciando intravedere cosa succederà in elevazione. Lo sguardo di chi entra è portato a snodarsi in verticale, seguendo la verticalità dell’ascensore e la plasticità della scala. Tutto in cemento, puro, crudo, ma dalla superficie finemente levigata in maniera elegante, grazie all’utilizzo di casseri in legno scelti meticolosamente in base alla finezza della finitura superficiale. Il gesto progettuale forte dei setti trasversali è anche funzionale all’accoglienza delle
PROGETTO
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nervature impiantistiche, che corrono per tutta l’altezza dell’edificio. Antri geometrici che segnano il passo e lo spazio. Quando gli elementi tecnologici si vestono di un “abito” che è un elemento progettuale, prima che una finitura, nel loro apparente occultamento visivo vengono nobilitati, gli viene assegnato un ruolo di dignità; non più una vergogna da mascherare in malo modo. Il criterio del comfort a tutto tondo è stato seguito per il completamento di tutte le strutture, sia verticali che orizzontali; dal punto di vista acustico, prima di tutto. Ogni partizione permette agli operatori di poter svolgere le proprie mansioni con la dovuta riservatezza. Al piano terra il pavimento è un battuto di cemento che funge da base di appoggio per i corpi di risalita, mentre ai piani superiori troviamo un pavimento in faggio proveniente dal bosco del Cansiglio. A quest’ultimo materiale è legata una particolarità dovuta al fatto che la fornitura rientra nell’ambito di un’operazione avviata tra la ditta fornitrice e Veneto Agricoltura e rientrante in un progetto di taglio controllato del legname del bosco del Cansiglio. La scelta di utilizzarlo in questo contesto è stato un esempio di utilizzo sostenibile del materiale e di ridottissima “ecological footprint”. È notevole la cura del trattamento del piano interrato, dove vengono messi a nudo i muri perimetrali nella loro scenografica nudità che ne fa apprezzare la tessitura e dove viene mantenuto il rapporto di continuità materica con gli elementi che si snodano ai piani superiori. Lo scalone semicircolare che chiude l’edificio in testata è stato interamente ripristinato e conduce ad un piano
sottotetto adibito all’alloggiamento di funzioni di servizio, ma dal quale si accede ad un belvedere (ufficialmente non accessibile…forse?) che fa apprezzare una vista spaziale a 360 gradi sulla città e sulle montagne circostanti. L’esterno è stato trattato con intonaco a calce tinteggiato e trattato in alcune parti con una finitura graffiata che riproduce esattamente, nelle tecniche e nell’esito, quanto era presente in origine. Interessante il rifacimento del coronamento superiore: il manto di copertura in tegole marsigliesi poggia sulla struttura sottostante in legno ed è contornato lungo tutto il perimetro da un cordolo in cemento, gettato in opera che alloggia il canale di gronda in rame; questo è invisibile “da sotto” rendendo di fatto impercettibile il sistema di scolo delle acque piovane. Gli infissi esterni sono in acciaio, verniciato scuro in maniera da lasciarne a vista solo una porzione sottile. Le inferriate esterne in ghisa sono quelle originarie, recuperate e riverniciate. Sopra la porta di ingresso è stata inserita una pensilina, una tettoia sottile in ferro costituita da mensole rastremate; l’unico segno visibile che marca la facciata suggerendo una direzione. Questo progetto è prima di tutto un simbolo ed un riferimento per chi appartiene alla Professione; e attraverso sé stesso testimonia che il modo di vedere le cose è cambiato. È un futuro da vivere!
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13. Lâ&#x20AC;&#x2122;allestimento interno in via di completamento della futura sede dellâ&#x20AC;&#x2122;Ordine degli Architetti. 14-15. Altri dettagli macro degli accostamenti tra cemento, ferro e legno.
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Scena teatrale
Una ricognizione delle vicende dei teatri cittadini mette in luce consistenza e distribuzione di un “sistema teatrale” veronese
Testo: Federica Guerra
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I teatri storici di Verona sono i muti e al tempo stesso eloquenti testimoni di una vicenda collettiva ricca e multiforme, espressione delle innumerevoli società che li hanno voluti, costruiti e poi, nel tempo, mantenuti vivi e attivi, o recuperati quando tutto sembrava perduto. Considerando l’attuale scarso dinamismo della scena teatrale veronese sembra un’iperbole pensare che il teatro, sia come concezione dello spazio sia come edificio, stia alla città di Verona come il cinema sta a Hollywood. Eppure l’immagine di una Verona culturalmente vivace – e tra il Sei e Settecento addirittura esuberante – si tramanda da secoli, dalla fondazione della città stessa, con la costruzione del Teatro Romano nel I secolo a.C. e quella dell’Arena, con il suo corredo di spettacoli ludici, nel I secolo d.C.: da sempre Verona sublima le dinamiche sociali, le tensioni politiche, religiose, economiche nell’arte scenica, fino a farla considerare, a buon titolo, una delle capitali europee dello spettacolo. Il tema del teatro, dunque, attraversa e pervade la città: analizzando le diverse sezioni storiche, dalle prime espressioni di spazio scenico fino alle più recenti realizzazioni, si può tentare di prefigurare la consistenza e la distribuzione di un “sistema teatrale” che dà forma e struttura alla città. Verona ha una storia di teatro molto interessante consolidatasi a partire da quell’anno 1549 in cui si rappresentò, a cura dei Filarmonici, “Il geloso” del
conte Ercole Bentivoglio, ben cinquant’anni prima delle rappresentazioni della “Camerata fiorentina” di Casa Bardi, che vengono considerate i germi da cui prese vita il melodramma in Italia. Ma è a partire dal Settecento, e poi via via fino a tutto l’Ottocento, che Verona conosce la sua stagione migliore, con un fiorire di rappresentazioni teatrali che si tengono nelle chiese, nei Collegi e soprattutto nei teatri privati: quello che il conte Giusti fece erigere nel suo giardino, il teatro che il conte Alessandro Pompei fece realizzare nel suo Palazzo alla Vittoria, quello del conte Marioni nel suo Palazzo sullo stradone Porta Nuova e quello nella villa di Chievo, o quello all’aperto degli Accademici della Gazzera, nel giardino di colle San Leonardo fuori Porta San Giorgio, una sorta di Arcadia locale, o, ancora, il Teatro dei Temperati all’interno del Palazzo del Capitanio, o, più tardi, il Teatro dell’Isolo, il primo teatro pubblico a palchetti, il Nuovo Teatro dietro la Rena, oltre a quello in legno dentro l’Arena, il Teatro dell’Accademia Vecchia, prima sede degli accademici Filotimi e poi sala per recite, rappresentazioni comiche e perfino, nell’Ottocento, teatro delle marionette. E poi ancora il Teatro del Territorio, nell’ex Piazza Navona ora Viviani, il Teatro Morando, su disegno del Trezza, i teatri diurni, cioè all’aperto, come il Venier Castellani in Cittadella, Il Sardi in vicolo Valle, oggi Ristori, il Fiorese al Pallone, il Mondini a Porta Nuova. Insomma,
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01. Veduta interna del Teatro Ristori dopo la ristrutturazione del 2012 (foto di Diego Martini). 02. Esercizi cavallereschi in Arena verso la fine del Seicento. 03. Pianta del Teatro di Villa Marioni al Chievo, 1770 circa. 04. L. Trezza, pianta del teatro Morando. 05. Prospetto del Teatro Sardi, ora Ristori, 1841.
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Scena teatrale
06. G.P.M. Dumont, pianta del Teatro Filarmonico verso il 1740. 07. F. Bibiena, il Filarmonico prima del 1732. 08. Concorso nazionale per il Teatro Filarmonico, motto Cangrande (A. Scalpelli, G. Sciascia, A. Ferrante). Prospettiva della sala.
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è in questo clima di vivacità culturale che dura per ben due secoli, che va collocata la terza tappa (dopo l’Arena e il teatro romano) della vicenda più interessante della storia teatrale di Verona: la realizzazione del Teatro dell’Accademia Filarmonica. Realizzato in modo originale per l’epoca come teatro ex novo, fu progettato nel 1604 da Domenico Curtoni che riuscì a realizzarne solo una parte, e cioè l’ampio salone con facciata a pronao, che doveva fungere da ingresso al teatro (l’attuale Sala Maffeiana) basandosi sull’architettura palladiana. È del 1715 invece il progetto definitivo, poi realizzato, redatto da Francesco Bibiena, l’architetto teatrale più in voga, reduce dalle esperienze prestigiose alle corti di Vienna e Nancy. Il bellissimo teatro all’italiana, con pianta a campana e cinque ordini di palchi, andò bruciato nel 1749 e fu rapidamente ricostruito dai Filarmonici su disegno di Giannantonio Paglia che riprenderà il progetto bibienesco apportandovi solo lievi modifiche compositive. Il nuovo Filarmonico verrà riaperto nel 1754, a soli cinque anni dall’incendio. Dal punto di vista architettonico l’edificio resterà pressoché invariato per tutto l’Otto e il Novecento rappresentando un punto di riferimento per l’intera città. Nel 1945 l’immobile verrà completamente distrutto da un bombardamento aereo che risparmierà solo l’edificio accademico, il pronao del Curtoni e il Museo Maffeiano. L’agonia del teatro sfocerà, quindi, in un concorso
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di progettazione simbolo della ricostruzione postbellica, indetto nel 1947 dall’Accademia, a cui parteciperanno nomi noti e meno noti del panorama architettonico nazionale (mentre la giuria non vedrà presenti, nonostante le proteste, rappresentati istituzionali dell’Ordine degli Architetti veronesi). Faranno comunque parte della giuria personalità importanti come il Sovrintendente Pietro Gazzola, il Sindaco Aldo Fedeli, il presidente dell’Ordine degli Ingegneri Giambattista Rizzardi, il maestro Nino Cattozzo, sovrintendente della Fenice, e Pietro Portaluppi, docente a Milano. Molti i progettisti veronesi che parteciperanno: Ettore Fagiuoli con Vittorio Filippini (poi esclusi), Libero Cecchini con Antonio Avena, Alberto Avesani, Guido Tisato e Pino Casarini, poi Guido Troiani con Raffaele Benatti, e infine Antonio Tonzig. Tra i concorrenti non veronesi spiccano Leonardo Benevolo, Adalberto Libera, Alfredo Scalpelli, il progettista di Sabaudia, proclamato quest’ultimo, in gruppo con Sciascia e Ferrante, vincitore del concorso nel luglio del 1948. Da qui inizierà una lunga e penosa trafila burocratica che durerà sette anni e che si risolverà in una vertenza legale tra i vincitori e l’Accademia che, negando l’esito del Concorso, affiderà la realizzazione del Teatro a Vittorio Filippini, già primo degli esclusi con Ettore Fagiuoli. Il teatro dopo oltre vent’anni riaprirà al pubblico nel 1968, lasciando l’amaro in bocca ai progettisti e ai critici
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più attenti, ma restituendo comunque alla città un patrimonio insostituibile: il Teatro, infatti, la cui gestione appare sempre più complessa, risulta oggi l’unica Sala per concerti della città adeguata ad accogliere ospiti illustri e rappresentazioni di ampio respiro. Impensabile quindi trasferire, come si era prospettato qualche tempo fa, la stagione concertistica invernale al Teatro Ristori, anche se una recente ristrutturazione a cura di Aldo Cibic & Partners lo ha restituito alla città dopo un lungo periodo di abbandono e degrado (cfr. «AV» 91, 2012, pp. 68-73). Il Teatro Ristori non era certo nato, infatti, per ospitare il bel canto o la musica colta: nato nel 1844 come “Teatro diurno Sardi” (diurno nel senso all’aperto!) ospitava drammi strappalacrime, farse equivoche, feste in maschera, mimi, acrobati e comici e anche se, dopo il primo cambio di gestione e di nome in “Teatro Valle”, e il secondo in “Teatro Ristori” in onore dell’attrice Adelaide Ristori, la qualità degli spettacoli si affinò e la struttura venne consolidata, coperta e adeguatamente adornata, re-
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09. Concorso per il Teatro Filarmonico, motto Cor unum et anima una (A. Avesani, L. Cecchini, A. Avena, P. Casarini, G. Tisato). Prospettiva della sala. 10. Concorso per il Teatro Filarmonico, motto Euterpe (E. Fagiuoli, V. Filippini). Prospettiva della sala 11. La ricostruzione del Filarmonico. 12. Concorso per il Teatro Filarmonico, motto 2A (A. Libera, M. Kiniger). Prospettiva del fronte su via Roma.
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SAGGIO
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Scena teatrale
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stò pur sempre un teatro con dimensioni e finalità assai diverse da quelle del più titolato Teatro Filarmonico. È evidente quindi come la nascita e la sopravvivenza dei teatri debbano molto alla temperie culturale e soprattutto economica in cui si trovano a vivere. Così l’esigenza di dotare la città di un teatro più moderno di quello dei Filarmonici, un teatro “nuovo” nella concezione e nei programmi, si era già manifestata a metà dell’ottocento con la fondazione del Teatro Nuovo ad opera della neocostituita ‘Società del Nuovo Teatro’ che acquistò per lo scopo dal Municipio il terreno situato tra piazza Viviani e via Cappello. Realizzato su progetto dell’architetto veronese Enrico Storari, con i suoi 844 posti è il secondo teatro per capienza della regione. Fu inaugurato la sera del 12 Settembre 1846 con la prima rappresentazione cittadina dell’“Attila” di Giuseppe Verdi. Un teatro borghese, elegante ma volutamente lontano dagli sfarzi settecenteschi del Filarmonico, in cui la borghesia veronese si ritrovava per assistere agli spettacoli alla moda e discutere di politica irredentista. Un’abitudine mal sopportata dal governo austriaco che ne decretò la chiusu-
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ra nel 1858. Rimaneggiato nel 1909 e ampliato nel può, negli ultimi anni, 1931 con l’acquisto di ulteriori spazi affacciati su via competere con i teatri Cappello (su cui furono costruiti il ridotto e un caf- cittadini. Il bel teatro, fè), fu recuperato tra il 1946 ed il 1949, dopo le no- la cui costruzione initevoli devastazioni subite durante la seconda guerra ziò nel 1911 su progetmondiale. Quello del recupero dei teatri storici, pe- to dell’ing. Benvenuraltro, è un tema classico di ricerca degli architetti to Maggioni, ma alla che, a Verona, ha trovato vasta eco nei citati recu- cui realizzazione mise peri del Teatro Ristori e in quello del Teatro Cam- mano anche Luigi Picploy, convertito all’uso teatrale da una precedente cinato e poi, nella redestinazione religiosa con l‘importante intervento cente ristrutturazione degli anni Novanta su progetto di Rinaldo Olivieri. degli anni Novanta lo Ma per Verona il principale intervento di recupero studio Arteco, rappreè stato sicuramente quello del Teatro romano la cui senta degnamente il resurrezione si deve all’opera ottocentesca di An- ruolo che può avere il drea Monga e alla sua passione per l’archeologia, teatro nella costruzione ma anche alla lungimiranza degli amministratori dell’organismo urbano, come motore di dinamiche del dopoguerra che decisero di affiancare al rina- culturali che vanno adeguatamente gestite e conto festival areniano, una manifestazione culturale trollate, con particolare attenzione quanto più è d’eccellenza come l’Estate teatrale veronese: basti problematico il tessuto nel quale si collocano. D’alpensare che il ‘Romeo e Giulietta’ rappresentato tra parte la vivacità culturale di una città si manicome opera di apertura il 26 agosto del 1948, fu festa soprattutto nel dinamismo della propria scena diretto a quattro mani da Renato Simoni e Gior- teatrale e oggi Verona e la sua provincia sembragio Strehler, reduce dai no aver ormai perso lo successi del Piccolo di smalto della stagione « Il recupero e il riutilizzo moderno migliore. Con una soMilano fondato l’anno dei teatri storici porta con sé una prima con Paolo Grasstanziale chiusura alle si. Insieme all’ammiralunga serie di problematiche relative avanguardie e al teatro zione per tanta lucidità di ricerca, la città si è riall’utilizzo di struttire ‘fragili’ la e acutezza non possiafugiata in operazioni di cui integrità può essere facilmente mo, tuttavia, dimentiscarso respiro come la care che il recupero e il manifestazione “Il Tecompromessa » riutilizzo moderno dei atro nei cortili” che se teatri archeologici porda un lato ha l’indubbio ta con sé una lunga serie di problematiche relative pregio di mantenere attivi spazi urbani marginaall’uso di strutture ‘fragili’ la cui integrità può es- li, dall’altro mortifica lo spazio scenico entro realtà sere facilmente compromessa, e comporta anche la inadeguate allo scopo. E anche se Verona ha apnecessità di attente valutazioni intorno allo spinoso pena accolto il primo nucleo dell’archivio Fo-Ratema della sostenibilità urbana rispetto a eventi di me, nulla dello spirito rinnovatore e rivoluzionario grande impatto sull’organismo-città. del “teatro di narrazione” del grande drammaturUn simile atteggiamento di prudenza pare debba go sono oggi leggibili negli spazi di questa città: essere applicato anche quando l’impianto urbano, di quella stagione così prolifica che affondava le in cui la struttura teatrale si colloca, è di piccole proprie radici nella primitiva fondazione della città dimensioni e quindi di più fragile configurazione, stessa, ci sembra restino soltanto i ruderi di un guacome nel caso dei centri di provincia. È il caso, per stato proskenion. esempio, del Teatro Salieri di Legnago che, a seguito di una attenta e redditizia programmazione,
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13. Teatro Nuovo, pianta dello stato attuale. 14. Il Teatro Nuovo prima degli ampliamenti del 1930, in una immagine di inizio Novecento. 15-16. Teatro Nuovo, veduta interna durante uno spettacolo e il fronte su piazza Viviani. 17-18. Teatro Camploy, interno della sala e pianta della ristrutturazione degli anni Novanta.
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Zang Tumb Rip Umberto Boccioni a Verona
Nel centenario della fatale caduta nei pressi del Chievo si ripropone lâ&#x20AC;&#x2122;aspettativa per un monumento al grande artista futurista che riposa al Cimitero Monumentale
Testo: Luisella Zeri Foto: Simone Sala
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01. Il cippo funerario in memoria di Boccioni in località Sorte nei pressi del Chievo. 02-03. La lapide sulla tomba di Boccioni al Cimitero monumentale di Verona, con le dediche a matita di amici ed estimatori.
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un primo incontro i due si vedranno ogni giorno, fino al sopraggiungere della chiamata alle armi con il conseguente trasferimento a Verona dell’artista. Per Boccioni la separazione dall’amata è uno strappo talmente grande che lo porterà a tenere con lei e con gli amici una fitta corrispondenza. Le sue lettere sono epistole intense che lette alla luce dei fatti sembrano quasi crudeli premonizioni di quello che accadrà dopo pochi giorni. L’artista trova rifugio solamente nelle lunghe cavalcate che compie per l’addestramento militare e che cerca di trasformare, nei pochi momenti liberi di licenza, in occasioni per distrarre la mente. è proprio in una di queste uscite che la sua cavalla, imbizzarritasi alla vista di un autocarro, lo disarciona. Boccioni muore il 17 agosto 1916, in una stradina immersa nella campagna veronese del Chievo, all’età di 33 anni, nel pieno della rivoluzione
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pittorica che lo aveva portato dal Futurismo al Dinamismo Plastico. Cosa resta di tutto questo? Pochi segni dimenticati, conferma che la memoria della vera storia della nostra città è ormai interesse di pochi. Sul luogo della tragedia, poco distante dai binari del treno, una stele e qualche pianta: i fiori veri appassiti
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e quelli di plastica impolverati. Al cimitero monumentale si può trovare, cercandolo con non poca fatica, il loculo nel quale sono accolti i resti di Boccioni. Anche questa traccia però è completamente lasciata a se stessa, mutilata e senza nessun elemento di protezione a tutelare la pietra che riporta gli
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Facciamo l’appello: Montecchi e Capuleti, “celo”. Stella cometa emergente da anfiteatro romano con il relativo carrozzone di statuine, pastori e Re Magi, “celo”. Copertura, sempre per il suddetto anfiteatro… “manca”! Ma ancora per poco, poi forse, “celo” anche per quella. La Verona Luna Park delle tradizioni create ad arte e della storia liberamente tratta dalle commedie teatrali shakespeariane, vive negli ultimi anni il suo massimo splendore, uccidendo la memoria delle vicende realmente accadute sullo sfondo della nostra città. Ed ora, dopo l’appello, proviamo con un piccolo quiz. 17 agosto 1916. Quanti di noi riescono a raccontare la storia, vera che più vera non si può, legata alla data che vede ricorrere il suo centenario proprio nel 2016? Sorte, frazione del Chievo, estate 1916, prima guerra mondiale. Umberto Boccioni, artista esponente del movimento futurista, viene assegnato all’artiglieria da campo con sede a Verona, dopo lo scioglimento del battaglione in cui si era arruolato volontario nel 1915. In rotta con i futuristi, si è ricreduto riguardo alla teoria del conflitto bellico come “sola igiene del mondo”, scrivendo dal fronte che la guerra “quando si attende di battersi, non è che questo: insetti + noia = eroismo oscuro”. Boccioni oltre che un uomo deluso dai propri ideali è anche innamorato. Nel giugno del 1916, mentre attende di tornare a combattere, è ospite dei marchesi della Valle di Casanova sulle sponde del Lago Maggiore. Qui incontra e si innamora di Vittoria Colonna, una giovane nobildonna, sposata per questioni politiche a un uomo in quel momento occupato al fronte. Dopo
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04. Gabriello Anselmi, proposta per una scultura in alluminio: la figura di Boccioni rapportata alla vicina centrale idroelettica. 05. G. Anselmi, progetto di illuminazione notturna dell’attuale cippo funerario (in collaborazione con l’arch. Luigi Bello, rendering arch. Matilde Righetti). 06. Simultanety&Action, performance di G. Anselmi, 2009.
importanti omaggi scritti a matita da intellettuali e amici dell’artista, fra cui il pittore Gino Severini. A mantenere viva la fiamma del ricordo, un gruppo di resistenti, che in collaborazione con la società letteraria di Verona, hanno promosso un ciclo d’incontri dal titolo “Boccioni a Verona nel centenario 1916 -2016”. In occasione del terzo appuntamento, dove sono stati ricordati gli ultimi giorni dell’artista, si è parlato anche della questione dei monumenti come mezzo per perpetrare il ricordo. La
storica dell’arte Camilla Bertoni ha proposto un’interessante lettura della situazione veronese, mostrando, come da un passato profondamente legato al rispetto della memoria si sia passati a uno stato delle cose in cui il monumento viene relegato a mero elemento di arredo urbano. Inserire un oggetto nella città, un tempo, era questione collettiva: venivano interpellati intellettuali, storici, artisti, che approfondendo il tema del contesto e dei soggetti, lavoravano in sinergia al fine di valorizzare il narrato e la scenografia del monumento. I riferimenti portati da Bertoni rispetto all’attualità, ci raccontano di una statua di Salgari che rappresenta lo scrittore con tratti quasi irriverenti in contrasto con una biografia molto dolorosa. Anche il monumento alla pace fra i popoli localizzato in piazza Bra, è talmente spinto nel simbolismo da risultare una macchietta di se stesso. In questo scoraggiante panorama, il fatto che storie come quella dell’estate del 1916 vengano messe in secondo piano, non stupisce di certo. Il ciclo di conferenze, però, non ha voluto essere solamente strumento per rimpiangere un passato che non c’è più, ma si è posto come raccoglitore di idee per cercare di invertire la tendenza. L’architettoartista Gabriello Anselmi, ha presentato in questa sede un suo progetto per tre possibili scenari di un monumento alla memoria di Boccioni nel luogo della sua morte. Le proposte raccontate durante
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l’incontro sono tre e spaziano tra il mantenere invariata la memoria dei luoghi, l’inserimento di una scultura pienamente futurista e la realizzazione di una sorta di museo diffuso, teso a valorizzare non solo il racconto della storia, ma anche gli elementi caratterizzanti del territorio che all’esperienza del futurismo possono essere ricondotti: la centrale idroelettrica del Chievo, la ferrovia, il vicino aeroporto di Boscomantico. La differenza fra questi progetti e gli esempi meno virtuosi già riportati, sta nel fatto che le superfetazioni che fanno da specchio per le allodole e ammiccano al passante vengono eliminate: il racconto è quello di fatti realmente accaduti e le immagini che vengono rievocate sono quelle di momenti cruciali per la storia d’Italia, sia dal punto di vista politico che artistico. Il monumento diventa quindi strumento educativo, quasi un libro di testo, il cui scopo è quello di insegnare e tenere bene a mente errori da non ripetere e esempi da seguire. Il fattore imprescindibile che deve sottendere a tutti quegli inserimenti che vogliono essere simbolici all’interno della città è che essi siano leggibili e di facile comprensione, perché devono solleticare l’animo umano a ricordare e approfondire la ricerca. Non c’è futuro senza memoria.
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A volo d’uccello in punta di penna
Le mappe della Verona comunale e scaligera di Gianni Ainardi in una mostra alla Civica grazie a Open Testo: Angelo Bertolazzi
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L’ansia per la fedele riproduzione della realtà, amplificata dalle moderne tecnologie, ha investito anche la rappresentazione della città. Nelle mappe satellitari, nei fotopiani a risoluzione sempre più elevata e nelle ricostruzioni digitali la tecnica sembra – quasi paradossalmente – mettere in secondo piano l’oggetto rappresentato: si è più attenti agli aspetti tecnologici dell’immagine più che al soggetto rappresentato. L’opera di Gianni Ainardi, dedicata alla storia di Verona e alle sue trasformazioni nel corso dei secoli, ci ricorda come l’interpretazione, la creatività e l’immaginazione possono essere strumenti che ci permettono di comprendere la realtà anche nel suo divenire, andando oltre l’oggettività del dato scientifico. I disegni dal tratto e dai colori decisi traducono il rigore della ricerca urbana in un linguaggio visivo chiaro e suggestivo. La mostra “Verona medievale e scaligera nei disegni di Gianni Ainardi” allestita nella Protomoteca della Biblioteca Civica ha aperto la V edizione di “Open,” la rassegna culturale promossa dall’Ordine degli Ingeneri di Verona dedicata alla città, al paesaggio e alle loro trasformazioni. Le mappe a volo d’uccello della Verona comunale e scaligera fissano un momento di grande trasformazione della città: per la città infatti il periodo comunale è il periodo cruciale della crescita e dell’espansione, nei sobborghi di qua e di là dell’Adige. Tra il 1100 e il 1200 infatti nascono i quartieri di Veronetta e di San Zeno, i primi al di fuori del tracciato romano. Durante il periodo scaligero (1277-1404) invece vengono
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costruiti numerosi monumenti che circondano piazza Erbe e piazza dei Signori e con Cangrande viene raddoppiata la cinta muraria, tutti interventi che fissano l’immagine della città scaligera fino alla metà dell’Ottocento. Le tavole di Ainardi, disposte in ordine cronologico, sono accompagnate dalle didascalie curate da Gian Maria Varanini che guidano il visitatore oltre l’immediato impatto artistico per raccontare il contesto e le fonti storiche da cui quella visione ha preso vita. «La mostra fa dialogare due sguardi diversi – ha sottolineato il professor Varanini – quello sintetico e “inventivo” dell’artista e quello più analitico e concreto dello storico. Dopo la famosa iconografia rateriana, la città di Verona non possiede raffigurazioni topografiche antiche prima del Quattrocento; una ricostruzione visiva della città comunale e scaligera può dunque esser frutto della “immaginazione documentata” di un disegnatore di grande qualità come Gianni Ainardi. Seguendo la cronologia, il visitatore potrà ricollocare in un contesto d’insieme oggetti urbani che gli sono
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Nato a Egna (BZ) ma veronese d’adozione dal 1938, artista eclettico e appassionato studioso della storia di Verona, Gianni Ainardi (1925-2012) è stato autore di innumerevoli disegni, carte, mappe, ricerche e riproduzioni storiche che hanno raccontato con maestria e precisione i momenti salienti della storia di Verona nelle diverse epoche, attraverso i suoi monumenti più rappresentativi. Scultore di targhe, piastre, trofei e medaglie, Ainardi ha firmato per quasi quarant’anni i famosi calendari per il Comando NATO (FTASE) in cui era stato assunto nel 1951 come disegnatore capo. Suoi disegni sono stati pubblicati su molti testi di ambito militare e storico, tra cui Verona Militare, La Naja Alpina (1985) della sezione ANA di Verona con 116 disegni descrittivi, e Verona nei secoli. Album storico-artistico, 1989. www.veronaneisecoli.it
familiari, perché un certo numero di costruzioni monumentali e non, pubbliche e private, sono sopravvissute fino ad oggi».
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Città al verde: salute!
Una ricerca congiunta tra università e dipartimento di prevenzione evidenzia le valenze sanitarie e sociali del verde urbano e propone delle ‘linee guida’ per una programmazione e progettazione consapevole di tali aspetti
Testo: Andrea Lauria
Durante la scorsa edizione di Fieragricola all’interno dell’area Greenspacexpo si è svolto, il 3 febbraio, un convegno dal titolo “Progetto e paesaggio, il rapporto tra verde e salute”. L’incontro di carattere formativo, rivolto sopratutto agli architetti e agli agronomi-forestali, ha rappresentato un’ottima opportunità di confronto di ‘buone pratiche’ ed è stato soprattutto l’occasione per presentare il volume “Spazi verdi da vivere. Il verde fa bene alla salute” (cfr. box). La mattinata è stata arricchita dalla presentazione di alcune esperienze che legano il tema del paesaggio, della natura e del benessere alle pratiche di progetto partecipato. I contributi sono stati trattati da Chiara Casotti, Francesca Neonato e Simonetta Zanon con la moderazione di Fabio Pasqualini presidente di AIAPP Triveneto, al quale va riconosciuto lo sforzo di aver confezionato la giornata. Il volume presentato costituisce il risultato conclusivo della ricerca “Lo spazio aperto e il verde urbano, una risorsa per l’aumento del capitale sociale” promossa dal Dipartimento di Prevenzione della USSL 20 di Verona e dall’Università IUAV di Venezia.
Il testo è stato progettato principalmente allo scopo di indurre i dipartimenti di prevenzione e gli uffici tecnici comunali a riconsiderare l’importanza per la salute pubblica dell’utilizzo del verde in urbanistica; segue, a distanza di cinque anni, il manuale del 2009 “Spazi per camminare. Camminare fa bene alla salute” (cfr. «AV» 86, pp. 84-87), che raccoglieva buone pratiche e suggerimenti per l’individuazione di soluzioni urbanistiche a favore della pedonalità 1. Questi due testi, che sembrano trattare aspetti del tutto slegati fra loro, sono connessi dalla consapevolezza che indurre nella popolazione uno stile di vita “attivo” è un’impresa non semplice e che coinvolge molti più attori di quanto non si possa pensare a una prima analisi. Nella società sono presenti gruppi di persone, di solito le più consapevoli e benestanti, già dotate di strumenti che le mettono in grado di cogliere e sfruttare velocemente le scelte di vita più proficue alla propria “difesa”. Ma è necessario puntare anche alla parte più ampia della popolazione, che per fare queste scelte ha bisogno di una “spinta gentile” 2 o, se vogliamo usare un termine più teatrale, di trovarsi di fronte un palcoscenico idoneo per decidere di cominciare a recitare una parte diversa rispetto a quella rappresentata fino a quel momento.
LA RETE VERDE
01 L’OLYMPIA PARK NEL CONTESTO DI MONACO (Arch. Benisch)
Nell’incontro fra i “saperi” diversi che si occupano dell’uomo da punti di vista molto lontani fra loro è stato interessante verificare che chi si occupa di urbanistica, e forma nelle aule i nuovi professionisti, non è consapevole dell’enorme impatto che questa disciplina esercita sulla salute umana. In questo la similitudine con i corsi universitari di formazione e specializzazione in medicina è molto stretta: anche i medici escono dalle loro aule con niente di più che una generica impressione positiva sulla possibilità di miglioramento della salute umana offerta da una buona programmazione urbanistica. La ricerca cerca di inserirsi in questo contesto ponendo l’attenzione
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INTRODUZIONE
CAPITOLO 4
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Università Iuav di Venezia
Le Linee Guida presentate in questo volume affrontano molte diverse questioni che
Spazi verdi da vivere il verde fa bene alla salute a cura di Maria Rosa Vittadini, Domenico Bolla e Armando Barp
oggi coinvolgono la progettazione e la gestione del verde urbano. Questioni rese
sommamente urgenti dai cambiamenti che nel loro insieme stanno profondamente trasformando le logiche dell’organizzazione urbana. La concentrazione di
popolazione e di attività fa delle aree urbane l’ambito di maggiore efficacia per procedere verso una economia low carbon e al tempo stesso le rende ambito di massima vulnerabilità economica e sociale al cambiamento climatico e alla sua vasta gamma di conseguenze.
Gli spazi verdi, le alberature, le aree aperte divengono fattori fondamentali di
politiche diverse da quelle tradizionali dell’urbanistica e dall’architettura: strumento per migliori condizioni di salute fisica e mentale e più efficace integrazione
sociale, strategia di adattamento al cambiamento climatico, governo dei consumi
energetici e del microclima, tramite per la riconnessione funzionale dei servizi eco-
sistemici. Tutte funzioni che convergono nella prospettiva della Green infrastructure teorizzata a livello comunitario come asse portante di una rinnovata forma urbis.
Ma per muoversi verso tale prospettiva occorre una consapevolezza dei problemi e delle loro relazioni oggi solo ai primi passi.
Le Linee Guida offrono una sintetica inquadratura dei principali problemi e una gamma di esperienze e buone pratiche italiane e di altrove che danno un’idea delle possibili politiche, dei possibili criteri di azione, delle possibili forme di
partecipazione, dei possibili criteri di progetto e anche, ovviamente, dei possibili risultati. Le Linee Guida sono pensate principalmente ad uso degli operatori che agiscono all’interno di diversi comparti della Pubblica Amministrazione. Ma non solo: la scelta degli esempi, la forma piana delle descrizioni, il ricco apparato di rimandi a bibliografie e siti web ne fanno un strumento utile anche per i molti
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soggetti che con intenti diversi si occupano attivamente dell’ambiente in cui vivono, in generale partendo proprio dalla presenza e dalla cura del verde.
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su alcuni aspetti di qualità, trascurati nella programmazione e progettazione del verde. L’insieme delle idee e delle proposte delle ‘Linee Guida’ configurano modi di pensare e programmare la presenza delle aree verdi nelle città, adatti alle necessità di oggi. Necessità profondamente diverse da quelle di un passato, pure recente, dove la questione del verde urbano faceva principalmente riferimento alla qualità estetica. Nella situazione attuale la progettazione e la gestione del verde sono strumenti centralissimi per il governo di questioni come la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico, la gestione dell’isola di
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Spazi verdi da vivere Il verde fa bene alla salute a cura di Maria Rosa Vittadini, Domenico Bolla e Armando Barp Il Prato Editore, 2015, pp. 240 La redazione delle ‘Linee Guida’ ha coinvolto i seguenti autori, coordinati da Maria Rosa Vittadini, Domenico Bolla e Andrea Lauria: Armando Barp, Giuseppe Caldarola, Nico Cattapan, Leonardo Filesi, Susanna Morgante, Annarita Lapenna, Liliana Padovani.
ai Regolamenti comunali del verde, fino alla recente Legge su verde urbano (L 10/2013). Le ‘Linee Guida’ forniscono, pertanto, una sintetica rassegna di regole apparentemente estranee alla questione del verde, ma che nella loro concreta applicazione si traducono in altrettante potenzialità,
ODEON
01. Schizzi relativi all’Olimpia Park nel contesto di Monaco di Baviera (arch. Benisch) e ipotesi di “Rete verde” urbana. 02. Tavola di studio dal Laboratorio partecipato per la riqualificazione del Giarol grande, Parco Adige sud. 03. Esempi concreti e criteri fondamentali nella progettazione verde.
Spazi verdi da vivere
calore, la tutela della biodiversità, la riduzione delle diseguaglianze di salute e, più in generale, delle condizioni di vita. Questioni che modificano potentemente le logiche dell’organizzazione urbana, sia dal punto di vista della domanda di servizi e di prestazioni sia dal punto di vista degli atteggiamenti sociali che le motivano o che ne derivano. Le ‘Linee Guida’ vogliono infatti essere uno strumento capace di raccordare la rete delle relazioni disciplinari e delle competenze di cui occorre avere consapevolezza, e di trarne, in modo semplice, criteri ed elementi progettuali ad uso di una pluralità di attori: a partire dai tecnici impegnati nelle diverse strutture della pubblica amministrazione fino agli operatori del mondo professionale e anche agli appassionati che formano ormai una nuova categoria di soggetti al tempo stesso, ideatori, realizzatori, utilizzatori e manutentori di specifiche categorie di aree verdi. La relazione tra la presenza del verde, la sua dimensione e la sua tipologia con le questioni legate alla salute, alla vita attiva come prevenzione delle malattie e alla cura del verde come elemento di possibile accrescimento del capitale sociale vengono esplicitate anche attraverso due evidenze scientifiche, due studi – uno olandese e uno giapponese – nei quali si introduce un concetto ampio di rapporto tra salute e ambiente. Se si considerano le norme e gli standard che hanno regolato (e tuttora regolano) con efficacia decrescente la presenza del verde negli ambiti urbani, non si può che appuntare uno sguardo critico sul tema degli spazi verdi come trattati dalla disciplina urbanistica, sia essa relativa ai Piani comunali del verde o
04. Seminario a Palazzo Pompei, Verona. 05. Schema di comportamento delle acque superficiali in presenza di aree verdi e aree urbanizzate. 06. Tavola rotonda degli attori riconosciuti, a conclusione del processo di progettazione partecipata.
sui temi del progetto: sulle categorie di verde urbano utilizzate dalla disciplina urbanistica proponendo nuove più appropriate tipologie e criteri progettuali per il verde urbano, anche sulla scorta delle riflessioni derivanti dall’amplissima analisi di casi. Il criterio di fondo è la necessità di caratterizzare in modo appropriato ciascun tipo di spazio verde per il suo contesto e le sue funzioni, e al contempo di integrare i diversi tipi di verde a formare reti e sistemi continui,
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Pre urbanizzazione
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BILANCIO IDRICO CAPITOLO 2
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criteri, occasioni di progettazione di elementi verdi. Ad esempio il portato di norme per il risparmio energetico si traduce, nell’ambito urbano, nel nuovo paesaggio dei tetti e delle pareti verdi; l’applicazione del principio dell’invarianza idraulica si traduce nella inedita inclusione di spazi urbani attrezzati per essere al contempo aree verdi e vasche di laminazione. Tutto ciò per dare la giusta enfasi agli strumenti della transizione verso una economia Low Carbon e del verde, come possibile strumento di assorbimento delle emissioni di CO2, sottolineando il ruolo del verde nel governo delle ondate di calore negli ecosistemi urbani, con l’obiettivo della realizzazione di una Green Infrastructure destinata, nelle indicazioni comunitarie, ad essere l’ossatura portante del territorio e anche a dar forma alla nuova dimensione urbana. Senza dimenticare i nuovi atteggiamenti di condivisione verso esperienze di costruzione di aree verdi come pratica sociale: dagli orti urbani al guerrilla gardening. Ed è con questo obiettivo che il volume sposta l’attenzione proprio
« La ricerca ha avuto anche un percorso centrale di applicazione pratica attraverso l’attivazione di un processo partecipato nell’area del Giarol grande entro il Parco Adige sud » dove il ruolo di ciascun elemento è potenziato dalla presenza degli altri. Vengono proposti alcuni schemi progettuali nei quali, partendo dagli elementi funzionali e vegetazionali, si ricompongono l’articolazione degli spazi verdi e le loro logiche associative in una pluralità di scale urbane che vanno dalle reti dei viali e dei percorsi minori, al verde di vicinato, al verde di quartiere e ai parchi urbani e territoriali. Per ciascuna situazione si suggeriscono criteri organizzativi dell’accessibilità e della struttura vegetazionale, le componenti desiderabili e il dimensionamento, quale deriva dalle norme o dalle buone pratiche esplorate nell’analisi di casi. La ricerca ha avuto anche un percorso centrale di applicazione pratica attraverso l’attivazione di un processo
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partecipato nell’area di Verona del Parco Adige sud, in particolare nell’area del Giarol grande. Un’esperienza laboratoriale che ha coinvolto alcuni attori riconosciuti quali soggetti attivi sul territorio ed alcuni soggetti più istituzionali. Il processo, durato circa un anno, è stato occasione di ascolto, condivisione e proposta progettuale. Con alcune interviste mirate sono stati evidenziati i vari punti di vista che sono stati poi esposti in una tavola rotonda ristretta agli undici attori principali. Con un seminario aperto alla città, a Palazzo Pompei, sono state raccontate le esperienze milanesi, in particolare del Parco Nord e del Piano del verde. Infine attraverso una giornata alla fattoria didattica è stato possibile svolgere un’attività di confronto e partecipazione diretta. L’esperienza, supportata dal Settore Ambiente del Comune di Verona, è stata presentata in Circoscrizione e alla Commissione ambiente-urbanistica del Comune. Si auspica che la qualità del lavoro faccia riflettere l’Amministrazione Comunale al fine di attivare processi partecipativi anche per quanto riguarda la progettazione urbana.
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1 Il manuale è scaricabile al link: http://prevenzione.ulss20.verona.it/inu09.html 2 Il termine “spinta gentile” è la traduzione del
titolo Nudge del libro di Richard Thaler e Cass Sustein, edito nel 2009 da Feltrinelli, che propongono di attivare politiche di “paternalismo
libertario” per orientare le scelte di vita della popolazione.
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01-03. Immagini dalla giornata della terza edizione della Muralonga.
Camminate mura
ODEON
La terza edizione dell’iniziativa promossa dalla Società Mutuo Soccorso Porta Palio ha permesso di riscoprire in maniera informale il patrimonio delle mura cittadine 01
Testo: Luisella Zeri
Percorrere la propria città con la possibilità di guardarsi attorno con gli occhi curiosi del turista, è un occasione che, quando capita, va colta al volo. L’Associazione “Società Mutuo Soccorso Porta Palio” di Verona, all’interno della manifestazione “Muralonga”, offre ai veronesi la preziosa esperienza di farsi esploratori in casa propria. La risonanza dell’evento, giunto quest’anno alla terza edizione, ha superato i confini provinciali, accogliendo visitatori da tutto il nord Italia. è stato decretato così il successo di un occasione che non si fa solo momento di promozione culturale ed enogastronomica, ma anche luogo privilegiato per festeggiare e celebrare il vero motore che permette di mantenere in vita il Parco delle Mura Magistrali, uno dei più grandi monumenti della nostra città. Infatti, se Muralonga si pone come l’evento che vuole promuovere il buon vivere veronese, lo si deve alla più grande forza messa in atto dalla manifestazione: il volontariato. L’associazione “Società Mutuo Soccorso Porta Palio” in sinergia con gli sponsor e gli altri gruppi e Onlus partecipanti, non sono solo coloro che permettono, una volta l’anno,
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di godere di una piacevole giornata fra cibo e cultura, ma soprattutto si pongono come la componente che per lungo tempo ha lavorato e lavora tutt’ora per strappare all’incuria e al degrado il paesaggio dei bastioni, permettendo a cittadini e turisti di goderne in ogni momento dell’anno. Di camminate amatoriali il nostro territorio ne è sicuramente ricco, ma Muralonga, in questo panorama, si pone come un evento differente. Durante i dieci chilometri di passeggiata si può attraversare gran parte della città in un excursus storico, architettonico e artistico, che difficilmente in altre occasioni può essere esplorato in un’unica giornata. Al percorso viene affiancato inoltre, attraverso guide competenti, un interessante panorama di informazioni che coprendo un vastissimo periodo storico, racconta delle mura scaligere di Cangrande del 1300 fino alla ricostruzione austriaca del 1800, con alcune divagazioni nella storia novecentesca della seconda guerra mondiale. Il percorso della Muralonga parte da Porta Palio e termina a Porta San Giorgio, attraversando bastioni, gallerie di contromina, porte monumentali e rondelle, arricchendosi quest’anno, della visita al bastione delle Maddalene recentemente restaurato e da poco aperto al pubblico. L’appuntamento
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MURALONGA Promotore Società Mutuo Soccorso Porta Palio Verona i numeri del 2016 03
è per la prossima primavera, con la quarta edizione di Muralonga, che già promette interessanti novità, tutte da scoprire.
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650 partecipanti oltre 60 volontari 9 associazioni coinvolte 6 sponsor 12 km percorsi ad anelli 10 visite a siti di interesse solitamente chiusi al pubblico 6 punti ristoro
Interiors:
Progetto a vista
Ingredienti naturali, un approccio genuino e ricette gustose: sono gli elementi che accomunano il contenitore, un piccolo spazio per la ristorazione, ai prodotti serviti Progetto: arch. Enrica Mosciaro Testo: Francesca Castagnini
Foto: Carolina Vargas, Noemi Trazzi
Deèp è un progetto che ruota attorno alla femminilità, al sapore, all’accoglienza e alla bellezza. Tutto ciò in una forma legata ad una semplicità quotidiana e allo stesso tempo sofisticata. Tre amiche-sorelle danno vita a questa idea: Paola, architetto ma già da tempo dedita al mondo della ristorazione, Daniela, avvocato con la passione della cucina da sempre, ed Enrica, che a Barcellona è architetto e a Verona cameriera
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WC CLIENTELA h 3,00m
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AREA LAVORO3 h 4,00m
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LEGENDA
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1. Scaffale esposizione prodotti 2. Vetrina refrigerata espositiva 3. Cassa 4. Tavolo Refrigerato 5. Pentole elettriche 6. Tavolo da lavoro 7. Banco Clientela 8. Piano Lavoro con vano per Lavabicchieri e Fabbrica ghiaccio 9. Mensola per utensili vari 10.Piastra a induzione 11.Cappa aspirante 12. Abbattitore 13. Forno elettrico 14. Macchina sottovuoto 15. Pensile in acciaio 16.Cella frigorifera 17.Lavello con vano per Lavastoviglie 18. Pensile gocciolatoio
VIA DEL PONTIERE 27
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e lavapiatti nonché progettista di deèp. L’approccio al progetto è molto interessante per la decisione con cui vengono affrontati i temi: si guarda ai limiti in modo sincero e il poco spazio a disposizione diventa una risorsa: “deèp cucina a vista”, come dire che qui si mangia in cucina. Spazialmente quest’idea si traduce con la presenza all’interno del locale dell’elemento cucina attorno al quale gira un bancone dove ci si siede a mangiare. La differenza dai soliti banconi che si trovano nei locali la fa l’altezza: 90 cm, più basso dei soliti 110, una proporzione che ci rimanda ad una gestualità casalinga. Questo aspetto viene rafforzato dall’assenza di una pedana tecnica, che metterebbe necessariamente su piani differenti i clienti da chi cucina e serve i piatti. L’esperienza domestica del mangiare non viene riprodotta attraverso l’uso di elementi di arredo simbolici ed espliciti come spesso accade, ma attraverso una intenzionalità più nascosta e profonda che passa attraverso l’ergonomia degli spazi, più inconscia e potente. Anche il modo di servire è stato pensato ad hoc: Enrica disegna i vassoi sui quali viene presentato il cibo, “volevamo qualcosa di pratico e veloce, ma piacevole. Che facesse la funzione del vassoio della mensa, ma
SE COMPROBARÁN TODAS LAS COTAS IN SITU Y TODOS LOS REPLANTEOS SE TENDRÁN QUE HACER EN OBRA (TANTO DE REVESTIMIENTOS QUE DE PAVIMIENTOS, TABIQUERIA, MUEBLES. ETC...)
INTERVENTO EDILIZIO IN LOCALE COMMERCIALE DISTRIBUZIONE ENRICA MOSCIARO - FUSINA6 C/ Fusina, 6 ENTL 1ª , 08003 Barcelona tel. +34 932 681 982 tel. +34 658 981 910 e-mail: enrica@fusina6.com
SCALA 1:50 DIN A4 Ubicazione: Via del Pontiere 27, 37122 Verona Committente: DEEP SRL
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che avesse una certa gentilezza”. Il cibo è contenuto in modo originale in vasetti di vetro weck: “abbiamo cercato un packaging completamente diverso da quello che si utilizza normalmente: niente plastica, niente cartone, ma un materiale antico, il vetro, in cui é piacevole mangiare. I nostri vasetti, che il cliente può decidere di riutilizzare a casa
01. La vetrina del locale su via del Pontiere. 02. Pianta. 03. Controcampo dall’interno verso la vetrina con il bancone sulla sinistra.
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sua, possono essere restituiti. Come si faceva una volta”. è ancora una volta Enrica ad occuparsi della progettazione grafica, logo, biglietti da visita e menù. Un unica mano che dona coerenza al locale. Il protagonista assoluto di deèp resta comunque il cibo, preparato fresco ogni giorno come a casa e con ingredienti selezionati: “Deèp infatti è prima di tutto una cucina, sembra scontato ma non lo é”, dice Enrica, che non dimentica l’obiettivo del proprio lavoro, realizzando un ambiente che raggiunge quella semplicità e adeguatezza che sono frutto di un approccio profondo al progetto.
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ODEON
04-05. Vedute interne del locale con il bancone e la cucina a vista. 06. I sottobicchieri con grafica personalizzata. 07. Il vassoio di servizio disegnato da Enrica Mosciaro. 08. Daniela, Enrica e Paola: le iniziali dei loro nomi, più “è” (cucina a vista) sono all’origine del nome del locale.
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Come hai iniziato a fare il designer, e cosa ti ha spinto? Ho cominciato a frequentare stamperie all’eta di 5 anni. Mio padre ha iniziato la sua carriera come tipografo e in seguito è stato il direttore del centro stampa dell’ospedale di Borgo Trento. L’odore dell’inchiostro, la carta, gli incontri con gli stampatori e il resto. Non è stato un inizio intellettuale o se vuoi estetico ma più artigianale e dettato dalla tecnica e dalla materia. La spinta a diventare
Che cos’è per te il progetto grafico, e come lo approcci? Hai un tuo metodo? Il mio approccio al progetto grafico è cambiato considerevolmente dopo la mia esperienza francese nei workshop collaborativi. Prima, il progetto grafico era basato sulla mia
“creativo” è arrivata più tardi. Mentori e persone che ammiravo, mi hanno indirizzato, insegnato e formato in un’educazione da designer.
Verona - Parigi - New York: è questo il percorso geografico ma anche culturale che riassume la brillante carriera di Diego Marini, direttore e consulente creativo con base a Brooklyn, NYC. Per chi come me lo ha conosciuto nei primi anni del suo viaggio, è stato subito chiaro che di strada ne avrebbe fatta tanta, guidato da una curiosità instancabile e da un talento istintivo per la progettazione visiva nella sua totalità. Dai progetti per i grandi marchi come art director a Parigi a quelli per Diane Von Furstemberg e Sub Rosa a New York, fino alla recente creazione del laboratorio creativo Yummy Colours, i lavori di Diego ci mostrano come il design sia di fatto uno dei più interessanti strumenti contemporanei per interpretare la realtà.
Testo: Gaia Passamonti — www.pensierovisibile.it
UN VERONESE A NEW YORK
GRAPHICS
la pagina come luogo da costruire, caratteri e inchiostri come mattoni e pietre. Testimonianze e ricerche in un territorio del progetto a due dimesioni. a cura di Pensiero Visibile
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Cosa ti ispira o ti ha ispirato negli anni? Mi ispirano le persone che hanno una passione per quello che fanno. Non importa il campo. Può essere danza classica, fisica
capacità di trovare l’idea più geniale, il più forte impatto estetico, il “wow moment”. Era basato sul fatto di cercare di stupire il cliente o il mio capo. Dopo questa esperienza, ho imparato che le sorprese sono inutili. Anzi controproducenti. Ai miei clienti adesso dico nel primo meeting: “Non ci saranno sorprese”. Ho imparato a spendere più tempo nel cercare di capire. Capire la situazione, le politiche aziendali, le aspettative, i gusti, dove posso “osare” e dove invece è meglio concedere. Ho imparato a fare piccoli passi e soprattutto condividerli con il cliente e capire meglio se sono sulla strada giusta. Questo fa sentire il tuo committente importante e le sue idee prese in considerazione e permette al creativo di arrivare alla fine del progetto con un grado di soddisfazione elevato.
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Metti più testa o più cuore nel progetto? Cuore. Sennò diventa produzione. Non importa il budget o la fama del cliente. Piccolo o grande che sia voglio mettercela tutta per fare un buon lavoro. Questo vuol dire che devo credere che quello che sto facendo ha un senso: sia dal punto di vista di soddisfazione dei bisogni, sia dal punto di vista del design. Penso costantemente ai progetti, a come posso migliorare, cosa posso fare di diverso. Ho sempre un piccolo quaderno e annoto le idee. Un progetto non è confinato nelle ore lavorative ma me lo
quantistica o agricoltura. Quando a una persona brillano gli occhi quando parla di quello che gli/le piace fare resto ad ascoltare. Mi ispira l’energia che queste persone emanano, come aff rontano i problemi nei loro campi, che per quanto diversi possono sempre off rire spunti utili. Ed è un modo per me di imparare cose che potrei leggere su internet ma che probabilmente dimenticherei facilmente. E ovviamente la musica e i concerti.
C’è un progetto a cui tieni particolarmente? Vuoi descrivercelo?
Qual è il tuo legame con Verona? Disincantato. Mi piace tornare, andare a mangiare all’Osteria al Duomo, vedere gli amici, approfittare della bellezza turistica di questa città. Il processo di sanitizzazione della città rende Verona “pulita” ma non esattamente interessante. L’abbattimento di bellissime strutture di archeologia industriale (a cui ero legato) come i Magazzini Generali, il Mercato Ortofrutticolo, le vecchie cartiere Fedrigoni, senza aver veramente considerato opzioni creative per il recupero, e il loro rimpiazzo con mediocri edifici o parcheggi mi lasciano un po’ scettico su quello che avviene nella città. Pulita e sterile, pronta per i turisti.
porto in giro, nella mia mente, tutto il giorno. Se perdo il senso del progetto voglio uscirne al più presto possibile. Mi capita ogni tanto ed è un vero senso di liberazione.
con la compagna Denise
Colors, il nuovo progetto lanciato
sullo sfondo: il logo di Yummy
Diane von Furstenberg
06. Redesign del monogramma di
04.-05. Lettere di ghiaccio
03. Pattern realizzato per la stilista
02. Un occhio per il sito personale
01. Ritratto per Italiany.us by Wandael
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Sono due i progetti a cui tengo particolarmente e sono legati alla stessa persona: Diane von Furstenberg, una donna che mi ha dato fiducia in una città grande (e piena di bravi creativi) come NY. Il primo è il logo per la casa di moda omonima. Quando nel 2010 sono arrivato a New York è stata mia prima opportunità. Presentare delle proposte per l’identità visiva di DVF. La Competizione era alta perché il mio predecessore – che aveva fallito – era Fabien Baron, uno degli studi grafici specializzati nel mondo della moda internazionale. Non avendo niente da perdere mi sono messo al lavoro con l’obiettivo di creare un monogramma iconico e atemporale proprio
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come siamo abituati nelle grandi case di moda (LV, CC etc). La notte prima di presentare le 3 proposte stavo finendo i “mock up” ed ecco che Diane si presenta in leggings e t-shirt (abita all’ultimo piano del palazzo in Meatpacking District che ospita al pian terreno il flagship e nei piani intermedi l’headquarter dell’azienda), chiedendomi se volevo farle vedere qualcosa. Dopo un attimo di esitazione e una battuta andata a vuoto, ho cominciato la presentazione tra pezzi non finiti e brochure non rilegate. L’intimità del momento, il fatto che una delle proposte le sia piaciuta subito e la possibilità di spiegarle il processo in un misto di italiano, francese e inglese (cosa che non avrei potuto fare il giorno dopo di fronte a
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15 persone) hanno dato il via al rebranding. Il secondo è il libro monografico sulla mostra “Journey of a Dress” tenuta al LACMA di Los Angeles. La possibilità di creare un libro edito da Rizzoli e avere carta bianca non solo sul layout e le scelte tecniche di stampa ma anche sulla creazione del materiale fotografico e le scelte del materiale d’archivio è un sogno che si realizza poche volte per un grafico. Tre set fotografici per 5 giorni a Los Angeles hanno prodotto due terzi del libro, dalla decisione di pubblicare alla stampa sono bastati 5 mesi. Un processo concepito a New York, prodotto a Los Angeles ma finito a Verona, dove Rizzoli stampa i libri di prestigio.
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— 69 C’è un rapporto tra la progettazione grafica e l’architettura? Una relazione di amore e odio, in cui ogni componente pensa di essere la musa ispiratrice e l’altra l’allieva da formare. Lavorare su spazi tridimensionali è un’esperienza che il grafico accoglie come una sfida ma che dà una soddisfazione maggiore, perché è un progetto in cui altre persone possono fisicamente “entrare”. Poter entrare in uno spazio che hai curato dà un’effetto diverso al progetto. Sono fortunato per il fatto che molti brand cercano quello che chiamano “esperienze creative”: mettere il cliente o lo spettatore in una situazione, in uno spazio (galleria, negozio o altro) a provare, toccare, vedere cose
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www.yummycolours.com
www.skew-eyed.com/about
Info:
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Vuoi lasciarci un pensiero? Sono sempre stato ispirato dal primo principio della conservazione della massa di Lavoisier: Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Mi piace pensare che posso influenzare il come si trasforma.
in modo diverso. Questo crea collaborazione tra architettura e grafica e mutua ispirazione. Per il libro che citavo sopra l’ispirazione per il quinto colore di stampa è stato il rosa che Luis Barragan usa spessissimo nelle sue case.
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i libri che vengono sempre con me quando trasloco • Oceano mare di Alessandro Baricco • Memoriale del convento di Josè Saramago • Blues in sedici di Stefano Benni • La famille Malaussène (tutti e 5) di Daniel Pennac • La Vie mode d’emploi di George Perec
Playlist in loop • https://open.spotify. com/user/eyed77/ dUyblkcktmVaVzH4v2 • FKA Twigs - Figure8 • David Karsten Daniels Falling Down • Efterklang - Polygyne • Forest Swords Riverbed • Holly Herndon - Chorus • Vince Staples - Loca • Darkside - Golden Arrow • St.Vincent - Birth in Reverse • Viet Cong - Pointless Experience • A$ap Rocky - Long Live A$ap • Servants of Death Refused • Savages - Adore • Savages - Husbands • Sannhet - Revisionist
CONSIGLI DA DESIGNER
• Spotlight • Inherent Vice (guardato a ripetizione) • The Big Short
Gli ultimi 3 film che mi sono piaciuti (tra i più recenti)
Pace gallery, Beijing
“Journey of a dress” alla
dell’allestimento della mostra
06-08. Immagini
“Journey of a dress”
von Furstenberg:
monografica di Diane
04-05. Libro sulla mostra
01-03. Living prints
CANTIERI
Mall in progress
Il punto sulla incalzante costruzione del nuovo centro commerciale nellâ&#x20AC;&#x2122;area delle ex officine Adige
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Testo: Nicola Tommasini
Foto: Michele Mascalzoni
La selva di gru, il viavai dei mezzi di cantiere e il vistoso innalzarsi del nuovo edificio ci costringono a fare il punto su quanto sta accadendo nell’area delle ex officine Adige, al centro negli ultimi anni – come noto – di molti piani e progetti. Le vicende a cui abbiamo assistito sull’intera ZAI negli ultimi trent’anni sono moltissime; le realizzazioni fino ad oggi, purtroppo, minime. Sia la cosiddetta variante Gabrielli (la numero 282 del vecchio PRG, anno 2007, alla quale è stato dedicato il numero monografico di «AV» n. 79) che il successivo Masterplan di Verona Sud firmato FOA nell’ambito del Piano degli Interventi (cfr. «AV» 86, 2010, pp. 36-43) avevano il pregio di proporre, in modi e forme diverse, un progetto ambizioso e di grande portata, che voleva essere unitario e che prevedeva la possibilità di realizzare grandi interventi per imprimere quella attesa svolta innovativa alla politica urbana. In gioco c’era, prima di tutto, la definizione della futura idea di città e il miglioramento della vivibilità che in particolare l’ambito di Verona Sud aspetta dal dopoguerra. L’area delle ex officine Adige, vastissima, è posta al vertice meridionale del cosiddetto Cardo Massimo di viale del Lavoro e delle Nazioni, in una posizione che ne determina necessariamente il bivalente ruolo di potenziale nuova centralità e di porta urbana, in prossimità con il casello di Verona sud. Su questa stessa area si sono avvicendate più di qualche variante di quel masterplan che, all’origine, portava la prestigiosa firma di Richard Rogers. Oggi questo cantiere per il più grande centro commerciale entro l’ambito urbano di Verona segna il primo passo di quel piano, ma non ne completa le previsioni in quanto l’area interessata dagli attuali lavori rappresenta circa solo la metà nord del comparto. Chi scrive ricorda ancora la conferenza di sir Rogers – era il maggio 2003, all’auditorium del Banco Popolare, a pochi metri dal sito – in cui l’architetto inglese illustrò la sua idea di progetto “urbano”
e di città. Idea che sarebbe poi stata esposta in maniera chiara nel suo progetto, sviluppato su incarico della società AIDA e presentato l’anno successivo, nel 2004, con il PIRUEA denominato “Ex-Officine Adige”, poi evoluto come accordo di programma nella strumentazione urbanistica vigente. Il progetto dello studio Rogers, Stirk, Harbour e Partners era assolutamente consapevole dell’importanza, per la città, dell’area intesa come vertice del Cardo Massimo. Il masterplan si faceva quindi carico di diventare nuova centralità urbana, rappresentandone la fondazione attraverso la costruzione di una torre-totem (di 150 metri di altezza) che avrebbe svettato sull’incrocio, divenendo il nuovo riconoscibile landmark urbano e rappresentando forse una di quelle costruzioni esemplari di cui la nostra società e le nostre città hanno sempre più bisogno. Il piano perseguiva inoltre un’idea di città ricca e viva, trovando nel “mix funzionale” la ricetta per garantire una densità piuttosto alta e un utilizzo del sito continuo ed eterogeneo. L’idea insediativa, presente già nei primi schemi del masterplan, era quella di edificare i fronti principali su viale delle Nazioni e via Copernico, lasciando nell’interno dell’isolato un grande parco urbano pubblico, su cui si affacciavano il centro commerciale, residenze, hotel, e uffici. Nello sviluppo successivo del piano la figura della torre di 150 metri di altezza, posta di fronte alla “torre mancata” del Bauli, ha trovato poi contrap-
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01. La futura galleria del centro commerciale dalla quota di scavo. 02. La grande distesa dell’area di cantiere oggi. 03. Posa delle grandi strutture prefabbricate. 04. Un corpo scale in costruzione spicca dal muro di cinta delle ex Officine Adige.
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CANTIERI
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punto in altre due torri residenziali (più piccole, di 80 metri di altezza) poste nel comparto a sud assieme ad ulteriori nuove edificazioni, con residenze (anche ERS) e uno studentato, con il contributo anche di altri progettisti (come Pietro Valle, per citare un nome). Oggi, finalmente, dopo qualche anno di impasse – i problemi legati alla crisi per i grandi interventi di trasformazione urbana del Cardo Massimo sono purtroppo noti, con cantieri avviati (Magazzini generali) e altri ancora al palo (ex Manifattura tabacchi) – qualcosa si muove. Parte dell’area – il cuneo più a nord verso l’incrocio del Bauli, più o meno la metà dei circa 100.000 mq complessivi – è passata in proprietà al gruppo tedesco ECE, che ha avviato con la bresciana CDS Holding il primo intervento edilizio con la costruzione del centro commer-
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ciale ,che aprirà i battenti fra circa un anno e i cui lavori, come testimoniano le immagini presentate in queste pagine, procedono spediti e sono già in buono stato di avanzamento. Il progetto architettonico è firmato da L35 Arquitectos, studio spagnolo che vanta nel suo curriculum una vasta produzione progettuale relativa a centri commerciali in tutto il mondo, mentre il progetto esecutivo e la direzioni lavori sono curati dall’architetto veronese Michele Segala, cui si deve anche la progettazione del centro commerciale “Le Corti Venete” a San Martino Buon Albergo. L’“Adige City” comprenderà un grande supermercato alimentare (Despar, 4.500 mq di superficie), altri 12 store di media superficie (2.000 mq circa l’uno) e altri spazi commerciali, per un totale di circa 140 unità tra negozi e punti di ristorazione.
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05. Uno dei primi schemi progettuali del masterplan di Richard Rogers. 06. L’evoluzione del masterplan Rogers con le tre torri. 07. Planivolumetrico del centro commerciale in costruzione. 08. Il cantiere oggi. 09. Veduta di progetto dell’ingresso del mall da viale delle Nazioni. 10. Una delle due rampe di accesso ai garage sotterranei in costruzione. 11. Posa di campionature di finitura metallica sul fronte di via Copernico.
Progetto architettonico L35 Arquitectos progetto esecutivo e d.l. arch. Michele Segala promotore ECE Projektmanagement G.m.b.H. & Co. SVILUPPATORE E general contractor CDS Holding S.p.A. dati Superficie totale di vendita: 42.000 mq Posti auto interrati: 2.500 cronologia Inizio lavori: 12/05/2015 Apertura: aprile 2017
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L’impianto è semplice: la grande piastra occuperà quasi completamente l’area a disposizione, disponendosi in maniera parallela rispetto a viale delle Nazioni e a via Copernico, seguendo quindi le principali scelte del masterplan Rogers nell’edificare i fronti sui due assi. Lo spazio principale sarà una galleria a doppia altezza, su cui si affacceranno le vetrine dei negozi, arricchito dalla luce zenitale che filtrerà dalle coperture in legno. La galleria disegnerà, seguendo la conformazione del lotto, un percorso a triangolo dividendo i vari blocchi di negozi e accogliendo i principali collegamenti verticali interni (scale e tappeti mobili) con i piani interrati dei parcheggi (2.500 posti auto complessivi). La food court con bar, fast food e ristoranti occuperà il vertice nord del triangolo, aprendosi verso viale delle Nazioni nell’ingresso principale del mall. Contestualmente all’avanzamento dei lavori, la proprietà sta procedendo ad attuare anche le opere compensative connesse, come il nuovo svincolo di via Vigasio. Dei principali aspetti architettonici e del linguaggio del progetto, dal punto di vista compositivo
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piuttosto interessanti dal punto di vista compositivo, tratteremo più approfonditamente una volta conclusi i lavori. Ad oggi, però, non possiamo non riscontrare come uno dei temi principali proposti dal piano Rogers, e cioè la grande varietà e compresenza di funzioni, sia oggi quasi in stand by, limitata per ora alla sola offerta commerciale (con il relativo e ormai classico plus legato agli spazi di ristorazione e per il tempo libero, multisala esclusa). La costruzione dell’ennesimo centro commerciale è quindi un’occasione persa per la città? A noi piace pensare a una occasione solo rimandata, ad una sorta di primo insediamento che dovrebbe e potrebbe fare da volano per i futuri ampliamenti previsti e per il completamento del masterplan. Come ci racconta Michele Segala, questa realizzazione non preclude nulla e lascia aperta ogni possibilità di realizzazione futura del comparto a sud. Sull’area nord rimane inoltre ancora una superficie edificabi-
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le potenziale residua sufficiente a costruire anche la torre principale nel vertice verso il Bauli. Il nuovo centro è, per così dire, sopralzabile: attendiamo fiduciosi e speranzosi. Certo è che il valore di un masterplan così vasto come quello di Verona sud stava anche nell’affrontare trasformazioni di enorme portata con un approccio complessivo ed unitario, evitando di lasciare la definizione della futura città come mero risultato della somma dei singoli interventi. La speranza, dunque, è che ciò che è iniziato con il nuovo centro commerciale sia uno dei primi tasselli di rigenerazione sia delle ex Officine Adige sia dell’intera Verona sud.
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Stefano Feriotti a Verona
Testo: Angela Lion
Classe 1956, Stefano Feriotti rientra tra le firme dei progettisti veronesi di matura esperienza. Distinto, dai modi cortesi, quando racconta dei suoi lavori sembra peccare di semplicità; li cita sommessamente quasi a non voler imporre la sua opera nel parlare tra colleghi. Un uomo umile, dalla grande personalità. Il legame con il disegno e la sua manualità attraverso gli strumenti del mestiere nascono dal padre e dall’aria tecnica che respira in famiglia: “a casa non mancavano certo le chine”, sottolinea sorridendo. La tesi in progettazione urbana, discussa nel 1981 presso lo IUAV assieme a Maurizio Massei, Giorgio Foggian e Silvio Leoni, ha come relatore il professor Domenico Bolla. Il progetto riguarda un’area di proprietà pubblica – dove oggi sorge parco di San Giacomo a Borgo Roma – ed è finalizzato alla realizzazione di più elementi funzionali: da residenze di edilizia convenzionata a spazi pubblici con tanto di piazza e teatro, dagli uffici di quartiere a una scuola elementare e professionale, dalle residenze per studenti fino alle biblioteche. Il tema, volto ad analizzare in maniera puntuale le peculiarità del luogo attraverso l’urbanistica per rivalutare brani della città periferica, contiene al suo interno un po’ tutto il bagaglio tipologico approfondito in quegli
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01. Da sinistra, lo staff dello studio: Luca Pomponio, Giulia Melchiorri, Stefano Feriotti e Matteo Sacchiero. In basso: proposta di variante al PRG di San Giovanni Lupatoto (1989), planivolumetrico. 02-05. Corte Maddalene, Verona (1989-2014): planimetria complessiva piano terra, dettaglio delle volte dell’interrato e vedute esterne. 03
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anni universitari. Completati gli studi, si cimenta nella professione con l’architetto Rinaldo Olivieri prima e con l’architetto Rosario Firullo poi. Nel 1982 con l’iscrizione all’Ordine professionale apre il suo studio – una stanza con finestra sul tecnigrafo – in Stal delle Vecie. Il primo lavoro è la riqualificazione di una filiale della Banca Popolare di Verona a Monteforte d’Alpone, nel 1983; l’anno successivo la partecipazione assieme ai colleghi Massei e Tullio Pighi al concorso di idee, che vincono, per la riqualificazione di una piazza a Bardolino. Si ritiene un professionista miracolato: “sono sempre venuti da me i clienti – dice con grande modestia – e sono stato libero di fare un’architettura senza imposizioni”. Anche i tempi hanno contribuito a dare spazio ad una maggiore facilità di dialogo soprattutto
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con le pubbliche amministrazioni. “Oggi questo non è più così immediato – evidenzia – poiché un progetto dipende per buona parte da una normativa molto complessa”. Un esempio significativo che lo ha visto protagonista in questo senso è la riqualificazione per l’ESU di Verona della Corte Maddalene, lavoro iniziato nel 1989 e conclusosi il 30 ottobre 2014 dopo ben 25 anni di attività. Periodo che ricorda molto bene poiché nello stesso arco temporale ha visto nascere e portare a termine gli studi accademici il suo secondogenito! Un iter lungo, lunghissimo e un articolato dialogo con gli enti, in particolare con la soprintendenza: il progetto, infatti, prevedeva in attuazione al piano di recupero convenzionato il restauro del complesso e la ricostruzione di alcuni elementi edilizi andati perduti all’inizio
del secolo scorso. L’indagine storica ha consentito di focalizzare gli elementi di permanenza dell’antico complesso conventuale, portando alla scoperta delle cantine originali caratterizzate da un’architettura ancora maestosa, seppur sottoposta alle ingiurie del tempo e dell’incuria. I rapporti con la committenza, sia pubblica che privata, sono negli anni di attività ottimi. Nel 1994 Feriotti firma assieme all’ingegnere Alessandro Melchiori la nuova sede italiana della ditta Wmf alla Bassona, in un’area che
piantapianta pianopiano primoterra
pianta piano secondo
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« L’opportunità di avventurarsi in un nuovo filone progettuale nel settore alberghiero si è rivelata assai fiorente con numerose strutture realizzate sul lago di Garda »
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fronteggia la statale del Brennero in prossimità dello svincolo autostradale di Verona Nord. Il complesso, destinato allo stoccaggio e al confezionamento di articoli per la casa, è diviso in due zone ben distinte per caratteristiche funzionali ed architettoniche: quella produttiva e quella direzionale. Le forme geometriche, i materiali costruttivi e i rivestimenti diversificati fanno da spartiacque: un rettangolo per il magazzino, struttura portante in calcestruzzo e tamponamento esterno in pannelli metallici Hoesch; a più livelli, anche interrato, la parte direzionale rivestita da
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06-07. Nuova sede del Comune di Garda (1999): fronte principale e piante piano terra e piano secondo. 08-09. Sede WMF Italia, ZAI Bassona, Verona (1994): veduta dell’attacco tra il magazzino e il corpo uffici, prospetti est, ovest e nord.
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10-12. Residenze Le Caravelle, Bardolino (2007): veduta del fronte a lago di uno degli edifici, planimetria generale, prospetti e sezioni dell’intervento.
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grandi elementi orizzontali in gres porcellanato scuro interrotti da sottili listelli chiari, ripresi anche in alcune parti interne. Coperture in rame, passerelle in acciaio, grandi serramenti in alluminio colorato, vuoti su pieni che si alternano, garantiscono la massima funzionalità ma soprattutto un dialogo armonico tra le parti. Non mancano nel curriculum dello studio
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gli appalti pubblici e i relativi “tormenti”. Il Municipio di Garda è l’ultimo lavoro del 1999 svolto in quest’ambito: mai prima d’allora l’ingerenza di un’impresa aveva assunto un peso così pressante, tanto che pur portando a compimento l’opera, fortemente sconcertato da una vicenda assai tormentata, Feriotti è sul punto di abbandonare la professione. Quando
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la decisione sembra essere ormai presa, dietro l’angolo si presenta l’opportunità di avventurarsi in un nuovo filone progettuale nel settore alberghiero, che si rivelerà assai fiorente con numerose strutture realizzate sul lago di Garda tra il 2000 e il 2010. Nasce così l’hotel Caesius, supportato dal lavoro con la committenza del gruppo alberghiero costituito da imprenditori turistici di grande professionalità nell’ambito delle strutture ricettive, volto alla progettazione dei canoni standard del luxury. L’esterno dell’albergo si presenta in una foggia semplice pur di garantire tutte le autorizzazioni a cui doveva essere sottoposto, poiché ricadente in zona sottoposta a vincolo paesaggistico; l’interno, invece, è grandioso e assai ricercato. L’area di recupero su cui insiste è una zona industriale dismessa, sede in tempi non recenti dell’Enopolio a Cisano di Bardolino. L’impianto planimetrico punta ad un’indicazione ordinata dei volumi da realizzare, privilegiando il rapporto con il paesaggio e in particolare i coni ottici di visibilità dello specchio lacustre. Le costruzioni differenziate
13-16. Hotel Caesius, Cisano di Bardolino (2001-06): dettaglio del fronte interno sul giardino, veduta generale del complesso, interno di una suite e planimetria d’insieme alla quota del giardino.
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per altezze e destinazione, caratterizzate da aspetti formali diversi in ragione delle funzioni ospitate, costituiscono un complesso armonizzato nell’intorno di pregio ambientale, recuperando nuova dignità ad una zona degradata ed in abbandono. La posizione degli edifici ed il loro andamento altimetrico consentono di mantenere un rapporto gradevole con il paesaggio circostante: i due corpi di fabbrica della parte ricettiva, distinti volumetricamente, si uniscono per mezzo di un passaggio vetrato al centro del quale saranno collocati i percorsi verticali costituiti da scale ed ascensori. Sempre a Bardolino in località Ca’ Nova sorge il complesso residenziale Le Caravelle. In questo caso Feriotti progetta il riordino edilizio dell’intera proprietà demolendo i tre corpi di fabbrica esistenti, di tre piani fuori terra. La loro sostituzione con edifici di dimensioni ed altezze più limitate diminuisce
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sostanzialmente l’impatto dell’edificato sul territorio. I tre corpi di fabbrica risultavano ben visibili sia dal lago che dalla strada statale nonostante la folta vegetazione presente sul lotto, proprio per le loro dimensioni e l’altezza. L’intervento si inserisce in un quadro molto più ampio di riuso del patrimonio edilizio esistente: la sostituzione degli attuali corpi di fabbrica con altri più rispondenti alle esigenze di contenimento energetico, di miglior qualità dell’abitare e di maggior rispetto del paesaggio. I corpi di fabbrica sono aggregati tra loro in due linee fondamentali, che seguono il declivio naturale del terreno adagiandosi ed integrandosi con lo stesso. I materiali sono quelli della natura: pietra e legno, elementi ‘primari’ dalle linee pulite, poco invasive, garanti del luogo. Così come accade per Corte Valier, altra imponente struttura alberghiera, al quale ridona un nuovo volto. Il progetto fondamentalmente è una variante di assestamento ad un progetto precedentemente autorizzato per la costruzione di una nuova struttura alberghiera nel comune di Lazise, in località La Pergolana. La struttura si riappropria di quella dignità formale tipica di un impianto già definito. La saggezza progettuale sta nel saper utilizzare elementi ‘semplici’ passando
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loro il testimone con il compito di tramandare il sapore della tradizione. Come la copertura realizzata utilizzando strutture arcuate metalliche che le donano un sapore liberty, i brise soleil in cotto a mascheramento delle facciate continue e la grande maglia metallica vuota a coronamento della immensa terrazza fronte lago. Un solo rimpianto in questo mare magnum progettuale, che lo ha visto impegnato anche nella redazioni di piani urbanistici: il P.R.G. di San Giovanni Lupatoto del 1989, redatto assieme a Claudio Forcato e a Rinaldo Olivieri. “Mi sarebbe piaciuto portarlo avanti per il collega Olivieri, scomparso nel mentre, e per i risvolti verso la cittadinanza. Fu un’intuizione che avrebbe coniugato per osmosi tre paesi distinti da tre strade distinte attraverso dei corridoi su tre piani urbani diversificati”. “Il progetto qualunque esso sia è sempre un compromesso – afferma Feriotti nella sua chiusa – e ci sono tanti bei compromessi! Tutto questo è stato possibile grazie alle persone che si sono avvicendate negli anni nello studio, e che hanno contribuito alla nascita di queste opere”.
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17-20. Hotel Corte Valier, Lazise (2006): planimetria generale, veduta della terrazza fronte lago, scorcio del prospetto delle camere prospicienti il giardino, veduta interna di uno spazio comune con dettaglio delle diverse cromie.
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{DiverseArchitetture}
Architettura per divertimento
La curiosa esperienza di un diversoarchitetto che è approdato al mondo dell’intrattenimento partendo dalla sua matita
Testo: Dalila Mantovani
Illustrazioni: Giacomo Tappainer
Nome GIACOMO TAPPAINER Luogo freelance verona/ Parma Attività concept designer Contatto www. tppnr.carbonmade. com
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L’inizio del racconto di Giacomo Tappainer
prende avvio da un parallelismo tra il suo lavoro e la pittura.
Per spiegarci di cosa si occupa nella
vita, Giacomo ci invita a visitare la
mostra sul Post Impressionismo al palazzo della Gran Guardia, sostenendo che sia un
ottimo spunto per cominciare a parlare di sé. La mostra è incentrata sul colore: il
suo utilizzo, la sua funzione, le tecniche pittoriche. Attraverso il colore Giacomo ci introduce nel suo mondo e ci racconta
costruzione, a dimostrazione del fatto
necessario affinché l’idea sia comprensibile
lasciato un notevole imprinting. Definisce
come per l’edilizia si preparano i disegni
che la formazione architettonica gli ha
ai modellatori 3D e ai renderizzatori, così
il suo ruolo di designer simile a quello
esecutivi per le imprese e i muratori.
del progettista, ovvero in grado di
Il suo mondo è quello virtuale, ma la sua
trasformare le idee di un committente in
abilità è reale e appartiene al mondo della
le diverse ambientazioni, gli stili, i
più volte attraverso la matita per essere
immagini, provando sui moltissimi bozzetti
grafica: ogni idea deve prima passare più e
caratteri e trovare infine una soluzione che
definita in maniera sufficientemente chiara da
metta d’accordo tutti i vincoli di progetto,
poter essere consegnata al mondo digitale,
e predisporre infine tutto il materiale
dove si mettono a punto una serie di tecniche
la sua interpretazione del disegno come un
mezzo di comunicazione visiva che accomuna architettura, arte e design.
Giacomo Tappainer è oggi un concept
designer, si occupa della parte più creativa del progetto, e il suo lavoro è quello di
dare una immagine grafica alle idee, storie o
sceneggiature che gli vengono proposte e che successivamente diventeranno dei prodotti
per intrattenimento di diversa natura, dai video pubblicitari ai videogiochi alle illustrazioni.
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Ma facciamo un passo indietro. Giacomo si
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01. Bozzetti pre-produzione per uno spot di un noto formaggio. Illustrazione di una scena topica e prove di possibili ambientazioni del caseificio. 02-03. Schizzi e modello digitale per ambientazione architettonica medioevale di un videogioco 04. Processo ideativo di un palazzo del futuro passando dai primi segni grafici, alla modellazione, colorazione digitale e inserimento di dettagli fotorealistici.
è laureato in Architettura alla Facoltà di
Ferrara, e dopo alcuni anni trascorsi a fare
pratica presso studi professionali, decide di dedicarsi totalmente al suo vero interesse
che è la rappresentazione grafica, e si mette alla prova cercando di applicare le sue
qualità non solo in campo architettonico ma
anche altrove. Vola quindi negli Stati Uniti per un corso di specializzazione e torna in
Italia per diventare un vero professionista della creatività, e fare della sua passione (e talento) il suo lavoro.
Oggi infatti lavora come freelance per
diverse agenzie di comunicazione, sia in
Italia che all’estero, produce e gestisce lo sviluppo di video animati per pubblicità, progetti per parchi divertimento,
ambientazioni di videogiochi o illustrazioni per l’editoria.
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Nello spiegarci dettagliatamente la
sua attività spesso utilizza paragoni
con il mondo dell’architettura e della
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{DiverseArchitetture} specifiche per affinare le immagini (pittura
digitale, collage di immagini, modellazione leggera).
Per unire le capacità di designer,
grafico e project manager Tappainer attinge molto dalla sua esperienza e formazione
architettonica: dietro ogni produzione c’è
una grande ricerca storica, architettonica e culturale riferita a un particolare contesto da riprodurre, all’interno del quale si
vuole raccontare una storia; i dettagli sono studiati fino alla maniacalità, tutti gli
oggetti, forme o colori e tratti che escono
dalla scena – o dai bozzetti - sono studiati e posizionati in maniera consapevole per creare situazioni che siano fantastiche
e credibili allo stesso tempo e sappiano rendere al massimo l’emozione di quella scena da rappresentare (l’acconciatura
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di un personaggio, la
forma di una casa, o la pavimentazione di una
piazza, l’arredo di un
negozio...). L’esperienza e la professionalità di
Giacomo sono decisamente riconosciute nel suo
ambiente, e può vantare ideazioni e produzioni
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pubblicitarie anche per
grandi marchi nazionali, tra le quali potremmo
05-07. Bozzetti preproduzione per lo spot di un prosciutto. Illustrazioni di alcune scene e prove delle possibili inquadrature e ambientazioni. 08. Prove grafiche e modello digitale del protagonista di un videogioco. 09. Studio e disegni a mano di una casa sulla cascata per ambientazione di un videogioco.
imbatterci semplicemente
accendendo la televisione. Raccontandoci il suo
lavoro, Giacomo apre una digressione sul disegno e sull’importanza della
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rappresentazione grafica. Descrive con
passione il significato della manualità
grafico: tenere la matita in mano su un foglio bianco costringe il disegnatore a pensare,
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elaborare, creare, ripensare, modificare senza nessun tipo di vincolo tecnico o
mentale. Il disegno è quindi uno strumento
educativo per riflettere e creare come nessun altro e in quanto tale si studia, si impara
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10. Bozzetto di ambientazione della scena principale di un video pubblicitario per una banca. 11. Illustrazione per l’ambientazione della scena di un video pubblicitario. 12. Bozzetti di studio per un video pubblicitario. 13. Illustrazione per l’ambientazione della scena di un videogioco.
attraverso la dedizione; lui stesso ha
dovuto apprendere molte cose da autodidatta impiegando molto tempo. Per svolgere il
suo lavoro ha dovuto maturare una grande
confidenza con la matita, una costante ricerca e consapevolezza del colore, la capacità di
ideare, che non sempre “arriva per caso” ma si affina e si sviluppa con l’esperienza e alcune tecniche del mestiere.
Alla fine del nostro incontro Giacomo
lamenta il dispiacere nel vedere il poco
valore che viene dato oggi nelle università all’apprendimento delle tecniche grafiche
manuali, messe da parte per fare spazio a
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quelle digitali. Ma se anche grandi pittori come Klimt, Picasso e Mondrian studiarono prima la rappresentazione dal vero per
arrivare all’astrattismo – rifacendoci alla
conversazione durante la visita alla mostra - così anche un grafico o un modellatore
digitale dovrebbe passare dalla pittura e dal disegno a mano prima di approcciarsi alle macchine, non per una nostalgia
degli strumenti, ma per un apprendimento
e una consapevolezza del proprio mestiere decisamente di altro (o alto) valore.
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Architetture per l’università
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Verona
Il recente recupero della Provianda di Santa Marta, potenziale estensione della cittadella universitaria attraverso il futuro parco della Passalacqua, induce a passare in rassegna i principali insediamenti architettonici dell’Università a Verona a partire dalle sue origini negli anni ‘60 fino ad oggi, nel tentativo di valutare il ruolo urbano di tale istituzione. La dicotomia tra scuole umanistiche a Veronetta e scuole scientifiche a Borgo Roma – a prescindere da alcuni altri interventi diffusi nella città – interpreta il ruolo che l’edilizia universitaria può avere, con maggiore o minor successo, nel tematizzare i luoghi e prefigurare possibili scenari urbani. A Veronetta, primo nucleo delle sedi universitarie, il tema da svolgere era sicuramente quello del recupero e riutilizzo di edifici storici fortemente danneggiati e con destinazioni originarie non sempre congrue, oltre a quello di una lungimirante visione dell’università come “campus” aperto alla città. A Borgo Roma, oltre alla messa in funzione di un dispositivo tecnico (ospedale-laboratori di ricercaaule), urgeva interpretare il tema del “bordo” urbano là dove la città andava perdendo la sua compattezza e si protendeva verso il paesaggio agricolo, ma anche il rapporto con il costruito o con le future edificazioni. Mentre appare più riuscito l’esperimento di Veronetta soprattutto rispetto all’integrazione che gli edifici universitari hanno avuto con il tessuto edilizio circostante, rimane da sottolineare il ruolo dei progettisti degli edifici, a partire dal consistente nucleo di interventi di Luigi Calcagni e Luciano Cenna fino ai premiati interventi di Massimo Carmassi. Testo: Giulia Bernini
Foto: Marco Totè e Alessandra Pelucchi
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1 1960-65 2013 PALAZZO GIULIARI Luigi Calcagni, Luciano Cenna Ugo Camerino Nucleo primigenio di quello che sarebbe divenuto, di lì a qualche anno, il complesso delle sedi universitarie a Veronetta, il nobile palazzo pervenuto attraverso un lascito alla nascente istituzione veronese fu oggetto a partire dal 1958 di un primo intervento di restauro e di riorganizzazione degli spazi interni. Tra questi lavori, comprendenti il risanamento strutturale e il rinvenimento di preziose testimonianze pittoriche, spicca ancora oggi la bussola di accesso che, accostando con sapienza cemento armato, vetro e profili metallici, riesce a trasformare i nodi materico-strutturali in raffinato segni. Divenuto da tempo insufficiente alle necessità didattiche e trasformato in sede del Rettorato e dell’amministrazione universitaria, nel 2013 il palazzo ha visto un ulteriore adeguamento funzionale ad opera dell’architetto Ugo Camerino che, senza scalfire la sua imponenza, ne ha ridisegnato alcuni tratti interni enfatizzandone i lineamenti per mezzo della luce. (cfr. «AV» 97, pp. 46-55).
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Foto: Lorenzo Linthout
2 1965 PALAZZO DI ECONOMIA Giulio Brunetta, Luigi Calcagni Con il progressivo aumento degli iscritti alla facoltà di Economia e Commercio, gli spazi ricavati a palazzo Giuliari si rivelarono ben presto inadeguati. Si provvide quindi alla costruzione a tempo di record di un nuovo stabile su progetto dell’ingegnere Giulio Brunetta, allora alla guida dell’ufficio tecnico dell’Università di Padova (da cui Verona ancora dipendeva). Caratterizzata da una semplicità stilistica delle linee improntata all’attualità, la nuova struttura fu attrezzata per accogliere 2000 studenti. Una sede moderna così come moderni erano i suoi connotati: cemento, ferro e vetro, con la grande vetrata del volume aggettante della biblioteca a coronarla. Dettaglio segnatamente felice è la ringhiera delle scale nell’atrio che si incurva ad offrire seduta agli avventori.
3 1971 CHIOSTRO DI PORTA VITTORIA Luigi Calcagni, Luciano Cenna Ultima traccia dell’antico convento dei Gerolamini, poi adibito a caserma, il chiostro di Porta Vittoria venne distrutto quasi interamente dai bombardamenti bellici. Concesso dal Comune all’ateneo nel 1970, fu oggetto di un rigoroso restauro che, accanto al recupero della struttura originaria superstite, ne ha ricomposto l’impianto. Sul lato mancante, al di sotto del solaio in laterocemento un delicato elemento metallico “a fil di ferro” traccia la sagoma delle antiche volte: un acuto esempio di preesistenza mantenuta con un intervento moderno. Di notevole impatto il taglio nella muratura fronteggiante l’Adige, come a voler ricucire con punti metallici la ferita sofferta.
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5 1977-1992 CHIOSTRO DI SAN FRANCESCO Luigi Calcagni, Luciano Cenna/Arteco
4 1999 ISTITUTI UMANISTICI Luigi Calcagni, Luciano Cenna
Pesantemente danneggiato e mancante di un lato, il chiostro è stato recuperato agli usi dell’università con un intervento realizzato in più stralci. Il progetto ha posto il tema della ricomposizione della spazialità storica tramite la ricostruzione dell’ala mancante mediante un nuovo volume a ponte, realizzato con una struttura in putrelle metalliche a vista, così da palesare il contributo moderno nella ricucitura tipologica del chiostro. La profondità della nuova ala, destinata superiormente ad uffici, è a sbalzo verso l’interno del
In parallelo alle esigenze di spazi in costante crescita e al reperimento delle risorse, vengono edificati per stralci successivi gli istituti, comprendenti aule ai piani bassi e spazi per la ricerca ai piani superiori. Posti all’interno dell’area compresa tra l’edificato storico e le mura, i nuovi blocchi compongono un parterre pedonale che ricrea, nei camminamenti tra le parti, l’atmosfera di un piccolo campus. Lo spirito dei tempi traspare dall’utilizzo di un’edilizia industrializzata, rispondente anche alle necessità di tempi di cantiere assai serrati. Le facciate sono caratterizzate da pannellature in cemento e serramenti a nastro metallici color minio; alcuni di questi sono integrati con il vetroflex, per donare luce diffusa alle aule senza disturbi da abbagliamento. Le scale di sicurezza sono portate all’esterno come elementi caratterizzanti, assieme ai tunnel di cemento sospesi tra i blocchi e traforati da oblò circolari. Nel 1979 venne integrato un secondo blocco, destinato alla facoltà di Lettere, collegato al primo attraverso due tunnel di cemento, sospesi nel vuoto del cortile, traforati da oblò circolari.
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chiostro per adattarsi alle funzioni da svolgervi. L’area sottostante, lasciata aperta per creare una continuità visiva con l’interno, rivela il ‘pozzo’ centrale: un affaccio, contornato alla base da colonne in marmorino viola, sulla sala lettura ipogea dell’adiacente biblioteca.
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1982 BIBLIOTECA FRINZI Luigi Calcagni, Luciano Cenna
1987-1993, 1999-2002 POLO ZANOTTO Arteco
L’ex chiesa di S. Francesco, già adibita a caserma in età napoleonica, venne fortemente manomessa dagli austriaci che realizzarono dei solai intermedi danneggiando irreparabilmente affreschi e fregi. A partire da tali condizioni, la sua riconversione a biblioteca ha considerato lo spazio come un contenitore svuotato, entro cui collocare un maestoso “castello in ferro”: un sistema completamente indipendente dalla muratura perimetrale, la cui imponenza lascia dei vuoti per mostrane l’effettiva spazialità. I rilievi divelti furono il più possibile recuperati ed enfatizzati, le colonne parzialmente ricostruite in cemento, la copertura a capriate riportata alla luce. Un’elegante linea disegna la traccia della precedente volta in muratura, ma sono i dettagli, come il profilo bordato dei gradini all’ultimo piano, a lasciar sopraffatti i fruitori.
Realizzato a completamento e chiusura dei precedenti blocchi per aule, il Polo Zanotto definisce il fronte del campus su via dell’Università, su cui prospetta il nuovo accesso segnalato da un corpo scale metallico a pianta ottagonale e da un percorso porticato. Il polo sopperisce all’esigenza di aule didattiche di grandi dimensioni, oltre ai consueti spazi per la ricerca ai piani alti e a un’ampia autorimessa interrata per docenti e personale. L’aula magna per 700 studenti è interamente rivestita in legno, ed è divisibile in due aule più piccole grazie a una pannellatura scorrevole posta al centro della sala.
8 1989 MENSA Arteco In luogo di una prima struttura demolita per lasciar spazio all’allungamento della manica delle aule, la nuova mensa viene posta a ridosso delle mura a completamento degli spazi aperti del campus. La pianta semicircolare dell’edificio definisce due ‘dischi’ sporgenti in corrispondenza dei solai, punteggiati da pilastri cilindrici esterni alla struttura che, al piano terra, rientra per creare un portico fruibile.
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9 1978-1987 TRIENNIO MEDICINA Luigi Calcagni, Luciano Cenna Con l’avvio del triennio della facoltà di medicina venne costruito il complesso degli istituti biologici, in adiacenza al Policlinico di Borgo Roma e a questo collegato da un ponte pedonale sul canale Giuliari. L’impianto a pettine, edificato in più tempi per corpi paralleli e sfalsati, è caratterizzato da un’edilizia industrializzata con grandi pannellature prefabbricate in cemento a vista per i fronti. Le sfaccettature cromatiche delle nervature verticali dei pannelli arricchiscono di chiaroscuri i prospetti, dove risaltano le finestre poste ad altezze sfalsate in corrispondenza delle grandi aule gradonate. Tunnel sospesi e forati da finestre ad oblò a collegamento tra i corpi di fabbrica richiamano quelli del
Polo Umanistico. L’edificio della biblioteca, articolata internamente su più livelli, e quello adiacente della mensa, riprendono i medesimi elementi compositivi e costruttivi degli altri edifici.
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10 1982-2004 POLO MEDICO Arteco Mario Bellavite (aula magna) Nuovi spazi per la didattica e la ricerca, legata indissolubilmente per la facoltà di medicina e chirurgia alle attività cliniche, sono realizzati all’interno del complesso ospedaliero di Borgo Roma. Un edificio a “lente” contenente due livelli di aule è innestato a margine della preesistente aula conferenze dell’ospedale, a sua volta poi integralmente ristrutturata. A partire
dagli anni ’80 sono stati poi integrati alla struttura esistente altri edifici contenenti anche laboratori di ricerca; per la facoltà di Odontoiatria, la “chiocciola” a pianta circolare, caratterizzata dal cortile centrale e dal rivestimento esterno di bianche piastrelle quadrate, porta a conclusione il sistema lineare dei corpi di fabbrica in addizione.
12 2001 PIRAMIDE Mario Bellavite Realizzato a collegamento – anche a livello di percorrenze interne – tra i due blocchi affiancati di Ca’ Vignal, l’edificio contiene una grande aula informatica e altri spazi di studio e di servizio agli studenti. Inizialmente prevista su più livelli, la Piramide deriva la sua conformazione dall’impianto ruotato di 45 gradi rispetto all’asse degli edifici adiacenti, e dalla copertura sfalsata, sorretta da una struttura in legno lamellare a vista e rivestita esternamente da lastre di zinco-titanio. Un interessante studio sui rivestimenti genera pareti esterne in pietra di Prun e pietra Serena, trattate con differenti lavorazioni a seconda delle facciate. Ampie vetrate illuminano generosamente le aule, così come gli spazi distributivi.
11 1991-1994, 1992-1999 CA’ VIGNAL 1-2 Maurizio Piva, Francesco Cerchia Successivo alla costruzione del Polo Medico, il complesso si compone di due blocchi affiancati: il primo ospita il Dipartimento di Biotecnologie, il secondo, aggiunto in seguito, i corsi di Informatica. Entrambi sono stati ristrutturati nel 2007 con la riqualificazione del seminterrato, consentendo così di trasformare i vani in aule aggiuntive. I due edifici sono caratterizzati da una pianta a “C” allungata e da facciate scandite da pilastri metallici tubolari verdi a vista. Nelle testate, gli elementi di congiunzione delle due ali della “C” sono segnati da una facciata a raso con piccole finestre quadrate e, al centro, da un serramento continuo a tutta altezza con copertura a due falde, che rende immediatamente riconoscibili gli ingressi.
Foto: Michele Mascalzoni
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2009, 2015 SANTA MARTA Massimo Carmassi, ISP
13 2007-2009 AUDITORIUM GIURISPRUDENZA Otto Tognetti, Khosrow Chodjai Abbassi Costruito nel vuoto compreso tra il palazzo ex Zitelle, sede della facoltà oggetto di precedenti lavori di restauro, e l’adiacente palazzo Montanari, l’auditorium di Giurisprudenza (265 posti a sedere) è impostato sulla figura geometrica derivante da due semicerchi che si stringono leggermente alla base, per garantire gli spazi di collegamento. Dall’esterno il volume troncoconico, sormontato da un tetto giardino, è arretrato dalla strada da un muro che ricuce il fronte con i due edifici confinanti, caratterizzato da un grande oblò e da una cornice di tufo. All’interno la sala è definita da una tessitura di mattoni a vista, mentre l’estradosso del volume negli spazi di circolazione è rivestito da lastre in marmo di Lasa lucido.
Con l’assegnazione da parte del Comune di Verona, che ne era venuto in possesso dal demanio militare, della ex caserma di Santa Marta (Panificio e Silos di Ponente), l’università affida una serie di studi progettuali a ISP, struttura dell’Università IUAV di Venezia, che si concretizzano con il restauro dei due edifici. La magnificenza degli edifici produttivi absburgici, giunti in buono stato di conservazione, viene esaltata nell’intervento di recupero che destina il Silos ad aule (cfr. «AV» 85, pp. 2531) e prosegue con il Panificio destinato ad aule, dipartimenti e a una grande biblioteca (cfr. «AV» 104, pp. 12-22). In entrambi i casi traspare il medesimo atteggiamento conservativo, coniugato dall’estrema pulizia e cura degli elementi funzionali e tecnologici aggiunti – collegamenti orizzontali e verticali, coperture delle corti, scale di sicurezza, partizioni interne – tanto da assicurare a Massimo Carmassi per il Panificio la Medaglia d’Oro per l’architettura italiana 2015 della Triennale di Milano di Milano.
Foto: Michele Mascalzoni
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Foto: ISP
EASYTECH, semplice
MONITORAGGIO
+
REGOLAZIONE
TEMPERATURE AMBIENTI ED ESTERNE
FLUSSO DATI
LA BACHECA DI AV
GESTIONE BREVETTATA EASYTECH
IN BASE ALLE LOGICHE BREVETTATE
IMPIANTO DI RISCALDAMENTO EASYTECH COMFORT INTERNO CON LA GESTIONE BREVETTATA D.E.R.
CONSUMI OTTIMIZZATI
LA BACHECA DI AV
Innovazione ed ecologia nel riscaldamento
SONDA AMBIENTE
SONDA ESTERNA
SONDA PAVIMENTO CONTROLLER EASYTECH
Il Sistema di riscaldamento Easytech si compone di pochi elementi e non utilizza alcun tipo di fluido, ma la sola energia elettrica con il conseguente vantaggio di essere composto di soli elementi statici non soggetti a perdite o rotture. Il Sistema permette a qualsiasi committente, pubblico o privato, di gestire e controllare in maniera precisa e reattiva il funzionamento degli impianti ad esso collegati. Introduce di fatto un cervello che, utilizzando software basati su logiche brevettate DER (Dynamic Energy Release), è capace di apprendere, correggere ed adattarsi alle diverse esigenze, garantendo sempre il massimo benessere, con il minor dispendio di energia. REATTIVO! Un impianto che raggiunge alla temperatura desiderata quando lo decidi tu. SEMPLICE! Componentistica ridotta, posa facilitata, efficienza massimizzata e... nessuna manutenzione. EFFICIENTE! Efficienza raddoppiata rispetto ai sistemi tradizionali: le logiche brevettate DER garantiscono una regolazione ottimizzata e un benessere unico.
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CONFORTEVOLE! La gestione singola di ogni ambiente permette di riscaldare solo dove e quando è necessario, eliminando gli sprechi energetici. IRRAGGIAMENTO! Un calore ottimale ed uniforme garantito dall’irraggiamento. Il conduttore termico radiante non emette campi elettromagnetici. RESPONSABILE! Un progetto davvero consapevole e rispettoso verso il pianeta e le persone che ci vivono. Il sistema è riciclabile al 99%.
EASYTECH SRL via TORRICELLI 35/E 37136 VERONA tel 045 4936 393 fax 045 4750 293 www.EASYTECHSOLUTION.IT info@EASYTECHSOLUTION.it
2015 #02 #03 2016
EERA Contest 2016: vince “Stanza da bagno per un uomo” di studio wok”
Marcello Bondavalli, Nicola Brenna e Carlo Alberto Tagliabue di studio wok (Milano) sono i vincitori del concorso di interior design “Il bagno minimo: funzionalità ed estetica nel limite di 6 mq” lanciato in febbraio da EERA – unico atelier italiano dedicato alla pietra per il mondo wellness, Spa e bagno – con il patrocinio dell’Associazione per il Disegno Industriale (ADI) delegazione Veneto e Trentino Alto Adige. Il progetto vincitore del concorso, che si poneva l’obiettivo di valorizzare l’utilizzo del marmo nell’ambito di un tipico appartamento residenziale cittadino, è stato selezionato tra oltre 66 proposte progettuali provenienti da tutta Italia da parte di una
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giuria presieduta da Marco Zito, architetto e designer, professore associato di Design del Prodotto presso l’Università IUAV di Venezia, e composta da: Oscar G. Colli, co-fondatore e editorialista de Il Bagno Oggi e Domani, membro dell’Osservatorio Permanente del Design presso ADI; Alessandro Lolli, direttore di Design Context; Michela Baldessari, designer, membro direttivo di ADI – delegazione Veneto e Trentino Alto Adige, docente di Storia del Design presso Libera Accademia di Belle Arti di Brescia; Laura de Stefano, architetto, consulente eventi culturali Marmomacc; Alberto Salvadori, art director EERA. «‘Stanza da bagno per un uomo’ esprime, attraverso un sistema modulare leggero, le potenzialità spaziali del piccolo ambiente e allo stesso tempo la coerente applicazione dei materiali lapidei» spiega Marco Zito, presidente di giuria. «L’immagine ottenuta crea così un’inedita impressione di leggerezza e flessibilità degli spazi. Interessante, inoltre, la potenziale facilità di esecuzione del sistema e il conseguente adattamento ad ambienti di dimensioni variabili». Il progetto di studio wok, che prende spunto dalle lezioni dei maestri del primo Novecento quali Franco Albini,
Gio Ponti e Le Corbusier, affronta il tema degli spazi sempre più ridotti dell’abitare contemporaneo proponendo una soluzione di ricerca in cui la parete del lavabo, integrata con un sistema a traliccio, diventa una quinta scenica dove aggiungere e cambiare elementi e oggetti del quotidiano. «Con l’evolversi della società mutano anche i bisogni dell’individuo e quindi le forme dell’abitare» ha spiegato Marcello Bondavalli, uno degli autori. «La condizione di intimità tipica della stanza da bagno può essere arricchita da nuovi usi non consueti: deve diventare uno spazio fruibile mutevole dove rilassarsi seduti su una panca, leggere un libro, prendersi cura di sé stessi dando vita ad un nuovo concetto di wellness fisico e mentale». A breve partirà la realizzazione del progetto vincitore presso lo showroom EERA, in stretta collaborazione con gli autori. In autunno avrà luogo un evento di presentazione in cui verranno esposte tutte le tavole dei progetti pervenuti. Il concorso “Il bagno minimo: funzionalità ed estetica nel limite di 6 mq” scaturisce dalla volontà di EERA soluzioni in pietra per l’architettura – azienda nata dalla passione
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e dall’esperienza Cev Marmi&Graniti per la lavorazione della pietra – di coinvolgere gli “addetti ai lavori” in un progetto che sia in linea con i propri valori. Lo showroom EERA è un luogo di incontro per architetti e designer, un vero e proprio laboratorio di conoscenze e progetti, dove la materia prima trova la sua massima espressione in creazioni uniche.
EERA soluzioni in pietra per l’architettura via Gesso 20 37010 Sega di Cavaion (VR) Tel +39 045 6864326 Fax +39 045 6860315 www.eera.IT INFO@EERA.it
LA BACHECA DI AV
Gli esiti della nuova edizione del concorso di interior design promosso da EERA soluzioni in pietra per l’architettura
Cari lettori RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959
RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959
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circuito — Il gioco delle prospettive — Passeggiate urbane — Abitare tra il
ISSN 2239-6365
Quarta edizione — Anno XX — n. 3 settembre/dicembre 2014 — Autorizzazione del tribunale di Verona n. 1056 del 15/06/1992 Poste Italiane spa — spedizione in abb. postale d.i. 353/2003 (conv. in I.27/02/2004) — art. 1, comma 1, dcb verona
la coperta troppo corta — Lavori in corso: Provianda Santa Marta — Itinerario: Libero Cecchini in Lessinia.
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