L’Ordine di Verona:
I primi cento iscritti
1 Ettore Fagiuoli
2 Francesco Banterle
3 Antonio Grigoletto
4 Giovanni Chineri
5 Giovanni Fregno
6 Antonio Magnaguagno
7 Marcello Zamarchi
8 Marcello Guarienti
9 Marino Padovani
10 Federico Faccioli
11 Raffaele Benatti
12 Alberto Villa
13 Flavio Paolo Vincita
14 Alberto Avesani
15 Bruno Ronca
16 Carlo Vanzetti
17 Libero Cecchini
18 Leone Felici
19 Vittorio Filippini
20 Angelo Manzini
21 Carlo Mutinelli
22 Bruno Milotti
23 Cesco Romeo Loro
24 Ottorino Ortensi
25 Liegi Bruno Padovani
26 Gianfranco Bari
27 Gino Fainelli
28 Gino Bertolini
29 Danilo Pavan
30 Giuseppe Bocca
31 Mario Rogolotti
32 Fernando Cazzaniga
33 Francesco Minocci
34 Luciano Foroni
35 Ivo Maretti
36 Gaetano Luciani
37 Guido Trojani
38 Gelindo Giacomello
39 Francesco Spelta
40 Giacomo Stella
41 Antonio Tosini
42 Giovanni Barbesi
43 Lorenzo Rosa Fauzza
44 Oreste Valdinoci
45 Luigi Calcagni
46 Luciano Cenna
47 Giovanni Lonardelli
48 Arrigo Cugola
49 Antonio Pasqualini
50 Bruno Bertelé
51 Saveria Paglialunga
52 Luigi Cottinelli
53 Stefano Mastruzzi
54 Alessandro Mendini
55 Corrado Lonardoni
56 Mario Cazzaniga
57 Maria Basello
58 Maria Stella Pasti
59 Andrea Ianni
60 Rosario Firullo
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Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959
61 Luigi Malgarise
62 Ottorino Tognetti
63 Carla Tagliaferri
64 Angelina Regaiolo
65 Claudio Bassani
66 Adolfo Poltronieri
67 Gianni Perbellini
68 Augusto Gonzato
69 Rinaldo Olivieri
70 Giuseppe Nori
71 G.C. Pellegrini Cipolla
72 Onorio Trevisan
73 Arrigo Rudi
74 Lidia Boileau
75 Carlo Alberto Ruffo
76 Gianpaolo Palatini
77 Alfonso Galdi
78 Giorgio Ugolini
79 Francesco Mendini
80 Grazia Zambelli
81 Francesco Caprini
82 Luigi Rosa
83 Romualdo Cambruzzi
84 Natalia Da Madice
85 Giorgio Garau
86 Marco Lucat
87 Giuseppe Nardi
88 Anna Barbara Omizzolo
89 Anna Maria Padovani
90 Roberto Roveggio
91 Lauro D’Alberto
92 Renato Dal Maso
93 Bruno Padovani
94 Giorgio Solero
95 Leonardo Clementi
96 Tullo Galletti
97 Vincenzo Pavan
98 Italo Donadelli
99 Loris Annibale Fontana
100 Giacomo Turco
Terza edizione — Anno XXXII n. 1 Gennaio/Marzo 2024 Autorizzazione del Tribunale di Verona n. 1056 del 15/06/1992 Poste Italiane SpA — Spedizione in Abbonamento Postale –70% NE/VR –ISSN 2239-6365
CONSIGLIO DELL’ORDINE
• Presidente
Matteo Faustini
• VicePresidenti
Paola Bonuzzi
Cesare Benedetti
• Segretario
Chiara Tenca
• Tesoriere
Leonardo Modenese
• Consiglieri
Andrea Alban, Michele De Mori, Andrea Galliazzo, Alice Lonardi, Roberta Organo, Fabio Pasqualini, Francesca Piantavigna, Leopoldo Tinazzi, Enrico Savoia, Alberto Vignolo
Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959
Terza edizione • anno XXXII n. 1 • Gennaio/Marzo 2024
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Matteo Faustini
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QUESTO NUMERO È DIRETTO DA Federica Guerra
REDAZIONE
Angela Lion, Luisella Zeri, Marzia Guastella, Laura Bonadiman, Filippo Romano, Leopoldo Tinazzi, Giorgia Negri, Federico Morati, Luca Ottoboni, Alice Lonardi, Alberto Vignolo rivista@architettiverona.it
ART DIRECTION, DESIGN & ILLUSTRATION
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EDITING & IMPAGINAZIONE
AV studio
CONTRIBUTI A QUESTO NUMERO
Luciano Cenna, Michele De Mori, Silvia Pasti, Alessandro Pasti, Valeria Rainoldi
CONTRIBUTI FOTOGRAFICI
Lorenzo Linthout
SI RINGRAZIA
Federica Provoli
Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.
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23 EDITORIALE Cento di questi architetti di Federica Guerra 024 REGISTRO Uno a cento 028 ODEON Un Ordine, un territorio di Michele De Mori 072 Alta formazione di Federica Guerra 078 Ordine in genere di Marzia Guastella 081 Uno a mille: spigolature di Alberto Vignolo 083 Ci mette il becco LC: “Non abbiate fretta” di Luciano Cenna 087 PORTFOLIO Trentaquattro per cento 088 136
Testo: Federica Guerra
Foto: Lorenzo Linthout
Cento di questi architetti
Le motivazioni e il processo alla base di questo numero di «Architetti Verona» che mette da parte la consueta struttura per dare forma a un unicum d’occasione
Non è questione di anniversari. È vero, il 2023 è stato preso a pretesto come centenario della nascita degli Ordini in Italia, ma le date sono ambigue: la legge che istituisce gli Ordini degli Architetti e Ingegneri è del 1923 – saremmo quindi in ritardo per i festeggiamenti del centenario!
– ma l’Ordine di Verona nasce nel 1926 – e saremmo allora in anticipo per le celebrazioni.
Il motivo per cui la redazione di «Architetti Verona» ha deciso di proporre una ricognizione dei primi cento iscritti all’Ordine, più che dei primi cento anni, è quella di provare a parlare dell’evoluzione della nostra città attraverso un punto di vista diverso: il punto di vista di chi quei cambiamenti li ha realizzati attraverso la propria attività professionale. Per una volta provare a pensare gli architetti come protagonisti delle trasformazioni della città, ma parlandone nello specifico, nominandoli uno ad uno e per ognuno capirne il ruolo (dentro e fuori la categoria), il campo di attività (l’edilizia privata, quella pubblica, l’urbanistica), la formazione (la provenienza, gli studi universitari), il ruolo spesso avuto dentro le istituzioni (compreso proprio l’Ordine), l’area geografica in cui hanno esercitato la professione e
« Per una volta provare a pensare gli architetti come protagonisti delle trasformazioni della città, ma parlandone nello specifico, nominandoli uno ad uno »
quindi volgendo anche uno sguardo extra moenia , insomma provando a conoscerli più da vicino per capire un po’ nostalgicamente “come eravamo” ma anche per sistematizzare una serie di informazioni, forse ancora disperse, che risultino strumento per rafforzare il senso di appartenenza ad una comunità, la comunità degli architetti. E solo da ultimo anche per celebrare, a nostro modo, i nostri primi 100 anni. Queste erano le intenzioni. Ma come spesso accade tra il dire e il fare…. La redazione ha affrontato una mole di lavoro che sicuramente all’inizio nessuno di noi immaginava. I cento nomi sono stati dapprima “depurati” delle figure più note e rappresentative, gli architetti che tutti conosciamo – li abbiamo chiamati “i nomi noti”, i vari Fagiuoli, Cecchini, Rudi, ecc – per
i quali era necessario fare un lavoro di selezione delle informazioni, di sintesi e di ricognizione delle fonti. I rimanenti nomi sono stati divisi in slot assegnati a un referente, che ha iniziato una ricerca puntuale per ricostruire, spesso attraverso indizi, deboli tracce, scarne informazioni, le diverse figure professionali: un lavoro certosino che in alcuni casi ha dato grandi soddisfazioni, come scoprire lo sconosciuto progettista di un edificio, ricostruire le collaborazioni tra diversi architetti e ricomporre quindi l’ambiente culturale di un periodo, rintracciare i contributi di qualche outsider al progetto di un capofila, o ancora accorgersi di qualche errata attribuzione di un opera. E poi scoprire che gli architetti mantovani in un primo momento si dovevano iscrivere a Verona perché il loro Ordine sarà fondato solo nel 1981 e, persino, rintracciare tra quei primi cento anche qualche nome eccellente, come Alessandro Mendini, designer internazionale originario di Villafranca e quindi iscritto inizialmente a Verona. Tra le scoperte più interessanti, l’individuazione del primo iscritto all’Ordine – quando era ancora unificato per architetti e ingegneri –non in Ettore Fagiuoli come riportato
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nella numerazione riepilogativa fatta nel dopoguerra, ma un personaggio dimenticato, quell’Aldo Goldschmiedt, ebreo, epurato dall’albo regionale a seguito delle leggi razziali, a cui abbiamo dedicato un profilo “senza numero” a parte. Via via che il lavoro di ricerca si affinava capivamo, tuttavia, che per alcuni nomi non sarebbe stato possibile, a questo livello della ricerca, trovare informazioni sufficienti. Li abbiamo chiamati un po’ cinicamente “i fantasmi”: sono figure professionali che gli indizi ci dicevano essere stati attivi in città o in provincia ma per i quali, per ora, non è stato possibile ricostruire un ritratto.
La biografia di ciascun architetto non è ovviamente esaustiva della sua attività: si basa sulle fonti consultate, con i limiti che questa attività ha avuto, sulle interviste fatte a chi li aveva conosciuti, familiari o colleghi se possibile, su archivi più o meno noti e consultabili. Dobbiamo, per esempio, un tributo alla catalogazione fatta del Fondo U.D.I.D. (Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette) che ha restituito una selezione di interventi edilizi con il relativo autore (ne abbiamo parlato su «AV» 111, 2017), o al portale arcover.it che ha iniziato a catalogare il patrimonio archivistico del Comune, dell’Archivio di Stato e di quello del Consorzio Z.A.I. (cfr. «AV» 128, 2022). Molte delle altre fonti consultate sono lacunose: spesso non danno rimandi precisi alla geolocalizzazione degli edifici, altre mancano dell’attribuzione all’autore rendendo questo lavoro solo l’ inizio di un’operazione molto complessa che auspichiamo possa essere implementata.
E poi, ovviamente, dobbiamo un tributo importante ai diversi testi redatti sulla storia di Verona, che riportiamo in una bibliografia generale a margine. Man mano che ci addentravamo nelle biografie dei diversi personaggi sentivamo però la necessità di ritornare a uno sguardo d’insieme, capire il contesto da cui erano scaturiti i profili dei diversi architetti, ricostruire le circostanze generali.
Da questa necessità sono nati i saggi che accompagnano le diverse biografie: quello sulle scuole di architettura, per chiarire la formazione scolastica che avevano avuto i primi iscritti, quello sulle donne architetto, un punto di vista trasversale che ci riporta ai nostri giorni, quello sugli iscritti oltre i primi cento, per non dimenticare che la storia continua, e quello sui rapporti tra l’Ordine e la città nel corso di questi cento anni, perché è questo che alla fine dà un senso alla nostra appartenenza corporativa. E poi non poteva mancare il commento di Luciano Cenna, decano degli architetti veronesi, che con la solita arguzia e lungimiranza, riflette sul futuro delle nuove generazioni.
Abbiamo voluto concludere il numero con un portfolio di immagini, una selezione di alcune opere tra quelle dei nostri cento architetti: vanno lette nel loro insieme, e ci sembra diano un ritratto inedito e significativo del periodo di formazione della città contemporanea, suscitando in tutti noi un senso di gratitudine per il loro lavoro.
I prossimi cento anni potranno dire altrettanto di noi? •
§ 03 Antonio Gregoletto
Villa Biondani in via Albere, Verona. Particolare della facciata.
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§ 49 Antonio Pasqualini
Condominio in via Vespucci Verona, 1966-70 (foto di Lorenzo Linthout)
Uno a cento
La sequenza dei numeri di iscrizione all’Albo e dei nomi ricostruisce uno spaccato degli architetti veronesi - e non solo - dal dopoguerra alla fine degli anni Sessanta
2024 #01 REGISTRO 28
01 Ettore Fagiuoli
Primo della lista, ma anche senza dubbio il più noto e documentato tra gli architetti veronesi del Novecento.
Ettore Fagiuoli nasce nel 1884 a Verona, dove frequenta studi classici presso il Liceo Scipione Maffei e grazie all’attività del padre ingegnere si interessa fin da giovane all’edilizia. Questo lo porta a frequentare prima il biennio in ingegneria all’Università di Padova e successivamente il Politecnico di Milano, dove consegue la laurea in architettura nel 1908. Inizia la sua carriera proprio a Milano, collaborando negli studi di Luigi Broggi e Cesare Nava. La cultura architettonica milanese entro cui si forma, caratterizzata da un’idea di città all’insegna di solidità e decoro, rimane leggibile nelle sue opere per circa un ventennio. Nel 1913 ritorna a Verona dove inizia una collaborazione con la Soprintendenza ai monumenti; all’attività di architetto affianca quella di incisore e di scenografo, testimoniata dalla progettazione di scenografie per le stagioni areniane dal 1913 al 1950.
Il linguaggio romantico che esprime nelle scenografie trova un corrispondente nell’adozione del “pittoresco” in architettura: lo sono i villini che realizza nell’area di Borgo Trento a Verona a partire dal 1910. In viale Nino Bixio degni di nota sono gli edifici Bassani (1910), Cipriani (1911) e Tedeschi (1914). Dello stesso periodo anche la tomba Wallner al Cimitero Monumentale (1912).
Nel corso degli anni Fagiuoli attinge a linguaggi che vanno dal floreale al déco, dall’eclettismo al tradizionalismo, dal novecento al razionalismo. Risalgono già ai primi anni di attività alcuni dei lavori più noti, come il restauro e completamento del campanile del Duomo di Verona (1914-19) – realizzato nel 1927 ma rimasto incompiuto della cuspide – e il Palazzo delle Poste (1922-26), per il quale disegna anche la maggior parte degli arredi e le sale aperte al pubblico. Fra le opere di committenza pubblica si ricorda la partecipazione al concorso per la nuova sede della Cassa di risparmio di Verona in piazza Erbe a Verona (1913, 3° classificato).
Durante la prima guerra mondiale rimane per un anno sull’altopiano di Asiago come ufficiale del Ge-
nio, per spostarsi poi a Roma in qualità di architetto militare. Nel 1922 riceve la nomina di cavaliere dell’Ordine della Corona. Dopo l’intervallo della guerra partecipa alla ricostruzione e disegna monumenti ai caduti: il più noto è quello a Cesare Battisti sulla collina del Doss di Trento, inaugurato nel 1935; ispirato al mondo classico è costituito da un alto basamento su cui poggia un colonnato circolare. Rientrato a Verona realizza il Garage Fiat di via Manin, tra il 1916 e il 1920, innovativo nell’uso di materiali come il cemento e nelle ampie superfici vetrate. Il recupero di quest’architettura sarà oggetto di un ampio dibattito a partire dagli anni Novanta sulle pagine di «AV».
Il legame con l’architettura storica segna tutta la produzione degli anni Venti, con una riproposizione di schemi e simmetrie rinascimentali dapprima su numerosi villini, proseguendo con interventi sulle preesistenze storiche, come villa Betteloni-Fagiuoli a Castelrotto di Valpolicella (1925) e palazzo Boggian (1927). Fagiuoli spicca inoltre tra gli architetti che contribuiscono all’attuale assetto del ghetto ebraico veronese, demolito tra il 1924 e il 1930. Suo il completamento del tempio israelitico, di gusto eclettico con una commistione di elementi barocchi e romantici, completato nel 1929. Membro della Commissione esecutiva incaricata del restauro di Castelvecchio (1925-26), ha un ruolo significativo nella definizione dell’immagine dell’edificio. Negli stessi anni vince assieme all’ing. Ferruccio Cipriani il concorso per il Ponte della Vittoria in memoria dei caduti veronesi, indetto per collegare il nuovo quartiere Trento al centro storico cittadino, e interviene nella sistemazione del complesso maffeiano (1928-29).
Durante gli anni Trenta, le varie esperienze in gruppi di lavoro per concorsi nazionali di piani regolatori (es. Pisa 1930 e Verona 1931-32), portano a una sua svolta purista. Prova di una sempre maggiore sensibilità agli influssi razionalisti è Villa Girasole a Marcellise (1933-1935), edificio girevole in cemento armato, per la quale Fagiuoli collabora per la parte architettonica con Angelo Invernizzi, committente e progettista.
Durante la seconda guerra mondiale Fagiuoli deve lasciare Verona per motivi politici legati alla militanza fra i partigiani di uno dei figli, rifugiandosi a Genova dove è ospite proprio di Invernizzi. Qui si dedica soprattutto all’attività di acquafortista. Alla fine della guerra si occupa principalmente di restauro e interventi di ricostruzione: propone progetti per il teatro Filarmonico (1948) e per il ponte della Vittoria a Verona (1951), nei cui pressi realizza il grande condominio “con sottopassaggio”. Tra gli ultimi progetti realizzati, la chiesa parrocchiale di Golosine (1955-56) e nel 1958 la sede del liceo Maffei, fortemente criticata proprio sulle pagine dei primi «AV».
Ettore Fagiuoli muore a Verona il 19 marzo 1961; un elevato numero di suoi disegni e progetti sono conservati al Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma, numerose acqueforti nella Biblioteca Civica di Verona e bozzetti per scenografie presso la Fondazione Arena di Verona. (L.B.)
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AA.VV., In memoria dell’architetto Ettore Fagiuoli (1884-1961), in «AV» 11, I serie, marzo-aprile 1961, pp. 3-13
AA.VV., Ettore Fagiuoli, CSAC dell’Università di Parma, etc., 1984
AA.VV., Ettore Fagiuoli 1884-1984, numero monografico in occasione del centenario della nascita, AV» 09, II serie, gennaio 1985
S. Ferrari, Il tempio Israelitico, L’Accademia Filarmonica, Il Palazzo delle Poste, in «AV» 38, settembreottobre 1998, pp. 17-26
M Vecchiato, Il ponte della Vittoria e La Casa della Gioventù Italiana del Littorio, in «AV» 39, novembre-dicembre 1998, p.21-22; 27-28
02 Francesco Banterle
È uno dei principali protagonisti dell’architettura del Novecento a Verona, favorito dal clero e dalla borghesia veronese. All’anagrafe Francesco Giuseppe Maria, nato nel 1886 a Milano da genitori veronesi, si diploma in architettura al Regio Istituto Superiore di Belle Arti di Bologna nel 1916, iscrivendosi all’albo nel 1928. Il clima dipendente dai secessionisti viennesi connota le sue prime opere, come la palazzina per uffici delle acciaierie Galtarossa (1920) e la sede del Dopolavoro ferroviario in via XX Settembre (1921). Nel contempo i progetti per edifici residenziali, villini o palazzine, guardano al carattere proprio dell’età rinascimentale: in tal modo si configurano gli edifici realizzati negli anni Venti nei quartieri di espansione.
Numerosi anche gli incarichi per il recupero di edifici pubblici, tra questi nel 1925 il progetto non realizzato per la sistemazione della facciata del palazzo comunale su piazza delle Erbe. Nel 1924 collabora alla stesura del piano urbanistico del demolito ghetto ebraico, attraverso l’inserimento quasi mimetico degli edifici all’interno del contesto urbano. Controcorrente il cosiddetto Superpalazzo (1930) in via Mazzini, opera dal linguaggio eclettico il cui nome deriva dal volume fuori scala che lo contraddistingue.
Nel 1931 vince il concorso per la costruzione del Palazzo del Mutilato, terminato nel 1934, per il quale collabora con il fratello Ruperto, scultore, autore dei due gruppi scultorei che affiancano il portale di ingresso; al suo interno si conservano ancora molti degli arredi lignei, anch’essi progettati da Banterle. Nel 1934 partecipa con Marcello Guarienti (§ 08) e il fratello Ruperto al concorso per il Palazzo Littorio a Roma. L’asciutto monumentalismo di stampo novecentista che caratterizza questo progetto si ritrova nella sede degli uffici FRO in piazza Cittadella (1935-37), nella Casa dei Buoni Fanciulli a San Zeno in Monte (1936, con M. Guarienti) e in villa Galtarossa (1941-47). Numerose anche le commesse di edifici religiosi, tra cui le parrocchiali del quartiere Pindemonte di Verona (1930-33), di Pazzon di Caprino Veronese (1934) e la ricostruzione
della chiesa di Santa Maria Immacolata in via San Marco a Verona (1946).
Nel secondo dopoguerra dedica la sua attività soprattutto all’edilizia privata, con interventi in contesti residenziali preesistenti e di nuova costruzione. In questa fase matura il linguaggio diventa più sobrio e funzionale, come per il progetto di abbattimento e ricostruzione del condominio Lonardi in Lungadige Rubele (1954).
Banterle muore a Verona nel 1972; quanto resta del suo archivio professionale è conservato presso la sua abitazione privata ed è costituito principalmente da fotografie e un esiguo numero di disegni. (L.B.)
A. De Bonis, M. Vecchiato, Il Dopolavoro Ferroviario e La casa del Mutilato, in «AV» 39, novembredicembre 1998, pp. 15-16; 25-26
S. Lodi, A. Vignolo, Ricognizioni su Francesco Banterle, in «AV» 108, gennaio-marzo 2017, pp. 96-103
03 Antonio Gregoletto
Attivo professionalmente negli stessi anni dei più noti Fagiuoli (§ 01) e Banterle (§ 02), porta a compimento una mole di progetti sicuramente paragonabile a quella dei più blasonati colleghi. Trevigiano di nascita (1890), Gregoletto si diploma all’Istituto di Belle Arti di Bologna, presso cui svolge anche l’incarico di professore di Disegno Architettonico e dove probabilmente entra in contatto, proprio attraverso Banterle diplomato negli stessi anni, con l’ambiente veronese. Inizia la sua attività a Verona a partire dal 1923, prima ancora dell’iscrizione all’Ordine avvenuta nel 1928, con una delle sue opere più interessanti, la Villa Cuzzeri in viale Nino
2024 #01 REGISTRO 30 Uno a cento
Bixio, che gli vale la pubblicazione sulla rivista torinese «L’Architettura Italiana». A partire da questa prima opera il suo stile eclettico, tra Settecento e Liberty, tra Medioevo e Art Nouveau, si asciugherà nella produzione successiva in una cifra più sobria che si rifà piuttosto a elementi Novecentisti. Numerosissime le sue realizzazioni nel nuovo quartiere Trento: la palazzina Gelmetti di via Rovereto 10 (1924), la palazzina di via Garibaldi 5 (1930), la palazzina di via Sirtori 16 (1925), la propria abitazione in via Prato Santo 21 (1933) e quella sul Lungadige Matteotti 5 (1935). Altre opere sono rintracciabili in tutti i quartieri di prima espansione, in Valdonega – Palazzo Benini di Via Quarto 16 (1934), Palazzo Martini di via Marsala (1935) - ma anche in Borgo Venezia – Palazzo Bacilieri di Via Pisano 60 (1924), Palazzo Girardi di via P. Caliari 32 (1935). E ancora, le ville Biondani in via Albere 2 e villa Manzati in via Monte Grappa 23. Questo non esaustivo elenco è indispensabile per inquadrare l’importante contributo di Gregoletto, in termini di quantità e di qualità del costruito, alla realizzazione della Verona anteguerra e il passaggio lento ma costante tra tradizionalismo e prime avanguardie; non si hanno invece testimonianze della sua attività nel dopoguerra. Si dimette dall’Ordine nel 1964 e muore a Verona nel 1975. (F.G.)
(s.a.), «L’Architettura Italiana», 1925, fascicolo 12, dicembre 1925
04 Giovanni Chineri
Solo pochi dati anagrafici restano della figura di questo architetto trentino, il più anziano degli iscritti all’Ordine di Verona – nato nel 1880, anche se la sua iscrizione risale solo al dopoguerra – di cui non è possibile ricostruire la carriera professionale se non tramite un commosso ricordo che ne fa su «AV» Guido Trojani in occasione della sua scomparsa, avvenuta a Verona nel 1960.
Legato probabilmente da personale amicizia, Trojani ne ricorda, oltre al Diploma di Baumaister ottenuto a Vienna, la lunga carriera come architetto eclettico, di gusto accademico, impegnato sia in
opere di restauro sia di nuova edificazione, di cui tuttavia non restano tracce documentate. “Uomo di buona cultura umanistica e di viva arguzia, nel suo lento interloquire citava volentieri a memoria poeti latini, storici e politici di tutti i tempi. Aveva collaborato, in gioventù, al giornale «Il Trentino» con Alcide De Gasperi, di cui spesso ricordava l’opera, portando il vessillo della italianità in terra allora irredenta”. Chineri è inoltre membro del primo Consiglio dell’Ordine tra il 1945 e il 1949. (F.G.)
G. Trojani, Giovanni Chineri, in «AV» 08, I serie, 1960, p. 5
05 Giovanni Fregno
Primo iscritto operante non in città ma nella provincia, Giovanni Fregno nasce a Legnago nel 1905 e svolge la sua carriera quasi esclusivamente nella bassa veronese. La sua prima opere riguarda la realizzazione della Casa del Fascio di Legnago (1938), in collaborazione con Marino Padovani (§ 09). Del dopoguerra invece sono le realizzazioni di una serie di parrocchiali nelle frazioni legnaghesi di Porto (1947), di Torretta (1955) e di Boschi Sant’Anna (1960) oltre alla parrocchiale di San Lorenzo a Concamarise. Il suo incarico più importante è quello svolto a partire dal 1960 per il nuovo Ospedale di Legnago, al cui progetto concorre anche lo studio Calcagni e Cenna (§ 45, 46) che ne segue poi lo sviluppo e la direzione lavori. Si dimette dall’Ordine nel 1981. (F.G.)
www.legnagomusica.it/personaggipoeti/giovannifregno.htm
06 Antonio Magnaguagno
Diplomato all’Istituto di Belle Arti di Bologna nel 1922, divide la sua attività tra l’insegnamento nelle Scuole d’arte e poi nei Licei artistici, per cui ottiene la licenza nel 1951, e l’attività di libero professionista, svolta per lo più a Verona tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta.
A una serie di edifici di uno stile molto sobrio e rigoroso realizzati nelle prime periferie della città, affianca la realizzazione di alcune opere di carattere più personale, come il monumento ai Caduti di Valeggio (1925), la sistemazione della facciata e dei paramenti esterni della chiesa di Roncà (1929), la cappella Faccioli al cimitero Monumentale di Verona (1939) e i bei villini di via Quarto 29 (1929) e via Cesiolo 11 (1927) che si rifanno a un contenuto linguaggio eclettico, di cui non è il più famoso rappresentante veronese ma che maneggia con il tipico gusto dei diplomati accademici. Partecipa nel 1947 al Concorso indetto dal Comune di Verona per l’ampliamento della sede municipale, risultando tra i cinque finalisti. Si dimette dall’Ordine nel 1967. (F.G.)
G. Trevisan, Memorie della grande guerra, i monumenti ai caduti a Verona e Provincia, Cierre Edizioni, 2005
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M. Gecchele, D. Bruni, I. De Marchi (a cura di), Luoghi di culto in Val d’Alpone. Fra storia e arte, Associazione Culturale Le Ariele- Riccardo Contro Editore, 2022, p. 187
07 Marcello Zamarchi
Nonostante non sia un nome dei più conosciuti, Marcello Zamarchi (1907-1990) ha lasciato numerose testimonianze della sua opera nella cultura architettonica veronese, spaziando dalle sistemazioni urbane all’architettura civile, da quella sacra a quella industriale, dal restauro all’arredamento d’interni.
Ricopre inoltre vari incarichi pubblici, prima come membro della Commissione Urbanistica (194647), successivamente della Commissione per il Paesaggio presso la Soprintendenza (1947-50) e dell’edilizia comunale (1953-58), oltre alla presidenza dell’Ordine dal 1965 al 1967.
Di origine veneziana, dopo essersi laureato nel 1931 nella sua città natale già l’anno successivo partecipa al concorso per il Piano Regolatore di Verona con un progetto dal motto “Verona Fidelis” (sesto classificato). Lavora come funzionario del comune scaligero negli anni 1936-39, realizzando tra l’altro la sistemazione del piazzale di Porta Vescovo con la fontana ora traslata a fianco della breccia. Progetta molteplici interventi sulle mura cittadine, in primis nel 1939-40 la circonvallazione interna tra Porta Nuova e Porta Palio, con il disegno di soluzioni decorative per gli spalti che prevedono scale e giardini e la realizzazione delle brecce di Porta Palio per motivi viabilistici.
In una seconda fase, risalente al 1948, viene incaricato della direzione artistica per il rimboschimento dei valli. Negli stessi anni progetta un’ampia zona sportiva compresa tra i Bastioni di San Zeno e di San Bernardino, attuale sede delle piscine comunali, e l’anno successivo uno stadio a ridosso del Cavaliere di San Zeno, realizzato solo in parte. Suo anche il progetto del vecchi stadio Bentegodi alle spalle di piazza Cittadella, poi demolito nel 1964 con la nascita del nuovo impianto in piazzale Olimpia.
Del 1947 un suo progetto di matrice razionalista, mai realizzato, per la stazione di Porta Nuova, elaborato in contrapposizione a quello ministeriale a lavori già iniziati. Anche i progetti di alcuni ponti cittadini vedono la presenza di Zamarchi: nel 1939 in collaborazione con l’ing. Zanolini inizia la costruzione di Ponte Aleardi, terminato solo nel 1949, e di Ponte Navi, progetto vincitore di un concorso a cui partecipa assieme ai colleghi Benatti, Vanzetti, Manzini e Trojani (§ 11, 16, 20, 37). Altre opere hanno un ruolo fondamentale nella formazione della città: ricordiamo il Palazzo del Consorzio Agrario (1940-41) in piazza Renato Simoni; il condominio di via Nizza (1950) inserito in una delle più vaste operazioni post-belliche a cui la città è sottoposta, speculare a quello realizzato da Banterle (§ 02); l’edificio di testa tra corso Porta Nuova e Pradaval (1954-56) e diversi altri interventi di edilizia residenziale, tra cui un condominio in viale Bixio-Argonne (1957-58) dove adotta uno stile più asciutto improntato all’unificazione edilizia propria del boom economico. A testimonianza della varietà degli incarichi assegnati a Zamarchi, resta traccia di alcuni progetti di arredo, come gli interni della Pasticceria Melegatti in piazza Bra, e la hall e la sala da pranzo dell’Hotel Due Torri. L’ambito in cui Zamarchi raggiunge il più alto livello espressivo è l’edilizia sacra, con una sperimenta-
zione di forme e materiali assolutamente originale, in un periodo in cui, tra la fine degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta, la Diocesi di Verona promuove la costruzione di numerose chiese nella periferia cittadina e nelle espansioni extraurbane dei centri della provincia. Ne sono esempio la chiesa di Santa Maria Regina in via Pancaldo (195961) e la parrocchiale di San Giovanni Evangelista a Santa Lucia (1963-64); oltre a queste ricordiamo le ultime opere, la chiesa dello Spirito Santo (198082) nel quartiere Catena e San Marco Evangelista in Borgo Venezia (1981-82). (L.B.)
F. Guerra, Marcello Zamarchi a Verona, in «AV» 110, luglio-settembre 2017, pp. 92-99 F. Guerra, Strutturalismo ecclesiale, in «AV» 107, ottobre-dicembre 2016, pp. 94-101
08 Marcello Guarienti
Di nobile famiglia veronese da parte di padre e di madre, si laurea al Politecnico di Torino nel 1933. Svolge la propria attività professionale inizialmente in collaborazione con Francesco Banterle (§ 02), con cui partecipa al Concorso Nazionale per il Palazzo Littorio a Roma (1938), vinto poi da Del
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Debbio, Morpurgo e Foschini e mai realizzato. Prima del concorso, la collaborazione ha inizio con l’ampliamento della Casa dei Buoni Fanciulli a San Zeno in Monte (1936) e con la sopraelevazione di Casa Sersante in via Duomo (1937), oltre a un progetto per destinare a Casa del Fascio la Dogana veneta di Lazise.
Nel dopoguerra Guarienti partecipa a numerosi interventi nelle zone di espansione, sempre in collaborazione con i più noti architetti cittadini, come quello per gli interventi INA-Casa a Porto San Pancrazio. Dal 1953 al 1957 è segretario dell’Ordine, dal quale si dimette nel 1998. (F.G.)
09 Marino Padovani
Architetto molto prolifico nei circa trent’anni della sua carriera, attivo sia in città sia in tutta la provincia, nonché Presidente dell’Ordine dal 1957 al 1959. Le prime opere, tutte del 1938 e caratterizzate dal classico stile del Ventennio, sono il Municipio di Arcole – dove era nato nel 1902 –, la Casa del Fascio di Legnago – progettata assieme al legnaghese Giovanni Fregno (§ 05) – e il Gruppo Rionale del Fascio “Cesare Battisti” di Verona (con I’ing. Italo Mutinelli).
Ma la maggior parte delle sue realizzazioni avvengono nel dopoguerra e spaziano dall’urbanistica, con la stesura del Piano Regolatore di San Bonifacio (1948) al restauro, con l’intervento sull’abbazia di Villanova di San Bonifacio, alla progettazione di numerosi cinema-teatri a Verona e provincia (Co-
rallo e Roma a Verona, Cristallo a San Bonifacio, Teatro Parrocchiale a Cerro, Tizian a Ronco all’Adige). E poi gli interventi di nuova edificazione: l’edificio tra vicolo Balena e Galleria Pellicciai, e quello in via Valverde (Palazzo A.C.I.), oltre alla realizzazione della sede della Banca Agricola di Cerea. Una considerevole produzione sempre caratterizzata da uno stile severo, rigoroso e poco incline alla sperimentazione. Muore nel 1964 a soli 62 anni. (F.G.)
M. Padovani, VII Congresso di urbanistica, in «AV» 09, I serie, 1960, p. 30
M. Padovani, Si discute Borgo Trento, in «AV» 14, I serie, 1961, p. 6
10 Federico Faccioli
Quasi nulla emerge circa la figura di questo architetto, nato a Verona nel 1912 e laureato a Venezia nel 1938, di cui resta traccia solo per la realizzazione di un edificio industriale a San Giovanni Lupato-
to. Iscritto all’Ordine nel 1939, dichiara una professione secondaria di impresario edile, di cui tuttavia non esiste riscontro. Si trasferisce all’Ordine di Milano nel 1985. (F.G.)
11 Raffaele Benatti
Viene ricordato soprattutto per le opere realizzate in collaborazione, a partire dal progetto per gli uffici del Municipio di Verona, realizzato nel dopoguerra con Guido Trojani (§ 37) a seguito di un concorso indetto nel 1947 dalla Giunta Fedeli per il recupero e l’ampliamento dell’edificio ottocentesco del Barbieri (fortemente danneggiato dagli eventi bellici). Ma al di là di questo intervento, all’epoca contestato, il duo Benatti-Trojani collabora anche per altri importanti progetti cittadini, primo fra tutti la ricostruzione di Ponte Navi, in cordata anche con i colleghi Zamarchi, Vanzetti e Manzini (§ 07, 16, 20) e con l’ing. Umberto Zanolini per la parte strutturale. Benatti e Trojani partecipano poi al concorso per la ricostruzione del Teatro Filarmonico (con il motto “Festival”), vinto dai romani Scalpelli-Sciascia-Ferrante e realizzato solo molti anni più tardi da Vittorio Filippini (§ 19).
Dell’attività professionale singola di Benatti resta notizia di alcuni edifici di modesto valore a Porto San Pancrazio riconducibili al periodo della ricostruzione, oltre al nuovo edificio della Paluani in Corso Milano 27 e le Officine Battaglino sempre in Corso Milano, interventi entrambi del 1946. Altro progetto fortemente riconoscibile per il suo ruolo urbano è l’isolato “del Cavallino” attestato sul
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fronte orientale di Piazza Cittadella, realizzato negli anni 1970-71 assieme a Calcagni e Cenna (§ 46, 47). Benatti (1913-1988) ricopre anche il ruolo di presidente dell’Ordine dal 1953 al 1955. (F.G.)
P. Fossati, a, b!, c, in «AV» 46, 2000, pp. 18-23
B. Bertaso, Ampliamento in contrasto, in «AV» 85, maggio-agosto 2010, pp. 72-79
F. Guerra, Scena teatrale, in «AV» 105, aprile-giugno 2016, pp. 50-55
F. Guerra, Strutturalismo ecclesiale, in «AV» 107, ottobre-dicembre 2016, pp. 94-101
12 Alberto Villa
Veronese (1914-1986), Alberto Villa si laurea a Venezia nel 1939. Segretario dell’Ordine per i due mandati d’esordio del dopoguerra, dal 1945 al 1949, e poi anche tesoriere (1951-55): segni di una vita professionale presumibilmente attiva, di cui tuttavia restano tracce lacunose.
Si ha notizia di un modesto edificio residenziale in Borgo Roma, della realizzazione del Ristorante Calmiere a San Zeno, oltre a una serie di abitazioni realizzate negli anni 1953-54 per conto dell’Amministrazione Provinciale di Verona, di cui tuttavia le fonti documentali non restituiscono localizzazione e precisazioni. (F.G.)
13 Flavio Paolo Vincita
Secondo Presidente dell’Ordine nel mandato 194749, Flavio Vincita (1907-1977) si laurea a Venezia nel 1939 ma opera principalmente nel dopoguerra, se si tralasciano alcuni piccoli interventi degli anni Trenta in Borgo Trento tra cui, di particolare pregio, una palazzina di via Cefalonia 6, datata 1935, oltre al progetto dell’anno precedente per le cantine Montresor di Parona in collaborazione con l’ing. Italo Avanzini. Degli stessi anni è anche il rifacimento dell’altare maggiore della chiesa della Santissima Trinità a Verona.
Nell’immediato dopoguerra progetta un edificio
per un componente della famiglia Tiberghien in lungadige Attiraglio (1948), oltre al Teatro parrocchiale della chiesa della SS. Trinità (1950). Negli anni Cinquanta partecipa poi a numerosi gruppi di progettazione, tra cui quello con a capo Maurizio Sacripanti per la realizzazione del Quartiere INA-Casa Santa Lucia 2 (1956-63), e quello per la ricostruzione dell’Istituto Stimmate in piazza Cittadella (1952). Risale al 1953 la realizzazione della parrocchiale di San Pancrazio e Santa Caterina a Porto San Pancrazio, mentre al 1954 risale il progetto dell’Autorimessa Bendinelli-Garonzi in Corso Milano. Con il suo stile sobrio ed essenziale realizza negli anni Cinquanta le palazzine di via Arsenale 50, di via Foroni 9 e di via Grazioli 1 e i restauri dei palazzi di Stradone San Fermo 20 e Lungadige Porta Vittoria 23. (F.G.)
https://www.catalogo.beniculturali.it/viewAll/ Agent?refineQ=Vincita+Flavio
14 Alberto Avesani
Ha contribuito a molte delle vicende architettoniche della città e della provincia, in un lungo periodo di attività professionale che va dagli anni Quaranta agli anni Duemila. Originario di una nobile famiglia veneta, Avesani (1912-2008) si laurea al Politecnico di Milano prima in ingegneria e nel 1938 in architettura. La sua attività abbraccia diversi ambiti della progettazione: nel primo dopoguerra partecipa
al concorso per il Teatro Filarmonico (con Cecchini, Avena, Casarini e Tisato), e nel 1948-50 ricostruisce la Sala Boggian al Museo di Castelvecchio (affrescata da Pino Casarini). Fa parte dei gruppi responsabili degli interventi INA-Casa di Porto San Pancrazio, Peschiera, Lazise e Garda, e si dedica anche alla progettazione della Strada Provinciale 5 Verona-Lago aperta nel 1957. Nel campo dell’edilizia scolastica sperimenta forme cilindriche nella scuola di Bussolengo, che diventano calotte sferiche in quelle di Buttapietra. È poi autore dei cinema di Villafranca e Bussolengo, di ville e di edifici privati, di interventi nel settore sanitario all’interno degli ospedali di Caprino, Villafranca, Malcesine e Bussolengo, della ricostruzione del palazzo di Piazzetta Santi Apostoli 10 e dei restauri di Palazzo Carlotti a Caprino e del Castello di San Pelagio, nel padovano, per ricavarne il Museo del Volo, un’altra delle sue invenzioni. Il suo nome resta saldamente legato nell’immaginario locale alla realizzazione del Parco Zoo di Pastrengo, un’eccellenza turistica ma anche scientifica realizzata da Avesani su terreni di sua proprietà e nel quale persistono ancora oggi edifici da lui progettati.
La sua architettura, che molto risente della sua duplice formazione, è sempre improntata alla sperimentazione, con idee innovative in tutti i campi della sua vasta produzione. (F.G.)
P. Vantini, Una fervida professione, in «AV» 124, gennaio-marzo 2001, p. 62
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15 Bruno Ronca
Veronese di nascita (1912-2009), si laurea in architettura a Venezia nel 1941, mentre è già al lavoro a Roma per le Ferrovie dello Stato all’Ufficio “Studio e progetti nuovi fabbricati” nell’ambito del Servizio Lavori e Costruzioni delle FS, allora diretto dall’ingegnere Achille Pettenati. Per questa ragione si iscrive all’Ordine degli Architetti di Roma, e solo nel 1949 ritornato a Verona gli viene attribuito il timbro numero 15. Assume da subito la presidenza dell’Ordine (1949-53), cui farà seguito poi un secondo mandato (1955-57). La sua esperienza nella progettazione di stazioni ferroviarie è probabilmente il motivo che spinge Carlo Mutinelli (§ 21) a richiedere nel 1947 la sua collaborazione al Concorso Nazionale per il fabbricato viaggiatori di Roma Termini, il più importante organizzato nei primissimi anni repubblicani (progetto 3° classificato). La ricercata monumentalità di questo progetto non trova riscontro nelle altre opere veronesi di Ronca di cui si ha testimonianza, come varie palazzine residenziali costruite negli anni Cinquanta – via Abba 6, circonvallazione Oriani 10 – ispirate al contrario da una spiccia razionalità. È poi da ricondurre alla sua attività all’interno delle Ferrovie dello Stato la serie di palazzine realizzate per diverse Cooperative di ferrovieri in via Medici (cooperativa Domus Mea), in via Calatafimi, in via Camozzini, in via Col Bricon (Cooperativa Casa Mia) e in via Monte Suello (Cooperativa Scaligera). (F.G.)
https://www.archiviofondazionefs.it/medias/Fondo-Roma-Termini
M. Trentini, Roma Termini. Continuità e discontinuità nell’architettura italiana del primo dopoguerra, https://pianob.unibo.it/article/view/8988
16 Carlo Vanzetti
È il primatista assoluto tra i presidenti dell’Ordine veronese, avendo ricoperto tale ruolo per ben ventitré anni in diversi mandati (1963-65, 1967-83, 1984-87). Tra i primi collaboratori di Fagiuoli (§ 01), Carlo Vanzetti (1915-1990) si forma al Politecnico di Milano come il suo maestro, e con lui collabora poi dal 1955 alla stesura dei numerosi progetti relativi all’operazione INA-Casa. La sua attività, però, inizia già nel primo dopoguerra con la partecipazione alla Commissione consultiva per il Piano di ricostruzione e per il Piano Regolatore Generale. Partecipa nel 1947 al progetto per la ricostruzione di Ponte Navi – con Zamarchi, Benatti, Manzini e Trojani (§ 07, 11, 20, 37) – e al progetto per la realizzazione di Galleria Pellicciai (1948-52), oltre al progetto di sopraelevazione del palazzo di Lungadige Campagnola 14. Tra il 1955 e il 1962 realizza numerosi progetti di edilizia economico-popolare per lo I.A.C.P. e per cooperative a Verona e nei comuni della provincia, ma anche condomini in Borgo Trento (via Anita Garibaldi 7), in Veronetta (via Damiano Chiesa 1), in Borgo Roma (via Re di Puglia 9), in Valdonega (via Monte Carmelo 8). Tra le opere in provincia, l’Albergo Piccolo Mondo a Peschiera del Garda con Libero Cecchini (§ 17), datato 1962, e diversi insediamenti turistico residenziali a Bosco Chiesanuova (anni Settanta-Ottanta). Suoi sono molti dei cinema cittadini (San Zeno, Corso, Ariston) e anche il cinema di Zevio. Alla sua atti-
vità professionale affianca sempre un’intensa attività di promozione culturale a partire dalla direzione della seconda serie di «Architetti Verona» fino al convegno nazionale “Attualità del problema dei Centri storici” da lui coordinato e svoltosi a Verona nel 1977. (F.G.)
17 Libero Cecchini
La figura di Libero Cecchini rappresenta una presenza costante e incisiva per Verona, sia per la notevolissima produzione architettonica disseminata tra città e provincia, sia per la longevità, che lo aveva portato a tagliare il traguardo dei cent’anni prima di lasciarci nel 2020. Nel 2017 aveva ricevuto il Premio ArchitettiVerona per la sua lunga carriera. Cecchini nasce a Pastrengo nel 1919; il padre, direttore della più grande cooperativa di marmi di Sant’Ambrogio di Valpolicella, influenza il suo rapporto con il marmo e la pietra, consolidatosi nella
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frequentazione della scuola d’arte con l’intento di diventare scultore. A indirizzarlo verso l’architettura è invece Ettore Fagiuoli, suo professore al liceo artistico, insistendo affinché Libero si iscrivesse al Politecnico di Milano. Costretto a sospendere al quarto anno a causa del conflitto mondiale, si laurea nel novembre 1944, in piena guerra. Dopo la laurea, anche grazie alla profonda conoscenza dei materiali lapidei, viene trattenuto a Verona dal suo professore Pietro Gazzola, nominato nell’immediato dopoguerra Soprintendente ai Monumenti di Verona, Mantova e Cremona. Inizia quindi un’attività presso la Soprintendenza per la quale lavora per circa vent’anni; in questo periodo realizza vari piani urbanistici per la ricostruzione, oltre a vedersi affidata la direzione artistica per la sistemazione del ponte di Castelvecchio (1945) e di Ponte Pietra (1957). Si dedica inoltre al restauro di edifici pubblici e privati: la villa Del Bene a Dolcè (1945-1947) e la sede della Soprintendenza ai Monumenti nei chiostri di San Fermo (1954). All’attività professionale associa anche l’attività didattica: diviene docente e successivamente direttore della Scuola del Marmo di Sant’Ambrogio di Valpolicella, fonda la Scuola di formazione all’edilizia (Edilscuola) e ricopre poi anche il ruolo di vicepresidente dell’Accademia di Belle Arti Cignaroli di Verona.
Nel 1956 partecipa con Gazzola a una conferenza sui musei a Torino, dove assiste a una lezione di Le Corbusier che lascia traccia nel suo modo di inten-
dere lo spazio e la luce. Il suo modus operandi si arricchisce dunque di un plasticismo materico, assieme al organicismo che si manifesta soprattutto nelle ville, considerate come luoghi intimi originati dalla natura, che si relazionano con il paesaggio circostante e dove l’uomo è posto al centro del fare architettura.
Dal 1966 si dedica principalmente alla libera professione, occupandosi del restauro di palazzi privati e pubblici, di chiese e conventi, spazi urbani e siti archeologici. Mantiene un impegno nel sociale anche attraverso la progettazione di edilizia popolare, case-albergo per anziani, scuole e istituti assistenziali. Realizza inoltre importanti opere di edilizia pubblica, tra queste ricordiamo gli Uffici Finanziari (1960) e la Camera di Commercio (1965) di Verona. Gli anni Settanta sono segnati dalla realizzazione di grandi progetti di restauro e riqualificazione nel centro storico di Verona, tra cui i complessi edilizi di Via Cattaneo e di Via Adua. Sono gli anni dell’intensa sperimentazione nell’uso del cemento armato, usato per i suoi caratteri plastici in molte realizzazioni.
Un nucleo importante della sua opera fuori dal territorio veronese si trova a Cagliari, con il restauro della Cittadella dei Musei (1960-70), per il quale riceve assieme a Gazzola, il Premio In/Arch. Sempre a Cagliari gli viene affidata la ristrutturazione come centro d’arte dell’ex Mattatoio nello storico quartiere di Villanova (1982-1993).
Numerosi sono inoltre gli interventi in Lessinia, dal primo risalente al 1946 – l’altare e l’apparato scultoreo nella Parrocchia di Bosco Chiesanuova – ai molti altri edifici pubblici e case d’abitazione, compresa la propria in Contrada Croce (1961), seguita a due passi dalla successiva casa-studio (1975). Tra le altre numerose altre opere, ricordiamo gli scavi archeologici di Porta Leoni e dei Palazzi Scaligeri (1981-85), il restauro di Palazzo Forti a Verona (1989-97), e il restauro della chiesa di San Giorgio in Valpolicella tra il 1986 e il 1992, di cui ha in seguito disegnato il portale d’ingresso in Pietra di Prun (2010). Negli ultimi anni si dedica a una attività artistica orientata alla realizzazione di opere scultoree, che faranno maturare la sua sensibilità verso il carattere plastico dei materiali presente in molte sue opere di architettura. (L.B.)
L. Marconato, La distruzione del moderno: il caso Cecchini, in «AV» 80, settembre-dicembre 2007, pp. 19-35
B. Bogoni, Libero Cecchini. Natura e archeologia al fondamento dell’architettura, Alinea, 2009
M. Paganini, Libero Cecchini in Lessinia, in «AV» 96, gennaio-marzo 2014, pp. 92-99
A. Lion, Il fuoco sacro dell’architettura, in «AV» 110, luglio-settembre 2017, pp. 50-59
F. Bricolo, Verona c’est moi. Per i cent’anni di Libero Cecchini, in «AV» 119, ottobre-dicembre 2019, pp. 63-65
18 Leone Felici
Originario del viterbese (1895-1970), pluridecorato nelle campagne militari della prima guerra mondiale e mutilato di guerra, si laurea a Venezia solo nel 1941 e si iscrive all’Ordine a cinquant’anni. Non esercita mai la libera professione ma è dipendente dell’Ufficio Urbanistica del Comune di Verona. In questo ruolo firma intorno agli anni Trenta un importante progetto residenziale a Veronetta tra le vie Nazario Sauro, Toti e Chiesa consistente nella realizzazione di sei palazzine di edilizia economica e popolare, intervento promosso dal Comune su un’area di sua proprietà. I sei edifici con le loro analogie e differenze costituiscono un insieme omogeneo quanto a tipologia e linguaggio compositivo, che si rifà al gusto eclettico di transizione tra accademismo ottocentesco e Novecento, dandoci indicazioni sulla cifra di questo architetto poco conosciuto. (F.G.)
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G. Fassio, Verona nei quattro anni di amministrazione comunale fascista, 1926, pp. 158-159
19 Vittorio Filippini
Laureato in architettura a Venezia nel 1942, Vittorio Filippini (1914-1974) entra da subito nella cerchia degli allievi di Fagiuoli (§ 01), e con lui collabora agli allestimenti scenici per l’Arena, dal 1936 fino agli anni Cinquanta. È soprattutto un attento studioso di storia urbana, specialista in topografia antica, ricercatore di storia medievale e scrupoloso conoscitore del tessuto edilizio cittadino, come testimoniato dalle numerose pubblicazioni sul periodico «Vita Veronese». Questi interessi, accompagnati da una notevole perizia nel disegno, gli valgono l’attenzione di Gazzola che lo incarica, una volta diventato funzionario architetto della Sovrintendenza, di numerosi restauri, recuperi, rafforzamenti di edifici storici di Verona e provincia danneggiati dalla guerra: il Palazzo dei Diamanti, il Municipio, il Museo Maffeiano, la chiesa inferiore di San Fermo, le chiese di San Procolo, di San Bernardino, di Sant’Elena, di San Pietro Incarnario e di San Lorenzo.
Come libero professionista realizza poi alcune residenze private in città, oltre al restauro di edifici importanti come casa Onestinghel in piazza Bra e Casa Armellini in Piazza Arsenale. Porta la sua firma, coadiuvato dall’ing. Arturo Danusso per la parte strutturale, anche il progetto per la ricostruzione di Ponte Nuovo. Partecipa a due importanti concorsi: quello per la ricostruzione della Biblioteca Civica e, assieme a Fagiuoli, quello per la ricostruzione del Teatro Filarmonico. Di quest’ultimo, benché non si aggiudichi il concorso, viene incaricato nel 1956 di redigere il progetto definitivo come il più adatto a una ricostruzione “dov’era e com’era” gradita alla maggioranza degli Accademici. Il progetto sarà portato a termine dall’ingegnere Ugo Lado, perché già a fine anni Sessanta Filippini si ritira dalla vita professionale. (F.G.)
F. Guerra, I sepolcri: Vittorio Filippini, in «AV» 117, aprile-giugno 2019, p. 71
20 Angelo Manzini
Nato a Oppeano nel 1910, esercita la professione soprattutto a Verona, per quanto possono testimoniare le sue realizzazioni documentate che vanno dal primissimo dopoguerra agli anni Sessanta. Uno dei primi interventi è quello per la messa in sicurezza dopo i bombardamenti del gennaio 1945 della chiesa di Santa Maria della Scala, in collaborazione con G.F. Bari (§ 26) e F. Vincita (§ 13), intervento attribuito da altre fonti all’ing. Aldo Cossato. Il progetto, piuttosto invasivo, prevede la costruzione di pilastri e arconi in cemento armato atti a sostenere una nuova copertura in latero-cemento; il sovrintendente Gazzola non lo approva, limitando l’azione al restauro della facciata e dell’abside.
Più fortunati sono i progetti ex novo, nei quali Manzini adotta uno stile più personale ed elegante. Tra questi la ricostruzione datata 1949 del Palazzo Neville in via Garibaldi 19, il condominio di via Prato Santo 12 (1947-1950), la chiesa della Natività di Maria a Ronco all’Adige (1964), oltre al progetto del Ponte Navi in collaborazione con Zamarchi, Benatti, Vanzetti e Trojani (§ 07, 11, 16, 37). Si dimette dall’Ordine nel 1980. (F.G.)
A. Sandrini (a cura di), Santa Maria della Scala. La grande ‘fabrica’ dei Servi di Maria in Verona, Frati Servi di Maria Santa Maria della Scala-Verona, 2006
21 Carlo Mutinelli
Primo presidente dell’Ordine degli Architetti di Verona nel dopoguerra – dal 1945 al 1947 – si laurea nel 1938 a Roma, dove entra in contatto con Arnaldo Foschini, figura di rilievo del panorama architettonico italiano sia prima che dopo il conflitto mondiale. Foschini, eletto nel 1949 presidente del direttivo della gestione INA-Casa, in questo ruolo privilegia il contributo di professionisti esterni rispetto alla progettualità stereotipa degli uffici tecnici. I nomi degli autori selezionati sono quelli di giovani promettenti, con grande apertura nei confronti delle varie tendenze ideologiche e linguistiche.
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A questo contesto si riferisce probabilmente la partecipazione di Mutinelli, assieme a Raffaele Benatti (§ 11), al concorso del 1951 per il quartiere INA-Casa degli Orti di Spagna, per il quale elaborano addirittura due progetti (motti “Zeno Pater” e “Adige”) che figurano tra quelli segnalati. È poi nel gruppo che realizza il quartiere INA-Casa di Porto San Pancrazio e in quello per le palazzine di via Duca per lo I.A.C.P. del 1953. Mutinelli, nato nel 1912, si ritira dalla professione nel 1986. (F.G.)
F. Lui, I quartieri INA-Casa a Verona, in «AV» 111, ottobre-dicembre 2017, pp. 94-101
E. Bastianello, Due Concorsi INA-Casa , in «Architetti», 7, Aprile 1951 https://siusa.archivi.beniculturali.it/inventari-pdf/ lazio/Foschini_inventario.pdf
22 Bruno Milotti
Di origini istriane, classe 1909, dopo un passato nel Sindacato Provinciale Fascista della Venezia Giulia – nel quale ricopre il ruolo di membro rappresentante del G.U.F. – si stabilisce a Verona solo nel secondo dopoguerra e partecipa attivamente alla ricostruzione postbellica con alcuni progetti esemplari. Il primo è l’Ospedale Geriatrico, realizzato in collaborazione con l’ingegnere Enea Ronca e con l’architetto marchigiano Ettore Rossi, il maggiore esperto italiano di ospedali a monoblocco, la nuova tipologia che si andava affermando in opposizione alla vecchia distribuzione a padiglioni. Entrambi con un passato nel regime, non avranno altre collaborazio-
ni nel veronese, nonostante Rossi progetti nel 1964 anche l’Ospedale Magalini di Villafranca. Altra importante realizzazione di Milotti è la chiesa di San Pietro Apostolo in piazza Vittorio Veneto, esito di un concorso indetto dalla Diocesi nel 1958. Il suo progetto viene premiato per l’austerità della proposta che si conforma “ai requisiti funzionali, liturgici e ambientali espressi dal bando”. Lo stesso rigore e sobrietà che guida Milotti nelle altre sue realizzazioni documentate, alcune palazzine alle Golosine e a San Martino Buon Albergo, oltre al progetto per l’edificio dell’Ente Tre Venezie per l’Agricoltura. Si dimette dall’Ordine nel 1976. (F.G.)
Confederazione Fascista dei Professionisti e degli Artisti, Albo professionale architetti, S IT Grafica Editoriale, Torino, 1938
P. Montuori, Ettore Rossi. Opere e scambi professionali tra Ventennio e Dopoguerra , in «Studi e Ricerche di Storia dell’Architettura», 9, 2021, p. 67
23 Cesco Romeo Loro
Nato Bardolino, figlio dello scultore Albino, Cesco Romeo Loro (1920-2010) si laurea presso il Politecnico di Milano nel 1944, affiancando l’anno successivo Piero Portaluppi come assistente alla alla cattedra di Composizione architettonica. Ma già nel 1946 vince il concorso per la costruzione di uno Stabilimento balneare a Bardolino (l’attuale Lido Bagni Cornicello), cui segue poi la realizzazione anche del Lido di Torri del Benaco nel 1948.
Dal 1946 è consulente tecnico per la ditta Antonello Orlandi, costruttrice di grandi impianti per la panificazione e la pasticceria, per la quale realizza nel 1947 l’ampliamento della fabbrica in viale Colonnello Galliano 47 a Verona.
Partecipa negli anni alla realizzazione di grandi complessi industriali per la Motta e l’Alemagna e, all’estero, per SPEA di Buenos Aires e per Syrian Cold Storage a Damasco in Siria. Nei primi anni Sessanta progetta un impianto per la panificazione a Mamaia di Costanza in Bulgaria, sul Mar Nero, assieme al giovane ingegnere veronese Maurizio Cossato.
A partire dagli anni Cinquanta partecipa ai progetti per i quartieri INA-Casa Santa Lucia II e Parona. Tra il 1955 e il 1958 firma l’Eurotel di Garda, realizzato sulla base del format dell’architetto bolzanino Armando Ronca. Assieme all’ingegnere Sperandio Casali si aggiudica poi il concorso nazionale per la realizzazione del grande complesso del Seminario Vescovile di San Massimo a Verona (1958-60).
Dagli anni Sessanta la sua attività si svolge prevalentemente in Italia con la realizzazione delle pasticcerie Motta di Via Mazzini a Verona e di piazza Gondar a Roma, oltre alla partecipazione al progetto dell’Autogrill Motta di Limena di Padova (con Pierluigi Nervi e Melchiorre Bega). Di poco successiva la realizzazione di un complesso residenziale turistico tra Garda e Costermano, di grande qualità figurativa in un contesto di particolare pregio paesaggistico.
Si dedica anche a progetti di restauro come quello del 1970-75 per il recupero di palazzo Bernini Nogarola in stradone San Fermo a Verona, e quello degli stessi anni per il recupero del sito archeologico di Ca’ Rossa sulla Rocca di Garda.
L’ultimo progetto, non realizzato, degli anni Duemila riguarda la realizzazione di una passerella pedonale nel porto di Bardolino, dove ha sempre mantenuto la sua attività. Tra i collaboratori del suo studio, oltre alla moglie Chiara, figura un giovane Giovanni Meloni, poi diventato affermato pittore. (F.G.)
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24 Ottorino Ortensi
Laureato a Venezia nel 1946, svolge la propria attività nel dopoguerra dapprima con una serie di edifici molto semplici ai Filippini, in Borgo Roma, Borgo Trento e Borgo Venezia, e poi con l’intervento datato 1952 in Lungadige Cangrande 6. L’opera più significativa è senza dubbio la ristrutturazione del Teatro Salieri di Legnago, costruito tra il 1911 e il 1925, che subito prima della guerra era stato oggetto di un progetto di recupero a firma di Luigi Piccinato, bloccato dallo scoppio del conflitto. Nel 1953 l’incarico viene affidato a Ortensi, che con importanti lavori strutturali modifica pesantemente l’impianto originario del manufatto (il teatro verrà poi nuovamente restaurato negli anni Novanta dallo studio Arteco).
Dimissionario nel 1984, Ortensi – che era nato a Cologna Veneta nel 1916 – muore nel 2006. (F.G.)
C. Focaccia, La Fondazione Culturale Antonio Salieri, tesi di laurea, a.a. 2012-2013, corso di laurea in Economia e gestione delle arti e attività culturali, Università Ca’ Foscari di Venezia, relatore prof. F. Pupo
25 Liegi Bruno Padovani
Non è stato possibile reperire informazioni circa l’attività di questo architetto, originario di Nogara, iscritto all’Ordine nel 1947 e deceduto nel 1975. (F.G.)
26 Gianfrancesco Bari
Originario di Badia Polesine, classe 1908, viene ricordato soprattutto per la sua intensa attività nella realizzazione del quartiere di Borgo Trento, per il quale ha realizzato poco meno di una decina di condomini che hanno dato il volto alla sua seconda espansione, quella degli anni Cinquanta e Sessanta. Al più conosciuto condominio di via IV Novembre 3, caratterizzato dalle vistose terrazze-passerelle angolari rette da pilastri circolari che gli hanno fatto meritare l’appellativo di “casa degli asparagi”, seguono nel breve volgere di un decennio quelli di via Tonale 24, di via Tonale 6, di via Prato Santo 4, di via Isonzo 6-16, di via Nervesa 2, di via Mameli 124.
Nonostante l’intensa attività e il fervore edificatorio di quegli anni, tutte le sue architetture risultano di una ricercata qualità, fatta di alti rivestimenti
basamentali in pietra o in conglomerato cementizio lavorato, di studio degli affacci e della tipologia degli alloggi, del taglio dei balconi e delle opere in ferro, restituendo, pur nella logica dell’edilizia intensiva dei nuovi quartieri, uno standard molto elevato per qualità del costruito.
Lo ricordiamo infine per il controverso progetto di recupero della chiesa di Santa Maria della Scala, in collaborazione con A. Manzini (§ 20). Muore prematuramente nel 1976. (F.G.)
27 Gino Fainelli
Figlio di Vittorio Fainelli, storico direttore della Biblioteca Civica di Verona, lavora prima della guerra per diversi anni alle Fornaci Valdadige. Laureato nel 1944, restano testimonianze della sua attività professionale in alcuni interventi minori, come un piccolo ampliamento in Borgo Trento e alcuni restauri in centro storico. Più interessante l’edificio di via Pescetti 4 in Valdonega, dove pur nella compostezza del disegno riesce a valorizzare alcuni elementi – il sottogronda, il portale d’ingresso, l’alto rivestimento basamentale. La sua opera più importante è tuttavia negli anni Cinquanta la traslazione della facciata di San Sebastiano, l’ex chiesa sede della Biblioteca Civica, posta a completamento del fronte di San Nicolò. Se per l’incarico è presumibile un intervento paterno, gli viene comunque affiancato nella delicata progettazione anche Ottorino Ortensi (§ 24) e, soprattutto, la direzione lavori è affidata a Libero Cecchini (§ 17). Sul controverso progetto di traslazione mette poi mano per conto della Soprintendenza anche Vittorio Filippini (§ 19). Altro intervento attribuibile a Fainelli è il restauro con sopraelevazione di Palazzo da Lisca in via Cattaneo 6, improntato a un sobrio mimetismo rispetto al prezioso palazzo quattrocentesco. Sono infine a lui ascrivibili anche una serie di restauri su edifici storici di minor importanza – corso Porta Nuova 79 e 74 –, oltre a nuovi edifici come quello in via Monte Suello. Fainelli, che era nato a Verona nel 1917, muore giovanissimo nel 1956. (F.G.)
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28 Gino Bertolini
Insolita vicenda quella dell’architetto Bertolini, classe 1919, originario di Orti di Bonavigo ma vissuto a Legnago, molto attivo anche a Verona e provincia e in altre regioni italiane in un periodo che va dagli anni Cinquanta ad almeno tutti gli anni Settanta. Personaggio schivo e di poche parole, a quanto racconta chi l’ha conosciuto, conduce una vita riservata e sobria finché, alla sua morte avvenuta nel 2000, lascia in eredità un cospicuo patrimonio alla Fondazione Fioroni di Legnago, storica istituzione culturale che grazie a questa munifica donazione è potuta uscire da una lunga crisi finanziaria. Da una sommaria ricognizione del suo archivio, che giace pressoché abbandonato presso la Fondazione stessa, emerge un insieme di opere che vanno dall’edilizia pubblica – con la realizzazione, per esempio, della Casa di Riposo di Legnago, cui si dedica in fasi successive per diversi anni, gli interventi INACasa a Porto di Legnago, la scuola elementare di Terranegra, il Convento dei padri Francescani di Legnago – a numerose ville e residenze private, nel veronese ma anche sul Gargano, ma anche negozi, bar e numerosi cinema come l’Italia a Legnago, il De Guidi a Cerea, l’Arilica a Peschiera. Una mole di realizzazioni che solo in parte è emersa dai plichi polverosi, e che restituisce una figura di professionista a tutto tondo che meriterebbe di essere indagata approfonditamente, con il riordino dell’archivio. (F.G.)
Fondazione Fioroni, Fondo Gino Bertolini, Legnago
29 Danilo Pavan
L’attività come architetto di Danilo Pavan (19202008), laureato al Politecnico di Milano nel 1948, dopo la partecipazione alla guerra, ha luogo non solo nella Verona della ricostruzione ma anche all’estero: lavora infatti in Spagna, Zambia, Giappone, Sudafrica e anche negli Stati Uniti, dove risiede per alcuni anni. La sua esperienza estera più significativa è quella in Libia, dove oltre a costruire alcuni edifici residenziali e produttivi fonda un’azienda di prefabbricati per l’edilizia.
Della sua attività nel veronese resta testimonianza nel Centro natatorio per disabili a Legnago, nel Centro ospedaliero per bambini down di Marzana e nella Casa per Anziani meglio nota come Pro Senectute all’interno di Palazzo Da Lisca in Piazza Isolo a Verona, di cui cura il restauro assieme a Giorgio Forti.
Si spende moltissimo in occasione dei terremoti del Friuli del 1976 e dell’Irpinia del 1980, tanto da essere collaboratore diretto del commissario della Protezione Civile, Giuseppe Zamberletti, soprattutto nella prima circostanza: per le benemerenze acquisite (in particolare, il progetto di quarantotto appartamenti da donare a coppie di anziani e i progetti per musei di Tolmezzo e Zuglio, in Friuli) ottiene la cittadinanza onoraria di Zuglio. Socio onorario dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere. Segretario dell’Ordine nel mandato 195761, è anche membro del Consiglio Nazionale Architetti (1961-63). (F.G.)
https://www.ilcondominionews.it/langolo-dei-profili-veronesi/
https://www.prosenectuteverona.it/prosenectute/storia/
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Giuseppe Bocca
Corsico Piccolino
Laureato nel 1949, proveniente dalla provincia di Parma – il curioso cognome è tipico della zona del parmense e del vigevanese – Giuseppe Bocca lascia
alcune tracce importanti della sua attività a Verona. Risalgono ai primi anni Cinquanta una serie di condomini in Borgo Trento e in Valdonega, seguiti da una palazzina a Quinzano (1956) e dalla partecipazione al progetto INA-Casa Santa Lucia I. Per la Polin – storica azienda veronese nata negli anni Venti per la produzione di forni, che nel 1950 aveva aperto una nuova sede in viale dell’Industria, uno dei primi stabilimenti della ZAI – Bocca cura l’ampliamento negli anni Sessanta in collaborazione con Lorenzo Rosa Fauzza (§ 43). L’edificio presenta un fronte molto interessante, dove la lunga pensilina neo-razionalista inquadra l’ingresso passante dell’azienda; di rilievo anche le coperture dei reparti officine realizzate con volte a vela lamellare in acciaio.
Ma l’opera più famosa della sua produzione resta il cosiddetto “rettilario”, la torre per uffici della ditta Biasi costruita nel 1968 in Borgo Roma: un edificio alto dieci piani su originali pilotis ad andamento trapezoidale che ne fanno un edificio iconico nel panorama del quartiere, ben visibile lungo la tangenziale sud di Verona. Sempre per la Biasi, Bocca progetta anche una originalissima torre serbatoio alta 57 metri, sovrastata dal logo dell’azienda, progetto visionario mai realizzato.
Si dimette dall’Ordine nel 1988. (F.G.)
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31 Mario Rogolotti
Conseguita la laurea in architettura nell’immediato dopoguerra e iscritto all’Ordine nel 1949, Mario Rogolotti non esercita mai la libera professione.
Di carattere introverso, soprattutto dopo gli avvenimenti della seconda guerra mondiale che lo lasciano in uno stato di profonda crisi umana e professionale, si dedica tutta la vita alle arti figurative, principalmente all’incisione, ai disegni per tarsie – realizzate da lui o dal cognato Aldo Tomelleri, fino a farne non più una decorazione di oggetti ma una tecnica rappresentativa autonoma – e poi ai disegni per gioielli (era figlio di orafi con negozio in Corso Sant’Anastasia), per tappeti e per ferri battuti, oltre all’acquerello, una delle tecniche che gli sono più congeniali. Tutte le sue incisioni sono sempre precedute da disegni a matita che denotano una perizia manuale di altissimo livello, con una tensione del segno avvicinabile a quella della grafica espressionista tedesca. È presente alla XXIX esposizione della Fondazione Bevilacqua-La Masa a Venezia nel 1938 e l’anno seguente alla Mostra Adriatica di Zara, alla Biennale di Venezia del 1948 e a molte delle esposizioni della Società Belle Arti di Verona fino al 1954.
I suoi “esercizi” scolastici in tema di architettura denotano uno spirito originale e anticonformista, con riferimenti a Figini e Pollini, a Terragni e a Neutra. L’unico progetto realizzato è il monumento ai cadu-
ti a San Massimo (Verona), mentre è andato perduto il progetto di concorso per la Biblioteca Civica. Questi pochi disegni, oltre a qualche schizzo di mobili, rappresentano il suo rifiuto per l’attività di architetto che bene aveva sintetizzato in un colloquio con Guido Trojani (§ 37), che ne ricorda su «AV» la scomparsa. (F.G.)
G. Trojani, Mario Rogolotti (1915-1961), in «AV» 12, I serie, maggio-giugno 1961, pp. 3-4 S. Marinelli, saggio introduttivo al catalogo della mostra Mario Rogolotti, Verona, Museo di Castelvecchio, 1980
32 Fernando Cazzaniga
Uno dei primi architetti mantovani iscritto all’Ordine di Verona prima dell’istituzione di quello di Mantova, che avviene solo nel 1981. Svolge la sua attività esclusivamente nella città d’origine con importanti interventi tra i quali il Palazzo del Gruppo Rionale Fascista (1934) – oggi centro congressi MAMU –, la ristrutturazione di Palazzo Strozzi (1949), la ricostruzione del Palazzo della Cervetta a fianco di Sant’Andrea (1960-65), il restauro della bocchetta di Sparafucile nel Borgo di San Giorgio come Ostello (anni Settanta), e anche opere di arredo come l’allestimento dell’albergo Dante nel 1967. Un architetto molto prolifico che non opera purtroppo mai nella città di Verona, dove rimane iscritto tuttavia fino al 1979. (F.G.)
M. Introini, L. Spinelli, Architettura a Mantova dal Palazzo ducale alla cartiera Burgo, Silvana editoriale, 2018, p. 192
https://mantovafortezza.it/sistema-difensivo/borgo-di-san-giorgio/
33 Francesco Minocci
Le fonti risultano lacunose circa la vicenda professionale di questo architetto, laureato a Venezia nel 1949 e iscritto all’Ordine di Verona nel 1950, di cui
non abbiamo raccolto alcuna testimonianza. Muore il 4 febbraio 1981. (F.G.)
34 Luciano Foroni
Villafranchese (1914-1978), lascia alcuni interventi tutti nel suo paese di origine. Risale al 1963 il progetto, in collaborazione con Alberto Avesani (§ 14), del Teatro Trevi, mentre del 1965 è il progetto per la nuova piazza della Parrocchiale (oggi piazza Giovanni XXIII) con la demolizione dei fabbricati a ridosso della chiesa, la costruzione di due palazzine porticate e la ricollocazione del Monumento ai caduti della Prima Guerra mondiale dello scultore Egidio Girelli, realizzato su disegno del Fagiuoli. Negli anni Settanta ricostruisce la Chiesa dei Frati Cappuccini, fortemente rimaneggiata con un pesante intervento che ha sostanzialmente tenuto solo la sagoma di facciata della vecchia chiesa ottocentesca. Dello stesso periodo sono i lavori di adeguamento liturgico del presbiterio della chiesa dei Santi Pietro e Paolo Apostoli, sempre a Villafranca. (F.G.)
https://www.villafrancadiverona.org/it/quadri-eimmagini-#&gid=1&pid=17
https://www.sanroccovillafranca.it/wp-content/ uploads/2019/01/Oratorio-di-San-Rocco-e-i-tesori-di-Villafranca-pag.65_93.pdf
35 Ivo Maretti
Altro architetto di origine mantovana iscritto a Verona ma che ha sempre esercitato la professione a Mantova e provincia. Del suo lavoro danno testi-
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monianza il progetto di restauro risalente agli anni Cinquanta della Basilica di Goito, e il restauro dell’edificio dell’Accademia di Belle Arti di Mantova (1962-64). Si trasferisce all’Ordine di Mantova nel 1985. (F.G.)
https://iris.univr.it/retrieve/ handle/11562/325327/2508/Postumia_Cadioli_ Gazoldo_low.pdf
https://www.diocesidimantova.it/media/docs/CV_ MENNA_Inventario.pdf
36 Gaetano Luciani
Originario di Ferrara, classe 1925, studia architettura allo IUAV di Venezia nell’immediato dopoguerra, laureandosi nel gennaio del 1952. La sua carriera professionale ha inizio con una lunga e intensa esperienza presso la Grassetto, impresa edile di Padova all’epoca all’avanguardia per la gestione integrale di ogni commessa, dove sarà poi raggiunto dai veronesi Gianni Barbesi (§ 42) e Giacomo Stella (§ 40). In questo contesto, Luciani inizia un’intensa e frenetica attività all’interno dell’Ufficio Progetti, dove in collaborazione con l’architetto Renato Iscra e molti altri colleghi realizza una moltitudine di edifici a Padova (quartiere Guizza,
quartiere dei Fiori), ma anche il quartiere Cignaroli in via Gallaratese a Milano, oltre ai piani di lottizzazione per l’altopiano del Mokattan al Cairo. L’opera più significativa del periodo è la torre realizzata tra il 1959 e il 1961 in Galleria Porte Contarine a Padova, imponente edificio di 15 piani svettante su un basamento di tre piani fuori terra. Tra il 1977 e il 1978 Luciani si confronta con un’altra opera di rilievo, assieme all’ing. Enzo Bandelloni, la sede della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.
A Verona collabora con Antonio Pasqualini (§ 49) alla costruzione, realizzata tra il 1960 e il 1965, dell’isolato compreso tra via IV Novembre, via Isonzo e Lungadige Matteotti, un edificio scandito dal telaio strutturale in cemento armato a vista appoggiato su una parte basamentale in pietra lavorata.
In concomitanza con la conclusione dell’esperienza alla Grassetto, nel febbraio del 1985 Luciani si trasferisce dall’Ordine veronese a quello di Padova. Altre proficue collaborazioni seguono negli anni: con l’architetto padovano Federico Ottogalli realizza una casa unifamliare a San Zeno di Montagna, e nel 2006 il vistoso ampliamento dello Sheraton Hotel di Padova. Anche in quest’ultimo periodo, Luciani si distingue per l’instancabile passione per il suo lavoro, che pratica con dedizione fino alla sua scomparsa avvenuta nel 2012. (F.M.)
E. Pietrogrande, Padova anni cinquanta. Architettura e spazio pubblico, Gangemi, 2023
37 Guido Trojani
Anima e direttore dell’intera prima serie di «Architetti Verona» dal 1959 al 1963, Guido Trojani nasce a Verona nel marzo 1912 e intraprende gli studi in architettura presumibilmente solo dopo la fine della Seconda guerra mondiale, laureandosi infine nel 1952 all’età di 40 anni. Il suo primo progetto risale però già al 1947 quando, non ancora laureato, vince assieme a Raffaele Benatti (§ 11) il concorso per la ricostruzione e l’ampliamento di Palazzo Barbieri, semidistrutto dai bombardamenti. Il loro progetto
ripropone dopo più di un secolo lo schema compositivo concepito a fine Settecento da Gaetano Pinali, un riconoscimento alla lungimirante visione progettuale dell’erudito “dilettante” architetto veronese . Negli stessi anni Trojani è tra i progettisti del Ponte Navi in gruppo con Benatti e con Zamarchi, Vanzetti e Manzini (§ 07, 16, 20). Più avanti, come molti professionisti dell’epoca, trova nuove occasioni progettuali nell’architettura sacra, realizzando le nuove chiese parrocchiali di Raldon di San Giovanni Lupatoto (1960-62) e quella di Montorio (196465).
In parallelo all’attività professionale, Trojani si guadagna con autorevolezza la fiducia e la considerazione di molti colleghi in seno all’Ordine: non è un caso se già nel marzo del 1959, dopo appena sei anni dall’iscrizione ne diventa presidente, carica che mantiene fino al febbraio del 1963. L’esperienza di «Architetti Verona» lo vede in prima linea, assieme al giovane gruppo della redazione, nell’impegno per la difesa e il rispetto dell’etica professionale e la spinta per una maggior partecipazione degli architetti alla vita della città. Non manca il pungolo agli amministratori pubblici e alla burocrazia, chiamati direttamente in causa per le reticenze, le incompetenze, le evasività, le lungaggini e le mancate promesse, e la battaglia per l’introduzione dell’istituto del concorso per le opere di architettura pubbliche o private di una certa importanza. È certo che nella sua decisa condotta Trojani non risenta di alcuna subalternità verso la politica, che al contrario incalza con perspicaci argomentazioni critiche. Nel 1969,
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all’età di 57 anni, viene a mancare: a suo ricordo viene intitolata la sala della biblioteca nella vecchia sede dell’Ordine in via Oberdan 3, e viene pubblicato un volume di scritti in suo onore, tra i quali quello di Arrigo Rudi. (F.M.)
G. F. Viviani, Per Guido Trojani, Fiorini, 1973
AA.VV., Prima serie: 1959-1962, in «AV» 84, maggio-agosto 2009, pp. 32-45
F. Guerra, Strutturalismo ecclesiale, in «AV» 107, ottobre-novembre 2016, pp. 94-101
38 Gelindo Giacomello
Ha concentrato la sua attività nel campo dell’architettura sacra, grazie alle numerose realizzazioni di chiese che caratterizzano il suo curriculum. Nato a Sarego Vicentino nel 1918, Gelindo Giacomello è l’unico della sua numerosa famiglia, profondamente cattolica, a poter studiare. Diplomato nel 1937 a una scuola serale di disegno di Cologna Veneta, si iscrive nello stesso anno all’Accademia di Belle Arti Cignaroli di Verona, che frequenta fino al 1939 quando è chiamato al servizio militare. Nonostante lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nel 1941 riesce a diplomarsi come privatista al Liceo Artistico di Brera a Milano, dove è ospite del fratello operaio, per iscriversi poi al Politecnico, dove assorbe appieno il clima di fiducia nella modernità che si respira in città, e dove si laurea nel 1953.
La sua carriera professionale si svolge prevalentemente in provincia di Verona, con alcune esperienze tra la provincia di Venezia e quella di Foggia. (Chiesa di San Bernardino, 1962). Già nel 1957 inizia il progetto della Chiesa della Madonna di Lourdes a Forette di Vigasio, conclusa nel 1968, dove sperimenta la struttura ad arco parabolico in cemento armato, soluzione che affina nel tempo riproponendola poi in diverse opere. La chiesa è affiancata da un altissimo campanile con struttura a traliccio in cemento armato, il cui fusto rastremato ospita sulla cima un doppio ordine di celle campanarie. Ritroviamo la soluzione ad arco parabolico anche nella più modesta chiesa di Remelli (frazione di
Valeggio sul Mincio, 1965), ma soprattutto nella chiesa del Gesù Divino Lavoratore a Borgo Roma (1964-68), dove le marcate costolature paraboliche sottolineano l’impianto dell’unica navata rettangolare, fondendosi sinuosamente con il campanile affiancato alla facciata principale. Altre realizzazioni di rilievo sono la chiesa San Pio X, realizzata a partire dal 1961 accompagnando la forte espansione edilizia nella zona a est del centro città. Immediatamente successiva (1963-66) è la chiesa di Castel d’Azzano, dove il tema della figura triangolare e l’incastro di due figure trapezoidali nello sviluppo planimetrico, caratterizza poi tutto l’apparato decorativo sia in facciata, nella finestratura laterale, nel campanile a posizione centrale e persino nei corpi illuminanti. Nella chiesa parrocchiale della Sacra Famiglia a Verona(1964-72), svetta la muratura a vela con sviluppo curvilineo a coronamento della facciata principale del volume a pianta ellittica. La chiesa di San Zeno Vescovo di Vigasio (1966-68) è caratterizzata invece da una pianta a “ventaglio” con la torre campanaria centrale. Un progetto non realizzato è invece quello per la Cittadella dello Spirito Santo di Palestrina (Roma),
di cui restano alcuni disegni di grande impatto scenografico. La carriera professionale di Giacomello si conclude infine con le dimissioni dall’Ordine nel 1988. Dopo la sua scomparsa, nel 2020 ciò che è rimasto del suo archivio viene depositato presso la Biblioteca Civica di Verona, in memoria del suo importante contributo all’architettura sacra veronese durante la seconda metà del secolo scorso. (F.M.)
F. Guerra, Strutturalismo ecclesiale, in «AV» 107, ottobre-dicembre 2016, pp. 94-101
F. Guerra, Prospettive della fede, in«AV» 123, ottobre-dicembre 2020, pp. 60-65
39 Francesco Spelta
Dalle fonti d’archivio dell’Ordine risultano notizie lacunose su Francesco (Franco) Spelta. Nato a Piacenza nel 1906, manca il dato relativo al suo percorso di studi, ma riceve l’abilitazione a Roma nel 1931. Della sua attività antecedente al periodo veronese compare unicamente uno scritto su “I restauri della collegiata di San Lorenzo in Mortara” edito dalla milanese Tipografia Rozza nel 1939. Già durante la Seconda guerra mondiale si trova però a Verona, dove riceve il delicato incarico dal soprintendente Gazzola di eseguire scrupolosi rilievi del Ponte di Castelvecchio, al fine di integrare la documentazione fotografica già presente in previsione di eventuali danni bellici. Rilievi che si sono poi dimostrati fondamentali nella ricostruzione del ponte scaligero. Sappiamo inoltre che nel 1946 realizza l’altare del Sacro Cuore di Gesù presso la chiesa di San Lorenzo a Soave, e che tra il 1944 e il 1947 contribuisce alla costruzione della chiesa di Belfiore, dove progetta l’altare maggiore e il ciborio oltre a portare a
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termine la direzione lavori dell’intero edificio dopo la scomparsa del progettista, il collega udinese Domenico Rupolo.
Le sue attività più significative si trovano però nel cuore del centro storico veronese, dove a partire dal 1946 dirige la ricostruzione della chiesa del Seminario vescovile seguendo la filosofia del “dov’era e com’era”, fatta eccezione per l’innalzamento della quota del presbiterio. Sempre a quel periodo risale la ricostruzione dell’antichissima Biblioteca Capitolare, pesantemente danneggiata durante i bombardamenti. Con la ricostruzione si procede all’ampliamento e ammodernamento dell’intero complesso, che torna ben presto ad ospitare l’eccezionale patrimonio bibliografico miracolosamente preservato. L’ampliamento comporta la realizzazione di una nuova facciata sull’Adige, inserita nel pittoresco agglomerato di edifici preesistenti con un sapiente mimetismo. Sempre nello stesso edificio, da sottolineare il ripristino del cortiletto romanico composto da un doppio ordine di colonne binate, anch’esso parzialmente distrutto.
Curioso constatare come Spelta sia così incisivo nella ricostruzione del dopoguerra prima ancora di iscriversi formalmente all’Ordine di Verona, cosa che avviene solo nel 1952. Purtroppo non risultano ulteriori notizie relativamente a suoi lavori successivi; l’intero materiale da lui prodotto è andato perduto in seguito alla dismissione dello studio in cui lavora per molti anni in Lungadige Matteotti, presumibilmente fino alle dimissioni dall’Ordine nel 1976, raggiunti i 70 anni. (F.M.)
R. Chiarelli, Aspetti della ricostruzione a Verona, in « Architetti rassegna di architettura, urbanistica e arredamento », 7, aprile 1951, pp. 29-34
Scheda S242, “Documentazione del patrimonio architettonico”, Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
40 Giacomo Stella
Nato nel 1927 a Schio all’ombra delle Prealpi vicentine, Giacomo Stella studia architettura allo IUAV di Venezia, laureandosi nel novembre del
1952 insieme al compagno di studi e futuro collega Gianni Barbesi (§ 42). In quegli anni le occasioni di lavoro non mancano, ed è subito chiamato a lavorare per l’ufficio tecnico dell’impresa Grassetto, dove raggiunge i colleghi Gaetano Luciani (§ 36) e lo stesso Barbesi. Qui, messo sotto pressione dalla frenetica e complessa attività dell’impresa, matura una grande esperienza e capacità nella gestione del progetto e della sua realizzazione, fino al dettaglio. Durante questo periodo collabora a innumerevoli progetti sparsi in tutto il territorio italiano e all’estero, operando specialmente nella costruzione di numerose strutture alberghiere per conto della catena Jolly Hotel.
Terminata l’esperienza alla Grassetto, nei primi anni Sessanta torna a Verona per entrare a far parte come socio della ditta Edilbeton, della quale assume il ruolo di Direttore Tecnico nella maggior parte delle grandi commesse loro affidate, tra le quali la realizzazione del Ponte del Risorgimento a Verona, su progetto di Pier Luigi Nervi (1966-68), e del Ponte Unità d’Italia, disegnato nei primi anni Settanta da Antonio Pasqualini (§ 49) assieme a Bruno Gentilini, ingegnere.
All’attività con Edilbeton, Stella associa la libera professione, che negli anni Ottanta diventa preponderante. Nel suo studio in via Usodimare a Verona lavora a diversi progetti di restauro di importanti palazzi del centro storico, oltre che ad altri progetti residenziali di nuova costruzione e ville private. La sua lunga e brillante carriera professionale si conclude infine con le sue dimissioni dall’Ordine nel 2001. (F.M.)
G. Stella, Ricordi su Gianni Barbesi, in «AV» 21, novembre-dicembre 1995, pp. 14-15
41 Antonio Tosini
Non si hanno notizie sul motivo della presenza a Verona di Antonio Tosini, nato a Viticuso in provincia di Frosinone nel 1916. Sappiamo però che consegue la laurea in architettura a Venezia solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1953, all’età di 37 anni. Anche riguardo la sua vita professionale non si sa molto: risulta a suo nome uno studio professionale a Pressana, nell’estremo sud-est della provincia veronese, ma dalle ricerche effettuate non sono emerse opere a lui riconducibili. Si dimette dall’Ordine nel gennaio del 1979. (F.M.)
42 Giovanni Barbesi
Una sconfinata passione e dedizione al lavoro, intelligenza e sensibilità sui temi di progetto, grande maturità umana e professionale nonostante la giovane età: questi i giudizi che derivano da un memoriale su Gianni Barbesi pubblicato su «Architetti Verona» oltre trent’anni dopo la morte. “La sua prematura scomparsa non ha consentito di verificare appieno verso quali esiti si sarebbe indirizzata la sua maturità: certo il regesto delle opere, ancorché incompleto, la quantità dei disegni, e quanto di edificato è ancor oggi esistente restano a testimoniare la mole di lavoro prodotta in un periodo così breve che ad un normale professionista basta appena per ambientarsi nei meandri della professione”. Nato a Verona nel 1926, dopo il diploma magistrale consegue la maturità scientifica per intraprendere poi gli studi in architettura allo IUAV di Venezia, dove prende a riferimento alcuni dei maestri come Albini e Scarpa, avvicinandosi molto anche alle suggestioni dell’architettura organica wrightiana. Si laurea nel 1954, ma già dal 1953 lavora alla Grassetto di Padova chiamato dal compagno di studi Gaetano Luciani (§ 36). La frenetica attività alla Grassetto permette a Barbesi di accumulare grande
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esperienza nello sviluppo dei progetti; durante questo periodo collabora tra l’altro alla realizzazione di molti edifici alberghieri della catena Jolly Hotel, dando un sostanzioso contributo per l’Hotel Venezia a Cortina.
Nel 1956 Barbesi decide di lasciare l’impresa padovana e di intraprendere la libera professione, assistito dall’amico Arrigo Cugola (§ 48). In questa fase ottiene la fiducia della ditta Bortolaso, attiva nel settore dei sistemi prefabbricati, per la quale realizza diversi progetti e prototipi.
La sua attività è da subito molto intensa, lo testimoniano le numerose realizzazioni di ville a Torri del Benaco, Casteldario (MN) e Verona; ma anche progetti di appartamenti e negozi, come il negozio di fiori Ghedini in via Mazzini. A queste realizzazioni si aggiungono quelle per complessi di maggior rilevanza come la casa di cura Santa Giuliana a Verona (costruita con i sistemi della Bortolaso), una lottizzazione a Cerro Veronese, il Rely Hotel di Brenzone, le case per dipendenti Mondadori a Verona o il complesso AGEC a Ponte Crencano.
Due opere a Torri del Benaco – Villa Meneghini e villa Pasqua di Bisceglie – appaiono come le realizzazioni più mature. Per Meneghini e consorte (Maria Callas) lavora anche alla sistemazione della loro casa di Sirmione.
In aggiunta all’intensa attività progettuale, a partire dall’estate del 1959 Barbesi prende parte a quella felice iniziativa con cui si dà vita alla prima edizione della rivista «Architetti Verona», facendo purtroppo a tempo a partecipare al solo primo storico nume-
ro con la qualifica di redattore capo: nel momento di raggiungere la completa maturità professionale e raccoglierne i frutti, un incidente stradale nell’estate del 1959 gli toglie la vita a soli 33 anni. (F.M.)
A. Cugola, Gianni Barbesi: un architetto, in «AV» 2, I serie, settembre-ottobre 1959, pp.11-16
A. Cugola, Tre opere inedite di Gianni Barbesi , in «AV», I serie, luglio-agosto 1960, pp. 8-9 Gilberto Barbesi, M. Bellavite, S. Bocchini, R. Carbogin, Gianni Barbesi: un architetto anni ‘50, in «AV» 21, novembre-dicembre 1995, pp. 11-19
43 Lorenzo Rosa Fauzza
Un frequente travisamento, anche a mezzo stampa, fa pensare che si possa trattare del primo architetto donna operante a Verona: invece “Rosa” non è che parte del cognome dell’architetto Lorenzo Rosa Fauzza, nato a Maniago in provincia di Pordenone nel 1923. Intraprende inizialmente gli studi di ingegneria a Firenze ma, rientrato in Friuli poco prima della scomparsa del padre, non ha più modo di tornare in riva all’Arno a causa degli avvenimenti bellici. Dopo l’armistizio, essendo il Friuli ancora sotto giurisdizione tedesca, la situazione peggiora ulteriormente a causa dei sempre più violenti moti partigiani. Rosa Fauzza si salva dai rastrellamenti in quanto assunto come disegnatore nella Todt, l’organizzazione di lavoro creata appositamente al fine di dissuadere i più giovani a finire nella Resistenza.
Solo con la fine del conflitto e il ritorno alla normalità riesce a proseguire gli studi, questa volta allo IUAV di Venezia dove si laurea nel luglio del 1950 con una tesi sull’esperienza della ricostruzione tedesca, frutto di un periodo di apprendistato trascorso a Londra e in Germania. Un bagaglio di quell’esperienza all’estero è anche la conoscenza della lingua straniera, che gli vale la possibilità di essere invitato da Carlo Scarpa a fare da cicerone e da interprete durante il soggiorno veneziano di Frank Lloyd Wright, in occasione di una mostra a lui dedicata nel 1951 a Palazzo Ducale. Nello stesso anno apre il suo primo studio in Lun-
gadige Panvinio a Verona; una nuova esperienza all’estero lo conduce poi al fianco dell’architetto Fritz Ruempler (di cui poi sposa la figlia). Nel corso degli anni, il lavoro diventa intenso non solo in Veneto e nel Friuli, ma in tutta Italia e all’estero, con notizie di lavori in Egitto, Grecia, Brasile e Thailandia. Nel 1964 apre anche una succursale dello studio a Roma, dove l’attività progettuale per gli istituti religiosi è continua. Nel 1966 costruisce il condominio Forma 64 in via Santini a Verona, caratterizzato dagli ammorsamenti a cerniera sugli angoli del rivestimento in mattoni a vista, dove trasferisce anche la sua attività. Tra le opere veronesi, ricordiamo la Cappella delle Piccole Figlie di San Giuseppe (1960); lo stabilimento Abital a Parona, realizzato in collaborazione con l’architetto milanese Mario Gottardi (196162); la ristrutturazione e ricomposizione di parte della facciata di casa Filippini in via XX Settembre (1966), a fianco del Dopolavoro ferroviario di Banterle (§ 02); l’Istituto Ragazzi Nostri per i Padri Vincenziani a Quinzano, progettato inizialmente come seminario e poi ridestinato a scuola (196970). A titolo esemplificativo della proficua attività di Rosa Fauzza nel campo dell’architettura degli interni, si cita la sistemazione della storica libreria veronese Ghelfi&Barbato di via Mazzini, realizzata nel 1962.
Chiude la rassegna un intervento realizzato nei primi anni Novanta, la riforma della Chiesa del Sacro Cuore nel quartiere Pindemonte, con una nuova facciata rivestita in pietra bianca e l’inclusione anche del retrostante cinema a formare un insieme organico attorno al giardino posteriore.
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Lorenzo Rosa Fauzza si dimette dall’Ordine nel settembre del 1992, ritirandosi a vita privata nella casa-studio da lui realizzata in via dei Monti nel 1974, dove muore nel 2008. (F.M.)
L. Rosa Fauzza, Un viaggio tra Assy e Ronchamp, in «AV» 6, I serie, maggio-giugno 1960, pp. 12-14
L. Rosa Fauzza, Il problema dello spazio nell’arredamento, in «AV» 12, I serie, maggio-giugno 1961, pp. 9-10
A. Benasi, Un ricordo di Lorenzo Rosa Fauzza , in «AV» 82, gennaio-aprile 2009, pp. 85-86
A. Benasi, A. Vignolo, Lorenzo Rosa Fauzza a Verona , in «AV» 98, luglio-settembre 2014, pp. 86-93
44 Oreste Valdinoci
A lungo Segretario dell’Ordine (1963-65 e 196783) e poi anche Presidente nel biennio 1983-84, Oreste Valdinoci (1927-2021) viene ricordato anche per la dedizione nei riguardi della Lessinia, del suo ambiente montano e dell’architettura. Nato a Bologna, arriva a Verona come sfollato durante la Seconda Guerra Mondiale e vi rimane assieme alla madre anche al termine del conflitto. Dopo gli anni di formazione al Liceo Artistico, dove sviluppa la passione per la pittura che lo accompagna fino in tarda età, intraprende gli studi in architettura al Politecnico di Milano, salvo poi concluderli presso lo IUAV di Venezia laureandosi nel novembre del 1955. Inizia a lavorare nello studio di Gelindo Giacomello (§ 38), dove affina la sua sensibilità per lo spazio sacro che lo contraddistingue anche negli anni a venire. È in questo ambito
che riceve le prime importanti commesse, come la progettazione e costruzione della Chiesa del Buon Pastore a San Giovanni Lupatoto nel 1967, l’adeguamento della Chiesa di Santo Stefano a Verona con la sistemazione dell’area presbiteriale (196869), mentre tra il 1972 e il 1975 realizza la Chiesa di Sant’Anna in Menà nel comune di Castagnaro. Inoltre, a partire del 1989 progetta la sopraelevazione fino ai 38 metri di altezza del campanile della Chiesa di Santa Caterina in Villa, sita nel comune di San Giovanni Ilarione.
Per lunghi anni, alla libera professione accosta la docenza di Scienza delle Costruzioni presso l’Istituto Tecnico per Geometri Cangrande di Verona. Nel frattempo, progetta e realizza la scuola media di Grezzana e cura il primo allestimento del Museo Canonicale di Verona.
Nel 1987 lavora con Giancarlo Pellegrini Cipolla (§ 71) all’adeguamento liturgico della Cattedrale di Verona. Fanno seguito i suoi scritti relativamente a Note per la progettazione delle nuove chiese (1993) e Note sull’adeguamento della forma liturgica (1996). Accanto a questi interventi, negli anni 1991-92 Oreste Valdinoci coordina e redige il primo Piano del Parco della Lessinia e il Piano Malghe con una mappatura delle 300 malghe esistenti. La passione per l’altopiano veronese, oltre agli interventi progettuali – si deve a lui il primo allestimento del Museo dei fossili di Bolca – si esprime nei numerosi scritti, tra cui tre volumi pubblicati negli anni Duemila. (F.M.)
O. Valdinoci, Lessinia. Viaggio alla ricerca di qualcosa che scompare, La Grafica, 2005
O. Valdinoci, M. Voltan, Passi nel silenzio. Cammino sulle tracce del lavoro e della storia , La Grafica, 2009
O. Valdinoci, M. Voltan, Due montagne, una valle. Il monte Baldo e la Lessinia in provincia di Verona, CAI, 2011
Portfolio: la Lessinia dipinta di Oreste Valdinoci, in «AV» 125, aprile-giugno 2021, pp. 122-125
45 Luigi Calcagni
“Gigi” Calcagni, ovvero una delle due facce della medaglia Calcagni & Cenna (§ 46), binomio quasi indissolubile nelle vicende architettoniche di Verona (e non solo) dal dopoguerra a oggi. A spezzare il sodalizio dopo quasi sessantacinque anni di lavoro gomito a gomito è intervenuta la scomparsa di Calcagni (1929-2020): nel suo scritto In ricordo di Gigi, è Cenna stesso a parlare del “miracolo professionale” che ha legato i due fin dal secondo anno di architettura, dopo essere stati compagni di avventure fin dai primi anni dell’infanzia, poi colleghi e soci. Anche se Cenna preferisce ricordare il loro sodalizio come “una non frequente forma di collaborazione fondata su una solida amicizia tra due persone diverse per carattere, ma dotate della stessa voglia di sopraffarsi usando solo lo strumento dell’intelligenza”. Assieme i due frequentano la Scuola di Venezia negli anni dei grandi mastri. Assieme si laureano nel 1957, e negli anni seguenti condividono anche l’esperienza come assistenti di Giancarlo De Carlo prima e di Leonardo Benevolo poi. Per Calcagni, intanto, c’è l’apprendistato presso lo studio di Daniele Calabi a Padova.
Nel frattempo matura anche l’esperienza nel comitato di redazione di «ArchitettiVerona» fin dal primo numero del 1959. Per Calcagni l’impegno culturale e civile nei confronti di Verona è una costante: in parallelo all’attività professionale, il suo contributo alla vita amministrativa della città trova forma nel corso degli anni Settanta anche nel ruolo di assessore al Bilancio del Comune di Verona, come esponente di quel gruppo politico formatosi attorno alla figura di riferimento di Licisco Magagnato, storico direttore di Castelvecchio. Nell’età matura,
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l’impegno prende declinazione diversa attraverso coinvolgenti lezioni per i carcerati di Montorio. Per quanto riguarda invece l’attività progettuale –condotta in forma associata da Calcagni e Cenna, poi dal 1983 attraverso la fondazione di Arteco e l’ingresso di nuovi soci – la mole dei lavori obbliga a segnalare solo una ristretta selezione. Tra le prime opere degli anni Sessanta caratterizzate dall’uso del mattone e del cemento armato a vista si ricordano il condominio Torretta a Borgo Trento (1958) e nello stesso anno la Casa di soggiorno per anziani Don Carlo Steeb (con Carlo Carozzi).
Tra i lavori più significativi rientrano sicuramente quelli per l’Università di Verona, istituzione di cui Calcagni ha accompagnato la nascita e la crescita tanto da essere chiamato a collaborare con l’Ufficio tecnico dell’Università di Padova quando la sede veronese era ancora una emanazione di quell’ateneo: dal Palazzo di Economia (1965, L. Calcagni e G. Brunetta) al restauro del chiostro e della ex chiesa di San Francesco (1975-92), solo per citarne alcuni pezzi
Dopo il restauro della Gran Guardia con la realizzazione del centro congressi (1996-2001, progetto definitivo con Gianni Perbellini § 67), Calcagni all’alba dei suoi novant’anni ha diretto i lavori di quello che si sarebbe rivelato il suo ultimo cantie-
re, quello per il restauro del Palazzo del Capitanio (2013-18). Per questi e per i molti altri progetti realizzati, nel 2021 alla memoria di Calcagni è stato attribuito il Premio Architetti Verona 2021 ad honorem. (A.LO.)
L. Calcagni, Ospedale di Verona=errore urbanistico, in «AV» 01, I serie, luglio-agosto 1959, pp. 8-11
G. Bernini, Architetture per l’università , in «AV» 105, aprile-giugno 2016, pp. 84-91
L. Cenna, In ricordo di Gigi, in «AV» 124, gennaio-marzo 2021, p. 91
46 Luciano Cenna
Nato a Mantova, classe 1932, risiede a Verona dal 1939. Tirocinante di Albini a Milano, completa gli studi allo IUAV di Venezia nel 1957. Del sodalizio con Gigi Calcagni (§ 46) si è detto sopra, e seguendolo in ordine alfabetico e di iscrizione all’Albo, tutto quanto riguarda l’attività professionale della Calcagni e Cenna prima e di Arteco poi va condivisa per entrambi.
Difficile scegliere nel vastissimo novero delle loro opere realizzate in 65 anni di attività. Tra gli ambiti progettuali, quello sanitario – dall’ospedale di Legnago (1964-66, progetto iniziale di G. Fregno § 05) all’ampliamento dell’ospedale di San Donato Milanese (1998-2007, con R. Berlucchi) – le architetture per lo sport – dal palazzetto di Verona (1986) alla rifunzionalizzazione dello stadio Olimpico di Torino (2003-05, con G. Cenna) – e quelle per la residenza e il lavoro – il centro residenziale e direzionale Palladio (1979-82) e gli uffici Man-
ni (1981-82), ma anche piccole case nel paesaggio, come quella costruita per sé a San Zeno di Montagna (1970-71).
Di Cenna, che dopo aver fatto parte della stagione di esordio della rivista continua imperterrito a scrivere sulle pagine di «AV», va ricordata anche l’intensissima produzione editoriale, su vari fronti. Dal 1988 al 2014 collabora con il quotidiano «L’Arena», curando rubriche come «I piedi sulla città» che si occupa di tematiche urbanistiche e «Lettere al Direttore» manifestando la sua partecipazione alle vicende sociali e politiche contemporanee. Contributi poi raccolti in volume. Pubblica poi dei testi inerenti la storia urbana di Verona, illustrati da propri disegni.
Negli ultimissimi anni la sua scrittura è declinata in chiave narrativa, con scritti che spaziano nella sua immaginazione e memoria, ripescando motivi e situazioni della componente surrealista del suo profondo. (A.LO.)
L. Cenna, Una storia di Verona di Luciano Cenna, Rinascita libri, 1988
L. Cenna, Venti interventi + 3: la città e il territorio, Rinascita libri, 1988
L. Cenna, Verona & no: contributi di un contribuente, Rinascita libri-Cierre, 1989
L. Cenna, Verona urbs lapidis e altre favole lapidarie, Cierre, 1990
L. Cenna (a cura di), Ahimè, l’arredo urbano, Cierre, 1993
L. Cenna, Il vetraio assopito e altri brevi e brevissimi racconti, Cierre, 2021
L. Cenna, In rodaggio, Cierre, 2023
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47 Giovanni Lonardelli
È grazie all’influsso del padre Alessandro, attivo nel campo dell’antiquariato e dell’arredo di interni, che Giovanni Lonardelli (Verona, 1930-2017) decide di iscriversi ad architettura a Venezia, dove poi si laurea nel 1957. Durante gli studi, assieme ai compagni di corso Luigi Calcagni (§ 45) e Luciano Cenna (§ 46), ottiene la lode in un esame tenuto da Carlo Scarpa: voto firmato da Scarpa con la mano sinistra, in quanto non pienamente convinto della decisione della commissione. Eppure, una lode è sempre una lode (aneddoto rimasto vivo nella memoria familiare).
Nel maggio 1958, lo stesso giorno dei colleghi Arrigo Cugola (§ 48), Antonio Pasqualini (§ 49) e Bruno Bertelè (§ 50), varca la soglia di via Oberdan per iscriversi all’Ordine.
Negli anni 1962-63 realizza un condominio di sei piani fuori terra nel Quartiere Stadio a Verona. Per un giovane architetto questa poteva essere una commessa pericolosa, date le dimensioni dell’intervento e il contesto in forte espansione urbana. Lonardelli, invece, riesce a dare all’opera carattere e dinamismo attraverso l’inclinazione dei corpi di fabbrica che moltiplicano gli affacci.
Dopo questa prima esperienza, però, Lonardelli si dedica soprattutto a realizzazioni sulla costa veronese del Lago di Garda. Tra le opere da menzionare troviamo il restauro dello Yacht Bar sul lungolago di Bardolino, diverse abitazioni private e sempre a Bardolino l’Hotel Kriss, realizzato per la propria famiglia. Tutto il volume dell’hotel si imposta su un piano sopraelevato rispetto al lungolago, in modo che anche i piani più bassi possano godere di una
vista sullo specchio d’acqua; questa sopraelevazione ha comportato l’inserimento di un muro di sostegno, realizzato a quattro mani tra lo stesso Lonardelli e l’artista Pino Castagna. (F.M.)
48 Arrigo Cugola
Nato a Goito in provincia di Mantova, Arrigo Cugola (1924-2001) fa parte di quel nutrito gruppo di allievi dello IUAV di Venezia in quei mitici anni Cinquanta dove insegnarono alcuni tra i più grandi architetti dell’epoca; università nella quale si laurea nel settembre del 1957. L’iscrizione all’Albo avviene nel maggio del 1958 nello stesso giorno dei colleghi Lonardelli, Pasqualini e Bertelè. Dal 1959 prende parte alla stagione d’esordio di «Architetti Verona». Della sua attività professionale non rimangono molte informazioni; collabora a molti lavori con Gianni Barbesi (§ 42), prematuramente scomparso nell’agosto del 1959, al quale è legato da un forte rapporto di amicizia e stima come traspare da alcuni accorati articoli scritti in suo ricordo.
Sul suo conto non sappiamo molto altro, nonostante arrivi a ricoprire anche cariche di rappresentanza a livello nazionale: è Segretario del Consiglio Nazionale Architetti dal 1978 al 1980 e consigliere nel mandato successivo tra il 1980 e il 1983. Si dimette infine dall’Ordine nel dicembre 1991. (F.M.)
A. Cugola, Il mito di Architetti Verona , in «AV» 01, luglio-agosto 1992, p. 12
49 Antonio Pasqualini
La carriera professionale di Antonio Pasqualini è straordinariamente intensa, seppur breve. Nato a Verona nel 1925, studia a Venezia – tra i compagni di corso, Giovanni Lonardelli (§ 47)– e si laurea nel 1957. Dopo un primo periodo di collaborazione con Italo Mutinelli e Libero Cecchini (§ 17), Pasqualini già nel 1959 apre il proprio studio, ottenendo fin da subito incarichi importanti. La sua attività spazia dalla partecipazione a progetti internazionali
per la realizzazione di inceneritori, a collaborazioni con l’Ente Regionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura del Friuli, passando da alcuni interventi di restauro a Verona alla realizzazione di ville in luoghi di villeggiatura del veronese, dalla partecipazione a diversi concorsi (tra cui quello per le Scuole Medie Catullo, dove risulta secondo classificato) fino alla realizzazione, con l’ingegnere Bruno Gentilini, del Ponte Unità d’Italia al Saval, che con i sui 130 metri di lunghezza e quasi 20 di larghezza su tre campate è il ponte con le maggiori dimensioni della città. I caratteri più esemplificativi della sua architettura, però, si esprimono appieno nei molti condomini che realizza tra il 1960 e il 1974, anno della sua prematura scomparsa. In questo campo i suoi progetti si distinguono per la schietta linearità dei volumi, esaltati dalla spiccata materialità delle facciate e movimentati con coraggiosi aggetti. Pasqualini cura maniacalmente i dettagli dei contorni finestra, dei marcapiano o dei parapetti, usando con disinvoltura le funzionalità e l’estetica del cemento, del laterizio e del metallo.
Le sue opere contribuiscono in particolare a definire il moderno carattere urbano del quartiere di Borgo Trento. Con Gaetano Luciani (§ 36) realizza tra il 1960 e il 1965 il grande complesso edilizio via IV Novembre, via Isonzo e Lungadige Matteotti. Degli stessi anni altri edifici in via Guerzoni, via Anzani e via delle Argonne, con esiti molto più vicini a quella che sarà la sua abituale cifra stilistica. Tra il 1966 e il 1970 affina ulteriormente il proprio linguaggio progettuale, che si fa più maturo; a questo periodo risalgono i condomini di via Monte Pasubio 5, via Prato Santo 18, via dei Mille 5, via Sirtori 7 e 10. Ricordiamo infine le esperienze nel
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quartiere Navigatori, con gli edifici in via Magellano e via Morosini, e in Borgo Milano con le realizzazioni di via Caboto e via Vespucci, dove inizia anche l’interessante sperimentazione di alcuni elementi prefabbricati in cemento nella composizione della facciata. (F.M.)
F. Guerra, Antonio Pasqualini a Borgo Trento, in «AV» 102, luglio-agosto 1992, pp. 84-91
50 Bruno Bertelè
Originario di Cerea, nel cuore della bassa veronese, dove nasce nel 1922, Bruno Bertelè studia architettura presso lo IUAV di Venezia solo dopo la fine della guerra, laureandosi nel 1957 all’età di 35 anni. A partire dai primi anni Cinquanta fino al 1959, proprio a cavallo del suo periodo di studi, figura nel ruolo di direttore della Scuola Popolare di Disegno “Appio Spagnolo”, importante istituzione locale nata a Cerea nel 1910 che ebbe il merito di dare grande impulso allo svilupparsi di una cultura artigiana all’interno di un ambiente dominato dall’agricoltura. Non a caso fu proprio in questi territori che si sviluppò in quel periodo una grande attività di mobilifici ed artigiani specializzati nella produzione di arredo di qualità. Impulso culturale a cui deve aver contribuito anche Bruno Bertelè durante la sua dirigenza.
Nel 1958 si iscrive all’Ordine contestualmente al già ricordato gruppo di amici-colleghi (Lonardelli , Cugola e Pasqualini § 47, 49, 49). Della sua attività professionale risulta dalla ricerca un’unica realizzazione, il complesso parrocchiale di San Zeno in
Santa Maria a Cerea, sia pure incompleta rispetto al progetto (non essendo stato realizzato il volume destinato al cinema-teatro). Ne risulta un corpo sviluppato a L appoggiato su pilotis, dove il cemento e i mattoni faccia a vista dominano il carattere dell’edificio. Nel maggio del 1996 Bertelè si dimette infine dall’Ordine. (F.M.)
https://www.appiospagnolo.it
51 Saveria Paglialunga
Prima donna architetto iscritta all’Ordine veronese, Saveria Paglialunga nasce a Bolzano nel 1930 e si laurea allo IUAV di Venezia nel del 1958. Della sua attività professionale abbiamo tracce a partire dal 1960, quando compare come direttrice dei lavori nell’importante restauro di Villa Della Torre a Fumane per conto del commerciante veronese Girolamo Cazzola che da poco era entrato in possesso del bene; intervento seguito anche da Libero Cecchini (§ 17) per conto della Soprintendenza. Nel 1962, in gruppo con lo stesso Cecchini e con Lauro D’Alberto (§ 91), vince il concorso per il nuovo Brefotrofio della provincia di Verona, opera poi realizzata. Con gli stessi colleghi e con il più giovane Arrigo Rudi (§ 73) assieme allo storico Gianlorenzo Mellini (attivo anche nella redazione di «AV») firma nel 1960-61 il Piano Paesistico della Collina Veronese. A metà degli anni Settanta firma poi il progetto della chiesa parrocchiale dell’Esaltazione della Santa Croce nell’omonimo quartiere veronese. Il volume si compone di una unica ed ampia aula a ventaglio, con fulcro nel presbiterio rialzato di alcuni gradini; la parete di fondo è ornata con una decorazione a mosaico, opera dall’artista Luigi Scapini. Saveria Paglialunga si dimette infine dall’Ordine nel dicembre del 2002. (F.M.)
L. Co., L’unica chiesa in città non dedicata ad un santo, in «L’Arena», 19 luglio 2010 F. Legnaghi, G. Castiglioni, Il tempietto sanmicheliano di Villa della Torre a Fumane: riletture, in Annuario storico della Valpolicella , vol. 13, 1996-97, pp. 181-210
52 Luigi Cottinelli
Figlio dell’ingegnere Giovanni Battista, Luigi Cottinelli nasce nel 1932 a Lovere, sul lago d’Iseo. Frequenta lo IUAV di Venezia dove si laurea nel 1958. Inizia la sua attività professionale a Verona, dove rimane fino al 1973 quando ritorna a Lovere e si trasferisce quindi all’Ordine provinciale di Bergamo. Lo studio a tutt’oggi è condotto dal figlio Giovanni Battista, architetto.
In merito alla sua attività professionale durante il periodo veronese non sappiamo molto, salvo la collaborazione con alcuni studi in città e in Valpolicella allo sviluppo di piani urbanistici. Rimangono, invece, alcuni suoi scritti pubblicati nella prima serie di «Architetti Verona» nei primi anni Sessanta, a testimonianza del suo passaggio nel panorama dell’architettura veronese. (F.M.)
L. Cottinelli, L. Tagliaferri, Michele Sanmicheli nel suo tempo, in «AV» 3, I serie, novembre-dicembre 1959, pp. 13-21
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L. Cottinelli, Parliamo del Piano Regolatore Generale, in «AV» 7, I serie, luglio-agosto 1960, pp. 9-11
L. Cottinelli, Considerazioni sulla Triennale di Milano, in «AV» 8, I serie, settembre-ottobre 1960, pp. 14-15
53 Stefano Mastruzzi
Come altri prima di lui, fa parte dei mantovani iscritti a Verona prima dell’istituzione del proprio Ordine provinciale, presso il quale si trasferirà nel 1985. Stefano Mastruzzi (Mantova, 1928-2011) si laurea allo IUAV di Venezia nel 1958; sul suo conto, purtroppo, non abbiamo alcuna informazione né dal punto di vista biografico né da quello professionale. (F.M.)
54 Alessandro Mendini
Conosciuto a livello internazionale come teorico, architetto, designer e artista, Alessandro Mendini (1931-2019) così come il fratello architetto Francesco (§ 79) appare negli annali dell’Ordine veronese per ragioni familiari. Nonostante la nascita a Milano, dove poi si laurea al Politecnico, la famiglia paterna è originaria di Villafranca, e tale evidentemente rimane la residenza. Solo nel 1965 chiede il trasferimento all’Ordine di Milano con una lettera inviata dallo studio “arch. Mario Brunati arch. Sandro Mendini”; lo studio è a due passi dalla casa disegnata da Piero Portaluppi per la famiglia materna dove vive.
Il lavoro di Mendini attraversa le stagioni creative del design radicale, di cui è uno degli esponenti dando vita al gruppo Alchimia e facendosene portavoce attraverso la sua direzione di Casabella e Domus. Numerosi sono i testi e i manifesti teorici, come “Paesaggio casalingo” (1979), “Architettura addio” (1981), “Progetto infelice” (1983), “Existenz maximum” (1990): tutte occasioni, queste, durante le quali ha messo a punto concetti fondamentali come “design neo-moderno” (equiparato al Manierismo cinquecentesco), “casa banale” (che riconosce il valore del brutto e del kitsch nel quotidiano) e redesign. L’ibridazione di linguaggi e stili approda alla stagione postmoderna, con un approccio che è costantemente creativo e ironico. Dal cucchiaio –per esempio il cavatappi di Alessi – alla città – come le stazioni della metropolitana di Napoli, caratterizzate dalla feconda presenza dell’arte contemporanea – i lavori dell’Atelier Mendini, che fonda nel 1989 assieme al fratello Francesco, sono innumerevoli.
Tra questi, nel 2005 gli interni dell’Hotel Byblos in Valpolicella, in cui gli spazi della Villa Amistà sono arricchiti con opere contemporanee di artisti e designer internazionali. Altra opera per la quale Mendini dà una consulenza artistica è la cantina-showroom Menegotti, inaugurata nel 2011, che sorge tra Valeggio e Villafranca proprio sui terreni un tempo appartenuti alla famiglia paterna. Il lascito di Alessandro rimane oggi in vita grazie al continuo lavoro del fratello Francesco e dell’Atelier Mendini. (A.LO.)
D. Tacconi, “M” come madre terra , in «AV» 117, aprile-giugno 2019, pp. 48-53
A. Mendini, La poltrona di Proust, a cura di M. Galbiati, Nottetempo, 2021
55 Corrado Lonardoni
Originario di Negrar, dove nasce nel 1929 da Bortolomeo, capomastro e impresario edile locale, trascorre la sua infanzia nel cuore della Valpolicella. Dopo la maturità classica presso il Liceo Maffei a Verona si iscrive ad architettura a Venezia, laureandosi nel 1959. L’anno seguente apre uno studio in via Lungadige Rubele assieme al collega Luigi Cottinelli (§ 52), con la collaborazione esterna dell’ing. Zampiron. In quegli anni aderisce all’Azione Cattolica con il desiderio di poter contribuire alla ricostruzione morale e materiale del Paese nel dopoguerra; progetta principalmente condomini e abitazioni a Verona e nella Valpolicella, lavorando per la committenza privata e le Parrocchie di Parona, Negrar, Lugo di Grezzana e Montecchio di Negrar. Da quest’ultima viene incaricato nel 1966 di progettare e costruire le scuole di catechismo e il salone ricreativo. Per diversi anni, dal 1960 al 1970, fa parte della Commissione edilizia di Negrar, dove risiede in quegli anni.
Dopo il trasferimento del collega Luigi Cottinelli, nel 1973 apre il suo studio in viale della Repubblica dove continua a esercitare fino agli anni Novanta. Tra i lavori di quegli anni, realizzati sempre nel medesimo ambito territoriale, una palazzina di tre piani costruita per sé in via delle Rimembranze a Negrar (1976), e il condominio “Flaminia 63” (1974-75) nel quartiere Catena a Verona, all’angolo tra via Magellano e via Querini. Negli anni Ottanta segue per la società Lucense l’iter di demanializzazione del corso d’acqua di Grezzana nomina-
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to “Rial” che in passato alimentava i mulini della vallata. Nel 1978 si sposa e si trasferisce a Lugo di Grezzana, dove a partire dal 1990 ha sede anche lo studio dove porta a termine gli ultimi incarichi, per poi dimettersi dall’Ordine nel 2003. Nella vita, oltre alla professione, è appassionato di arte e letteratura, e ama organizzare visite guidate. Viene a mancare nel 2021. (G.N.)
56 Mario Cazzaniga
Non resta traccia dell’attività professionale di questo architetto mantovano che probabilmente, come i suoi predecessori, utilizza l’iscrizione all’Ordine di Verona solo come incombenza burocratica necessaria – vista l’assenza di un Ordine provinciale a Mantova fino al 1981 – per poter svolgere la propria attività altrove. Infatti si trasferisce all’Ordine di Mantova già dal 1985 e di lui si perdono le tracce. (G.N.)
57 Maria Basello
Nessun indizio ci aiuta a ricostruire l’attività di questa iscritta, originaria della provincia di Udine (Codroipo, 1931) che, laureata a Venezia nel 1959, si iscrive all’Ordine di Verona. È la seconda donna iscritta e, per il mistero che la circonda, si può ipotizzare che non abbia svolto la libera professione ma si sia dedicata all’insegnamento o ad altra attività, come raccontano i coetanei architetti interpellati che, non ricordandone il nome, suggeriscono questa ipotesi non senza una malcelata supponenza. (G.N.)
58 Maria Stella Pasti
Nata nel 1934 nel veronese, si laurea nel 1959 allo IUAV. Nel 1961 si sposa e si stabilisce in provincia di Venezia, ma il trasferimento all’Ordine veneziano avviene solo nel 1985. Madre di cinque
figli, dedica gran parte della sua vita professionale alla trasformazione di fabbricati rurali in dimore di campagna e, parallelamente, alla realizzazione di appartamenti e alloggi ad uso commerciale e ricettivo: sono gli anni in cui lungo tutto il litorale veneziano comincia a svilupparsi quella che poi è diventata la florida industria turistica.
Nel 1968 firma il progetto per il polo direzionalecommerciale del nascente Villaggio San Francesco a Caorle, ancora oggi in piena attività e, pochi anni prima, ristruttura e amplia quella che ora è nota come Villa Casello, ma che, fino agli anni Quaranta era il ‘casello’, con funzione ‘antisbarco’, della Guardia di Finanza. Dell’edificio, che si affaccia sulla spiaggia fra Caorle ed Eraclea, vengono conservati i tratti tipici della semplice casa veneziana, con alcuni tocchi moderni negli arredi interni, negli archi delle porte-finestre del soggiorno e nella scala che scende dalla terrazza verso il mare.
Il progetto più interessante di tutta la sua produzione rimane la cappella disegnata nel 1956 per il Passo Gardena, in provincia di Bolzano; lo realizza con entusiasmo, non ancora laureata, sotto l’egida del suo professore Carlo Scarpa. La luce della montagna penetra dalle fenditure orizzontali, tra il muro e il tetto, che stacca le due superfici, alleggerendo e
facendo quasi volare la copertura lignea mentre il pesante muro in pietra si riunisce saldamente alla terra su cui sorge, le Dolomiti. Allo stesso tempo, la luce divina, entra al tramonto dall’apertura a forma di croce, scolpita sulla pietra del muro. Mariastella Pasti è morta il 10 febbraio 2023. (S.P., A.P.)
59 Andrea Ianni
Toscano di nascita (Massa, 1925) frequenta la Facoltà di Firenze dove si laurea nel 1957 ma lo stesso anno si trasferisce a Verona e si iscrive all’Ordine, in coincidenza con l’assunzione del ruolo di responsabile dei Lavori Pubblici presso il Comune di Verona, dove svolge gran parte della sua attività professionale. Resta iscritto fino al decesso avvenuto nel 1993. (F.G.)
60 Rosario Firullo
È il progettista di un edificio iconico nel panorama urbano di Verona sud, il “Bauli”, palazzo per uffici inaugurato nel 1977 al di sopra della vecchia fabbrica dell’azienda dolciaria veronese dopo che lo stesso Firullo ne aveva costruito i nuovi stabilimenti a Castel d’Azzano (1973-74). Nato a San Bonifacio nel 1932, Firullo consegue la laurea in architettura presso lo IUAV di Venezia nel 1960 e intraprende la libera professione un anno dopo, iscrivendosi all’Ordine nel 1961.
Fonda il suo studio in via Scalzi, nel cuore della città, dove assieme all’architetto Marzio Dal Cin e al geometra Salvino Antico dà vita a due macro gruppi di progettazione, uno dedicato all’architettura e l’altro all’urbanistica. Qui tra gli anni Settanta e Novanta, nascono i piani regolatori di molti comuni della provincia di Verona tra cui, per citarne alcuni, Badia Calavena, Sanguinetto, Valeggio e Villafranca, comune per il quale lavora assieme a Gianni Perbellini (§ 67). Con Onorio Trevisan (§ 72) e l’ingegner Nicolò esegue nel 1969 per il Comune di Verona un censimento degli edifici del quartiere Veronetta. In ambito architettonico, tra gli altri
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edifici realizzati ricordiamo l’edificio residenziale multipiano nel quartiere Sacra Famiglia, e l’Hotel Leopardi in corso Milano.
Tra il 1994 e il 1997 è autore con la direzione artistica di Luigi Caccia Dominioni del Centro Servizi della Banca Popolare di Verona, nella ZAI. Nel 2006 Firullo conclude la libera professione, sancita dalle dimissioni dall’Ordine. (G.N.)
A. Vignolo, Imparando dal pandoro, in «AV» 115, ottobre-dicembre 2017, pp. 56-61
61 Luigi Malgarise
Nato nel 1934 a San Bonifacio, si laurea in architettura allo IUAV di Venezia nel 1960. Avvia la libera professione nel 1961 aprendo uno studio professionale a Vicenza. I primi progetti riguardano la costruzione di alcune residenze a San Bonifacio e l’ampliamento di istituti scolastici a Cagliari. Nel 1963 si trasferisce a Cagliari per seguire alcuni cantieri per la ditta Nico Velo, ma la terra sarda gli rimane nel cuore tanto da decidere di stabilirsi definitivamente, con l’obiettivo di contribuire a elevare e valorizzare l’isola nel rispetto delle persone e del territorio. Nel 1965 viene istituito l’Ordine degli
Architetti di Cagliari, Nuoro e Oristano, presso il quale si trasferisce.
Il suo studio diventa un punto di riferimento per privati e amministrazioni pubbliche, registrando un importante picco di lavori in particolar modo negli anni Settanta, quando progetta e costruisce diversi condomini e ville. Tra i committenti spiccano i nomi del calciatore Gigi Riva, per il quale progetta l’appartamento, e l’allenatore del Torino Gustavo Giagnoni per il quale costruisce una villa a Porto Rotondo. Tra i progetti più rilevanti vi sono nel 1986 il restauro dell’anfiteatro romano di Cagliari (poi stravolto) e nel 1987 la sistemazione di Piazza Europa e Piazza Brigata Sassari a Dolianova. Realizza progetti legati all’interior design per il settore ricettivo, commerciale e terziario e, allo stesso tempo, redige piani di lottizzazione e piani particolareggiati, come quello per l’area dell’ex aeroporto militare Monserrato (1976-87), che prevede la realizzazione di un parco urbano attrezzato e di una cittadella sportiva. Dal 1977 al 1979 Malgarise diventa presidente dell’Ordine degli Architetti di Cagliari. Termina la sua attività professionale ritirandosi nel 1991; verrà a mancare nel 2015. (G.N.)
62 Ottorino Tognetti
Architetto e urbanista, figura conosciuto da tutti col diminutivo Otto, Tognetti nasce a Sanguinetto nel 1934. Si laurea in architettura nel 1961 al Politecnico di Milano e, iscritto all’Ordine l’anno seguente, inizia l’attività professionale aprendo il suo primo studio a Palazzo Canossa, in Corso Cavour, assieme agli amici e colleghi Arrigo Rudi (§ 73) e Augusto
Gonzato (§ 68). Successivamente lo studio si trasferisce nel palazzo da lui progettato nei pressi dell’ex convento poi carcere agli Scalzi. Tognetti è parte del gruppo di giovani architetti – tra cui lo stesso Rudi, Gianlorenzo Mellini e Virgilio Vercelloni, riuniti da Guido Trojani (§ 37) – che danno vita all’esperienza di «Architetti Verona», strumento di un acceso dibattito sul territorio e sulle trasformazioni urbanistiche della città. Tognetti, durante la sua attività professionale dal 1962 al 1998, alterna la progettazione edilizia per la committenza privata alla pianificazione urbanistica. Grazie al rapporto di collaborazione con Pietro Gazzola, segue la redazione di piani di tutela e salvaguardia dei centri storici, in particolare quelli di Sabbioneta (1967), Rivarolo (1972), Castiglione delle Stiviere (1973), Nogara, (1973), San Martino Buon Albergo (1975), Borghetto e Valeggio sul Mincio (1975), Ostiglia (1975), Peschiera del Garda (1978) e successivamente Bovolone (1993) e Mantova (s.d.). Sempre Gazzola lo chiama poi a collaborare all’inventario del Patrimonio Culturale Europeo, per il quale si occupa del censimento paesistico dell’Isola di Malta (1967).
Numerose sono inoltre le analisi urbanistiche, come quella per il Saval (1969), le tre valli di Brescia (1971), la Marangona a Verona (1979), l’Isola del Tronchetto a Venezia (1983), il comparto ex Magazzini Generali, ex Mercato Ortofrutticolo ed ex Manifat-
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tura Tabacchi a Verona (1987). Sempre in ambito urbanistico studia e progetta i primi centri commerciali sul territorio veronese: Bussolengo (1973), Soave (1977), Verona Est (1985), Sommacampagna (1990). Con la parentesi di una partecipazione alla società Arseo, nata per la commercializzazione di mobili di design internazionale, l’attività architettonica nel centro di Verona è intensa: da ricordare il già citato edificio agli Scalzi (1970), il recupero dell’albergo Antica Porta Leona (1971), l’isolato tra via Garibaldi e via Rosa con la sala convegni della Cassa di Risparmio (1972), l’Hotel Leon d’Oro (1974), il restauro di Palazzo Maffei con la messa in luce delle stratificazioni archeologiche (1975), la realizzazione della nuova sede I.A.C.P. (oggi ATER) di piazza Pozza (1986), la sistemazione del chiostro della Facoltà di Giurisprudenza in via Montanari, completato nel 2009 con la costruzione dell’aula magna (portata a termine da K. Chodjai) a cerniera con palazzo Verità Montanari.
Nel 1998 termina l’attività professionale, e buona parte della sua ricca biblioteca va a costituire il nucleo della biblioteca didattica della allora nascente Facoltà di Architettura di Ferrara. Muore a Verona nel 2017; alla fine dell’anno successivo ciò che è rimasto del suo archivio professionale è stato ordinato e reso disponibile in lascito alla Biblioteca Civica di Verona. (A.LO.)
O. Tognetti, Cinquant’anni fa... cominciammo con dei sogni, in «AV» 84, maggio-agosto 2009, pp. 42-43
G. Bernini, Architetture per l’università , in «AV» 105, aprile-giugno 2016, p. 91
F. Guerra, I Sepolcri. Otto Tognetti , in «AV» 118, luglio-settembre 2019, p. 75
63 Carla Tagliaferri
Nata nel 1933 a Verona, fin da giovanissima si appassiona e studia pittura all’Accademia Cignaroli di Verona, una vocazione che persegue parallelamente al percorso di studi in architettura. Si laurea allo IUAV di Venezia nel 1960 e un anno dopo si iscrive all’Ordine, svolgendo la libera professione princi-
palmente tra Verona e Roma. La sua vita professionale è scandita da molteplici interessi: i quadri lasciano trasparire un amore per la natura che la porta ad approfondire i temi progettuali sul territorio, il paesaggio e l’ambiente e la impegna nella stesura di articoli e saggi pubblicati negli anni Novanta; si interessa inoltre al sociale progettando complessi di case popolari e pubblicando alcuni volumi dove affronta il progetto degli spazi legati alla sanità, agli anziani e ai diversamente abili.
Fin dal 1959 si impegna nell’associazionismo femminile (FIDAPA, Soroptimist). Tra gli anni Sessanta e Novanta partecipa a diversi concorsi di progettazione nel territorio nazionale, affrontando temi a varie scale. Nel 2017 raccoglie ed espone parte delle sue opere – quadri, modellini e disegni realizzati nel corso della carriera – nella mostra “Gli spazi di Carla” allestita a Cavaion Veronese, dove aveva realizzato negli anni Settanta la scuola media in via Cavalline. Negli ultimi anni riceve importanti riconoscimenti, tra cui il Premio alla Carriera In/Arch Triveneto nel 2020 e la nomina di Commendatore della Repubblica nel 2023. Oggi risiede a Garda a Ca’ Olivarella, la casa da lei stessa progettata e realizzata tra il 1962 e 1965. (G.N.)
D. Tacconi, A. Vignolo, Carla non farla , in «AV» 112, gennaio-marzo 2017, pp. 70-71
64 Angelina Regaiolo
Troppo breve la permanenza tra gli iscritti di questa collega per potere lasciare una qualche traccia. Nata a Legnago nel 1931, Angelina Regaiolo si laurea
allo IUAV di Venezia nel 1961; si iscrive all’Ordine l’anno seguente, ma già nel 1963 si dimette. (G.N.)
65 Claudio Bassani
Nato nel 1933 nel comune di Borgoforte, in provincia di Mantova, Claudio Bassani trascorre la sua infanzia con la famiglia a Genova, per poi tornare a Mantova dopo la fine della guerra. L’incontro in giovane età con il vicino di casa, il pittore Walter Mattioli, lo avvicina a quella che poi diventa una delle sue più grandi passioni, la pittura. La vocazione per l’arte lo porta a iscriversi dapprima al Liceo artistico di Verona e successivamente alla Facoltà di Architettura di Venezia, dove condivide l’intero percorso di studi con un altro studente mantovano, Adolfo Poltronieri (§ 66). Si laurea nel 1962 con Ludovico Barbiano di Belgiojoso. Dopo aver prestato il servizio militare torna a Mantova dove si associa con il compagno di studi Poltronieri e altri due architetti mantovani, Alfonso Galdi (§ 77) e inizialmente anche Francesco Caprini (§ 81). Dopo un breve periodo dedicato all’insegnamento a causa della crisi edilizia, nel 1968 l’attività finalmente decolla. Lo studio lavora principalmente nel territorio mantovano; tra i progetti più noti emergono diversi restauri come quello di Palazzo Te, delle Pescherie di Giulio Romano, del Palazzo della Masseria in piazza Broletto, a
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Mantova, e del palazzo municipale di Mozambano; elaborano inoltre studi e proposte di interventi sulla chiesa di San Sebastiano e a Sabbioneta lavorano a progetti relativi alla cinta muraria ed edifici monumentali pubblici. Alla scala urbana, redigono i piani particolareggiati del quartiere dell’ex ghetto ebraico e di San Leonardo e i piani urbanistici di diversi comuni mantovani.
Nel 1973 si trasferisce dall’Ordine di Verona a quello di Brescia, Cremona e Mantova e, infine, nel 1981 al singolo Ordine di Mantova, del quale entra a far parte del Consiglio e diventa Tesoriere dal 1993 al 1995. Nel 1993 chiude la collaborazione con lo studio associato per svolgere la professione in autonomia fino al 2004, dedicando più tempo alla pittura. I suoi quadri vengono esposti in due mostre, la prima alla Casa del Mantegna nel 2014 e la seconda nel 2016 presso la Torre gonzaghesca di Medole, restaurata anni prima da lui e dagli ex soci. Nel 2014 gli viene conferito il Timbro d’oro per i cinquant’anni di iscrizione all’Albo. Viene a mancare pochi anni dopo, nel 2018. (G.N.)
66 Adolfo Poltronieri
Compagno di studi e a lungo socio di Claudio Bassani (§ 65), che lo precede nell’Albo veronese, Adolfo Poltronieri nasce a Mantova nel 1934 e si laurea con il massimo dei voti presso lo IUAV di Venezia nel 1962, relatore Franco Albini. Con Bassani
e con Alfonso Galdi (§ 77) e Francesco Caprini (§ 81), che abbandona il gruppo pochi anni dopo, fonda uno studio orientato in modo particolare verso il restauro architettonico e urbano, la progettazione architettonica e l’interior design. Tra i progetti più importanti realizzati a Mantova si segnalano il restauro di Palazzo Te e delle Pescherie di Giulio Romano (anni Ottanta), il recupero e la conversione del vecchio macello per la Biblioteca Gino Baratta (1980-90), il restauro del complesso ecclesiastico di San Barnaba (1987-2004), del Monastero di San Francesco (2004-07) e della facciata di Palazzo Cantoni (1993). Tra gli anni Settanta e Novanta cura l’allestimento di numerose mostre ed esposizioni, in particolar modo all’interno di Palazzo Te. Al di fuori del territorio mantovano nel 2006 si occupa della ristrutturazione dell’ultimo piano dell’Hotel Spinale a Madonna di Campiglio e realizza progetti di ristrutturazione e arredo di alcune residenze private a Valeggio sul Mincio e a Riva del Garda. Nel 1992 vince il Premio IN/Arch per il restauro di Palazzo Te, di cui è principale progettista e direttore lavori. A partire dai primi anni Novanta inizia la collaborazione con la figlia Eleonora e dal 2004 lo affianca anche il figlio Marco. Dopo la separazione dagli architetti Bassani e Galdi, nel 2010 lo studio prende il nome di Archiofficina, ad oggi in attività. Pur non frequentando più attivamente lo studio, Adolfo Poltronieri si interessa ancora oggi alla grande passione della sua vita, l’architettura. (G.N.)
67 Gianni Perbellini
Nato a Verona nel 1936, Gianni (Giovanni Maria all’anagrafe) Perbellini dopo il liceo scientifico si trasferisce a Milano per frequentare il Politecnico, dove contemporaneamente continua a dedicarsi, per diletto e non solo, alla sua grande passione, la pittura, che gli rende una buona manualità nel disegno e gli consente di vincere alcuni premi. L’ambiente milanese è stimolante, permettendogli di conoscere figure del calibro di Ernesto Nathan Rogers (con il quale prepara una tesina su Verona), Gio Ponti o Antonio Cassi Ramelli. Nel 1962 si laurea e si
cimenta all’inizio della carriera come assistente al corso di Urbanistica. Lascia Milano solo quando ottiene la cattedra di Elementi di Architettura presso l’Accademia di Belle Arti, ritornando così a Verona dove successivamente Piero Gazzola, che era stato suo docente di restauro al Politecnico e figura di riferimento, lo introduce nell’ambiente culturale locale.
Nei primi anni del rientro veronese sono determinanti gli insegnamenti ricevuti da quest’ultimo, tanto che l’attività progettuale si concentra sul restauro di numerosi immobili. Una parentesi è rappresentata dalle aree di servizio delle allora nascenti autostrade: il Bauli grill a Sommacampagna, realizzato tra il 1965 e il 1966 e il progetto per l’Autobrennero basata su un sistema di prefabbricazione. In seguito Gazzola gli propone un incarico di collaborazione relativo alla tutela del patrimonio architettonico di Cremona – allora sotto la giurisdizione della Soprintendenza veronese – dove Perbellini rimane cinque anni, operando notevoli interventi grazie alle sovvenzioni garantite dalla Regione Lombardia. È sempre Gazzola a introdurlo nel mondo dell’associativismo, soprattutto quello internazionale, dove nel tempo ricopre vari ruoli in enti quali I.C.O.M.O.S., Internationales Burgen Institut, Europa Nostra e Istituto Italiano dei Castelli.
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Il suo contributo nei confronti della città di Verona è manifestato dalle molte occasioni progettuali, in particolare nell’ambito del restauro. Importanti anche le collaborazioni che danno luogo a opere significative, come le Scuole Catullo progettate con Libero Cecchini (§ 17) e Lauro D’Alberto (§ 91), e il restauro del Palazzo della Gran Guardia con la realizzazione del centro congressi (con Calcagni e Cenna § 44, 45). Un altro importante lavoro di squadra, rimasto sulla carta, è il piano per il colle di San Pietro redatto con Arrigo Rudi (§ 73) e Andrea Bruno e datato 1988.
Perbellini è inoltre autore di numerosi studi e ricerche riguardanti l’architettura fortificata, a partire dal numero monografico su Verona Militare nella seconda serie di «AV» – quando fa parte del comitato di redazione – e poi come redattore delle riviste «Europa Nostra Scientific Bulletin» e «Castellum». Da ricordare infine il fondamentale studio sulla piazzaforte di Verona, edito dall’Ordine degli Architetti di Verona. (A.LO.)
AA.VV., Verona Militare, in «AV» 08, II serie, dicembre 1983
G. Perbellini, L.V. Bozzetto, Verona. La piazzaforte ottocentesca nella cultura europea , «Architetti Verona»-Cassa di Risparmio di Verona Vicenza Belluno e Ancona, 1990
G. Perbellini, L’Arsenale d’artiglieria di Verona. Considerazioni preliminari al suo riuso, in «AV» 24, maggio-giugno 1996, pp. 26-28
A. Lion, StudioVisit. Gianni Perbellini a Verona , in «AV» 108, gennaio-marzo 2017, pp. 86-91
68 Augusto Gonzato
Un condominio di sapore brutalista, caratterizzato da facciate in cemento a vista scandite da terrazzi in aggetto e ampie vetrate, sito in via Mameli 14 all’innesto con via Sirtori, è l’unica opera nota di Augusto Gonzato. Nato nel 1932 a San Bonifacio, si laurea al Politecnico di Milano nel 1962. Oltre alla condivisione dello studio, negli anni dell’avvio della professione, con Rudi (§ 73) e Tognetti (§ 62) a palazzo Canossa, di lui non sono note altre informazioni:
le memorie dei colleghi più maturi suggeriscono un suo contesto familiare agiato, che lo ha portato a ritirarsi ben presto dalla professione attiva. Si dimette dall’Ordine nel 1993. (G.N.)
C.A. Cegan, 1946-1975: architettura moderna a Verona , in «AV» 46, gennaio-febbraio 2000, pp. 12-17
69 Rinaldo Olivieri
Nato a Verona nel 1931, trascorre l’infanzia nel quartiere del Duomo, le cui architetture hanno una profonda influenza sulla sua immaginazione di bambino, ricordando poi in un’intervista come “un gioco di quinte e passaggi, strozzati o aperti, di luci e controluci e sfori verso l’alto, che danno agli spazi una dimensione costantemente variabile in suggestioni sempre nuove”. Gli studi classici al liceo-ginnasio Maffei sono prodromici alla sua formazione di umanista e architetto, ma ancor prima all’esperienza nel mondo del teatro. Nel 1952 il suo impegno in questa disciplina lo porta a fondare il Piccolo Teatro di Verona e dal 1963 è nominato coordinatore degli allestimenti scenici areniani. Frequenta nel frattempo lo IUAV di Venezia, dove si laurea nel 1962 con un progetto per un ospedale psichiatrico a San Floriano di Verona; rimane per alcuni anni assistente al corso di Elementi costruttivi di Daniele Calabi, con il quale collabora ai progetti della casa per anziani a Gorizia e dell’ospedale psichiatrico di Marzana. Rimane in ambiente universitario fino al 1968 per dedicarsi poi interamente alla libera professione (nel 1966 lascia anche le scenografie areniane).
Tra il 1966 e il 1969 gli vengono affidati gli incarichi della scuola di San Bonifacio, dell’ospedale civile e della scuola elementare di Bovolone. Inizia anche il rapporto con il continente africano, al quale rimane legato per tutto il decennio. Progetta diversi edifici per la Costa d’Avorio e il Gabon, rimasti sulla carta, ma che portano poi alle realizzazioni del Centro commerciale di Abidjan e al Padiglione della Costa d’Avorio all’Expo di Osaka nel 1970. Anche il retaggio dell’università e del fare te-
atro si ritrovano nelle sue opere: la ricerca materica e il lavoro sulla luce che plasma gli spazi, creando un racconto che si fa volume, così come dimostrato nel Municipio di Trevenzuolo e nella Chiesa di San Benedetto, opere della maturità.
Dopo questi primi lavori, arriva nel 1972 il punto di svolta nella carriera di Olivieri, con la costruzione della “Pyramide” di Abidjan. Questo edificio, dalla forma iconica e inusuale per un centro urbano, attira l’attenzione della stampa nazionale e internazionale. A quest’opera seguono molte commissioni in Africa, rimaste però sulla carta: a San Pedro in Costa d’Avorio il piano urbanistico e un’aerostazione, il progetto di un gruppo di ministeri sparsi per vari paesi africani, il concorso per due scuole tecniche nel Togo, il concorso internazionale per EAMAU a Lomè.
Nel frattempo, in Italia vanno avanti altri lavori come la scuola media di Bovolone e l’Istituto Magistrale di Verona. Parallelamente prosegue anche l’attività concorsuale con la proposta per Les Halles di Parigi, che merita una menzione grazie alle attenzioni di Zevi e Barthes. Del 1982 è il primo progetto per il teatro Camploy a Verona, completato postumo nel 2004, che segna il ritorno al mondo teatrale, dedicandosi per tutti gli anni Ottanta e novanta principalmente all’attività di scenografo per l’Arena di Verona e per altri teatri europei,
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come il Theatre Royale de Wallonie di Liegi, per il Grosfestpielhaus di Salisburgo, l’Olimpic Pool di Tokyo e per i grandi spazi della “Messe” di Francoforte. Di questo periodo va anche ricordata l’archiscultura della stella di piazza Bra a Verona, che dal 1984 caratterizza l’immagine collettiva di Verona durante il periodo natalizio.
Olivieri muore nel 1998, poco tempo dopo aver concluso un progetto per il teatro di Oberhausen in Germania e le scenografie per un musical rappresentato a Berlino. (L.T.)
C. Di Luzio, Rinaldo Olivieri, Architettura come luogo della memoria , Dedalo, 1983
G. Gattazzo, Mitografie africane, in «AV» 88, maggio-agosto 2011, pp. 100-105
F. Guerra, I Sepolcri. Rinaldo Olivieri, in «AV» 115, ottobre-dicembre 2018, p. 779
70 Giuseppe Nori
Pur spendendo la maggior parte della sua carriera di architetto soprattutto nel territorio vicentino, Giuseppe Nori (1933-2015) nasce a Verona e si laurea a Venezia nel 1962.
Al momento dell’iscrizione all’Ordine di Verona il suo studio ha sede in Corso Porta Nuova ma, per motivi familiari, qualche anno più tardi si trasferisce nel vicentino. I suoi progetti spaziano dal residenziale alla progettazione industriale e al recupero. Uno dei più rilevanti riguarda il complesso edilizio della Corte dei Roda a Vicenza, lungo il fiume Bacchiglione nelle immediate vicinanze di Palazzo Chiericati e del Teatro Olimpico. La corte prende
nome dalla famiglia Rota o Roda che qui nel XVI secolo possedeva una casa con logge progettata da Giandomenico Scamozzi, padre di Vincenzo. In questo contesto Nori, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, interviene recuperando tutto il complesso, anticamente utilizzato come conceria, dove sposta successivamente la sua abitazione e lo studio. Sempre nel vicentino Nori progetta due palazzine residenziali in via B. Gamba e via V. Belli ottenute dalla demolizione di una ex fabbrica orafa. Nel veronese invece si trova uno dei progetti più importanti, la chiesa di San Giuseppe Lavoratore in Piazzale Aldo Moro a San Bonifacio, inaugurata nel 1982 e progettata in collaborazione con l’ingegner Guido Zoppei. Anche questo progetto è caratterizzato da una grande sensibilità al dettaglio costruttivo e un coinvolgimento nella fase realizzativa. (L.O.)
71 Giovanni Carlo
Pellegrini Cipolla
Discendente di un’antica famiglia nobiliare, Giancarlo Pellegrini Cipolla (1931-2002) si laurea in architettura allo IUAV nel 1963. Nella sua carriera condivide l’impegno professionale con quello nella pubblica amministrazione, ricoprendo negli anni diversi incarichi. A Tregnago, dove si trova una delle dimore storiche della famiglia, la villa Cipolla Pellegrini (oggi Cipolla Pieropan), ricopre la carica di sindaco per diversi mandati; in sua memoria si trova oggi la “Via architetto G.C. Pellegrini Cipolla”. A Verona poi, alla fine degli anni Novanta, ricopre il ruolo di Assessore ai giardini e all’arredo urbano. È inoltre presidente del Consorzio di Bonifica Zerpano Adige Guà (oggi accorpato nel Consorzio di bonifica Alta Pianura Veneta) e membro della commissione Arte Sacra della Diocesi di Verona. Insieme a Oreste Valdinoci (§ 44) lavora all’adeguamento liturgico della Cattedrale di Verona (poi modificato in anni recenti), progetto illustrato nel catalogo della Rassegna internazionale Architettura per lo spazio sacro di Bologna del 1996. Attivo anche nell’ambito urbanistico, lavora ai Piani Regolatori di diversi comuni della provincia di Vero-
na. Nell’ambito del restauro, recupera le scuderie e i fienili della Villa Pellegrini Cipolla di Castion (Costermano), adattandoli a funzioni di accoglienza e ospitalità.
Collabora con «ArchitettiVerona» scrivendo nel 1999 un articolo in memoria dell’amico e collega Rinaldo Olivieri (§ 69), col quale firma il progetto della chiesa di San Benedetto in Valdonega, Verona (1969-83), e nel 2001 un articolo sul recupero e valorizzazione delle mura e dei bastioni militari della città. (L.O.)
G.C. Pellegrini Cipolla, Ricordo di un amico, in «AV» 40, gennaio-febbraio 1999, pp. 12-13
G.C. Pellegrini Cipolla, Giardini e mura , in «AV» 53, gennaio-febbraio 2002, pp. 15-17
72 Onorio Trevisan
Classe 1933, Onorio detto Orio Trevisan divide la sua attività tra l’architettura, le arti figurative e l’incisione. A conclusione della formazione universitaria, Trevisan inizia a lavorare collaborando con lo studio di Libero Cecchini (§ 17), dove viene apprezzato soprattutto per le sue qualità grafiche, e poi con l’AGEC di Verona, dove segue la progettazione di edifici civili. All’attività in campo progettuale si devono inoltre le collaborazioni con Gelindo Giacomello (§ 38) per la realizzazione delle chiese di San Zenone di Vigasio, del 1966, e di San Bernardino a San Marco in Lamis, Foggia, del 1973. Trevisan fa poi parte della terna di tecnici, insieme a Firullo (§ 60) e all’ing. Rocco Nicolò,
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che svolgono nel 1969 la schedatura del quartiere finalizzata alla stesura del “Piano di salvaguardia e valorizzazione di Veronetta”. Un necessario maggiore approfondimento potrebbe rivelare altre opere a lui attribuibili visto il lungo periodo di iscrizione all’Ordine, che si chiude con le dimissioni del 2015.
Ma la sua costante passione resta quella della pittura, coltivata fin dagli esordi come allievo di Ettore Beraldini – che per primo lo apprezza tanto da fargli dono dei suoi strumenti di lavoro – e poi in autonomia con una lunga e intensa carriera. Espone in varie mostre collettive e personali: alla Mostra Interregionale di Arti figurative di Venezia (1953), alla Collettiva dei fiori a Verona (1955), alle Biennali Nazionali d’Arte di Verona (ininterrottamente dal 1957 al 1967), alla seconda e terza Mostra D’Arte contemporanea di San Benedetto del Tronto (195859). La sua carriera artistica culmina nel 1997 con la personale organizzata dalla Società Belle Arti di Verona – della quale fa parte dagli anni Ottanta –presentata da Giorgio Cortenova, storico direttore della Galleria d’arte moderna di Palazzo Forti. (F.G.)
http://www.artevit.it//deplian/brochuretrevisan.pdf L. del Ponte, Addio a Trevisan, l’artista gentile dei tempi antichi, in «L’Arena», 10 agosto 2018
73 Arrigo Rudi
Figura di riferimento tra gli architetti veronesi del dopoguerra, sia come primo testimone e continuatore della lezione scarpiana, sia poi come docente allo IUAV. Nato a Verona nel 1929, Arrigo Rudi trascorre i primi tre anni di vita a Cimolais in Friuli, dove il padre era medico condotto. In seguito alla prematura scomparsa del genitore si stabilisce con la madre e la sorella Nelda dapprima a Brescia e in seguito, durante la guerra, a Cazzano di Tramigna. In questi luoghi impara a disegnare, realizzando i primi quadri e disegni aventi come soggetti i paesaggi circostanti e le persone che incontrava. Da questo periodo trae anche i valori antifascisti che lo accompagnano per tutta la vita. Tornato defini-
tivamente a Verona, consegue la maturità classica e si iscrive quindi allo IUAV nel 1949, dove incontra Carlo Scarpa.
In questo periodo, oltre allo studio, coltiva la passione per la grafica, arrivando a esibire i suoi lavori in due mostre personali a Verona e a Odense, in Danimarca. Dà inizio anche alla propria attività professionale in ambito residenziale e commerciale, con la progettazione di numerosi interni per abitazioni private e negozi. In questi anni condivide uno studio con Otto Tognetti (§ 62) e Augusto Gonzato (§ 68) negli spazi di Palazzo Canossa, in corso Cavour a Verona. Si laurea infine nel 1962 con una tesi sull’assetto urbanistico della collina veronese sotto la guida di Luigi Piccinato. Continua l’avventura universitaria diventando tra il 1964 e il 1967 assistente incaricato alla cattedra di architettura degli interni con Carlo Scarpa, con il quale aveva iniziato a collaborare già nel 1958 per il restauro di Castelvecchio a Verona. Nel 1973 diviene professore associato di Arredo e Disegno e rilievo. Nello stesso anno viene invitato da Scarpa a co-progettare la nuova sede della Banca Popolare di Verona. Prosegue anche in parallelo l’attività come professionista in ambito locale, con la realizzazione di ville e edifici residenziali, tra i quali il condominio di Lungadige Campagnola (1970) e le due ville Finotti (1974) e Zanini (1977) a Sommacampagna e Marano di Valpolicella.
Nel frattempo, partecipa a diverse iniziative legate al mondo dell’arte, fondando la piccola galleria Linea 70 in via Cantore, uno spazio indipendente per la promozione dell’arte contemporanea a Verona.
Qui tra il 1970 e il 1974 organizza varie mostre di rilievo nazionale e internazionale, dedicandosi soprattutto alla ricerca di nuovi talenti in campo scultoreo. L’attività allo IUAV lo porta a diventare professore ordinario di Allestimento e Museografia nel 1980. Dall’impegno in questo settore arriva anche l’incarico, portato a termine nel 1982, per il restauro del Museo Lapidario Maffeiano a Verona. Continua e si estende oltre i confini veronesi anche l’intensa attività professionale, con varie realizzazioni di carattere sia pubblico che privato dentro e fuori Verona. I temi principali sono quelli del recupero ai fini residenziali e culturali e degli allestimenti museali.
Nel 1987 viene insignito del premio “Architettura di Pietra” per il compimento del progetto della Banca Popolare di Verona, concluso dopo la prematura scomparsa di Scarpa nel 1978.
Nei primi anni Novanta diviene direttore del Dipartimento di Scienza e Tecnica del Restauro dello IUAV. Nel 1997 si associa con il figlio Simone
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Barnaba, anch’egli architetto; durante quest’ultima fase si divide tra il completamento di numerosi interventi di restauro e rifunzionalizzazione iniziati nelle decadi precedenti e nuove sfide progettuali riguardanti principalmente complessi monumentali. I principali progetti di questi anni sono quelli per il complesso di Santa Giulia e San Salvatore a Brescia (iniziato nel 1979), il complesso Farnesiano e Protofarnesiano a Piacenza (dal 1982) e i palazzi Trinci e Deli a Foligno (1986).
Muore nel 2007, lasciando in piena gestazione i progetti iniziati in quest’ultimo periodo, tra i quali il convento di Sant’Agostino a Bergamo, il restauro di palazzo Giacomelli a Udine e il recupero degli apparati lignei e dell’ex collegio dei Gesuiti a Mantova. (L.T.)
AA.VV., Arrigo Rudi 1929-2007, in «AV» 79, maggio-agosto 2007, pp. 84-108
V. Pastor, S. Los e U. Tubini (a cura di), Arrigo Rudi. Architettura, restauro e allestimento, Marsilio, 2011
B. Rudi, Arrigo Rudi a Verona, in «AV» 117, aprilegiugno 2019, pp. 86-93
74 Lidia Boileau
Pochi dati essenziali rimangono come traccia del passaggio veronese di questa collega, nata a Solto Collina (BG) nel 1930 e laureata a Milano nel 1956. Si dimette dall’Ordine nel 1972. (G.N.)
75 Carlo Alberto Ruffo
Nato a Verona nel 1938 Carlo Alberto Ruffo consegue la laurea in architettura allo IUAV di Venezia nel 1964. Si iscrive all’Ordine di Verona nello stesso anno e intraprende una lunga carriera lavorativa presso il Comune di Verona, per il quale presta oltre quarant’anni di servizio pubblico come dirigente del settore Edilizia Privata prima e poi dell’Urbanistica. Nel corso della vita professionale si interessa e prende parte al Consiglio dell’Ordine, ricompren-
do per diversi anni il ruolo di Tesoriere; tra gli anni Sessanta e Novanta scrive diversi saggi e articoli affrontando temi di architettura e urbanistica della città di Verona, pubblicati in diversi libri e riviste. Collabora occasionalmente con «ArchitettiVerona» contribuendo alla stesura di alcuni articoli: nel 2000 analizza la figura e il ruolo del Dirigente pubblico e la sua evoluzione nel tempo da un punto di vista legislativo; nel 2001 elabora alcune riflessioni circa la progettazione e costruzione delle mura difensive cittadine nel corso della storia. Conclude la carriera professionale dimettendosi dall’Ordine nel 2008. (L.O.)
76 Gianpaolo Palatini
Originario di Trieste, dopo la laurea al Politecnico di Milano nel 1964 si iscrive subito all’Ordine di Verona e qui rimane per circa vent’anni, per poi chiedere il trasferimento a Belluno nel 1985. Non è stato possibile ricostruire alcuna attività professionale in città, tanto da far presupporre un impiego in altri campi o nella pubblica amministrazione. (F.G.)
77 Alfonso Galdi
Mantovano, e fino all’istituzione del proprio Ordine provinciale iscritto a Verona, Alfonso Galdi (1936) dal 1957 studia alla facoltà di Architettura di Venezia, conseguendo la laurea nel 1962. Nel 1968, a integrazione delle conoscenze già acquisite, frequenta il corso di Urbanistica Tecnica presso il Politecnico di Milano. L’attività di libero professionista è svolta fin dall’inizio in associazione con Claudio Bassani (§ 65), Adolfo Poltronieri (§ 66)e per alcuni anni anche con Francesco Caprini (§ 81). Lo studio è noto soprattutto per i progetti di restauro, su tutti quello di Palazzo Te e delle Pescherie di Giulio Romano a Mantova. Dello stesso periodo il restauro della Torre gonzaghesca di Medole (MN), destinata ad attività sociali e culturali pubbliche; agli anni seguenti risale il restauro del Teatro Sociale di Canneto sull’OgIio (MN), e infine
il recupero architettonico dell’ottocentesco ex Macello, oggi sede della Biblioteca Comunale “Baratta”.
Singolarmente tra il 1983 e il 1985 Galdi segue il progetto e la direzione lavori del Palazzo Ducale di Revere con destinazione culturale ed espositiva. Nel 1990 è suo il primo stralcio del restauro architettonico e statico del Lungorio IV Novembre a Mantova, per la realizzazione di attrezzature culturali, espositive e per lo spettacolo; nel 2004 il restauro organico del complesso monumentale della Camera di Commercio di Mantova, edificio realizzato nel 1914 da Aldo Andreani.
Collabora nel 1993 alla cura della mostra su Giulio Romano a Mantova, nonché al progetto di allestimento insieme ai colleghi.
Nel corso della professione ricopre vari ruoli presso enti locali e istituzioni, tra cui l’istituto Case Popolari di Mantova. Innumerevoli sono i progetti nel campo dell’edilizia ospedaliera, di quella scolastica, sportiva e religiosa, oltre all’edilizia civile. In parallelo, sperimentando sempre nuovi interessi, si dedica con passione all’insegnamento, sia collaborando ai laboratori presso il Polo di Mantova del Politecnico di Milano, Polo di Mantova, sia nell’esperienza alla facoltà di architettura di Firenze a fianco del prof. Paolo Sica. (A.LI.)
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Giorgio Ugolini
Nato a Sorgà (Vr) nel 1938, dove il padre svolgeva la professione di medico condotto, si trasferisce con la famiglia a Verona nel dopoguerra, andando ad abitare alla Campagnola (Borgo Trento). Conserva vivido il ricordo della città di allora, prima del boom edilizio, quando era ancora tutto campi e alberi da frutto. Frequenta il liceo Maffei e successivamente si iscrive allo IUAV di Venezia.
Per sua stessa ammissione, gli anni universitari passano senza che arrivi una particolare vocazione al mestiere di architetto, ma comunque con il chiaro obbiettivo di non andare fuori corso per iniziare quanto prima a lavorare. Inizia facendo pratica in uno studio di ingegneria a Verona e in quegli stessi anni inizia ad appassionarsi al mestiere, andando a rileggere gli appunti dei corsi universitari. La casa del Mantegna a Mantova lo influenza come edificio modello, “vista con occhi maturi era, ed è tuttora, straordinaria: non puoi mettere o togliere niente. Ancora oggi, a distanza di cinquant’anni, l’esigen-
za di togliere il superfluo funziona come un riflesso nel mio lavoro” (da AV 113). Inizia così l’avventura professionale in proprio, affiancato dal collega architetto Giangiacomo Gabrieli e dal prof. Sandro Marconi.
Di quei primi anni, l’opera più significativa è un edificio residenziale nella piazzetta Teatro Romano (1972), un esemplare lavoro di montaggio dai chiari echi scarpiani, tra restauro dell’antico e innesto del contemporaneo. Il ricordo di quel periodo è di un lavoro costante e immersivo, in cui le commesse comprendevano “lavori privati, grandi e piccoli, lavori pubblici, prefabbricazione, scuole, case di cura, concorsi, concorsi appalto – tanti concorsi –sport, edifici per il culto, un po’ di urbanistica, ville e villini, restauri, ristrutturazioni e così via”. Lo studio si allarga e arriva a contare una decina di persone, cosicché Ugolini decide di restaurare un palazzetto nel quartiere di Santo Stefano, da destinare in parte alla propria abitazione e in parte a luogo di lavoro, anche qui con un’opera di restauro tra storicità e avanguardia. Gli anni Ottanta lo vedono impegnato su vari temi progettuali, come un complesso di edilizia popolare a Prato (1985) realizzato con moduli prefabbricati, il complesso direzionale-commerciale di via Ca di Cozzi a Verona (con Arteco, 1988), lo stabilimento FIME Wurth a Belfiore e quello della Pidigi alla Bassona (1991). La varietà delle commesse lo porta a confrontarsi con temi molto diversi tra loro, in ogni caso gli anni Novanta vedono soprattutto un incrementarsi della scala, con le progettazioni delle torri del Saval, di Corte Pancaldo (con Arteco) e del Centro Europa in ZAI, fino ad arrivare a un nuovo quartiere residenziale di più di venti palazzine a Vimodrone, nel milanese (2003). Giorgio Ugolini muore nel 2021, non vedendo completarsi un progetto a cui lavorava da anni, una chiesa a Juazeiro do Norte in Brasile tuttora in fase di costruzione. (L.T.)
A. Lion (a cura di), Giorgio Ugolini (e soci) a Verona, in «AV» 113, aprile-giugno 2018, pp. 94-99
A. Vignolo, Giorgio Ugolini 1938-2021, in «AV» 127, ottobre-dicembre 2021, p. 109 A. Migliorini (a cura di), Via Cigno 9 – quasi un autoritratto, Archivio Giorgio Ugolini, Verona 2021
79 Francesco Mendini
Condivide con il fratello Alessandro (§ 54) molta parte della vicenda professionale, compreso il passaggio nel 1965 dall’Ordine veronese, dov’è inizialmente iscritto, a quello di Milano, dove è nato (1939) e si laurea (1964). Sempre a Milano si svolge la sua vicenda professionale, dagli esordi presso lo studio Nizzoli Associati fino alle esperienze che portano nel 1989 all’apertura dell’Atelier Mendini, all’interno del quale Francesco è responsabile specialmente dei lavori di architettura e di allestimento.
Il legame con la terra d’origine dei fratelli Mendini è rimasto vivo nel tempo anche grazie all’abitazione dei genitori a Verona, sul colle San Leonardo, una residenza di campagna del Seicento situata nelle vicinanze del Forte San Mattia frequentata dai figli e dalle rispettive famiglie anche dopo la morte del padre Vincenzo, avvenuta nel 1981. (A.LI.)
Atelier Mendini (a cura di), Atelier Mendini: Alessandro e Francesco Mendini: progetti dal 1989 al 1996, L’Archivolto, 1996
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G.L. Ciagà (a cura di), Gli archivi di architettura in Lombardia. Censimento delle fonti, Centro di Alti Studi sulle Arti Visive, 2003
80 Grazia Zambelli
Figlia di un ingegnere legnaghese, classe 1938, si laurea a Firenze e si iscrive all’Ordine di Verona nel 1965. Poco dopo la laurea però, al seguito del padre che sta sperimentando l’uso del primo bruciatore a nafta Fiamma per l’industria dei laterizi, si trasferisce a Lucera, in provincia di Foggia, e nella cittadina pugliese risiede a tutt’oggi.
Esercita la professione in varie città della Puglia soprattutto nel campo del restauro entrando in contatto con la Soprintendenza di Foggia, per la quale diventa tecnico di riferimento nei vari interventi di recupero durante il lungo percorso della ricostruzione postbellica al sud. Suoi sono gli interventi, per esempio, sulla Cattedrale di Foggia. Nella provincia di Foggia si occupa anche di nuove realizzazioni, per lo più condomini, configurando una attività complessiva molto intensa e varia, soprattutto per una donna nel sud degli anni Sessanta e Settanta (così testimonia la stessa Zambelli).
Negli anni Duemila riveste la carica di presidente dell’Ordine degli Architetti di Foggia per ben due mandati. (F.G.)
81 Francesco Caprini
Nasce a Mantova il 4 settembre 1939 e dopo gli studi classici frequenta l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, laureandosi nel 1965. Già dal 1963 e fino al 1972 è socio dello “Studio Architetti” (con Bassani, Poltronieri e Galdi § 65, 66, 77). Nel 1975 si trasferisce all’Ordine di Brescia, Cremona e Mantova e poi negli anni Ottanta in via definitiva a quello di Mantova.
Dal 1972 al 1976 svolge l’attività professionale individualmente, per poi aprire nel 1976 una nuova realtà di studio, COPRAT Cooperativa di Progettazione e Ricerca Architettonica e Territoriale,
tutt’oggi operativa. Socio fondatore e presidente di questa nuova società, svolge fino al 2013 l’attività di progettazione architettonica, pianificazione urbanistica e territoriale, ricerca applicata e sperimentazione, attività di consulenza, supporto e coordinamento per numerosi enti pubblici. Nel mentre (2006-2010) viene nominato dal Consiglio Regionale della Lombardia quale esperto nella Commissione Provinciale per l’individuazione dei Beni Paesaggistici di Mantova.
Nella seconda fase della sua attività si dedica alla didattica universitaria, con vari incarichi di docenza presso il Polo Territoriale di Mantova del Politecnico di Milano (1997-2015); nel 2001 è visiting professor presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Valladolid in Spagna. Da queste esperienze nascono anche diverse pubblicazioni.
Nel 2012, dopo il terremoto dell’Emilia-Romagna, partecipa al progetto architettonico e al coordinamento per la nuova costruzione della scuola elementare e materna a San Giacomo delle Segnate, in provincia di Mantova.
Nel 2023 è nominato Accademico ordinario per la Classe Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Accademia Nazionale Virgiliana di scienze lettere e arti, con sede a Mantova. È inoltre componente del compitato organizzativo del Festivaletteratura di Mantova. (A.LI.)
82 Luigi Rosa
Nato a Tivoli nel 1912, si laurea nel 1936 a Roma. Iscritto dal 1937 all’Ordine della capitale, è richiamato alle armi e fatto prigioniero in Germania. Si
trasferisce a Verona solo negli anni Cinquanta dove opera fino al 1968, anno della morte. Della sua attività restano solo alcune tracce in un condominio in via Scarsellini, 36 del 1955 e nella ristrutturazione degli anni Cinquanta di un edificio dei primi del Novecento in via Vincenti 3, peraltro sottoposto a un ulteriore intervento negli anni Ottanta a firma di Arrigo Rudi. Troppo modesti gli indizi per delineare la figura di questo architetto operante in città per un numero esiguo di anni. (F.G.)
83 Romualdo Cambruzzi
Nasce nel 1939 a Verona dove svolge buona parte della sua attività. Frequenta tra il 1954 e il 1958 il Liceo artistico, per iscriversi poi ad architettura a Venezia. Nel 1965 si laurea con Ignazio Gardella e Carlo Scarpa, il progetto di tesi è sul Palazzo di Giustizia di Verona. Intanto a soli vent’anni è chiamato al Liceo artistico a coordinare il corso del professor Magnaguagno (§ 06), di cui prende il posto dall’anno successivo per una decina d’anni. Dopo la laurea avvia uno studio in comune con l’amico Gianni Perbellini (§ 67), ma dal 1968 i due si staccano procedendo in autonomia.
I primi clienti sono gli amici: cinque minicasette da 45 mq sul lago di Garda, poco distanti da Bardolino; il negozio Bruschi a Torino e poi ancora a Verona per lo stesso committente, altri negozi come quello per Richard Ginori (di cui ricorda un biglietto di congratulazioni da parte di Arrigo Rudi). Anche gli arredamenti interni sono legati a committenze amiche.
L’operato di Cambruzzi prende poi piede con una densissima attività che va dai piani urbanistici alla progettazione architettonica di opere pubbliche e private, dai restauri alle consulenze tecniche. Gli anni Settanta si caratterizzano per la partecipazione a diverse commissioni edilizie – Verona, ma anche Roverè Veronese, Villa Bartolomea, Legnago, Brenzone, Buttapietra, Pescantina, Caldiero e Bosco Chiesanuova - e per lo studio del territorio attraverso i PRG. Il primo è quello di Brenzone a fianco di Giovanni Astengo, segue quello di Torri del Benaco, non adottato (ma il Comune lo incarica
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poi di costruire l’auditorium, realizzato tra il 1971 e il 1972) e ancora Buttapietra, Legnago, Villa Bartolomea e Brenzone. Tra gli ultimi, la variante al PRG di San Martino Buon Albergo per la tenuta Musella.
Tra il 1970 e il 74 insieme a Calcagni-Cenna (§ 45, 46) e a Marco Lucat (§ 86) realizza la nuova sede AGSM su lungadige Galtarossa. Lo stesso gruppo di lavoro vince l’appalto-concorso per la realizzazione di 257 appartamenti a Forte Procolo. Non mancano lavori per committenti privati, come le concessionarie e gli edifici direzionali costruite in più fasi in Basso Acquar (1976-1998). Tra i restauri, interviene insieme all’ingegnere Sandro Casali sulla sede dell’ex Monte di Pietà dietro piazza Erbe, e ancora sul museo Capitolare e le Case dei Canonici al Duomo, Palazzo Bresavola in piazza Cittadella (inizialmente in collaborazione con L. Cecchini) e la vicina chiesetta sconsacrata di Santa Maria della Ghiaia, adibita a sede di una banca.
Il lavoro che lo coinvolge più a lungo e che lascia un segno urbano più incisivo è quello per la Glaxo: un impegno che dura diciotto anni a partire dal 1977, iniziando con una consulenza per la ristrutturazione di magazzini e depositi, poi nel 1982 con il progetto di una palazzina per uffici adiacente a quello esistente, infine con la realizzazione dell’imponente centro ricerche, inaugurato nel 1985. Negli anni seguenti lo studio Cambruzzi porta avanti i nuovi lavori associandosi in modo indipendente a una società di ingegneria. (A.LI.)
A. Lion, Romualdo Cambruzzi a Verona , in «AV» 107, ottobre-dicembre 2016, pp. 84-89
84 Natalia Da Madice
Torinese di nascita (1938) ma laureata a Firenze nel 1965, resta iscritta all’Ordine di Verona solo per un decennio, per poi trasferirsi a quello di Firenze al cui ambiente culturale era evidentemente rimasta legata dagli anni di studio. Non restano tracce della sua attività professionale a Verona, mentre del periodo fiorentino resta testimonianza nella partecipazione all’importante concorso internazionale per il recupero dei Sassi di Matera, progetto firmato assieme a Giorgio Pizziolo e Rita Micarelli, entrambi docenti universitari. Si ipotizza che la collaborazione abbia avuto un seguito presso lo studio professionale dei due docenti. (A.LI.)
85 Giorgio Garau
Nome probabilmente più noto agli ingegneri che hanno studiato presso l’Università degli Studi di Padova, dove ha insegnato a lungo, Giorgio Garau (1940-2021) nasce a Verona e si laurea con Giuseppe Samonà all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia nel 1966. I primi anni della sua vita professionale lo vedono coinvolto in ruoli dirigenziali presso enti di Edilizia Residenziale Pubblica in Friuli Venezia Giulia e nel Veneto: è responsabile tecnico per lo IACP provincia di Belluno (1967-70) e Direttore dello IACP della provincia di Pordenone (1970-88). Anche in seguito, il progetto dell’edilizia residenziale pubblica su logica prestazionale e l’industrializzazione del processo edilizio rimangono al centro dei suoi interessi: su tali aspetti è consulente di vari enti pubblici, e soprattutto percorre una carriera accademica che lo porta a diventare professore associato (1988-94) e successivamente professore ordinario (1994-2012) nel settore disciplinare della Progettazione tecnologica dell’Architettura, presso l’Università degli Studi di Padova, dove tiene corsi di Produzione Edilizia, Complementi di Ar-
chitettura Tecnica e Progettazione Architettonica. Negli anni 2005-11 è anche Direttore del Dipartimento di Architettura Urbanistica e Rilevamento (DAUR) dello stesso ateneo.
La sua attività di progettista si concentra sul tema della residenza pubblica: un ampio articolo su «Casabella» (437, 1978) presenta in particolare le case ballatoio in Via Vietti a Porcia, in Friuli-Venezia Giulia. Nel 1972 realizza una casa multifamiliare a Cordenons (PN), sviluppata attorno ad una corte comune. Nel 2009 progetta il Padiglione Espositivo presso l’Osservatorio Astrofisico di Asiago dell’Università degli Studi di Padova nell’ambito dell’Anniversario Galileiano. (A.LI.)
86 Marco Lucat
Architetto ma soprattutto urbanista, per impegno e per vocazione, Marco Lucat (1934-2023) ha segnato la sua carriera con un bagaglio professionale solido e profondo, orientato principalmente verso i grandi problemi d’area anziché l’intervento localizzato e puntuale. Fin dall’inizio della sua attività si è distinto per la partecipazione attiva alle iniziative di indagine su Verona e sulla provincia, contribuendo in modo significativo alla rivista “Architetti Verona” e sostenendo la tutela e lo sviluppo della città. Nei primi anni Sessanta, subito dopo la laurea a Milano, riceve tramite il Ministero degli Esteri l’inca-
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rico di coautore a Caracas del Piano Nazionale per lo Sviluppo Turistico del Venezuela, nel quadro di collaborazioni di sostegno internazionale. Durante questa esperienza incontra l’architetto Eleonora Masi, che diventa poi compagna di vita e collaboratrice attiva nella sua carriera professionale. Stabilitosi a Verona alla fine degli anni Sessanta, fonda uno studio con Bruno Padovani (§ 93), che si afferma rapidamente operando nel campo della progettazione architettonica e urbanistica per circa quindici anni. Nel 1969 il Sindaco Gozzi lo nomina Presidente del neonato aeroporto di Verona, riconoscendo la sua apertura e la cultura senza steccati. Lucat è autore, con la collaborazione di Roberto Pasini, dei Piani Regolatori Generali (PRG) di Castelnuovo del Garda e Bardolino. Offre consulenza a realtà dell’area sud del Lago di Garda e della Provincia di Verona, diventando esperto delle loro tematiche. La sua visione proiettata oltre i confini fisici dei comuni e degli incarichi lo conduce alla stesura del Piano d’area delle Valli Veronesi, proponendo il recupero e la rivitalizzazione lungo il percorso est-ovest della A4.
Dopo l’esperienza dello studio Lucat-Padovani, intraprende un nuovo percorso con la moglie Eleonora (Nora) Masi, aprendo uno studio in un rustico di Palazzo Giusti, a diretto contatto con il giardino cinquecentesco. Insieme curano diversi progetti, compresa una fase del recupero del Teatro Salieri a
Legnago. Lucat è stato un sognatore che, nella complessità delle relazioni tra la tutela del territorio e lo sviluppo economico, ha lasciato un segno di mediazione, propulsione e avvio al futuro. (F.R.)
F. Rossini, Marco Lucat 1934-2023, in «AV» 134, luglio-settembre 2023, pp. 98-99
87 Giuseppe Nardi
Nato a Verona il 26 maggio 1938, dopo aver frequentato il liceo artistico si laurea in architettura presso l’Università degli Studi di Firenze nel 1965. Nel 1966 inizia ad insegnare presso vari istituiti tecnici di Verona, Topografia prima e Costruzioni poi,
diventando di ruolo nel 1974. Parallelamente, dal 1967 in avanti, esercita la libera professione con prevalente attività di progettazione e di direzione lavori nel campo dell’edilizia abitativa privata, non ultimo l’arredo d’interni.
Numerosi sono i progetti residenziali realizzati tra gli anni Settanta e Ottanta a Verona - Via Pergolesi (1967-1972), Via Fincato (1971-1973), Via Dalla Bona (1980-1984), Via Tosca (1983-1988 e 19851989), Via Scalone XIV Ottobre a Verona (19841986) – e in provincia – Bussolengo, Valfiorita di Negrar, Cologna Veneta, Spiazzi, Roncà. Tra i lavori più recenti, la ristrutturazione di un fabbricato residenziale e commerciale a San Floriano (19982001) e nella stessa località la ristrutturazione con ampliamento della Scuola Materna Parrocchiale in Via Don C. Blasi, e una casa unifamiliare a Santa Maria di Negrar (2003-2006). Nardi è inoltre attivo nell’ambito della direzione dei lavori di varie opere pubbliche; dal 1968 al 1973 in collaborazione con l’ing. Carlo Apostoli segue la direzione lavori della chiesa di Santa Croce, su progetto architettonico di Saveria Paglialunga (§ 51). (A.LI.)
88 Anna Barbara Omizzolo
La vicenda professionale di Anna Barbara Omizzolo ha un’origine familiare: tutto nasce infatti dalla parentela con un nome noto dell’architettura, Luigi Piccinato. Da piccola – ricorda la stessa Omizzolo in una lunga intervista – “mia mamma (eravamo tre sorelle) gli aveva chiesto di farci una casetta per le bambole in modo che potessimo entrarci. Lui, che fece tutt’altro nella vita professionale, inventò un progettino per il falegname. La si metteva nell’angolo di una stanza, con i muri perpendicolari alle pareti, avendo solo tre lati: io l’ho adorato per questo”.
Nata a Verona (1941), vive quindi fin da piccola a contatto con l’architettura; giocoforza si iscrive poi allo IUAV dei tempi d’oro, dove si laurea nel 1966, facendo anche un’esperienza di lavoro con Alvar Aalto. In seguito si trasferisce a Roma presso il cugino materno, Luigi Piccinato, dove si dedica
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all’urbanistica e alla redazione di piani regolatori. Il suo desiderio di dedicarsi anche all’architettura è scoraggiato dallo stesso Piccinato, scettico verso la produzione edilizia di quegli anni. Ha occasione di dedicarsi a qualche progetto di ristrutturazione sulla via Appia e a un piano di lottizzazione sulla costa toscana, purtroppo mai realizzato. Nel 1968 si reca a Bologna, dove Piccinato aveva partecipato a un concorso indetto dal comune, e vi si stabilisce attratta dal clima di forte rinascita della città (il trasferimento all’Ordine di Bologna è del 1975). Le occasioni non mancano, come i piani urbanistici dei comuni più piccoli o le schedature degli edifici rulari nella campagna circostante. Nel 1975 il suo studio diventa una cooperativa (Cooperativa Bolognese di Progettazione) all’interno del movimento sostenuto dal PCI, esperienza che dura fino al 1980, con un compito di coordinamento di altre cooperative dell’Emilia, poi anche del Veneto e di altre regioni del sud Italia: un’esperienza innovativa grazie alla possibilità di interfacciarsi con amministrazioni comunali capaci di concedere maggiore spazio di azione rispetto ai committenti privati. (A.LI.)
https://www.youtube.com/watch?v=YD8jW1ReFSs
89 Anna Maria Padovani
Nata a Barletta nel 1941, consegue la laurea in architettura a Venezia nel 1966. La sua tesi di laurea riguarda un intervento progettuale a Mira legato allo studio svolto nel corso tenuto da Giuseppe Samonà con la partecipazione didattica di Ignazio Gardella, di cui si ha una documentazione precisa grazie alla pubblicazione che ne è stata tratta. Il lavoro del corso è condotto in gruppo, tra gli altri, con Adriano Cornoldi e con Giorgio Garau (§ 85). Dopo la laurea collabora per circa tre anni presso il Centro Studi Progetti di Rinaldo Olivieri (§ 69) , per poi intraprendere la propria attività autonomamente. A questa abbina l’insegnamento in qualità di docente di disegno presso un istituto tecnico veronese. L’ambito principale è quello edilizio, costruzioni residenziali soprattutto in provincia (San Giorgio in Salici, San Giovanni Ilarione, etc.) spa-
ziando ogni tanto in progetti legati all’industria. Ne è un esempio la sede della Celme, un’azienda di trasformatori realizzata a Montebello Vicentino. L’interesse per l’architettura degli interni arriva più avanti, diventando l’impegno progettuale principale dopo il pensionamento dall’insegnamento. Attività che continua a portare avanti dal suo studio in Borgo Trento a Verona. (A.LI.)
AA.VV., Gli insediamenti residenziali nel territorio di Mestre/Venezia. Progetti svolti nel Corso di Composizione II/1964-65, Venezia, Istituto di Tecnologia-Istituto Universitario di Architettura Venezia, Cluva, 1966
90 Roberto Roveggio
Nato a Cologna Veneta il 29 dicembre 1937, si laurea in architettura allo IUAV nel 1965. La sua attività professionale ha come territorio d’azione per lo più la bassa veronese.
Quasi nulla è stato possibile ricostruire circa la figura di questo architetto, fatta eccezione per un suo contributo per il Museo Paleontologico di Roncà, incentrato sui materiali fossili del periodo eocenico rinvenuti lungo la Valle della Chiesa, per il quale negli anni 1995-1996 elabora a titolo gratuito un progetto in qualità di presidente della Pro Loco. (A.LI.)
91 Lauro D’Alberto
Veneziano di nascita, classe 1925, ha dedicato la sua vita all’arte, all’architettura e alla tutela del patrimonio culturale italiano. La sua formazione ha inizio negli anni Quaranta al Liceo Artistico di Venezia, dove ha l’opportunità di studiare sotto la guida di maestri come Filippo De Pisis, Arnaldo Pizzinato ed Emilio Vedova. Nonostante il desiderio di proseguire gli studi artistici all’Accademia di Belle Arti di Venezia, il padre lo convince a iscriversi ad architettura, nel 1948, sostenendo che la carriera da pittore lo avrebbe condotto a una vita di stenti. Nel
1952, in seguito alla promozione del padre, si trasferisce a Milano e continua gli studi al Politecnico. Qui, grazie agli insegnamenti di illustri maestri fra i quali Gio Ponti, gli urbanisti Ezio Cerutti e Luigi Dodi, Giovanni Muzio e Ernesto Nathan Rogers, amplia le sue competenze e apre nuovi orizzonti professionali.
Dopo la laurea, il caso lo conduce a Verona nel 1957: sostenuto da Piero Gazzola – suo professore a Milano – si unisce alla Soprintendenza, avviando un lungo impegno nella tutela del patrimonio culturale. Negli anni Sessanta e Settanta si trova immerso in una lotta serrata contro l’attività edilizia e la speculazione a Verona. Insieme ad altri professionisti e giornalisti, combatte con determinazione per preservare i valori ambientali e architettonici della città, spesso scontrandosi con i sindaci del tempo. La sua ferma opposizione alla speculazione edilizia si rivela un contributo significativo alla conservazione del patrimonio. Sempre nell’ambito del lavoro per la Soprintendenza, nel 1960 allestisce la mostra sull’opera di Michele Sanmicheli a Palazzo Canossa. Nel frattempo partecipa ad alcuni fortunati concorsi di progettazione, tra i quali nel 1962 quello per il Brefotrofio della provincia di Verona, con Libe-
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ro Cecchini (§ 17) e Saveria Paglialunga (§ 51), e nel 1967 quello per le Scuole Medie Catullo, nuovamente con Cecchini e con Gianni Perbellini (§ 67). Il trasferimento delle competenze sul paesaggio alle Regioni lo riporta poi a Venezia, con il desiderio di contribuire a dare vita a una struttura regionale per la tutela del patrimonio. Tuttavia il suo entusiasmo si scontra con la realtà di figure poco preparate e poco interessate a sostenere la causa. Una volta raggiunta la pensione, D’Alberto torna alla sua passione per l’arte, dedicandosi con calma e dedizione a ritrarre i paesaggi amati per tutta la vita. (F.R.)
L. D’Alberto, La mia storia professionale e oltre, Verona, maggio 2023
92 Renato Dal Maso
Ricostruire il profilo professionale di Renato Dal Maso si è rivelata un’avventura, perché a parte le note essenziali riportate nell’Albo – nato a Verona nel 1933 e laureato a Venezia nel 1968 – l’unico altro dato certo è la sua presidenza dell’Ordine dal 1988 al 1992, dopo essere stato a lungo anche consigliere, per un mandato segretario e anche delegato provinciale Inarcassa. Risalendo alle testimonianze di collaboratori e praticanti del suo studio, è possibile tratteggiare la figura di un personaggio davvero originale.
La vocazione di Dal Maso per l’architettura non arriva subito, anzi, lavora prima come rappresen-
tante d’olio e solo in un secondo momento si iscrive a Venezia, laureandosi a trentacinque anni nel 1968. In seguito apre uno studio in via Leoncino 23, condividendo gli spazi con Gilberto Barbesi e Bertilla Ferro, per poi trasferirsi al piano terra dell’abitazione dei genitori in via Giovanni Grioli. Cercare di ricostruire un elenco dei progetti firmati da Dal Maso è abbastanza complesso, perché tutti quelli che hanno avuto modo di interfacciarsi con lui affermano che la sua florida situazione finanziaria gli permettesse di selezionare le commesse e che i clienti, spesso benestanti, non amassero rendere pubbliche le loro case.
Dalle testimonianze raccolte, risulta che Dal Maso sia dedito in particolare ai progetti di interni: molti dei suoi lavori riguardano ristrutturazioni di grandi appartamenti, negozi e vetrine del centro storico. Oltre a ciò, risulta una collaborazione con l’impresa Barbuggiani e Lovato, per la quale pare abbia progettato due palazzine in località Olivè a Montorio. Sembra inoltre di sua mano, disegnata ancora da studente, una scala esterna in lastre di pietra a sbalzo costruita nel cortile dei Tolentini, sede dello IUAV, per raggiungere un ammezzato. Personaggio poliedrico e ricco di interessi, il suo studio accoglie oggetti e collezioni d’ogni sorta (fumetti, macchine fotografiche, edizioni pregiate, ecc.), e per un certo periodo diventa anche sede dell’agenzia di pubblicità “Programma”, della quale fanno parte i fratelli Tommasoli, il musicologo Marco Materassi e il grafico Francesco Sega. Molto appassionato di viaggi, visita e fa progetti alle isole Seychelles, tentando anche di installarvi una seconda sede dello studio. Ma il viaggio che rende la misura della personalità di Dal Maso riguarda un momento della sua vita matura, quando progetta di compiere una traversata lungo la Panamericana dall’Alaska al Cile fino allo stretto di Magellano a bordo di un camion. Per questa impresa ciò che lo occupa per più tempo è la progettazione del mezzo in ogni suo particolare: arredi, mensole, maniglie, dettagli e ogni minima rifinitura. Un viaggio che purtroppo non riesce a realizzare per il sopraggiungere dell’età e della malattia. (L.Z.)
A. Brodini, Lo IUAV ai Tolentini: Carlo Scarpa e gli altri, Firenze University Press, 2020, p. 150
93 Bruno Padovani
Figlio dell’architetto Marino (§ 09), Bruno Padovani nasce ad Albaredo D’Adige nel 1939 e si laurea a Venezia nel 1968. Impiega qualche anno per conseguire il titolo di studio perché, a seguito della morte prematura del padre, col quale collabora già da studente, deve portare a termine alcuni dei suoi lavori lasciati incompiuti.
Subito dopo la laurea l’attività professionale è quindi già ampiamente avviata, e installa il proprio studio prima in Via San Giacomo alla Pigna e poi in via Seghe San Tommaso, lavorando a lungo per cooperative edilizie ed enti pubblici, principalmente per il Comune di Verona nell’ambito degli edifici residenziali Peep.
Fra i progetti più rappresentativi che è possibile ricordare, citiamo il centro natatorio di Via Santini, il Palazzetto Masprone in collaborazione con l’architetto Igli Zorzi in zona Stadio, due cinema a San Bonifacio e il complesso residenziale tra le vie XX Settembre e Cantarane in corrispondenza della galleria Embassy, nei pressi dell’ex cinema Ciak. Fra i progetti più importanti e nei quali Padovani amava riconoscersi segnaliamo l’intervento degli anni Ottanta per la stesura del piano particolareggiato del Quadrante Europa con l’ing. Silvano Carli e gli architetti Franco Franchini e Maria Giovanna Reni. (L.Z.)
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94 Giorgio Solero
Nato nel 1941 a Sappada, dove trascorre l’infanzia, si trasferisce con la famiglia a Trieste fino al 1953, per approdare poi nella provincia di Verona, fra Soave e San Bonifacio. Dopo la maturità scientifica si iscrive alla facoltà di architettura di Venezia dove si laurea nel 1968 . L’attività professionale prende avvio con uno studio a San Bonifacio: non sono anni facili quelli della gavetta, perché il periodo storico e la realtà di paese sono ancora fortemente influenzati dal potere ecclesiastico e politico, portando i professionisti meno compiacenti a grandi fatiche per poter far valere il proprio lavoro. Solero disegna inizialmente vasi e lampade con scarso successo, trovando maggior consenso nella progettazione di pubblicità, arredamenti e completando qualche lavoro iniziato da studente.
Fra le prime realizzazioni, la nuova chiesa in località Santa Margherita nel comune di Roncà, progettata in collaborazione con l’architetto Bonfiglio Rigobello: un lavoro svolto quasi per beneficenza, tanto che Solero ricorda come la propria parcella è pagata
dall’elemosina raccolta durante le messe e consegnata dal Parroco in persona, che vuota sul tavolo da disegno il sacco riempito con monete di piccolo taglio. Negli anni seguenti il lavoro cresce molto, con progetti in tutto il Veneto di residenze mono e plurifamiliari, edifici pubblici e privati e partecipando a diversi concorsi di progettazione. Il ricordo è quello di anni molto impegnativi, in cui non mancano le ore di lavoro notturno spesso necessarie per consegnare in tempo i disegni. Fra le realizzazioni a cui è particolarmente legato, Solero ricorda una casa a Sappada (1969), un edificio per l’esposizione di arredi a Gambellara (1974), la casa di riposo a Monteforte d’Alpone, un progetto del 1982 rimasto a lungo non finito e completato solo di recente, e il Palazzetto dello sport sempre a Monteforte d’Alpone (1984).
Oggi Solero è in pensione da circa dieci anni e vive a Pradamano, in provincia di Udine, dove ha continuato a lavorare dopo essersi trasferito nel 1989 per seguire i lavori di recupero di un complesso monumentale della fine del Seicento ricevuto in eredità. (L.Z.)
95 Leonardo Clementi
Nasce nel 1940 in una famiglia di professionisti, medici e avvocati che per lui si sarebbero aspettati una carriera simile; grazie al padre appassionato d’arte, però, le inclinazioni del giovane Leonardo propendono per materie ben diverse. Dopo il liceo classico si iscrive ad architettura, compiendo anche in questo caso una scelta fuori dal coro rispetto alla maggior parte dei suoi coetanei aspiranti architetti veronesi: complice uno zio che riesce ad essere di appoggio logistico in terra lombarda, gli studi si svolgono a Milano presso il Politecnico. Gli anni universitari sono quelli attorno al Sessantotto, quindi va da sé molto interessanti ma faticosi. L’ispirazione che permette a Clementi di portare a termine gli studi viene sicuramente sia dalla particolare e stimolante conformazione dei gruppi di studio sia dai docenti, fra i quali Ernesto Nathan Rogers, Alessandro Mendini, Renzo Piano (in quegli anni assistente) e Franco Albini, con il quale elabora
la tesi riguardante un intervento residenziale nella periferia di Milano. Dopo la laurea inizia il percorso di formazione nello studio Calcagni e Cenna, con i quali collabora anche in seguito per alcuni lavori, dopo aver intrapreso la libera professione. Mentre insegna architettura al Liceo Artistico Statale, nel suo studio in Stradone San Fermo – poi trasferito negli anni Ottanta in via Santa Maria Rocca Maggiore – buona parte della professione si snoda attorno alla progettazione di case di riposo, che diventano il cuore dell’attività. Fra i progetti che Clementi ama ricordare, però, spiccano nuove costruzioni, ampliamenti, restauri e ristrutturazioni, fra i quali i condomini quasi gemelli di Lungadige Campagnola e Via Bonino da Campione a Verona, la Cantina Trabucchi a Illasi e il recupero di Villa Paronzini a Montorio. L’intervento che vale la pena segnalare fra i più importanti e impegnativi è sicuramente il Villaggio Tanca Manna in Sardegna, progettato fra il 1972 e il 1980 con gli architetti Carla Casalino e Giacomo Gabrieli che facevano parte del suo studio e con Rosario Firullo(§ 60), Luciano Cenna e Luigi Calcagni(§ 46, 45). Clementi ha svolto anche attività ordinistica offrendo il suo contributo come consigliere. (L.Z.)
96 Tullo Galletti
Nato a Verona nel 1941, si allontana dalla città in tempo di guerra, vive e studia a Milano dove nel 1967 si laurea al Politecnico. Al rientro a Verona, interessato fin dagli inizi alla scala urbana, Galletti collabora con Ottorino Tognetti (§ 62) alla ste-
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sura dei primi Piani di Fabbricazione del secondo dopoguerra, fino ad arrivare nel 1972 a iscriversi al corso di laurea in Urbanistica allo IUAV di Venezia, ammesso direttamente al terzo anno perché già esperto della materia. Ispirato durante gli studi dagli insegnamenti di Guglielmo Zambrini, professore di Infrastrutture Viabilità e Trasporti, concentra il suo interesse su questi aspetti, affermando con convinzione che “l’urbanistica si fa attraverso le infrastrutture”.
Galletti porta la sua professione nel pubblico fin dagli inizi, lavora alla redazione di piani e progetti per la viabilità in tutta Italia; contemporaneamente collabora come assistente presso lo IUAV di Venezia. Dal 1977 al 1993 ricopre il ruolo di dirigente nell’amministrazione provinciale, reggendo il settore della pianificazione territoriale e dei trasporti. È in questo ruolo che negli anni Novanta redige il piano dei trasporti integrati del bacino di Verona, tenendo conto delle esperienze della città francese di Lille. Il progetto si basa su un sistema di linee forti interquartierali a frequenza di dieci minuti, intersecate da linee a petalo finalizzate a servire il quartiere con frequenze minori ma comunque efficienti. Il piano viene integrato nel 1992 con il progetto di massima di un mini-metro ad automatismo integrale (modello VAL di Lille), come successivamente realizzato a Brescia, con stazioni in profondità rese accessibili ad ampie fasce urbane attraverso lo sbraccio delle scale mobili, ottenendo così un sistema di trasporto pubblico (e non sociale) dove tutta la città viene coperta capillarmente. Il progetto, probabilmente prematuro per la Verona di quegli anni, ha fuori dalle mura della città una risonanza tale da procurare a Galletti una cattedra
a contratto presso il Politecnico di Milano, docenza che porta avanti per oltre trent’anni. Con il suo sguardo disincantato di attento osservatore dei flussi di traffico e delle abitudini viabilistiche della città, Galletti, che con la prima Amministrazione Sironi è incaricato dall’allora assessore all’urbanistica Polo di effettuare la rilevazione e l’analisi dei flussi di traffico sull’intera rete viaria del Comune e delle penetrazioni nell’area urbana dalla provincia, nutre profonda perplessità verso un concetto di mobilità sostenibile che mette sbrigativamente al bando le auto in favore di biciclette e pedonalità.
È da questo punto di vista che nascono progetti come il prusst di Padova Arco di Giano (realizzato come consulente della società Technital), e come il viale urbano intervallivo – meglio conosciuto come Traforo delle Torricelle – progettato con Infratec, la società di ingegneria da lui fondata nel 2001 che opera per conto di enti ed amministrazioni nel settore opere pubbliche avvalendosi dell’esperienza professionale di specialisti nel campo dell’ingegneria delle infrastrutture, pianificazione, viabilità, studi di traffico e opere infrastrutturali.
In questi progetti “la strada” si snoda su diverse quote e livelli diventando catalizzatore di mezzi e persone con velocità ridotte e protezione ai flussi più deboli, in un’integrazione fra auto, biciclette e pedoni, che trovano risposte infrastrutturali adeguate, inserite armoniosamente nell’ambiente per garantirne il rispetto e la fruizione.
Dal 2014 l’attività di Infratec ha progressivamente assorbito e integrato l’attività professionale di Galletti quale socio anziano. (L.Z.)
97 Vincenzo Pavan
Laureato presso la Facoltà di Architettura di Venezia nel 1968 con una tesi quasi profetica che ha come tema Progettazione del paesaggio agrario della Lessinia , si iscrive all’Ordine nel 1969. Trascorre i primi anni di gavetta nello studio di Ottorino Tognetti (§ 62) e contemporaneamente intraprende la strada dell’insegnamento. Dal 1981 inizia una ricerca progettuale in condivisione con Adriano Ma-
son e Claudio Roncoletta, con i quali per un decennio partecipa a numerosi concorsi internazionali, esponendo i lavori in mostre e musei in Europa e negli USA, tra cui la Biennale Architettura di Venezia (1985), il Deutsches Architekturmuseum di Francoforte (1987), la Graham Foundation di Chicago (1995).
Contemporaneamente sviluppa una attività di ideazione, curatela e allestimento di mostre sull’architettura contemporanea con musei e pubbliche istituzioni, in particolare con il Museo di Castelvecchio di Verona, per il quale già durante gli studi universitari, nel 1963, aveva partecipato alla organizzazione della mostra Architettura nei Monti Lessini , in collaborazione con Licisco Magagnato e altri studiosi. In quel contesto per la prima volta veniva analizzato il paesaggio della Lessinia e il particolarissimo linguaggio architettonico vernacolare che trae origine dalla pietra locale, tema che sarà ricorrente nel suo percorso di studioso.
Successivamente a quella prima esperienza, Pavan ottiene la curatela per il Museo di Castelvecchio di una serie mostre e convegni, tra cui Leon Krier, La ricostruzione della città europea (1980), New Chicago Architecture (1981), Roma, Nuova Architettura nella città eterna (1987).
Alla metà degli anni Ottanta diviene consulente di Verona Fiere per l’ideazione e progettazione di mostre ed eventi di Marmomacc e Abitare il Tempo. Il tema di studio che Pavan porta avanti fin dagli anni della sua formazione è quello della rifondazione della cultura della pietra nell’architettura e nel design, dove al materiale litico va attribuito il ruolo identitario della costruzione. Da questo pensiero nasce nel 1987 l’International Award Architecture in Stone, prestigioso riconoscimento biennale da lui ideato e curato volto a premiare le migliori opere di architettura contemporanea realizzate con materiali lapidei. Il premio si è sempre distinto per il livello internazionale delle giurie e per l’alta qualità delle opere premiate, che ha fatto di Verona per molti anni il punto d’incontro di personaggi come Mario Botta, Alberto Campo Baeza, Grafton Architects, Vittorio Gregotti, Kengo Kuma, Aldo Rossi, Álvaro Siza, Snøhetta, Peter Zumthor. L’ultimo decennio della sua attività a Marmomac è principalmente dedicato al design litico, ponendo a
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confronto i principali esponenti internazionali del design con il mondo produttivo. Intensa è anche l’attività didattica in numerose università italiane ed estere. Di particolare interesse l’esperienza di USA Institute (Urban Studies and Architecture Institute), un collettivo di docenti di università internazionali che tra la seconda metà degli anni Novanta e la prima del Duemila ha tenuto corsi e seminari di progettazione fra Italia, Stati Uniti ed Estremo Oriente, sui temi dell’intervento urbano e dell’impiego dei materiali costruttivi locali, con il frequente coinvolgimento dell’Ordine degli Architetti di Verona. Contenuti ripresi nell’attività didattica svolta presso il Dipartimento di Architettura di Ferrara nel secondo decennio del 2000.
Dal suo imponente, costante e ancora in corso lavoro di ricerca è nata una serie di pubblicazioni che tracciano, nella loro sequenza temporale quasi ininterrotta, un profilo dell’architettura contemporanea visto da una particolare angolatura, quella del linguaggio della pietra, in una visione globale, che tuttavia non dimentica le espressioni locali, comprese quelle del proprio territorio che continuano ad essere per Pavan un filone inesauribile di scoperte. (L.Z.)
La bibliografia consta di oltre cento titoli tra libri, cataloghi, saggi e articoli di cui l’ultimo – di prossima uscita – dal titolo Lessinia di Pietra che conclude la sua storica ricerca sull’originalità dell’architettura vernacolare dell’altopiano lessinico.
98 Italo Donadelli
Classe 1938, Italo Donadelli studia a Venezia negli anni della direzione di Giuseppe Samonà e sotto l’influenza di Bruno Zevi e Giancarlo De Carlo, in un contesto accademico, quello della formazione degli architetti della ricostruzione, nel quale l’approccio della scuola di Belle Arti viene abbandonato in favore di un percorso tecnico, storico-critico e urbanistico.
Donadelli si laurea nel 1968 con una tesi sulla ricostruzione dell’isolato all’interno del quale è compresa anche l’ex chiesa di San Sebastiano, dove ora si trova il magazzino libri della Biblioteca Civica di Verona: un progetto che suscita grande interesse ma – nemo propheta in patria – viene poi affidato a Pier Luigi Nervi. Fin dal progetto della tesi è evidente come Donadelli non segua uno stile, principi teorici o uno specifico mentore da emulare, pur essendo un grande estimatore di Carlo Scarpa, ma piuttosto concentri l’attenzione alla forma del progetto, al contesto e all’esigenza del committente, cosicché la percezione del costruito acquisti un’armonia propria perfettamente in equilibrio con tutte le componenti che lo realizzano.
Donadelli, che fra le altre cose ha insegnato per anni all’Istituto d’Arte Nani, è molto fecondo nel suo territorio di origine, Villafranca, anche se è possibile rintracciare i suoi interventi in altre aree della provincia e in Italia. Fra i molti lavori, la villa a San Severo (Foggia, 1977), dove con un gesto gentile si innesta nel tessuto di provincia ed “esporta” l’arte di Pino Castagna coinvolgendolo nello studio di alcuni dettagli; una casa unifamiliare a Negrar (1985), dove il continuo dialogo con la committen-
za, la tradizione del costruire e i vincoli di carattere ambientale generano il progetto; la ristrutturazione di un appartamento con negozio nel tessuto storico di Villafranca (1972), dove la scala diventa ossatura, fonte di luce, elemento funzionale e formale. Vogliamo ricordare anche interventi non strettamente legati alla residenza, come l’ex asilo di Dossobuono convertito in ristorante (1980), l’edificio per le opere parrocchiali di Alpo (1987), e la sala civica di Quaderni di Villafranca (1995), progetti che evidenziano come ogni nuova opera rappresenti per l’architetto un mondo da esplorare e a cui dare forma.
Italo Donadelli è tutt’ora attivo nella progettazione e prosegue la sua fervente attività nello studio di Dossobuono. (L.Z.)
L. Sacconelli, StudioVisit: Italo Donadelli a Dossobuono, in «AV» 115, ottobre-dicembre 2018, pp. 96-101
99 Loris Annibale Fontana
Originario di Este, in provincia di Padova, dove nasce nel 1933, dopo la laurea in architettura conseguita a Roma si iscrive all’Ordine della stessa città. Il trasferimento all’albo veronese è del 1969, si suppone in corrispondenza del conferimento di un incarico presso la Soprintendenza. Qui lavora a fianco di Piero Gazzola negli anni in cui l’istituzione subisce grandi cambiamenti sia per competenza territoriale che per nome. È infatti nel 1976 che alla Soprintendenza ai monumenti di Verona si sostituisce la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici competente sulle province del Veneto occidentale, Verona, Rovigo e Vicenza, circoscrizione a tutt’oggi immutata. Fontana arriva a ricoprire il ruolo più alto all’interno dell’ente prima con l’incarico di reggenza dal 1987, poi nel 1990 è promosso Soprintendente, carica che mantiene fino all’inizio del 1998 quando matura la pensione. Attraverso questo ruolo ha modo di seguire numerosi cantieri di restauro e recupero.
Fontana, grande conoscitore del territorio Veneto, e in particolare di quello euganeo per ovvie ragio-
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ni di nascita, si è a lungo occupato della ricerca e della raccolta di documenti e fonti, contribuendo a far conoscere la storia del territorio. Molto attivo in conferenze e convegni ne ha curato spesso gli atti e i documenti di sintesi, oltre ad essere autore di alcune opere, fra cui L’analisi del paesaggio, 1982 e Valsanzibio, 1990.
Fontana chiede il trasferimento all’Ordine di Padova nel 1981, dal quale nel 2022 riceve il Timbro d’oro, riconoscimento alla carriera per la longeva presenza all’interno delle fila degli iscritti all’Albo. (L.Z.)
100 Giacomo Turco
Del numero 100 dell’Albo ci sarebbe piaciuto avere molte cose da raccontare, perché la cifra tonda, scelta come spartiacque fra l’inizio e quello che segue, meriterebbe una degna celebrazione. Purtroppo, allo stato attuale delle ricerche, le informazioni ottenute su Giacomo Turco non si discostano molto dalle sintetiche annotazioni riportate sui registri dell’Ordine. Nato nel 1938 e originario di Caldiero, Turco si laurea a Venezia nel 1969 iscrivendosi all’Ordine nello stesso anno; si cancella poi nel 1998 all’età di sessant’anni su richiesta personale. Presso il comune di nascita e residenza non si evidenziano progetti depositati agli atti e quindi è praticamente impossibile tentare di ricostruire un profilo professionale con riferimento a progetti specifici. (L.Z.)
s.n. Aldo Goldschmiedt
Aldo Nathan Davide Goldschmiedt nasce a Verona nel 1887, recita la sua professione di fede ebraica (Bar Mitzwah) nel 1900. Laureato a Milano nel 1911, tre anni dopo partecipa al concorso indetto dalla Cassa di Risparmio per la realizzazione di una nuova sede in piazza Erbe con il progetto Ars et Scientia , subito escluso. Nel giugno 1914 è nominato membro della locale Commissione Edilizia e componente della Commissione per i giardini.
Sono dei primi anni Venti due villini in Borgo Trento, Villa Manzini e Villa Rubele, comunemente denominata Villa Scala. Nel 1925 realizza un’autorimessa in via Leoncino 39, demolita poi negli anni Settanta, un edificio eclettico con richiami mitteleuropei che suscita numerose polemiche. Nel 1925 è nominato membro della Commissione Igienico-sanitaria e nel corso degli anni Venti è attivo nelle vicende urbanistiche cittadine: a marzo 1928 il parco Regina Margherita è realizzato su iniziativa sua, di Angelo Dall’Oca e di Antonio Avena. La Comunione Israelitica di Verona nel 1925 gli affida la progettazione dell’alzamento del porticato di via Portici, ma le sue sette soluzioni progettuali non ottengono mai la necessaria approvazione della locale Sovrintendenza né della Direzione Generale Antichità e Belle Arti di Roma. Iscritto all’Albo degli ingegneri e degli architetti della Provincia di Verona dal 1927, Goldschmiedt mantiene il proprio legame con la Comunità Ebraica veronese. In seguito all’emanazione delle Leggi razziali, la Questura apre un fascicolo sul suo conto: il 19 dicembre 1938 è riconosciuto di condotte morale e politica buone, ma nel 1944, sulla base del D.L. del 4 gennaio 1944, l’architetto non può evitare la confisca da parte dell’Ufficio Accertamento e Amministrazione Beni Ebraici della sua abitazione e del suo studio, in via Oberdan 3. Nel marzo del 1944 Goldschmiedt è costretto a rendersi irreperibile, lasciando in stato di profonda indigenza la moglie e la figlia. Le notizie a lui riferibili nel dopoguerra sono pressoché nulle: l’unica traccia risale al 1952, anno in cui lo stesso Goldschmiedt domanda alla Segreteria della Comunità Ebraica un certificato di appartenenza alla religione ebraica.
È sepolto nel cimitero cattolico di Zevio dal 1965, dopo anni di permanenza solitaria in una Casa di Riposo dello stesso paese. (V.R.)
Nota sulle fonti
Presso la sede dell’Ordine sono stati consultati i fascicoli dedicati a ciascun iscritto. I testi della bibliografia generale rappresentano inoltre un riferimento fondamentale per ogni studio sul periodo preso in esame. Molte informazioni sono state raccolte da contatti diretti con eredi o discendenti dei soggetti citati, o dagli stessi interessati. Nonostante questo, rimangono ancora numerose lacune, che ci auguriamo in futuro di poter colmare.
Bibliografia generale
AA.VV., Verona 1900-1960. Architetture nella dissoluzione dell’aura, Cluva, 1979
P. Brugnoli e A. Sandrini (a cura di), L’architettura a Verona: dal periodo napoleonico all’età contemporanea, Verona, Banca Popolare di Verona, 1994
P. Brugnoli (a cura di), Urbanistica a Verona (18801960), Verona 1996
M. Vecchiato (a cura di), Verona nel Novecento: opere pubbliche, interventi urbanistici, architettura residenziale dall’inizio del secolo al ventennio (19001940), Verona 1998
A. Lauria, A. Lorini, La ricostruzione a Verona, 1945-1954 : attività edilizia, tipi, linguaggi, forma urbana, figure professionali, tesi di laurea, Università IUAV di Venezia, a.a. 1998-99, rel. prof. G. Ernesti
G. Ciucci, G. Muratore (a cura di), Storia dell’architettura italiana. Il primo Novecento, Milano, 2004
G.F. Viviani (a cura di), Dizionario biografico dei veronesi (sec. XX), Verona, Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere, 2006
M. Vecchiato (a cura di), Verona la guerra e la ricostruzione, Rotary Club Verona Nord, 2006
M. Morgante (a cura di), Borgo Trento un quartiere del Novecento tra memoria e futuro, Anziano&Quartiere-Fond. Cattolica Assicurazioni, 2010
Testi
Laura Bonadiman, Federica Guerra, Federico Morati, Alice Lonardi, Giorgia Negri, Silvia Pasti e Alessandro Pasti, Leopoldo Tinazzi, Luca Ottoboni, Angela Lion, Filippo Romano, Luisella Zeri, Valeria Rainoldi
D. Longhi, Novecento. Architetture e città nel Veneto, Il Poligrafo, 2012
A. Bertolazzi, I. Segala (a cura di), Verona in trasformazione 1920/1960, catalogazione dei progetti edilizi ex U.D.I.D., supplemento a «Notiziario Ordine Ingegneri di Verona e provincia», ottobredicembre 2017
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https://www.arcover.it/
https://chieseitaliane.chiesacattolica.it/chieseitaliane/index.jsp
Immagini
(Fonti: riferimenti bibliografici e siti web)
In apertura, 02 F. Banterle: palazzetto Brazzaleni in via Prato Santo, Verona, particolare (foto L. Linthout)
01 E. Fagiuoli, disegno per il monumento a C. Battisti, Trento; copertina di AV 09, II serie, 1985
02 F. Banterle: Superpalazzo in via Mazzini, sezione; villa Tosadori in via Coni Zugna, Verona
03 A. Gregoletto: villa Biondani in via Albere, Verona, progetto
05 G. Fregno: Casa del Fascio, Legnago
06 A. Magnaguagno: villino in via Quarto (L.L.)
07 M. Zamarchi: progetto per uno stadio tra Porta San Zeno e San Bernardino, Verona
08 M. Guarienti, 02 F. Banterle: Casa dei Buoni Fanciulli, Verona
09 M. Padovani, Municipio di Arcole (L.L.)
11 R. Benatti, 07 M.Zamarchi, 16 C. Vanzetti, 20 A. Manzini: primo progetto per Ponte Navi, Verona
13 F.P. Vincita: progetto per un chiosco in Pradaval 14 A. Avesani: copertura di Sala Boggian, Museo di Castelvecchio, Verona
15 B. Ronca: progetto di concorso per la stazione di Roma Termini
16 C. Vanzetti: planivolumetrico del quartiere INACasa a Porto San Pancrazio, Verona
17 L. Cecchini: sistemazione archeologica nel Cortile del Tribunale; casa Cecchini a Bosco Chiesanuova
18 L. Felici: palazzine di via Toti, prospetto
19 V. Filippini: disegno di progetto per il Teatro Filarmonico, Verona
20 A. Manzini: edificio in via Prato Santo, prospettiva
22 B. Milotti: chiesa di San Pietro Apostolo in piazza Vittorio Veneto, Verona, prospettiva
23 C.R. Loro, Seminario Vescovile a San Massimo, Verona, veduta di cantiere
24 O. Ortensi: palazzina in lungadige Cangrande, Verona, prospettiva
26 G. Bari: condominio in via Tonale, Verona, (L.L.)
28 G. Bertolini: villino Sartorelli a Legnago
30 G. Bocca: torre Biasi in Borgo Roma, Verona, prospetto e sezione
31 M. Rogolotti: Omaggio a Terragni, tarsia
34 L. Foroni: progetto di piazza Papa Giovanni
XXIII, Villafranca
36 G. Luciani, 49 A. Pasqualini: condominio in lungadige Matteotti, Verona (L.L.)
37 G. Trojani, 11 R. Benatti: ampliamento di Palazzo Barbieri, Verona, planimetria
38 G. Giacomello: chiesa di San Pio X, Verona, prospettiva.
39 F. Spelta: ricostruzione della Biblioteca Capitolare, Verona, prospettiva
40. G. Stella: ponte del Risorgimento, Verona, Impresa (P.L. Nervi)
42 G. Barbesi: villa Meneghini a Torri del Benaco, prospettiva
43 L. Rosa Fauzza: cappella delle Piccole Figlie di San Giuseppe; Istituto Ragazzi Nostri a Quinzano, Verona, prospettiva
44 O. Valdinoci, 71 G.C. Pellegrini Cipolla: adeguamento liturgico della cattedrale di Verona
45 L. Calcagni, 46 L. Cenna: condominio in viale della Repubblica, Verona
45 L. Calcagni, 46 L. Cenna: complesso residenziale e direzionale Palladio, Verona, sezione
47 G. Lonardelli: condominio in via Palladio, Verona (foto M. Totè)
49 A. Pasqualini: condominio in via dei Mille, Verona, prospetto
50 B. Bertelé: complesso parrocchiale di San Zeno in Santa Maria a Cerea
51 S. Paglialunga, 17 L. Cecchini, 91 L. D’Alberto: brefotrofio provinciale, Verona
54 A. Mendini: Cantina Menegotti, Villafranca, studi per il logo e veduta esterna (foto D. Tacconi)
55. C. Lonardoni: condominio in via Querini, Verona
58: M.S. Pasti: cappella al Passo Gardena
60 R. Firullo: palazzo Bauli, Verona, fronte posteriore
61 L. Malgarise: condominio in viale Merello, Cagliari
62 O. Tognetti: foyer della sala convegni Cariverona in via Garibaldi, Verona
63 C. Tagliaferri: casa a Caprino Veronese
65 C. Bassani: sala polivalente a Palazzo Te, Mantova
66 A. Poltronieri: allestimento mostra L.B. Alberti nelle Fruttiere di Palazzo Te, Mantova
67 G. Perbellini, 73 A. Rudi, A. Bruno: piano per il
Colle di San Pietro, Verona
69 R. Olivieri: Pyramide di Abidjan, Costa d’Avorio
70 G. Nori: chiesa di San Giuseppe Lavoratore, San Bonifacio
71 G.C. Pellegrini Cipolla, 69 R. Olivieri: chiesa di San Benedetto in Valdonega, Verona (L.L.)
73 A. Rudi: condominio in via Interrato Redentore, studio per la pianta; case per anziani in via Mazza, Verona, particolare del fronte
77 A. Galdi: Biblioteca Baratta, Mantova
78 G. Ugolini: casa-studio in via Cigno
79 F. Mendini: schizzo relativo agli arredi della casa di Verona
81: F. Caprini: complesso COCEL a Mantova-Lunetta Frassine
83 R. Cambruzzi: Centro Ricerche Glaxo, Verona
85 G. Garau: case a ballatoio a Porcia (PN), esploso assonometrico
86 M. Lucat: proposta per corridoio plurimodale pedemontano
87 G. Nardi: condominio a Verona
91 L. D’Alberto: allestimento mostra del Sanmicheli a Palazzo Canossa, Verona (1960)
92 R. Dal Maso: gioielleria Zanoni, Verona
93 B. Padovani: supercondominio in via Cantaranevia XX Settembre, Verona
94 G. Solero: edificio commerciale, Gambellara (VI); palazzetto dello sport, Monteforte d’Alpone
95 L. Clementi: casa di riposo a Oppeano
96 T. Galletti: PRUSST di Padova Arco di Giano, modello
97 V. Pavan, R. Galiotto, allestimento Pad. 1 di Marmomac 2018 sul tema “Acqua e Pietra”
98 I. Donadelli: villa a Negrar
Ringraziamenti
Hanno contribuito a vario titolo alla ricerca: Carlo Benatti, Angelo Bertolazzi, Paola Bonuzzi, Corrado Bosi, Anna Braioni, Gian Arnaldo Caleffi, Giorgio Chiavico, Giovanni Battista Cottinelli, Angelo Di Salvia, Bertilla Ferro, Massimo Galdi, Paolo Gozzi, Annalisa Levorato, Alessandro Lonardelli, Simone Malgarise, Federico Melotto, Francesco Maria Nori, Sandra Padovani, Anna, Silvia e Alessandro Pasti, Carlo Pellegrini Cipolla, Eleonora e Marco Poltronieri, Fabrizio Rossini, Loretta Sacconelli, Stefano Spelta, Zeno Stella, Giuseppina Veronesi.
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§ 46 Luciano Cenna
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Verona oggi, da Una storia di Verona di Luciano Cenna, Rinascita libri, 1988.
72.
Un Ordine, un territorio
Cento anni di attività dell’Ordine degli Architetti della provincia di Verona, poi anche dei Pianificatori, dei Paesaggisti e infine dei Conservatori
78.
Alta formazione
Una ricognizione sull’origine e la nascita delle scuole di architettura in Italia nelle quali si sono formate generazioni di professionisti veronesi
81.
Ordine in genere
I numeri e le percentuali della presenza femminile all’interno dell’Albo veronese dal dopoguerra a oggi: una lenta risalita
83.
Uno a mille: spigolature
Un seguito parziale del racconto degli iscritti all’Ordine veronese traguardando il simbolico numero mille
87.
Ci mette il becco LC: “Non abbiate fretta”
Dall’alto della sua iscrizione al numero 46 le considerazioni di Luciano Cenna sui giudizi poco generosi di alcuni Maestri nei confronti dei colleghi
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Un Ordine, un territorio
Cento anni di attività dell’Ordine degli Architetti della provincia di Verona, poi anche dei Pianificatori, dei Paesaggisti e infine dei Conservatori
Testo: Michele De Mori
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Ricostruire il rapporto instauratosi tra l’Ordine degli Architetti della provincia di Verona e il suo territorio è un’operazione complessa, in particolare per i primi decenni della sua vita, sia per la difficoltà nel reperire fonti ufficiali e autorevoli sia per l’esiguo numero di iscritti, aumentato esponenzialmente solo dalla seconda metà del Novecento.
Come noto, la storia dell’Ordine trova origine nella Legge 24 giugno 1923 n. 1395 “Tutela del Titolo e dell’esercizio professionale degli Ingegneri ed Architetti” e dal successivo Regio Decreto 23 ottobre 1925 n. 2537 “Regolamento per le professioni d’ingegnere e di architetto” che ne stabilisce, di fatto, la nascita. L’Ordine di Verona viene istituito il 5 settembre 19261 e raggruppa insieme sia architetti che ingegneri. Questi ultimi in numero assai maggiore: infatti, su un totale di 173 iscritti, solamente tre sono gli architetti 2: Ettore Fagiuoli, Antonio Gregoletto e Giovanni Salvi3. La sede si trova in Piazzetta Serego; presidente è l’ing. Umberto Fasanotto, vicepresidente l’ing. Giulio Cesare Bonamico. La separazione tra architetti e ingegneri si deve, l’anno successivo, al R.D. 27 ottobre 1927 n. 21454 che all’art. 1 dichiara in modo perentorio: «L’albo degli ingegneri è separato da quello degli architetti», seguito dal R.D. 31 ottobre 1929 n. 20835 che ne fornisce i dettagli operativi. Nel frattempo, gli architetti veronesi salgono a sette con l’aggiunta di Francesco Banterle, Gaetano Giusti, Aldo Goldschmiedt e Antonio Magnaguagno 6. Un numero così ridotto che risulta difficile immaginare un movimento coordinato che si rapportasse con il territorio e ne discutesse le tematiche più rilevanti. Diversamente da quanto accade per gli ingegneri – che contano centinaia di iscritti – i quali, nel gennaio del 1927 pubblicano il primo numero del «Bollettino del Sindacato Provinciale Fascista Ingegneri di Verona», curato dall’ing. Ernesto Pedrazza Gorlero, dove è costantemente alimentata la discussione sui principali temi urbani.
1 M. Cossato, Una breve storia dell’ingegneria veronese nel contesto nazionale ed europeo fino agli anni 90 del secolo scorso, in «Notiziario Ingegneri Verona», 100, 2008, p. 17.
2 Ibidem
3 Guida provinciale veronese, 1926-1928
4 Il Regio Decreto aveva quale oggetto: “Norme di coordinamento della legge e del regolamento sulle professioni di ingegnere e di architetto con la legge sui rapporti collettivi del lavoro, per ciò che riflette la tenuta dell’albo e la disciplina degli iscritti”.
01. Copertina del volume a cura di Pierpaolo Brugnoli edito nel 1996 dall’Ordine degli Architetti di Verona.
02. Rassegna stampa dal quotidiano «L’Arena», 27 settembre 1959.
03. Mostra dei progetti di concorso della casa per anziani in via Steeb allestita negli spazi del “Circolo degli Architetti e dei loro Amici”, all’interno di Palazzo Erbisti in via Leoncino, 1962.
04. Frontespizio delle Osservazioni alla Variante al PRG di Verona, 1967.
5 Il Regio Decreto aveva quale oggetto: “Provvedimenti relativi all’iscrizione nell’albo degli architetti e degli ingegneri”.
6 Guida provinciale veronese, 1928-1929. Tra questi, a Giusti e Magnaguagno viene negata la partecipazione all’Ordine in quanto non si trovavano «nelle condizioni richieste per l’iscrizione nell’albo dall’art. 10 della legge [L. 1395/1923]». L’iscrizione viene negata anche a Mario De Stefani di Legnago, il cui nominativo, però, non compare nella guida provinciale sopra indicata.
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05. Manifesto del convegno “Attualità del problema dei centri storici” organizzato nel 1977.
06. Copertina del volume edito da «Architetti Verona» nel 1990.
7 Il numero totale delle corporazioni ammontava a 22.
8 Le altre sezioni sono relative alle professioni legali, sanitarie e delle arti.
9 La Corporazione Fascista delle Professioni e delle Arti (CFPA) viene ufficialmente costituta con Decreto del Capo del Governo 23 giugno 1934 e il suo statuto approvato con R.D. 16 agosto 1934, dove vengono definite anche le unioni provinciali (art. 12-16). Sindacato fascista ingegneri della provincia di Verona, Notiziario (a cura di E. Pedrazza Gorlero), 1938.
10 La sede è ai Tolentini n. 251, Venezia.
11 La presenza di Banterle quale “fiduciario” è attestata nel 1937 e nel 1939; purtroppo non si sono rinvenute ulteriori informazioni riguardo agli anni precedenti e successivi.
12 Confederazione fascista dei professionisti e degli artisti, Albo professionale architetti Venezia Euganea, 1939.
13 La commissione edilizia viene istituita ai sensi dell’art. 52 del Regolamento di Polizia Edilizia del Comune di Verona del 1900.
14 Comune di Verona, Regolamento edilizio, Verona, 1924, art. 21.
15 ACVr, Delibere Podestarili, 1 luglio 1933, n. 382.
16 Va segnalato che la commissione edilizia del Comune di Verona viene interrotta, causa eventi bellici, dal 1 aprile 1943 al 27 settembre 1945.
17 ACVr, Delibere del Consiglio Comunale, 21 giugno 1946, n. 33.
18 Restava comunque intesa la possibilità, a titolo meramente indicativo, da parte degli Ordini di indicare dei nominativi.
19 Verona Operante 1950-1951. Incrociando dati riscontrati nei registri conservati dall’Ordine con quanto riportato nelle varie edizioni della Guida provinciale veronese, al 1945 gli iscritti risultano essere n. 24.
20 Ordine degli architetti della provincia di Verona, Albo professionale, 1961.
21 «L’Arena», 14 giugno 1958.
22 G. Trojani, Una risposta che tarda a venire, in «Architetti Verona», I serie, 1, 1959, p. 12.
23 Il convegno si svolge dal 23 al 27 settembre 1959 nel salone della Borsa in Gran Guardia.
24 «L’Arena», 27 settembre 1959.
25 G. Trojani, La mozione presentata dal consiglio dell’Ordine degli architetti veronesi, in «Architetti Verona», I serie, 2, 1959, p. 17.
26 G. Trojani, Una risposta che tarda a venire, in «Architetti Verona», I serie, 1, 1959, p. 12.
Anche l’istituzione delle corporazioni7, con Legge 5 febbraio 1934 n. 163 e successivi Decreti 29 maggio 1934, non porta grande sviluppo all’Ordine. Gli architetti (insieme a ingegneri, tecnici agricoli, geometri, periti industriali, chimici) vengono inclusi nella sezione delle “professioni tecniche” 8 all’interno della “Corporazione Fascista delle Professioni e delle Arti” (CFPA)9. La sezione di Verona, con sede in via Oberdan 3, fa parte del Sindacato interprovinciale Fascista degli architetti della Venezia Euganea10 che raggruppa le provincie di Venezia, Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Verona e Vicenza. Rappresentante veronese nel direttivo è Fagiuoli, mentre il fiduciario locale è Banterle11. Il numero degli iscritti rimane sempre molto basso, solamente undici: Francesco Banterle, Alfredo Barbacci, Fernando Cazzaniga, Ettore Fagiuoli, Giovanni Fregno, Gaetano Giusti, Guarienti Marcello, Antonio Magnaguagno, Marino Padovani, Giovanni Salvi, Marcello Zamarchi12 . Sono gli anni del grande rinnovamento edilizio ed urbanistico della città di Verona – basti pensare al
concorso per il Piano Regolatore – ma, nelle cronache cittadine non vi è traccia di interventi da parte dell’Ordine. Va comunque ricordato che la figura dell’architetto – inteso come singolo professionista – è coinvolta, ancora dall’Ottocento, nella Commissione dell’Ornato di Verona e nella successiva Commissione Edilizia13. In particolare, quest’ultima è composta dal sindaco e da sei cittadini eletti dal consiglio comunale, senza però un preciso obbligo di appartenenza alle professioni tecniche. È solo con l’aggiornamento del regolamento edilizio avvenuto nel 1924 che viene ufficializzata la presenza di architetti e ingegneri, ai quali sono riservati quattro posti14. Se inizialmente i nominativi venivano indicati direttamente dal consiglio comunale, solamente a partire dal 1933 questi sono individuati «dal Podestà su terne rispettivamente presentate dalle corrispondenti organizzazioni fasciste», ossia su segnalazione degli ordini professionali15. Con questa modifica il numero degli architetti viene ridimensionato a uno soltanto; l’incarico è conferito a Fagiuoli.
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Questa modalità rimane in vigore fino al giugno del 194616 quando l’amministrazione Fedeli decide di eliminare «il vincolo della richiesta delle terne alle singole organizzazioni di categoria»17 in quanto considerato un retaggio delle corporazioni fasciste, ma contemporaneamente aumenta il numero di architetti a tre18.
Superato il secondo conflitto mondiale viene ripristinato l’albo, assegnando un numero d’ordine per ogni iscritto. Il periodo della ricostruzione e del “miracolo” economico italiano favorisce l’aumento degli iscritti: nel 1950 gli architetti veronesi sono saliti a 2719; nel 1960 a 5620. Questo porta nuova linfa all’Ordine, incoraggiandone il desiderio di essere parte attiva nelle radicali trasformazioni urbane in corso. Ne dà esempio quanto deliberato nell’assemblea del 27 maggio 1958 ossia – alla luce dei vincoli troppo imposti ai professionisti – la richiesta di una «più libera composizione architettonica nell’ambiente tradizionale veronese» nonché un «maggior rispetto della personalità del professionista nella composizione dei suoi elaborati». Inoltre, viene sottolineata la necessità «di mettere a pubblico concorso per lo meno le opere di una certa importanza»21 Manca, però, uno strumento divulgativo adatto, che possa raggiungere sia gli iscritti sia la cittadinanza. Nasce così la rivista «Architetti Verona», il cui primo numero è pubblicato nel luglio del 1959 sotto la presidenza di Guido Trojani, che ben presto diventa la voce degli architetti veronesi. In questo periodo di grande fermento, l’Ordine si fa più volte promotore di un dialogo e di una collaborazione con gli enti pubblici, in particolare con l’amministrazione comunale veronese, che, purtroppo, tarda ad arrivare22 . Da ricordare la mozione pubblicata a conclusione dell’8° Convegno Nazionale del Progresso Edilizio23 indetto dall’Associazione Generale per l’edilizia (AGERE), avente come tema “Funzione e risanamento dei nuclei storici artistici e monumentali”. Con tale
documento l’Ordine propone ufficialmente24 l’affiancamento alla Soprintendenza ai monumenti di una commissione di tecnici «a carattere non consuntivo, ma deliberativo» per evitare alla stessa «di agire incontrollata, ritenendosi capace di risolvere e decidere per diritto burocratico, anziché per capacità artistica e tecnica»25.
Ma i temi più caldi per l’Ordine, sempre animato da un instancabile Guido Trojani, sono quelli di carattere urbanistico – applicati però
07-09. Pagine di alcuni numeri di «AV» con gli esiti dei concorsi “Spazi ritrovati” 1, 2 e 3.
principalmente al capoluogo – che sono oggetto di ampi dibattiti, anche dai toni accesi e non privi di polemiche. Notevole è l’opposizione all’operato di Plinio Marconi riguardo la stesura del Piano Regolatore Generale, tanto da richiedere che nelle successive varianti «non si abbiano a lamentare, o siano ridotti al minimo, gli inconvenienti che si sono verificati a causa di soluzioni accademiche appoggiate da una regolamentazione in molti casi paradossale»26
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10-11. Frammenti dalla storica sede dell’Ordine in via Oberdan n. 3: il dipinto di Bertilla Ferro che campeggiava nell’ufficio di presidenza e un momento conviviale nella Sala del Consiglio in occasione di “ArchitectsParty”, 2011.
27 Il convegno si svolse il 29-30 giugno e 1 luglio 1962 presso la Gran Guardia.
28 G. Trojani, Assemblea ordinaria annuale degli iscritti all’albo degli architetti della provincia di Verona, in «Architetti Verona», I serie, 18, 1962, p. 27.
29 «L’Arena», 3 luglio 1962.
30 Sulla polemica contro l’operato di Marconi si veda Ordine professionale degli architetti di Verona, Osservazioni alla variante generale del piano regolatore generale della città di Verona redatto in base ad autorizzazione ministeriale in data 12 aprile 1965 ed adottato dal Consiglio Comunale il 23 aprile 1966, conservato presso l’archivio del Consorzio ZAI.
31 Inaugurazione del circolo degli architetti, in «Architetti Verona», I serie, 12, 1961, p.11.
32 G.F. Bari, L. Cecchini, M. Padovani, A. Pasqualini, B. Ruffo, Si discute su Borgo Trento, in «Architetti Verona», I serie, n. 14, 1961, pp. 6-8.
33 «Architetti Verona», I serie, 22, 1963, numero monografico dedicato ai problemi turistici con una proposta di organizzazione del territorio del Garda e del Baldo.
34 L. Calcagni, C. Carozzi, L. Cecchini, L. Cenna, L. D’Alberto, M. Lucat, G.L. Mellini, A. Rudi, O. Tognetti, G. Trojani, V. Vercelloni, Proposta urbanistica per lo sviluppo economico dell’agricoltura e del commercio di Verona, in «Architetti Verona», I serie, 20, 1962, pp.1-4.
35 «Architetti Verona», II serie, 1/2, 1977, numero monografico dedicato agli atti del Convegno Nazionale: Attualità del Problema dei Centri Storici, Verona, 2/3 aprile 1977.
36 Ivi, p. 3.
37 Ivi, p. 7.
38 C. Vanzetti, Conclusioni, in «Architetti Verona», II serie, 6, 1981, p. 8.
39 Ristrutturazione urbanistica dell’area di Verona Sud, in «Architetti Verona», II serie, n. 10, 1985, p. 5. Sempre sul tema dei concorsi si ricorda l’attività dell’Ordine, e in particolare del presidente Trojani, per promuovere un concorso anche nel caso della realizzazione del nuovo stadio Bentegodi. Si veda G. Trojani, Parole chiare, in «Architetti Verona», I serie, 4, 1960, p. 3.
Il “Convegno per lo sviluppo e la difesa di Verona” 27, indetto dall’Amministrazione comunale con il «pressante interessamento di alcuni architetti veronesi»28 è l’occasione per ribadire la richiesta di una revisione del piano regolatore attuata mediante «la nomina di un comitato di esperti particolarmente qualificati che dia la più ampia collaborazione agli organi amministrativi locali»29 e non affidata nuovamente a Marconi, come invece accadrà 30
In questi anni l’Ordine si trovava in piena attività e carico di stimoli che portano all’inaugurazione, il 25 maggio 1962, del “Circolo degli Architetti e dei loro Amici”, all’interno di Palazzo Erbisti, in via Leoncino31. Un luogo dove continuare ad alimentare il dibattito sulla città e proporre mostre di architettura. Dibattiti che portano a una accurata analisi sullo sviluppo di Borgo Trento32 e sulle problematiche legate al turismo nell’area del Baldo-Garda 33, nonché alla innovativa “proposta urbanistica per lo sviluppo economico dell’agricoltura e del commercio di Verona”, purtroppo rimasta lettera morta 34. Studi e proposte sempre veicolate tramite «Architetti Verona». Un’altra importante tappa nell’affermazione degli architetti è il convegno nazionale “Attualità del problema dei centri storici” organizzato dallo stesso Ordine con la partecipazione dell’Associazione Nazionale dei Centri Storici
Artistici il 2 e 3 aprile 1977 presso la Camera di Commercio35. Il convegno, predisposto coinvolgendo l’intera assemblea degli iscritti attraverso la costituzione di gruppi di lavoro, segna, infatti, una «inversione decisa della tendenza del passato, caratterizzata dalla oggettiva emarginazione (forse compiaciuta autoemarginazione) dell’Ordine professionale dai concreti problemi cittadini»36, nonché la volontà di reclamare «un proprio ruolo di presenza e responsabilità culturale»37 e di porsi come «uno degli interlocutori fondamentali dell’Amministrazione e delle forze politiche»38. Un interlocutore spesso spinoso per le amministrazioni, sempre pronto a battersi per lo svolgimento di concorsi di progettazione per le opere pubbliche. Uno scontro che si palesa in maniera particolare nel 1985 quando l’Ordine ribadisce a gran voce la necessità di indire un concorso nazionale o internazionale per l’affidamento del progetto di ristrutturazione urbanistica dell’area di Verona sud 39 . Nel frattempo gli iscritti stanno aumentando rapidamente, consegnando all’Ordine un sempre maggiore peso politico. Si pensi che nel 1978 sono 375, per diventare 594 nel 1982 e 814 nel 1989. Un’attività, quella del continuo confronto con le amministrazioni, che prosegue anche per i decenni a venire, coinvolgendo sempre maggiormente
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l’Ordine. Un Ordine che si struttura sempre più anche a servizio dei propri iscritti tanto da costituire nel 1994 la “Cooperativa Architetti Verona”40 con lo scopo di promuovere convegni e pubblicazioni, nonché l’esecuzione di pratiche e servizi a favore dei soci.
Gli iscritti sono in continua crescita: 967 nel 1994; 1.198 nel 1999. L’ultimo decennio del secolo va ricordato anche per due importanti pubblicazioni volute e realizzate dall’Ordine: Verona, la piazzaforte ottocentesca nella cultura europea di Gianni Perbellini e Lino Vittorio Bozzetto nel 1990 e Urbanistica a Verona a cura di Pierpaolo Brugnoli nel 1996. Ma, ancora più importante l’iniziativa “Spazi ritrovati”, un concorso di idee organizzato dall’Ordine e rivolto a tutti gli iscritti che per ben tre edizioni, dal 1995 al 2000, interessa numerosi spazi di Verona e provincia41 Poco meno di una decina di anni più tardi, in concomitanza con il 50° anniversario della nascita della rivista, viene istituito il “Premio Architettiverona” da attribuire «a una o più personalità che si siano distinte per aver colto e
12-13. La nuova sede agli ex Magazzini Generali: un momento del cantiere di ristrutturazione e una veduta attuale.
messo in evidenza, attraverso la propria opera architettonica o intellettuale, le potenzialità del territorio della provincia di Verona» 42 . Con il nuovo secolo l’Ordine si posiziona ancor più all’interno delle dinamiche urbane della città di Verona avviando un ambizioso progetto di trasferimento della propria sede43 –precedentemente ancora ubicata in via Oberdan 3, nel pieno centro storico – all’interno dei Magazzini Generali, affidandone la progettazione a un gruppo di giovani professionisti, M28.
La nuova sede, inaugurata il 6 aprile 201744, si è presto configurata quale luogo ideale per rinnovare il ruolo dell’Ordine quale interlocutore di primo piano nella discussione delle dinamiche urbane. Un Ordine che, però, non deve avere il timore di diventare quel “pungolo” per le amministrazioni immaginato da Carlo Vanzetti negli anni Settanta45. •
40 I soci della cooperativa potevano essere esclusivamente professioni iscritti all’Ordine degli architetti di Verona (art. III dello statuto, in Ordine degli Architetti della Provincia di Verona, Albo aggiornato al 1994, pp. 137-142.
41 La prima edizione si tiene nella primavera del 1995, si rimanda a «Architetti Verona», 17, 1995. La seconda edizione nell’estate del 1997, cfr. «Architetti Verona», 31, 1997. La terza edizione nell’inverno 2000, in «Architetti Verona», 51, supplemento, 2000.
42 A. Toffali, Il Premio «architettiverona», in «Architetti Verona», 83, 2009, p. 11.
43 Il lungo iter per il trasferimento della sede prende avvio nel 2006. Cfr. P. Ravanello, Per il Palazzo delle Professioni, in «Architetti Verona», 93, 2013, pp. 123-124.
44 N. Brunelli, Con Ordine, in «Architetti Verona», 109, 2017, pp. 58-62.
45 C. Vanzetti, Scopi del Convegno, in «Architetti Verona», II serie, 1/2, 1977, p. 13.
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Testo: Federica Guerra
PAlta formazione
Una ricognizione sull’origine e la nascita delle scuole di architettura in Italia nelle quali si sono formate generazioni di professionisti veronesi
rima della riforma Gentile del 1923, la scuola in Italia è regolata dalla legge Casati del 1859, che può essere considerata la prima carta dell’istruzione italiana, emanata dal Regno sabaudo a ridosso della proclamazione dell’unità nazionale. Questa legge non prevede istituti specifici per architetti, ma contempla due scuole di ingegneria: l’Istituto Tecnico Superiore di Milano e la Scuola di Applicazione di Torino. Nel 1865 a Milano, e l’anno successivo a Torino, viene creata al loro interno una sezione di architettura e conferito il diploma di “architetto civile” accanto a quello di ingegnere civile; tali sezioni lamentano sempre una cronica mancanza di studenti a causa dell’esclusivo ambito professionale a cui davano sbocco. Dopo il 20 settembre 1870 le norme generali della legge Casati sono estese anche a Roma e nel 1873 è qui istituita la Scuola di Applicazione per ingegneri. Nel 1877 sono definiti i programmi delle scuole di architettura istituite anche presso gli istituti di belle arti: sono previsti corsi della durata di sette anni per il rilascio del diploma di professore di disegno architettonico. Tale diploma abilita solo all’insegnamento e non alla professione di architetto, ma spesso accade che molti professori di disegno siano architetti professionisti, oltre che docenti nelle accademie e negli istituti d’arte. L’istruzione impartita nelle sezioni di architettura delle scuole di ingegneria è un insegnamento di livello universitario, a cui si accede con il diploma, nei programmi vi è una preponderanza di materie tecnico-scientifiche rispetto agli insegnamenti artistici; il diploma di professore di disegno è invece rilasciato dopo un corso a cui si accede con la licenza elementare e le materie sono
esclusivamente di tipo artistico. Questa confusa situazione dell’insegnamento ha importanti ripercussioni: da una parte investe l’ambito professionale, spartito fra ingegneri, professori di disegno e tanti “abusivi”, dall’altra si riverbera sulla produzione architettonica. All’assenza di una formazione specifica per gli architetti sarà a lungo imputata la decadenza dell’architettura prodotta nei primi decenni dello Stato unitario e l’incapacità di elaborare uno “stile nazionale”, un nuovo linguaggio architettonico consono all’unità culturale, che l’Italia reale stentava a raggiungere. Quando Giovanni Gentile mette mano alla riforma degli studi universitari agli inizi degli anni Venti del XX secolo, vuole distinguere concettualmente le facoltà umanistico-scientifiche (appartenenti alle università), dai corsi professionalizzanti che da allora prevedono un “esame di stato” per l’esercizio della professione: ha così origine l’autonomia amministrativa delle scuole di ingegneria, separate dagli atenei. Così facendo Gentile riprende non solo la tradizione napoleonica delle Écoles Polytechniques, ma soprattutto ribadisce la distinzione fra le Arti (pittura, scultura, architettura, musica) e le Scienze (fisiche, morali) cui erano preposte le più antiche accademie nazionali italiane: da una parte San Luca (1577) e San Cecilia (1585), dall’altra i Lincei (1603).
Ma alla metà degli anni Trenta, con la Legge 812 del 16 giugno 1932, si ha un’inversione di tendenza: tutte le scuole di ingegneria e di architettura sono nuovamente accorpate alle università, perdono l’autonomia amministrativa, e da qui in poi viene loro riconosciuto lo status di facoltà.
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Le prime istituzioni che forniscono un’istruzione superiore specifica per gli architetti sono, come detto, oltre agli istituti di belle arti, l’Istituto Tecnico Superiore di Milano e la Scuola di Applicazione di Torino. A Milano il 29 novembre 1863 Francesco Brioschi, uomo politico, illustre matematico, nel suo duplice ruolo da un lato di presidente del Consiglio direttivo dell’Accademia Scientifico-Letteraria, nucleo originario della futura Università degli Studi, e dall’altro di fondatore e direttore dell’Istituto Tecnico Superiore, il primo Politecnico d’Italia, inaugura i due atenei sottolineandone gli “scopi comuni e speciali” e la loro rispondenza ai “bisogni intellettuali e materiali del paese”. L’Istituto Tecnico Superiore si ispira al modello dei politecnici di area tedesca e svizzera e promuove una cultura tecnico scientifica imperniata sulla specializzazione e in grado di contribuire allo sviluppo del Paese. Inizialmente limitato al triennio di applicazione e ai due indirizzi in ingegneria civile e industriale, l’Istituto nel 1865, per iniziativa di Camillo Boito e attraverso l’interazione con l’Accademia di Belle Arti di Brera, si arricchisce della Scuola per Architetti e nel 1875 si completa con la Scuola preparatoria biennale.
A Torino la Scuola di Applicazione per gli Ingegneri, sorta con la Legge Casati nel 1859, istituita nell’ambito dell’università, apre la ricerca e la formazione superiore agli studi tecnici. Sotto differenti aspetti e con personalità complementari, illustri docenti e ricercatori, vengono dati statuti a nuovi ambiti disciplinari, come l’elettrotecnica e la scienza delle costruzioni. Nel 1859 la residenza sabauda del Valentino viene ceduta alla Scuola di Applicazione per gli Ingegneri e da qui, sul modello delle grandi scuole politecniche europee, nei primi anni del Novecento il Regio Politecnico di Torino si muove in più direzioni intessendo relazioni sia con il mondo scientifico europeo, sia con l’industria locale e nazionale. Nascono gli studi aeronautici, i nuovi laboratori per la chimica, e la specializzazione in architettura.
A questi primi istituti si aggiunge nel 1873 anche la Scuola di Applicazione per ingegneri di Roma, presso cui sorge anche il primo istituto superiore in
Italia per la formazione specifica della figura professionale dell’architetto, la Scuola superiore di Architettura di Roma, fondata con R. D. n. 2593 del 31 ottobre 1919, dopo un lungo dibattito politico e culturale, iniziato all’alba dell’unità nazionale. Il vero promotore del nuovo istituto è Gustavo Giovannoni, a tutti gli effetti il teorico dell’impianto didattico. E se nei primi anni è Manfredo Manfredi a dirigere l’istituto, nel 1927, dopo la morte di quest’ultimo, Giovannoni viene eletto Prodirettore e resta in carica fino al 1935, quando gli succede Marcello Piacentini. A questa prima scuola seguono negli anni successivi la fondazione della scuola di Venezia nel 1926, quella di Torino nel 1929, nel 1930 quelle di Firenze e di Napoli, e nel 1933 quella di Milano. Così mentre a Torino e a Milano le Scuole
01. Inaugurazione della nuova sede della Facoltà di Architettura di Roma a Valle Giulia, 1932.
02. L’Aula Magna dello IUAV durante l’inaugurazione dell’anno accademico 1963-64.
03. Studenti e assistenti in assemblea nella corte del Castello del Valentino a Torino, sede della Facoltà di Architettura, 1976.
04. Assemblea durante un’occupazione della Facoltà di Architettura di Firenze, 1967-68; al microfono Umberto Eco.
Superiori di Architettura si inseriscono nel solco delle precedenti istituzioni (l’Istituto Tecnico Superiore di Milano e la Scuola di Applicazione per gli Ingegneri di Torino), per Firenze, Napoli e soprattutto Venezia si tratta di una realizzazione ex novo.
A Firenze l’illustre progenitrice è l’Accademia di Belle Arti presso la quale viene istituita, nel 1926, la Scuola di Architettura, legalmente riconosciuta solo nel 1930 come Regia Scuola Superiore di Architettura e che, nel 1933, diventa Regio Istituto Superiore di Architettura, quando dalla Direzione delle Antichità e Belle Arti passa alla Direzione Generale dell’Istruzione Superiore. Le tappe salienti del passaggio da Scuola a Istituto Superiore sono documentate negli “Annuari” della Regia Scuola Superiore e del Regio Istituto di Architettura 1930-1936, dove possiamo ritrovare il nome dei rinomati insegnanti da Ugo Ojetti a Roberto Papini.
La fondazione della Scuola di architettura di Napoli trae anche qui origine dall’Accademia di Belle Arti che, dal 1928, consente lo svolgimento dei corsi del primo biennio. L’iniziativa parte dall’avvocato Mattia Limoncelli, nominato presidente dell’Accademia nel 1926 e subentrato a Raimondo d’Aronco, titolare di architettura nell’Accademia nonché direttore della scuola. Dopo numerosi tentativi e notevoli battaglie burocratiche per portare l’istruzione napoletana al livello di quella delle altre città italiane, nel 1930 viene approvata la convenzione che istituiva a Napoli la Real Scuola Superiore di Architettura, inaugurata l’8 dicembre. La direzione della Scuola è affidata ad Alberto Calza Bini che, proveniente dalla scuola romana di Gustavo Giovannoni e
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Marcello Piacentini, assume negli stessi anni anche il ruolo di segretario nazionale del sindacato fascista architetti. I primi docenti sono di alta levatura: Roberto Pane, allievo di Giovannoni e laureato in Architettura a Roma nel 1922, Luigi Piccinato, assistente di Marcello Piacentini dopo la laurea nella scuola di architettura della capitale nel 1923, Marcello Canino, laureatosi a Napoli in Ingegneria Civile nel 1922; e ancora Giovan Battista Ceas, Giuseppe Samonà, Ferdinando Chiaromonte e Gino Chierici. Il primo anno accademico, 1930-1931, si apre con un totale di cinquantaquattro iscritti e, nel novembre 1932, un mese dopo l’approvazione dello statuto napoletano da parte del Consiglio Superiore dell’Educazione Nazionale, escono dalla scuola di Napoli i primi cinque laureati.
Riferimenti
bibliografici
B. Berta, Il dibattito sulla figura professionale dell’architetto e la nascita della Scuola Superiore di Architettura di Roma, in M.
L. Mancuso (a cura di), L’archivio storico dell’Ordine degli Architetti PPC di Roma e Provincia (1926-1956), Prospettive/Architetti Roma edizioni, 2015.
L. De Stefani, Le scuole di Architettura in Italia. Il dibattito dal 1860 al 1933, Franco Angeli editore, 1992.
http://www.cssar-casadeicrescenzi.it/wpcontent/uploads/2018/04/04_C_DAmato_ NS_2017_01.pdf
https://www.architettiroma.it/lordine/archiviostorico-dellordine/la-nascita-della-scuolasuperiore-di-architettura/
https://mostre.sba.unifi.it/fiume-di-libri/it/24/ nascita-della-facolta
https://www.iuav.it/Ateneo1/chi-siamo/ Presentazi/la-storia/index.htm
https://www.polito.it/ateneo/chi-siamo/la-storia
La Scuola Superiore di architettura di Venezia, la seconda quindi in termini temporali a essere istituita dopo quella di Roma, nasce nel dicembre del 1926 per iniziativa di Giovanni Bordiga, presidente dell’Accademia di Belle Arti. Nel 1929, a Bordiga succede nella carica di direttore Cirilli che era stato professore di composizione dell’Accademia di Venezia. Cirilli trasferisce nella nuova scuola una mentalità ancora radicata nel mondo dell’Accademia di Belle Arti, in cui l’architettura è intesa in funzione essenzialmente decorativa.
Il rinnovamento più che sui programmi avviene attraverso il ricambio del corpo docente: nel 1933 Carlo Scarpa, dopo essere stato assistente di Cirilli, diventa professore incaricato di studio dal vero e decorazione, nel 1935, Duilio Torres assume la docenza di urbanistica.
08. Ingresso della sede dei Tolentini dello IUAV, Venezia, realizzato su disegno di Carlo Scarpa realizzato con la direzione lavori di Sergio Los nel 1983-84.
09. L’edificio centrale del Politecnico di Milano in piazza Leonardo Da Vinci.
Infine nel 1943 Giuseppe Samonà diventa Direttore della facoltà, prefigurando una rifondazione dell’insegnamento dell’architettura e contemporaneamente la ridefinizione della disciplina. La scelta delle persone che Samonà riesce a far giungere a Venezia attraverso un’abile politica di incarichi è decisiva. Il suo principale contributo è proprio quello di costruire all’interno della facoltà un gruppo di docenti, studiosi eintellettuali senza eguali, che vanno da Luigi Piccinato a Franco Albini, da Giovanni Astengo a Ignazio Gardella, da Bruno Zevi a Saverio Muratori, da Ludovico Belgiojoso a Giancarlo De Carlo nella prima fase del suo operato fino gli anni Sessanta, e poi successivamente Carlo Aymonino, Leonardo Benevolo, Manfredo Tafuri, Mario Manieri Elia, Guido Canella, Gino Valle, Valeriano Pastor, Gianugo Polesello, Nani Valle, Luciano Semerani, Costantino Dardi, per non parlare delle “acquisizioni” fatte dai successivi direttori negli anni Settanta e Ottanta. È alla “Scuola di Venezia” che si forma la maggior parte degli architetti veronesi del secondo dopoguerra e la cui impostazione pertanto avrà forte risonanza sulle vicende dell’architettura cittadina. Eppure proprio per il ritardo nella definizione del percorso di formazione dell’architetto, la maggior parte delle prime espansioni della città sarà appannaggio degli ingegneri, portatori di una solida cultura politecnica più rassicurante per la nascente classe borghese. Solo più tardi il prestigio nato dalla reputazione della Scuola di Venezia si rifletterà sul ruolo degli architetti veronesi e sulla loro professione. •
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Ordine in genere
I numeri e le percentuali della presenza femminile all’interno dell’Albo veronese dal dopoguerra a oggi: una lenta risalita
Testo: Marzia Guastella
Scorrendo l’elenco dei nomi che hanno avviato l’Ordine degli Architetti di Verona, a partire dal 1926, sembra quasi di non avvertire la contenuta presenza delle donne – 10 su 100 iscrizioni – concentrata tra il 1959 e il 1967. Questo dato, peraltro molto significativo, è il primo risultato di un’indagine statistica condotta per comprendere il graduale inserimento della figura professionale femminile in – quasi – un secolo di attività, cercando di cogliere quei fenomeni storici e sociali che hanno limitato il contributo delle donne alla cultura del progetto. Di fatti, lo scrupoloso lavoro di ricerca che emerge da questo numero di «AV» ha restituito un quadro complessivo ancora un po’ indefinito sulle primissime iscritte. Per alcune, non è stato possibile ricostruire con certezza la vita professionale e dare voce al loro operato; tuttavia, si percepisce l’audacia di chi, tra note collaborazioni e apprezzabili riconoscimenti, è riuscita a destreggiarsi in un ambito professionale non ancora pienamente riconosciuto nella sua declinazione al femminile.
Tra gli anni Settanta e Novanta, l’Ordine di Verona registra un notevole incremento delle
professioniste che raggiungono circa il 23% nonostante l’andamento numerico risulti ancora e, in modo evidente, a favore degli architetti maschi. La lenta progressione di questa curva riflette, indubbiamente, gli importanti avvenimenti del secondo dopoguerra durante il quale si manifestano gli effetti dell’onda di cambiamento che, fin dai primi movimenti femministi ottocenteschi, aveva guidato le donne verso un arduo e tortuoso percorso di emancipazione. La femminilizzazione delle professioni è oggi, più che mai, un tema al centro dell’opinione pubblica che appare fortemente divisa; bisogna, però, fare un passo indietro per ricostruire le avverse vicende che racchiudono il nodo cruciale della questione.
La prima donna italiana a ricevere il titolo accademico in ambito architettonico è stata Elena Luzzatto, laureatasi presso la Regia Scuola di Architettura di Roma nel 1925, solamente molti anni dopo gli importanti provvedimenti di fine Ottocento che consentirono alle donne di frequentare le università alle stesse condizioni degli uomini – prima erano ammesse solo come uditrici e l’attestato non aveva alcun valore legale.
In molti ambiti, l’accesso completo all’istruzione non garantì un facile e rapido passaggio all’esercizio della professione, soprattutto nel settore pubblico, poiché le radicate visioni sociali continuarono a consolidare svilenti pregiudizi ostacolando la partecipazione delle donne alla realtà lavorativa. Un tempo, era preferibile che si occupassero di compiti svolti tra le mura domestiche o di attività produttive familiari, preservando così la loro purezza morale. La figura dell’uomo come capofamiglia rappresentava una realtà diffusa,
01-02. Le “torte” rappresentative delle iscrizioni dal 1926 al 2023 e delle iscrizioni effettive.
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01 02 38,11%
61,89% 37,03% 62,59% 0,06% 0,32%
03. Diagramma con le curve progressive delle iscrizioni: in rosso le donne, in grigio gli uomini.
04. Distribuzione annuale delle iscrizioni: in rosso le donne, in grigio gli uomini.
consolidata con l’avvento della Rivoluzione Industriale che aumentò il divario sociale, definendo nettamente i ruoli e avvalorando l’idea della donna come moglie e madre dedita, principalmente, alla cura della famiglia. Neanche le leggi del primo Novecento riuscirono a cancellare completamente questa pesante eredità culturale che continua ad avere notevoli ripercussioni sul presente e si traduce spesso nella grande difficoltà per le donne di conciliare lavoro e famiglia. Per l’Ordine veronese, gli anni duemila segnano finalmente un vero e proprio periodo di riscatto. La curva mostra un andamento sempre più equilibrato che si rafforza
con qualche singolare episodio in cui il numero delle donne supera addirittura quello degli uomini. È un importante risultato che racconta la dura lotta per il superamento di quelle ideologie che vedevano nella disciplina architettonica una professione non adeguata alla figura femminile perché caratterizzata da uno stereotipo prettamente maschile derivante da una cultura delle trasformazioni urbane, per lungo tempo legata all’ingegneria militare. La realtà dei cantieri racconta ancora episodi discriminatori, ma con una frequenza sempre minore data da una maggiore consapevolezza dell’erroneità di un pensiero che ha semplicemente
sacrificato l’immagine sociale e professionale delle donne; mentre una nuova forma di linguaggio tenta faticosamente di introdursi nella quotidianità, non senza un velo di sarcasmo. Eppure, storici documenti hanno rivelato che il termine “architettrice” fu utilizzato per la prima volta nel XVII secolo per volontà di Plautilla Bricci, pittrice romana nonché prima donna della storia a lavorare nell’ars aedificatoria Un gesto rivoluzionario per l’epoca, poi completamente dimenticato. Fin dai tempi della formazione universitaria si tende a consolidare un bagaglio culturale costituito da riferimenti progettuali maschili, trascurando quelle figure femminili
che con dedizione, grinta e carattere sono riuscite a lasciare un segno nella storia dell’architettura. Le donne sono state presenti, in ogni ambito, ma la storia non ha reso giustizia a molte di loro. Eileen Gray, Lilly Reich, Charlotte Perriand sono solo alcune delle pioniere che hanno dimostrato il proprio valore, entrando in punta di piedi nella scena architettonica e scontrandosi, a volte, con le prevaricazioni di noti colleghi architetti. Nel mondo dell’edilizia si entra sapendo le cose, diceva Gae Aulenti, non importa se si è donna o uomo. Si è accettati per il proprio sapere, non per le proprie apparenze. Le donne hanno dimostrato di sapere e, soprattutto,
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03 1926 1931 1936 1941 1946 1951 1956 1961 1966 1971 1976 1981 1986 1991 1996 2001 2006 2011 2016 2021 2026 0 10 15 5 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 0 50 20 30 40 50 60 70 1926 1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939 1940 1941 1942 1943 1944 1945 1946 1947 1948 1949 1950 1951 1952 1953 1954 1955 1956 1957 1958 1959 1960 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021 2022 2023
di essere favorevoli alla cooperazione con gli uomini rendendo senz’altro più efficace l’approccio progettuale. Oggi, la percentuale di professioniste iscritte all’Ordine di Verona è pari al 38%. Questo dato sembra destinato ad aumentare se si considera che, nell’ultimo lustro, le percentuali tendono a eguagliarsi – 47% per le donne, 53% per gli uomini – a testimonianza che le donne hanno acquisito un ruolo sempre più autonomo e autorevole, ma non è ancora sufficiente. Per poter avere un pieno riconoscimento e parlare di femminilizzazione delle professioni, è necessario un cambiamento sociale profondo in grado di risolvere quelle condizioni di difficoltà, diseguaglianza ed esclusione che ancora permangono perché, in fondo, la vera libertà non può, e non deve, essere subordinata solo al cambio di una desinenza. È necessario introdurre un modello lavorativo imparziale in grado di superare quell’ideologia che considera gli uomini più affidabili solo perché sollevati da certi compiti familiari. È necessario rafforzare un modello educativo che possa agire in modo decisivo sul contesto culturale e su una società sempre più frammentata e disorientata nella quale parlare di donne non è mai abbastanza. •
Uno a mille: spigolature
Un seguito parziale del racconto degli iscritti all’Ordine veronese traguardando il simbolico numero mille
Testo: Alberto Vignolo
Se il racconto dei primi cento iscritti all’Ordine di Verona può permettersi il lusso di un approfondimento puntuale, uno sguardo più allargato sul seguito, fino ad arrivare alla fatidica soglia del numero mille, deve necessariamente accogliere un punto di vista adatto alla scala vasta: una visione quasi territoriale, con l’intento di descrivere per sommi capi l’ossatura d’insieme, la maglia strutturale e anche alcuni nodi significativi di maggior dettaglio. Il giro di boa con l’attribuzione del numero 101 al collega Vittorio
Caprara viene registrato nel giugno 1969, mentre è nel luglio 1990 che il rotondo 1000 tocca in sorte a Beatrice Bissoli. La progressione però non è lineare: se l’apertura della sequenza aveva infatti raccolto gli sparuti architetti già operanti prima della guerra (17), il periodo che va fino alla fine degli anni Cinquanta vede affacciarsi alla professione 37 nuovi iscritti, che diventano 54 nel decennio successivo. Ma è proprio a partire dal 1970 che si registra un cambio di passo, con 371 nuovi iscritti nel decennio e 472 negli anni Ottanta. Il resto sarà storia (quasi)
contemporanea: per la cronaca, 572 nuovi iscritti nel corso degli anni Novanta e ben 953 nei Duemila, per tornare ai più ragionevoli 641 a tutto il 2019.
Quello che i numeri suggeriscono è come le dinamiche dell’iscrizione al nostro albo seguano di fatto le condizioni culturali, economiche e sociali che hanno caratterizzato i rispettivi archi temporale. I “nostri” prodi mille vanno di fatto a coprire tutti gli anni Settanta e Ottanta, decenni molto densi di storia e di storie, anche per certi versi opposte. Dal clima grigio degli anni di
un contributo a firma di Lauro D’Alberto e Luciano Giavoni.
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01. Pagine da «AV» 8, 1993:
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02. Giuseppe Tommasi, edicola funeraria Bonfà nel cimitero di San Massimo, 1974 (archivio Giuseppe Tommasi).
03. Pierluigi Negrini, modello del progetto per villa Orsolato, Legnago (da «AV» 102, 2015).
piombo e dell’austerity, i nuovi iscritti arriverano infatti ad affacciarsi alla professione in pieno craxismo e sotto il segno del biscione, tra lo sventolar di mazzette e una lottizzazione imperante. Nel frattempo, a Verona, l’ambito amministrativo vede il passaggio dalla sindacatura di Renato Gozzi all’ascesa e decadenza di Gabriele Sboarina; e nel nostro piccolo, la presidenza dell’Ordine passa da uno dei plurimi mandati di Carlo Vanzetti (1967-83) a quello di Renato Dal Maso (1988-92). Anche per quanto riguarda il ruolo dell’architettura, gli anni Settanta e Ottanta sono segnati da una profonda crisi disciplinare, con le avanguardie radical da una parte e l’affermazione della Tendenza dall’altra – un’architettura ridotta a pura riflessione teorica – fino alla
successiva sbornia del postmoderno, sdoganato dalla mostra di Paolo Portoghesi alla Biennale di Venezia del 1980. Entro questi opposti sbandamenti, rimane il nucleo di resistenza del lavoro di chi verrà in seguito catalogato nel cosiddetto regionalismo critico, all’interno del quale si possono certamente fare rientrare le migliori espressioni dell’architettura veronese già operante dal secondo dopoguerra. Questo, in pochi sintetici cenni, il clima culturale di chi si affacciava alla professione in quegli anni, uscendo da una scuola sempre più di massa. La sede universitaria di riferimento per i futuri architetti veronesi rimane Venezia, con una maggioranza assoluta rispetto al nostro campione (811 laureati); secondo posto stabile per il Politecnico di Milano (50) e terzo gradino del podio per Firenze (21). Sono ancora lontani i tempi di Ferrara prima e soprattutto di Mantova, che dagli anni Duemila diventerà la scuola di riferimento, di fatto, per gli studenti veronesi. Ma qual è il panorama architettonico dei giovani che attraversano la città o la provincia per recarsi in via Oberdan a ritirare il fatidico timbro? Pochi highlights danno il segno di un andamento lento nella modernizzazione della città, perennemente in ritardo. Nel 1970 si inaugurano le strutture del Policlinico di Borgo Roma progettate da Calcagni e Cenna, mentre Mangiarotti inizia la costruzione del centro residenziale di Murlongo. Nel 1971 aprono la Camera di Commercio di Cecchini in corso Porta Nuova e la Cattolica disegnata da Caccia Dominioni in lungadige Cangrande; viene
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realizzato il viadotto su viale Piave progettato da Maurizio Cossato. Nel 1975 sulla Verona-Peschiera si inaugura la Città Mercato, e a Castelnuovo apre Gardaland: centri commerciali e parchi divertimento faranno molta strada. Nel 1978 muore Carlo Scarpa, lasciando da completare i cantieri della sede centrale della Banca Popolare e di villa Ottolenghi a Bardolino. Nel 1980 viene inaugurato il magazzino libri della Biblioteca Civica, progetto tardivo di Pierluigi Nervi. Nel 1982 riapre il Museo Lapidario Maffeiano con l’allestimento di Arrigo Rudi; viene completato il centro residenziale e direzionale Palladio dello studio Arteco su via Albere mentre, con l’inaugurazione della nuova sede al Quadrante Europa, si pone il tema del futuro utilizzo degli ex Magazzini Generali (se ne parlerà a lungo).
È del 1984 il debutto della stella di Rinaldo Olivieri ai piedi dell’Arena in piazza Bra. Nel 1985 Cecchini porta a termine gli scavi archeologici a porta Leoni e quelli ai palazzi scaligeri. L’anno successivo apre il Palazzetto dello sport su progetto Arteco, che simbolicamente passa la palla alle “notti magiche” del 1990 con la realizzazione, per i Mondiali di calcio, dei sottopassi davanti a Porta Nuova e Porta Palio (ah, i sottopassi!)1
Entro questo ambito cronologico si contano novecento nomi (mille meno i cento iniziali): novecento architetti con le loro storie e vicende individuali certo impossibili da raccontare per esteso, che costringono perciò a delle semplici spigolature, inevitabilmente condizionate dal punto di vista parziale e lacunoso di chi scrive. E anche un novello Vasari non potrebbe
che scrivere le novissime Vite solo degli eccellenti.
L’elenco completo raccoglie in successione chi ancora esercita la professione di architetto assieme a coloro che hanno fatto altre scelte, dal cambiare lavoro a godersi il meritato buen retiro della pensione, oltre a chi purtroppo ci ha lasciati ancora “in servizio”. Una ricognizione di questo tipo corre così il rischio di trasformarsi in una nostrana Spoon
« Qual è il panorama architettonico dei giovani che attraversano la città o la provincia per recarsi in via Oberdan a ritirare il fatidico timbro? »
River, con l’Adige nella parte del river e un colle a raccogliere gli epitaffi dei colleghi che non sono più tra noi. Spesso le pagine di questa rivista hanno doverosamente ospitato articoli “in memoria di”: spulciando gli indici ritroviamo così i ricordi di
figure che hanno lasciato una forte eredità culturale come Arturo Sandrini o Giuseppe Tommasi, assieme ad alcuni ritratti tardivi - da Pierluigi Negrini a Marco Frascarie invero a moltissime omissioni 2 Restando ai superstiti, la lettura del lungo elenco fa emergere i nomi di coloro che “saranno famosi”, a partire da chi ha ricoperto ruoli significativi nel nostro Ordine, come i più recenti past president 3. Impossibile non notare chi ha avuto ruoli nell’insegnamento universitario (Nico Bolla, Maria Grazia Eccheli, Riccardo Campagnola) assieme a quelle figure di studiosi che tutti conosciamo per i rispettivi ambiti di competenza (da Anna Braioni a Lino Vittorio Bozzetto). E ancora, tra i ranghi delle istituzioni, tecnici e funzionari della Soprintendenza (il compianto Luciano Giavoni, Maria Grazia Martelletto, Sabina Ferrari), o del Comune di Verona (Alba Di Lieto e Costanzo Tovo tra i molti), e la caccia al tesoro potrebbe continuare a lungo. Al di là dei ruoli codificati, ci sono poi i progettisti ancora in attività, più o meno in là con gli anni, il cui
04. Arturo Sandrini, tavola del progetto di conservazione, valorizzazione e rifunzionalizzazione del Castello di Montorio, 1° stralcio, 2002-04.
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05. Complesso residenziale a Ca’ di Cozzi, Verona. Progetto: Aldo Rossi, 1996. Realizzazione: Luca Trazzi, 2000 (foto di Lorenzo Linthout).
lavoro ha assunto un particolare carattere di rilevanza. Lanciamoci così in uno spericolato elenco che risulterà per forza di cose lacunoso: ecco Bertilla Ferro, Fabrizio Rossini, Giorgio Forti, Valter Rossetto, Alfonso Bonetti, Nicola Bortolaso, Stefano Feriotti, Maurizio Zerbato, Antonella Milani...
Molte poi sono le curiosità che derivano dall’obbligo (non più vigente) di appartenenza alla sede provinciale di residenza, cosa che ha determinato per i semplici fatti della vita spostamenti e reiscrizioni tra i vari Ordini. Al numero 186 troviamo così Anna Buzzacchi, attuale consigliere CNAPPC e per molti anni presidente dell’Ordine di Venezia, e ancora alcuni veronesi “milanesizzati” come Gaetano Lisciandra, Mirko Zardini e Luca Trazzi4
Infine, un’ultima lettura può essere condotta ricercando i fili dei legami onomastici che legano padri, figli e figlie, fratelli e sorelle e parenti tutti: un gioco facile per tutti, mentre solo gli esperti in archi-gossip si potrebbero lanciare in spericolati accoppiamenti tra mariti e mogli (e amanti).
Rimane sotto traccia l’interno tessuto degli iscritti: ognuno saprà riconoscere il proprio ambito generazionale, territoriale o professionale, destinato gioco forza a rimanere sconosciuto ai più. Non un demerito, anzi: è la “maggioranza silenziosa” che costituisce il corpus della nostra categoria, lo “zoccolo duro”. Un esercizio più ambizioso sarebbe quello di identificare dei nuclei territoriali di azione di gruppi di colleghi, quanto meno riconoscibili ex post e non certo per
1 Questa cronologia è una versione ridotta di quella tratteggiata in occasione del cinquantesimo della rivista, cfr. 1959-2009: appunti per una cronologia, a cura di A Vignolo e F. Provoli, in «AV» 84, pp. 14-21.
2 Ancora da scrivere restano, tra gli altri, i ricordi di Amadio Gonella, Giorgio Mattioli, Giangiacomo Gabrieli, Maurizio Casari, Roberto Pasini.
3 Maria Giovanna Reni (numero 200), Bruno Bonagiunti (239), Giorgio Massignan (413), Gian Arnaldo Caleffi (512), Paolo Richelli (499), Giancarlo Franchini (802), Arnaldo Toffali (846). Si aggiungano i consiglieri, i membri di commissioni e della redazione di «AV», eccetera.
4 Gaetano Lisciandra, scomparso nel 2016, ha lavorato come architetto e urbanista a Milano; a Verona ha firmato con Mauro Felice il progetto di riutilizzo dell’ex Garage Fiat di via Manin. Mirko Zardini dopo molte esperienze nell’editoria di settore, tra cui «Lotus International», ha diretto per molti anni il prestigioso Canadian Centre for Architecture di Montréal. Luca Trazzi, che lavora a Milano principalmente nel campo del design; a Verona ha completato il progetto a Ca’ di Cozzi di Aldo Rossi, del quale è stato allievo e collaboratore.
5 Per esempio nel basso Garda, si va da figure come Maurizio Betta sulla costa bresciana a Claudio Allegri, Marco Mamone, Lino Rama... nel veronese.
un intento comune o di scuola 5 . Entro questo panorama sfugge del tutto, stante la struttura puramente formale dell’obbligo di iscrizione all’albo, una categorizzazione delle occupazioni e delle competenze di ciascuno. Certo non tutti attivi come progettisti affermati, dal momento che rientrano nel novero degli architetti con timbro anche i dipendenti pubblici e privati, gli insegnanti e chissà quali altre categorie. Le cose sono cambiate profondamente con l’obbligo della formazione continua, causa di una diaspora in particolare dei dipendenti pubblici, per i quali l’iscrizione all’Ordine, a di là del senso di appartenenza a un club esclusivo sebbene costosetto, si è rivelato un pesante fardello di obblighi e incombenze. Sic transit... Ma questa sarà un’altra storia da raccontare. •
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Ci mette il becco LC: “Non abbiate fretta”
Dall’alto della sua iscrizione al numero 46 le considerazioni di Luciano Cenna sui giudizi poco generosi di alcuni Maestri nei confronti dei colleghi
Testo: Luciano Cenna
In vista di questo numero speciale , il direttore di «AV», Alberto Vignolo – non mi ero mai accorto prima che la rivista avesse le stesse iniziali del suo direttore: vorrà dire qualcosa! –benché di fatto in sosta per essersi preso un anno sabbatico, mi ha fatto avere l’elenco dei primi cento iscritti all’Ordine (il primo è Ettore Fagioli iscritto nel ’26; io sono il numero 46 e sono iscritto dal ’57, mentre al numero 100 corrisponde Giacomo Turco iscritto nel ’69) per fare alcune considerazioni nella mia veste di sopravvissuto (provvisorio). E tale infatti mi si può considerare dopo aver letto i numeri che sto per darvi da cui risulta che, salvo miei errori, di quei cento sono ancora in vita 36, ma mi si dice che addirittura non siano più della metà non volendo contarli per due. Con ogni probabilità li ho conosciuti tutti e cento, o quanto meno li ho incontrati presso l’Ordine in qualche occasione elettorale, tanto che con un po’ di sforzo potrei rivederne le facce.
Ma non servirebbe a niente altro se non a ricordare, forse, il giudizio che a quei tempi davo su molti di loro e, in qualche caso, a pentirmene. Per quanto non sia un mistero che io, soprattutto, e Calcagni molto molto meno, fossimo poco generosi nei riguardi dei colleghi. Forse avevamo un po’ di puzza sotto il naso per aver studiato allo IUAV avendo avuto come docenti il meglio che c’era in Europa negli anni Cinquanta, e ci fossimo laureati in cinque anni quando la media di allora era vicino ai sette-otto.
Ma visto che sto parlando di giudizi poco generosi nei confronti dei colleghi, non posso tacervi quelli riferiti da Giancarlo De Carlo in alcuni suoi articoli poi riuniti in un libretto (Giancarlo De Carlo. Scritti per Domus, 2005), dove lui racconta d’aver assistito a Parigi nel ’57 a un incontro in cui Nervi, Zehrfuss e Breuer avevano illustrato alla giuria i disegni del palazzo dell’UNESCO, e che quando Sven Markelius, Walter Gropius ed Ernesto Nathan Rogers, membri del comitato di garanzia, si erano avvicinati con apprensione a le Corbusier per chiedergli cosa ne pensasse, Corbu aveva risposto: “c’est du mauvais Corbu ”; oppure quando nel comunicare ai presenti la morte di Aldo Rossi – la scena si era svolta a Venezia, presenti De Carlo e forse altri – Aldo van Eyck aveva aggiunto: “non è poi tanto un male…”. Da cui si potrebbe dedurre che a compensare una totale mancanza di educazione e di fair play, si fosse usata un bel po’ di arroganza. Arroganza che nel caso di Corbu chiamerei superiorità più che giustificata, dopotutto lui era il maggiore o quanto meno il più celebre architetto del suo secolo e non solo.
A parziale scusante per la mia arroganza nei confronti dei lavori degli architetti che mi precedono in quel primo elenco (ma anche di tutti gli altri), da qualche tempo ho rivisto il mio giudizio per una decina di loro, riconoscendo che parte delle loro opere non erano così male e, anzi… e che probabilmente la loro “mediocrità” si doveva imputare alla pressione dei costruttori-imprenditori immobiliari, di fatto loro committenti, preoccupati più dei costi che dei risultati. E in tal modo ho posto le basi per giustificare parte dei risultati meno buoni dell’operato della Calcagni e Cenna, e poi di Arteco e mio, in questi ormai oltre 67 anni di attività fino ad ora svolta.
A proposito di quanto detto da van Eyck, De Carlo nei suoi scritti chiarisce che l’architetto aveva un pessimo carattere; io ricordo tuttavia che per iniziativa di Giancarlo, mi pare fosse il ’57 o il ’58, vennero in facoltà gli architetti del CIAM, eravamo ancora a San Trovaso, tra i quali c’erano Bakema e van Eyck e proprio di quest’ultimo avevamo molto ammirato il progetto di un edificio scolastico in Olanda. Forse non aveva un buon carattere, ma era certamente un buon architetto. Come vedete, non sono sempre tagliente, talvolta sono quasi buono. Eppoi, lasciatemi cogliere l’occasione di dimostrarlo anche nei confronti di quei 3.336 iscritti che seguono la lista dei primi cento. A loro non rivolgerò la solita raccomandazione delle nonne: “copritevi che c’è freddo”, ma quella che vale in tutte le stagioni, anche d’estate: “non abbiate fretta”. Non abbiate fretta di considerare raggiunto l’obiettivo, ma lavorateci sopra esaminando alternative fino a che avete fiato, perché anche voi avete scelto un mestiere difficile e pieno di responsabilità.
Sono convinto che un giovane cresciuto in una casa ben progettata sia avvantaggiato e possa avere un futuro sereno e che non lo costringe a rivalse. Così come sono convinto dell’importanza di aver fatto gli studi in una scuola dove le aule sono grandi e luminose per non mettere a rischio le future capacità cognitive. Eppoi, lo sapete: gli allievi di Aristotile nemmeno entravano in aula! •
ODEON 87 136
Testo: Federica Guerra
Non è possibile descrivere una città in sole 34 immagini, e tantomeno rappresentare il lavoro di 100 architetti in una manciata di fotografie. Eppure questo portfolio ci permette di fare alcune considerazioni sull’evoluzione della professione a partire, come è nelle intenzioni di questo numero di «AV», dal lavoro svolto dagli architetti come protagonisti della scena urbana.
Queste immagini non rappresentano quindi “il meglio” del costruito veronese, ma la “meglio gioventù” che nel risultato di quel lavoro ha creduto, con l’intenzione di restituire una città migliore di quella che aveva trovato. Le immagini quindi sono da un lato rappresentative dell’evoluzione della professione – del cambio di committenza, di scala del costruito, di tecnica edificatoria, di gusto e di mode – e dall’altra sono lo specchio dell’evoluzione della società veronese.
Volendo confinare l’edificazione della città giardino e i riferimenti allo storicismo nel periodo prebellico, dal dopoguerra Verona si affaccia alla modernità con un salto che è di scala ma anche di prospettiva, come appare dal confronto tra il Garage Fiat e l’edificio di piazzale Cadorna di Fagiuoli, qui a lato. Ma scorrere le immagini suggerisce anche altri scarti via via più significativi, come ad esempio negli edifici residenziali multipiano, che seguono una loro evoluzione stilistica trasversale a tutto il portfolio, o nell’architettura delle espansioni periferiche a partire dalla Borgo Trento di Gianfranco Bari fino alle torri del Saval di Giorgio Ugolini.
La raccolta può quindi essere interpretata attraverso diverse chiavi di lettura, cercando raffronti e coincidenze, somiglianze o opposizioni: la risposta veronese all’International Style di Giuseppe Bocca nel “rettilario” di Borgo Roma vs la raffinatezza e la qualità dei condomini di Antonio Pasqualini, lo sperimentalismo di Rinaldo Olivieri vs l’eleganza di Arrigo Rudi, le chiese di Guido Troiani vs quelle di Gelindo Giacomello. E il gioco potrebbe continuare...•
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PORTFOLIO TRENTAQUATTRO PER CENTO
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§ 01 Ettore Fagiuoli Garage Fiat in via Manin, Verona, 1919 Condominio con sottopassaggio in piazzale Cadorna, Verona, prog. 1939, realizzazione anni Cinquanta (foto di Lorenzo Linthout)
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§ 02 Francesco Banterle
Edificio per uffici FRO in piazza Cittadella, Verona, 1936-37 Superpalazzo in via Mazzini, Verona, 1928-30 (foto di Lorenzo Linthout)
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§ 03 Antonio Gregoletto Edificio residenziale in via Caliari, Verona, 1935 Edificio in lungadige Matteotti, Verona, 1935 (foto di Lorenzo Linthout)
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§ 07 Marcello Zamarchi Palazzo del Consorzio Agrario in piazza R. Simoni, Verona, 1940-41 (foto di Lorenzo Linthout)
§ 11 Raffaele Benatti
§ 37 Guido Trojani Ampliamento di Palazzo Barbieri, Verona, 1947-50 (foto di Diego Martini)
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§ 17 Libero Cecchini
Sede della Banca Cattolica del Veneto in Palazzo Mosconi, Verona, 1969-73 Camera di Commercio di Verona, 1966 (Archivio Studio Cecchini architetti associati)
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§ 26 Gianfrancesco Bari Condominio in via IV Novembre, Verona, 1952 Condominio in via Isonzo, Verona, anni Cinquanta (foto di Lorenzo Linthout)
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100 2024 #01
§ 30 Giuseppe Bocca
Torre per uffici Biasi, Verona, 1968 (foto di Lorenzo Linthout)
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§ 43 Lorenzo Rosa Fauzza Ricomposizione di casa Filippini in via XX Settembre, Verona, 1966; sulla destra, il Dopolavoro ferroviario di F. Banterle, 1921 (foto di Alberto Vignolo)
§ 37 Guido Trojani Chiesa di San Giuseppe in Santa Maria Assunta, Montorio, 1964-66 (foto di Lorenzo Linthout)
§ 38 Gelindo Giacomello Chiesa di Gesù Divino Lavoratore in Borgo Roma, Verona ( 1964-68)
Foto di Lorenzo Linthout
102 2024 #01
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§ 45 Luigi Calcagni, Giulio Brunetta Università di Verona, Palazzo di Economia, 1965
§ 45 Luigi Calcagni
§ 46 Luciano Cenna Università di Verona, Biblioteca Frinzi, 1982 (foto di Marco Toté)
104 2024 #01
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§ 49 Antonio Pasqualini
Condominio in via Caboto, Verona, 1966-70
Condominio in via Prato Santo, Verona, 1966-70 (foto di Lorenzo Linthout)
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§ 60 Rosario Firullo Edificio per uffici Bauli, Verona, 1977 Residenza collettiva nel quartiere Sacra Famiglia, Verona, anni Ottanta (foto di Lorenzo Linthout)
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§ 62 Otto Tognetti
Edificio direzionale agli Scalzi, Verona, 1970
Sede IACP poi ATER in piazza Pozza, Verona 1986 (foto di Lorenzo Linthout)
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§ 66 Gianni Perbellini
§ 17 Libero Cecchini
§ 91 Lauro D’Alberto Scuole Valerio Catullo, Verona, 1968-73 (Archivio studio Perbellini)
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§ 68 Augusto Gonzato Edificio residenziale e commerciale in via Mameli, Verona, anni Settanta (foto di Lorenzo Linthout)
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§ 69 Rinaldo Olivieri Istituto Magistrale in piazzale Guardini, Verona, 1974-76 (foto di Lorenzo Linthout) Scenografia teatrale per Nabucco, Arena di Verona, 1992-94
§ 73 Arrigo Rudi Riordino del Museo Lapidario Maffeiano, Verona, 1976-82 Casa-studio Finotti, Sommacampagna, 1972-74 (Archivio Progetti IUAV)
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§ 78 Giorgio Ugolini
Edificio residenziale nei pressi del Teatro Romano, Verona, primi anni Settanta (Archivio studio Ugolini)
Torri residenziali al Saval, Verona, 1997 (foto di Lorenzo Linthout)
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§ 95 Leonardo Clementi Condominio in lungadige Campagnola, Verona, 2000-02 (foto di Lorenzo Linthout)
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§ 98 Italo Donadelli
Casa unifamiliare a Negrar, 1985 (foto di Diego Speri)
Innesti a San Zeno: bis
Una lettera e una precisazione sulla paternità di uno dei progetti presentati sullo scorso numero di «AV» riflettendo sugli oltre quarant’anni di procedure necessarie per portare a termine la riqualificazione dell’area
Testo: Marco Lazzari
Il progetto per due edifici residenziali nel rione San Zeno che ha aperto l’ultimo numero di «AV» ha più di un aspetto particolare. Come hanno notato in modo acuto gli autori dell’articolo – pur, per un piccolo errore di comunicazione da parte di ASA Studio Albanese, trascurando di menzionare lo scrivente progettista e direttore lavori di uno dei due progetti – la realizzazione dei due edifici ha avuto come principale sfida architettonica la necessità di costruire un dialogo tra la modernità delle nuove edificazioni e un contesto storico tra i più imponenti della città di Verona.
Ma, con questa opportunità che mi viene data di tornare sull’argomento, vorrei segnalare un secondo aspetto di questo progetto. La storia, cioè, del lotto su cui sono stati edificati i due edifici e quella della sua riqualificazione. Parliamo dell’area dell’ex fabbrica di calze Fraccaroli che, a partire dalla sua dismissione negli anni Sessanta, si è trasformata progressivamente in un’area di abbandono e degrado. Complessivamente, l’operazione di riqualificazione ha richiesto oltre quarant’anni, non di lavori, ovviamente, ma di navigazione tra le pastoie burocratiche che impedivano di chiudere questa ferita aperta e grande come un campo di calcetto nel cuore di un quartiere storico della città.
Tutto inizia con la presentazione di un progetto planivolumetrico che viene inizialmente approvato nel ‘72, ma subito sospeso già nel ‘74 in attesa della preventiva approvazione di un Piano Particolareggiato. Nel mentre era stata autorizzata ed eseguita la demolizione della fabbrica Fraccaroli.
Arriva poi un nuovo stop, questa volta con la ben nota Variante 33 adottata nel 1985, che delimitava l’area in oggetto, unitamente ad altre della zona, come ambito sottoposto a Piano Particolareggiato 15 bloccando ancora l’iter in corso. La ragione è certamente da ricercarsi nella definizione di un contesto più ampio in cui differenti interessi dei vari proprietari non concordavano con la volontà dell’amministrazione. Ricordo infatti che l’area di P.P. comprendeva anche la maggior parte dell’isolato confinante, dove ancora oggi si trova il cinema all’aperto.
Nel 1989 il comune inserisce la nostra area nelle Zone di Recupero previste dalla L. 457/78. Arri-
viamo così al 1995, quando la proprietà presenta una nuova proposta progettuale con piano attuativo sotto forma di piano di recupero in collaborazione con la Valdadige Costruzioni, i cui disegni iniziali sono dell’architetto Ugolini. Ma anche questo nuovo iter si interrompe, questa volta a seguito del parere negativo del Capo Settore VII nel 1996. Da questo momento tutto si interrompe e il lotto rimane abbandonato a se stesso per circa vent’anni. Decaduto il P.P., l’opportunità di ricominciare a tessere una ipotesi di riqualificazione dell’area arriva allo scrivente che, per riuscire a eseguire i primi sopralluoghi e rilievi del lotto, è costretto a far intervenire una piccola ruspa per attraversare il folto
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della vegetazione. A tal punto era arrivato l’abbandono dell’area, giustificato con la necessità di “preservare” il quartiere.
Da quel momento, con un primo progetto nel 2005 per l’apertura di un nuovo passo carraio l’iter si conclude quasi quindici anni dopo – nel 2019 per essere precisi – con l’arrivo dell’agibilità per i nuovi fabbricati. Un percorso fatto di una lunga serie di passaggi superati a piccoli e lenti passi: ristrutturazione della ex casa del custode dell’opificio (2006-09); ristrutturazione a uso abitativo della ex falegnameria dell’opificio (2007-12); progetto per la realizzazione di autorimesse interrate e presentazione di manifestazione di interesse (2009); accordo di pianificazione con l’approvazione del PI (2013); PUA (2015-18); e infine la realizzazione del complesso edilizio, ultimato come abbiamo detto nel 2019.
Osservando i tempi mi fa un certo effetto pensare che un intervento relativamente semplice come questo, pur se con un’ubicazione certo rilevante, mi abbia accompagnato per quasi un terzo della carriera professionale.
Rifletto su quanti nostri colleghi abbiano realizzato interventi, che abbiamo studiato sognando la nostra futura professione, pensandoli e soprattutto realizzandoli in tempi decisamente più umani. Vero infatti è che il costruito sopravvive per secoli, ma è l’essere umano che lo realizza che ha il piacere di viverlo per primo per poi, se lo merita, lasciarlo ai posteri. Ed è questo, lato triste di questa storia, che è mancato in questa vicenda, dove chi aveva acquisito l’area con l’intento di farla tornare in vita, ne ha dovuto demandare la realizzazione ai nipoti perdendo l’occasione di vederne la rinascita.
È una riflessione amara, credo condivisa da molti lettori, siano essi professionisti o committenti. Oggi infatti, nonostante le intenzioni normative volte verso una sempre maggior semplificazione, ci troviamo davanti a iter infiniti, spesso demoralizzanti per noi e per i nostri committenti, processi che scoraggiano già al primo approccio e che quando vengono accettati lo sono perché siamo certi, nonostante le fatiche, di fare la più bella professione del mondo. •
EDIFICIO RESIDENZIALE IN VICOLO BROGLIO
COMMITTENTE
Fam. Astori e Fauri
Dalla Verde Immobiliare
P.U.A. E PROGETTO GENERALE arch. Marco Lazzari
CONCEPT ARCHITETTONICO
ASA Studio Albanese
Flavio Albanese, Franco Albanese
PROGETTO ESECUTIVO E DIREZIONE LAVORI arch. Marco Lazzari
CRONOLOGIA
P.U.A.: 2015-2018
Progetto e realizzazione: 2016-2019
01. Veduta da vicolo Broglio.
02. Scorcio del fronte interno; sul fondo l’edificio di Vicolo Abazia (cfr. «AV» 135, pp. 30-39).
03. Prospetto lungo vicolo Broglio.
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Il nuovo concept store di Finex
L’apertura del rinnovato spazio espositivo a San Giovanni Lupatoto affianca lo storico showroom di San Pietro di Legnago e il Flagship Store di Affi
Quando la qualità dei materiali incontra il design e la passione di tre fratelli non può che prendere forma una grande avventura. Finex è nata vent’anni fa a Legnago (Verona) dall’idea del fondatore Ryan Merizzi al quale si sono affiancati anche i fratelli Ronnie e Christopher.
Ad oggi l’Azienda si è specializzata nella fornitura di porte e serramenti di qualità e “ha da sempre puntato su un servizio di consulenza dedicata – spiega Ryan amministratore e titolare di Finex –. I clienti sanno di potersi affidare a noi quando vogliono un interlocutore unico per l’allestimento dei loro spazi di vita”. Con il tempo il marchio si è consolidato e le sedi sono aumentate e adesso, oltre allo storico showroom di San Pietro di Legnago e al Flagship Store Internorm di Affi, Finex può contare sul rinnovato spazio espositivo di San Giovanni Lupatoto, dove clienti, architetti e designer, immersi in un concept store di nuova concezione, possono
Nelle immagini: veduta esterna e scorci degli spazi interni dello showroom Finex di San Giovanni Lupatoto.
scoprire e toccare con mano le ultime tendenze del settore.
Lo showroom di San Giovanni Lupatoto è studiato in ogni particolare per coniugare al meglio le necessità di clienti e professionisti. Sono infatti molti gli architetti e designer che collaborano stabilmente con Finex per realizzare i loro progetti.
“Lo showroom di San Giovanni Lupatoto non è solo uno spazio espositivo, ma sarà un luogo di incontro e scambio di idee e progettualità tra professionisti e addetti del
settore – spiega Ryan. Qui infatti ci sarà anche uno spazio dedicato alla formazione per permettere a chi lavora in questo ambito di tenersi aggiornato in tema di materiali, normativa e anche burocrazia”. Soluzioni all’avanguardia, design innovativi e un ufficio tecnico pronto a rispondere ad ogni esigenza, queste sono le competenze che Finex mette a disposizione di clienti e professionisti. “Il nostro team segue ogni parte del progetto dall’ideazione, agli adempimenti burocratici, fino alla possibilità di sfruttare agevolazioni o detrazioni fiscali, il nostro compito è quello di dare concretezza a quelle che prima erano solo idee”.
“Il mondo dell’edilizia è in continuo cambiamento e il nostro compito è quello di restare al passo con i tempi per offrire ai nostri clienti e partner le migliori soluzioni presenti sul mercato, moderne, ricercate e di design, ma anche performanti e funzionali”, conclude Ryan Merizzi.
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