Periodico semestrale anno IX n° 17 - Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB Bergamo
CONFINI D’ACQUA WATER BOUNDARIES
Global Nuove mappe economiche e territoriali, ovvero la globalizzazione come revisione dei confini transnazionali, erosione della sovranità storica dell’Occidente e sorpasso delle periferie del mondo The new economic and territorial map: globalization re-draws transnational borders, erodes the West’s historic sovereignty and moves the peripheral nations center stage Projects Nuove geografie del costruire, ovvero oltre i confini della progettazione tradizionale alla ricerca di un approccio etico all’architettura dell’acqua New concepts in construction: moving beyond traditional design boundaries toward an ethical approach to water architecture News Asia ed Europa: nasce un nuovo legame forte A new strong link for Asia and Europe Il vento del deserto illumina Ciments du Maroc The desert wind lights up Ciments du Maroc Cemento e territorio: un dialogo “concreto” Cement and territory: a “concrete” dialogue
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Rivista semestrale pubblicata da Six Monthly Magazine published by Italcementi Group via Camozzi 124, Bergamo, Italia Direttore responsabile Editor in Chief Sergio Crippa Caporedattore Managing Editor Francesco Galimberti Coordinamento editoriale Editorial Coordinator Ofelia Palma Realizzazione editoriale Publishing House l’Arca Edizioni spa Redazione Editorial Staff Elena Cardani, Carlo Paganelli, Elena Tomei Autorizzazione del Tribunale di Bergamo n° 35 del 2 settembre 1997 Court Order n° 35 of 2nd September 1997, Law Court of Bergamo
Ambizioni oltre i confini
Global
Projects
Confini d'acqua Water Boundaries
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Boundless Ambitions
Mario Deaglio
Il sorpasso
Overtake and Surpass
Paolo Guerrieri
La bella addormentata
The Sleeping Beauty
Bill Emmott
La superpotenza del sapere
The Knowledge Superpower
Moisés Naím
Esportando utopie
Exporting Utopias
Pierluigi Valsecchi
Crescita senza crescita
Growth without Growth
Progettare l’acqua: etica e ricerca
Planning Water: Ethics and Research
Testi a cura / Texts by Carlo Paganelli
Nel segno del Dragone
In the Dragon's Name
Progetti di autori vari
Projects by various architects
Filosofiche emozioni
Philosophical Emotions
Progetti di Coop Himmelb(l)au, Multipack, Diller&Scofidio, Jean Nouvel
Projects by Coop Himmelb(l)au, Multipack, Diller&Scofidio, Jean Nouvel
In cerca di spazio vitale
In Search of Vital Space
Progetto di GMP Architects
Project by GMP Architects
Senza creatività la città muore
The City Will Die Without Creativity
Progetto di Ateliers Jean Nouvel
Project by Ateliers Jean Nouvel
Il coraggio dell’innovazione
The Courage of Innovation
Progetto di BIG – Bjarke Ingels Group
Project by BIG – Bjarke Ingels Group
Copertina, il REN Building del Gruppo BIG da realizzare a Shanghai
www.italcementigroup.com
Project by Moshe Safdie
Asia ed Europa: nasce un nuovo legame forte
A new strong link for Asia and Europe
Il vento del deserto illumina Ciments du Maroc
The desert wind lights up Ciments du Maroc
Cemento e territorio: un dialogo “concreto”
Cement and territory: a “concrete” dialogue
TX Active® di nuovo in sella con Scuola e Ambiente
TX Active® back on the saddle with Education and Environment
Cover, the REN Building by the BIG Group to be built in Shanghai
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Magia di un realismo contemporaneo The Magic of Modern-day Realism
News
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Luigi Centola
Progetto di Moshe Safdie
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Chiuso in tipografia il 30 maggio 2007 Printed May 30, 2007
Ambizioni oltre i confini Boundless Ambitions
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e dovessimo immaginare un novello Galileo Galilei alle prese quattrocento anni più tardi con il suo “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” per identificare questa volta il centro di gravità economica dello sviluppo planetario, sicuramente lo vedremmo impegnato con una difficile illustrazione del problema. La nuova geografia dell’economia mondiale si muove infatti su confini in evoluzione e fluidi come lo scorrere dell’acqua. L’Europa continentale, ritenuta a lungo il motore immobile dello sviluppo culturale ed economico dell’era moderna, è da tempo alle prese con un immobilismo incapace di generare crescita e sviluppo a livelli sostenuti. Paesi che la geoeconomia occidentale continua ad annoverare, con una certa alterigia, fra quelli “in via di sviluppo” hanno ormai raggiunto la maggiore età. E così, se nel 1985 i paesi industrializzati detenevano oltre il 60% del Pil mondiale, oggi questa quota è scesa al di sotto del 50%, mentre parallelamente è cresciuto il peso dei paesi in via di sviluppo che ormai approssimano la metà del prodotto lordo globale, con l’Asia Emergente che ha raddoppiato la propria quota sul prodotto complessivo dal 15% al 30% e la Cina che da sola ha guadagnato 11 punti (dal 4% al 15%). Più della metà della produzione industriale mondiale viene dalla “periferia” del mondo e, se la Cina sembra destinata a essere il cuore dell’attività manifatturiera, l’India sembra esserlo della conoscenza. Non si tratta più di semplice delocalizzazione di attività da parte di imprese multinazionali occidentali, ma della eccezionale crescita (o rinascita) di nuove economie. Secondo uno studio condotto nel 2003 dall’americana Goldman Sachs e proiettato nei prossimi cinquant’anni – quindi ben oltre la soglia comunemente usata dei primi vent’anni di questo secolo – le economie dei BRIC potrebbero un giorno sorpassare il Giappone e l’Occidente come il più importante mercato nel mondo. Il futuro sembra appartenere ai mercati emergenti, anche se la loro crescita continua a presentare caratteri di instabilità perché ancora deboli e altalenanti sono le basi geopolitiche su cui poggia. Nei primi quattro mesi del 2007 (dati Morgan Stanley) le performance dei BRIC non sono state complessivamente entusiasmanti: l’indice che raggruppa i quattro paesi è cresciuto del 4,9% contro l’8,1% dell’indice generale Msci dei mercati emergenti. Brasile e India sono cresciuti rispettivamente del 15 e del 10%, la Cina solo del 2,5% mentre la Russia ha perso circa il 5%. Il fascino esercitato da questi paesi che dimostrano di avere ambizioni oltre i propri confini resta comunque immutato: gli elementi strutturali di traino che hanno fatto salire alla ribalta questi mercati non hanno ancora esaurito i loro effetti, e anche se con performance inferiori rispetto a quelle degli ultimi anni i BRIC registreranno ancora risultati positivi complementandosi perfettamente nei diversi punti di forza (materie prime, fonti energetiche, Information Technology, produzione) e stimolando la crescita reciproca. In questo nuovo grande gioco è la Cina a rappresentare il principale sfidante del colosso Usa, superando i propri confini alla ricerca di risorse energetiche e mercati in Africa e America Latina e allargando la propria sfera di influenza nel continente asiatico attraverso accordi multilaterali e bilaterali di natura economica e monetaria in grado un domani di rivaleggiare brillantemente col dollaro o con l’euro. Ai confini mutanti è stato dedicato questo numero di arcVision: confini fluidi che si dilatano e si trasformano tanto nello spazio compositivo dell’architettura quanto nella mappatura dell’economia mondiale. Limiti un tempo insormontabili, che diventano ora una sfida al superamento; logiche solide e radicate, che lasciano il posto ad approcci pionieristici e audaci nella geografia del costruito come nella geografia mondiale, superando confini indeterminati come quelli disegnati dall’acqua.
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ry and imagine a modern-day Galileo Galilei at work on his “Dialogue Concerning the Two Chief World Systems” in an attempt, four hundred years on, to identify the center of gravity of the planet’s economic growth: qualifying the scale of the problem would be no small task. The frontiers of the new geography of the world economy are as fluid and as changeable as water. Long regarded as the immobile engine of cultural and economic progress of the modern age, continental Europe has been hidebound for years by an immobilism incapable of generating steady growth and development. Countries that western geo-economics continue to classify, somewhat arrogantly, as “developing” nations have now come of age. The industrialized countries that accounted for more than 60% of world GDP in 1985 today represent less than 50%; meanwhile the weight of the developing nations has gradually risen and is now close to one half of global gross product, with the Emerging Asian nations doubling their share from 15% to 30%, and China alone notching up an 11-point increase (from 4% to 15%). More than half of world industrial production comes from the “periphery” of the world system, and if China looks set to become the world’s manufacturing center, India appears to rank number one in knowledge. This is no longer simply a question of relocation by western multinationals: what we are witnessing is the exceptional growth (or rebirth) of new economies. According to a Goldman Sachs analysis conducted in 2003 and based on a fifty-year projection—well beyond the 2020 range normally adopted in studies of this type—the BRIC economies could one day overtake Japan and the West as the world’s most important market. The future appears to belong to the emerging markets, even though the on-going weakness and volatility of their geo-political bases means their growth still displays signs of instability. The overall performance of the BRIC nations in the first four months of 2007 (Morgan Stanley) was not impressive: the joint index for the four countries gained 4.9% compared with 8.1% for the MSCI emerging markets index. Brazil and India reported growth of 15% and 10% respectively, China of only 2.5% while Russia slackened by around 5%. Nevertheless, the appeal of these countries which have made no secret of their transborder ambitions remains unchanged: the structural drivers that brought them center stage have not run out of steam yet, and even if performance will be slower than in previous years, the BRIC countries will continue to progress and to complement one another’s strengths (raw materials, energy sources, Information Technology, production) to their mutual benefit. In this great new scenario, the main challenger to the US giant is China as it looks beyond its national borders to locate energy resources and markets in Africa and South America, and expands its sphere of influence within Asia through multilateral and bilateral economic and monetary agreements that, for the future, will make it a worthy rival of the dollar or the euro. This issue of arcVision looks at these changing boundaries: fluid boundaries that expand and change in the compositional space of modern architecture and, equally, in the map of the world economy. Boundaries once considered insurmountable are today a challenge to be won; in the geography of construction as in the geography of the world, deeply instilled concepts are being replaced by audacious pioneering visions that have no trouble overcoming the indeterminate boundaries created by water.
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Global
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La nuova geografia dell’economia mondiale: Usa e Cina The new geography of the world economy: the USA and China
Il sorpasso Overtake and Surpass di Mario Deaglio* by Mario Deaglio*
La Cina supererà America ed Europa tra circa vent’anni. Ma pochi se ne preoccupano China will overtake America and Europe in about twenty years. But few people are concerned
Mario Deaglio
Confini fluidi che si dilatano e si trasformano. Se in passato la geografia dell’economia mondiale presentava confini stabili e internazionalmente codificati, in questi ultimi decenni la globalizzazione ne sta ridisegnando i profili mettendo in crisi gli equilibri preesistenti. Nuovi modelli di competitività territoriale, nuove aree produttive, alterazioni politiche e una crescente interdipendenza tra le diverse regioni del globo inducono a una riflessione sul declino dell’universalismo dei valori occidentali e sull’affermazione delle periferie del mondo. Fluid boundaries that expand and change. Over the last few decades, globalization has been re-drawing the once stable, internationally codified geographical borders of the world economy, undermining old equilibriums. New models for territorial competitiveness, new production areas, shifting political balances and growing inter-regional dependence are fuelling debate on the declining universal appeal of western values and the growing importance of the world’s peripheral nations.
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i parla spesso delle prossime, grandi variazioni climatiche che, secondo l’opinione prevalente, si verificheranno improvvise dopo un lungo periodo preparatorio di piccoli aumenti di temperatura. Montagne di ghiaccio si scioglieranno, il livello del mare si alzerà e ci troveremo di colpo in un mondo diverso. Non sappiamo se questo scenario apocalittico si avvererà per il clima ma, dopo ampi segni premonitori un rapidissimo cambiamento di struttura è avvenuto, sotto i nostri – spesso disattenti – occhi nel corso degli ultimi 3-4 anni per quanto riguarda l’economia internazionale. Tra il 2000 e il 2007, l’importanza relativa delle principali aree del mondo è bruscamente cambiata, il mondo si è come capovolto. L’esempio più importante è quello della quota delle grandi aree sulla produzione industriale del pianeta; questa quota era da molto tempo in lentissima, fisiologica diminuzione. Nella seconda metà degli anni Ottanta era pari al 58 per cento e si abbassava di circa un punto percentuale al decennio; negli ultimi anni Novanta questo ritmo di abbassamento accelera e nel 1999 si è giunti al 54 per cento. Poi il crollo: in sette anni,
dal 1999 al 2006, la quota si riduce di undici punti percentuali, ossia di un quinto, e fa ormai registrare un valore del 43,4 per cento. Sensibilmente più della metà della produzione industriale mondiale viene dunque dall’“altra metà del mondo”. Non si tratta di semplice delocalizzazione di attività da parte delle imprese multinazionali dei paesi avanzati, ma di una crescita stupefacente di cinque o sei sistemi economici, primo fra tutti quello cinese, ormai nettamente sopra il 20 per cento della produzione industriale mondiale, al primo posto nella produzione di una vasta gamma di prodotti diversi dall’acciaio alla birra, dai televisori all’abbigliamento. Pur se meno sofisticata e maggiormente concentrata nei settori tradizionali, la produzione industriale cinese è ormai del medesimo ordine di grandezza di quella degli Stati Uniti e i segnali concreti di una crescita qualitativa, oltre che quantitativa, dell’economia cinese sono sotto gli occhi di tutti. Il 12 aprile 2007 il volume delle transazioni della Borsa valori di Shanghai ha superato per la prima volta quello della Borsa di Hong Kong, la sesta del mondo.
La mappa delle multinazionali ha subito importanti modificazioni per l’irrompere sulla scena delle grandi società indiane e cinesi. E se le società indiane Mittal e Tata nel 2006-07 hanno acquistato il controllo dei due maggiori gruppi siderurgici europei, Arcelor e Corus, la cinese Lenovo si è imposta all’attenzione in un settore assai più avanzato com’è quello dei personal computer, acquistando nel 2005 le attività dell’IBM in questo settore e venendo così a contatto diretto con il consumatore sofisticato dei paesi occidentali. Nel 2006 gli Stati Uniti posero il veto – il che in quel paese succede assai raramente – all’acquisto di UNOCAL, una società petrolifera medio-grande, da parte di una grande impresa cinese. La Cina comincia ad apparire più intensamente nel panorama mondiale anche per altri aspetti. Il cinese mandarino è ormai la seconda lingua di Internet, con quasi il 15 per cento dei siti contro il 34 per cento dei siti in lingua inglese e quasi il 10 per cento dei siti in spagnolo. E per quanto possa apparire paradossale, tra pochi anni la Cina sarà il primo paese al mondo per numero di persone in grado di esprimersi in inglese: ai 300 milioni di abitanti degli Stati Uniti, infatti, faranno riscontro i 450 milioni di cinesi ai quali l’inglese viene insegnato a scuola (e che non sembrano avere le timidezze dei giapponesi a parlare in questa lingua). Questa “fiammata cinese” può considerarsi un fenomeno transitorio? La Cina seguirà la parabola del Giappone che nel 1985 sembrava in procinto di diventare la prima economia del mondo e che poi, a partire dal 1990, incappò in un decennio di quasi completa stagnazione? Probabilmente no, per un’importante differenza
strutturale dovuta alle imponenti riserve di manodopera di cui dispone la Cina: si tratta dell’impressionante cifra di circa 500 milioni di persone (sotto)occupate nel settore agricolo, mentre con metodi di produzione moderni ne
basterebbero all’incirca 20 milioni per ottenere l’attuale volume di produzione. La Cina ha in programma di “traghettarli” tutti nel settore moderno nel giro di 20-25 anni, al ritmo di 20-25 milioni l’anno; l’occupazione del settore
moderno aumenterebbe così al ritmo del 6-6,5 per cento all’anno mentre la produttività dovrebbe aumentare almeno dell’1,5-2 per cento all’anno, in linea con quella delle altre grandi economie. Questo significa che il tasso naturale di crescita, che è sommariamente pari alla somma di queste due cifre, dovrebbe continuare a collocarsi attorno all’8-8,5 per cento all’anno. Negli Stati Uniti, per contro, con un aumento della forza lavoro di circa l’1-1,5 per cento all’anno, il tasso naturale di crescita è pari al 2,5-3,5 per cento l’anno; quello dell’Unione europea è stimato pari al 2-3 per cento all’anno. Se si proiettano queste cifre in avanti di qualche decennio si raggiunge la conclusione che il volume della produzione cinese supererà quello dell’Unione europea tra una quindicina d’anni e raggiungerà quello americano nel giro di 20-25 anni. Naturalmente il prodotto per abitante e il livello medio di vita degli americani e degli europei sarà ancora nettamente superiore, molte realtà mondiali però dipendono non dai valori individuali ma da quelli complessivi e non c’è dubbio che la Cina si avvia a diventare il paese che pesa di più nel mondo. Il che, del resto,
viene visto dai cinesi come il ritorno a una posizione “normale” dopo l’“anomalia” del predominio euro-americano degli ultimi duecento anni; che sia normale dal punto di vista cinese lo dice il nome stesso della Cina, in cinese Xin Hua, che significa “paese di mezzo”, ossia paese centrale. Tutto questo deve costringere americani ed europei a una sorta di rivoluzione intellettuale. Nei nostri stereotipi mentali, la Cina è ancora troppo spesso un paese grande e periferico che si tiene a bada con le cannoniere; fa una certa impressione pensare che tra non molto i periferici potremmo essere noi. Come affrontare questa situazione, come disegnare un ordine mondiale in cui, oltre alla Cina, anche l’India pare destinata a una crescita spettacolare, mentre Brasile, Indonesia, Sudafrica e Russia, per non parlare di altri paesi, contribuiranno a cambiare la geografia economica (e politica) del mondo è un argomento che dovrebbe occuparci molto più di quanto non succeda al momento attuale.
* Mario Deaglio ama definirsi un “liberale anomalo”. Svolge due attività parallele: nell’università (a Torino, dove è professore ordinario di Economia internazionale), e nel giornalismo economico. Come giornalista ha collaborato con l’Economist e con Il Secolo XIX, per arrivare a La Stampa, di cui è editorialista. Ha diretto per tre anni Il Sole 24 Ore. Si occupa prevalentemente dei problemi strutturali del capitalismo moderno. È autore di molti volumi, tra cui Come cambia il capitalismo (1982), Economia sommersa e analisi economica (1985), Liberista? Liberale. Un progetto per l’Italia del Duemila (1996), La fine dell’euforia (2001) e il più recente, Post-Global (2004).
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e hear a great deal about the major climate changes that many experts say will suddenly take place after a long preparatory phase of gradual increases in temperature. Mountains of ice will melt, sea levels will rise, and all of a sudden the world will be a different place. Whether this apocalyptic climate change will actually happen we don’t know, but after years of warning signs, in the last 3 or 4 years, right before our—often inattentive—eyes the international economy has undergone a very rapid structural transformation. Since 2000, the relative importance of the main world regions has changed dramatically, almost as if the world had turned upside down. The most important example is the advanced regions’ share of global industrial production: for years, this share experienced a slow, physiological decline. In the second half of the 1980s, it stood at 58 per cent, decreasing by about one percentage point every ten years; in the late 1990s the trend picked up speed, and by 1999 the West’s share had fallen to 54 per cent. Then it plummeted: in seven years, from 1999 to 2006 it dropped eleven points, one fifth. Today it stands at 43.4 per cent. Significantly more than half of the world’s industrial production is now based on “the other side of the world”. Not because the advanced nations’ multinationals have relocated their manufacturing operations, but because five or six economic systems, headed by China, have made breathtaking progress and now account for well over 20 per cent of world industrial production, leading the way in production of a huge range of items, from steel and beer to
television sets and clothing. Chinese industrial production may be less sophisticated, it may be concentrated in traditional sectors, but it has reached a scale comparable to that of the USA, and tangible signs that the quantitative growth of China’s economy is now also accompanied by qualitative growth are there for all to see. On April 12, 2007, for the first time ever, the Shanghai Stock Exchange reported larger trading volumes than the Hong Kong Exchange, the world’s sixth largest bourse. Significant changes can be seen
on the multinationals map as a result of the burgeoning presence of China and India’s corporations. If India’s Mittal and Tata gained control of Europe’s two largest steel groups, Arcelor and Corus, in 2006-07, China’s Lenovo hit the headlines in a far more advanced industry, personal computers, when it acquired IBM’s PC business in 2005, a move that brought it into direct contact with the western markets’ sophisticated consumers. In 2006, in an almost unprecedented move, the USA vetoed the acquisition
of UNOCAL, a medium-large oil company, by a large Chinese company. China is beginning to become a dominant presence on the world scene in other ways, too. Mandarin Chinese is now the second language on the Internet, with almost 15 per cent of sites, compared with English which accounts for 34 per cent of sites and Spanish with almost 10 per cent. Paradoxically, in a few years time, China will be the country with the largest number of people able to converse in English: compared with the USA’s 300 million
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inhabitants, China will have 450 million inhabitants who are taught English in school (and, unlike the Japanese, are not shy about using it). Is China’s rise a transitory phenomenon? Will the country follow the path taken by Japan, which in 1985 appeared poised to become the world’s leading economy only to sink, during the 1990s, into a decade of almost complete stagnation? The answer, probably, is no, because of the important structural difference represented by China’s imposing reserves of manpower: a staggering 500 million people are (under)employed in agriculture, while adoption of modern production techniques would enable the country to maintain current production volumes with only about 20 million people. China plans to “ferry” them all into the modern sector over a 20-25 year period, at a rate of
20-25 million a year; this would boost employment in the sector by 6-6.5 per cent a year, while productivity should rise by at least 1.5-2 per cent a year, on a par with the other major economies. This means that the natural growth rate, roughly equivalent to the sum of these two figures, should stay at around 8-8.5 per cent a year. In the USA, on the other hand, where the workforce is increasing by an annual 1-1.5 per cent, the natural growth rate stands at 2.5-3.5 per cent a year; in the European Union it is an estimated 2-3 per cent a year. A forward-looking projection of these figures leads to the conclusion that China’s production volumes will overtake the EU within fifteen years and reach the level of the USA in 20-25 years. Of course, product per inhabitant and average living standards in America and Europe will still be much higher, but many world
realities stem from collective rather than individual values, and there is no doubt that China is on its way to becoming the world’s most significant country. A situation that the Chinese themselves regard as a return to a “normal” state of affairs after the “parenthesis” of Euro-American dominance of the last two hundred years; the normality of this situation from the Chinese point of view is reflected in China’s name in Chinese—Xin Hua—“middle land”, or central land. All this should spur Americans and Europeans to a sort of intellectual revolution. Too often, in our mental stereotypes, China is still a large, peripheral country, kept at bay with gunboat diplomacy; the thought that before long we might be on the periphery is a sobering one. How we should be approaching this situation, how we can draw up a world order where not only China but India, too, will experience
spectacular growth, while Brazil, Indonesia, South Africa and Russia, not to mention other countries, will all contribute to the change in the world’s economic (and political) geography is a subject to which we should devote a great deal more thought than we do at present.
* Mario Deaglio describes himself as an “anomalous liberal”. He works as a university professor (Full Professor of International Economics at Turin University) and as an economic journalist, in which capacity he has been a correspondent for The Economist and Il Secolo XIX, and is currently a leader writer for La Stampa. He was editor of Il Sole 24 Ore for three years. He writes mainly on the structural problems of modern capitalism. He has written several books, including Come cambia il capitalismo (1982), Economia sommersa e analisi economica (1985), Liberista? Liberale. Un progetto per l’Italia del Duemila (1996), La fine dell’euforia (2001). His latest book is entitled Post-Global (2004).
La nuova geografia dell’economia mondiale: Europa The new geography of the world economy: Europe
La bella addormentata The Sleeping Beauty di Paolo Guerrieri* by Paolo Guerrieri*
Il vecchio continente è destinato a perdere posizioni, ma una strategia di rilancio è possibile The Old Continent is losing ground, but a recovery strategy is possible
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Paolo Guerrieri
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economia mondiale sta crescendo da più di cinque anni a ritmi molto intensi, come non avveniva da decenni. Nel quadro di questo sviluppo generale, il dato rilevante è il mutamento nelle posizioni relative dei vari paesi che caratterizzano la fase di espansione in corso. Si affermano i BRIC, ovvero Brasile, Russia, India e Cina, le grandi economie emergenti di questi ultimi anni, mentre perdono peso molte economie europee. Da qui a dieci anni – come prevedono alcune analisi di scenario globale condotte di recente da istituti e organizzazioni internazionali – la Cina salirà al terzo posto per dimensione del Pil dopo Stati Uniti e Giappone, superando la Germania, seguita da Francia e Regno Unito. L’Italia resterà al settimo posto, ma tra i primi dieci entreranno India, Corea del Sud e Russia. Se si guarda più lontano, al 2050 lo scenario globale subirà modifiche ancor più radicali, e in direzione assai più sfavorevole per l’Europa. La Cina diventerà la prima economia del mondo seguita dagli Stati Uniti e dall’India. Seguiranno, ma distaccati per dimensione, Giappone, Brasile,
Messico, Russia. Grandi paesi europei quali Germania e Francia scenderanno molti gradini fino all’ottavo e decimo posto rispettivamente, e così l’Italia, che scivolerà al quattordicesimo posto. Estrapolando gli attuali trend che caratterizzano il sistema globale, l’Europa appare così condannata nel giro dei prossimi decenni a divenire sempre più piccola, economicamente e politicamente. Un arretramento – va sottolineato – che riflette gli andamenti assai deludenti che le economie europee hanno conosciuto nell’ultimo decennio, di fronte ai profondi mutamenti dello scenario competitivo internazionale. Le economie del vecchio continente si sono trovate strette da una sorta di tenaglia: da un lato, l’irrompere dei nuovi produttori orientali (Cina, India), forti di costi molto bassi del lavoro e di una straordinaria e minacciosa rapidità di apprendimento; dall’altro, il nuovo slancio dell’economia tradizionalmente dominante, quella americana, che ha compiuto un formidabile balzo di efficienza, stimolato dalla rivoluzione digitale. La competizione internazionale si è così spostata sul fronte
della capacità di adeguamento al nuovo paradigma tecnologico centrato sulle tecnologie della comunicazione e della informazione (ICT). E l’adattamento dell’insieme dei paesi europei è stato finora tardivo e parziale, soprattutto nel confronto con gli Stati Uniti. Ne è derivato un netto rallentamento della crescita economica dell’Unione europea nell’ultimo decennio, a fronte di una forte accelerazione della crescita americana nello stesso periodo. Tutto ciò accompagnato da rinnovate e accresciute disparità fra singoli paesi membri. A un estremo si collocano i paesi del Nord Europa – Danimarca, Svezia e Finlandia – che hanno raggiunto sostenute dinamiche di crescita in questi ultimi anni e vantano standard comparabili con quelli nordamericani in tema di “economia digitale”; all’altro, le grandi economie continentali – Germania e soprattutto Francia e Italia – che hanno modificato poco le loro strutture produttive e hanno registrato deludenti performance di crescita nel periodo più recente. C’è da chiedersi a questo punto se sia davvero inevitabile lo scenario di un forte ridimensionamento del peso dell’Europa in una economia globale che si espanderà a tappe forzate nei prossimi decenni. Si potrebbe rispondere di no, ma a condizione che l’Europa riesca in futuro ad accettare fino in fondo le sfide dell’economia globale. Il che comporta trasformare quelle che oggi vengono viste prevalentemente come minacce in altrettante opportunità di crescita. Come dimostrano alcune analisi degli scenari globali prima citate, è richiesta per questo una forte azione politica europea a due livelli: quello nazionale, degli stati
membri, dove vanno intensificati gli sforzi per la liberalizzazione e la flessibilità dei mercati, per l’accumulazione in capitale umano e l’investimento in innovazione, così da meglio sfruttare i vantaggi comparati dinamici offerti dal nuovo quadro tecnologico; quello comunitario dove è necessario accelerare il processo di integrazione dei mercati dei servizi, costruire reti infrastrutturali e realizzare progressi sul piano della deregolamentazione dei mercati. Per sintetizzare al massimo, si tratterebbe di dar vita a una strategia di rilancio della crescita europea imperniata sul completamento del mercato interno (estensione ai servizi), da un lato, e sulle riforme e le liberalizzazioni dall’altro, da collocare nell’ambito di una Strategia di Lisbona adeguatamente rivisitata e resa più cogente. Tutto ciò potrebbe elevare il tasso di crescita potenziale dell’Europa (fino a toccare 3 punti percentuali in media all’anno), sfruttando meglio e più intensamente di quanto fatto fin qui il nuovo paradigma imperniato sull’ICT. Sono obiettivi ambiziosi, certamente difficili e che appaiono oggi lontani dalle capacità di un’Europa che trova difficile mettersi d’accordo su tutti i temi più importanti. Eppure un dato confortante proviene dai positivi andamenti dell’ultimo anno. Nel 2006 il Pil della Ue è cresciuto del 2,9% e la crescita di Eurolandia ha superato nell’ultimo trimestre dello scorso anno, per la prima volta dopo cinque anni, quella degli Stati Uniti. Sono risultati che vanno ben al di là di ogni aspettativa, anche la più ottimistica. Ma perché l’espansione europea prosegua e assuma ulteriore vigore in futuro i processi
© European Community 2007
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di aggiustamento e di riforme, timidamente avviati da alcuni paesi europei nel periodo più recente, devono continuare e rafforzarsi nella direzione a cui prima si è fatto cenno. In conclusione, il nuovo protagonismo dei paesi emergenti e i mutamenti nella divisione internazionale del lavoro che ne conseguono impongono a tutti i paesi avanzati profondi aggiustamenti, nel tempo, della struttura e organizzazione delle loro economie. Se l’Europa non vorrà e/o non saprà realizzarli dovrà giocoforza rassegnarsi a crescere e contare di meno nell’economia globale del XXI secolo.
* Paolo Guerrieri è professore di Economia e direttore del CIDEI (Centro interdipartimentale di economia internazionale) presso l’Università La Sapienza di Roma. È inoltre visiting professor al College of Europe di Bruges (Belgio), dove è stato direttore scientifico del progetto SETI, e visiting professor all’Università di San Diego in California (Usa). È inoltre vicepresidente dello IAI – Istituto Affari Internazionali e direttore scientifico del Laboratorio di economia politica internazionale dello IAI. Guerrieri è consulente presso numerose organizzazioni e istituzioni internazionali tra cui: Banca mondiale, Commissione europea, Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), Cepal (Commissione economica per l’America Latina). È autore di 15 libri e più di 130 articoli sui temi del commercio internazionale e della politica commerciale, del cambiamento tecnologico, dell’integrazione economica europea e dell’economia politica mondiale.
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or more than five years now, the world economy has been forging ahead at rates unheard of for decades. A striking fact within the general picture is the shift in the relative positions of the countries involved in the current expansionary phase. The BRIC nations—Brazil, Russia, India and China—the emerging economies of the last few years, are in the forefront of growth, while many European economies are losing ground. According to several recent global analyses conducted by international organizations, within the next ten years China will move up to third place in terms of GDP, behind the USA
and Japan, with Germany relegated to fourth place, followed by France and the UK. Italy will continue to rank seventh, but India, South Korea and Russia will move into the top ten. Over the longer term, by 2050 the global scenario will have undergone further radical changes, putting Europe at an ever greater disadvantage. China will be the world’s leading economy, followed by the USA and India. Coming up behind them, at a distance, will be Japan, Brazil, Mexico and Russia. Key European countries like Germany and France will slip to eighth and tenth place respectively, while Italy will drop to fourteenth. Extrapolation of current global trends suggests that the next few decades will witness the decline of Europe as an economic and political power. This projection, it should be stressed, is based on the disappointing performance of Europe’s economies in the last ten years as major changes have taken place on the international markets. The Old Continent’s economies are caught in a pincer: pressured, on one side, by the emergence of the new eastern producers (China and India),
who have the advantage of very low labor costs and an extraordinary and aggressively fast learning ability; on the other, by a newly invigorated USA, the traditional dominant economy, which has leveraged the digital revolution to make formidable strides in efficiency. International competitiveness today depends on the ability to master the new technology paradigm rooted in Information and Communication Technology (ICT). And the response of the European nations as a whole has been slow and fragmented, particularly when compared with the USA. The result is a sharp slowdown in EU economic growth over the last ten years, while the American economy has been accelerating. The picture is further complicated by new and widening disparities between the member states. At one extreme the North European nations—Denmark, Sweden and Finland—have registered significant growth in recent years and standards on a par with North America as far as the “digital economy” is concerned; at the other extreme, the great continental economies—Germany and, above all, France and Italy—have done little to upgrade production structures, with the result that recent growth has been disappointingly slow. The question at this point, then, is whether a major downsizing of Europe’s role in a global © European Community 2007
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economy that will be expanding by leaps and bounds over the next few decades really is inevitable. Perhaps not, provided that Europe embraces fully the challenges of the global economy. This means turning what today are largely perceived as threats into opportunities for growth. As some of the global analyses mentioned earlier demonstrate, if Europe is to succeed it needs to take powerful policy action at two levels: at national level, within each member state, to intensify market deregulation and flexibility, develop human capital and invest in innovation, in order to take better advantage of the dynamic comparative benefits of new technology; at community level, to speed up integration on the services markets, build infrastructure and fast track market deregulation programs.
Put very simply, Europe needs a growth recovery strategy driven, on one hand, by the completion of the internal market (including services), and, on the other, by reform and deregulation, within an updated and more incisive Lisbon Strategy. This could raise Europe’s potential growth rate (up to an average of 3 percentage points per year), and allow it to apply the ICT paradigm in a more effective manner. An ambitious agenda of this kind is clearly a formidable task, at first glance beyond the ability of a continent that has trouble reaching agreement on key issues. Yet the positive progress achieved last year provides some comfort. In 2006, the EU’s GDP grew by 2.9% and in the fourth quarter Euroland beat the growth rate of the USA, for the first time in five years.
These results are far beyond even the most optimistic expectations. But if European expansion is to continue and flourish, the timid adjustments and reforms introduced in some European countries in recent months will have to gather strength in the direction indicated above. Summing up, the new leadership of the emerging nations and its impact on the international organization of labor will force all the advanced nations to introduce extensive structural and organizational changes in their economies over the coming years. If Europe is unable or unwilling to adapt, it will have no choice but to accept slower growth and a minor role in the global economy of the XXI century. * Paolo Guerrieri is Professor of Economics and Director of the CIDEI International Economics Research Center at Rome’s La Sapienza University, Visiting Professor at the College of Europe, Bruges (Belgium), where he was Scientific Director of the SETI project, and Visiting Professor at the University of San Diego, California (USA). He is also Vice President of the Institute of International Affairs (IAI), Rome, and Scientific Director of the IAI Laboratory of International Political Economics. Mr. Guerrieri is a consultant to several international organizations and institutions, including the World Bank, the European Commission, the Organization for Economic Co-operation and Development (OECD), the Comisión Económica para America Latina (CEPAL). He is the author of 15 books and more than 130 articles on international trade and trade policy, technological change, European economic integration, international political economics.
La nuova geografia dell’economia mondiale: India The new geography of the world economy: India
La superpotenza del sapere The Knowledge Superpower di Bill Emmott* by Bill Emmott*
Da back office a calamita di investimento From back office to investment magnet
Bill Emmott
L’
India sta cambiando. A un primo sguardo non sembrerebbe, il paese appare ancora caotico: le mucche passeggiano liberamente anche sulle autostrade, i mendicanti bussano ai finestrini delle automobili, a volte mettendo in mostra le loro malattie e i loro handicap per far leva sulle emozioni della gente. Soltanto nei grandi hotel, nelle nuove sedi delle grandi imprese e nelle abitazioni dei ricchi è pensabile di poter disporre di acqua potabile. A peggiorare le cose contribuisce l’inefficienza del settore politico: vi sono governi di coalizione formati da tanti piccoli partiti diversi, i partiti comunisti sono forti in molti stati e la corruzione è dilagante. Fare un confronto tra India e Cina equivale a paragonare il fallimento con il successo, un’apparente anarchia con uno stato fortemente determinato. Ma l’apparenza inganna, e le statistiche non mentono, anche se spesso sembrano contraddire l’evidenza. Negli ultimi cinque anni, il tasso di crescita economica annua ha subito un’accelerazione dal 6% a più del 9% negli ultimi 12 mesi. Ciò è dovuto al fatto che gli investimenti, intrapresi principalmente dalle aziende
indiane più che dal governo o da gruppi stranieri, sono passati dal 24% circa del Pil nel 2000 al 33% attuale. La domanda di fondo quando si ha a che fare con una qualsiasi economia in via di sviluppo è se sarà possibile finanziarla poiché altrimenti la crescita non potrà essere sostenuta. I segnali positivi non mancano, se si considera che anche i risparmi nazionali in mano alle famiglie e alle aziende sono saliti al 30% circa del Pil. Ci sarà comunque bisogno di denaro estero per finanziare gli investimenti
a causa del deficit della bilancia dei pagamenti indiana, ma la lacuna è gestibile e l’India dispone oggi di ampie riserve valutarie estere che le permetteranno di superare qualsiasi crisi. Soltanto due o tre anni fa, la crescita indiana appariva enorme ma non equilibrata. Era guidata principalmente dal settore della Information Technology e da quello dei servizi per le aziende straniere, noti generalmente come “Business Process Outsourcing-BPO” o “offshoring”. Aziende come Infosys, Wipro e Tata Consulting Services acquisirono improvvisamente rilievo internazionale e diedero l’ispirazione a Tom Friedman del New York Times per il titolo del suo best seller The World is Flat – indubbiamente rappresentativo di chi lavorava nel settore IT ma di certo non di tutti gli altri indiani indigenti, né delle aziende nazionali che faticavano a sbarcare il lunario. Se la Cina appariva come il cuore della produzione mondiale, l’India aveva l’opportunità di esserne il “back office” nonché il cuore della conoscenza mondiale, anche se i benefici di
questa conquista sarebbero stati condivisi soltanto dalla elite abbiente e colta del paese. Ma ora le cose stanno cambiando. La produzione sta crescendo più rapidamente dei servizi. L’impennata degli investimenti sta coinvolgendo il settore delle infrastrutture (strade, porti, aeroporti, energia), le nuove aziende, il settore immobiliare e, ancora, la Information Technology. Questo fenomeno sembra dovuto ai benefici accumulati in 15 anni di riforme pro-mercato, uniti a una politica macroeconomica stabile che ha reso gli imprenditori indiani sufficientemente fiduciosi da espandersi e investire. C’è ancora molto da fare, specialmente nella riforma della legislazione, per rendere possibili gli investimenti nelle infrastrutture. Ma l’India sta cambiando, non c’è alcun dubbio. E in questo processo di cambiamento, anche la sua economia sta diventando più equilibrata, con la creazione di un maggior numero di posti di lavoro, una crescita commerciale più rapida e un conseguente maggiore impatto sullo scenario internazionale. Il principale dibattito attualmente in corso tra gli economisti in India è volto a definire se il tasso di crescita sostenibile sarà di circa il 7-9% all’anno, come negli ultimi tre anni, o del 9-12% se il boom degli investimenti continuerà a crescere. Se davvero l’India riuscirà a sostenere una crescita economica con ritmi pari o superiori a quelli della Cina – e ve ne sono tutte le potenzialità – le conseguenze per il resto del mondo saranno considerevoli. Un’India più aperta, più dinamica nel commercio e nell’industria acquisterà una maggiore influenza su tutti i suoi partner commerciali, svolgerà un ruolo
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più importante nell’ambito delle negoziazioni sui mercati mondiali e, come la Cina, sarà coinvolta nei sempre più numerosi progetti di investimento in Africa, America Latina e Medio Oriente alla ricerca di risorse naturali, soprattutto energia. Ciò significa in primo luogo che la Cina si sarà guadagnata un avversario. L’India, infatti, promette di essere un valido competitor quanto a disponibilità di risorse e a sfera d’influenza in Africa e nelle altre regioni piattaforma di esportazione di materie prime. E ci sono anche buone premesse perché arrivi a competere efficacemente in tutto il continente asiatico grazie ai suoi sempre più importanti rapporti commerciali e di investimento che la portano a voler essere coinvolta in maggior misura nelle trattative regionali relative a commercio, regolamentazione degli investimenti, stabilità finanziaria e quanti altri fattori concorrono a sostenere il nascente processo di community-building dell’area. Nell’ultimo decennio l’Asia, e in particolar modo l’Asia orientale, sembrava dover diventare sempre più sinocentrica. L’attuale decollo dell’India potrebbe mettere in discussione tale sinocentrismo. Il test indiano sulle armi nucleari del 1998 è stato di per sé un segnale del fatto che la sfida aveva avuto inizio. Invece di attribuire il test sul nucleare alla minaccia rappresentata dal Pakistan, come molti si sarebbero aspettati, il governo indiano di allora ne attribuì pubblicamente la necessità alla minaccia rappresentata dalla Cina. Evidentemente, l’India voleva essere presa sul serio da un governo cinese con il quale ha ancora in corso importanti dispute territoriali nella regione dell’Himalaya e dell’India nord-orientale e che, attraverso
la fornitura di armi e tecnologia sia al Pakistan sia al Bangladesh, sembrava stesse progettando di sopprimere l’India, o quanto meno di accerchiarla. Oggi i rapporti tra India e Cina appaiono più equilibrati. E la Cina stessa avrebbe molto da guadagnare dall’aumento degli scambi commerciali con un’India in crescita. Tuttavia, la conseguenza più evidente e interessante di questa tendenza sarà un maggiore equilibrio di poteri nel continente asiatico nel suo complesso. Questo particolare non è sfuggito all’amministrazione Bush negli Stati Uniti: George W. Bush ha commesso numerosi e grossolani errori nella sua politica estera, ma una mossa per la quale gli storici futuri potrebbero dargli grande merito è il fatto di aver riconosciuto l’importanza dell’India. Nel 2005 l’amministrazione Bush ha firmato un patto difensivo con l’India, gettando le basi per operazioni di difesa congiunte e per la fornitura all’India di armi avanzate, tra cui aerei da guerra. Questo patto ha finalmente messo fine a decenni di ostilità tra America e India causati dalla partnership tra India e Unione Sovietica durante la Guerra Fredda e dallo sporadico supporto offerto dall’America al Pakistan. Nel marzo del 2006, il presidente Bush ha suggellato la nuova amicizia con un’azione ancora più significativa: un accordo tra America e India inerente l’energia nucleare a uso civile, che autorizzava l’India ad acquistare materiale fissile all’estero riconoscendone in pratica lo status di potenza nucleare, nonostante il suo rifiuto di firmare convenzioni
internazionali quali il Trattato di Non-Proliferazione. L’America vede l’India come un alleato di importanza vitale in Asia, come un prezioso elemento equilibrante contro il rischio di eccessiva dominanza della Cina nella regione. Lo stesso dicasi per il Giappone, all’altro capo dell’Asia, che per lo stesso motivo sta corteggiando l’India da cinque anni, trasformandola nel suo principale destinatario di aiuti esteri. Usa e Giappone vogliono entrambi che l’economia indiana cresca e si rafforzi, e che l’India si apra sempre più all’esterno e sia sempre più coinvolta negli affari dell’area asiatica e del mercato globale. L’India rimarrà ancora, in ogni caso, la superpotenza della conoscenza, grazie alla sua industria IT e alle eccellenti università tecnologiche, ma è anche un paese democratico e un utile baluardo dei valori liberali. Dovremmo tutti sperare che l’India continui a crescere, perché il mondo non può che trarne grandi benefici, in termini sia politici sia economici.
* Dal 1993 al 31 marzo 2006 Bill Emmott è stato direttore dell’Economist, il settimanale di attualità e affari leader al mondo. Ha ora lasciato questo incarico per operare come scrittore indipendente, oratore e consulente. Ha scritto numerosi libri che trattano di affari internazionali. Emmott sta attualmente lavorando a un libro che analizza la rivalità passata, presente e futura tra Cina, India e Giappone, che sarà pubblicato nella primavera del 2008. È inoltre redattore di rubriche periodiche di affari internazionali per il Corriere della Sera, per Exame, la principale rivista a carattere economico del Brasile, e per il mensile giapponese Ushio. Collabora continuativamente a The Guardian e a PostGlobal, un forum di discussione gestito dal Washington Post.
I
ndia is on the move. At first glance it doesn’t look that way. The country still looks chaotic. Cows wander about freely even on highways. Beggars tap on your car windows, sometimes displaying their disease or disabilities to tug at your emotions. Only in big hotels, new corporate buildings and rich homes is the water entirely to be trusted for safe drinking. Worst of all, politics is dysfunctional, with coalition governments consisting of many diverse, small parties, with communist parties strong in several states, and with corruption rife. To compare India with China is to contrast failure with success, a seeming anarchy with a purposeful state. Yet this is misleading. The statistics do not lie, even if they often seem to contradict the evidence of your eyes. In the past five years India’s annual economic growth rate has accelerated from 6% per year to more than 9% in the latest 12 months. The reason is that investment, mainly by Indian businesses rather than by the government or by foreign firms, has surged, from about 24% of GDP at the turn of the 21st century to 33% now. The crucial question in any developing economy is whether this can be financed, for if it cannot then such a surge will not be sustained. The signs are that it can and will be for domestic savings, in the hands of households and companies, have also surged, to about 30% of GDP. That still leaves some need for foreign money to finance the investment, through India’s deficit on the current account of its balance of payments, but the gap is
manageable and India now has ample foreign-exchange reserves with which to ride out any shock. Only two or three years ago, India’s growth looked impressive but unbalanced. It was being led by Information Technology and the services for foreign firms collectively known as “business process outsourcing” or “offshoring”. Companies such as Infosys, Wipro and Tata Consulting Services suddenly became global names, providing the inspiration for Tom Friedman of The New York Times to call his bestselling book The World is Flat—which it now was for anyone in IT, though it certainly wasn’t for ordinary, impoverished Indians nor for the country’s struggling manufacturers. If China looked like being the manufacturing centre of the world, India had the chance to be its back office and a knowledge centre, even if the benefits of such an achievement would be shared only by the country’s rich and educated élite. That is what is now changing. Manufacturing output is growing more rapidly than services. The investment surge is happening in infrastructure—roads, ports, airports, power—as well as in new factories, real estate and, yes, in IT. The reason appears to be the accumulated benefit of 15 years of pro-market reforms, combined with stable macroeconomic policy, which has made Indian entrepreneurs confident enough to expand and invest. There is a lot more to be done, especially in reforming government regulations to make infrastructure investment viable.
But India, undoubtedly, is on the move. And as it moves, it is becoming a more balanced economy, with more jobs being created, with faster growth in trade, and with a correspondingly larger impact on the outside world. The main debate among economists in India concerns whether the sustainable growth rate is about 7-9% a year, as in the past three years, or 9-12%, if the investment surge continues and grows. If India can indeed sustain economic growth at rates matching or even exceeding those of China—and the potential is certainly there—then the consequences for the rest of the world will be substantial. A more open, trading and manufacturing India will gain a greater influence with all its trading partners, will play a larger part in world trade negotiations, and will, like China, be drawn into ever-growing investments in Africa, Latin America and the Middle East in search of natural resources, especially energy. What that indicates, above all, is that China will have gained a competitor. India promises to be a competitor for resources, for influence in Africa and other resources-exporting regions. It also promises to be a competitor for influence in the whole of Asia, for its growing trade and investment linkages will lead it to want to get more involved in regional negotiations over trade, investment rules, financial stability and other elements of nascent communitybuilding in the area. For the past decade, Asia—especially East Asia—had looked like becoming more and more Sino-centric. India’s growth take-off is likely
to challenge that Sino-centrism. India’s testing of nuclear weapons in 1998 was already a signal that such a challenge was on its way. Rather than attributing the weapons test to the threat from Pakistan, as many would have expected, India’s then government publicly attributed the need to test on the perceived threat posed by China. India evidently felt the need to be taken seriously by a Chinese government with which it still has major border disputes in the Himalayas and in India’s north-east, and which through its supply of arms and technology to both Pakistan and Bangladesh seemed to be plotting to suppress India, or at least encircle it. Now, the terms between India and China look more equal. And China will have much to gain from increased trade with a growing India, too. The biggest consequence, though, will be a better balance of power in Asia as a whole. This is a point that has not eluded the Bush administration in the United States. George W. Bush has made many terrible blunders in his foreign policy. But one move that future historians could give him great credit for has been his recognition of the importance of India. In 2005, the Bush administration signed a defence pact with India, providing a framework of joint defence operations and the supply of advanced weaponry, including fighter aircraft, to India. This finally brought to a close decades of hostility between America and India, caused by India’s Cold War partnership with the Soviet Union and America’s sporadic support for Pakistan.
Then, in March 2006, President Bush sealed the new friendship with an even more dramatic move, a deal between America and India covering civilian nuclear energy, freeing India to buy nuclear materials internationally and in effect accepting India’s status as a nuclear weapons state, despite its refusal to sign global treaties such as the Non-Proliferation Treaty. America sees India as a vital ally in Asia, as a valuable balance against the risk of China becoming too dominant in the region. So does Japan, on the far side of Asia, which is why it has been paying court to India for the past five years, making India now its largest recipient of overseas aid. Both want India’s economy to grow in strength, and for India to become increasingly outward-looking and involved in regional as well as global affairs. India will, after all, still be a knowledge superpower, thanks to its IT industry and excellent technology universities. But it is also a democracy and a useful bastion of liberal values. We should all hope that India will remain on the move. For the world will be better off as a result—in political terms as well as economics.
* From 1993 until March 31st 2006 Bill Emmott was the editor of The Economist, the world’s leading weekly magazine on international current affairs and business. He left that post to become an independent writer, speaker and consultant. He has written several books on international affairs. Currently, Emmott is working on a book about the past, present and future rivalry between China, India and Japan, due for publication in the spring of 2008. He also writes regular columns on international affairs for Italy’s Corriere della Sera daily newspaper, for Exame, Brazil’s leading business magazine, and for Ushio, a Japanese monthly magazine. He is a regular contributor to The Guardian newspaper and to PostGlobal, a discussion forum run by the Washington Post.
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La nuova geografia dell’economia mondiale: America Latina The new geography of the world economy: Latin America
Esportando utopie Exporting Utopias di Moisés Naím* by Moisés Naím*
Molti paesi si trovano intrappolati tra potenziale benessere economico e populismo politico Many countries are still trapped between potential economic welfare and political populism
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Moisés Naím
L’
America Latina non è un centro economico di produzione come l’Asia né una polveriera come il Medio Oriente. E una battuta poco felice che si racconta sull’America Latina dice che non è competitiva neanche come minaccia per il resto del mondo: non possiede armi di distruzione di massa e non ha terroristi suicidi. Le maggiori esportazioni riguardano droga (cocaina e marijuana) materie prime (petrolio, rame, soia) e forza lavoro (i sudamericani che lavorano in Europa e negli Stati Uniti spediscono più denaro alle loro famiglie di quanto ne investano, in quell’area, tutte le multinazionali messe assieme). Ma c’è un settore in cui l’America Latina ha sempre eccelso: l’esportazione di cultura e – sorprendentemente – di idee politiche. A dire il vero l’America Latina è stata, ed è ancora, molto concorrenziale nell’esportazione di musica (dalla bossa nova alla salsa) e letteratura (basti menzionare il “realismo magico” di Borges, Cortazar, Garcia Marquez, Vargas Llosa, ecc.). Le “Telenovelas”, ovvero quelle soap opera trasmesse dalla Polonia al Marocco, a Bangkok, sono spesso più popolari delle serie TV girate a Hollywood, i registi
sudamericani hanno acquistato negli ultimi tempi una buona fama a livello mondiale, e la regione si pone inoltre all’avanguardia nella produzione di arte contemporanea. Non da ultimo, l’America Latina rimane un vivaio di veri fuoriclasse nello sport, soprattutto nel calcio. Ma probabilmente, ciò che non sempre viene percepito è che l’America Latina è anche un’eccellente esportatrice di idee su come combattere il sottosviluppo. Queste idee sudamericane hanno spesso trovato molta eco in altre regioni in via di sviluppo. Sebbene non fu certo Juan Domingo Perón, in Argentina, a inventare il populismo, ne diventò indubbiamente un’icona universale: idee come le importazioni a sostituzione dell’industrializzazione, la teoria della dipendenza, la teologia della liberazione, l’“evoluzionismo” delle giunte militari degli anni ‘70 e ‘80, e anche il cosiddetto “Washington Consensus” nati in Argentina si diffusero in breve tempo oltre i confini nazionali. Sfortunatamente, però, nella maggior parte dei casi, queste idee non si sono dimostrate particolarmente felici. L’ondata più recente di queste idee politiche di matrice
sudamericana è arrivata sotto le spoglie della “Rivoluzione Bolivariana”, detta anche “Socialismo del XXI Secolo”, promossa dal presidente venezuelano Hugo Chávez. Si tratta di una combinazione di un preesistente e testato cocktail di nazionalismo, socialismo e populismo con forti elementi di anti-globalizzazione e anti-americanismo, con qualche piccola aggiunta di indigenismo, autarchia e spiritualismo. Le idee del presidente Chávez, come accadde per i suoi predecessori, hanno raccolto ammiratori in altri paesi, compresi giornalisti e intellettuali in Europa e altrove. È perciò opportuno contestualizzare la Rivoluzione Bolivariana di Chávez. I proventi del petrolio, l’ubicazione geografica, le tradizioni democratiche e persino la cultura hanno reso i governi venezuelani inclini ad adottare una politica estera dinamica e a volte persino aggressivamente interventista. Una regione inquieta, dove l’instabilità economica e le agitazioni politiche sono fenomeni consueti, favorisce non solo le occasioni di intervento da parte di altre nazioni, che possiedono i mezzi economici per farlo, ma persino la richiesta della comunità internazionale a che tali ingerenze si verifichino. Da questa prospettiva, Hugo Chávez non si differenzia dai precedenti presidenti del Venezuela. L’attivismo internazionale di un presidente venezuelano – specialmente uno che adora accumulare riserve di valuta estera, grazie all’alto costo del petrolio – non suona nuovo. Ma nel caso di Hugo Chávez, le diversità quanto a rapporti internazionali, amici, nemici, obiettivi, tattiche, possibilità e limiti hanno poco in comune con ogni altro leader venezuelano. Hugo Chávez è completamente differente dai suoi predecessori.
Nessun altro presidente venezuelano negli ultimi cinquant’anni ha avuto così tanto controllo sulle leve del potere quanto Hugo Chávez. Ha l’ultima parola – e spesso l’unica – nelle decisioni fondamentali che riguardano l’industria petrolifera, l’esercito, l’assemblea nazionale, il governo statale e gli enti locali, la giustizia e la Banca Centrale. La verità è che il presidente Chávez può perseguire unilateralmente qualunque politica desideri, con vincoli politici o istituzionali limitati o inesistenti, laddove l’alto prezzo del petrolio gli conferisce ampia libertà dal punto di vista economico. Come risultato, Chávez può vantare un livello di autonomia in politica estera senza precedenti in Venezuela e peraltro raro anche nel resto del mondo. Si consideri, ad esempio, il caso della politica venezuelana nei confronti di Cuba. Non esistono altri due paesi nell’emisfero americano che abbiano raggiunto un livello di integrazione economica, politica, militare e istituzionale pari a quello che attualmente esiste tra Venezuela e Cuba. Per Cuba, i legami col Venezuela sono diventati una questione vitale per la sopravvivenza del regime, in quanto le generose forniture petrolifere che riceve dal Venezuela sono di cruciale importanza per la sua stabilità economica, quanto lo erano quelle che riceveva dall’Unione Sovietica. Data questa fondamentale criticità, sarebbe sorprendente se il leggendario ed esperto apparato di intelligence cubano non fosse attivamente operativo in Venezuela, a supporto del presidente Chávez e del suo regime, contrastando le minacce nazionali e internazionali che il presidente venezuelano, Fidel Castro e i loro più vicini alleati denunciano costantemente nei loro interventi in pubblico.
Il presidente Chávez accusa regolarmente il governo degli Stati Uniti di complottare per assassinarlo. L’aggressività di Chávez nei confronti degli Stati Uniti costituisce certamente un’altra differenza rispetto ai suoi predecessori. Tutti i presidenti venezuelani hanno avuto un rapporto difficile con gli Stati Uniti, ma nessuno è stato così accanitamente e apertamente aggressivo come Hugo Chávez. Non sorprende che, viste le forti correnti di anti-americanismo che percorrono il mondo, i frequenti attacchi di Chávez al presidente americano e ai suoi alleati siano stati bene accolti dall’opinione pubblica, in Venezuela e all’estero. L’accesa retorica del presidente Chávez richiama alla mente un’altra epoca, un tempo in cui in tanti avevano creduto che le rivoluzioni di sinistra avrebbero attraversato le Americhe. Non è un caso, quindi, che il suo più stretto alleato internazionale sia Fidel Castro. Sorprendentemente, nel
Venezuela del ventunesimo secolo, Fidel Castro, il vecchio e malato dittatore di una piccola e affamata isola, è molto più influente di George W. Bush, il presidente dell’unica superpotenza mondiale rimasta. Tuttavia, il quadro geopolitico internazionale che ha fatto da sfondo all’ascesa al potere del presidente Chávez, a differenza di Castro, Perón o degli altri predecessori venezuelani, non è stato caratterizzato da superpotenze rivali impegnate in uno scontro ideologico e armato per il dominio del mondo, quanto piuttosto dalla sconfitta del comunismo, le transizioni verso la democrazia (nelle Americhe e altrove), una rapida avanzata tecnologica, la diffusione del libero commercio, l’apertura di nuovi mercati e la globalizzazione. Non solo; si tratta poi di un periodo segnato da diffusi episodi di razzismo e discordie etniche, da un incremento della consapevolezza e dell’intolleranza nei confronti dell’ineguaglianza e della
PIL MONDIALE
L’ACCELERAZIONE DEGLI EMERGENTI
Dati in miliardi di $ (a parità di potere d’acquisto)
I nuovi pesi geografici
1985
% sul totale
2005
Europa Occidentale 7.226 America del Nord 7.119 Australasia* 374 Giappone 2.451 Totale Paesi Avanzati 17.207 Europa Orientale 1.236 America Latina 2.564 Asia (escluso Giappone) 4.238
25,7% 25,3% 1,3% 8,7% 61,2% 4,4% 9,1% 15,1%
11.746 13.365 732 3.904 29.747 2.009 4.526 18.890
19,3% 21,9% 1,2% 6,4% 48,8% 3,3% 7,4% 31,0%
2,4% 3,1% 3,3% 2,3% 2,7% 2,4% 2,8% 7,2%
4,3% 3,8%
9.400 3.629
15,4% 6,0%
9,8% 5,9%
1.681 2,8% 2.024 3,3% 29.131 47,8% 2.122 3,5% 61.000 100,0%
3,7% 2,9% 5,7% 0,6% 4,0%
di cui Cina India
Medio Oriente Africa Totale Paesi Emergenti Altri Paesi** Totale
1.195 1.075
791 2,8% 1.124 4,0% 9.007 32,1% 1.882 6,7% 28.096 100,0%
povertà e da una crescita senza precedenti dei traffici illeciti e del terrorismo internazionale. Questo è il contesto – pur con i suoi limiti e le sue opportunità – in cui Chávez conduce la propria politica estera. Tre sono i vincoli internazionali degni di nota per il loro carattere di attualità, con i conseguenti rischi di fraintendimento, e per il loro potere di condizionamento. Una nuova consapevolezza del rispetto dei diritti umani e delle libertà civili, la globalizzazione a livello economico e uno scenario di sicurezza internazionale drasticamente alterato dal terrorismo sono fattori nuovi e importanti, che regolano ciò che i governi, attualmente, possono o non possono fare. Anche il presidente Chávez subisce le limitazioni imposte dalla globalizzazione economica. Che Chávez riesca o meno a realizzare ciò che definisce il “Socialismo del XXI secolo”, l’economia del Venezuela resta
comunque profondamente immersa in una rete di vincoli commerciali e finanziari con il resto del mondo, che limita il governo nelle possibili scelte da compiere. Gli elevati introiti provenienti dal petrolio hanno indubbiamente ampliato i margini di manovra per le azioni economiche del presidente, ma queste entrate non saranno sempre così consistenti, o non saranno sempre sufficienti a neutralizzare gli effetti che i mercati finanziari o altri vincoli dell’economia globale impongono alle politiche intraprese dal governo. A ciò si aggiunge che è facile commettere – e nascondere – errori di politica economica nazionale e internazionale, quando gli elevati proventi del petrolio creano l’illusione di poter disporre di un numero illimitato e perennemente flessibile di scelte politiche. Gli errori di politica economica di oggi si ritorceranno con gli interessi contro il governo Chávez in un domani molto vicino. Una volta che la congiuntura economica internazionale e nazionale renderà insufficienti i proventi del
% sul Crescita/Anno totale 1985-2005
* Australasia comprende Australia, Nuova Zelanda, Singapore, Hong-Kong ** Altri Paesi comprende, tra le altre, le nazioni dell’ex Unione Sovietica Fonte: elaborazioni del Centro Studi Economici e Sociali di Italcementi secondo dati del FMI
Fonte: elaborazioni del Centro Studi Economici e Sociali di Italcementi secondo dati del FMI
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petrolio da cui il paese dipende in modo sostanziale, il governo ne avvertirà l’impatto politico. Già ora la popolazione, nonostante il paese disponga di enormi entrate provenienti dal petrolio, si trova a fronteggiare un tasso di inflazione tra i più alti al mondo, la mancanza di generi di prima necessità, un livello di criminalità tragico e senza precedenti e grandi difficoltà nel trovare un posto di lavoro al di fuori degli impieghi statali. La rapida erosione del sostegno popolare è quanto accaduto ai predecessori di Chávez e prima o poi accadrà anche a lui. In passato, quando accadeva ciò, i presidenti venezuelani perdevano le elezioni e il potere si trasferiva all’opposizione in maniera pacifica e democratica. Non è più chiaro se questo schema potrà essere riproposto in futuro considerato che, come è stato ampiamente dimostrato, il presidente Chávez è un leader molto diverso rispetto ai suoi predecessori. Sicuramente in futuro l’economia diverrà per lui un vincolo altrettanto costrittivo come lo è stata per i suoi predecessori: quello che non sappiamo è come gestirà le ripercussioni politiche di una
depressione economica. Del resto, sta già spingendo verso modifiche costituzionali che gli permetteranno di restare al potere indefinitamente e ha utilizzato astutamente gli stessi strumenti della democrazia per minarne i normali controlli ed equilibri. Ma tutto ciò fa sorgere spontanea una domanda: come ha fatto a vincere Hugo Chávez? Le cause più comunemente tirate in ballo comprendono gli scarsi risultati economici dei suoi predecessori, corruzione, cattiva gestione, istituzioni deboli, il collasso del sistema bipartitico tradizionale, povertà e disuguaglianza socio-economica, il negativo impatto politico del petrolio, politiche clientelari, stataliste e corporative che hanno arrestato la crescita dell’imprenditoria e di un settore privato competitivo. Tutti questi problemi meritano attenzione singolarmente in quanto tutti ugualmente importanti: l’impatto sulla politica interna ed estera delle fluttuazioni dei prezzi del petrolio negli anni ‘70 e ‘80 causate da crisi esterne, le grandi aspettative che hanno accompagnato le riforme del mercato alla fine degli anni ‘80
e poi negli anni ‘90, il crescente dinamismo e l’organizzazione della società civile, gli effetti nella regione andina della guerra alla droga condotta dagli Stati Uniti, la globalizzazione e l’anti-globalizzazione. Ma i venezuelani hanno eletto presidente Chávez la prima volta nel 1998 e di nuovo nel 2006 per moltissime ragioni tra cui la sua smisurata personalità, l’eccezionale talento politico e il background personale. Hugo Chávez non solo possedeva le capacità necessarie, ma era anche al posto giusto al momento giusto e colse l’occasione. La capacità di sfruttare le occasioni che gli si presentano mette in risalto la sua abilità e il suo istinto. Il presidente Chávez fa il suo ingresso sulla scena mondiale alla fine degli anni ‘90, in un’epoca di radicali cambiamenti e grande dinamismo in cui furono messi in discussione gli assunti fondamentali del funzionamento dei mercati e delle relazioni tra gli stati (comprese le emergenti ONG e gli attori “non statali”) e il sistema internazionale. Chávez adottò una retorica che gli era consona e che
rispecchiava i tempi e lo stato d’animo della maggioranza dei venezuelani: fece eco al malcontento di molti per il fallimento delle riforme economiche di portare risultati in breve tempo o di tradurre quei profitti in benefici reali per tutti. Trovò una causa comune tra gli studenti, gli ambientalisti, i sindacalisti e gli altri attivisti che avevano formato la rete internazionale no-global. E si rivolse al desiderio della maggioranza povera del Venezuela (e dell’emisfero) di porre fine alla disuguaglianza e all’ingiustizia rivendicando ricchezze e risorse depredate dai governi precedenti e dalle classi dirigenti tradizionali. Le azioni di Chávez hanno generalmente coinciso con la sua retorica. La sua visita in Iraq subito dopo la sua elezione – fu il primo leader eletto democraticamente a far visita a Saddam Hussein dopo la Prima Guerra del Golfo – ne è uno degli esempi più emblematici. Allo stesso modo, Chávez fece un punto d’orgoglio della sua smisurata ammirazione e del desiderio di proseguire nella linea politica di Fidel Castro, uno dei principali nemici degli Stati
LA RINCORSA ALLA RICCHEZZA
SORPASSO IN VISTA
La crescita del PIL mondiale in 20 anni
I Paesi Emergenti hanno prodotto nel 2005 quasi la metà del PIL globale
* Australasia comprende Australia, Nuova Zelanda, Singapore, Hong-Kong ** Altri Paesi comprende, tra le altre, le nazioni dell’ex Unione Sovietica Fonte: elaborazioni del Centro Studi Economici e Sociali di Italcementi secondo dati del FMI
Fonte: elaborazioni del Centro Studi Economici e Sociali di Italcementi secondo dati del FMI
Uniti durante la Guerra Fredda. In patria, sciolse il corpo legislativo, fece pressione per un’assemblea costituente, riscrisse la Costituzione, cambiò il nome del paese (da Venezuela a Repubblica Bolivariana del Venezuela) e decretò la fine della quarta repubblica. Era arrivato il Movimento Quinta Repubblica (MVR). La resilienza e l’ascendente di Chávez hanno molte origini, ma la più importante è la capacità di capitalizzare gli errori degli altri. Ed è stato poi molto fortunato quanto ai nemici che ha dovuto affrontare in patria e all’estero: i suoi oppositori in patria sono stati incapaci di contenere la sua ascesa al potere. Il governo statunitense, distratto dalla sua guerra al terrore, con gli attacchi in Afghanistan e Iraq che cominciavano ad avere un costo molto alto, prestò attenzione a Chávez soltanto quando ormai era già troppo tardi e la sua presa sul potere era ormai salda e completa. Per l’umiliazione dei suoi oppositori, il presidente Chávez non solo era sopravvissuto, ma si era pure ripreso con un invidiabile consenso di oltre il 60%. Anche in questo è stato
aiutato ancora una volta dalla buona sorte – la crescente domanda di risorse energetiche proveniente dall’espansione economica cinese, una richiesta serrata di forniture e la necessità di realizzare nuove raffinerie e di incrementare la capacità di riserva, hanno portato il prezzo di un barile di petrolio a livelli mai raggiunti prima: dai 9$ al barile al momento della sua ascesa al potere fino ai 61$ del 2007. Spinto da un regolare flusso di petroldollari, come molti dei suoi predecessori, Chávez ha fatto dello stato il motore dell’economia interna e del petrolio la sua principale arma diplomatica. Dalla PetroCaribe – la nuova iniziativa di cooperazione energetica dell’area caraibica, promossa dal Venezuela – alla promessa (da qualcuno definita una fantasia) di diversificare i mercati costruendo un oleodotto fino al Pacifico per trasportare greggio pesante in Cina e in altre zone dell’Asia, il petrolio continua a essere la linfa vitale della politica estera (e ovviamente interna) del Venezuela. E Chávez lo sa. Nonostante retorica e politica retrograde, in un qualche modo Chávez era in anticipo sui tempi.
Quando assunse la presidenza nel 1999, pochi pensavano che l’antiamericanismo avrebbe avuto un ritorno, come invece accadde negli anni successivi all’Undici Settembre. Lo stile personale di George W. Bush, la guerra al terrorismo, l’attacco statunitense in Iraq e Afghanistan, gli abusi di Abu Ghraib e Guantanamo scatenarono una violenta reazione anti-statunitense come non accadeva da anni. Chávez ha alimentato questo sentimento sia in Venezuela sia a livello internazionale. Ha astutamente concentrato la maggior parte dei suoi attacchi sul presidente Bush, il cui conservatorismo e la cui politica in Iraq, impopolari a livello internazionale, avevano già generato sdegno e persino odio in molte parti del mondo. Alcuni leader sudamericani potrebbero seguire o simpatizzare per il presidente Chávez, per ravvivare le proprie origini di sinistra agli occhi degli elettori e per ricordare agli americani che la lealtà nei loro confronti non è da darsi per scontata. Queste tendenze, vincoli e opportunità internazionali cambieranno? Il Venezuela rimarrà la piattaforma del
presidente Chávez e il petrolio servirà come “bastone e carota” per estendere il proprio raggio d’influenza da Argentina, Ecuador, Bolivia, Nicaragua e i piccoli stati caraibici fino a Cina e India. Ma l’esagerata ambizione imperiale non si limita agli imperi. L’esempio classico è la caduta della giunta militare argentina dopo che il dittatore Leopoldo Galtieri fallì l’invasione per rivendicare dall’Inghilterra di Margaret Thatcher le Isole Falkland o Malvine, all’inizio degli anni ‘80. Non è impossibile immaginare che Chávez si lasci prendere la mano, vista la sua personalità e la sua ambiziosa agenda. In Venezuela non esistono forze interne in grado di sfidare effettivamente l’egemonia politica del presidente Chávez. Per ora. Ma ciò che è chiaro è che la sua abilità nel gioco politico internazionale comporta molti rischi ed esiste un ampio margine per errori che possano destabilizzare il suo regime. A dire il vero, l’ironia che spesso sfugge è che lo stesso uomo che ha fatto del rifiuto di “imperialismo”, “colonialismo” e “interventismo” il nucleo della propria politica estera, si senta
IL RUGGITO DELLA TIGRE ASIATICA
LA LUNGA MARCIA
La crescita del contributo al PIL dei Paesi Emergenti è a esclusivo vantaggio dell’Asia Emergente che in 20 anni ha raddoppiato la propria quota sul prodotto complessivo, dal 15 al 30%
Nella crescita del contributo al PIL dell’Asia Emergente la Cina da sola ha guadagnato 11 punti sul PIL mondiale (dal 4 al 15%)
Fonte: elaborazioni del Centro Studi Economici e Sociali di Italcementi secondo dati del FMI
Fonte: elaborazioni del Centro Studi Economici e Sociali di Italcementi secondo dati del FMI
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libero di immischiarsi negli affari degli altri, specialmente di quelli a lui più vicini. Se le avventure in politica estera di Chávez si trasformassero nella fonte della sua rovina politica in patria, sarebbe semplicemente l’ennesimo leader di una lunga serie ad aver permesso ai propri grandiosi progetti di farlo precipitare nel dimenticatoio della storia. El Comandante Chávez farebbe meglio a pensare anche al Generale Leopoldo Galtieri oltre che a El Comandante Fidel Castro. E gli ammiratori all’estero farebbero bene a ricordarsi che molte delle idee che il presidente Chávez sta testando in Venezuela e sta esportando nelle nazioni vicine hanno un lungo pedigree. Tutto ciò è ampiamente documentato negli annali delle cattive idee. * Direttore della rivista Foreign Policy, Moisés Naím è a capo di una delle più importanti pubblicazioni di politica ed economia internazionale, a cui è stato assegnato nel 2003 il National Magazine Award for General Excellence. Foreign Policy è distribuito in 161 paesi e viene pubblicato contemporaneamente in 11 lingue diverse. Si è occupato ampiamente di politica economica internazionale, sviluppo economico, finanza internazionale, politica internazionale e delle conseguenze non intenzionali della globalizzazione. I suoi articoli d’opinione compaiono sulle colonne di testate quali Financial Times, El Pais, Newsweek, Time, Corriere della Sera, Le Monde, Berliner Zeitung e su molti altri quotidiani e periodici di rilevanza internazionale. È autore o editore di otto libri, tra cui Illecito: come trafficanti, falsari e mafie internazionali stanno prendendo il controllo dell’economia globale, un best seller selezionato dal Washington Post come uno tra i migliori libri non-fiction del 2005. Moisés Naím è membro dell’International Media Council del Forum Economico Mondiale, composto dalle cento figure più influenti del mondo dei media. È presidente del Group of Fifty, una rete selezionata degli amministratori delegati delle più grandi società dell’America Latina e anche membro del National Endowment for Democracy and Population Action International.
L
atin America is not an economic powerhouse like Asia or a powder keg like the Middle East. One of the sad jokes about Latin America is that it is not competitive even as a threat to the rest of the world. It does not have weapons of mass destruction, nor suicidal terrorists. Its main exports are drugs (cocaine and marihuana), commodities (oil, copper, soybeans) and workers (Latin Americans working in Europe and the United States send more money back to their families than all what the multinationals put together invest in the region). But there is one area where Latin America has always excelled: as an exporter of culture and—surprisingly—political ideas. Indeed, Latin America has been, and still is, very competitive exporting music (from bossa nova to salsa), literature (remember “magical realism” and Borges, Cortazar, Garcia Marquez, Vargas Llosa etc). “Telenovelas”, the soap operas seen from Poland to Morocco or Bangkok are often more popular than TV series made in Hollywood. Recently Latin American filmmakers have also acquired global fame and the region is also at the forefront as producer of contemporary art. Of course Latin America is also a world class competitor in sports, especially soccer. But what is perhaps less recognized is that Latin America has also been a successful exporter of ideas about how to combat underdevelopment. These Latin American ideas have often become very popular in other developing regions. While Argentina’s Juan Domingo Perón did not invent populism he is certainly an iconic exponent of such political practices. Import substituting industrialization, dependency theory, liberation theology, the “developmentalism” of the military Juntas of the 1970s
and 80s, and even the ideas dubbed the “Washington Consensus” originated in Latin America and then quickly spread beyond the region. Unfortunately, in almost all cases these have proven to be bad ideas. The most recent wave of these Latin American political ideas arrives in the form of “The Bolivarian Revolution” or the XXIst Century Socialism promoted by Venezuela’s President Hugo Chávez. They are a combination of an old and tested cocktail of nationalism, socialism and populism with strong elements of anti-globalization and anti-Americanism plus sparks of indigenism, autarchy and spiritualism. Like its predecessors President Chávez’s ideas have also found admirers in other countries, including journalists and intellectuals in Europe and elsewhere. It is therefore useful to give some context to Mr. Chávez’s Bolivarian Revolution. Oil revenues, geographic location, democratic traditions and even culture have made Venezuelan governments prone to adopt an active, and at times even aggressively interventionist, international stance. A volatile region where economic instability and political turmoil are common also fuels not just the opportunity for the intervention of other nations that have the wherewithal to do so, but even the demand from the international community that they do so. From this perspective, Hugo Chávez is no different than any other Venezuelan president of the past. The international activism of a Venezuelan president—especially one that enjoys bulging foreign exchange reserves thanks to high oil prices—is nothing new. But in the case of Hugo Chávez the differences in international posture, friends, foes, goals, tactics, possibilities
and constraints bear little resemblance to those of any other Venezuelan leader. Hugo Chávez is very different from his forerunners. No other Venezuelan president in the past half-century commanded as much control over all the levers of power as does Hugo Chávez. He has the final—and often the only—word in the fundamental decisions of the oil industry, the military, the national assembly, state and local governments, the judiciary and the Central Bank. The reality is that President Chávez can unilaterally pursue any policy he wants with little or no institutional or political restraints while high oil prices also give him ample financial latitude. As a result, Chávez also enjoys a degree of autonomy in his foreign policy that is also unprecedented in Venezuela and rare in the rest of the world. Take the case of Venezuela’s policies towards Cuba for example. No other two countries in the hemisphere have attained the level of economic, political, military and institutional integration that Venezuela and Cuba now have. For Cuba the links with Venezuela have become a matter of regime survival as Venezuela’s generous oil subsides are as critical to its economic stability as those it used to get from the Soviet Union. Given such critical importance, it would be surprising if the fabled and experienced Cuban intelligence apparatus was not actively engaged in Venezuela, supporting President Chávez and his regime and thwarting the domestic and international threats that the Venezuelan president, Fidel Castro and their closest aides constantly denounce in their public statements. President Chávez regularly accuses the United States government of plotting to assassinate him. Chávez’s
belligerence towards the United States is of course another difference with his predecessors. All Venezuelan presidents had an uneasy relationship with the United States, but no one has been as stridently and overtly bellicose toward the United States as Hugo Chávez. Not surprisingly, given the strong winds of anti-Americanism that sweep the world, Chávez’s frequent insults of the American president and his aides were well received by the public in Venezuela and abroad. President Chávez’s heated rhetoric harkens back to another era, a time when many thought that left-wing revolutions would sweep the Americas. It is thus no accident that his closest international ally is Fidel Castro. Surprisingly, in XXIst Century Venezuela, Fidel Castro, the very old and very sick dictator of a small and famished island, is far more influential than George W. Bush, the President of the sole remaining global superpower. Yet, unlike that faced by Castro or Perón or his Venezuelan predecessors, the geopolitical environment that corresponds
to President Chávez’s rise to power is not one marked by rival super-powers engaged in an ideological and armed struggle for global dominance. Rather, it is one characterized by the defeat of communism, democratic transitions (in the Americas and beyond), accelerated technological innovation, the spread of free trade, opening of markets and globalization. It is also a period that has witnessed a great deal of ethnic and racial strife, an increase in the awareness and intolerance towards inequality and poverty, and an unprecedented rise in illicit trafficking networks and global terrorism. It is in this context—with its constraints and opportunities—that Chávez executes his foreign policy. Three international constraints are especially noteworthy, because of how recent and easy to misread and limiting they can be. A new respect for human rights and civil liberties, economic globalization and an international security landscape drastically altered by terrorism are important new factors shaping what governments
can and cannot do these days. President Chávez is also constrained by the impact of economic globalization. Whether or not Chávez manages to construct what he calls the socialism of the XXIst Century, the Venezuelan economy is deeply embedded in a web of commercial and financial ties with the rest of the world that limit the range of choices available to the government. High oil revenues surely enlarge the economic room for maneuver of the President, but such income will neither be permanently high nor sufficient to neutralize the effects that financial markets and other global economic constraints impose on government policies. Again, mistakes in domestic and international economic policies are easy to make—and hide—when high oil revenues create the illusion of a limitless and permanently flexible set of policy choices. The economic policy mistakes of today are sure to come back with a vengeance and at a great speed to haunt the Chávez government. Once global or domestic economic conditions
WORLD GDP
ACCELERATION OF EMERGING ECONOMIES
$ bn at Purchasing Power Parity (PPP)
New geographic weights
1985
% on total
2005
Western Europe 7,226 North America 7,119 Australasia* 374 Japan 2,451 Total Developed Countries 17,207 Eastern Europe 1,236 Latin America 2,564 Asia (Ex-Japan) 4,238
25.7% 25.3% 1.3% 8.7% 61.2% 4.4% 9.1% 15.1%
11,746 13,365 732 3,904 29,747 2,009 4,526 18,890
19.3% 21.9% 1.2% 6.4% 48.8% 3.3% 7.4% 31.0%
2.4% 3.1% 3.3% 2.3% 2.7% 2.4% 2.8% 7.2%
4.3% 3.8%
9,400 3,629
15.4% 6.0%
9.8% 5.9%
791 2.8% 1,681 2.8% 1,124 4.0% 2,024 3.3% 9,007 32.1% 29,131 47.8% 1,882 6.7% 2,122 3.5% 28,096 100.0% 61,000 100.0%
3.7% 2.9% 5.7% 0.6% 4.0%
of which China India
Middle East Africa Total Emerging Countries Other Countries** Total
1,195 1,075
render the oil revenues on which the country and the government critically depend are no longer sufficient, the political impact will be felt by the government. Already the population of a country flush with oil money faces one of the highest inflation rates in the world, shortages of basic staples, a horrible and unprecedented level of crime and great difficulties to find a job outside government. The rapid erosion of public support is what happened to all of Chávez’s predecessors in power and sooner or later it will also happen to him. When that happened in the past Venezuelan Presidents lost elections and peacefully and democratically transferred power to the opposition. It is no longer clear that this pattern will hold in the future. As has been amply demonstrated President Chávez is a very different leader than his predecessors. The economy will surely become as tighter a constraint for him in the future as it was to other presidents in the past. What we don’t know is how President Chávez will handle the political repercussions of an economic
% on Growth/Year total 1985-2005
* Australasia includes Australia, New Zealand, Singapore, Hong Kong ** Other Countries include, among others, the former Soviet Union countries Source: Italcementi Economic and Social Studies Center’s calculations on IMF data
Total Developed Countries
Other Countries
29,747
2,122 1,882
17,207
1985
2005
Total Emerging Countries
29,131
9,007 1985
2005
Source: Italcementi Economic and Social Studies Center’s calculations on IMF data
1985
2005
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downturn. He is already pushing for constitutional changes that will enable him to stay in power indefinitely and has cunningly used the tools of democracy to undermine the checks and balances normal in any democracy. But all this begs an obvious question: how did Hugo Chávez come to be in the first place? The laundry list of issues usually cited includes poor economic performance of his predecessors in power, corruption, mismanagement, weak institutions, the breakdown of the traditional two-party system, poverty and social/economic inequality, exclusion, statist, clientelistic policies which stunted entrepreneurship and a competitive private sector and the negative political impact of oil. These issues all deserve attention in their own right. Just as importantly: the impact on domestic and foreign policy of the boom and busts in oil prices in the 1970s and 80s caused by external shocks, the great expectations that accompanied the market reforms of the late 1980s and 1990s, the increased dynamism and organization of civil society, the effects in the
Andean region of the U.S. war on drugs, globalization, and anti-globalization. But Venezuelans first elected President Chávez in 1998 and again in 2006 for myriad reasons: his larger than life personality, exceptional political talent and personal background were no small part of it. Hugo Chávez not only had the right skills but he also was in the right place at the right time, and he rose to the occasion. His ability to seize the opportunity before him speaks to his skills and instincts. President Chávez makes his entry onto the world stage in the late 1990s at a time of tremendous change and energy, when long-held assumptions about how markets work and how states (and the NGOs and “non-state” actors now coming of age) relate to one another and to the international system were being challenged. Chávez adopted a discourse that fit him and reflected the times and the mood of most Venezuelans. It echoed the disappointment of many with the failure of economic reforms to deliver quick results or translate those gains into real benefits for all.
It found common cause among the students, environmental, labor and other activists who made up the international network of anti-globalization activists. And it spoke to the desire of Venezuela’s (and the hemisphere’s) poor majority to end inequality and injustice and reclaim for themselves the wealth and resources plundered by past governments and traditional ruling elites. Chávez deeds have usually matched his rhetoric. His visit to Iraq shortly after his election—the first democratically elected leader to visit Saddam Hussein after the First Gulf War—is one of its clearest examples. Similarly, Chávez made his gushing admiration for, and desire to succeed, one of the United States’ principal Cold War foes, Fidel Castro, a point of pride. At home, he dissolved the legislative body, pushed for a constituent assembly, rewrote the Constitution, changed the country’s name (from Venezuela to the Bolivarian Republic of Venezuela), and declared the fourth republic dead. The Fifth Republic Movement (MVR) had arrived.
Chávez’s resilience and ascendancy has many sources but a crucial one is his ability to capitalize on the missteps of others. And he was very lucky in the enemies he had to confront at home and abroad. His domestic opponents were unable to contain Chávez ascent to power. The United States government distracted by its war on terror, the attacks in Afghanistan and in Iraq only began paying high-level, sustained attention to Chávez when it was too late and his grip of power was tight and complete. To his opponents chagrin, President Chávez has not just survived; he has bounced back with enviable approval ratings of over 60 percent. In this, he has been helped once again by the hand of fortune—growing demand for energy sources from China’s expansion, tight supply and the need to build new refineries to increase spare capacity have driven the price of a barrel of oil to unprecedented levels. From US $9 per barrel when he came to power to US $61 in 2007. Flush with a steady stream of petrol-dollars,
THE PURSUIT OF WEALTH
ABOUT TO OVERTAKE
Growth of world GDP in 20 years
In 2005 Emerging Countries produced almost half of world GDP
* Australasia includes Australia, New Zealand, Singapore, Hong Kong ** Other Countries include, among others, the former Soviet Union countries Source: Italcementi Economic and Social Studies Center’s calculations on IMF data
Source: Italcementi Economic and Social Studies Center’s calculations on IMF data
like many of his predecessors, Chávez has made the state the engine of the domestic economy and oil his principal diplomatic weapon. From PetroCaribe—anew Caribbean energy initiative subsidized by Venezuela—to the promise (some say pipe dream) of diversifying its markets by building a pipeline to the Pacific to transport heavy crude to China and other parts of Asia, oil continues to be the lifeblood of Venezuela’s foreign (and, of course, domestic) policy. This much Chávez knows. Notwithstanding his retro rhetoric and policies, Chávez, in some ways, was ahead of his time. When he assumed the presidency in 1999, few thought that anti-Americanism would make the comeback it did in the years after September 11. George W. Bush’s personal style, the war on terrorism, the U.S. attack on Iraq and Afghanistan, the abuses of Abu Ghraib and Guantanamo sparked an anti-U.S. backlash not seen in years. Chávez has nurtured this sentiment both in Venezuela and internationally. He has astutely focused most of his ire at President Bush, whose
internationally unpopular Iraq policy and conservatism have generated scorn and even hatred of the U.S. president in many parts of the world. Embracing or engaging President Chávez would become a way for some Latin American leaders to polish their leftist credentials in the eyes of core constituencies and remind the Americans that their loyalty was not to be taken for granted. Will these international trends, constraints and opportunities change? Venezuela will remain President Chávez’s platform, and oil his principal carrot and stick to sway everyone from Argentina, Ecuador, Bolivia and Nicaragua and the small Caribbean states to China and India. But imperial overreach is not limited to empires. The classic example is the fall of Argentina’s military junta after dictator Leopoldo Galtieri led a failed invasion to reclaim the Falkland Islands or Malvinas in the early 1980s from Margaret Thatcher’s England. It is not impossible to imagine Chávez overplaying his hand given his personality and ambitious agenda. There are no domestic forces in Venezuela capable of effectively challenging President
Chávez’s political hegemony. For now. But what is clear is that his international gamesmanship is full of risks and the room for mistakes that may destabilize his regime is enormous. Indeed the often overlooked irony is that the same man who has made rejection of “imperialism”, “colonialism” and “interventionism” the centerpiece of his foreign policy feels at liberty to meddle in the affairs of others, especially those closest to him. If Chávez’s foreign adventures turn out to be the source of his political undoing at home he would just be another leader in a long line of those who allowed their grandiose designs to become a roadmap to the junkyard of history. El Comandante Chávez would do well to think as much about General Leopoldo Galtieri as he does about El Comandante Fidel Castro. And the admirers abroad would do well to remember that many of the ideas that President Chávez is testing in Venezuela and exporting to his neighbors have a long pedigree. It is fully documented in the annals of bad ideas.
* Editor-in-Chief of Foreign Policy magazine, Moisés Naím heads one of the world’s leading publications on international politics and economics and winner of the 2003 National Magazine Award for General Excellence. Foreign Policy circulates in 161 countries and is simultaneously published in eleven different languages. He has written extensively on international political economy, economic development, international finance, world politics, and globalization’s unintended consequences. His opinion columns appear in the Financial Times, El Pais, Newsweek, Time, Corriere della Sera, Le Monde, Berliner Zeitung and many other internationally-recognized newspapers and magazines. He is the author or editor of eight books including Illicit: How Smugglers, Traffickers and Copycats Are Hijacking the Global Economy, a best seller selected by the Washington Post as one of the best nonfiction books of 2005. Moisés Naím is a member of the World Economic Forum’s International Media Council which is composed of the 100 most influential media figures in the world. He is the Chairman of the Group of Fifty, a select network of CEO’s of Latin America’s largest corporations and also a board member of the National Endowment for Democracy and Population Action International.
THE ROAR OF THE ASIAN TIGER
THE LONG MARCH
Growth in the Emerging Countries’ contribution to GDP is attributable exclusively to Emerging Asia, which has doubled its share of total GDP in 20 years, from 15 to 30%
In the growth of Emerging Asia’s contribution to GDP, China alone has gained 11 points in world GDP (from 4 to 15%)
Source: Italcementi Economic and Social Studies Center’s calculations on IMF data
Source: Italcementi Economic and Social Studies Center’s calculations on IMF data
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La nuova geografia dell’economia mondiale: Africa The new geography of the world economy: Africa
Crescita senza crescita Growth without Growth di Pierluigi Valsecchi* by Pierluigi Valsecchi*
Migliora la ricchezza, ma non la distribuzione del reddito. E le prospettive future non sono certo brillanti Wealth is improving, but income distribution is not. And the future certainly doesn’t look bright
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Pierluigi Valsecchi
N
egli ultimi anni l’economia dell’Africa sub-sahariana è cresciuta sostanzialmente. Il 2006 ha visto un andamento molto positivo, con un tasso di crescita del 5,7%, contro il 5,3% del 2005 e il 5,2 del 2004. Si tratta veramente di un record d’espansione rispetto ai tre decenni passati, da quando cioè, nel 1973, si era definitivamente bloccato e quindi invertito l’andamento positivo registrato dalle economie del continente dal 1960, allorché la crescita africana era stata del tutto analoga a quella del Sud-Est asiatico. Secondo la Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa (Eca), i primi cinque paesi nella classifica del 2006 sono, nell’ordine, Mauritania, Angola, Mozambico, Sudan ed Etiopia. Nell’anno passato sono stati pochissimi i saldi negativi a livello continentale. Le Seychelles, che hanno scontato ritardi nelle politiche di riforma e problemi nell’industria turistica, e lo Zimbabwe, che si dibatte fra la critica situazione politica interna, il boicottaggio internazionale e il fallimento delle riforme economiche e di quella fondiaria, hanno sperimentato decrescite, ma tutto sommato con dei
miglioramenti rispetto al 2005: rispettivamente, dal -2,3 al -1,4 e dal -6,5 al -4,4. La piccola Guinea Equatoriale, che dal 1996 a oggi è cresciuta fino a divenire il terzo produttore petrolifero del continente, dopo qualche anno di crescita esponenziale che ne aveva fatto una delle economie del mondo in più rapida espansione – un aumento del 34,2% del Pil nel 2004 – ha conosciuto nel 2006 una diminuzione dell’1,1%, con un assestamento della crescita del Pil intorno al 6%. Ma una scomposizione dei dati delinea un panorama complesso e non può che indurre a temperare la prima impressione di assoluta positività. A guidare la corsa della crescita è stata ovviamente l’ormai corposa pattuglia sub-sahariana dei paesi esportatori di petrolio, beneficiati da un vero e proprio boom estrattivo in corso e dall’andamento verso l’alto dei prezzi del greggio, che esibiscono un tasso complessivo addirittura dell’8%, contro il 6,8% del 2005. Aspetti al limite del prodigioso ha la crescita dell’Angola, il cui prodotto interno lordo è cresciuto ben del 17,6% (15,7% nel 2005), per il 57% grazie al petrolio. Assai bene sono andati anche
esportatori come Sudan, Nigeria, Congo Brazzaville, Camerun, Ciad e Gabon. L’andamento del numeroso gruppo degli stati importatori di petrolio non è stato ovviamente altrettanto brillante, anche se le cifre assolute per il 2006 tutto sommato sono abbastanza buone: pur recedendo leggermente rispetto al tasso del 4,8% toccato nel 2005, la crescita si è mantenuta nonostante tutto su un più che consistente 4,5%. Insomma, l’espansione è stata sostenuta nonostante l’aumento del costo del greggio e nonostante la rimozione delle quote internazionali sul commercio tessile, che ha colpito diversi stati, in particolare Swaziland e Lesotho. Diversi paesi importatori di petrolio hanno conosciuto veri e propri balzi: il Malawi grazie all’ottimo andamento dei raccolti è cresciuto dell’8,3% – dato tuttavia che appare meno sensazionale in termini assoluti quando si considera che stiamo parlando di uno dei paesi più poveri del mondo. L’economia del Mozambico è aumentata del 7,9%, quella della Sierra Leone del 7,4%, quella della Repubblica Democratica del Congo e di Capo Verde del 7%. La crescita africana degli ultimi anni è stata sicuramente favorita dalla riduzione dei quadri di guerra e conflitto, dall’aumento degli aiuti internazionali allo sviluppo che per alcuni paesi hanno controbilanciato andamenti negativi dei termini commerciali, e da una migliorata stabilità macroeconomica: i bassi livelli di inflazione, ai loro limiti storici in gran parte della regione e che per ora rimangono tali nonostante la recente ascesa del prezzo del petrolio, una diffusa eliminazione delle distorsioni del tasso di cambio e la diminuzione dei deficit fiscali. Ma l’espansione è anche
propiziata da politiche nazionali volte a favorire gli investimenti, così come sicuramente anche da un certo complessivo miglioramento delle condizioni di governance e, in diversi casi, dagli interventi della comunità internazionale per alleviare il debito. Tuttavia il fattore veramente trainante è stata la crescita che ha interessato globalmente l’economia mondiale e che ha comportato un aumento della domanda e dei prezzi di diverse materie prime industriali non petrolifere, contribuendo così sostanzialmente a compensare la salita del costo del greggio per diversi importatori: Sud Africa, Mozambico, Zambia sono stati favoriti dai prezzi dei metalli; Etiopia, Uganda, Burundi, Ruanda, Sierra Leone da quello del caffè. Ma per altro verso gli esportatori di cotone, come Burkina Faso, Mali, Togo, Benin e quelli di cacao, come Ghana, Costa d’Avorio, São Tomé e Principe, hanno subito un notevole peggioramento dei loro termini di mercato. In ogni caso è evidente che, al di là della contingenza, il prezzo alto del petrolio, che ha beneficiato in maniera così sostanziale i produttori africani, rappresenta in prospettiva un problema di fondo e un gravame veramente arduo per le fragili economie dei paesi non petroliferi. I mesi scorsi hanno evidenziato tuttavia una tendenza al rallentamento di questi trend, con una certa diminuzione del prezzo del petrolio rispetto ai massimi toccati nel 2006 e una stabilizzazione in decrescita dei prezzi di molte altre materie prime esportate dal continente. È vero che un petrolio meno costoso dovrebbe avvantaggiare significativamente le economie dei paesi importatori, ossia l’Africa più povera ed è vero anche che l’estrazione dovrebbe
aumentare notevolmente quest’anno con l’entrata in produzione di nuovi giacimenti in Angola e Guinea Equatoriale. Comunque i nuovi andamenti, se confermati, sembrerebbero suggerire qualche cautela rispetto alle recentissime previsioni dell’Eca di una crescita media al 5,8% per il 2007, ossia di una prosecuzione dell’espansione economica africana a tassi analoghi a quelli dei due anni passati. Un certo raffreddamento dell’euforia rende più pressanti una serie di preoccupazioni già ben presenti circa la sostenibilità della crescita sul medio termine. Un problema di fondo rimane sempre quello di una scarsa diversificazione della base produttiva ed esportativa sub-sahariana, che è causa di una particolare esposizione alle imprevedibilità dei mercati internazionali. Si tratta di un elemento fondamentale di fragilità dei processi di crescita e non è che uno fra i tratti di quella che rimane una debolezza strutturale di gran parte dei sistemi economici dei paesi africani. In questo senso il quadro lascia poco spazio a facili ottimismi. Il dato brutale è che in un continente in cui la ricchezza dal petrolio sta aumentando in maniera tanto rapida, sta crescendo anche la povertà. Il caso più evidente e paradossale è rappresentato dalla Guinea Equatoriale, il cui indice di sviluppo umano è andato peggiorando sensibilmente negli ultimi anni e il divario ricchezza/povertà crescendo a dismisura, nonostante il sensazionale boom petrolifero. È evidente in questo caso che l’assetto di distribuzione del reddito è drammaticamente squilibrato, con un’eccessiva concentrazione della ricchezza in poche mani, trasparenza
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e responsabilità sono insufficienti, la corruzione è pervadente, mancano adeguate capacità gestionali dell’improvviso afflusso di risorse finanziarie ingenti, ecc. Ma tutto sommato considerazioni di questo tipo si potrebbero estendere, pur se in gradi diversi e con differenti sottolineature, anche ad altri paesi petroliferi ed economie ben più significative, come quelle di Angola, Nigeria, Sudan e altre ancora. Nonostante recenti miglioramenti, in qualche caso anche notevoli, praticamente tutti gli indicatori socio-economici relativi all’Africa sub-sahariana – che nel 2001 comprendeva 34 dei 49 paesi “meno sviluppati” secondo la classifica Onu – seguitano tuttora a testimoniare un andamento comparativamente meno positivo rispetto a qualsiasi altra regione del mondo. Questa realtà è pienamente comprensibile quando si prendano in considerazione le basi reali di partenza di ogni processo di espansione, per quanto consistente. Sono basi drammaticamente deboli. Secondo i dati della Banca mondiale, l’insieme dei redditi interni lordi dei 48 paesi dell’Africa sub-sahariana – un complesso con 750 milioni di abitanti – ammontava nel 2004 a 523.310 milioni di dollari americani, meno di quello dell’Australia, ma se si escludevano Sud Africa e Nigeria il dato per i restanti 46 paesi scendeva a 238.489 milioni, ossia il reddito lordo della Danimarca. Oltre il 40% della popolazione sub-sahariana vive oggigiorno con meno di 1 dollaro Usa al giorno (che è il limite di povertà convenzionalmente riconosciuto a livello internazionale), il 75% con meno di 2 dollari.
Insomma, secondo le proiezioni correnti, i poveri della regione dovrebbero crescere da 313 milioni nel 2001 a 340 milioni nel 2015, che è peraltro la data entro la quale, secondo l’auspicio degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals – MDGs) delle Nazioni
Guinea Bissau, che ha conosciuto nel 2006 una crescita del Pil pari al 2,6%, ma in termini pro-capite una diminuzione del -0,4%. Per ora le previsioni di crescita del reddito pro-capite dell’Africa sub-sahariana si attestano intorno all’1% annuo, che significa un livello di reddito che
una precondizione necessaria per sostenere la crescita, una volta esaurito l’odierno boom nell’esportazione di materie prime, insieme alla diversificazione produttiva, deve essere il reinvestimento di una porzione sostanziale dei guadagni degli ultimi anni in questi settori strategici.
Unite, si vorrebbe conseguire un dimezzamento della povertà in Africa! Ma a questo fine sarebbe necessaria a livello continentale una crescita del prodotto interno lordo reale a un tasso del 7%. Solo 5 paesi avevano raggiunto tale obiettivo nel 2006. Inoltre, la questione fondamentale e che lascia spazio a previsioni davvero poco ottimistiche è che in molti altri paesi, che pure hanno visto un’espansione dell’economia, la crescita, sostanziosa o modesta che sia, è stata per larga parte immediatamente assorbita dall’aumento della popolazione. Un esempio molto significativo è quello della piccola e poverissima
nel 2007 sarà pari a quello del 1982 e inferiore del 4% a quello del 1974. Insomma, la ripresa economica deve fare i conti con questa intera generazione persa in termini di sviluppo, oltre che con una serie di problemi strutturali ulteriori rispetto a quelli già accennati. Cruciali ad esempio quelli legati alla limitatezza delle infrastrutture di comunicazione e trasporto e alla loro scarsa integrazione a livello regionale, all’insufficienza delle reti energetiche, ma anche quelli relativi allo sviluppo delle risorse umane, al potenziamento di istruzione e formazione, alla lotta all’aids. Secondo diversi osservatori,
* Pierluigi Valsecchi è professore straordinario di Storia dell’Africa alla Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università degli Studi di Teramo. Studente e dottorando della Scuola Normale Superiore di Pisa, è stato ricercatore presso l’IPALMO (Istituto per le Relazioni tra l’Italia e i Paesi dell’Africa, America Latina, Medio ed Estremo Oriente) di Roma (1986-1991), lavorando su temi di politica africana contemporanea e quindi ricercatore presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Urbino (1993-2005). Dal 1987 conduce regolarmente ricerche in Africa occidentale su tematiche di storia politica e sociale (XVII-XIX secolo), gruppi dirigenti, autorità tradizionali. Ha pubblicato diversi libri e saggi, fra cui (co-ed. con F. Viti) Mondes Akan. Identité et pouvoir en Afrique occidentale/Akan Worlds. Identity and Power in West Africa, Paris – Montréal, L’Harmattan, 1999; I signori di Appolonia. Poteri e formazione dello Stato in Africa occidentale fra XVI e XVIII secolo, Roma, Carocci, 2002; con G. Calchi Novati, Africa: la storia ritrovata, Roma, Carocci, 2005.
ub-Saharan Africa has been making substantial economic progress in recent years. In 2006 it reported an impressive 5.7% growth rate, from 5.3% in 2005 and 5.2% in 2004. A truly record-breaking result compared with the three previous decades, following the
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reforms—experienced negative growth, but nonetheless improved on performance compared with 2005: from -2.3 to -1.4 and from -6.5 to -4.4 respectively. Little Equatorial Guinea, which since 1996 has become the third largest oil producer on the African continent, after several
was little short of miraculous, with a 17.6% jump in GDP (15.7% in 2005), of which 57% was oil-related. Among the other exporter countries, Sudan, Nigeria, Congo Brazzaville, Cameroon, Chad and Gabon also had a strong year. For obvious reasons, the large
the poorest countries in the world. Mozambique’s economy grew by 7.9%, Sierra Leone gained 7.4%, the Democratic Republic of the Congo and Cape Verde improved by 7%. Africa’s recent growth has of course been assisted by the reduction in the number of conflicts and war zones,
reversal in 1973 of the steady expansion of the African economies since 1960, when the continent’s growth was on a par with South-East Asia. According to the United Nations Economic Commission for Africa (ECA), the first five countries in the 2006 ranking are, in order, Mauritania, Angola, Mozambique, Sudan and Ethiopia. Very few nations in the African continent reported a slackening in 2006. The Seychelles—hampered by reform delays and problems in the tourist industry—and Zimbabwe—struggling with a critical internal political situation, the international boycott and the failure of its economic and landed property
years of exponential growth that classified it as one of the world’s fast growing economies, and a GDP increase of 34.2% in 2004, reported a downturn of 1.1% in 2006, with GDP settling at around 6%. Yet an analysis of the figures reveals a highly complex situation and suggests that an absolutely positive first impression needs to be re-considered. The driving force behind the soaring growth rates is obviously the now weighty sub-Saharan team of oil exporter countries assisted by the current extraction boom and rising crude oil prices; as a group, they gained 8% in 2006, compared with 6.8% in 2005. Angola’s growth
group of oil importer countries did not fare as well, though the absolute figures for 2006 were satisfactory overall: despite a slight retreat from the 4.8% improvement of 2005, growth nonetheless remained at a more than respectable 4.5%. Performance was steady, in other words, despite higher crude oil prices and despite the abolition of the international textile quotas, which hit a number of countries, notably Swaziland and Lesotho. Several oil importers made powerful strides: thanks to an excellent harvest, Malawi gained 8.3%—not such an astonishing feat in absolute terms, however, when you consider that Malawi is one of
the increase in international aid, which has helped some countries counter their trade deficits, and greater macro-economic stability: low inflation, at minimum levels throughout much of the region despite the recent rises in oil prices, the widespread elimination of exchange rate distortions and smaller fiscal deficits. But expansion has also been generated by domestic policies to stimulate investment, and certainly by a general overall improvement in conditions of governance and, in some cases, by debt-relief action by the international community. However, the key driver is the global growth of the world
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economy, which has boosted demand for and the prices of many non-oil industrial raw materials, giving several oil importers a significant hand in offsetting the rising cost of crude oil: metal prices have helped South Africa, Mozambique and Zambia; coffee prices have helped
of 2006 and a downward stabilization in the prices of many other raw materials exported by Africa. True, cheaper oil should be a significant advantage for the economies of the importer countries, who are Africa’s poorest nations; it is also true that extraction should increase
the unpredictability of the international markets. This is a fundamental weakness in the area’s growth processes and it is only one aspect of the continuing structural fragility of most African economies. Considered in these terms, there is not much room for easy optimism. The brutal fact is that
lesser extent, to other far more important oil producers and economies, such as Angola, Nigeria, Sudan, to mention just a few. Despite recent and in some cases notable improvements, virtually all the socio-economic indicators for sub-Saharan Africa—which in 2001
Ethiopia, Uganda, Burundi, Rwanda, Sierra Leone. On the other hand, the trade position of cotton exporters like Burkina Faso, Mali, Togo and Benin, and cocoa exporters like Ghana, Ivory Coast, São Tomé and Principe, has deteriorated significantly. At all events, looking beyond the contingent situation, it is evident that the high oil prices that have provided African producers with such substantial benefits represent a major problem and a severe burden for the fragile economies of the non-oil producing countries. Trends have been slowing in recent months, however, with a moderate downturn in the price of oil after the peaks
significantly this year as drilling begins on new fields in Angola and Equatorial Guinea. Yet if the new trends continue, the latest ECA forecasts of average 5.8% growth in 2007, in other words, of African economic expansion continuing at rates similar to those of the last two years, should be approached with a degree of caution. As the mood of euphoria cools, a number of well-founded concerns regarding the medium-term sustainability of growth take on greater urgency. One basic problem is the limited diversification of the sub-Saharan production and export base, and consequent heightened exposure to
in a continent whose oil wealth is expanding rapidly, poverty is rising too. The most obvious paradox is Equatorial Guinea, where, despite the country’s spectacular oil boom, the human development index has worsened significantly over the last few years with a disproportionate widening in the wealth/poverty gap. Obviously there are serious imbalances in the income distribution system, with wealth controlled by a small minority, a lack of transparency and responsibility, rife corruption, insufficient skills to manage the sudden inflow of huge financial resources, etc. Similar considerations could be applied, to a greater or
included 34 of the 49 “least developed” countries in the UN ranking—continue to reflect a situation that in comparative terms is weaker than that of any other world region. This is not surprising considering that every growth process, however significant, began from a dramatically weak starting position. According to World Bank figures, the sum of the gross domestic products of Africa’s 48 sub-Saharan nations—an area with 750 million inhabitants—amounted to US$ 523,310 million in 2004, less than Australia; and excluding South Africa and Nigeria the figure for the other 46 countries dropped to US$ 238,489 million,
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on a par with Denmark. More than 40% of the sub-Saharan population lives on less than US$ 1 a day (the conventional international poverty line), 75% on less than US$ 2 a day. According to current projections, the region’s poor will rise from 313 million in 2001 to 340 million in 2015, which incidentally is the target date for the United Nations’ Millennium Development Goal (MDGs) to reduce poverty in Africa by half! The continent would need real GDP growth of 7% to achieve this. Only five countries hit the target in 2006. The crucial issue and the reason for the lack of optimism is that in many other countries, which have actually made economic
progress, growth—substantial or modest—has largely been immediately absorbed by the increase in the population. One very significant example is the tiny and impoverished state of Guinea Bissau, which reported GDP growth of 2.6% in 2006, but a 0.4% decrease in per capita income. Current per capita income growth forecasts for sub-Saharan Africa are around 1% on an annual basis, which means 2007 income levels will be equivalent to 1982 income and 4% down on 1974 income. In addition to the structural problems mentioned above, economic recovery has to consider that a whole generation has lost out on
development. And there are other crucial issues: limited communication and transport infrastructures, the lack of regional integration, insufficient energy networks; no less pressing are the problems relating to development of human resources, improvements in education and training, the fight against AIDS. Many observers believe that, in addition to diversification of production, reinvestment of a substantial portion of the earnings from the last few years in these strategic sectors will be essential to support growth in Africa once the current raw materials export boom comes to end.
* Pierluigi Valsecchi is Associate Professor in African History at the Faculty of Communication Science at the University of Teramo. With a degree and doctorate from the Scuola Normale Superiore (Normal School) in Pisa, he worked as a researcher in contemporary African politics at the IPALMO (Institute for Relations between Italy and Africa, Latin America, and the Middle and Far East) in Rome (1986-1991) and subsequently as a researcher at the Political Sciences Faculty of Urbino University (1993-2005). Since 1987, he has conducted regular surveys in western Africa on political and social history (XVII-XIX centuries), ruling classes, traditional authorities. He has published a number of books and articles including (co-ed. with F. Viti) Mondes Akan. Identité et pouvoir en Afrique occidentale/Akan Worlds. Identity and Power in West Africa, Paris – Montréal, L’Harmattan,1999; I signori di Appolonia. Poteri e formazione dello Stato in Africa occidentale fra XVI e XVIII secolo, Rome, Carocci, 2002; with G. Calchi Novati, Africa: la storia ritrovata, Rome, Carocci, 2005.
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CONFINI D’ACQUA WATER BOUNDARIES
Se in passato l’acqua rappresentava per l’architettura un limite insormontabile, negli ultimi decenni è stata invece occasione per espandere il costruito oltre la terraferma. Grazie alle nuove tecnologie costruttive, l’acqua rappresenta un nuovo territorio su cui realizzare grandi opere. Confini fluidi che si dilatano e si trasformano. Mari, laghi e fiumi che diventano spazio compositivo, nuovi modi di pensare e progettare la risorsa acqua nel rispetto delle più avanzate valutazioni tecnico-scientifiche collegate alla sostenibilità: non più mero utilizzo scenografico e decorativo ma necessario approccio etico. Once an insurmountable limit for architecture, in recent years water has come to be seen as an opportunity to extend buildings beyond the confines of dry land. Thanks to advances in building technologies, water is a new territory for exciting projects. Fluid boundaries that expand and change. Oceans, lakes and rivers form a compositional space as new concepts develop that plan water as a resource compatibly with the latest technical and scientific theories on sustainability: not just for ornamental or decorative purposes, but for necessary ethical reasons.
Progettare l’acqua: etica e ricerca Planning Water: Ethics and Research Luigi Centola*
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onte insostituibile di vita, patrimonio dell’umanità, diritto inalienabile e universale… La risorsa acqua è causa di gravi emergenze in vaste aree del pianeta: ogni giorno circa 30.000 persone muoiono per cause connesse alla scarsità d’acqua o alla sua cattiva qualità e igiene. Per contrastare questa inaccettabile condizione molteplici iniziative politiche e umanitarie sono sempre più spesso dedicate alla diffusione del messaggio di solidarietà orientato alla raccolta di fondi e all’intervento immediato in soccorso di quel 25 per cento della popolazione mondiale che non ha accesso alla quantità minima di acqua potabile indispensabile per la sopravvivenza. Nonostante si pensi comunemente all’acqua come l’elemento più diffuso in natura, l’acqua dolce rappresenta solo il 2,5 per cento del volume totale dell’acqua sulla terra, oltre 2/3 risulta imprigionata nei ghiacciai, un ulteriore 30 per cento è presente in riserve sotterranee e solo meno dell’1 per cento si trova in laghi, fiumi o bacini ed è quindi facilmente accessibile. Come ci avvertono i più recenti e autorevoli rapporti scientifici il trend non è positivo: negli ultimi anni tutti i maggiori fiumi hanno subito drastiche diminuzioni della portata mentre laghi e bacini vedono decrescere pericolosamente il loro livello. Sarà anche un ciclo fisiologico particolarmente negativo al quale Gaia saprà ri-adattarsi più o meno velocemente, tuttavia il livello di allerta e preoccupazione rimane alto. In ogni caso l’effetto tangibile è la desertificazione che avanza, complice talvolta la scelleratezza dell’uomo, aumentando le difficoltà di molte aree geografiche a rischio e, nei casi più gravi, mettendo in discussione la sopravvivenza stessa di intere popolazioni. Non secondario inoltre appare, in un periodo di costante aumento di richiesta energetica, l’effetto collaterale di diminuzione progressiva della produzione di energia idroelettrica. In questo delicato contesto di riferimento si impone a tutti – politici, professionisti, imprenditori, agricoltori, cittadini – una nuova sensibilità in direzione di strategie e tecniche adeguate per prevenire e far fronte all’emergenza in qualsiasi gestione e trasformazione responsabile del territorio. È auspicabile quindi, ovunque, la massima tutela della risorsa e il superamento di qualsiasi spreco nelle azioni locali in modo da lanciare messaggi facilmente trasferibili e replicabili a scala globale. Il livello di sensibilizzazione circa lo sviluppo sostenibile del pianeta è, in questi ultimi anni, per fortuna o per necessità, approdato a un livello considerevole raggiungendo, grazie al prezioso lavoro di movimenti e associazioni indipendenti, buona parte dell’opinione pubblica e della società
civile. Contemporaneamente la politica “Verde” e i temi connessi alla tutela delle risorse e del patrimonio ambientale portati all’attenzione con sempre maggior efficacia da giovani politici, spesso con responsabilità di governo, in Inghilterra, Germania, Francia, Spagna e Italia sembrano aver finalmente riportato una svolta vincente dopo aver superato lo sterile ostruzionismo degli anni ‘90. I successi di critica e al botteghino del film-documentario Una scomoda verità dell’ex vicepresidente americano Al Gore premiato con l’Oscar e Still Life di Jia Zhang Ke, Leone d’Oro all’ultima Biennale di Venezia, testimoniano la sensibilità oramai diffusa. Una serie di best-seller editoriali come Gaia, una nuova idea della vita sulla terra di James Lovelock, La rete della vita, una nuova visione della natura e della scienza di Fritjof Capra, H20, una biografia dell’acqua di Philip Ball e L’acqua e il pianeta, la lotta per la vita di Yves Lacoste hanno contribuito con efficacia alla diffusione ed al coinvolgimento popolare. Per quanto riguarda l’Italia, sempre più spesso la Rai (Ambiente Italia, Report, Gaia, AnnoZero…), alcuni quotidiani e settimanali, in particolare La Repubblica, L’Espresso e Il Venerdì dedicano speciali, approfondimenti e pagine intere ad argomenti di ispirazione ecologista: gli allarmanti rapporti sul clima, l’effetto serra, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento del livello dei mari, la diminuzione della portata dei maggiori fiumi del mondo. Troppo di frequente l’attenzione dei media è, però, rivolta esclusivamente a inchieste sull’intreccio tra politica e malaffare o a facili elementi di catastrofismo di sicuro effetto giornalistico più che all’illustrazione di soluzioni e progetti esemplari che possano contribuire a tracciare i necessari riferimenti operativi. Paradossalmente, talvolta, i meno direttamente coinvolti in questa campagna d’opinione globale sono proprio i professionisti impegnati nella reale trasformazione del territorio. Urbanisti, pianificatori, architetti, ingegneri, paesaggisti, geologi, botanici e agronomi, non sempre dimostrano nei loro piani e progetti quella sensibilità e quel grado di ricerca e innovazione richiesto dal delicato momento storico e oramai prassi indispensabile anche per la collettività. Politica, ricerca, programmazione e pratica progettuale sembrano ancora non incontrarsi su un territorio comune, sicuramente non a causa dei presunti costi aggiuntivi di un lavoro multidisciplinare integrato, ma soprattutto per la scarsa propensione alla collaborazione tecnico-scientifica di molti progettisti-artisti. Se esiste un oscar riconosciuto per la costruzione sostenibile, lo stesso non è ancora accaduto per la progettazione specifica della risorsa acqua. Il Water
Prize istituito dall’International Water Institute di Stoccolma è destinato, forse giustamente, più agli sviluppi della ricerca pura o applicata che alla tutela attiva e alle trasformazioni di eccellenza. A una serie di lodevoli iniziative umanitarie promosse da istituzioni e associazioni di rilievo internazionale come la Giornata Mondiale dell’Acqua, il Forum Mondiale dell’Acqua, il Decennio Mondiale dell’Acqua e la Settimana dell’Acqua, non corrispondono esempi altrettanto convincenti e concreti nella pianificazione, nei masterplan e nei progetti locali. In ogni caso un pugno di progettisti illuminati, spesso supportati da istituti di ricerca di fama internazionale o da team multidisciplinari di tecnici e scienziati, perseguono una serie di nuovi concetti nello sviluppo delle città, nelle infrastrutture, nell’architettura, nel paesaggio e nel design. Alcuni come Pietro Laureano, autore tra l’altro di Atlante d’acqua, conoscenze tradizionali per la lotta alla desertificazione, propongono di partire dalle conoscenze tradizionali basate sull’esperienza millenaria del costruire con la natura tipica delle antiche civiltà, altri sostengono vere e proprie innovazioni tecniche e tecnologiche attraverso ricerche e intuizioni originali. Entrambe le soluzioni sembrano perseguibili con successo, nei casi più fortunati la sintonia passato-futuro risulterà straordinariamente fertile. A seguire dunque alcuni esempi paradigmatici del nuovo modo di pensare e progettare la risorsa acqua dalla forte caratterizzazione politica, sociale e culturale che si contrappongono al mero utilizzo “scenografico” e “decorativo” o, nel peggiore dei casi, alla totale indifferenza. - Un’ambiziosa infrastruttura promette di riportare uno spiraglio di pace tra i popoli, da troppo tempo in conflitto, di Giordania, Palestina e Israele. Secondo indiscrezioni rese note da autorevoli quotidiani inglesi Norman Foster, con la consulenza dell’ingegnere Guy Battle, ha elaborato un progetto per il Canale della Pace, collegamento di oltre 200 chilometri di lunghezza e 400 metri di dislivello tra il Mar Rosso e il Mar Morto che, oltre a salvare il Mar Morto dall’evaporazione (30% negli ultimi quarant’anni), consentirebbe, superando una serie di dislivelli, la produzione di notevoli quantità di energia rinnovabile. - Un approccio al paesaggio con un concetto radicalmente nuovo è il Parco di 39 ettari nella periferia di Madrid progettato da Toyo Ito con il supporto del Mikiko Ishikawa Study Group della Keio University. Punto di partenza non è più l’estetica del disegno ma l’esigenza di conservare l’acqua per far crescere la vegetazione in una zona particolarmente arida e presto densamente popolata: il “Water
Tree” assolve a queste funzioni. La gestione dell’acqua, la tutela della biodiversità e le attività dell’uomo guidano il progetto che offrirà presto spazi vitali ai nuovi abitanti della periferia di Madrid. - Una critica al concetto tradizionale di masterplan e una forte attenzione al ciclo e alla gestione delle acque si ritrova in molti progetti recenti di Arup, soprattutto quelli orientati allo sviluppo di nuovi insediamenti urbani, in particolare nell’area metropolitana di Shanghai, dove attraverso un pragmatico approccio di Urbanistica Integrata le più avanzate valutazioni tecnico-scientifiche collegate alla sostenibilità si fondono con la partecipazione attiva dei residenti. - Alcune architetture sperimentano invece l’utilizzo innovativo dell’acqua per la climatizzazione naturale degli spazi, per esempio il padiglione spagnolo per l’Expo di Saragozza 2008 di Francisco Mangado e la sede Arpa di Reggio Emilia di Behnisch & Partners. Se nel primo progetto una selva di “Colonne Ceramiche” ideate e testate con la consulenza del centro di ricerche Cener di Pamplona raccolgono e conservano l’acqua a temperatura costante per poi nebulizzarla verso la zona bassa del portico rinfrescando gli spazi, nel secondo, il sistema Water Wall, sviluppato in collaborazione con i tecnici tedeschi di TransSolar, costituisce un velo d’acqua che scorre sulle vetrate a temperature diverse d’inverno e d’estate, consentendo di mantenere la temperatura interna costante. Esemplificativa del nuovo approccio al progetto etico dell’acqua è la mostra collettiva “H2O, nuovi scenari per la sopravvivenza” curata da Roberto Marcatti e organizzata da un’associazione no-profit con lo scopo di proporre soluzioni efficaci per contrastare le emergenze. L’esposizione itinerante partita dall’Italia porterà in tutto il mondo un messaggio concreto di riflessione e di solidarietà. Basterebbe davvero poco per salvare un gran numero di vite umane attraverso la realizzazione di piccoli pozzi, la manutenzione, la pulizia e la corretta gestione dell’acqua captata. Molti volontari, associazioni e organizzazioni hanno lanciato e intensificheranno campagne di scavo e assistenza alle popolazioni in difficoltà che meritano ampio sostegno. Tuttavia, anche senza essere dotati di particolari vocazioni progettuali o missionarie, tutti noi cittadini dovremmo, nel quotidiano, usare quei piccoli accorgimenti che ci consentirebbero di contribuire al risparmio dell’acqua, così come facciamo comunemente per l’energia, per contrastare dal basso le probabili guerre dell’oro blu che si profilano all’orizzonte in sostituzione di quelle oggi in atto per l’oro nero.
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* Luigi Centola si laurea in Architettura a Napoli nel ‘93, nel ‘96 riceve a Londra il Graduate Design Diploma dall’Architectural Association di Londra, nel ‘98 vince la borsa di studio Fulbright presso l’American Academy di Roma. Nel 2001 fonda Centola & Associati. Lo studio si caratterizza per l’elaborazione di masterplan strategici e progetti architettonici dall’approccio sistemico dove la sostenibilità è posta al centro di una indispensabile riunificazione tra pianificazione, ecologia e paesaggio. Dal 2004 coordina il programma territoriale per il recupero degli opifici dismessi della Costiera Amalfitana. Nel 2005 a Ginevra il masterplan WaterPower per la Valle dei Mulini di Amalfi & Scala vince gli Holcim European Awards per l’architettura sostenibile e nel 2006 a Bangkok è secondo ai Global Awards. È editore di newitalianblood.com, portale interattivo di architettura, paesaggio e design.
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CONFINI D’ACQUA WATER BOUNDARIES
Se in passato l’acqua rappresentava per l’architettura un limite insormontabile, negli ultimi decenni è stata invece occasione per espandere il costruito oltre la terraferma. Grazie alle nuove tecnologie costruttive, l’acqua rappresenta un nuovo territorio su cui realizzare grandi opere. Confini fluidi che si dilatano e si trasformano. Mari, laghi e fiumi che diventano spazio compositivo, nuovi modi di pensare e progettare la risorsa acqua nel rispetto delle più avanzate valutazioni tecnico-scientifiche collegate alla sostenibilità: non più mero utilizzo scenografico e decorativo ma necessario approccio etico. Once an insurmountable limit for architecture, in recent years water has come to be seen as an opportunity to extend buildings beyond the confines of dry land. Thanks to advances in building technologies, water is a new territory for exciting projects. Fluid boundaries that expand and change. Oceans, lakes and rivers form a compositional space as new concepts develop that plan water as a resource compatibly with the latest technical and scientific theories on sustainability: not just for ornamental or decorative purposes, but for necessary ethical reasons.
Progettare l’acqua: etica e ricerca Planning Water: Ethics and Research Luigi Centola*
F
onte insostituibile di vita, patrimonio dell’umanità, diritto inalienabile e universale… La risorsa acqua è causa di gravi emergenze in vaste aree del pianeta: ogni giorno circa 30.000 persone muoiono per cause connesse alla scarsità d’acqua o alla sua cattiva qualità e igiene. Per contrastare questa inaccettabile condizione molteplici iniziative politiche e umanitarie sono sempre più spesso dedicate alla diffusione del messaggio di solidarietà orientato alla raccolta di fondi e all’intervento immediato in soccorso di quel 25 per cento della popolazione mondiale che non ha accesso alla quantità minima di acqua potabile indispensabile per la sopravvivenza. Nonostante si pensi comunemente all’acqua come l’elemento più diffuso in natura, l’acqua dolce rappresenta solo il 2,5 per cento del volume totale dell’acqua sulla terra, oltre 2/3 risulta imprigionata nei ghiacciai, un ulteriore 30 per cento è presente in riserve sotterranee e solo meno dell’1 per cento si trova in laghi, fiumi o bacini ed è quindi facilmente accessibile. Come ci avvertono i più recenti e autorevoli rapporti scientifici il trend non è positivo: negli ultimi anni tutti i maggiori fiumi hanno subito drastiche diminuzioni della portata mentre laghi e bacini vedono decrescere pericolosamente il loro livello. Sarà anche un ciclo fisiologico particolarmente negativo al quale Gaia saprà ri-adattarsi più o meno velocemente, tuttavia il livello di allerta e preoccupazione rimane alto. In ogni caso l’effetto tangibile è la desertificazione che avanza, complice talvolta la scelleratezza dell’uomo, aumentando le difficoltà di molte aree geografiche a rischio e, nei casi più gravi, mettendo in discussione la sopravvivenza stessa di intere popolazioni. Non secondario inoltre appare, in un periodo di costante aumento di richiesta energetica, l’effetto collaterale di diminuzione progressiva della produzione di energia idroelettrica. In questo delicato contesto di riferimento si impone a tutti – politici, professionisti, imprenditori, agricoltori, cittadini – una nuova sensibilità in direzione di strategie e tecniche adeguate per prevenire e far fronte all’emergenza in qualsiasi gestione e trasformazione responsabile del territorio. È auspicabile quindi, ovunque, la massima tutela della risorsa e il superamento di qualsiasi spreco nelle azioni locali in modo da lanciare messaggi facilmente trasferibili e replicabili a scala globale. Il livello di sensibilizzazione circa lo sviluppo sostenibile del pianeta è, in questi ultimi anni, per fortuna o per necessità, approdato a un livello considerevole raggiungendo, grazie al prezioso lavoro di movimenti e associazioni indipendenti, buona parte dell’opinione pubblica e della società
civile. Contemporaneamente la politica “Verde” e i temi connessi alla tutela delle risorse e del patrimonio ambientale portati all’attenzione con sempre maggior efficacia da giovani politici, spesso con responsabilità di governo, in Inghilterra, Germania, Francia, Spagna e Italia sembrano aver finalmente riportato una svolta vincente dopo aver superato lo sterile ostruzionismo degli anni ‘90. I successi di critica e al botteghino del film-documentario Una scomoda verità dell’ex vicepresidente americano Al Gore premiato con l’Oscar e Still Life di Jia Zhang Ke, Leone d’Oro all’ultima Biennale di Venezia, testimoniano la sensibilità oramai diffusa. Una serie di best-seller editoriali come Gaia, una nuova idea della vita sulla terra di James Lovelock, La rete della vita, una nuova visione della natura e della scienza di Fritjof Capra, H20, una biografia dell’acqua di Philip Ball e L’acqua e il pianeta, la lotta per la vita di Yves Lacoste hanno contribuito con efficacia alla diffusione ed al coinvolgimento popolare. Per quanto riguarda l’Italia, sempre più spesso la Rai (Ambiente Italia, Report, Gaia, AnnoZero…), alcuni quotidiani e settimanali, in particolare La Repubblica, L’Espresso e Il Venerdì dedicano speciali, approfondimenti e pagine intere ad argomenti di ispirazione ecologista: gli allarmanti rapporti sul clima, l’effetto serra, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento del livello dei mari, la diminuzione della portata dei maggiori fiumi del mondo. Troppo di frequente l’attenzione dei media è, però, rivolta esclusivamente a inchieste sull’intreccio tra politica e malaffare o a facili elementi di catastrofismo di sicuro effetto giornalistico più che all’illustrazione di soluzioni e progetti esemplari che possano contribuire a tracciare i necessari riferimenti operativi. Paradossalmente, talvolta, i meno direttamente coinvolti in questa campagna d’opinione globale sono proprio i professionisti impegnati nella reale trasformazione del territorio. Urbanisti, pianificatori, architetti, ingegneri, paesaggisti, geologi, botanici e agronomi, non sempre dimostrano nei loro piani e progetti quella sensibilità e quel grado di ricerca e innovazione richiesto dal delicato momento storico e oramai prassi indispensabile anche per la collettività. Politica, ricerca, programmazione e pratica progettuale sembrano ancora non incontrarsi su un territorio comune, sicuramente non a causa dei presunti costi aggiuntivi di un lavoro multidisciplinare integrato, ma soprattutto per la scarsa propensione alla collaborazione tecnico-scientifica di molti progettisti-artisti. Se esiste un oscar riconosciuto per la costruzione sostenibile, lo stesso non è ancora accaduto per la progettazione specifica della risorsa acqua. Il Water
Prize istituito dall’International Water Institute di Stoccolma è destinato, forse giustamente, più agli sviluppi della ricerca pura o applicata che alla tutela attiva e alle trasformazioni di eccellenza. A una serie di lodevoli iniziative umanitarie promosse da istituzioni e associazioni di rilievo internazionale come la Giornata Mondiale dell’Acqua, il Forum Mondiale dell’Acqua, il Decennio Mondiale dell’Acqua e la Settimana dell’Acqua, non corrispondono esempi altrettanto convincenti e concreti nella pianificazione, nei masterplan e nei progetti locali. In ogni caso un pugno di progettisti illuminati, spesso supportati da istituti di ricerca di fama internazionale o da team multidisciplinari di tecnici e scienziati, perseguono una serie di nuovi concetti nello sviluppo delle città, nelle infrastrutture, nell’architettura, nel paesaggio e nel design. Alcuni come Pietro Laureano, autore tra l’altro di Atlante d’acqua, conoscenze tradizionali per la lotta alla desertificazione, propongono di partire dalle conoscenze tradizionali basate sull’esperienza millenaria del costruire con la natura tipica delle antiche civiltà, altri sostengono vere e proprie innovazioni tecniche e tecnologiche attraverso ricerche e intuizioni originali. Entrambe le soluzioni sembrano perseguibili con successo, nei casi più fortunati la sintonia passato-futuro risulterà straordinariamente fertile. A seguire dunque alcuni esempi paradigmatici del nuovo modo di pensare e progettare la risorsa acqua dalla forte caratterizzazione politica, sociale e culturale che si contrappongono al mero utilizzo “scenografico” e “decorativo” o, nel peggiore dei casi, alla totale indifferenza. - Un’ambiziosa infrastruttura promette di riportare uno spiraglio di pace tra i popoli, da troppo tempo in conflitto, di Giordania, Palestina e Israele. Secondo indiscrezioni rese note da autorevoli quotidiani inglesi Norman Foster, con la consulenza dell’ingegnere Guy Battle, ha elaborato un progetto per il Canale della Pace, collegamento di oltre 200 chilometri di lunghezza e 400 metri di dislivello tra il Mar Rosso e il Mar Morto che, oltre a salvare il Mar Morto dall’evaporazione (30% negli ultimi quarant’anni), consentirebbe, superando una serie di dislivelli, la produzione di notevoli quantità di energia rinnovabile. - Un approccio al paesaggio con un concetto radicalmente nuovo è il Parco di 39 ettari nella periferia di Madrid progettato da Toyo Ito con il supporto del Mikiko Ishikawa Study Group della Keio University. Punto di partenza non è più l’estetica del disegno ma l’esigenza di conservare l’acqua per far crescere la vegetazione in una zona particolarmente arida e presto densamente popolata: il “Water
Tree” assolve a queste funzioni. La gestione dell’acqua, la tutela della biodiversità e le attività dell’uomo guidano il progetto che offrirà presto spazi vitali ai nuovi abitanti della periferia di Madrid. - Una critica al concetto tradizionale di masterplan e una forte attenzione al ciclo e alla gestione delle acque si ritrova in molti progetti recenti di Arup, soprattutto quelli orientati allo sviluppo di nuovi insediamenti urbani, in particolare nell’area metropolitana di Shanghai, dove attraverso un pragmatico approccio di Urbanistica Integrata le più avanzate valutazioni tecnico-scientifiche collegate alla sostenibilità si fondono con la partecipazione attiva dei residenti. - Alcune architetture sperimentano invece l’utilizzo innovativo dell’acqua per la climatizzazione naturale degli spazi, per esempio il padiglione spagnolo per l’Expo di Saragozza 2008 di Francisco Mangado e la sede Arpa di Reggio Emilia di Behnisch & Partners. Se nel primo progetto una selva di “Colonne Ceramiche” ideate e testate con la consulenza del centro di ricerche Cener di Pamplona raccolgono e conservano l’acqua a temperatura costante per poi nebulizzarla verso la zona bassa del portico rinfrescando gli spazi, nel secondo, il sistema Water Wall, sviluppato in collaborazione con i tecnici tedeschi di TransSolar, costituisce un velo d’acqua che scorre sulle vetrate a temperature diverse d’inverno e d’estate, consentendo di mantenere la temperatura interna costante. Esemplificativa del nuovo approccio al progetto etico dell’acqua è la mostra collettiva “H2O, nuovi scenari per la sopravvivenza” curata da Roberto Marcatti e organizzata da un’associazione no-profit con lo scopo di proporre soluzioni efficaci per contrastare le emergenze. L’esposizione itinerante partita dall’Italia porterà in tutto il mondo un messaggio concreto di riflessione e di solidarietà. Basterebbe davvero poco per salvare un gran numero di vite umane attraverso la realizzazione di piccoli pozzi, la manutenzione, la pulizia e la corretta gestione dell’acqua captata. Molti volontari, associazioni e organizzazioni hanno lanciato e intensificheranno campagne di scavo e assistenza alle popolazioni in difficoltà che meritano ampio sostegno. Tuttavia, anche senza essere dotati di particolari vocazioni progettuali o missionarie, tutti noi cittadini dovremmo, nel quotidiano, usare quei piccoli accorgimenti che ci consentirebbero di contribuire al risparmio dell’acqua, così come facciamo comunemente per l’energia, per contrastare dal basso le probabili guerre dell’oro blu che si profilano all’orizzonte in sostituzione di quelle oggi in atto per l’oro nero.
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* Luigi Centola si laurea in Architettura a Napoli nel ‘93, nel ‘96 riceve a Londra il Graduate Design Diploma dall’Architectural Association di Londra, nel ‘98 vince la borsa di studio Fulbright presso l’American Academy di Roma. Nel 2001 fonda Centola & Associati. Lo studio si caratterizza per l’elaborazione di masterplan strategici e progetti architettonici dall’approccio sistemico dove la sostenibilità è posta al centro di una indispensabile riunificazione tra pianificazione, ecologia e paesaggio. Dal 2004 coordina il programma territoriale per il recupero degli opifici dismessi della Costiera Amalfitana. Nel 2005 a Ginevra il masterplan WaterPower per la Valle dei Mulini di Amalfi & Scala vince gli Holcim European Awards per l’architettura sostenibile e nel 2006 a Bangkok è secondo ai Global Awards. È editore di newitalianblood.com, portale interattivo di architettura, paesaggio e design.
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n irreplaceable source of life, our natural heritage, an inalienable, universal right … Water is the cause of serious emergencies in extensive areas of the planet: every day about 30,000 people die for reasons connected with the shortage of water or its poor quality and hygiene. To combat this unacceptable state of affairs, growing numbers of political and humanitarian initiatives aim to spread a message of solidarity, raise funds and send immediate aid to that 25% of the world population without access to the minimum amount of drinking water required for survival. Although water is commonly assumed to be the most abundant element on the planet, fresh water actually accounts for only 2.5% of the total, over two-thirds is trapped in glaciers, a further 30% is located underground, and our lakes, rivers and drainage basins— areas with easy access—represent less than 1%. And, the latest scientific reports warn us, the trend is not encouraging: the capacity of all the world’s largest rivers has dropped dramatically over the last few years, while the levels of our lakes and basins are dangerously low. While this may well be a particularly negative physiological cycle to which the planet will adapt sooner or later, the situation is alarming nonetheless. Whatever the cause, the tangible effect of this state of affairs—compounded by our own unscrupulous behavior—is progressive desertification, a phenomenon that is exacerbating the problems in many regions at risk and, in the worst cases, threatening the survival of entire populations. A no less significant side-effect, in today’s energy-hungry society, is the gradual decrease in production of hydroelectric power. Given this precarious situation, everybody—politicians, professionals, entrepreneurs, farmers and private individuals—should be aware of the need for strategies and methods to prevent and cope with the emergency, as part of a responsible approach to environmental management. Water has to be conserved everywhere, waste has to be eliminated at local level to convey a message that can be easily replicated on a global scale. Sensitivity to sustainable development issues has, fortuitously or necessarily, spread across public opinion and civil society in the last few years, thanks to the invaluable work of independent movements and associations. At the same time, “Green” politics and growing interest in conservation and the environment, fuelled by the increasingly effective work, often at government level, of young politicians in the United Kingdom, Germany, France, Spain and Italy, finally seem to be producing results after overcoming the sterile obstructionism of the 1990s.
The critical and box office success of former US Vice President Al Gore’s Oscar-winning documentary An Inconvenient Truth, and Jia Zhang Ke’s Still Life, winner of the Golden Lion at last year’s Venice Film Festival, are proof of how widespread this awareness is today. A series of best-selling books like Gaia, A New Look At Life On Earth by James Lovelock, The Web of Life: A New Understanding of Living Systems by Fritjof Capra, H2O: A Biography of Water by Philip Ball and The Water: The Fight for Life by Yves Lacoste have helped spread the message to the public at large. As far as Italy is concerned, the RAI state broadcaster (Ambiente Italia, Report, Gaia, AnnoZero…) and many newspapers and weekly magazines, notably La Repubblica, L’Espresso and Il Venerdì, with special issues, in-depth reports and entire pages, devote growing coverage to environmental issues, with alarming reports on the climate, the greenhouse effect, melting glaciers, rising sea levels, the decreasing capacity of the world’s largest rivers. Unfortunately, media attention tends to focus exclusively on ties between politics and corruption or headline-making catastrophes, rather than discuss ideas or projects that offer guidelines for making some real headway. Paradoxically, the people least directly involved in this campaign to sensitize global opinion are the professionals responsible for transforming the land. The plans and projects of townplanners, architects, engineers, landscape designers, geologists, botanists and agronomists do not always reflect the awareness and the degree of research and innovation required by today’s difficult conditions, the sensitivity that should be common practice for the entire community. Politics, research, planning and design have failed so far to find common ground, certainly not because of the extra expenses allegedly involved in interdisciplinary work, but mainly because of the unwillingness of many designers-artists to work on technical-scientific projects. Whereas there are widely acknowledged Oscars for sustainable building, no equivalent award exists as yet for water planning projects. The Water Prize of the International Water Institute in Stockholm focuses, rightly perhaps, on advances in pure or applied research rather than on active protection and cuttingedge transformations. The commendable humanitarian projects organized by international institutions and associations—World Water Day, the World Water Forum, World Water Decade and Water Week—are not matched by equally effective examples of master plans and projects at local level. Nonetheless, a handful of enlightened planners, often backed by worldfamous research institutes or interdisciplinary teams of
technicians and scientists, are working on new ideas in urban development, infrastructures, architecture, landscaping and design. Some, like Pietro Laureano, author of Atlante d’acqua, conoscenze tradizionali per la lotta alla desertificazione, suggest deploying traditional know-how based on centuries of building expertise rooted in ancient civilizations, others advocate authentic technical and technological innovations based on original research and experimentation. Both solutions could be successfully adopted, and in the best instances the combination of past-future could produce great results. A number of emblematic examples appear below of the new political, social and cultural approach to water planning as opposed to the use of water simply for “ornamental” and “decorative” purposes, or, in the worst cases, total indifference toward the water issue. - An ambitious infrastructure project promises to bring a glimmer of peace to the war-torn populations of Jordan, Palestine and Israel. According to unconfirmed reports in well-informed British newspapers, Norman Foster assisted by engineer Guy Battle is working on a Peace Canal linking the Red Sea and the Dead Sea. As well as saving the Dead Sea from completely evaporating (the water has receded 30% over the last forty years), the proposed link—over a distance of more than 200 kilometers and a height difference of 400 meters—would generate huge amounts of renewable energy in negotiating the altitude difference. - A radically new landscape approach is visible in the 39-hectare park in the suburbs of Madrid designed by Toyo Ito with the help of the Mikiko Ishikawa Study Group from Keio University. Rather than create an aesthetically pleasing design, the park sets out to save water and foster vegetation growth in a particularly dry area with a rapidly expanding population. The “Water Tree” serves all these purposes. Managing water, safeguarding bio-diversity and supporting human activities are the guidelines for a project that will soon create a vital space for the new inhabitants in the Madrid suburbs. - A critique of the conventional master plan concept and a priority focus on the water cycle and its management are features of many recent Arup projects, particularly new urban developments. One example is the metropolitan district of Shanghai, where a pragmatic town-planning approach combines the latest technical and scientific theories in sustainability with active participation by local residents. - Certain architectural designs experiment with innovative use of water for natural climatization, for example the Spanish Pavilion for Expo Zaragoza 2008 designed by Francisco Mangado, or the ARPA office
building in Reggio Emilia designed by Behnisch & Partners. In the first project, a forest of “Ceramic Columns” designed and tested under the supervision of the CENER Research Center in Pamplona collect and store water at a constant temperature, before it is atomized into a fine cooling mist in the lower section of the portico; in the second project, a Water Wall system developed in cooperation with Germany’s TransSolar forms a sheet of water running down the glass panes at different temperatures in summer and winter, to keep the office interiors at a steady temperature. The emergency-relief exhibition entitled “H2O, New Ways Of Surviving”, curated by Roberto Marcatti and organized by a non-profit organization, exemplifies the new approach to ethical water projects. Launched in Italy, this traveling exhibition will convey a tangible message of solidarity all over the world. All it takes to save huge numbers of human lives is to build and maintain small wells, and manage the collected water properly. Countless volunteers, associations and organizations have launched and intensified digs and campaigns to aid struggling populations. And even though most of us have no particular vocation for design or missionary work, we can all take small precautions in our daily lives to help save water (in the same way that we turn off the lights to save electricity). The blue gold wars that threaten to take the place of today’s black gold wars are a danger that each one of us can fight.
* Luigi Centola graduated in Architecture in Naples in 1993. In 1996 he was awarded a Graduate Design Diploma by the Architectural Association of London, and in 1998 won a Fulbright scholarship at the American Academy in Rome. In 2001 he set up the Centola & Associati firm, specializing in strategic master plans and systemic architectural projects that place sustainability at the heart of an approach combining planning, ecology and landscaping. In 2004, Centola was appointed coordinator of the territorial redevelopment program for the abandoned factories along the Amalfi Coast. The Water Power master plan for the Valle dei Mulini in Amalfi & Scala won the 2005 Holcim European Awards for sustainable architecture in Geneva and came second in the 2006 Global Awards in Bangkok. Centola is the editor of newitalianblood.com, an interactive architecture, landscape and design portal.
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n irreplaceable source of life, our natural heritage, an inalienable, universal right … Water is the cause of serious emergencies in extensive areas of the planet: every day about 30,000 people die for reasons connected with the shortage of water or its poor quality and hygiene. To combat this unacceptable state of affairs, growing numbers of political and humanitarian initiatives aim to spread a message of solidarity, raise funds and send immediate aid to that 25% of the world population without access to the minimum amount of drinking water required for survival. Although water is commonly assumed to be the most abundant element on the planet, fresh water actually accounts for only 2.5% of the total, over two-thirds is trapped in glaciers, a further 30% is located underground, and our lakes, rivers and drainage basins— areas with easy access—represent less than 1%. And, the latest scientific reports warn us, the trend is not encouraging: the capacity of all the world’s largest rivers has dropped dramatically over the last few years, while the levels of our lakes and basins are dangerously low. While this may well be a particularly negative physiological cycle to which the planet will adapt sooner or later, the situation is alarming nonetheless. Whatever the cause, the tangible effect of this state of affairs—compounded by our own unscrupulous behavior—is progressive desertification, a phenomenon that is exacerbating the problems in many regions at risk and, in the worst cases, threatening the survival of entire populations. A no less significant side-effect, in today’s energy-hungry society, is the gradual decrease in production of hydroelectric power. Given this precarious situation, everybody—politicians, professionals, entrepreneurs, farmers and private individuals—should be aware of the need for strategies and methods to prevent and cope with the emergency, as part of a responsible approach to environmental management. Water has to be conserved everywhere, waste has to be eliminated at local level to convey a message that can be easily replicated on a global scale. Sensitivity to sustainable development issues has, fortuitously or necessarily, spread across public opinion and civil society in the last few years, thanks to the invaluable work of independent movements and associations. At the same time, “Green” politics and growing interest in conservation and the environment, fuelled by the increasingly effective work, often at government level, of young politicians in the United Kingdom, Germany, France, Spain and Italy, finally seem to be producing results after overcoming the sterile obstructionism of the 1990s.
The critical and box office success of former US Vice President Al Gore’s Oscar-winning documentary An Inconvenient Truth, and Jia Zhang Ke’s Still Life, winner of the Golden Lion at last year’s Venice Film Festival, are proof of how widespread this awareness is today. A series of best-selling books like Gaia, A New Look At Life On Earth by James Lovelock, The Web of Life: A New Understanding of Living Systems by Fritjof Capra, H2O: A Biography of Water by Philip Ball and The Water: The Fight for Life by Yves Lacoste have helped spread the message to the public at large. As far as Italy is concerned, the RAI state broadcaster (Ambiente Italia, Report, Gaia, AnnoZero…) and many newspapers and weekly magazines, notably La Repubblica, L’Espresso and Il Venerdì, with special issues, in-depth reports and entire pages, devote growing coverage to environmental issues, with alarming reports on the climate, the greenhouse effect, melting glaciers, rising sea levels, the decreasing capacity of the world’s largest rivers. Unfortunately, media attention tends to focus exclusively on ties between politics and corruption or headline-making catastrophes, rather than discuss ideas or projects that offer guidelines for making some real headway. Paradoxically, the people least directly involved in this campaign to sensitize global opinion are the professionals responsible for transforming the land. The plans and projects of townplanners, architects, engineers, landscape designers, geologists, botanists and agronomists do not always reflect the awareness and the degree of research and innovation required by today’s difficult conditions, the sensitivity that should be common practice for the entire community. Politics, research, planning and design have failed so far to find common ground, certainly not because of the extra expenses allegedly involved in interdisciplinary work, but mainly because of the unwillingness of many designers-artists to work on technical-scientific projects. Whereas there are widely acknowledged Oscars for sustainable building, no equivalent award exists as yet for water planning projects. The Water Prize of the International Water Institute in Stockholm focuses, rightly perhaps, on advances in pure or applied research rather than on active protection and cuttingedge transformations. The commendable humanitarian projects organized by international institutions and associations—World Water Day, the World Water Forum, World Water Decade and Water Week—are not matched by equally effective examples of master plans and projects at local level. Nonetheless, a handful of enlightened planners, often backed by worldfamous research institutes or interdisciplinary teams of
technicians and scientists, are working on new ideas in urban development, infrastructures, architecture, landscaping and design. Some, like Pietro Laureano, author of Atlante d’acqua, conoscenze tradizionali per la lotta alla desertificazione, suggest deploying traditional know-how based on centuries of building expertise rooted in ancient civilizations, others advocate authentic technical and technological innovations based on original research and experimentation. Both solutions could be successfully adopted, and in the best instances the combination of past-future could produce great results. A number of emblematic examples appear below of the new political, social and cultural approach to water planning as opposed to the use of water simply for “ornamental” and “decorative” purposes, or, in the worst cases, total indifference toward the water issue. - An ambitious infrastructure project promises to bring a glimmer of peace to the war-torn populations of Jordan, Palestine and Israel. According to unconfirmed reports in well-informed British newspapers, Norman Foster assisted by engineer Guy Battle is working on a Peace Canal linking the Red Sea and the Dead Sea. As well as saving the Dead Sea from completely evaporating (the water has receded 30% over the last forty years), the proposed link—over a distance of more than 200 kilometers and a height difference of 400 meters—would generate huge amounts of renewable energy in negotiating the altitude difference. - A radically new landscape approach is visible in the 39-hectare park in the suburbs of Madrid designed by Toyo Ito with the help of the Mikiko Ishikawa Study Group from Keio University. Rather than create an aesthetically pleasing design, the park sets out to save water and foster vegetation growth in a particularly dry area with a rapidly expanding population. The “Water Tree” serves all these purposes. Managing water, safeguarding bio-diversity and supporting human activities are the guidelines for a project that will soon create a vital space for the new inhabitants in the Madrid suburbs. - A critique of the conventional master plan concept and a priority focus on the water cycle and its management are features of many recent Arup projects, particularly new urban developments. One example is the metropolitan district of Shanghai, where a pragmatic town-planning approach combines the latest technical and scientific theories in sustainability with active participation by local residents. - Certain architectural designs experiment with innovative use of water for natural climatization, for example the Spanish Pavilion for Expo Zaragoza 2008 designed by Francisco Mangado, or the ARPA office
building in Reggio Emilia designed by Behnisch & Partners. In the first project, a forest of “Ceramic Columns” designed and tested under the supervision of the CENER Research Center in Pamplona collect and store water at a constant temperature, before it is atomized into a fine cooling mist in the lower section of the portico; in the second project, a Water Wall system developed in cooperation with Germany’s TransSolar forms a sheet of water running down the glass panes at different temperatures in summer and winter, to keep the office interiors at a steady temperature. The emergency-relief exhibition entitled “H2O, New Ways Of Surviving”, curated by Roberto Marcatti and organized by a non-profit organization, exemplifies the new approach to ethical water projects. Launched in Italy, this traveling exhibition will convey a tangible message of solidarity all over the world. All it takes to save huge numbers of human lives is to build and maintain small wells, and manage the collected water properly. Countless volunteers, associations and organizations have launched and intensified digs and campaigns to aid struggling populations. And even though most of us have no particular vocation for design or missionary work, we can all take small precautions in our daily lives to help save water (in the same way that we turn off the lights to save electricity). The blue gold wars that threaten to take the place of today’s black gold wars are a danger that each one of us can fight.
* Luigi Centola graduated in Architecture in Naples in 1993. In 1996 he was awarded a Graduate Design Diploma by the Architectural Association of London, and in 1998 won a Fulbright scholarship at the American Academy in Rome. In 2001 he set up the Centola & Associati firm, specializing in strategic master plans and systemic architectural projects that place sustainability at the heart of an approach combining planning, ecology and landscaping. In 2004, Centola was appointed coordinator of the territorial redevelopment program for the abandoned factories along the Amalfi Coast. The Water Power master plan for the Valle dei Mulini in Amalfi & Scala won the 2005 Holcim European Awards for sustainable architecture in Geneva and came second in the 2006 Global Awards in Bangkok. Centola is the editor of newitalianblood.com, an interactive architecture, landscape and design portal.
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CONFINI D’ACQUA WATER BOUNDARIES
Nel segno del Dragone In the Dragon's Name Hong Kong, concorso di progettazione per la riqualificazione del distretto di West Kowloon Hong Kong, West Kowloon Reclamation Concept Plan Competition Progetti di autori vari Projects by various architects
C
he il mondo stia attraversando mutamenti epocali è cosa nota, ma da qualche anno l’attenzione è particolarmente rivolta verso l’Estremo Oriente, in questo caso verso Hong Kong, dove il cambiamento corre veloce come da nessuna altra parte. Silhouette draghista, quanto basta per giustificare una morfologia simbolica omaggiante tradizioni e cultura locali; forma ondeggiante non fine a se stessa, ma generata dall’impiego di sofisticate tecnologie destinate alla realizzazione di un’immensa calotta trasparente che ingloba in un unico volume una porzione di città in cui non manca nulla; infine, un investimento da capogiro di ventiquattro miliardi di dollari HK: ecco la magica triade che rappresenterà mirabilmente Hong Kong come luogo di importante innovazione nella concezione di spazi urbani a microclima controllato. Il progetto di Foster+Partners risulta vincitore su 161 proposte presentate, di cui settantuno autoctone. Ottimo risultato: si tenga conto che se avesse vinto un progetto asiatico sarebbe crollato un mito da sempre portatore di grandi incarichi progettuali ad architetti occidentali. La riqualificazione del distretto di West Kowloon, oltre a essere un’importante occasione per Hong Kong quale credenziale per enormi business turistici, economici, ma anche finanziari, per il mondo del progetto è un modo
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In queste pagine e alle pagine 34 e 35, il progetto di Foster+Partners, vincitore del Primo Premio. These pages and pages 34 and 35, First Prize-winning project by Foster+Partners.
per verificare dal vero (e poterne quindi trarre utili indicazioni per futuri interventi, anche a livello europeo) quali problematiche emergono nella gestione di macrostrutture fuori dell’ordinario. La singolarità tipologica del complesso ha richiesto un notevole sforzo progettuale e sarebbe fuorviante pensare che l’intervento sia da ascrivere alla routine semiburocratica del piano urbanistico o dello schema planivolumetrico tradizionale. Si tratta, infatti, di un concept perfettamente organico alla configurazione architettonica del tutto. Altro che master plan. Si tratta di far sorgere da zero una complessa struttura in un’area dove prima c’era il nulla. Quindi un percorso senza l’assist di spazi di riuso, nessuna riconversione che permetta di lavorare su qualcosa di concreto. Un’occasione unica per verificare i gradi di approfondimento di cui si dovrà tener conto in futuro per meglio organizzare interi distretti con funzioni legate alla fruizione di opere d’arte, di spazi dedicati al tempo libero e quanto di simile. Insomma, come organizzare al meglio la complessità tipologica di un vero drago dispensatore di felicità, ovvero di nuove modalità del vivere la modernità non solo attraverso una ricchezza diffusa ma anche attraverso l’impiego di un tempo libero sempre più ampio e qualitativamente condivisibile.
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CONFINI D’ACQUA WATER BOUNDARIES
Nel segno del Dragone In the Dragon's Name Hong Kong, concorso di progettazione per la riqualificazione del distretto di West Kowloon Hong Kong, West Kowloon Reclamation Concept Plan Competition Progetti di autori vari Projects by various architects
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he il mondo stia attraversando mutamenti epocali è cosa nota, ma da qualche anno l’attenzione è particolarmente rivolta verso l’Estremo Oriente, in questo caso verso Hong Kong, dove il cambiamento corre veloce come da nessuna altra parte. Silhouette draghista, quanto basta per giustificare una morfologia simbolica omaggiante tradizioni e cultura locali; forma ondeggiante non fine a se stessa, ma generata dall’impiego di sofisticate tecnologie destinate alla realizzazione di un’immensa calotta trasparente che ingloba in un unico volume una porzione di città in cui non manca nulla; infine, un investimento da capogiro di ventiquattro miliardi di dollari HK: ecco la magica triade che rappresenterà mirabilmente Hong Kong come luogo di importante innovazione nella concezione di spazi urbani a microclima controllato. Il progetto di Foster+Partners risulta vincitore su 161 proposte presentate, di cui settantuno autoctone. Ottimo risultato: si tenga conto che se avesse vinto un progetto asiatico sarebbe crollato un mito da sempre portatore di grandi incarichi progettuali ad architetti occidentali. La riqualificazione del distretto di West Kowloon, oltre a essere un’importante occasione per Hong Kong quale credenziale per enormi business turistici, economici, ma anche finanziari, per il mondo del progetto è un modo
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In queste pagine e alle pagine 34 e 35, il progetto di Foster+Partners, vincitore del Primo Premio. These pages and pages 34 and 35, First Prize-winning project by Foster+Partners.
per verificare dal vero (e poterne quindi trarre utili indicazioni per futuri interventi, anche a livello europeo) quali problematiche emergono nella gestione di macrostrutture fuori dell’ordinario. La singolarità tipologica del complesso ha richiesto un notevole sforzo progettuale e sarebbe fuorviante pensare che l’intervento sia da ascrivere alla routine semiburocratica del piano urbanistico o dello schema planivolumetrico tradizionale. Si tratta, infatti, di un concept perfettamente organico alla configurazione architettonica del tutto. Altro che master plan. Si tratta di far sorgere da zero una complessa struttura in un’area dove prima c’era il nulla. Quindi un percorso senza l’assist di spazi di riuso, nessuna riconversione che permetta di lavorare su qualcosa di concreto. Un’occasione unica per verificare i gradi di approfondimento di cui si dovrà tener conto in futuro per meglio organizzare interi distretti con funzioni legate alla fruizione di opere d’arte, di spazi dedicati al tempo libero e quanto di simile. Insomma, come organizzare al meglio la complessità tipologica di un vero drago dispensatore di felicità, ovvero di nuove modalità del vivere la modernità non solo attraverso una ricchezza diffusa ma anche attraverso l’impiego di un tempo libero sempre più ampio e qualitativamente condivisibile.
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I
t is a well-known fact that the world is in the throes of epochal change, but for a number of years now attention has focused mainly on the Far East, in this case Hong Kong, where changes take place even faster than anywhere else. Dragon-shaped silhouettes that create a symbolic morphology paying tribute to local traditions and culture; an undulating form not just for its own sake but generated from the use of sophisticated technology to construct a huge transparent calotte encompassing a portion of the city in a single all-embracing structure; finally, a startling investment of 24 billion HK dollars. This magical triad will make Hong Kong a highly innovative and emblematic example of the
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design of urban spaces with controlled microclimates. The project designed by Foster+Partners was chosen from 161 entries, 71 by local firms. A great victory, bearing in mind that if an Asian project had been selected it would have been a remarkable departure from the unwritten rule that major design contracts are always assigned to Western architects. As well as being a wonderful opportunity for Hong Kong to add to its credentials for big business in tourism, economics and finance, the West Kowloon Reclamation Concept Plan also provided the design world with the chance to assess in the field—thereby drawing useful guidelines for future projects, even in
Europe—the problems involved in managing macrostructures of extraordinary scope and size. The stylistic singularity of the complex called for a remarkable effort during the design process, and it would be misleading to claim that the project is just another instance of the semi-bureaucratic routine practice of designing a conventional urban master plan or planivolumetric scheme. The overall architectural configuration is actually an entirely organic concept. Anything but a master plan. It involved building a complex structure out of nothing in an area that was previously deserted. In other words, there were no reusable spaces to assist the process, no conversion operations to provide some-
thing concrete to work on. The project was also a unique opportunity to assess the challenges to be faced in the future when reorganizing entire neighborhoods to serve specific functions, promote works of art, design spaces for leisure, and so on. In other words, the best way to handle the stylistic complexity of an authentic dragon of happiness or, in a nutshell, new ways of experiencing modernity not just through widespread wealth but also by making use of more quality free time.
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I
t is a well-known fact that the world is in the throes of epochal change, but for a number of years now attention has focused mainly on the Far East, in this case Hong Kong, where changes take place even faster than anywhere else. Dragon-shaped silhouettes that create a symbolic morphology paying tribute to local traditions and culture; an undulating form not just for its own sake but generated from the use of sophisticated technology to construct a huge transparent calotte encompassing a portion of the city in a single all-embracing structure; finally, a startling investment of 24 billion HK dollars. This magical triad will make Hong Kong a highly innovative and emblematic example of the
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design of urban spaces with controlled microclimates. The project designed by Foster+Partners was chosen from 161 entries, 71 by local firms. A great victory, bearing in mind that if an Asian project had been selected it would have been a remarkable departure from the unwritten rule that major design contracts are always assigned to Western architects. As well as being a wonderful opportunity for Hong Kong to add to its credentials for big business in tourism, economics and finance, the West Kowloon Reclamation Concept Plan also provided the design world with the chance to assess in the field—thereby drawing useful guidelines for future projects, even in
Europe—the problems involved in managing macrostructures of extraordinary scope and size. The stylistic singularity of the complex called for a remarkable effort during the design process, and it would be misleading to claim that the project is just another instance of the semi-bureaucratic routine practice of designing a conventional urban master plan or planivolumetric scheme. The overall architectural configuration is actually an entirely organic concept. Anything but a master plan. It involved building a complex structure out of nothing in an area that was previously deserted. In other words, there were no reusable spaces to assist the process, no conversion operations to provide some-
thing concrete to work on. The project was also a unique opportunity to assess the challenges to be faced in the future when reorganizing entire neighborhoods to serve specific functions, promote works of art, design spaces for leisure, and so on. In other words, the best way to handle the stylistic complexity of an authentic dragon of happiness or, in a nutshell, new ways of experiencing modernity not just through widespread wealth but also by making use of more quality free time.
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Progetto di Minoru Takeyama, cui è stata assegnata la Menzione d’Onore. Minoru Takeyama’s project, which received an Honorable Commendation.
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Progetto di Philip Y.K. Liao, cui è stato assegnato il Secondo Premio.
Philip Y.K. Liao’s Second Prize-winning project.
Progetto di Minoru Takeyama, cui è stata assegnata la Menzione d’Onore. Minoru Takeyama’s project, which received an Honorable Commendation.
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Progetto di Philip Y.K. Liao, cui è stato assegnato il Secondo Premio.
Philip Y.K. Liao’s Second Prize-winning project.
Progetto di Alan Macdonald, Urbis-LPT (Architects) Association, Menzione d’Onore.
Alan Macdonald’s project, Urbis-LPT (Architects) Association, which received an Honorable Commendation.
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Progetto di Sen Kee Yim, Menzione d’Onore. Sen Kee Yim’s project, which received an Honorable Commendation.
Progetto di Alan Macdonald, Urbis-LPT (Architects) Association, Menzione d’Onore.
Alan Macdonald’s project, Urbis-LPT (Architects) Association, which received an Honorable Commendation.
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Progetto di Sen Kee Yim, Menzione d’Onore. Sen Kee Yim’s project, which received an Honorable Commendation.
In queste pagine, il progetto di Wong Pun & Partners. These pages, the project by Wong Pun & Partners.
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In queste pagine, il progetto di Wong Pun & Partners. These pages, the project by Wong Pun & Partners.
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CONFINI D’ACQUA WATER BOUNDARIES
Filosofiche emozioni Philosophical Emotions Confederazione Svizzera, Expo.02 Swiss Confederation, Expo.02 Progetti di Coop Himmelb(l)au, Multipack, Diller&Scofidio, Jean Nouvel Projects by Coop Himmelb(l)au, Multipack, Diller&Scofidio, Jean Nouvel
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Dettagli e, pagina a fianco, le tre torri progettate da Coop Himmelb(l)au. Il complesso poggia su una piattaforma galleggiante. Details and, opposite page, the three towers designed by Coop Himmelb(l)au. The complex rests on a floating platform.
P
er come sono andate le cose, è facile immaginare quale sia stato il clima ideativo del progetto Expo.02. Il tutto inizia nel 1998 allorquando la Confederazione Elvetica bandisce un concorso internazionale per la realizzazione di una superficie espositiva di 475 mila metri quadrati, distribuita in quattro città: Bienne, Morat, Neuchâtel e Yverdon-les-Bains. La location è la Regione dei Tre Laghi, territorio quanto mai affascinante e ricco di suggestioni, sia sul piano paesaggistico sia per le preesistenze medievali diffuse un po’ ovunque. Gli spazi offerti dai grandi specchi d’acqua hanno indotto a riflessioni di grande respiro filosofico, visto che gli organizzatori hanno voluto scavare all’interno di grandi profondità esistenziali, riemergendo carichi di materiali preziosi, per certi versi straordinari ma anche non facilmente decrittabili come “Potere e Libertà”, “Istante ed Eternità” ecc. L’intervento di più grande respiro architettonico è l’Artplage, articolazione linguistica che definisce un territorio sperimentale dove all’architetto si chiede di interpretare tridimensionalmente concetti di assoluta ambiguità, sia nell’accezione generale sia nella metodologia di traslitterazione fra concetto filosofico e forma architettonica. Artplage è una sottile prova d’architetto trasversale che vede all’opera grandi progettisti impegnati in un’operazione di estrema sintesi simbolica dove l’architettura si misura con la sdrucciolevole tipologia del monumento. Fortunatamente, a suggerire un assist di non poco conto vi è l’idea di intervenire in quella sorta di terra di mezzo
costituita dalla sottile soglia formata dal lago che incontra la terraferma, là dove ogni elemento costruito trova nel rispecchiamento la sublimazione narcisistica della sua esistenza cosmica. Tra gli obiettivi di Artplage, la creazione di nuovi paesaggi di connessione fra lo spazio urbano e l’elemento acqua, componente basico dell’universo. Quattro città rivierasche fanno da fondale storico ad architetture contemporanee svincolate da proposizioni commerciali o autoreferenziali. Per Bienne, il gruppo Coop Himmelb(l)au propone tre torri (destinate a raccontare il tema “Potere e Libertà”) su una piattaforma collegata alla terraferma attraverso un ponte lungo 450 metri, con variazioni di quota altimetrica comprese fra i trenta e i quaranta metri. Da par suo, Jean Nouvel si misura intervenendo nella città di Morat sul tema “Istante ed Eternità” ridando all’architettura l’aura metafisica del silenzio, della presenza/assenza mutuata attraverso un cubo a scala lacustre quale metafora di una possibile architettura della città fuori dallo spazio urbano convenzionale. A Neuchâtel, “Natura e Artificio”, ovvero un progetto multidisciplinare coordinato dal gruppo Multipack che dà vita a una struttura dalla forte valenza relazionale fra la tecnologia e l’ambiente naturale. A Yverdon-les-Bains, Elisabeth Diller & Ricardo Scofidio interpretano “Io e l’Universo” da veri illusionisti del progetto: la “Nuvola” è infatti una vera e propria messinscena dell’impossibile reso possibile dalla grande creatività dello studio di architettura newyorchese.
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CONFINI D’ACQUA WATER BOUNDARIES
Filosofiche emozioni Philosophical Emotions Confederazione Svizzera, Expo.02 Swiss Confederation, Expo.02 Progetti di Coop Himmelb(l)au, Multipack, Diller&Scofidio, Jean Nouvel Projects by Coop Himmelb(l)au, Multipack, Diller&Scofidio, Jean Nouvel
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Dettagli e, pagina a fianco, le tre torri progettate da Coop Himmelb(l)au. Il complesso poggia su una piattaforma galleggiante. Details and, opposite page, the three towers designed by Coop Himmelb(l)au. The complex rests on a floating platform.
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er come sono andate le cose, è facile immaginare quale sia stato il clima ideativo del progetto Expo.02. Il tutto inizia nel 1998 allorquando la Confederazione Elvetica bandisce un concorso internazionale per la realizzazione di una superficie espositiva di 475 mila metri quadrati, distribuita in quattro città: Bienne, Morat, Neuchâtel e Yverdon-les-Bains. La location è la Regione dei Tre Laghi, territorio quanto mai affascinante e ricco di suggestioni, sia sul piano paesaggistico sia per le preesistenze medievali diffuse un po’ ovunque. Gli spazi offerti dai grandi specchi d’acqua hanno indotto a riflessioni di grande respiro filosofico, visto che gli organizzatori hanno voluto scavare all’interno di grandi profondità esistenziali, riemergendo carichi di materiali preziosi, per certi versi straordinari ma anche non facilmente decrittabili come “Potere e Libertà”, “Istante ed Eternità” ecc. L’intervento di più grande respiro architettonico è l’Artplage, articolazione linguistica che definisce un territorio sperimentale dove all’architetto si chiede di interpretare tridimensionalmente concetti di assoluta ambiguità, sia nell’accezione generale sia nella metodologia di traslitterazione fra concetto filosofico e forma architettonica. Artplage è una sottile prova d’architetto trasversale che vede all’opera grandi progettisti impegnati in un’operazione di estrema sintesi simbolica dove l’architettura si misura con la sdrucciolevole tipologia del monumento. Fortunatamente, a suggerire un assist di non poco conto vi è l’idea di intervenire in quella sorta di terra di mezzo
costituita dalla sottile soglia formata dal lago che incontra la terraferma, là dove ogni elemento costruito trova nel rispecchiamento la sublimazione narcisistica della sua esistenza cosmica. Tra gli obiettivi di Artplage, la creazione di nuovi paesaggi di connessione fra lo spazio urbano e l’elemento acqua, componente basico dell’universo. Quattro città rivierasche fanno da fondale storico ad architetture contemporanee svincolate da proposizioni commerciali o autoreferenziali. Per Bienne, il gruppo Coop Himmelb(l)au propone tre torri (destinate a raccontare il tema “Potere e Libertà”) su una piattaforma collegata alla terraferma attraverso un ponte lungo 450 metri, con variazioni di quota altimetrica comprese fra i trenta e i quaranta metri. Da par suo, Jean Nouvel si misura intervenendo nella città di Morat sul tema “Istante ed Eternità” ridando all’architettura l’aura metafisica del silenzio, della presenza/assenza mutuata attraverso un cubo a scala lacustre quale metafora di una possibile architettura della città fuori dallo spazio urbano convenzionale. A Neuchâtel, “Natura e Artificio”, ovvero un progetto multidisciplinare coordinato dal gruppo Multipack che dà vita a una struttura dalla forte valenza relazionale fra la tecnologia e l’ambiente naturale. A Yverdon-les-Bains, Elisabeth Diller & Ricardo Scofidio interpretano “Io e l’Universo” da veri illusionisti del progetto: la “Nuvola” è infatti una vera e propria messinscena dell’impossibile reso possibile dalla grande creatività dello studio di architettura newyorchese.
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In queste pagine, planimetrie delle quattro Artplage, organizzate nella Regione dei Tre Laghi.
J
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udging by events, it is easy to imagine the kind of creative planning that went into the project for Expo.02. Everything began in 1998 when the Swiss Confederation launched an international competition for a new exhibition area covering 475,000 m2, spread over four cities: Bienne, Morat, Neuchâtel and Yverdonles-Bains. The location is the Three Lakes Region, a truly striking and fascinating area for both its landscape and widespread medieval ruins. The vast spaces offered by the huge lakes encouraged a deeply philosophical line of thinking, as the organizers delved down to profound existential depths, re-emerging with precious and, in certain respects, truly extraordinary materials that are not easily described: “Power and Freedom”, “Instant and Eternity”, etc. The most important architectural project is Artplage, a linguistic tag used to describe an experimental area where architects have been asked to provide a threedimensional reading of certain highly ambiguous concepts, both generally speaking and in terms of their transliterative methodology, somewhere between a philosophical concept and architectural form. Artplage is a subtle test for an all-encompassing architect, which has seen leading designers involved in an operation of great symbolic synthesis in which architecture was expected to measure up to the slippery terrain of monuments. Fortunately, a helping hand came from the idea of operating in a sort of in-between area, the nar-
row strip where the lake meets dry land, the exact point where the cosmic existence of any manmade construction is narcissistically sublimated through reflection. One of the targets of Artplage was to create new landscapes connecting urban space to water, one of the most fundamental components of the universe. Four lakeside cities provided the historical backdrop for modern-day works of architecture free from commercial or self-referential constraints. For Bienne, the Coop Himmelb(l)au team has designed three towers— designed to embody the theme of “Power and Freedom”—built on a platform connected to dry land by a 450 m bridge at heights between 30 and 40 m. For his part, Jean Nouvel has worked on the theme of “Instant and Eternity” in the city of Morat, restoring the metaphysical aura of silence to architecture through the presence/absence of a lake-scale cube as a metaphor for a possible form of urban architecture outside the conventional cityscape. The Multipack team has coordinated a multidisciplinary project entitled “Nature and Artifice” for the city of Neuchâtel, creating a structure designed to bring technology and the natural environment together. Elisabeth Diller & Ricardo Scofidio, on the other hand, have produced a highly illusionary rendition of “The Universe and I” in Yverdon-les-Bains: the “Cloud” is an authentic staging of the impossible made possible by this highly creative architectural firm from New York.
These pages, site plan of the four Artplages located in the Three Lakes Region.
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In queste pagine, planimetrie delle quattro Artplage, organizzate nella Regione dei Tre Laghi.
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udging by events, it is easy to imagine the kind of creative planning that went into the project for Expo.02. Everything began in 1998 when the Swiss Confederation launched an international competition for a new exhibition area covering 475,000 m2, spread over four cities: Bienne, Morat, Neuchâtel and Yverdonles-Bains. The location is the Three Lakes Region, a truly striking and fascinating area for both its landscape and widespread medieval ruins. The vast spaces offered by the huge lakes encouraged a deeply philosophical line of thinking, as the organizers delved down to profound existential depths, re-emerging with precious and, in certain respects, truly extraordinary materials that are not easily described: “Power and Freedom”, “Instant and Eternity”, etc. The most important architectural project is Artplage, a linguistic tag used to describe an experimental area where architects have been asked to provide a threedimensional reading of certain highly ambiguous concepts, both generally speaking and in terms of their transliterative methodology, somewhere between a philosophical concept and architectural form. Artplage is a subtle test for an all-encompassing architect, which has seen leading designers involved in an operation of great symbolic synthesis in which architecture was expected to measure up to the slippery terrain of monuments. Fortunately, a helping hand came from the idea of operating in a sort of in-between area, the nar-
row strip where the lake meets dry land, the exact point where the cosmic existence of any manmade construction is narcissistically sublimated through reflection. One of the targets of Artplage was to create new landscapes connecting urban space to water, one of the most fundamental components of the universe. Four lakeside cities provided the historical backdrop for modern-day works of architecture free from commercial or self-referential constraints. For Bienne, the Coop Himmelb(l)au team has designed three towers— designed to embody the theme of “Power and Freedom”—built on a platform connected to dry land by a 450 m bridge at heights between 30 and 40 m. For his part, Jean Nouvel has worked on the theme of “Instant and Eternity” in the city of Morat, restoring the metaphysical aura of silence to architecture through the presence/absence of a lake-scale cube as a metaphor for a possible form of urban architecture outside the conventional cityscape. The Multipack team has coordinated a multidisciplinary project entitled “Nature and Artifice” for the city of Neuchâtel, creating a structure designed to bring technology and the natural environment together. Elisabeth Diller & Ricardo Scofidio, on the other hand, have produced a highly illusionary rendition of “The Universe and I” in Yverdon-les-Bains: the “Cloud” is an authentic staging of the impossible made possible by this highly creative architectural firm from New York.
These pages, site plan of the four Artplages located in the Three Lakes Region.
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Le tre torri di Coop Himmelb(l)au sono alte circa quaranta metri e pesano circa 120 tonnellate ciascuna. The three towers by Coop Himmelb(l)au are approximately 40 meters high and each weighs about 120 tons.
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Le tre torri di Coop Himmelb(l)au sono alte circa quaranta metri e pesano circa 120 tonnellate ciascuna. The three towers by Coop Himmelb(l)au are approximately 40 meters high and each weighs about 120 tons.
In queste pagine, il monolito progettato da Jean Nouvel per l’Artplage di Morat.
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These pages, the monolith designed by Jean Nouvel for the Artplage in Morat.
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In queste pagine, il monolito progettato da Jean Nouvel per l’Artplage di Morat.
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These pages, the monolith designed by Jean Nouvel for the Artplage in Morat.
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Il cubo nel rapporto con il lago. Pagina a fianco, dettaglio del cubo: la struttura misura 34 metri ed è rivestita di lastre in acciaio ossidato. The cube as it relates to the lake. Opposite page, detail of the cube. The structure measures 34 meters and is covered with stainless steel plating.
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Il cubo nel rapporto con il lago. Pagina a fianco, dettaglio del cubo: la struttura misura 34 metri ed è rivestita di lastre in acciaio ossidato. The cube as it relates to the lake. Opposite page, detail of the cube. The structure measures 34 meters and is covered with stainless steel plating.
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Complesso denominato “Tre Ciottoli”, realizzato a Neuchâtel, progettato dal gruppo Multipack. The “Three Tiles” complex built in Neuchâtel by the Multipack team.
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Complesso denominato “Tre Ciottoli”, realizzato a Neuchâtel, progettato dal gruppo Multipack. The “Three Tiles” complex built in Neuchâtel by the Multipack team.
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In queste pagine, dettagli di “Tre Ciottoli” e, al centro, il “Palais de l’Equilibre”, una gigantesca sfera nell’Artplage di Neuchâtel.
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These pages, details of the “Three Tiles” and, center page, the “Palais de l’Equilibre”, a giant sphere in the Artplage in Neuchâtel.
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In queste pagine, dettagli di “Tre Ciottoli” e, al centro, il “Palais de l’Equilibre”, una gigantesca sfera nell’Artplage di Neuchâtel.
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These pages, details of the “Three Tiles” and, center page, the “Palais de l’Equilibre”, a giant sphere in the Artplage in Neuchâtel.
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La “Nuvola” galleggiante, realizzata su progetto di Elisabeth Diller & Ricardo Scofidio, è stata allestita a Yverdon-les-Bains. The floating “Cloud” designed by Elisabeth Diller & Ricardo Scofidio has been constructed in Yverdon-les-Bains.
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La “Nuvola” galleggiante, realizzata su progetto di Elisabeth Diller & Ricardo Scofidio, è stata allestita a Yverdon-les-Bains. The floating “Cloud” designed by Elisabeth Diller & Ricardo Scofidio has been constructed in Yverdon-les-Bains.
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CONFINI D’ACQUA WATER BOUNDARIES
In cerca di spazio vitale In Search of Vital Space Shanghai, Luchao Harbor City Shanghai, Luchao Harbor City Progetto di GMP – von Gerkan, Marg + Partner – Architects Project by GMP – von Gerkan, Marg + Partner – Architects
C
he la Cina sia da parecchio tempo oggetto di attenta osservazione non vuol dire che l’Occidente sia consapevole di ciò che quel grande paese è in grado di produrre. Dopo l’era dell’informatica diffusa, dopo averci stupito con effetti speciali (vedasi la perfetta copia di una fiammante auto della Ferrari) e quanto ancora sia potenzialmente clonabile, ora è il momento delle grandi metropoli di fondazione, destinate a “colonizzare” territori vasti come nazioni europee. Luchao Harbor City è il progetto di un insediamento da realizzare nei pressi di Shanghai. L’occasione è interessante anche per il suo portato storico: Frank Lloyd Wright ipotizzava il modello di città ideale in un insediamento di circa duecentocinquantamila abitanti. Dunque, la Cina è sulla buona strada per attuare filosofie progettuali finora disattese dal mondo occidentale. Altra prerogativa non trascurabile è quella sorta d’umiltà delle culture orientali: quando si riconosce ad altri la sapienza del costruire contemporaneo è saggio rivolgersi agli esperti e far tesoro dell’esperienza altrui. Von Gerkan, Marg + Partner sono certamente all’altezza della situazione. Al loro attivo vi sono importanti progetti come Dubai Sports City, l’aeroporto internazionale Berlin-Brandenburg, la stazione ferroviaria Spandau a Berlino e tanti altri interventi in aree asiatiche. Il progetto Luchao Harbor City riguarda una città-porto, da insediare là dove non c’è alcuna area abitata.
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Rendering che simula l’ambiente creato dal progetto del nuovo porto. Pagina a fianco, rendering della torre “Cloud Needle” al centro del lago. Rendering simulating the setting created by the project for the new port. Opposite page, rendering of the “Cloud Needle” tower in the middle of the lake.
Dunque, un luogo dove predisporre tutto ciò che contribuisce a dar vita a una città di media grandezza, almeno secondo gli standard europei. Tutto, dalle infrastrutture all’architettura vera e propria, è organicamente progettato per funzionare come una grande macchina per accogliere abitanti completamente avulsi dalla storia del luogo. Un luogo che, data la sua configurazione geometrica, riprende lo schema della città radiale, modello semisconosciuto in Cina, dove le città, da quelle antiche a quelle più recenti, hanno configurazione a griglia pressoché ortogonale. La scelta dello studio di architettura tedesco ha fatto tesoro di esperienze extraeuropee quali le città di Brasilia, Chandigharh e Canberra: modelli urbanistici non privi di problemi, ma storicamente conosciuti, quindi facilmente analizzabili negli aspetti meno riusciti. Di particolare suggestione, è il concept compositivo cui si sono ispirati gli architetti: la formazione di cerchi concentrici creati dalla caduta di una goccia nell’acqua. Rappresentazione particolarmente affascinante, visto l’enorme divario fra la complessità dello spazio urbano e la fenomenologia dei liquidi. La nuova città è caratterizzata dalla presenza dell’acqua e da grandi edifici multipiano, ovvero il massimo dell’orizzontalità di un elemento naturale rapportato all’impressionante verticalità dei grattacieli contemporanei.
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CONFINI D’ACQUA WATER BOUNDARIES
In cerca di spazio vitale In Search of Vital Space Shanghai, Luchao Harbor City Shanghai, Luchao Harbor City Progetto di GMP – von Gerkan, Marg + Partner – Architects Project by GMP – von Gerkan, Marg + Partner – Architects
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he la Cina sia da parecchio tempo oggetto di attenta osservazione non vuol dire che l’Occidente sia consapevole di ciò che quel grande paese è in grado di produrre. Dopo l’era dell’informatica diffusa, dopo averci stupito con effetti speciali (vedasi la perfetta copia di una fiammante auto della Ferrari) e quanto ancora sia potenzialmente clonabile, ora è il momento delle grandi metropoli di fondazione, destinate a “colonizzare” territori vasti come nazioni europee. Luchao Harbor City è il progetto di un insediamento da realizzare nei pressi di Shanghai. L’occasione è interessante anche per il suo portato storico: Frank Lloyd Wright ipotizzava il modello di città ideale in un insediamento di circa duecentocinquantamila abitanti. Dunque, la Cina è sulla buona strada per attuare filosofie progettuali finora disattese dal mondo occidentale. Altra prerogativa non trascurabile è quella sorta d’umiltà delle culture orientali: quando si riconosce ad altri la sapienza del costruire contemporaneo è saggio rivolgersi agli esperti e far tesoro dell’esperienza altrui. Von Gerkan, Marg + Partner sono certamente all’altezza della situazione. Al loro attivo vi sono importanti progetti come Dubai Sports City, l’aeroporto internazionale Berlin-Brandenburg, la stazione ferroviaria Spandau a Berlino e tanti altri interventi in aree asiatiche. Il progetto Luchao Harbor City riguarda una città-porto, da insediare là dove non c’è alcuna area abitata.
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Rendering che simula l’ambiente creato dal progetto del nuovo porto. Pagina a fianco, rendering della torre “Cloud Needle” al centro del lago. Rendering simulating the setting created by the project for the new port. Opposite page, rendering of the “Cloud Needle” tower in the middle of the lake.
Dunque, un luogo dove predisporre tutto ciò che contribuisce a dar vita a una città di media grandezza, almeno secondo gli standard europei. Tutto, dalle infrastrutture all’architettura vera e propria, è organicamente progettato per funzionare come una grande macchina per accogliere abitanti completamente avulsi dalla storia del luogo. Un luogo che, data la sua configurazione geometrica, riprende lo schema della città radiale, modello semisconosciuto in Cina, dove le città, da quelle antiche a quelle più recenti, hanno configurazione a griglia pressoché ortogonale. La scelta dello studio di architettura tedesco ha fatto tesoro di esperienze extraeuropee quali le città di Brasilia, Chandigharh e Canberra: modelli urbanistici non privi di problemi, ma storicamente conosciuti, quindi facilmente analizzabili negli aspetti meno riusciti. Di particolare suggestione, è il concept compositivo cui si sono ispirati gli architetti: la formazione di cerchi concentrici creati dalla caduta di una goccia nell’acqua. Rappresentazione particolarmente affascinante, visto l’enorme divario fra la complessità dello spazio urbano e la fenomenologia dei liquidi. La nuova città è caratterizzata dalla presenza dell’acqua e da grandi edifici multipiano, ovvero il massimo dell’orizzontalità di un elemento naturale rapportato all’impressionante verticalità dei grattacieli contemporanei.
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Pagina a fianco, schema preliminare della nuova città satellite che occuperà un’area di circa 65 kmq. In basso, la torre segnala il punto in cui la goccia metaforica ha generato la nuova città.
Opposite page, preliminary scheme of the new satellite city taking up an area of approximately 65 sq. km. Below, the tower marking the point where the metaphorical drip has created a new city.
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he fact that for some time now China has been studied very carefully does not mean that the West is aware of what this great nation is capable of doing. Following the widespread computer age and after astounding us with special effects [see the perfect copy of a flaming red Ferrari car] and anything else that can potentially be cloned, the time has now come for the large master planned metropolis destined to “colonize” areas as big as European nations. Luchao Harbor City is a settlement project near Shanghai. Its sheer historical scope makes this an interesting opportunity: Frank Lloyd Wright envisaged a model for an ideal city consisting of a settlement for approximately 250,000 inhabitants. So China is on the right track toward implementing design philosophies that the West has not yet been able to achieve. Another prerogative that should not be overlooked is that sort of humility associated with Eastern cultures: when you acknowledge that other people have the know-how required for modern-day building, it is wise to turn to experts and take advantage of other people's experience. Von Gerkan, Marg + Partner are certainly up to the situation. They have already completed such important projects as Dubai Sports City, Berlin-Brandenburg International Airport and Spandau Railway Station, along with plenty of other projects in areas of Asia. The Luchao Harbor City project involves building a city-port in an uninhabited area. This means it must be equipped with everything required of an average sized city, at least according to European standards. Everything from infrastructures to architecture proper has been carefully designed to operate like a giant machine for accommodating inhabitants, who are totally foreign to the history of the place. A place which, given its geometric layout, draws on the scheme of a radial city, a half-unknown model in China, whose cities [both ancient and more recent] are based on almost orthogonal grids. The German architects developed a design concept harking back to the architectural styles of nonEuropean cities like Brasilia, Chandigharh and Canberra: urban master plans that may be questionable, but are historically familiar and therefore easy to analyze into their most successful aspects. The compositional concept that inspired the architects is particularly striking: the formation of concentric circles created by a water drop. This is a particularly intriguing representation, bearing in mind the huge gap between the complexity of urban space and the phenomenology of liquids. The new city abounds with water and big multi-story buildings, in other words, the extreme horizontality of a natural element related to the striking verticality of modern-day skyscrapers.
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Pagina a fianco, schema preliminare della nuova città satellite che occuperà un’area di circa 65 kmq. In basso, la torre segnala il punto in cui la goccia metaforica ha generato la nuova città.
Opposite page, preliminary scheme of the new satellite city taking up an area of approximately 65 sq. km. Below, the tower marking the point where the metaphorical drip has created a new city.
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he fact that for some time now China has been studied very carefully does not mean that the West is aware of what this great nation is capable of doing. Following the widespread computer age and after astounding us with special effects [see the perfect copy of a flaming red Ferrari car] and anything else that can potentially be cloned, the time has now come for the large master planned metropolis destined to “colonize” areas as big as European nations. Luchao Harbor City is a settlement project near Shanghai. Its sheer historical scope makes this an interesting opportunity: Frank Lloyd Wright envisaged a model for an ideal city consisting of a settlement for approximately 250,000 inhabitants. So China is on the right track toward implementing design philosophies that the West has not yet been able to achieve. Another prerogative that should not be overlooked is that sort of humility associated with Eastern cultures: when you acknowledge that other people have the know-how required for modern-day building, it is wise to turn to experts and take advantage of other people's experience. Von Gerkan, Marg + Partner are certainly up to the situation. They have already completed such important projects as Dubai Sports City, Berlin-Brandenburg International Airport and Spandau Railway Station, along with plenty of other projects in areas of Asia. The Luchao Harbor City project involves building a city-port in an uninhabited area. This means it must be equipped with everything required of an average sized city, at least according to European standards. Everything from infrastructures to architecture proper has been carefully designed to operate like a giant machine for accommodating inhabitants, who are totally foreign to the history of the place. A place which, given its geometric layout, draws on the scheme of a radial city, a half-unknown model in China, whose cities [both ancient and more recent] are based on almost orthogonal grids. The German architects developed a design concept harking back to the architectural styles of nonEuropean cities like Brasilia, Chandigharh and Canberra: urban master plans that may be questionable, but are historically familiar and therefore easy to analyze into their most successful aspects. The compositional concept that inspired the architects is particularly striking: the formation of concentric circles created by a water drop. This is a particularly intriguing representation, bearing in mind the huge gap between the complexity of urban space and the phenomenology of liquids. The new city abounds with water and big multi-story buildings, in other words, the extreme horizontality of a natural element related to the striking verticality of modern-day skyscrapers.
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Dettaglio della goccia metaforica che, generando cerchi concentrici, crea la forma planimetrica della città . Pagina a fianco, planimetria generale e rendering del costruito urbano. Detail of the metaphorical drip creating the city’s urban layout as it generates concentric circles. Opposite page, site plan and rendering of the urban builtscape.
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Dettaglio della goccia metaforica che, generando cerchi concentrici, crea la forma planimetrica della città . Pagina a fianco, planimetria generale e rendering del costruito urbano. Detail of the metaphorical drip creating the city’s urban layout as it generates concentric circles. Opposite page, site plan and rendering of the urban builtscape.
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In queste pagine, schemi funzionali della nuova cittĂ e rendering di alcune strutture.
These pages, functional schemes of the new city and rendering of some of its structures.
100% Servizi/Service 60% Servizi/Service, 40% Uffici/Office
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40% Residenze/Residential, 30% Servizi/Service, 30% Uffici/Office 50% Servizi/Service, 50% Uffici/Office 100% Uffici/Office 85% Residenze/Residential, 15% Servizi/Service 100% Residenze/Residential
Asilo/Kindergarten
Scuola specialistica/Vocational School
Scuola elementare/Primary School
UniversitĂ /University
Scuola secondaria/Secondary School
Sala concerti/Concert Hall
Sala polifunzionale/Multipurpose Hall
Campo sportivo/Sports Field
Marina
Museo/Museum
Mostra industriale/Industrial Exhibition
Stadio/Stadium
Sport acquatici/Aquatic Sports
Teatro/Theater
Biblioteca/Library
Piscina/Swimming Pool
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In queste pagine, schemi funzionali della nuova cittĂ e rendering di alcune strutture.
These pages, functional schemes of the new city and rendering of some of its structures.
100% Servizi/Service 60% Servizi/Service, 40% Uffici/Office
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40% Residenze/Residential, 30% Servizi/Service, 30% Uffici/Office 50% Servizi/Service, 50% Uffici/Office 100% Uffici/Office 85% Residenze/Residential, 15% Servizi/Service 100% Residenze/Residential
Asilo/Kindergarten
Scuola specialistica/Vocational School
Scuola elementare/Primary School
UniversitĂ /University
Scuola secondaria/Secondary School
Sala concerti/Concert Hall
Sala polifunzionale/Multipurpose Hall
Campo sportivo/Sports Field
Marina
Museo/Museum
Mostra industriale/Industrial Exhibition
Stadio/Stadium
Sport acquatici/Aquatic Sports
Teatro/Theater
Biblioteca/Library
Piscina/Swimming Pool
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CONFINI D’ACQUA WATER BOUNDARIES
Senza creatività la città muore The City Will Die Without Creativity Le Havre, nuovo complesso portuale Le Havre, New Port Complex Progetto di Ateliers Jean Nouvel Project by Ateliers Jean Nouvel
S
econdo porto francese dopo quello di Marsiglia, Le Havre sta curando la propria immagine anche sul piano economico e culturale. Un’operazione che punta sulla sua vocazione marittima attraverso un grande intervento articolato in due poli principali: il Centro del Mare e dello Sviluppo Sostenibile e il Complesso Acquatico. Tale impegno, va visto anche come tendenza al miglioramento del proprio stato urbano rapportato al riconoscimento dell’Unesco che, nel 2005, ha inserito la città nell’elenco dei patrimoni mondiali dell’umanità. Gli Ateliers Jean Nouvel sono risultati vincitori in una consultazione cui avevano partecipato gli studi di Daniel Libeskind e di MVRDV: un riconoscimento di grande valore simbolico, viste le credenziali professionali di concorrenti davvero importanti. Obiettivo dell’intervento: coniugare la dimensione economica di un grande porto in grado di sviluppare ricchezza diffusa con le aspettative ludiche e culturali oggi molto diffuse nelle metropoli affacciate sul mare. Se a tutto ciò si aggiunge una coscienza ambientalista consapevole dello stato comatoso del pianeta Terra, il risultato è di entrare con maggior impegno e a pieno titolo in una modernità che non è solo tecnologica, ma è anche in grado di offrire al mondo esempi eclatanti d’effettivo contributo per la salvaguardia dell’ambiente. La scelta dell’ubicazione del complesso ha privilegiato il molo “Antille”, su cui andranno collocati due grandi
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Rendering della sistemazione generale del porto di Le Havre. Pagina a fianco rendering della Torre del Centro del Mare nella zona degli antichi bacini e dei docks. Rendering of the general layout of the Le Havre port. Opposite page, rendering of the Sea Center Tower in the old docks and basins area.
blocchi minerali, due solide basi per la torre metallica alta 120 metri, uno spettacolare punto d’osservazione della zona. Il Complesso Acquatico, costituito da una piscina esterna riscaldata, da un centro di balneoterapia e da un invaso ludico esterno/interno, sorgerà sul molo “Réunion”. Il progetto esprime con grande eleganza compositiva la visione contemporanea dell’infrastruttura portuale, concepita non solo come aggregazione di blocchi funzionali ma anche come paesaggio urbano. Volumi e tracciati planimetrici compongono un insieme scenografico, una porzione di città in cui a ogni presenza architettonica è demandata anche la funzione, non secondaria, di formare particolari inquadrature ottiche. Insomma, i sofisticati apparati massmediali hanno creato linguaggi visivi complessi e affascinanti. Dalla città reale alla città visionaria del cinema, il passo è breve. Il complesso portuale di Le Havre è una sorta di omaggio a certo cinema in cui l’elemento acqua è reso nella sua doppia valenza di forza della natura (da temere) e di spazio ludico dell’ambiente balneare (vedasi il grande invaso natatorio simile a un frammento di città semisommersa dalle acque a causa dell’aumento di temperatura del pianeta). Nouvel gioca inoltre con immateriali tessiture formate da saettanti tiranterie tra il velistico d’epoca e il minimalismo ingegneristico, creando i prodromi di una città del futuro sorta dalle acque.
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CONFINI D’ACQUA WATER BOUNDARIES
Senza creatività la città muore The City Will Die Without Creativity Le Havre, nuovo complesso portuale Le Havre, New Port Complex Progetto di Ateliers Jean Nouvel Project by Ateliers Jean Nouvel
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econdo porto francese dopo quello di Marsiglia, Le Havre sta curando la propria immagine anche sul piano economico e culturale. Un’operazione che punta sulla sua vocazione marittima attraverso un grande intervento articolato in due poli principali: il Centro del Mare e dello Sviluppo Sostenibile e il Complesso Acquatico. Tale impegno, va visto anche come tendenza al miglioramento del proprio stato urbano rapportato al riconoscimento dell’Unesco che, nel 2005, ha inserito la città nell’elenco dei patrimoni mondiali dell’umanità. Gli Ateliers Jean Nouvel sono risultati vincitori in una consultazione cui avevano partecipato gli studi di Daniel Libeskind e di MVRDV: un riconoscimento di grande valore simbolico, viste le credenziali professionali di concorrenti davvero importanti. Obiettivo dell’intervento: coniugare la dimensione economica di un grande porto in grado di sviluppare ricchezza diffusa con le aspettative ludiche e culturali oggi molto diffuse nelle metropoli affacciate sul mare. Se a tutto ciò si aggiunge una coscienza ambientalista consapevole dello stato comatoso del pianeta Terra, il risultato è di entrare con maggior impegno e a pieno titolo in una modernità che non è solo tecnologica, ma è anche in grado di offrire al mondo esempi eclatanti d’effettivo contributo per la salvaguardia dell’ambiente. La scelta dell’ubicazione del complesso ha privilegiato il molo “Antille”, su cui andranno collocati due grandi
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Rendering della sistemazione generale del porto di Le Havre. Pagina a fianco rendering della Torre del Centro del Mare nella zona degli antichi bacini e dei docks. Rendering of the general layout of the Le Havre port. Opposite page, rendering of the Sea Center Tower in the old docks and basins area.
blocchi minerali, due solide basi per la torre metallica alta 120 metri, uno spettacolare punto d’osservazione della zona. Il Complesso Acquatico, costituito da una piscina esterna riscaldata, da un centro di balneoterapia e da un invaso ludico esterno/interno, sorgerà sul molo “Réunion”. Il progetto esprime con grande eleganza compositiva la visione contemporanea dell’infrastruttura portuale, concepita non solo come aggregazione di blocchi funzionali ma anche come paesaggio urbano. Volumi e tracciati planimetrici compongono un insieme scenografico, una porzione di città in cui a ogni presenza architettonica è demandata anche la funzione, non secondaria, di formare particolari inquadrature ottiche. Insomma, i sofisticati apparati massmediali hanno creato linguaggi visivi complessi e affascinanti. Dalla città reale alla città visionaria del cinema, il passo è breve. Il complesso portuale di Le Havre è una sorta di omaggio a certo cinema in cui l’elemento acqua è reso nella sua doppia valenza di forza della natura (da temere) e di spazio ludico dell’ambiente balneare (vedasi il grande invaso natatorio simile a un frammento di città semisommersa dalle acque a causa dell’aumento di temperatura del pianeta). Nouvel gioca inoltre con immateriali tessiture formate da saettanti tiranterie tra il velistico d’epoca e il minimalismo ingegneristico, creando i prodromi di una città del futuro sorta dalle acque.
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he second-biggest port in France after Marseilles, Le Havre is revamping its image, even on an economic and cultural level. The spin-doctoring operation focuses on the city’s port location through a project divided into two main parts: the Sea and Sustainable Development Center and the Aquatic Complex. The project may also be seen as an attempt to improve the state of the city after UNESCO included it on its world heritage list in 2005. Ateliers Jean Nouvel was chosen from a host of firms including the Daniel Libeskind and MVRDV studios, a notable achievement bearing in mind the professional credentials of these very important rivals. The aim of the project was to combine the economic vitality of a major port—capable of creating widespread wealth—with the kind of playful/cultural expectations often associated today with coastal metropolises. If we add to all this an eco-friendly approach that acknowledges the comatose state of the planet, then the result is a much more decisive and all encompassing notion of modernity which is not just technological, but also provides the world with striking examples of effective environment management. It was decided to locate the complex on the “Antille” pier, where two giant mineral blocks will be constructed, two solid bases for a 120-
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Rendering di come sarà realizzato il nuovo porto. Pagina a fianco, dettagli costruttivi della Torre. Rendering of how the new port will look. Opposite page, construction details of the Tower.
meter high metal tower, a spectacular observation point across the area. The Aquatic Center, featuring a heated outdoor swimming pool, a water-therapy center and an indoor/outdoor play pool, will be located on the “Réunion” pier. The project is a highly elegant stylistic rendering of a modern-day vision of a port facility, designed not just as a combination of functional blocks but also as part of the cityscape. Structures and building plans form a striking setting, a city fragment where every architectural feature is also expected to serve the non-secondary purpose of creating special optical views. In a way, the sophisticated mass media apparatus has come to create new visual idioms, complex and fascinating: a short step from the real city to the visionary city of film. The Le Havre port complex is a tribute to a kind of film in which the element of water is rendered in its dual value as a force of nature (to be feared) and playful seaside space (the large swimming pool is like a fragment of cityscape semi-submerged by water due to global warming). Nouvel also plays with immaterial textures composed of darting tie-rods, poised somewhere between old-fashioned sailing boats and engineering minimalism, creating the first signs of a city of the future rising out of the water.
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he second-biggest port in France after Marseilles, Le Havre is revamping its image, even on an economic and cultural level. The spin-doctoring operation focuses on the city’s port location through a project divided into two main parts: the Sea and Sustainable Development Center and the Aquatic Complex. The project may also be seen as an attempt to improve the state of the city after UNESCO included it on its world heritage list in 2005. Ateliers Jean Nouvel was chosen from a host of firms including the Daniel Libeskind and MVRDV studios, a notable achievement bearing in mind the professional credentials of these very important rivals. The aim of the project was to combine the economic vitality of a major port—capable of creating widespread wealth—with the kind of playful/cultural expectations often associated today with coastal metropolises. If we add to all this an eco-friendly approach that acknowledges the comatose state of the planet, then the result is a much more decisive and all encompassing notion of modernity which is not just technological, but also provides the world with striking examples of effective environment management. It was decided to locate the complex on the “Antille” pier, where two giant mineral blocks will be constructed, two solid bases for a 120-
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Rendering di come sarà realizzato il nuovo porto. Pagina a fianco, dettagli costruttivi della Torre. Rendering of how the new port will look. Opposite page, construction details of the Tower.
meter high metal tower, a spectacular observation point across the area. The Aquatic Center, featuring a heated outdoor swimming pool, a water-therapy center and an indoor/outdoor play pool, will be located on the “Réunion” pier. The project is a highly elegant stylistic rendering of a modern-day vision of a port facility, designed not just as a combination of functional blocks but also as part of the cityscape. Structures and building plans form a striking setting, a city fragment where every architectural feature is also expected to serve the non-secondary purpose of creating special optical views. In a way, the sophisticated mass media apparatus has come to create new visual idioms, complex and fascinating: a short step from the real city to the visionary city of film. The Le Havre port complex is a tribute to a kind of film in which the element of water is rendered in its dual value as a force of nature (to be feared) and playful seaside space (the large swimming pool is like a fragment of cityscape semi-submerged by water due to global warming). Nouvel also plays with immaterial textures composed of darting tie-rods, poised somewhere between old-fashioned sailing boats and engineering minimalism, creating the first signs of a city of the future rising out of the water.
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In queste pagine e alle pagine 72 e 73, piante e sezioni del Complesso Acquatico composto di tre entitĂ principali. These pages and pages 72 and 73, plans and sections of the Aquatic Complex composed of three main entities.
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In queste pagine e alle pagine 72 e 73, piante e sezioni del Complesso Acquatico composto di tre entitĂ principali. These pages and pages 72 and 73, plans and sections of the Aquatic Complex composed of three main entities.
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CONFINI D’ACQUA WATER BOUNDARIES
Il coraggio dell’innovazione The Courage of Innovation Copenhagen, BAT-The Battery – Shanghai, REN Building Copenhagen, BAT-The Battery – Shanghai, REN Building Progetto di BIG – Bjarke Ingels Group Project by BIG – Bjarke Ingels Group
R
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Schemi di sviluppo del progetto BAT-The Battery a Copenhagen. L’obiettivo è integrare gli elementi compositivi della città in un ambiente continuo e unificato morfologicamente. Pagina a fianco, visione complessiva e dettaglio del modello. Project development schemes of the BAT–The Battery project in Copenhagen. The aim is to knit the compositional features of the city into a seamless and morphologically unified setting. Opposite page, overall view and detail of the model.
ipulire l’architettura dalle scorie del tempo passato. Non i brillanti e ironici architetti francesi, non i tecnocrati progettisti inglesi, non i razionali architetti tedeschi (bravissimi tecnici del perfetto a tutti i costi, ma ancora in parte prigionieri dell’allure bauhausiana) e nemmeno gli spericolati american dreamers hanno la forza ripulente e centrifuga di BIG, un gruppo di giovani architetti tranquillamente sistemati nell’albina Copenhagen, dove sfornano a ritmo incalzante meravigliose visioni architettoniche capaci di stupire anche quel diavolo dissacratore che portava il nome di Frank Lloyd Wright che, per sbalordire il mondo, si era inventato l’architettura organica. L’“organico sublime” l’hanno invece creato gli irresistibili ragazzi di BIG. Partendo dal concetto che l’architettura è un prodotto dell’ingegno e non delle imprese costruttrici, gli architetti danesi hanno affrontato a cuor leggero i temi di un complesso polifunzionale per Copenhagen e di un albergo e centro congressi per il World Expo 2010 di Shanghai puntando sull’ipotesi che i grandi progetti devono innescare la germinazione di nuclei urbani con il Dna dell’innovazione espandibile nel tempo. Non è più il caso di giocare con le scatole delle costruzioni del “piccolo architetto in erba”. E allora? Via a tutta creatività! Il risultato è il BATThe Battery di Copenhagen, antagonista di qualsiasi altro progetto ispirato alle sinuose curve di un paesaggio montano e dunque di un’azione mortifera che allude all’eterno binomio “artificio e natura” senza coglierne l’essenza profonda. Se si pretende di inventare nuove versioni di una Natura organicamente compenetrata dall’artificio non bisogna dimenticare che un piccolo sforzo creativo bisogna pur metterlo in conto. Il frattale tirato fuori al momento giusto è stata la soluzione originale di mettere insieme la memoria del territorio a quote differenziate, definendo il corpo che contiene l’intelligenza artificiale del frattale nella sua forma più eclatante attraverso una renderizzazione evoluta, per di più stratificandola alla maniera di sedimenti geologici. Varia e abbondante l’offerta delle funzioni: 120.000 metri quadrati organizzati in spazi destinati al culto islamico, allo shopping ma anche al loisir e alle abitazioni fuori degli schemi. Parimenti denso di intenzionalità futuristiche il REN Building di Shanghai. Distribuito su una superficie di 250.000 metri quadrati, non lascia spazio al banale e punta sulla nuova frontiera del packaging di gran classe, trasformando l’idea del contenitore per uova sferiche del futuro in uno straordinario luogo di persone e funzioni. L’organicismo ha davvero fatto un passo da gigante verso il futuro dell’hospitality? Indubbiamente, se si dà per scontato che l’innovazione tipologica delle strutture destinate ai grandi expo mondiali sia occasione per sperimentare anche nuovi linguaggi, oltre a mostrare effetti speciali e sofisticate tecnologie da laboratorio del futuro.
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CONFINI D’ACQUA WATER BOUNDARIES
Il coraggio dell’innovazione The Courage of Innovation Copenhagen, BAT-The Battery – Shanghai, REN Building Copenhagen, BAT-The Battery – Shanghai, REN Building Progetto di BIG – Bjarke Ingels Group Project by BIG – Bjarke Ingels Group
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Schemi di sviluppo del progetto BAT-The Battery a Copenhagen. L’obiettivo è integrare gli elementi compositivi della città in un ambiente continuo e unificato morfologicamente. Pagina a fianco, visione complessiva e dettaglio del modello. Project development schemes of the BAT–The Battery project in Copenhagen. The aim is to knit the compositional features of the city into a seamless and morphologically unified setting. Opposite page, overall view and detail of the model.
ipulire l’architettura dalle scorie del tempo passato. Non i brillanti e ironici architetti francesi, non i tecnocrati progettisti inglesi, non i razionali architetti tedeschi (bravissimi tecnici del perfetto a tutti i costi, ma ancora in parte prigionieri dell’allure bauhausiana) e nemmeno gli spericolati american dreamers hanno la forza ripulente e centrifuga di BIG, un gruppo di giovani architetti tranquillamente sistemati nell’albina Copenhagen, dove sfornano a ritmo incalzante meravigliose visioni architettoniche capaci di stupire anche quel diavolo dissacratore che portava il nome di Frank Lloyd Wright che, per sbalordire il mondo, si era inventato l’architettura organica. L’“organico sublime” l’hanno invece creato gli irresistibili ragazzi di BIG. Partendo dal concetto che l’architettura è un prodotto dell’ingegno e non delle imprese costruttrici, gli architetti danesi hanno affrontato a cuor leggero i temi di un complesso polifunzionale per Copenhagen e di un albergo e centro congressi per il World Expo 2010 di Shanghai puntando sull’ipotesi che i grandi progetti devono innescare la germinazione di nuclei urbani con il Dna dell’innovazione espandibile nel tempo. Non è più il caso di giocare con le scatole delle costruzioni del “piccolo architetto in erba”. E allora? Via a tutta creatività! Il risultato è il BATThe Battery di Copenhagen, antagonista di qualsiasi altro progetto ispirato alle sinuose curve di un paesaggio montano e dunque di un’azione mortifera che allude all’eterno binomio “artificio e natura” senza coglierne l’essenza profonda. Se si pretende di inventare nuove versioni di una Natura organicamente compenetrata dall’artificio non bisogna dimenticare che un piccolo sforzo creativo bisogna pur metterlo in conto. Il frattale tirato fuori al momento giusto è stata la soluzione originale di mettere insieme la memoria del territorio a quote differenziate, definendo il corpo che contiene l’intelligenza artificiale del frattale nella sua forma più eclatante attraverso una renderizzazione evoluta, per di più stratificandola alla maniera di sedimenti geologici. Varia e abbondante l’offerta delle funzioni: 120.000 metri quadrati organizzati in spazi destinati al culto islamico, allo shopping ma anche al loisir e alle abitazioni fuori degli schemi. Parimenti denso di intenzionalità futuristiche il REN Building di Shanghai. Distribuito su una superficie di 250.000 metri quadrati, non lascia spazio al banale e punta sulla nuova frontiera del packaging di gran classe, trasformando l’idea del contenitore per uova sferiche del futuro in uno straordinario luogo di persone e funzioni. L’organicismo ha davvero fatto un passo da gigante verso il futuro dell’hospitality? Indubbiamente, se si dà per scontato che l’innovazione tipologica delle strutture destinate ai grandi expo mondiali sia occasione per sperimentare anche nuovi linguaggi, oltre a mostrare effetti speciali e sofisticate tecnologie da laboratorio del futuro.
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In queste pagine, l’intero studio sulla morfologia urbana e il modello tridimensionale. These pages, the entire study of the urban morphology and three-dimensional model.
leansing architecture of all the waste from the past. Neither France’s brilliant and ironic architects, nor Britain’s technocratic designers, nor Germany’s rational architects [fabulous technicians of perfection at all costs, but still partly prisoners of the alluring charm of the Bauhaus], nor even America’s daring dreamers have the same centrifugal cleansing force as BIG, a team of young architects who have settled comfortably in the city of Copenhagen, where they are busy turning out magnificent architectural visions at an impressive rate, visions that would have startled even that desecrating old devil Frank Lloyd Wright, who invented organic architecture to astound the world. The dazzling boys at BIG have, for their part, created “sublime organicism”. On the premise that architecture is a product of genius rather than a building business, these Danish architects have happily taken on the various issues involved in designing a multipurpose complex for Copenhagen, plus a hotel and conference center for the 2010 World Expo in Shanghai, developing the idea that major projects should leverage the DNA of innovation to generate urban nuclei that expand over time. The time has come to stop playing around with the construction boxes of “little budding architects” and to bring creativity to the fore. Result: BAT–The Battery in Copenhagen. This project, inspired by the winding curves of a mountain landscape, is quite different to so many others that evoke the timeless twin concepts of “artifice and nature” without really grasping their deepest essence. If you plan to invent new versions of Nature organically interpenetrated by artifice, you have to allow for creativity. A fractal drawn out at just the right moment inspired the original idea of bringing together different altitudes, creating a body that expresses the artificial intelligence of the fractal in its most striking form through a highly evolved rendering, layering it like geological sediments. The complex comprises a wide range of different functions: 120,000 m2 arranged into spaces designed for Islamic worship, shopping, leisure time and even highly unconventional housing. The REN Building in Shanghai is equally brimming with futuristic intentions. Spread over an area of 250,000 m2 there is nothing bland about this building, which focuses on the new frontier of classy packaging, transforming the idea of a container for the spherical eggs of the future into an incredible place for functions and people. So has organicism really taken a giant step forward into the future of hospitality? Undoubtedly, if we take it for granted that the typological innovation of structures designed for big world expos provides the chance to experiment with new idioms, as well as the opportunity to show off special effects and the sophisticated lab technology of the future.
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In queste pagine, l’intero studio sulla morfologia urbana e il modello tridimensionale. These pages, the entire study of the urban morphology and three-dimensional model.
leansing architecture of all the waste from the past. Neither France’s brilliant and ironic architects, nor Britain’s technocratic designers, nor Germany’s rational architects [fabulous technicians of perfection at all costs, but still partly prisoners of the alluring charm of the Bauhaus], nor even America’s daring dreamers have the same centrifugal cleansing force as BIG, a team of young architects who have settled comfortably in the city of Copenhagen, where they are busy turning out magnificent architectural visions at an impressive rate, visions that would have startled even that desecrating old devil Frank Lloyd Wright, who invented organic architecture to astound the world. The dazzling boys at BIG have, for their part, created “sublime organicism”. On the premise that architecture is a product of genius rather than a building business, these Danish architects have happily taken on the various issues involved in designing a multipurpose complex for Copenhagen, plus a hotel and conference center for the 2010 World Expo in Shanghai, developing the idea that major projects should leverage the DNA of innovation to generate urban nuclei that expand over time. The time has come to stop playing around with the construction boxes of “little budding architects” and to bring creativity to the fore. Result: BAT–The Battery in Copenhagen. This project, inspired by the winding curves of a mountain landscape, is quite different to so many others that evoke the timeless twin concepts of “artifice and nature” without really grasping their deepest essence. If you plan to invent new versions of Nature organically interpenetrated by artifice, you have to allow for creativity. A fractal drawn out at just the right moment inspired the original idea of bringing together different altitudes, creating a body that expresses the artificial intelligence of the fractal in its most striking form through a highly evolved rendering, layering it like geological sediments. The complex comprises a wide range of different functions: 120,000 m2 arranged into spaces designed for Islamic worship, shopping, leisure time and even highly unconventional housing. The REN Building in Shanghai is equally brimming with futuristic intentions. Spread over an area of 250,000 m2 there is nothing bland about this building, which focuses on the new frontier of classy packaging, transforming the idea of a container for the spherical eggs of the future into an incredible place for functions and people. So has organicism really taken a giant step forward into the future of hospitality? Undoubtedly, if we take it for granted that the typological innovation of structures designed for big world expos provides the chance to experiment with new idioms, as well as the opportunity to show off special effects and the sophisticated lab technology of the future.
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Dettagli del modello in ambiente notturno.
Il modello in ambiente diurno.
Details of the model in a nighttime setting.
The model in a daytime setting.
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Dettagli del modello in ambiente notturno.
Il modello in ambiente diurno.
Details of the model in a nighttime setting.
The model in a daytime setting.
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Il coraggio dell’innovazione The Courage of Innovation Copenhagen, BAT-The Battery – Shanghai, REN Building Copenhagen, BAT-The Battery – Shanghai, REN Building Progetto di BIG – Bjarke Ingels Group Project by BIG – Bjarke Ingels Group
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Schemi di sviluppo del progetto BAT-The Battery a Copenhagen. L’obiettivo è integrare gli elementi compositivi della città in un ambiente continuo e unificato morfologicamente. Pagina a fianco, visione complessiva e dettaglio del modello. Project development schemes of the BAT–The Battery project in Copenhagen. The aim is to knit the compositional features of the city into a seamless and morphologically unified setting. Opposite page, overall view and detail of the model.
ipulire l’architettura dalle scorie del tempo passato. Non i brillanti e ironici architetti francesi, non i tecnocrati progettisti inglesi, non i razionali architetti tedeschi (bravissimi tecnici del perfetto a tutti i costi, ma ancora in parte prigionieri dell’allure bauhausiana) e nemmeno gli spericolati american dreamers hanno la forza ripulente e centrifuga di BIG, un gruppo di giovani architetti tranquillamente sistemati nell’albina Copenhagen, dove sfornano a ritmo incalzante meravigliose visioni architettoniche capaci di stupire anche quel diavolo dissacratore che portava il nome di Frank Lloyd Wright che, per sbalordire il mondo, si era inventato l’architettura organica. L’“organico sublime” l’hanno invece creato gli irresistibili ragazzi di BIG. Partendo dal concetto che l’architettura è un prodotto dell’ingegno e non delle imprese costruttrici, gli architetti danesi hanno affrontato a cuor leggero i temi di un complesso polifunzionale per Copenhagen e di un albergo e centro congressi per il World Expo 2010 di Shanghai puntando sull’ipotesi che i grandi progetti devono innescare la germinazione di nuclei urbani con il Dna dell’innovazione espandibile nel tempo. Non è più il caso di giocare con le scatole delle costruzioni del “piccolo architetto in erba”. E allora? Via a tutta creatività! Il risultato è il BATThe Battery di Copenhagen, antagonista di qualsiasi altro progetto ispirato alle sinuose curve di un paesaggio montano e dunque di un’azione mortifera che allude all’eterno binomio “artificio e natura” senza coglierne l’essenza profonda. Se si pretende di inventare nuove versioni di una Natura organicamente compenetrata dall’artificio non bisogna dimenticare che un piccolo sforzo creativo bisogna pur metterlo in conto. Il frattale tirato fuori al momento giusto è stata la soluzione originale di mettere insieme la memoria del territorio a quote differenziate, definendo il corpo che contiene l’intelligenza artificiale del frattale nella sua forma più eclatante attraverso una renderizzazione evoluta, per di più stratificandola alla maniera di sedimenti geologici. Varia e abbondante l’offerta delle funzioni: 120.000 metri quadrati organizzati in spazi destinati al culto islamico, allo shopping ma anche al loisir e alle abitazioni fuori degli schemi. Parimenti denso di intenzionalità futuristiche il REN Building di Shanghai. Distribuito su una superficie di 250.000 metri quadrati, non lascia spazio al banale e punta sulla nuova frontiera del packaging di gran classe, trasformando l’idea del contenitore per uova sferiche del futuro in uno straordinario luogo di persone e funzioni. L’organicismo ha davvero fatto un passo da gigante verso il futuro dell’hospitality? Indubbiamente, se si dà per scontato che l’innovazione tipologica delle strutture destinate ai grandi expo mondiali sia occasione per sperimentare anche nuovi linguaggi, oltre a mostrare effetti speciali e sofisticate tecnologie da laboratorio del futuro.
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Il coraggio dell’innovazione The Courage of Innovation Copenhagen, BAT-The Battery – Shanghai, REN Building Copenhagen, BAT-The Battery – Shanghai, REN Building Progetto di BIG – Bjarke Ingels Group Project by BIG – Bjarke Ingels Group
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Schemi di sviluppo del progetto BAT-The Battery a Copenhagen. L’obiettivo è integrare gli elementi compositivi della città in un ambiente continuo e unificato morfologicamente. Pagina a fianco, visione complessiva e dettaglio del modello. Project development schemes of the BAT–The Battery project in Copenhagen. The aim is to knit the compositional features of the city into a seamless and morphologically unified setting. Opposite page, overall view and detail of the model.
ipulire l’architettura dalle scorie del tempo passato. Non i brillanti e ironici architetti francesi, non i tecnocrati progettisti inglesi, non i razionali architetti tedeschi (bravissimi tecnici del perfetto a tutti i costi, ma ancora in parte prigionieri dell’allure bauhausiana) e nemmeno gli spericolati american dreamers hanno la forza ripulente e centrifuga di BIG, un gruppo di giovani architetti tranquillamente sistemati nell’albina Copenhagen, dove sfornano a ritmo incalzante meravigliose visioni architettoniche capaci di stupire anche quel diavolo dissacratore che portava il nome di Frank Lloyd Wright che, per sbalordire il mondo, si era inventato l’architettura organica. L’“organico sublime” l’hanno invece creato gli irresistibili ragazzi di BIG. Partendo dal concetto che l’architettura è un prodotto dell’ingegno e non delle imprese costruttrici, gli architetti danesi hanno affrontato a cuor leggero i temi di un complesso polifunzionale per Copenhagen e di un albergo e centro congressi per il World Expo 2010 di Shanghai puntando sull’ipotesi che i grandi progetti devono innescare la germinazione di nuclei urbani con il Dna dell’innovazione espandibile nel tempo. Non è più il caso di giocare con le scatole delle costruzioni del “piccolo architetto in erba”. E allora? Via a tutta creatività! Il risultato è il BATThe Battery di Copenhagen, antagonista di qualsiasi altro progetto ispirato alle sinuose curve di un paesaggio montano e dunque di un’azione mortifera che allude all’eterno binomio “artificio e natura” senza coglierne l’essenza profonda. Se si pretende di inventare nuove versioni di una Natura organicamente compenetrata dall’artificio non bisogna dimenticare che un piccolo sforzo creativo bisogna pur metterlo in conto. Il frattale tirato fuori al momento giusto è stata la soluzione originale di mettere insieme la memoria del territorio a quote differenziate, definendo il corpo che contiene l’intelligenza artificiale del frattale nella sua forma più eclatante attraverso una renderizzazione evoluta, per di più stratificandola alla maniera di sedimenti geologici. Varia e abbondante l’offerta delle funzioni: 120.000 metri quadrati organizzati in spazi destinati al culto islamico, allo shopping ma anche al loisir e alle abitazioni fuori degli schemi. Parimenti denso di intenzionalità futuristiche il REN Building di Shanghai. Distribuito su una superficie di 250.000 metri quadrati, non lascia spazio al banale e punta sulla nuova frontiera del packaging di gran classe, trasformando l’idea del contenitore per uova sferiche del futuro in uno straordinario luogo di persone e funzioni. L’organicismo ha davvero fatto un passo da gigante verso il futuro dell’hospitality? Indubbiamente, se si dà per scontato che l’innovazione tipologica delle strutture destinate ai grandi expo mondiali sia occasione per sperimentare anche nuovi linguaggi, oltre a mostrare effetti speciali e sofisticate tecnologie da laboratorio del futuro.
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C
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In queste pagine, l’intero studio sulla morfologia urbana e il modello tridimensionale. These pages, the entire study of the urban morphology and three-dimensional model.
leansing architecture of all the waste from the past. Neither France’s brilliant and ironic architects, nor Britain’s technocratic designers, nor Germany’s rational architects [fabulous technicians of perfection at all costs, but still partly prisoners of the alluring charm of the Bauhaus], nor even America’s daring dreamers have the same centrifugal cleansing force as BIG, a team of young architects who have settled comfortably in the city of Copenhagen, where they are busy turning out magnificent architectural visions at an impressive rate, visions that would have startled even that desecrating old devil Frank Lloyd Wright, who invented organic architecture to astound the world. The dazzling boys at BIG have, for their part, created “sublime organicism”. On the premise that architecture is a product of genius rather than a building business, these Danish architects have happily taken on the various issues involved in designing a multipurpose complex for Copenhagen, plus a hotel and conference center for the 2010 World Expo in Shanghai, developing the idea that major projects should leverage the DNA of innovation to generate urban nuclei that expand over time. The time has come to stop playing around with the construction boxes of “little budding architects” and to bring creativity to the fore. Result: BAT–The Battery in Copenhagen. This project, inspired by the winding curves of a mountain landscape, is quite different to so many others that evoke the timeless twin concepts of “artifice and nature” without really grasping their deepest essence. If you plan to invent new versions of Nature organically interpenetrated by artifice, you have to allow for creativity. A fractal drawn out at just the right moment inspired the original idea of bringing together different altitudes, creating a body that expresses the artificial intelligence of the fractal in its most striking form through a highly evolved rendering, layering it like geological sediments. The complex comprises a wide range of different functions: 120,000 m2 arranged into spaces designed for Islamic worship, shopping, leisure time and even highly unconventional housing. The REN Building in Shanghai is equally brimming with futuristic intentions. Spread over an area of 250,000 m2 there is nothing bland about this building, which focuses on the new frontier of classy packaging, transforming the idea of a container for the spherical eggs of the future into an incredible place for functions and people. So has organicism really taken a giant step forward into the future of hospitality? Undoubtedly, if we take it for granted that the typological innovation of structures designed for big world expos provides the chance to experiment with new idioms, as well as the opportunity to show off special effects and the sophisticated lab technology of the future.
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In queste pagine, l’intero studio sulla morfologia urbana e il modello tridimensionale. These pages, the entire study of the urban morphology and three-dimensional model.
leansing architecture of all the waste from the past. Neither France’s brilliant and ironic architects, nor Britain’s technocratic designers, nor Germany’s rational architects [fabulous technicians of perfection at all costs, but still partly prisoners of the alluring charm of the Bauhaus], nor even America’s daring dreamers have the same centrifugal cleansing force as BIG, a team of young architects who have settled comfortably in the city of Copenhagen, where they are busy turning out magnificent architectural visions at an impressive rate, visions that would have startled even that desecrating old devil Frank Lloyd Wright, who invented organic architecture to astound the world. The dazzling boys at BIG have, for their part, created “sublime organicism”. On the premise that architecture is a product of genius rather than a building business, these Danish architects have happily taken on the various issues involved in designing a multipurpose complex for Copenhagen, plus a hotel and conference center for the 2010 World Expo in Shanghai, developing the idea that major projects should leverage the DNA of innovation to generate urban nuclei that expand over time. The time has come to stop playing around with the construction boxes of “little budding architects” and to bring creativity to the fore. Result: BAT–The Battery in Copenhagen. This project, inspired by the winding curves of a mountain landscape, is quite different to so many others that evoke the timeless twin concepts of “artifice and nature” without really grasping their deepest essence. If you plan to invent new versions of Nature organically interpenetrated by artifice, you have to allow for creativity. A fractal drawn out at just the right moment inspired the original idea of bringing together different altitudes, creating a body that expresses the artificial intelligence of the fractal in its most striking form through a highly evolved rendering, layering it like geological sediments. The complex comprises a wide range of different functions: 120,000 m2 arranged into spaces designed for Islamic worship, shopping, leisure time and even highly unconventional housing. The REN Building in Shanghai is equally brimming with futuristic intentions. Spread over an area of 250,000 m2 there is nothing bland about this building, which focuses on the new frontier of classy packaging, transforming the idea of a container for the spherical eggs of the future into an incredible place for functions and people. So has organicism really taken a giant step forward into the future of hospitality? Undoubtedly, if we take it for granted that the typological innovation of structures designed for big world expos provides the chance to experiment with new idioms, as well as the opportunity to show off special effects and the sophisticated lab technology of the future.
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Dettagli del modello in ambiente notturno.
Il modello in ambiente diurno.
Details of the model in a nighttime setting.
The model in a daytime setting.
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Dettagli del modello in ambiente notturno.
Il modello in ambiente diurno.
Details of the model in a nighttime setting.
The model in a daytime setting.
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In queste pagine, il progetto di REN Building, da realizzare a Shanghai. Il progetto riguarda un grande albergo e un centro convegni pensati come un complesso formato dalla fusione di due edifici. These pages, the REN Building project to be built in Shanghai. The project is for a large hotel and conference center and designed like a complex formed by fusing two buildings together.
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In queste pagine, il progetto di REN Building, da realizzare a Shanghai. Il progetto riguarda un grande albergo e un centro convegni pensati come un complesso formato dalla fusione di due edifici. These pages, the REN Building project to be built in Shanghai. The project is for a large hotel and conference center and designed like a complex formed by fusing two buildings together.
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CONFINI D’ACQUA WATER BOUNDARIES
Magia di un realismo contemporaneo The Magic of Modern-day Realism Singapore, Marina Bay Sands Singapore, Marina Bay Sands Progetto di Moshe Safdie Project by Moshe Safdie
U
no dei temi più controversi emerso negli ultimi anni è la ritrosia degli architetti verso il progetto della città, quando pare invece che il loro massimo interesse sia rivolto alla realizzazione di smaglianti architetture, preziosi “gioielli” urbani pensati per un mercato mediatico che punta più allo straordinario formale che alla riformulazione di strutture potenzialmente espandibili e organizzabili come future metropoli. A sanare tale vuoto progettuale, si sono candidate nuove realtà emergenti come Cina, Corea del Sud e quant’altro si trovi là dove sorge il sole. Il Marina Bay Sands è un esempio eclatante di come si possano riscrivere brani di città organicamente inseriti in contesti di particolare complessità. Il nuovo insediamento sarà inaugurato nel 2009 e configurerà un resort integrato con funzioni ludiche e di accoglienza, spazi commerciali, di relazione e culturali. Il tutto realizzato con un investimento di circa 3,6 miliardi di dollari. Somma notevole, alla portata di chi ha grandi progetti per il futuro e una particolare predisposizione per l’architettura di qualità. Un’architettura che si sviluppa su un’idea di città definita dallo stesso Safdie urban rooms (ricerca nata negli anni Novanta e che ha prodotto interessanti tipologie di spazi meta-urbani coperti da grandi superfici vetrate che ripropongono in chiave contemporanea gli antichi passage di fine Ottocento), definizione geniale quanto azzeccata per esprimere spazi interni calibrati su una
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In queste pagine, sezioni prospettiche e rendering. These pages, perspective sections and rendering.
destinazione sociale e culturale, ma anche strutture interagenti con l’intorno urbano attraverso una serie di richiami testuali a forme organiche presenti in natura. Safdie privilegia geometrie curvilinee, linee sinuose in grado di connettere complessi architettonici attraverso una sorta di organismo correlato e fortemente integrato nelle sue funzioni. Oltre a creare nuclei funzionali ai bisogni della città, le urban rooms possiedono notevole identità formale, sono elementi di grande vitalità in grado di suggerire linee di sviluppo innovative e originali. Il vasto complesso, già in via di realizzazione, è caratterizzato da tre torri alberghiere alte cinquanta piani e collegate alla sommità da una copertura terrazzata che accoglierà un giardino pensile la cui superficie rasenta l’ettaro e, con uno sbalzo di circa cinquanta metri, dà la misura di come, puntando su una tecnologia costruttiva innovativa, si possano abbattere limiti strutturali fino a poco tempo fa ritenuti insormontabili. Le tre torri, poste su una base formata da un macrosistema di funzioni destinato all’intrattenimento, sono collegate al restante complesso attraverso una waterfront-promenade composta di tre edifici bassi con coperture a guscio, che alludono a forme zoomorfiche riferibili al bestiario dei fantastici draghi della tradizione locale. Un’immensa shopping arcade funge da percorso di collegamento e da strada commerciale capace di offrire merci d’ogni genere a straordinarie moltitudini di turisti.
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CONFINI D’ACQUA WATER BOUNDARIES
Magia di un realismo contemporaneo The Magic of Modern-day Realism Singapore, Marina Bay Sands Singapore, Marina Bay Sands Progetto di Moshe Safdie Project by Moshe Safdie
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no dei temi più controversi emerso negli ultimi anni è la ritrosia degli architetti verso il progetto della città, quando pare invece che il loro massimo interesse sia rivolto alla realizzazione di smaglianti architetture, preziosi “gioielli” urbani pensati per un mercato mediatico che punta più allo straordinario formale che alla riformulazione di strutture potenzialmente espandibili e organizzabili come future metropoli. A sanare tale vuoto progettuale, si sono candidate nuove realtà emergenti come Cina, Corea del Sud e quant’altro si trovi là dove sorge il sole. Il Marina Bay Sands è un esempio eclatante di come si possano riscrivere brani di città organicamente inseriti in contesti di particolare complessità. Il nuovo insediamento sarà inaugurato nel 2009 e configurerà un resort integrato con funzioni ludiche e di accoglienza, spazi commerciali, di relazione e culturali. Il tutto realizzato con un investimento di circa 3,6 miliardi di dollari. Somma notevole, alla portata di chi ha grandi progetti per il futuro e una particolare predisposizione per l’architettura di qualità. Un’architettura che si sviluppa su un’idea di città definita dallo stesso Safdie urban rooms (ricerca nata negli anni Novanta e che ha prodotto interessanti tipologie di spazi meta-urbani coperti da grandi superfici vetrate che ripropongono in chiave contemporanea gli antichi passage di fine Ottocento), definizione geniale quanto azzeccata per esprimere spazi interni calibrati su una
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In queste pagine, sezioni prospettiche e rendering. These pages, perspective sections and rendering.
destinazione sociale e culturale, ma anche strutture interagenti con l’intorno urbano attraverso una serie di richiami testuali a forme organiche presenti in natura. Safdie privilegia geometrie curvilinee, linee sinuose in grado di connettere complessi architettonici attraverso una sorta di organismo correlato e fortemente integrato nelle sue funzioni. Oltre a creare nuclei funzionali ai bisogni della città, le urban rooms possiedono notevole identità formale, sono elementi di grande vitalità in grado di suggerire linee di sviluppo innovative e originali. Il vasto complesso, già in via di realizzazione, è caratterizzato da tre torri alberghiere alte cinquanta piani e collegate alla sommità da una copertura terrazzata che accoglierà un giardino pensile la cui superficie rasenta l’ettaro e, con uno sbalzo di circa cinquanta metri, dà la misura di come, puntando su una tecnologia costruttiva innovativa, si possano abbattere limiti strutturali fino a poco tempo fa ritenuti insormontabili. Le tre torri, poste su una base formata da un macrosistema di funzioni destinato all’intrattenimento, sono collegate al restante complesso attraverso una waterfront-promenade composta di tre edifici bassi con coperture a guscio, che alludono a forme zoomorfiche riferibili al bestiario dei fantastici draghi della tradizione locale. Un’immensa shopping arcade funge da percorso di collegamento e da strada commerciale capace di offrire merci d’ogni genere a straordinarie moltitudini di turisti.
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ne of the most controversial issues to emerge over recent years is the reluctance of architects to work on the city: at best they seem to prefer designing striking works of architecture, precious urban “jewels” intended predominantly for a media-oriented market focused more on stylistic impact than on the idea of re-creating structures that could be expanded and organized into the metropolises of the future. A number of newly emerging eastern nations like China and South Korea have stepped in to fill this designplanning gap. Marina Bay Sands is a striking example of how to rewrite sections of the city organically incorporated in highly complex contexts. The new settlement is scheduled to open in 2009 and will create an integrated resort serving leisure, accommodation, retail, interaction and cultural purposes. All through an investment of approximately $ 3.6 billion. A notable sum, but within the scope of those with great plans for the future and a real predisposition for quality architecture. Architecture designed around an idea of the city described by Safdie as urban rooms—a research project first set up in the 1990s which has produced some interesting meta-urban spaces covered by wide glass surfaces, a modern-day rendition of the late-19th century arcade—a brilliant definition which perfectly
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In queste pagine, simulazione dell’inserimento del nuovo complesso nell’ambiente urbano e planimetria generale. These pages, simulation of how the new complex is incorporated in its urban setting and site plan.
encapsulates these interior spaces designed to serve socio-cultural purposes while interacting with their urban surroundings through a series of stylistic evocations of organic forms found in nature. Safdie favors curved forms and winding lines capable of connecting architectural complexes through a sort of correlated organism highly integrated into its functions. As well as providing the city with functional cores, these urban rooms have a powerful stylistic identity, they are extremely lively features pointing toward innovative and original lines of development. This vast complex, which is already being built, features three 50-story hotel towers connected at the top by a terraced roof designed to hold a hanging garden covering almost an acre, which, as it projects out over almost 50 meters, shows how previously unthinkable structural limits can be overcome by innovative construction technology. The three towers, set on a base composed of a macro system of entertainment functions, are connected to the rest of the complex by a waterfront promenade of three low buildings with shell-shaped roofs evoking the zoomorphic forms of imaginary dragons from local folklore. A huge shopping arcade provides a link road and retail street selling all kinds of goods to the hordes of tourists.
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ne of the most controversial issues to emerge over recent years is the reluctance of architects to work on the city: at best they seem to prefer designing striking works of architecture, precious urban “jewels” intended predominantly for a media-oriented market focused more on stylistic impact than on the idea of re-creating structures that could be expanded and organized into the metropolises of the future. A number of newly emerging eastern nations like China and South Korea have stepped in to fill this designplanning gap. Marina Bay Sands is a striking example of how to rewrite sections of the city organically incorporated in highly complex contexts. The new settlement is scheduled to open in 2009 and will create an integrated resort serving leisure, accommodation, retail, interaction and cultural purposes. All through an investment of approximately $ 3.6 billion. A notable sum, but within the scope of those with great plans for the future and a real predisposition for quality architecture. Architecture designed around an idea of the city described by Safdie as urban rooms—a research project first set up in the 1990s which has produced some interesting meta-urban spaces covered by wide glass surfaces, a modern-day rendition of the late-19th century arcade—a brilliant definition which perfectly
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In queste pagine, simulazione dell’inserimento del nuovo complesso nell’ambiente urbano e planimetria generale. These pages, simulation of how the new complex is incorporated in its urban setting and site plan.
encapsulates these interior spaces designed to serve socio-cultural purposes while interacting with their urban surroundings through a series of stylistic evocations of organic forms found in nature. Safdie favors curved forms and winding lines capable of connecting architectural complexes through a sort of correlated organism highly integrated into its functions. As well as providing the city with functional cores, these urban rooms have a powerful stylistic identity, they are extremely lively features pointing toward innovative and original lines of development. This vast complex, which is already being built, features three 50-story hotel towers connected at the top by a terraced roof designed to hold a hanging garden covering almost an acre, which, as it projects out over almost 50 meters, shows how previously unthinkable structural limits can be overcome by innovative construction technology. The three towers, set on a base composed of a macro system of entertainment functions, are connected to the rest of the complex by a waterfront promenade of three low buildings with shell-shaped roofs evoking the zoomorphic forms of imaginary dragons from local folklore. A huge shopping arcade provides a link road and retail street selling all kinds of goods to the hordes of tourists.
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La nuova marina è caratterizzata dall’ArtScience Museum, dalla Piazza Eventi e dalla lunga galleria commerciale. The new marina features an ArtScience Museum, Events Square and a long shopping arcade.
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La nuova marina è caratterizzata dall’ArtScience Museum, dalla Piazza Eventi e dalla lunga galleria commerciale. The new marina features an ArtScience Museum, Events Square and a long shopping arcade.
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Rendering dello spazio dedicato al Casin贸. Rendering of the Casino space.
Prospettiva del canale coperto che attraversa la Grand Arcade collegandola alla baia. Perspective view of the covered channel crossing the Grand Arcade and connecting it to the bay.
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Rendering dello spazio dedicato al Casin贸. Rendering of the Casino space.
Prospettiva del canale coperto che attraversa la Grand Arcade collegandola alla baia. Perspective view of the covered channel crossing the Grand Arcade and connecting it to the bay.
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In queste pagine, rendering e disegni prospettici che illustrano la particolare configurazione del nuovo complesso che ingloba spazi commerciali e strutture culturali.
These pages, rendering and perspective drawings illustrating the unusual configuration of the new complex encompassing retail spaces and cultural facilities.
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Comunicare & decorare Communication & Decoration
Un’immagine della vecchia cementeria e rendering del progetto di restyling. A view of the old cement plant and rendering of the restyling project.
Malaga, restyling della cementeria di FyM Malaga, a restyling for the FyM cement plant
I
l concept dell’intervento è impostato su due assi portanti: comunicazione (immagini che si avvicendano sul grande contenitore cilindrico) e sintesi morfologica operata sulle strutture produttive, rese empatiche grazie all’accattivante cromia del logo societario. Il mare si conferma importante valore aggiunto, sia per la destinazione industriale della cementeria sia per la bellezza paesaggistica in cui opera una struttura ad alta densità produttiva (tecnologia e natura danno sempre vita a un genius loci di inedita modernità). Ritorno alle origini. L’architettura, in tutti i tempi, è sempre stata forte veicolo di comunicazione fra le diverse culture. E non solo per l’evidente macroscala. Fra i tanti immaginari cui l’arte del costruire ha attinto, la rivoluzione industriale ha prodotto i risultati più eclatanti. Grazie alla lezione del Centre Pompidou, ogni occasione è buona per aggiungere un ulteriore mattoncino a una cattedrale diffusa presente su tutto il pianeta, là dove è necessario ricreare opere non incrostate di superfetazioni decorative ridando così, attraverso l’evidenziazione dei
tratti strutturali e funzionali, la dignità perduta negli anni delle notti buie della decorazione selvaggia e autoreferenziale. Il progetto di ammodernamento e restyling della cementeria di Malaga è una nuova e ulteriore conferma del profondo impegno e del grande senso di responsabilità di Financiera y Minera (filiale spagnola di Italcementi Group) per le tematiche legate allo sviluppo sostenibile. La trasformazione della vecchia cementeria prevede un investimento privato di 84 milioni di euro, record storico nell’area di Malaga, e
rappresenta un’occasione importante per il miglioramento dell’intero comparto territoriale: la realizzazione del nuovo impianto è caratterizzata dall’avvio di un grande e complesso sistema di interventi destinati a migliorare la qualità ambientale e a mitigare l’impatto del polo industriale nel contesto urbano. La decisione di incrementare la capacità produttiva e di ammodernare l’impianto, infatti, è stata presa principalmente in considerazione della sua dislocazione, praticamente a ridosso dell’insediamento urbano di Malaga. Ciò che emerge con chiarezza
dal progetto è la volontà, “esteticamente compatibile”, di integrare uno skyline industriale moderno nel paesaggio circostante nel rispetto delle più severe normative in materia di salvaguardia ambientale in linea con gli obiettivi del Protocollo di Kyoto. In ottemperanza alla Direttiva 96/91/CE sulla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, il progetto fa uso delle migliori tecniche disponibili implementando tecnologie all’avanguardia. Il principale intervento tecnico previsto consiste nella realizzazione di una linea di produzione da 3.300 tonnellate di clinker/giorno, che comprenderà un preriscaldatore di ultima generazione, un forno e un raffreddatore a griglia. Il nuovo impianto permetterà di ridurre del 18% il consumo energetico attuale insieme a un notevole abbattimento delle polveri e a una progressiva riduzione delle emissioni di SO 2 e NO X. La messa a regime del complesso è prevista per l’inizio del 2008. Gli ultimi ritocchi – vale a dire il restyling delle vecchie strutture, gli interventi di sistemazione ambientale e di rivegetazione – saranno apportati nel biennio 2007-2008.
T
he guiding concept for the project is devised along two lines: communication (images appearing in sequence on a large cylindrical container) and morphological synthesis applied to the manufacturing structures, rendered empathic by the captivating color scheme of the corporate logo. The sea is an added enhancement, given the industrial purpose of the cement plant and the beauty of the landscape in which this highcapacity manufacturing facility is located (technology and nature always create a genius loci of unique modernity). Back to its roots. At every period in time architecture has always been a powerful channel for intercultural communication. And not just because of its obvious macro-scale. Amongst all the sources of inspiration that the art of building has drawn on, the industrial revolution has produced the most striking results. As the Pompidou Center has taught us, we should take every opportunity to add another brick to a cathedral diffused all over the planet, where we need works free from decorative superfetations, a focus on structural-functional features
to restore the dignity lost during those dark years of wild, self-referential decoration. The project to modernize and restyle the Malaga cement plant is yet another instance of the great sense of responsibility and commitment to sustainable development of Financiera y Minera (the Italcementi Group’s Spanish subsidiary). The transformation of the old cement works involves a private investment of 84 million euro, a record for the Malaga area, and is an important opportunity to improve local industry in general: the construction of the new plant launches an extensive and intricate program of works to raise environmental quality and mitigate the impact of this industrial complex on its urban surroundings. The main consideration behind the decision to boost production
capacity and modernize the entire plant is the location, virtually backing on to the city of Malaga. What clearly emerges from the project is an “aesthetically compatible” desire to incorporate a modern industrial skyline into the surrounding setting, in compliance with the strictest environmental regulations in line with the Kyoto Protocol. In accordance with Directive 96/91/CE on the reduction and prevention of
pollution, the project utilizes the best cutting-edge technology. The main technical work is the construction of a production line with an output of 3,300 metric tons of clinkers/day, which will include a latest generation pre-heater, a furnace and a grid-cooler. The new plant will cut current energy consumption by 18% and drastically reduce emission of powders. There will also be a gradual decrease in SO2 and NOX emissions. The complex is expected to come into operation at the beginning of 2008. The final touches—the restyling of the old structures, environmental redevelopment and landscaping—will be carried out over the two-year period from 2007-2008.
In queste pagine, rendering e disegni prospettici che illustrano la particolare configurazione del nuovo complesso che ingloba spazi commerciali e strutture culturali.
These pages, rendering and perspective drawings illustrating the unusual configuration of the new complex encompassing retail spaces and cultural facilities.
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Comunicare & decorare Communication & Decoration
Un’immagine della vecchia cementeria e rendering del progetto di restyling. A view of the old cement plant and rendering of the restyling project.
Malaga, restyling della cementeria di FyM Malaga, a restyling for the FyM cement plant
I
l concept dell’intervento è impostato su due assi portanti: comunicazione (immagini che si avvicendano sul grande contenitore cilindrico) e sintesi morfologica operata sulle strutture produttive, rese empatiche grazie all’accattivante cromia del logo societario. Il mare si conferma importante valore aggiunto, sia per la destinazione industriale della cementeria sia per la bellezza paesaggistica in cui opera una struttura ad alta densità produttiva (tecnologia e natura danno sempre vita a un genius loci di inedita modernità). Ritorno alle origini. L’architettura, in tutti i tempi, è sempre stata forte veicolo di comunicazione fra le diverse culture. E non solo per l’evidente macroscala. Fra i tanti immaginari cui l’arte del costruire ha attinto, la rivoluzione industriale ha prodotto i risultati più eclatanti. Grazie alla lezione del Centre Pompidou, ogni occasione è buona per aggiungere un ulteriore mattoncino a una cattedrale diffusa presente su tutto il pianeta, là dove è necessario ricreare opere non incrostate di superfetazioni decorative ridando così, attraverso l’evidenziazione dei
tratti strutturali e funzionali, la dignità perduta negli anni delle notti buie della decorazione selvaggia e autoreferenziale. Il progetto di ammodernamento e restyling della cementeria di Malaga è una nuova e ulteriore conferma del profondo impegno e del grande senso di responsabilità di Financiera y Minera (filiale spagnola di Italcementi Group) per le tematiche legate allo sviluppo sostenibile. La trasformazione della vecchia cementeria prevede un investimento privato di 84 milioni di euro, record storico nell’area di Malaga, e
rappresenta un’occasione importante per il miglioramento dell’intero comparto territoriale: la realizzazione del nuovo impianto è caratterizzata dall’avvio di un grande e complesso sistema di interventi destinati a migliorare la qualità ambientale e a mitigare l’impatto del polo industriale nel contesto urbano. La decisione di incrementare la capacità produttiva e di ammodernare l’impianto, infatti, è stata presa principalmente in considerazione della sua dislocazione, praticamente a ridosso dell’insediamento urbano di Malaga. Ciò che emerge con chiarezza
dal progetto è la volontà, “esteticamente compatibile”, di integrare uno skyline industriale moderno nel paesaggio circostante nel rispetto delle più severe normative in materia di salvaguardia ambientale in linea con gli obiettivi del Protocollo di Kyoto. In ottemperanza alla Direttiva 96/91/CE sulla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, il progetto fa uso delle migliori tecniche disponibili implementando tecnologie all’avanguardia. Il principale intervento tecnico previsto consiste nella realizzazione di una linea di produzione da 3.300 tonnellate di clinker/giorno, che comprenderà un preriscaldatore di ultima generazione, un forno e un raffreddatore a griglia. Il nuovo impianto permetterà di ridurre del 18% il consumo energetico attuale insieme a un notevole abbattimento delle polveri e a una progressiva riduzione delle emissioni di SO 2 e NO X. La messa a regime del complesso è prevista per l’inizio del 2008. Gli ultimi ritocchi – vale a dire il restyling delle vecchie strutture, gli interventi di sistemazione ambientale e di rivegetazione – saranno apportati nel biennio 2007-2008.
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he guiding concept for the project is devised along two lines: communication (images appearing in sequence on a large cylindrical container) and morphological synthesis applied to the manufacturing structures, rendered empathic by the captivating color scheme of the corporate logo. The sea is an added enhancement, given the industrial purpose of the cement plant and the beauty of the landscape in which this highcapacity manufacturing facility is located (technology and nature always create a genius loci of unique modernity). Back to its roots. At every period in time architecture has always been a powerful channel for intercultural communication. And not just because of its obvious macro-scale. Amongst all the sources of inspiration that the art of building has drawn on, the industrial revolution has produced the most striking results. As the Pompidou Center has taught us, we should take every opportunity to add another brick to a cathedral diffused all over the planet, where we need works free from decorative superfetations, a focus on structural-functional features
to restore the dignity lost during those dark years of wild, self-referential decoration. The project to modernize and restyle the Malaga cement plant is yet another instance of the great sense of responsibility and commitment to sustainable development of Financiera y Minera (the Italcementi Group’s Spanish subsidiary). The transformation of the old cement works involves a private investment of 84 million euro, a record for the Malaga area, and is an important opportunity to improve local industry in general: the construction of the new plant launches an extensive and intricate program of works to raise environmental quality and mitigate the impact of this industrial complex on its urban surroundings. The main consideration behind the decision to boost production
capacity and modernize the entire plant is the location, virtually backing on to the city of Malaga. What clearly emerges from the project is an “aesthetically compatible” desire to incorporate a modern industrial skyline into the surrounding setting, in compliance with the strictest environmental regulations in line with the Kyoto Protocol. In accordance with Directive 96/91/CE on the reduction and prevention of
pollution, the project utilizes the best cutting-edge technology. The main technical work is the construction of a production line with an output of 3,300 metric tons of clinkers/day, which will include a latest generation pre-heater, a furnace and a grid-cooler. The new plant will cut current energy consumption by 18% and drastically reduce emission of powders. There will also be a gradual decrease in SO2 and NOX emissions. The complex is expected to come into operation at the beginning of 2008. The final touches—the restyling of the old structures, environmental redevelopment and landscaping—will be carried out over the two-year period from 2007-2008.
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Asia ed Europa: nasce un nuovo legame forte A new strong link for Asia and Europe
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Asia ed Europa: nasce un nuovo legame forte A new strong link for Asia and Europe Il vento del deserto illumina Ciments du Maroc The desert wind lights up Ciments du Maroc Cemento e territorio: un dialogo “concreto” Cement and territory: a “concrete” dialogue TX Active® di nuovo in sella con Scuola e Ambiente TX Active® back on the saddle with Education and Environment
a nuova dimensione globale dell’economia attribuisce alla logistica un crescente ruolo strategico come fattore di successo e strumento di competitività internazionale. Sul mercato integrato l’innovazione nel campo dei trasporti e della programmazione dei flussi delle merci diventa nodo essenziale e impulso al sistema paese. Frutto di questa consapevolezza, all’insegna dell’attualissimo concetto del “connecting people”, è il Progetto Marmaray di Istanbul. Si tratta dell’opera infrastrutturale più impegnativa mai realizzata in Turchia e consiste in una linea ferroviaria lunga 76,3 km che collegherà Halkali, nella parte europea, a Gebze, nella parte asiatica, attraverso un tunnel sotterraneo di circa 13,5 km. Le due tratte, ristrutturate a tre binari, saranno collegate attraverso un tunnel sottomarino lungo 1,4 km e immerso a una profondità record di 56 metri sotto lo stretto del Bosforo. Avviati nel 2004, i lavori dovrebbero concludersi nel biennio 2009/2010. Per la realizzazione del progetto il governo turco ha potuto contare su numerosi e importanti finanziamenti. Nel 1999 la Banca giapponese per la cooperazione internazionale (JBIC) ha accordato un finanziamento pari al 35% dell’intero progetto permettendo in tal modo l’avvio ufficiale degli studi di ingegneria e di consulenza. Nel 2005 è stato firmato un ulteriore accordo con la Banca europea per gli investimenti (BEI) mentre il finanziamento residuo sarà garantito dal governo turco tramite investimenti e/o fondi privati. Committente del progetto è DHL, il Direttorato generale per la costruzione di ferrovie, porti e aeroporti, nell’ambito del Ministero dei Trasporti turco. Avrasyaconsult è il gruppo internazionale responsabile dei servizi di ingegneria e di consulenza per il progetto composto da Pacific Consultants International-PCI (Giappone), Yüksel Proje International (Turchia), Oriental Consultants (Giappone) per il tunnel immerso e da JARTS (Giappone) per la competenza ferroviaria. Importanti imprese asiatiche, americane ed europee hanno presentato la propria candidatura per vedersi aggiudicare i rilevanti ordini e appalti legati al progetto. Tra queste Set Beton, filiale turca del Gruppo Italcementi, ha firmato il
contratto per la fornitura di cemento e calcestruzzo altamente performanti. Un’intensa attività di ricerca presso i laboratori Set in Turchia e presso il CTG-Centro Tecnico di Gruppo in Italia ha condotto all’elaborazione di tre tipi di cemento: CEM I 42,5 R (a basso tenore di alcali e resistente ai solfati), CEM III/B 32,5 N (a basso tenore di alcali e resistente ai solfati) e CEM III/B 42,5 N. L’alta qualità richiesta per il calcestruzzo a bassa temperatura (classe 40/50°) è stata prodotta e testata con successo su scala industriale. E, risultato significativo dei test di laboratorio e dell’attività di R&S, i cementi CEM I 42,5 R (a basso tenore di alcali e resistente ai solfati) e CEM III/B 32,5 N (a basso tenore di alcali e resistente ai solfati) verranno utilizzati per le opere strutturali in calcestruzzo preconfezionato del progetto
Marmaray, mentre il cemento CEM III/B 42,5 N verrà utilizzato per le malte di sottofondo. La struttura sarà realizzata in collaborazione con la società giapponese Taisei Corporation, uno dei principali attori a livello mondiale nel settore dell’ingegneria civile. Considerando gli attuali ed enormi problemi di trasporto urbano della città di Istanbul, il Progetto Marmaray è da considerarsi una importante iniziativa di sviluppo sostenibile volta a garantire un fluido movimento di persone e merci, maggiore competitività dei prodotti, riduzione della congestione del traffico e un importante contributo alla lotta contro l’inquinamento. Non solo, lo sviluppo di una rete di trasporto su rotaia – efficiente, moderna e ad alta capacità – avrà un impatto significativo sullo sviluppo economico e sociale dell’intera regione del Bosforo.
SCHEDA PROGETTO Lunghezza totale
76,3 km
Tratta europea
19,3 km
Tratta asiatica
43,4 km
Tunnel immerso (11 elementi)
1,4 km
Tunnel sotterraneo
9,8 km
Opere realizzate in Cut & Cover
2,4 km
Profondità max. tunnel immerso
56 m
Nuove stazioni sotterranee
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Velocità di progetto
100 km/h
Velocità media stimata
45 km/h
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n today’s global economy, the strategic role of logistics as a critical success factor and international competitive tool has never been so important. On the integrated market, innovation in transport and flows of goods is a vital driver for the country system. One tangible step in this direction, in line with today’s emphasis on “connecting people”, is Istanbul’s Marmaray Project. The largest infrastructure ever built in Turkey, Marmaray is a 76.3 km railway line linking Halkali, on the European side, with Gebze, on the Asian side, via an underground tunnel stretching approximately 13.5 km. The European and Asian sections are being expanded with a three-track line, and are to be linked via a 1.4 km tunnel at a record depth of 56 meters under the Bosporus strait. Construction work began in 2004, and is scheduled for
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completion between 2009/2010. The Turkish Government has received a number of sizeable loans for the project. In 1999 the Japanese Bank for International Cooperation (JBIC)
PROJECT SPECIFICATIONS Total length
76.3 km
European section
19.3 km
Asian section
43.4 km
Seabed tunnel (11 elements)
1.4 km
Underground tunnel
9.8 km
Cut & Cover works
2.4 km
Max. depth seabed tunnel
56 m
New underground stations
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Project speed
100 km/h
Estimated average speed
45 km/h
granted a loan covering 35% of the entire project, enabling the engineering and consultancy studies to commence officially. In 2005 a new agreement was signed with the
European Investment Bank (EIB), while the residual financing will be guaranteed by the Turkish Government through private investments and/or funds. The project owner is the DHL, the General Directorate for railways, ports and airports in Turkey’s Ministry of Transport. Avrasyaconsult is the international engineering and consultancy services team set up for the project by Pacific Consultants International-PCI (Japan), Yüksel Proje International (Turkey) and Oriental Consultants (Japan) for the seabed tunnel and JARTS (Japan) for the
railway infrastructure. Bids for the major orders and contracts that make up the project were presented by leading Asian, American and European constructors. Among these companies, Set Beton, the Italcementi Group’s Turkish subsidiary, has signed a contract to supply high-strength cement and concrete. Intensive research at the Set labs in Turkey and the CTG-Group Technical Center in Italy has led to development of three cement formulations CEM I 42.5 R (low alkaline and sulfate resistant), CEM III/B 32.5 N (low alkaline and sulfate resistant) and CEM III/B 42.5 N. Production and testing of the high quality ready mixed concrete for low temperatures (class 40/50°) has been successfully completed. An important result of the laboratory tests and R&D work is that CEM I 42.5 R (low alkaline and sulfate resistant) and CEM III/B 32.5 N (low alkaline and sulfate resistant) are to be used for the Marmaray structural works in ready mixed concrete whereas CEM III/B 42.5 N is to be used for under-base grouting works. Building work is in cooperation with Japan’s Taisei Corporation, one of the world’s leading civil engineering firms. Considering Istanbul’s huge urban transport problems, the Marmaray Project is an important sustainable development initiative designed to improve movements of people and goods, boost product competitiveness, reduce traffic congestion and make an important contribution to the fight against pollution. At the same time, the development of a modern, efficient and high-capacity rail link will have a significant impact on social and economic growth throughout the Bosporus region.
Il vento del deserto illumina Ciments du Maroc The desert wind lights up Ciments du Maroc
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l Gruppo Italcementi punta sul vento in Marocco per dare ulteriore impulso al proprio impegno nello sviluppo sostenibile. Sarà infatti la realizzazione di un impianto eolico il nuovo passo nel cammino verso l’utilizzo di fonti rinnovabili per la creazione dell’energia necessaria ai propri impegni industriali. In questo contesto, Ciments du Maroc e l’Ufficio Nazionale
prioritariamente l’impianto di Laâyoune: l’energia prodotta in eccesso e non consumata in loco verrà immessa nella rete elettrica nazionale di ONE che, a fronte di un solo costo di vettoriamento, si occuperà del suo trasporto “virtuale” verso altri siti di Ciments du Maroc (cementerie di Agadir, Marrakech e Safi). La scelta di creare il parco eolico
che l’impianto possa entrare in funzione entro l’autunno del prossimo anno. Il progetto rappresenta per il Gruppo Italcementi il primo passo all’interno dei meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto per la riduzione dei gas serra: l’impianto eolico infatti rientra nei progetti di Clean Development Mechanism che da un lato favoriscono gli investimenti nei
for Action del World Business Council for Sustainable Development (WBCSD). Da molto tempo il Gruppo Italcementi è infatti impegnato a favore della riduzione dell’impatto ambientale delle proprie attività industriali e, conformemente ai principi di Kyoto, ha avviato numerosi studi per l’installazione di centrali eoliche per la produzione di energia presso i propri stabilimenti. Il progetto presentato in Marocco rappresenta solo la prima concretizzazione di questo impegno, ma progetti simili sono in fase di realizzazione anche in altri paesi dove il Gruppo è presente. ■ ■ ■ ■ ■ ■
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per l’Energia Elettrica del Marocco (ONE-Office National d’Electricité) hanno firmato un accordo che prevede la costruzione presso il centro di macinazione di Indusaha a Laâyoune di un impianto di energia eolica della potenza iniziale di 10 MW, estendibile successivamente a 50 MW, che rappresenta il limite fissato dalla regolamentazione vigente in Marocco. L’accordo rappresenta un’importante novità nel paese: oltre a essere uno dei principali investimenti privati nel settore, è anche il primo caso in cui la ONE si propone solo come vettore di energia e non come acquirente di elettricità. Il parco eolico alimenterà
nel sud del Marocco si è rivelata in linea con le attese e il piano economico di crescita del governo, focalizzato sulla pianificazione di investimenti industriali in quest’area, e ha incontrato il favore di ONE che necessita al momento di un aumento della potenza disponibile proprio nel sud del paese. Attualmente sono in fase di lancio una serie di aste presso i grandi costruttori di impianti eolici da parte di Italgen (società in cui sono concentrate le attività di produzione e di distribuzione di energia elettrica del Gruppo Italcementi), che provvederà poi a coordinare i lavori per la realizzazione del parco eolico con 4 grandi pale a vento. I piani di lavoro prevedono
paesi emergenti in attività di sviluppo sostenibile e dall’altro offrono al paese industrializzato, che ha effettuato l’investimento per la riduzione dei gas serra, un’assegnazione di diritti di emissione di C02. La scelta eolica di Ciments du Maroc non è certo l’opzione più economica nell’ottica di riduzione di uno dei principali fattori di costo per l’industria cementiera (i costi energetici rappresentano circa il 40% delle spese operative), ma è stata dettata dalla volontà di essere in linea con i meccanismi virtuosi previsti dal Protocollo di Kyoto e con l’impegno da sempre dimostrato nell’ambito dello sviluppo sostenibile dal Gruppo Italcementi, firmatario dell’Agenda
he Italcementi Group is relying on the Moroccan wind to support its commitment to sustainable development: the next step on the company’s path toward use of renewable energy sources in its manufacturing operations will be construction of a wind energy plant in Morocco. Ciments du Maroc and Morocco’s National Electricity Office (Office National d’Electricité, ONE) have signed an agreement for construction of a wind plant with an initial power of 10 MW and capacity for future expansion to 50 MW, the limit set by current Morocco legislation, at the Indusaha grinding center in Laâyoune. The project is an important new development in Morocco: one of the most interesting private investments in the energy sector and the first case of ONE acting as an electricity carrier rather than an electricity trader. The wind park will primarily serve the Laâyoune plant; surplus energy not consumed in the plant will be released into ONE’s national energy grid, which will “virtually” transport the energy to other Ciments du Maroc sites (cement mills in Agadir, Marrakech and Safi) for a dispatching fee only. The decision to locate the wind park in southern Morocco fell in line with the government’s economic growth strategy for industrial investment in this area, and also found favor with ONE, which needs to increase power supply capacity in the south of the country. Italgen, the company responsible for Italcementi Group electrical energy generation and distribution operations, will invite bids from major
wind plant constructors and subsequently coordinate building work on the four-turbine park. The plant is to begin operation by the fall of next year. The Moroccan project is the Italcementi Group’s first step under the Kyoto Protocol flexible mechanisms for reducing greenhouse gas emissions: wind plants are contemplated by Clean Development
Mechanism projects to promote sustainable energy investments in developing countries while offering developed countries investing in lowcost abatement the opportunity to receive CO2 credits for the resulting emissions reduction. Although wind energy is certainly not the cheapest option when it comes to savings on one of the biggest expense items for the cement
industry (energy accounts for about 40% of operating costs), the decision by Ciments du Maroc was dictated by the desire to comply with the Kyoto Protocol’s virtuous mechanisms and underline the Italcementi Group’s on-going commitment to sustainable development as a signatory to the Agenda for Action of the World Business Council for Sustainable Development (WBCSD).
Cemento e territorio: un dialogo “concreto” Cement and territory: a “concrete” dialogue
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orte Aperte al Dialogo è la nuova iniziativa promossa da Italcementi volta a costruire un rapporto continuativo e un confronto costante con le comunità locali in un’ottica di sviluppo sostenibile. In una logica di massima trasparenza e apertura all’ascolto, Italcementi organizza presso i propri impianti periodiche sessioni di consultazione e informazione rivolte agli interlocutori locali. L’obiettivo è fornire un quadro completo sulle attività degli impianti produttivi attivando processi partecipativi per il coinvolgimento consapevole della collettività su programmi, progetti e azioni volti alla salvaguardia dell’ambiente, della salute e della sicurezza. L’iniziativa si propone di svolgere una funzione di raccordo e di coordinamento tra le esigenze industriali dell’azienda e i bisogni del territorio in cui opera per migliorare la qualità della vita nel presente e nel futuro. Migliorare il dialogo con la comunità significa: • creare le condizioni per costruire politiche di sviluppo sostenibile che trovino il proprio fondamento nell’identità del territorio; • condividere responsabilità e obiettivi in materia di welfare e coesione sociale; • avviare la costituzione di partenariati per la realizzazione di progetti innovativi dal punto di vista
dei contenuti e delle procedure di attuazione che coniughino le scelte industriali con la valorizzazione del sistema economico locale. Italcementi, con una capacità produttiva di oltre 70 milioni di tonnellate di cemento annue, è il quinto produttore di cemento a livello mondiale, il principale operatore del Mediterraneo e il primo produttore e distributore di cemento in Italia. Sul territorio nazionale la società conta circa 5.000 dipendenti con un dispositivo produttivo di 18 cementerie, 10 centri di macinazione, 4 terminali, 252 centrali di betonaggio, 52 cave di inerti, 13 centrali idroelettriche e 1 termoelettrica. Nell’ambito di una politica industriale attenta alle esigenze e alle indicazioni previste dal Protocollo di Kyoto, Italcementi ha lanciato in questi anni diversi progetti di ammodernamento
degli impianti in particolare in Lombardia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. L’obiettivo, oltre a un miglioramento delle performance produttive in linea con le esigenze del mercato, è la riduzione dei consumi energetici specifici e di conseguenza un contenimento delle emissioni di CO2. A questo si aggiungono altri interventi di miglioramento degli impianti sul territorio con investimenti per l’ammodernamento del ciclo tecnologico e a tutela dell’ambiente con l’obiettivo di ottenere la certificazione ISO 14001 per tutte le cementerie entro il 2007. ■ ■ ■ ■ ■ ■
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pen Doors to Dialogue is the new Italcementi initiative to promote permanent on-going relations with local communities as part of the corporate commitment to sustainable development. In the interests of maximum transparency and a listening approach, Italcementi organizes regular meetings for the local community at its facilities, to offer advice and information. The idea is to provide an all-round picture of operations in its production plants through events that provide opportunities for the informed involvement of the community in plans, projects and activities for the environment, public health and safety.
Reducing the environmental impact of its industrial operations has been an Italcementi priority for many years and, in line with Kyoto principles, the Group has conducted several studies on wind power installations at its plants. The project in Morocco is the first tangible step in this direction, and work is underway on similar projects in other countries where the Group is present.
The new initiative is intended as a tool to coordinate the company’s industrial programs with the needs of the local community for a better quality of life now and in the future. Opening the doors to dialogue with the community signifies: • creating conditions for sustainable development policies geared to the identity of the community; • sharing responsibilities and objectives in welfare and social cohesion; • launching partnerships to set up innovative projects that take a fresh approach to combining industrial strategy with optimization of the local economy. With an annual production capacity of more than 70 million metric tons of cement, Italcementi is the world’s fifth-largest cement producer, the biggest player in the Mediterranean Rim and the leading cement producer and distributor in Italy, where it has approximately 5,000 employees and a production organization of 18 cement plants, 10 grinding centers, 4 terminals, 252 concrete batching units, 52 aggregates quarries, 13 hydroelectric power stations and 1 thermoelectric power station. As part of an industrial policy consistent with the requirements and indications of the Kyoto Protocol, Italcementi has launched a series of plant modernization projects in the last few years, notably in Lombardy, Basilicata, Sicily and Sardinia. In addition to enhancing production performance in line with market requirements, the goal is to cut specific energy consumption and thus lower CO2 emissions. Other action has been taken to improve local facilities through investment in technology upgrades and environmental sustainability, with a view to achieving ISO 14001 certification for all cement plants by the end of 2007.
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TX Active® di nuovo in sella con Scuola e Ambiente TX Active® back on the saddle with Education and Environment
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00.000 bambini e ragazzi di 4.000 classi italiane tra i 6 e i 14 anni (il doppio rispetto al 2006) hanno partecipato all’edizione Biciscuola 2007 sfidandosi sul tema “Costruiamo aria pulita”: un’esortazione a coniugare bicicletta e ambiente, da curare e tutelare nella vita di tutti i giorni tornando ad assaporare il gusto di un mezzo di trasporto che diverte e non inquina. Un messaggio di responsabilità che Italcementi, già partner della passata edizione e da tempo fortemente impegnata nell’ambito dello sviluppo sostenibile, ha voluto nuovamente affermare, affiancando Biciscuola e pedalando nella stessa direzione: fornire una soluzione, certo non definitiva, ma comunque importante
Dopo la positiva esperienza della passata edizione, partner di Biciscuola si è confermato TX Active® il principio attivo fotocatalitico brevettato da Italcementi che, inserito nei materiali cementizi, è in grado di contribuire ad abbattere lo smog nei centri urbani. TX Active® è stato accompagnato sulle strade del Giro da Smogbuster® “il terrore degli sputafumo che ha a cuore la nostra città”: un simpatico personaggio che gioca con i bambini, li aiuta a conoscere l’ambiente e a scoprire cosa l’impegno personale, la ricerca e l’innovazione possono fare per combattere l’inquinamento. Smogbuster® è stato presente nelle tappe speciali di Biciscuola come divulgatore che aiuta a “costruire aria pulita” così come fanno le piante con
i ragazzi sono stati chiamati a sviluppare ricerche mirate presso le autorità comunali e gli uffici preposti all’ambiente, oltre a riferire le considerazioni emerse in classe o nell’ambito familiare. Le classi vincitrici a livello locale sono state ospiti alla partenza o all’arrivo delle varie tappe della Corsa Rosa e i ragazzi hanno avuto modo di cimentarsi in prove di abilità in bicicletta, su percorso a gimkana o in volata sul rettilineo d’arrivo, con premi speciali assegnati ai primi tre di ogni prova. Le prove speciali sono state organizzate nelle città di tappa di Cagliari, Salerno, Frascati, Reggio Emilia, Lido di Camaiore, Pinerolo, Bergamo, Trento, Udine, Bardolino e Milano.
ai problemi che quotidianamente vengono evidenziati dalla qualità dell’aria nelle nostre città. Biciscuola è un’iniziativa educazionale legata al Giro d’Italia e promossa da La Gazzetta dello Sport, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dei Ministeri della Salute, della Pubblica Istruzione, delle Politiche Giovanili e delle Attività Sportive, del CONI e della Federazione Ciclistica Italiana. In occasione del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi e dell’attenzione che il Giro d’Italia ha voluto riservare all’eroe e al Risorgimento, il progetto Biciscuola ha ottenuto anche il patrocinio della Presidenza della Repubblica e del Ministero dei Beni Culturali. L’obiettivo era di avvicinare i ragazzi all’uso della bicicletta e alla pratica di sane attività sportive nel pieno rispetto dell’ambiente, oltre a trasmettere alle nuove generazioni i valori e la ricchezza culturale di un grande patrimonio nazionale quale il Giro d’Italia.
la fotocatalisi: “portavoce” ufficiale presso i bambini e le loro famiglie dei valori e dei contenuti dell’ambiente e dei materiali per l’ambiente. Giunta alla sua sesta edizione, Biciscuola si è rivolta alle classi delle scuole primarie e secondarie di 1° grado, sia pubbliche sia private, nei territori che hanno accolto le tappe della Corsa Rosa. Il progetto si è sviluppato sul tema “In bici nel verde per un picnic” per le classi delle scuole primarie e “Professione reporter ambientale” per le classi delle scuole secondarie. Ogni classe elementare era invitata a raccontare, sotto forma di pensierini o temi, oppure a illustrare, con disegni e fotografie, un’esperienza personale vissuta durante una gita o una giornata trascorsa in bicicletta. Ogni classe media era invitata a segnalare idee e proposte per migliorare la qualità della vita, insidiata da molti agenti inquinanti, attraverso l’impiego di energie e materiali eco-compatibili che possono aiutare a ridurre lo smog:
Un momento della presentazione del Progetto Biciscuola nella Sala Consiliare della Provincia di Bergamo. The presentation of the Biciscuola Project in the Bergamo Provincial Council Room.
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00,000 youngsters between the ages of 6 and 14 from 4,000 Italian school classes (twice as many as in 2006) took part in the 2007 Biciscuola project to “Keep the Air Clean”: an invitation to use bicycles in the interests of the environment and re-discover an everyday means of transport that is fun, healthy and clean. A contribution to sustainability that Italcementi, a partner on the 2006 project and a long-time advocate of sustainable development, was glad to sponsor again this year, pedaling in tandem with Biciscuola in the pursuit, if not of a solution, at least of a meaningful contribution to the problems we hear about every day caused by the poor quality of the air in our cities.
Biciscuola is an educational initiative linked with the Giro d’Italia round-Italy bike race and promoted by the La Gazzetta dello Sport newspaper, with the patronage of the Presidency of the Italian Council of Ministers, the Italian Ministries of Health, Education, Youth & Sport, the Italian Olympic Committee (CONI) and the Italian Cycling Federation. This year, with the bicentennial of the birth of Italian patriot Giuseppe Garibaldi and the tribute paid by the Giro d’Italia to Garibaldi and the Italian Risorgimento, Biciscuola had two new patrons, the Presidency of the Italian Republic and the Italian Ministry of Culture. The aim is to encourage youngsters to use bicycles and enjoy healthy, environment-friendly sports; at the same time, it introduces new generations to the cultural values of a great national sports event like the Giro d’Italia. After the success of the 2006 program, TX Active®, the Italcementi patented photocatalytic active principle added to cement to help combat urban smog, was confirmed as a partner on this year’s Biciscuola project. TX Active® was presented on the Giro d’Italia route by Smogbuster®, “the smoke-destroyer who cares for our cities”: a cheerful character who plays with children, tells them about the environment and shows them how each one of us can help fight pollution. Smogbuster® was there on each stretch of the Biciscuola event as an advocate of ways to imitate what plants do through photosynthesis and “keep the air clean”: the official “spokesman” for environmental values and materials among children and their families. This year’s Biciscuola event, the sixth, was open to state and private elementary schools and junior high schools in the areas along the Giro d’Italia route. Two themes were chosen: “A bike ride for a picnic in the country” for primary schools and “Profession environmental reporter” for junior high schools. The primary school classes were invited to present essays, notes, drawings or photographs illustrating a personal experience during an excursion or a day out on a bike. The junior school classes were asked for ideas and suggestions to combat pollutants that threaten the quality of life, using environment-friendly energy and materials that reduce smog: their brief was to organize special projects with the help of local authorities and environmental offices, as well as survey the views of friends and family. The winning classes in each area watched the start or finish of the local stretch of the Giro d’Italia and also had the opportunity to show off their skills in a cycling gymkhana and a race down the finishing straight, with special prizes for the first three competitors in each event. Special events were organized in the cities of Cagliari, Salerno, Frascati, Reggio Emilia, Lido di Camaiore, Pinerolo, Bergamo, Trento, Udine, Bardolino and Milan.