Tesi in Grafica Editoriale di Arianna Capra - Fernweh

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fernweh STORIA UNviaggio VIAGGIO storia diDIun

ARIANNA CAPRA

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sociologia nuclei familiari

filosofia antropologia

chiusura culturale

arte pregiudizio stereotipo

ESSERE E CONOSCERE

KANT integrazione

FUGA cubismo

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CURIOSITÃ


psicologia caratterizzazione

biologia evoluzione

storia

letteratura DANTE

DITTATURE

ULISSE

MITOLOGIA

ABBANDONO

VIAGGIO cambiamento personale

non giudicate le mie scelte senza capire le mie ragioni NOSTALGIA

ritorno 7


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FERNWEH Fernweh (tedesco) = Nostalgia per un luogo nel quale non si è mai stati attraverso questo corto volevo rivelare i disagi, le paure, i sacriFIci ma anche le bellezze di ritrovarsi persi nel mondo. RITROVARSI PERSI NEL MONDO, PERCHÉ? Perché c’è sempre un momento in cui dobbiamo crescere e affrontare la realtà. Per me è stato passare dal mio piccolo paese a una grande città come roma. La cosa curiosa è che, una volta metabolizzato il ritmo, si rivela il vero volto della città, che poi rivela il tuo. allora ascolti storie, vivi avventure, stai a contatto con persone sempre diverse in un mondo in constante cambiamento. È brusco perché cresci improvvisamente, ma arricchisci te stesso in modi che il paese non può fare. Ma il senso del viaggio, è anche il ritorno. Per me è stata sempre la difFIcoltà maggiore. Tornare nella realtà di partenza e sentirsi, improvvisamente, a disagio. Che poi questo disagio è autoprodotto poiché, le tue esperienze, ti fanno vedere molto oltre quello che è la media, e ti fa sentire fuori posto. Da un certo punto di vista, questo è positivo, ti spinge sempre sotto cieli nuovi e orizzonti diversi, ma dall’altra non ti fa sentire mai a casa. 9


INDICE 10


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lo storytelling e la storia

storyboard

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la sceneggiatura

character design

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take one more shot

note dell’autore 11


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LO STORYTELLING & LA STORIA 13


“L’HO RACCONTATA PERCHÈ ERA UNA FORTE NECESSITÀ”

V

iaggiamo spesso e spesso inconsapevolmente. Fernweh è il cortometraggio che prova a spiegare il mio viaggio. Racconta il passaggio che ho compiuto dopo la maturità, quello dell’università e da ragazza fuori sede. Quell’andare e tornare mi sfiniva, perché era come avere due maschere. Una per il paese, una per la città. Mi piace pensare che tutto quel disagio, quelle paure e quel divertimento siano raccolte in questo lavoro, per poterlo poi passare, condividere, affrontare e magari riderci sopra. Ovviamente niente va sprecato, neanche il più inutile dei pensieri, tutto viene distillato e piano piano compreso. Ma questo, naturalmente, quando parti, non lo sai, e sembra tutta una grande, inutile sofferenza, almeno per me.

Il personaggio principale è Sunnose, che rappresenta la falla del sistema. È unica, speciale, curiosa ma ancora non lo sa. Infatti nasce e cresce in una realtà media. Gli abitanti sono tutti uguali, sferici e brutti. Credono fermamente che niente deve cambiare, perché sono spaventati dalla novità, per questo rimangono incastrati in queste forme grossolane. Ma il problema più grosso, probabilmente, è che sono semi-liberi, lo sanno, e gli va bene così. Sunnose vivrà un’avventura nuova grazie al suo spirito curioso. Questa peripezia sarà la chiave della storia, perchè la farà crescere, credere in se stessa e la renderà diversa.

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LA STORIA INZIA COSÌ:

nella e t l e c s e u d pre “Ci sono sem e le condizioni tar vita: accet rsi la e m u s s a o o m in cui vivia i cambiarle.” tà d i l i b a s n o p s e r 15


Vudonque è un paese come un altro, abitato da esseri sferici e tutti uguali. Non hanno ambizioni, se non quelle di vivere nelle loro vite tranquille a rotolare tutto il giorno a destra e a sinistra. Un paese con i suoi pregiudizi e le sue tradizioni che dovresti seguire. Immerso nel verde e lontano dalle altre culture. Sunnose era una palla come le altre, se ne stava tutto il giorno sotto l’ombra di un albero a godersi l’aria fresca. La compagnia degli altri abitanti era piacevole e giocava nella piazza con gli amici ma a lungo andare la scocciava. Spesso finiva per non sentirsi parte di quella realtà, l’annoiava per la ripetitività e quotidianità delle azioni, delle storie

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e fantasticava su come potesse essere il mondo là fuori. Anche se quella era casa sua, si chiedeva perché nessuno capisse questa sua curiosità. Nel rossore di un pomeriggio pigro e ozioso come gli altri, rotolò giù per la discesa più lontano di quanto fosse mai stata, per vedere cosa ci fosse oltre il bosco che circondava il paese. Spinta da una curiosità morbosa, si lasciò andare giù per la discesa d’erba. S’intrufolò tra i noccioli e appena superati, si accorse, per la prima volta, dell’orizzonte. Potrà sembrare banale ma qualcosa in lei si ruppe e prese coscienza che tutto quello che aveva sempre pensato: la tranquillità, il suo paese, quel limite sicuro e fermo, non fossero altro che


vaghe barriere che ti proteggevano da qualcosa di bello e raggiungibile che poteva essere tuo. Senza neanche rendersene conto fece un passo di troppo, su un terreno che non era stabile, per ritrovarsi a precipitare lungo il dirupo e capitombolare nella piana sottostante nell’erba alta e profumata. Quando trovò la forza di alzarsi, Sunnose si trovò davanti il muso pinzuto e peloso di un procione. “ti sei persa?” disse l’animale. “mmmhm non proprio, ma dove siamo?” Rispose. “Bo, non credo che abbia un nome questo posto, comunque piacere, io mi chiamo Gnè”. “che nome strano, io sono Sunnose, sono precipitata dalla rupe là in cima, pensavo che il terreno tenesse... “. “Non preoccuparti, ora ci sono io con te”. Camminarono un po’ insieme per parlare, gli spiegò del perché fosse rotolata giù e di cosa aveva appena visto, mentre Gnè gli raccontò che stava mangiando delle ghiande quando gli era piombata addosso e che ora le aveva perdute. Si scusò con il roditore e gli propose di aiutarlo a ritrovarle se lui gli avesse mostrato la strada per tornare a casa. Stava quasi per fare buio e di ghiande non se ne era vista traccia, ma restavano allegri raccontandosi barzellette e canticchiando. La determinazione di Gnè spingeva Sunnose a trascinarsi dolorante sotto tutte le querce che vedeva. Era una cosa molto importante per quell’esserino peloso, ritrovarle, ma in fin dei conti stava bene e la cosa non la turbava più di tanto. Sopra una rupe scoscesa vide, in lontananza, una quercia inclinata su un lato che faceva risplendere le sue ghiande. Indicò al procione la via e fece per andarsene quando gli si attaccò alla gamba implorandola di aiutarlo. Sunnose, di fronte a quegli occhioni grandi, decise di aiutarlo ancora una volta.

Insieme provarono a scalare la parete liscia e fredda. Purtroppo Gnè mise un piede in fallo, Sunnose provò ad acchiapparlo ma il procione scivolò velocemente giù per la rupe. Fortunatamente atterrò in uno spiazzo d’erba morbido, non facendosi niente. Un volta accertatosi di stare bene, il procione urlò alla sua nuova amica di andare avanti e di scuotere la quercia. Concentrandosi su quello che diceva l’animale, per la prima volta, guardò in basso, rendendosi conto di quanto fosse in alto e vacillò. “coraggio puoi farcela!!” gli gridò dal basso il procione. “sono troppo in alto, ho paura! E come ci sono arrivata qua? Voglio scendere!” rispose urlando Sunnose. “Non avere paura! Tu sei forte! Puoi affrontare tutto, abbi fiducia! Ce la farai! ”. Sunnose prese coraggio, lo aveva promesso e doveva dimostrare all’animale, ma soprattutto a se stessa, che poteva farcela. Mise un piede dopo l’altro, fino ad arrivare a toccare la grande quercia. “evvaiiii, lo sapevo che ce l’ avresti fatta!!!” gridò Gnè. Con un gran sorriso, cominciò a scuotere la pianta facendo cadere tutti i suoi frutti verso l’animale che urlava di gioia e girava su se stesso. Rideva e ululava felice per quell’assurda, stupida e folle azione che aveva appena compiuto. Si sentiva forte, rinata e fiera di se stessa perché per la prima volta non aveva rinunciato, aveva compiuto il suo lavoro senza mollare. Una volta scesa, i due si abbracciarono forte e festeggiarono quella strana pioggia di ghiande. “sei proprio in gamba!” Disse il procione “non avevo mai fatto una cosa del genere... sono felice!” rispose Sunnose. L’animale la guardò, prese una ghianda e la porse alla ragazza. “prendila, questa sarà la prova di quello che hai fatto oggi, così ogni volta che la guarderai, ti ricorderai che, in quel momento, non hai mollato e che sei più forte di quanto pensi!” Rinvigorita da quelle parole, trovò in se una forza nuova, sconosciuta, quella della determinazione, quell’energia che non ti fa mollare di fronte alle difficoltà. A malincuore, la ragazza scoprì che il procione non sapeva dove fosse la strada di casa, ma gli indicò un sentiero vicino. Così si salutarono e si augurarono buona fortuna. Sulla via

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di casa, Sunnose pensava a quella piccola, ignota consapevolezza che il mondo non finisse lì. Di come quell’evento avesse ribaltato il pensiero che aveva da quando era partita. Riconobbe subito il profilo frastagliato delle case e cominciò a correre verso casa per raccontare ai genitori tutto quello che aveva vissuto. Appena entrò in casa, l’accolse la madre preoccupata che notò che era diversa, era cambiata e che non era sicura di riconoscerla. Ma lo sguardo di Sunnose, per la madre, era sempre lo stesso, l’abbracciò forte e si fece raccontare tutto quello che era successo in quel periodo di assenza. La madre ascoltava e lentamente capì il perché di quei cambia-

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menti, passarono la sera a raccontarsi le cose. Il mattino dopo decise di tornare alla piazzetta per giocare con gli amici che però reagirono male, non riconobbero Sunnose e si chiesero a cosa fosse dovuto quel cambiamento. Furono spaventati da quel suo oggetto e non capivano perché avesse fatto una cosa stupida come andarsene. Cominciarono a evitarla, gli incontri diventavano sempre più rari e nessuno voleva più giocare con lei, pensò di aver fatto una cosa molto sciocca, che l’avventura che aveva vissuto non valesse più niente e che tutto quello che aveva raccontato fossero bugie. Voleva reintegrarsi e stare di nuovo con i suoi ami-


ci, non spaventarli. Passò dei giorni molto tristi, finché un pomeriggio, le tornarono in mente le parole del procione, si ricordò della forza e di quella piccola insignificante ghianda. Così, guardando il cielo, si ricordò di essere leggera e di quello che aveva imparato e vissuto. Era veramente importante quello che pensavano quegli esseri tutti uguali, che passavano la vita a dire e fare le stesse cose? Gli stessi che non si erano mai spinti oltre il bosco, che non conoscevano il valore dei sogni o del tempo. Poteva veramente credere che il loro giudizio fosse così giusto e razionale fino ad avere ragione? Scrollò le spalle, fece un grande respiro e sorrise. I

loro pensieri non facevano poi così paura, loro non sapevano niente e, non sapendo niente, sarebbero sempre rimasti nel loro guscio protettivo e sicuro, con tutti quei piccoli pregiudizi e verità assolute. Si sentiva felice di essere precipitata giù e di aver imparato tutte le cose, si sentiva diversa, lo era e questo la faceva sentire, stranamente, bene... Così una mattina, salutò la madre di nuovo e riprese la strada verso la collina. Non sapeva cosa avrebbe trovato, e questo la affascinava, ma sapeva con certezza che non avrebbe rimpianto ciò che lasciava. Così era partita a cuor leggero e se ne era andata. Mentre tornava verso l’orizzonte, improvvisamente, si ritrovò a rotolare, di nuovo, dalla stessa rupe...

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Ovviamente la storia è piena di metafore. Quella del paese è la più importante, Vudonque, che è un anagramma di “dovunque” rappresenta la mentalità e la tipologia di persone che lo abitano. Non parlo di una cittadina in particolare, ma osservando la macrostruttura sociale, ci si accorge che il sistema è lo stesso, dovunque. La cittadina genera ottiche atte a vivere nel contesto, non che questo sia un male, ma non permette il sorgere di idee nuove. È comprensibile, quindi, che identità più creative o visionarie, tendano a estraniarsi. Non dobbiamo sorprenderci di queste situazioni, sono fisiche talmente delicate che è difficile comprenderle, figuriamoci cambiarle. Dovremmo accettarle e crescere non stupendoci se ci fanno sentire a disagio. Le esperienze sono diverse, i modi di maturare sono insoliti, c’è una gran vastità di pensiero e tutto questo è bello, rassicura e ci fa sentire un po’ speciali.

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etodo di comunicazione essenziale: una descrizione scritta e delle frecce che indicano la direzione sullo schermo del soggetto dell’inquadratura o del movimento della macchina da presa. Si utilizzano figure stilizzate che trasmettono la posizione dei soggetti e la direzione dell’azione per distribuire un’idea più simile a quella del regista a tutti. La mia storia si articola in un giorno, due luoghi diversi, momenti diversi. Sunnose parte dal paese, dove non si sente a suo agio e c’è qualcosa che manca. Nel secondo momento decide di avventurarsi nel bosco e scopre l’orizzon-

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te che è il primo passo per cambiare. Precipita dalla montagna e atterra sulle ghiande di un procione che la convince ad aiutarlo. La metamorfosi avviene mentre scalano la montagna, è naturale, vera, pura. Un passaggio necessario che Sunnose compie inconsapevolmente. Ovviamente al ritorno non si rende conto di essere cambiata, e il primo incontro con gli abitanti si rivela brutto e non previsto. Così sceglie di riprendere la ghianda e tutto il coraggio che ha e di ritornare nella foresta per cambiare di nuovo, per vedere cosa c’è più in là, o semplicemente per vivere.


STORYBOARD

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LA SCENEGGIATURA

La sceneggiatura funziona come punto di incontro per tutti quelli che lavorano al prodotto, che sia un film, un cortometraggio o un cartone animato. Estrapola quello che è il pensiero e il modo di vedere del regista e permette di vedere lo svolgimento della storia nella completezza, i punti di ripresa e le tempistiche. La tipologia che ho usato per la mia sceneggiatura è quella all’americana, molto comune. Essendo un piccolo contrometraggio, e lavorando da sola, ho voluto sceneggiare solamente la scena con il protagonista e il co-protagonista. Ovvero, la scena dell’incontro e dell’avventura. E’ l’unica con un dialogo, per questo ho avuto il bisogno di tenerla più sotto controllo, affiancandogli una sceneggiatura con le battute. Il tutto è supportato dallo storyboard che ne favorisce la lettura.

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SCENA 21 - incontro con Gnè -

esterno giorno – prato aperto

Sunnose precipita lungo la montagna, rimane steso per terra quando si avvicina un animale, un procione, incuriosito dalla caduta GNE’ ti sei persa?

SUNNOSE non proprio, ma dove siamo?

GNE’ Bo, non credo che abbia un nome questo posto, comunque piacere, io mi chiamo Gnè

SUNNOSE che nome strano, io sono Sunnose, sono precipitata dalla rupe là in cima, pensavo che il terreno tenesse... GNE’ non preoccuparti, ora ci sono io con te, hai dato una bella capata, che ci facevi lassù? SUNNOSE mi sono avventurata nel bosco, ho visto l’orizzonte, è stato pazzesco!

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GNE’ Ah! wow... beh... a me invece hai fatto perdere tutte le ghiande...

SUNNOSE ah, scusa... senti ma...mi mostreresti la strada di casa

GNE’ prima le ghiande... poi ti mostro la strada

SUNNOSE no no no...devo andare a casa, niente ghiande...mostrami subito la strada GNE’ allora niente strada...sei un blablabla

SUNNOSE dai per favore! GNE’ Ghiande! Ghiande ghiande

SUNNOSE ooooookkkeeei, va bene, cerchiamo le ghiande, ma sbrighiamoci

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SCENA 23 – la ghianda esterno giorno – pendici della montagna Dopo aver cercato insieme per un po’, i due vedono in lontananza una quercia sulle pendici di una montagna piena di ghiande, così si avvicinano alla pianta.

SUNNOSE Guarda là! Quella è piena! GNE’ evvaiiii, andiamo! SUNNOSE vai vai...e buona fortuna, io torno a casa

GNE’ dove stai andando? Mi molli qua? Un procione tutto solo, alle pendici di questa brutta brutta...montagna....alta.... daaaai ti pregooooo SUNNOSE Che noia! GNE’ Grazie...ora andiamo

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SCENA 25 - la metamorfosi esterno tramonto – sulla montagna il procione precipita nella valle. Sunnose rimane aggrappata alla roccia e cerca di andare avanti da sola, raggiungendo la quercia, ma subendo una trasformazione fisica.

SUNNOSE ehi, stai bene? GNE’ sisi, tutto bene...scuotila tu...coraggio, puoi farcela!!

SUNNOSE waaaaaaa, sono troppo in alto, ho paura! E come ci sono arrivata qua?? voglio scendere!!

GNE’ non avere paura! Tu sei forte! Puoi affrontare tutto, abbi fiducia! Ce la farai!

SUNNOSE d’accordo...ce la faccio... è semplice... gliela faccio vedere io a quel procione spelacchiato

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esterno tramonto Gnè grida e urla, contento del successo dell’amica

GNE’ evvaiiii, lo sapevo che ce l’avresti fatta!!!

SCENA 27 - il ritrovo esterno tramonto Sunnose e Gnè si ricongiungono alle pendici della montagna

GNE’ lo sai che sei in gamba!

SUNNOSE Non avevo mai fatto una cosa del genere sono... Felice

GNE’ questa è tua...prendila, sarà la prova di quello che hai fatto oggi, così ogni volta che la guarderai, ti ricorderai che, quella volta, non hai mollato e che sei più forte di quanto pensi!

SUNNOSE beh....grazie, ora mostrami la strada...

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GNE’ ….non la so

SUNNOSE coooosa??

GNE’ però....dai, mi ripassi a trovare vero?

SUNNOSE non lo so...

GNE’ ti auguro buona fortuna.... sempre in gamba

SUNNOSE Grazie...a presto!

SCENA 29 - l’arrivederci Sunnose riprende la strada di casa e lascia il procione nella valle

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“mi costrinsero a vagare su questa terra da solo…. Io sono nessuno” (deadman)

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“Dovevano sembrare incompleti, parziali, sia nella forma, che nel colore.”

L’ho voluto di questo colore, perché il grigio medio è quello che rappresenta meglio un vuoto, la mancanza di qualcosa. Desideravo che l’essenza di personalità piatte e poco interessanti trasparisse a colpo d’occhio, come astrazione o ritratto del carattere. Il grigio è un colore che non si sbilancia, non è brillante, non è scuro, rimane nel mezzo senza nessun ruolo in particolare. Volevo fossero uguali da ogni punto di vista, ma cercavo anche una sorta di equilibrio in questo, come se il colore fosse una qualità

ottenibile con l’esperienza. Per questo hanno anche questa particolare forma. Incompletezza è la parola chiave. Una struttura che non è pura come una sfera ma non è neanche troppo articolata per essere definita con un nome. Credevo fosse importante, per il personaggio stesso, non rendersi conto della propria situazione, non sapere della possibilità di cambiare e di evolversi, così come per noi è difficile pensare di poter mutare. Rappresentano l’immagine 3D di vite prive di tante esperienze e rimaste abbozzate.

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John Dewey, uno dei più profondi FIILOSI degli Stati Uniti, sosteneva che “il bisogno più sentito della natura umana è il desiderio di essere importanti”. 42

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unnose, sarà l’unico personaggio che riuscirà a rendersi conto di poter cambiare. Acquisterà una forma più umanoide grazie all’avventura che vivrà e che la farà crescere. Ovviamente quest’eroina avrà un vantaggio su tutti gli altri: LA CURIOSITA’

Ho creato questi occhi grandi e privi di pupille perché volevo che l’osservatore restasse comunque distaccato da loro. Gli occhi sono lo specchio dell’anima e sono la parte più comunicativa del nostro corpo. In animazione sono quelli più curati, perché


lo spettatore si aggancia a loro e li segue, scrutandoli. Gli occhi non possono mentire durante l’azione. Basta pensare a quanto sono studiati i movimenti di macchina o i campi e controcampi per assicurare una buona inquadratura e un effettivo incrocio di sguardi. Perché Sunnose, nella sua mutazione, non acquista anche le pupille? Non può, non deve averle perché sarebbe troppo espressiva e eccessivamente diversa. Tuttavia cambia il senso, non sono più gli occhi di chi è sconvolto ma di chi ce li ha sbarrati perché sono persi a guardarsi attorno. Privandoli delle pupille ho creato un allontanamento emotivo. Volevo sembrassero sconvolti, stravolti dalla vita e dagli affanni, che fossero accascianti nei modi di essere.

Nonostante questa barriera che mi sono autoimposta, l’animazione mi ha aiutato in questo senso, perché non permettendo all’osservatore di aggrapparsi a uno sguardo, ho favorito il linguaggio del corpo. Anche le espressioni non sono particolarmente eloquenti perché, come per noi, doveva essere difficile esprimere le emozioni. Sottolineare, a volte, la complessità del comunicare e anche l’impossibilità di farlo attraverso mezzi comuni. Quindi, questi personaggi, per niente empatici, paradossalmente, hanno riflettuto molto bene l’idea dell’incomprensibilità umana. Quella dei rapporti, dell’incomunicabilità che c’è fra ognuno di noi e che spesso non permette di comprendersi.

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UN PERSONAGGIO COMUNE

Nessun ruolo in particolare. Caratteri impuri, grezzi, poco formati. Incapacità di comunicare i propri sentimenti e i propri desideri. Hanno tutto quello di cui hanno bisogno ma vivono una vita media e incompleta.

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Non c’è nessun ostacolo che li tiene lontani dal mondo esterno. Potrebbero andare via in qualunque momento ed esplorare i limiti del mondo, ma l’unico confine che hanno è quello mentale.


Credono fermamente che non ci sia motivo per fare una cosa stupida come andarsene. Per questo, a loro volta, sono spaventati da chi è diverso da loro.

DAL DISEGNO AL DIGITALE

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SUNNOSE Sunnose è il personaggio principale che compie questo viaggio.

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sunnose

da dove viene questo nome? Sunnose è l’anagramma di “nessuno” Sunnose, è un essere sferico uguale a tutti gli altri. Doveva sottintendere una sorta di qualunquismo. Ispirandomi un po’ al libro di Pirandello “uno, nessuno, centomila” ho voluto che fosse vago, un personaggio che non doveva avere nessuna attinenza con la realtà. Volevo che all’inizio avesse un carattere neutro, apatico. Non volevo dare opportunità al pubblico di tracciare un profilo psicologico, almeno non subito. Infatti durante l’avventura, cambiando il personaggio, cambia anche il suo carattere. Dopo la trasformazione fisica, c’è un passaggio di atteggiamento e mentalità. Tecnicamente, l’apaticità e il qualunquismo, lasciano spazio a un carattere più formato, indipendente, sicuro di sé. La chiave per aprire gli occhi a Sunnose sarà principalmente il fatto di crescere, di allontanarsi dal paese. Affrontare le varie situazioni, anche difficili, ci pone in due condizioni: imparare e crescere o scappare.

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Sunnose scoprirà che la forma originaria poteva evolversi, cambiare. Quella struttura abbozzata poteva diventare più umana, e quindi, da un certo punto di vista, completa. La fisicità ho voluto che fosse una virtù ottenibile, così come il colore. Credo che questa scelta sia guidata dalla necessità di rendere palese il carattere attraverso la forma, sottolineando, in particolare, il cambiamento che crea il viaggio.

“non avevo mai fatto una cosa del genere sono.... felice”

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CIAO! IO MI CHIAMO GNE’ GNE’ è il co-protagonista, è quello che aiuta a sconvolgere un pò la storia. Sono convinta che dagli incontri più insoliti, nascano le migliori amicizie, quelle di condivisione, del fare tante cose insieme e sentirsi parte di qualcosa che va oltre la tua personalissima sfera. Così sono Sunnose e Gnè. Gnè è un procione tutto pepe che non si lascia abbattere, non sa cosa sia la violenza o la frustrazione

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perchè sa quello che vuole. La sua virtù più grande è sicuramente quello di bastarsi, essere indipendente. Questo lo fà essere un ottimo compagno d’avventura perchè non lo farà mai per un tornaconto personale, sarà sincero e fedele, come tutti gli animali. Ovviamente avrà la sua carica di insistenza e inopportunità ma questo sarà la chiave di un’evoluzione spontanea e necessaria sia per Sunnose che per lui.


Per una scelta stilistica anche a Gnè non ho voluto disegnare le pupille, perchè per quanto potesse essere piÚ evoluto e consapevole di se, rimaneva nel contesto del distacco con lo spettatore.

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take one more shot

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Il rendering, ovvero l’esportazione FInale della scena, impiega circa un’ora per ogni shot


gli ambienti 3d esistono tutti, ho solo riprodotto la scena digitalmente .

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NOTA DELL’AUTORE: In fernweh, io, ho messo tutta me stessa. Avevo questa storia da raccontare. Per quanto potessi trovare riscontro delle mie emozioni negli altri, c’era sempre qualcosa in più. Così ho raccolto tutte le mie emozioni e me ne sono liberata in questo racconto. Forse per necessità, forse per il bisogno più umano di piacere agli altri, ho scelto questo modo. Parlare attraverso le immagini, sfogarmi attraverso le metafore che ho messo ovunque, che sono poi, fatti vissuti da me. perchè Sunnose sono io.. Ero io che mi sentivo a disagio, ero io quando precipitava, ero io che mi cacciavo 58

nei guai. Il procione sono i miei amici, che erano lì, senza dovermi niente, senza nessun pretesto. La realtà che ho voluto raccontare tuttavia, non c’entra niente con quella vera e propria. è una licenza artistica che mi sono presa, quella di volerla raccontare così. dargli questo aspetto non è veritiero, ma sono le sensazioni che ho provato, e non vedo perchè non dovrei esprimerle. è anche un modo per conservare queste emozioni. non volevo lasciarle sprofondare nel dimenticatoio per poi rivedermele spuntare fuori alla prima DIFFICOLTÀ. questo è il mio modo di affrontare il passato, cercare di scavare nella ferita per farla guarire al più presto.


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credo che piĂš di ringraziarvi, dovrei a tutti delle scuse, ma la sezione “scuseâ€? non esiste, purtroppo...Tuttavia ringrazio tutti (siete decisamente troppi, non mi metto a fare nomi) quelli che mi hanno dato una mano e che, in un modo o in un altro, sono entrati a far parte della mia storia.

p.s. devo ringraziare soprattutto me stessa per avermi messo in questa odissea.

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A CHI STA LEGGENDO QUESTO

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o l o l’ i n ès i

i un a d lt o i z

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n via gg i o

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f i n a ed L . ro


Diploma di Laurea 2016 Dipartimento Progettazione e Arti Applicate Scuola di Progettazione Artistica per l’Impresa Corso Triennale di Grafica Editoriale Candidata: Arianna Capra Relatore: Enrico Pusceddu

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2016


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