Gli Ashram

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CURCIO YOUNG I Edizione aprile 2013 Š 2013 Gruppo Armando Curcio Editore S.p.A., Roma www.armandocurcioeditore.it info@armandocurcioeditore.it ISBN 978-88-97508-60-1 Direzione editoriale: Cristina Siciliano Art direction: Mauro Ortolani Supervisione editoriale: Francesca Costantino Illustrazioni: Giulia Tomai Copertina: illustrazione Giulia Tomai, elaborazione grafica Antonello Romeo Progetto grafico: Pierluigi Guerrucci Editing: Curcio Video S.r.l. Stampa Graf Art S.r.l. - Venaria (TO) Finito di stampare nel mese di aprile 2013 Tutti i diritti sono riservati, incluso il diritto di riproduzione integrale e/o parziale in qualsiasi forma.


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Indice Prologo

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Parte I Strane luci nel cielo Il bambino abbandonato Un passo indietro... Un incontro incredibile Amici o nemici?

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Parte II Il racconto di Zarion Alena Le terre nascoste Metamorfosi Alok Nuove rivelazioni Ancora rivelazioni Ritorno a casa Il consiglio dei draghi

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Parte III Il drago e la famiglia Montanari Infine...

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Ringrazio

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Prologo

La durezza del pavimento di pietra lascia rimbalzare le gambe che corrono e il respiro si fa affannoso, mentre il riecheggiare dello scalpiccio aritmico misto al suono dell’ansimare dei nostri respiri ci mostra una strada lastricata di pietra grigia che arriva dritta alla torre. Mentre in lontananza all’orizzonte, la vibrazione di un suono cupo minacciosamente si avvicina davanti a noi si staglia nitida la torre ottagonale ricoperta su ogni lato di simboli scolpiti. Il nostro gruppo non è omogeneo. Noi sei siamo visibilmente agitati, ma Ivan si protende in avanti diritto e sicuro con lo sguardo fisso alla porta. Tutti vogliamo raggiungerla, ma questa a ogni sforzo sembra allontanarsi. «Non ce la faccio più! − sbotta Mauro fermandosi a riprendere fiato − In questo cavolo di posto, c’è qualcosa che non va! È un’ora che corriamo, perché non riusciamo a raggiungerla? Intanto quelli arrivano!», e indica la nuvola scura che si avvicina volando a gran velocità. 7


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Gli Ashram e il drago celeste

Tutti ci voltiamo terrorizzati tranne Ivan in prima fila. «In questo luogo è importante solo come pensi! − dice con voce chiara − Devi già immaginarti dentro la torre e ci arriverai!». Come sempre quando Ivan parla tutti rimaniamo sconcertati a guardarlo, poi con un respiro cerchiamo di concentrarci, e fare come dice. «Hei! Funziona − grido mente sento che i piedi accelerano il passo −. Sembra di stare sulle scale mobili!». Anche gli altri adesso si stanno muovendo a gran velocità e in un battito di ciglia arriviamo al portone in pietra praticamente tutti insieme. La doppia porta si spalanca sotto le nostre mani e ci riversiamo all’interno inciampando l’uno sull’altro. Appena in tempo. Già l’avanguardia dello stormo raggiunge la torre e comincia a colpirla. Ci buttiamo a terra stravolti e tremanti mentre fuori riecheggiano i primi colpi sordi. «Che cosa... sono esattamente?», dice Camilla guardando le strette finestre terrorizzata. Un essere alato di circa tre metri con una bocca irta di denti e due ali nere come quelle di un pipistrello comincia a rosicchiare ferocemente i pilastri delle finestre, quando Ivan al centro della stanza chiude gli occhi e si concentra. Subito il mostro emette un grido acuto e come colpito da una mano invisibile scompare alla vista. «Che gli hai fatto?», chiede Leonardo con la sua solita aria tranquilla e attenta. «Mi concentro su un pensiero, un’idea e loro ne 8


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Prologo

vengono distrutti! − risponde Ivan guardandosi intorno per controllare le altre feritoie − E sarebbe il caso che impariate a farlo anche voi se volete distruggere quest’orda di correnti casuali». «Questa... che cosa?», chiediamo tutti preoccupati. «Correnti-casuali-di pensiero! − scandisce Ivan guardandoci uno ad uno − Quello che ogni uomo o donna pensa sulla terra in modo assolutamente casuale quando non ha un pensiero o un progetto ben definito in testa. Quando si abbandona ai pensieri superficiali banali senza senso che occupano la mente senza una direzione e senza un costrutto. In breve, ciò che ognuno fa con il proprio cervello per la maggior parte del tempo in una vita. Eccoli! Sono tutti qui. Sono loro!», dice indicando con il mento gli esseri che volteggiano all’esterno della torre. «Perché mai i pensieri dell’essere umano dovrebbero essere così feroci?», ribatte Olivia che come sempre segue una logica tutta sua. «Olivia, hai mai provato a portare avanti un progetto? O anche semplicemente a esporlo ad altri?», le risponde Ivan. «Sì, certo». «E che cosa è successo ogni volta che lo hai fatto? Non sei forse stata attaccata da ogni parte, da dubbi, paure o perplessità? Non hai finito per cedere e quindi distruggere quello stesso progetto con le tue insicurezze, fino a quando alla fine non lo hai più realizzato 9


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ed è rimasto un sogno? Questo noi siamo qui, un sogno! E loro sono tutto ciò che di distruttivo esiste per annientare questo sogno! A meno che...». «A meno che cosa?», chiediamo tutti in coro protesi in avanti. «A meno che non ci concentriamo e rendiamo i nostri pensieri forti e costruttivi». «E come diavolo potremmo farlo? − urla Mauro − Non siamo proprio in un contesto sereno, sai? Io non so gli altri, ma per quanto riguarda me ho un po’ di difficoltà a concentrarmi in queste condizioni!». Mauro lo dice, ma lo pensiamo tutti. La struttura della torre infatti ormai trema e si riempie di crepe sotto i colpi formidabili dello stormo impazzito e le finestre sono ingolfate di esseri che mordono e strappano la pietra. A questa velocità fra poco la demoliranno e poi toccherà a noi... «Se è solo per questo io posso insegnarvi», risponde Ivan guardando l’ultimo bagliore di luce che scompare dalla finestra e, velocemente, si appresta ai piedi di un piccolo altare e tira fuori da un cassetto del libri che distribuisce a ognuno di noi. E, guardandoci negli occhi parlando al ritmo di una respirazione molto lenta, dice:

«Questo è il libro dell’Amore e della Saggezza e mentre puoi sentire fra le tue mani la grana della carta 10


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Prologo

di questo libro, proprio via via che tu respiri, a ogni tuo respiro, i tuoi polmoni si gonfiano allargando così le costole del tuo torace. Fai bene attenzione al suono della mia voce: puoi sentire anche il suono dei colpi dall’esterno delle correnti casuali, mentre guardandoti intorno tutto appare più brillante e scintillante. Tutto ciò non può far altro che tranquillizzarti. E quindi, mentre sei con il libro fra mani, mentre puoi sentire i suoni che ti circondano, a ogni tuo respiro, mentre i tuoi occhi con voracità leggono il libro, oltre che rilassarti sempre più, emerge sempre più in te quella tua parte positiva, quella costruttiva. Quindi ora voglio dirti che, mentre hai il libro fra le mani, e con bramosità continui a leggere, i suoni, le immagini e le sensazioni sono molto più importanti. Quindi continua pure a leggere il tuo libro di Saggezza, mentre la tua parte positiva potrà così ricordare un’esperienza in cui, anche se tutto sembrava estremamente difficoltoso, ne se arrivato a capo egregiamente...».

Così in un attimo, con un respiro, mi torna alla memoria la prima volta che ho incontrato Zarion...

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Parte I


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Strane luci nel cielo

Lo spiazzo erboso ai margini del quartiere, circondato da alberi, era intimo e romantico. Per questo i ragazzi della zona l’avevano soprannominato: “La Collina degli innamorati”. Un sentiero tortuoso in mezzo ai campi conduceva al pianoro delimitato da querce e allori e, da lì, la vista sulla città e sulle dolci colline in lontananza aveva fatto sospirare più di una coppietta, durante l’estate. Ora, però, in quel rigido giorno d’ottobre, la collina era completamente deserta. Per questo nessuno si accorse degli incredibili fatti che stavano accadendo. Nel silenzio più totale, al centro dello spiazzo fra foglie e rami secchi, all’improvviso... uno schianto. Stormi di passeri e cornacchie fuggirono, mentre una quercia si sbriciolò come colpita da un fulmine. Il cielo, però, era perfettamente sereno. Un suono vibrante sembrava provenire da un punto non definito a mezz’aria, proprio dove c’era l’albero. Improvvisamente si accese una luce abbagliante color avorio e, in una sorta di varco fluido, apparve qualcosa di mai 15


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Gli Ashram e il drago celeste

visto! Qualcosa di sfavillante si agitava emettendo fischi acuti, piegava l’aria che sembrava fatta di bolle di sapone, e mise in fuga gli ultimi pettirossi curiosi. Cosa stava succedendo? Cos’erano quello schianto e quei suoni e quello stranissimo oggetto comparso dal nulla? Posso aiutarvi dicendo che i suoni erano le voci di due draghi e, per darvi un’idea, tradurrò per voi la loro incomprensibile lingua. La prima voce, profonda e affannata: «Nel sacro nome delle uova di Babel! Zarion, spiegami di nuovo perché siamo volati fin qui, il luogo più pericoloso del pianeta. Sei stato misterioso e io comincio ad avere paura, siamo davvero troppo vicini ai nidi dei maxxim, ne sento l’odore. Che cosa ci facciamo qui? So che sei disperato per la perdita del piadik, ma questa non è una buona ragione per suicidarsi insieme, ai margini del cielo. Tra l’altro siamo nei pressi delle zone di confine e rischiamo di impelagarci negli spazi distorti... Zarion! Mi stai ascoltando?». La seconda voce, ancora più profonda e dal tono amareggiato: «Stai tranquillo, Vaxuel, so quello che faccio! Comunque sei stato tu a volermi seguire. Sai che ti voglio bene e non ti avrei mai coinvolto. Sono molto turbato e volevo fare questo viaggio da solo, secondo le 16


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Parte I

indicazioni di Alok che mi ha dato le coordinate poco prima di morire». Prima voce: «Che cosa? Mi stai dicendo che tu, un drago della stirpe celeste, stai viaggiando ai confini del mare azzurro per le parole di un piadik? Sei impazzito davvero! Avevano ragione i saggi anziani del consiglio, stai perdendo completamente la testa». Seconda voce: «Non proseguire oltre, Vaxuel, sapevo che non avresti capito. È del mio carissimo fratello Alok che stai parlando! Andrò ai confini delle costellazioni di Malinok, se sarà necessario, per onorare la memoria del mio adorato piadik! E comunque non c’è stato mai niente che Alok abbia detto che non sia stato davvero importante. Vale più la sua saggezza di tutta quella del maledetto consiglio unito, ma non ho mai sperato che tu potessi comprendere... Lasciami stare e torna alla foresta sacra, questo viaggio è solo mio e tu non dovresti essere qui, sento che è sbagliato. Vai via, torna indietro, Vaxuel». Prima voce, commossa e turbata: «Se questo è veramente ciò che vuoi, Zarion, lo farò, ma ho tanta pena nel cuore e non vorrei lasciarti... Attento! Un maledetto maxxim! Lo sapevo... guarda, è enorme SCAPPA! Maledizione, lo sapevo, siamo volati troppo vicino ai loro nidi puzzolenti... Scappa, Zarion, ti copro io, ti sta venendo dritto addosso... Maledetto! Arghhh!». Seconda voce: «No, non posso andare, la colpa è mia! 17


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Gli Ashram e il drago celeste

È sempre colpa mia... vai via, Vaxuel, non avrò anche te sulla mia coscienza di drago appesantita dai rimorsi va’...». Prima voce: «Non ti lascio! Attento, sta cercando di addentarti la coda... Maledetto, gli stacco la testa, maledetto... NO!». Seguirono tonfi, suoni di colluttazioni, ringhi e morsi. Poi, con un attimo di pausa, un urlo feroce. Ci fu uno schianto e, dopo, un silenzio inquietante... Prima voce (Vaxuel): «Zarion! Mi senti... per le uova di Babel, stai bene? Per amore del saggio consiglio, rispondimi!». Seconda voce (Zarion): «Sì, sì... ti sento! Sono qui, ma non riesco a muovermi! Non so cosa mi sta succedendo...». Vaxuel: «Zarion, no! Sei ferito, la tua coda... maledetto maxxim! È giusto che la sua carcassa marcisca in fondo al mare del Gramm. Guarda, hai sconfinato negli spazi distorti e ora sei incastrato con la coda ferita e una maledetta zanna di maxxim conficcata dentro! Per gli spazi celesti, Zarion, ne valeva davvero la pena?». Zarion, con voce stentata: «Sei mio fratello, Vaxuel, e non voglio che rischi oltre. Vai via e non voltarti indietro, io... me la caverò in un modo o nell’altro». Vaxuel: «No, non ti lascerò mai! Mi senti? Tu sei mio 18


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Parte I

fratello! E anche se quello che stai facendo non riesco a capirlo, io starò con te...». Zarion, la voce sempre più debole: «Allora cerca aiuto. Chiama i draghi del consiglio e io... Beh! Non ho molta scelta, non credi? Io aspetterò qui». Vaxuel: «Ma allora non capisci? Sei in grave pericolo, incastrato, ferito, con il rischio che altri maxxim si alzino in volo e ti vedano. Oppure che qualcuno dell’altro spazio dia l’allarme! Per le sacre uova, non riesco a immaginare una situazione più disperata. Che posso fare, che posso fare?». Zarion, la voce ormai un sussurro: «Vai al Consiglio dei draghi, cerca i Fratelli del Cielo! Loro sapranno cosa fare. Io starò qui...». Dopo quest’ultima frase ci furono un fruscio di ali, un gemito e un bagliore. Poi, sulla collina degli innamorati, più niente. Il silenzio e l’oscurità calarono tranquilli, in quello strano pomeriggio di ottobre.

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Il bambino abbandonato

Luigi stava facendo per la terza volta lo stesso sogno. Si alzava, si vestiva e andava a scuola e, facendolo, si sentiva leggero. Poi il suo stesso russare lo svegliava, si rendeva conto che era ancora nel letto a dormire. Intanto il tempo passava e lui, nella realtà, stava facendo tardi. Quando il sogno riattaccò per la quarta volta, facendo uno sforzo sovrumano, si svegliò per davvero. Alzò pesantemente la testa dal cuscino e, con un occhio semichiuso, guardò l’ora. Spalancò immediatamente entrambi gli occhi e, con un balzo, caracollò giù dal letto: «Accidenti alla sveglia! Non posso permettermi di arrivare in ritardo a scuola, per nessun motivo!». Slittò su un tappeto disordinato di fumetti sparsi per terra e cominciò a prepararsi febbrilmente, dando una veloce sbirciata intorno. Nella stanza disordinata rintracciò, con occhio esperto, calzini, scarpe e grembiule e li infilò saltellando verso il bagno dove il caos, se possibile, era anche peggio. Chiaramente nessuno 21


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aveva fatto le pulizie in quelle stanze, da un bel po’ di tempo. Lui intanto si muoveva concentrato. Sapeva di dover andare da solo, velocemente, e senza chiedere aiuto a nessuno. Non ci sarebbero state scuse, né per il ritardo né per un’eventuale assenza! Sì, da mesi la sua vita era così. Era solo contro tutti, non ci sarebbero stati ripensamenti, da parte di nessuno... Dopo essersi lavato al volo e aver gettato lo zaino sulle spalle, saettò giù per le scale pregando di farcela in qualche modo. Aveva solo undici anni, però. Com’era possibile che fosse abbandonato a se stesso? Perché i suoi familiari non lo accompagnavano? Perché doveva cavarsela da solo?

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Un passo indietro...

Luigi Montanari, figlio di Giorgio Montanari e di Margherita Angeloni, fratello minore di Marco Montanari, era in apparenza un bambino assolutamente normale. Aveva l’aria un po’ rotondetta, ma questo lo rendeva semmai ancora più simpatico. Due grandi occhi chiari incorniciati da folte sopracciglia, una carnagione pallida che difficilmente arrossiva, labbra ben disegnate... insomma, era un bambino che ispirava fiducia praticamente a chiunque. Ma aveva un difetto che avrebbe segnato profondamente lui e la sua famiglia: era un bugiardo patentato e non riusciva a smettere di dire bugie, al pari di un drogato o un alcolizzato. Tutto era cominciato quando Luigi aveva circa sette anni. Desiderava in modo struggente le attenzioni di sua madre; Margherita, però, in quel periodo era particolarmente concentrata su Marco, di parecchi anni più grande di lui. Una brutta acne e qualche disturbo al fegato avevano portato i genitori a spostare l’attenzione sul figlio maggiore, diventando un po’ assenti verso il piccolo. 23


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Luigi aveva accumulato molti risentimenti e, per attirare l’attenzione, aveva cominciato a dire bugie. Da principio innocue, di quelle che fanno sorridere, ma più il tempo passava senza ottenere risultati, più divennero sofisticate e contorte. Un giorno, ad esempio, aveva sentito la madre parlare di sua cugina (una ragazzina pazza che parlava con gli alberi), dicendo che faceva ancora la pipì a letto. Quando Luigi l’aveva presa in giro, la mamma lo aveva rimproverato dolcemente: «Non criticare così qualcuno che, attraverso questo disturbo, cerca di richiamare l’attenzione dei genitori!». Quella sera stessa, anche lui aveva fatto la pipì a letto volutamente, dopo aver bevuto litri d’acqua e averla trattenuta tutto il giorno. Invece di ricevere le coccole sperate, era stato rimproverato e maltrattato: «Ma che ti viene in mente, sei impazzito? Con tutti i problemi che abbiamo con tuo fratello, ci manca solo che cominci anche tu con queste buffonate!». Andando a letto, pieno di amarezza, Luigi si era chiesto come mai sua madre fosse tanto saggia quando si trattava di qualcun altro e tanto cieca quando si trattava di lui. Dopo parecchie ore insonni, passate piangendo con i pugni serrati, aveva deciso che lei voleva bene solo a Marco. Lui era quello bravo, quello che aiutava in casa, quello che andava bene a scuola e non faceva mai niente di strano o di sbagliato... Luigi, però, era un bambino davvero intelligente che forse andava 24


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Parte I

stimolato e seguito. Invece si chiuse in se stesso e continuò a convincersi di essere un bambino abbandonato e infelice. Fu per questo che combinò il guaio. Un giorno vide un documentario sugli Ufo. Rimase molto impressionato dalle interviste a uomini e donne che sostenevano di essere stati contattati e rapiti dagli extraterrestri. Subito si fece strada nella sua mente l’idea di inventare un suo rapimento, qualcosa che scuotesse una buona volta quei genitori tanto distratti. Dopo qualche giorno, Gigi cominciò il suo spettacolo. Aveva letto e studiato libri e giornali e si era documentato a fondo per creare una storia a regola d’arte. Inventò malesseri, stordimenti, incubi e visioni cercando di suggerire, con mezze frasi ben recitate, che gli fosse successo qualcosa di terribile e misterioso. «Qualcuno mi porta via ogni notte!», urlava sudato e ansante. I genitori, dal principio perplessi e poi sempre più preoccupati, finalmente diedero a quel figlio minore le attenzioni tanto agognate. Ma a quel punto accadde qualcosa... Luigi iniziò a sentirsi in colpa. Vide la mamma preoccupata, con i begli occhi scavati, il papà teso e insicuro. Pensò che doveva dire cosa aveva architettato. Magari, se l’avesse fatto davvero, sarebbe finito tutto bene e, chissà, i genitori avrebbero capito che il suo non era altro che il disperato tentativo di un bambino che si sentiva trascurato e voleva solo farsi notare per stare al centro dell’attenzione. 25


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Purtroppo un intervento esterno, anzi due, complicarono parecchio la situazione, al punto che per Luigi non fu più possibile ritrattare. La storia del presunto contatto alieno giunse all’orecchio di un certo Stefano De Caroli, direttore di una rivista «Fra noi», un giornale interamente dedicato alla ricerca e allo studio degli Ufo. De Caroli decise che sarebbe stato davvero interessante intervistare un bambino che dichiarava di essere stato contattato dagli extraterrestri, e chiese alla famiglia dubbiosa il permesso di interrogare il ragazzo. «Sono sicuro – dichiarò – che se la storia fosse inventata, avrei di certo i mezzi per smascherare un così giovane bugiardo». Non solo non lo smascherò, ma lo fece sottoporre a una perizia psichiatrica della nota ipnoterapeuta Donatella Giuliani, che collaborava da anni con De Caroli e la sua rivista. La Giuliani, dopo un’accurata seduta, dichiarò che il bambino presentava tutti i segni classici e i disturbi tipici del rapito, che la sua storia era verosimile e che, probabilmente, Luigi Montanari era il più giovane rapito che l’ufologia avesse mai conosciuto, fino a quel momento. Luigi ricordava quel periodo della sua vita come un incubo nebuloso, nel quale si era sentito trascinato e invischiato sempre di più. Quante volte aveva voluto dire la verità alla madre! Ma durante il giorno faceva interviste, fotografie e rispondeva a domande 26


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Parte I

con disinvoltura, senza arrossire né sudare. Durante le notti si ritrovava, insonne, a cercare in preda al panico una soluzione per uscire dalla gigantesca balla che aveva costruito... E, sempre, il suo pensiero era per lei, lei che gli aveva rivolto ogni giorno uno sguardo affranto, quasi volesse chiedergli: «Dimmi che tutto questo non è una farsa», oppure «dimmi che lo è e io ti starò vicino, ma fermiamo quanto sta accadendo!». Ogni notte insonne, lui aveva pensato: «Ora apro la bocca e glielo dico, poi l’abbraccio e mi nascondo nel suo petto, sentirò il suo profumo, lei mi nasconderà, mi proteggerà... nessuno mi vedrà più e io sarò scomparso! Ci saremo solo noi due e io non dovrò più mentire». Alla fine, però, non aveva mai parlato, cosa che aveva fatto tutta la differenza. Dopo quasi sei mesi sotto i riflettori, Luigi era stato contattato dal direttore di una rivista concorrente di «Fra noi», che lo aveva invitato a una trasmissione televisiva. Lui aveva accettato, ma era una trappola. Il signor Gilberto Morosini era un acerrimo nemico di De Caroli e uno studioso di una nuova scienza neuropsichica, la PNL, o Programmazione neurolinguistica, con la quale individuava le contraddizioni, verbali e non, del proprio interlocutore. Aveva fatto molte indagini sul pupillo Luigi Montanari. Laddove De Caroli era stato superficiale e fantasioso, 27


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Morosini aveva proceduto con rigore scientifico e aveva scoperto molti buchi nelle storie immaginarie di Gigi. Fingendo inizialmente di essere un suo grande ammiratore, l’uomo gli aveva fatto domande che lo avevano messo pian piano in difficoltà, fino a quando non divenne più che evidente che la sua storia era inventata di sana pianta. Era un gesto di pura cattiveria, avvenuto in televisione sotto gli occhi di tutti. Quel giorno, Luigi si era sentito stranamente sollevato. Erano passati quasi due anni dal giorno in cui aveva deciso di cominciare a inventare la storia del rapimento alieno, e da allora non aveva più vissuto un solo giorno sereno. E non fu tanto vedere il viso di De Caroli, urlante e chiazzato di rosso che gli prometteva cause per risarcimenti, né il ghigno del fratello Marco che fra i denti non faceva altro che ripetere: «Lo sapevo, lo sapevo», o gli occhi bassi e arrossati del padre, quanto lo sguardo di Margherita, assente, fisso su un orizzonte immaginario e lontano che fece capire a Luigi come, da quel gran casino, la famiglia Montanari non si sarebbe più ripresa... La stampa si scatenò su questa faccenda, chiamandola: «La beffa degli Ufo». Si decise che, dopo quella delle teste di Modigliani (in cui dei giovani studenti avevano costruito dei busti simili a quelli dell’artista, dichiarati erroneamente originali da uno stuolo di esperti) e quella dei cerchi nel grano falsi, quella di 28


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Parte I

Luigi Montanari fosse la più divertente balla mai inventata negli ultimi vent’anni. Nacquero espressioni del tipo: «Ma che le spari più di Gigi?», oppure «dai, questa è degna di Gigi il bugiardo», e via dicendo. Si parlò spesso del ragazzino, un soggetto originale capace di tenere testa a esperti, psicologi e giornalisti. Ma se questo in pubblico era considerato un argomento di conversazione più o meno divertente, in casa Montanari le cose andavano in modo molto diverso... La persona che in famiglia si mostrò apertamente ostile a Luigi fu, neanche a dirlo, il fratello Marco, che da quel giorno non gli rivolse più una parola gentile. Quando comunicava con lui lo faceva solo con sarcasmo, cercando sempre di provocarlo e sottolineando, se mai ce ne fosse stato bisogno, che la colpa di quanto stava accadendo in casa fosse sua. Giorgio cercò più che altro di tenere unita la famiglia, mentre Margherita si ripiegò semplicemente su se stessa, spegnendosi. Prese le distanze dal figlio minore: non lo abbracciò più, non entrò più nella sua stanza né si occupò più di lui... era come se fosse diventato invisibile. Luigi aveva sperato in una formidabile scenata di quelle in cui ognuno tira fuori la rabbia e la frustrazione e poi ci si perdona l’un l’altro, ma invece... Dal giorno dell’intervista ci furono in casa Montanari solo una serie di lunghi e tristi silenzi che sottolineavano la delusione di tutti verso tutti. Tacitamente d’accordo, 29


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la famiglia trattò Luigi come se fosse scomparso e nessuno si dedicò più a lui, se non per lo stretto indispensabile. Il ragazzino capì che non avrebbe dovuto provocare il benché minimo disturbo né per il suo andamento scolastico né per il rapporto con gli amici, posto che ne avesse qualcuno. Tutta la sua vita, da quel momento, sarebbe stata soltanto affar suo.

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