La foresta temperata

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BOTANICA LE STAGIONI DELLE LATIFOGLIE

ECOLOGIA LO STRANO RAPPORTO TRA INSETTI E LATIFOGLIE

ECONOMIA I CASTAGNETI

STORIA LE QUERCE E GLI ANTICHI

ZOOLOGIA IL PICCHIO CHE VIVE SULL’ALBERO


Un faggeto in autunno.


Un querceto, esempio di foresta temperata, oggi quasi estinta in Europa.


00 LA FORESTA TEMPERATA L’ampia area che si stende tra i tropici e i circoli polari è chiamata nel suo insieme fascia temperata, ma comprende diverse zone, ciascuna delle quali è associata a condizioni climatiche ben determinate. Quando però diciamo «foresta temperata» intendiamo la vegetazione tipica della regione centroeuropea, anche se in realtà si trova anche in Asia e in America del Nord (solo marginalmente in Sudamerica e in Oceania): si tratta della foresta decidua di latifoglie, ossia alberi che mutano con il cambiare delle stagioni. La foresta di latifoglie ha avuto la sventura di colonizzare le regioni a più alta densità umana, perché i climi temperati favoriscono gli insediamenti agricoli e abitativi. I boschi che si possono osservare oggi in Germania, ad esempio, non hanno nulla a che fare con le

antiche foreste, ma sono il frutto di una lenta opera di rimboschimento con specie non autoctone. La vegetazione naturale, oggi scarsamente conservata, è costituita soprattutto dalla famiglia delle querce a cui si uniscono, in base alle condizioni locali di clima e umidità, diverse da continente a continente, faggi, olmi, pioppi, frassini, noccioli e conifere d’origine temperata. In America del Nord è presente l’acero, mentre nell’emisfero boreale si trovano ancora foreste di Nothofagus. Altrettando varia la fauna, che è distribuita spazialmente in modo verticale: il suolo è il regno degli invertebrati, gli alberi costituiscono la «casa ideale» per uccelli e insetti, mentre è dei mammiferi lo spazio in mezzo. Tutti, comunque, risentono delle variazioni stagionali.


01 BOTANICA

I colori delle foglie delle latifoglie in autunno.


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LE STAGIONI DELLE LATIFOGLIE A differenza delle foreste sempreverdi, che mantengono lo stesso aspetto durante tutto l’anno, le latifoglie decidue variano a seconda della stagione. Durante l’inverno gli alberi restano in «dormienza», sono privi di foglie, la loro attività vitale è ridotta, non assimilano più e la traspirazione è limitata dall’assenza delle foglie. La primavera è la stagione più difficile, il periodo più delicato per le improvvise variazioni di temperatura e il pericolo delle gelate, anche se le piante dispongono di meccanismi di controllo della temperatura e della luce, così da evitare la precoce apertura delle gemme. Quando la temperatura media supera i +5 °C, le foglie si sviluppano rapidamente e comincia la fotosintesi clorofilliana. Le estati sono calde ma non aride, perché è sempre disponibile una certa quantità d’acqua sotto forma di piogge o di nebbie. In autunno le foglie si seccano e staccandosi formano la lettiera, quello strato di detriti la cui degradazione arricchisce il suolo di sostanza organica. Da qui le piante la preleveranno durante il periodo vegetativo, e in autunno torneranno a ridepositarla per assicurare il funzionamento dei cicli nutrizionali. Prima di cadere le foglie assumono una serie di colorazioni, dal rosso scarlatto al giallo dorato, che rendono queste piante magnifiche.


02 ECOLOGIA

Un insetto «mangiatore di legno» Cerambyx.


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LO STRANO RAPPORTO TRA INSETTI E LATIFOGLIE Una componente ecologica molto importante delle foreste temperate è quella rappresentata dagli insetti xilofagi, cioè mangiatori di legno, che vivono all’interno dei tronchi degli alberi, a cui arrecano danni più o meno consistenti. Molte specie si limitano a utilizzare la corteccia o il legno solo come ricovero, oppure per cercarvi le prede, altre sono più strettamente legate a questo particolare habitat, perché qui compiono in tutto o in parte il loro sviluppo. Uno dei più impellenti problemi fisiologici che gli insetti xilofagi hanno dovuto risolvere è quello di digerire la cellulosa contenuta nel legno. Alcuni insetti si sono adattati producendo un enzima in grado di digerire questa sostanza, mentre altri hanno risolto il problema sviluppando un singolare rapporto di simbiosi

con microorganismi (funghi, batteri, protozoi ecc.) in grado di degradare, e quindi rendere digeribile, la cellulosa. Molti però sono i danni che questi insetti arrecano agli alberi, riconducibili tuttavia a due tipi: danni fisiologici, quando compromettono il normale sviluppo della pianta alterandone le funzioni organiche; oppure danni meccanici, quando diminuiscono la resistenza della pianta intaccandone i tessuti di sostegno. Il primo tipo di danno viene procurato generalmente dalle specie che scavano le loro gallerie negli strati del tronco deputati agli scambi fisiologici tra le varie parti della pianta, mentre i danni meccanici vengono procurati dalle specie che scavano penetrando nello strato legnoso inattivo, detto «durame».


03 ECONOMIA

Frutti e semi del castagno.


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I CASTAGNETI Sulle nostre montagne, lì dove avrebbero dovuto esistere foreste di latifoglie, i castagneti hanno sostituito i boschi naturali per volontà e opera dell’uomo. L’importanza economica di questa specie è, d’altra parte, universalmente riconosciuta. Al primo posto è da collocare la produzione dei frutti, i ricci che contengono i semi, cioè le prelibate castagne, impiegate in tanti modi fin dai tempi più antichi. I romani, ad esempio, le mangiavano cotte o le macinavano facendone un pane che, come riferisce lo scrittore romano Plinio, sostituiva quello di frumento nei giorni di digiuno religioso. Probabilmente è questa l’origine del nome «albero del pane» dato al castagno, ma forse è legato al fatto che la castagna era il più importante alimento delle popolazioni montane più povere. Oltre che come pianta agricola, il castagno è stato importante come pianta forestale. Il suo legno ha avuto una serie di impieghi come materiale da opera, dalle traversine dei binari ferroviari, alle travi di sostegno dei tetti, alle suppellettili, ai mobili e in tanti altri modi. I cosiddetti «castagnoli», pali di legno di castagno, hanno avuto una larghissima diffusione nella carpenteria edilizia, dove servivano per costruire le impalcature prima dell’avvento dei tubi metallici.


04 STORIA

Ghiande.


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LE QUERCE E GLI ANTICHI Secondo i paleontologi, è possibile che sia esistita una fase dell’economia pre-agricola del mesolitico (cioè prima del pieno sviluppo dell’agricoltura), in cui gran parte della sussistenza si basava sulla raccolta delle ghiande della quercia, «signora» della vegetazione naturale delle foreste temperate. Questa tradizione, d’altra parte, è sopravvissuta fino a tempi recenti in qualche distretto dell’Europa mediterranea e dell’Asia occidentale, come integrazione della dieta nei periodi di carestia. Particolari forme di conservazione in fossa e tostatura successiva, privando le ghiande dell’eccesso di contenuto di sostanze nocive per la salute, resero la raccolta delle ghiande compatibile con la sopravvi-

venza del nomadismo, cui ancora erano legate le popolazioni di cacciatori nel mesolitico, costrette a seguire le migrazioni di una grande fauna sempre più minacciata dalla trasformazione del suo habitat di prateria dall’avanzare della rigogliosa foresta post-glaciale. Nella mitologia greco-romana d’altra parte le querce erano sacre, e non è estranea alla loro sacralità, la particolare vulnerabilità rispetto ai fulmini. Questa caratteristica, non condivisa dagli altri alberi della flora temperata, non può non aver ulteriormente contribuito ad accrescere l’alone mitico di queste specie come mediatrici, attraverso il fulmine, della volontà delle divinità celesti.


05 ZOOLOGIA

Un picchio all’opera.


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IL PICCHIO CHE VIVE SULL’ALBERO Molte sono le specie adattate alla vita arboricola. Tra gli uccelli, tipici abitatori di foreste di caducifoglie soni i picchi, che hanno sviluppato la capacità di arrampicarsi e di nutrirsi sul tronco degli alberi. I piedi presentano il 1° e il 4° dito rivolti all’indietro, mentre il 2° e il 3° sono in avanti; anche gli artigli, simili a ramponi, contribuiscono a rendere più solida la presa su tronchi e rami, su cui possono salire e scendere speditamente. Questi insetti si nutrono degli insetti delle cortecce, che rompono a colpi di becco, dritto e spesso, catturandoli con la lunga lingua estroflessibile. Per questo possiedono un cranio molto robusto, in grado di ammortizzare i colpi, un becco a scalpello e una lingua con l’estremità corneificata, che può sporgere diversi centimetri fuori dal becco. Con esso i picchi scavano anche piccole cavità nei tronchi che utilizzeranno come nidi. Questi uccelli svolgono un ruolo ecologico di fondamentale importanza nella foresta. Anzitutto si nutrono di insetti che perforano la corteccia degli alberi, contribuendo al loro controllo biologico. Inoltre, i picchi liberano enormi quantità di legno morto che viene attaccato dai microorganismi decompositori, accelerando in questo modo il riciclo della materia organica.



Aceri canadesI.



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