LUTERANESIMO LUTERO, MELANTONE CALVINISMO CALVINO, FAREL
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ANABATTISMO MUNTZER, STORCK
00 LA RIFORMA PROTESTANTE
Con il termine Riforma protestante, o semplicemente Riforma, si indica il fenomeno storico che nel XVI secolo prese il nome di protestantesimo: secondo le parole di Hubert Jedin, esso si profilò come un «vero rinnovamento della Chiesa tendente al cristianesimo originario o, per lo meno, come una breccia aperta dalla religione personale moderna. In realtà, Lutero stesso e, in grado ancor maggiore, Melantone volevano in origine solo riformare la Chiesa cattolica, e passò molto tempo prima che, da ambedue le parti, si facesse strada la persuasione che la loro opera non significava rinnovare, ma costruire dalle fondamenta, e che questo portava a una stabile frattura nella Chiesa». Si tratta perciò non solo di un evento trascorso, ma di un processo storico le cui conseguenze incidono tuttora sulla vita non solo ecclesiastica, ma anche civile, privata e pubblica, di intere nazioni. Gli avvenimenti del Cinquecento che vanno sotto il nome di Riforma sono il risultato di molteplici fattori di diversa natura: religiosa, culturale, sociale e politica che si assommano e si condizionano reciprocamente. Anzitutto, causa remota ma potentissima fu lo spirito di rivolta all’autorità costituita, sempre vivo nell’uomo e manifestatosi in modo preoccupante anche nei precedenti moti ereticali di valdesi, albigesi, moravi, ussiti, lollardi, patarini ecc. A rinfocolare questo spirito si aggiunse, alla fine del medioevo, un’altra serie di cause: il rinascimento con il suo umanesimo paganeggiante, la reazione alla filosofia scolastica, le nuove scoperte scientifiche e geografiche che mettevano in crisi i sistemi tradizionali e abituavano gli spiriti a indagare e a risalire alle fonti, anziché fidarsi dei soliti argomenti di autorità. La stessa invenzione e diffusione della stampa, che favoriva una rapida diffusione delle
idee, condannava all’ozio molti religiosi, prima occupati nella copiatura dei manoscritti. Non meno gravi le ragioni interne alla vita stessa della Chiesa e che sono una conseguenza delle precedenti: infatti, il paganesimo rinascente aveva finito per influire anche sulla disciplina dei fedeli e del clero, introducendo gravissimi abusi nella stessa vita dei chierici, preoccupati spesso più della cultura, del prestigio, del denaro, del potere politico, che non della vita religiosa del popolo di Dio. Non mancarono, anche da parte di vescovi e papi, gli appelli a una radicale riforma. Ne parlavano già Dante e Petrarca, intendendo naturalmente una riforma disciplinare e dei costumi, e non già dottrinale; una riforma promossa dall’autorità responsabile e non in modo anarchico e sovvertitore. Ma la gerarchia era disorganizzata: profonde rivalità fra papi e antipapi, o dei vescovi-principi fra loro; e poi i numerosi tentativi di autonomia delle Chiese nazionali, astutamente coltivati e sfruttati dai sovrani, avevano finito per disorientare i fedeli. Altre gravi piaghe nel corpo della Chiesa erano l’accumulo dei benefici, la pratica di non risiedere nelle rispettive diocesi da parte di molti vescovi, la simonia e la venalità nelle cariche e nelle indulgenze. Vescovadi, abbazie e commende erano diventati straordinariamente ricchi, specialmente in Germania, mentre il basso popolo era miserabile e ignorante, e per di più vessato dalle decime ecclesiastiche. Da tutti si reclamava la sospirata riforma, ma appena se ne vedeva un qualche inizio, ci si trovava d’accordo nel soffocarla, poiché prima di tutto sarebbe stato necessario falciare gli abusi infiltratisi nell’organizzazione ecclesiastica; senza dire che spesso gli stessi promotori della riforma erano animati a volte da secondi fini, per cui la Santa Sede, intuito il pericolo, si vedeva costretta a osteggiarla.
Quando poi, dopo le profetiche invettive del Savonarola, il Concilio lateranense V (15121517) tenterà di fare sul serio, sarà troppo tardi. In Germania era già scoccata la scintilla che doveva provocare l’incendio. L’apparizione e la rapida diffusione della Riforma nei paesi dell’Europa centrale e settentrionale sono legate all’opera di eminenti personalità tra cui: in Germania, Martin Lutero; nella Svizzera tedesca, Ulrich Zwingli; in quella francese, Giovanni Calvino. Fra tali personaggi e le eresie medievali preluterane esiste una certa continuità di ispirazione e di influsso. Ma furono soprattutto le circostanze storiche sopra ricordate, insieme con gli appoggi politici dei principi del tempo, che assommandosi permisero alla Riforma di affermarsi in modo così clamoroso. Causa prossima, quasi solo occasionale, furono gli abusi insorti nel bandire le indulgenze concesse da Leone X nel 1517, in favore di coloro che avessero contribuito con elemosine alla costruzione della basilica di San Pietro in Roma e alla crociata contro i turchi. Perché si potesse lucrare l’indulgenza, la bolla papale richiedeva bensì, prima dell’elemosina, anche la confessione, la comunione e il pentimento; ma taluni predicatori davano l’impressione che si trattasse di un vero e proprio «mercato», e che si vendesse il paradiso a prezzo convenuto, «come si vendono i porci e i cavalli sul mercato». Inoltre, la rivalità tra domenicani, incaricati di predicare le indulgenze, e agostiniani, tra cui figurava il
giovane monaco Martin Lutero, fecero sì che si cominciasse a mettere in discussione anche il principio stesso delle indulgenze. La polemica ebbe il suo punto culminante il 31 ottobre 1517, quando Lutero affisse alle porte della chiesa del castello di Wittenberg 95 tesi contro le indulgenze, sfidando gli oppositori a pubblica discussione. Questo è considerato dai protestanti come il primo atto della Riforma e viene tuttora ricordato con la «festa della Riforma», che ha luogo nella prima domenica di novembre. Le tesi di Lutero in Germania incontrarono subito molte adesioni, mentre il papa, con la bolla Exsurge Domine (1520), lanciava la scomunica contro Lutero e gli ordinava di bruciare i suoi scritti. Lutero rispose bruciando la bolla pontificia, il Codice di diritto canonico e la Summa theologiae di san Tommaso d’Aquino e appellandosi a un concilio generale. Il 3 gennaio 1521 Leone X promulgava la bolla Decet Romanum Pontificem, scomunicando definitivamente l’agostiniano sassone. Trascinato dalle circostanze, Lutero cominciò a scrivere contro la stessa autorità del papa, contro i voti monastici e contro il celibato ecclesiastico, respingendo gli stessi sacramenti (a eccezione del battesimo e dell’eucarestia) e fondando le sue convinzioni religiose sui seguenti principi: Sola fide: la giustificazione dell’uomo mediante la sola fede e non attraverso le opere meritorie;
Sola gratia: la fede come esclusivo dono della grazia divina; Sola scriptura: l’interpretazione della Bibbia basata non più sul magistero, ma sull’ispirazione individuale e sul libero esame; Consustanziazione: per quanto attiene alla comunione, a differenza dei cattolici, i quali ritengono che la sostanza del pane e del vino si converta nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo, Lutero ritiene che la sostanza del corpo e del sangue siano già presenti nel pane e nel vino e che, dopo la loro consacrazione, coesistano. Seguono, a questa prima fase, i cosiddetti «manifesti della rivoluzione luterana» e l’intensa meditazione nel ritiro di Wartburg (1521). Al motivo religioso si uniscono poi le implicazioni sociali e politiche (fiammata anabattista con i «profeti di Zwickau», 1522; rivolte dei «poveri cavalieri», guidata da Ulrich von Hutten, 1522; rivolta dei contadini, guidata da Thomas Müntzer e Heinrich Pfeffer, 1525); al punto che, alla fine, i principali protagonisti della vicenda diventano i principi e gli imperatori: dapprima su dimensione tedesca (dalle leghe confessionali alla Pace di Augusta, 1555) e poi anche su dimensione europea (cuius regio, eius religio; guerra dei Trent’Anni; Pace di Vestfalia). In Svizzera la Riforma si diffuse per opera di Ulrich Zwingli che, fin dal 1516, cominciò a predicare dottrine riformatrici, ma con un timbro diverso da quello di Lutero. Zwingli proveniva dall’umanesimo e operava in seno a un dinamico comune borghese: perciò la sua Riforma fu teologicamente e praticamente più radicale di quella tedesca (la messa fu sostituita da un culto che comprendeva quasi esclusivamente la predicazione senza liturgia; i sacramenti passarono in seconda linea). Sulla scia di Zurigo, buona parte dei cantoni svizzero-tedeschi accettarono lo zwinglianesimo. La catastrofe di Kappel (1531), in cui Zwingli perse la vita, arrestò l’espansione del suo movimento, che finì praticamente per confluire nel calvinismo (1547; Consensus Tigurinus). Un nuovo impulso alla Riforma protestante fu dato da Giovanni Calvino, teologo francese che, rifugiatosi a Ginevra nel 1536, fece della città svizzera un centro vivacissimo di irradiazione della Ri-
forma in tutte le regioni circostanti. Di qui partirono anche Teodoro di Beza e John Knox, che portarono la Riforma rispettivamente in Francia e in Inghilterra. Per quanto concerne le posizioni teologiche, Calvino dipende largamente da Lutero ma attribuisce al suo pensiero riformato una caratteristica accentuazione in senso attivistico ed etico. Anche Calvino, come Lutero, è pessimista nei confronti degli uomini, ma mentre Lutero deduceva da questa valutazione un atteggiamento di passiva sfiducia verso le possibilità della vita sociale-politica, per Calvino, invece, la constatazione della profonda corruzione dell’umanità è come un invito all’azione: i credenti devono operare per trasformare il mondo, occorre lavorare energicamente per instaurare la sovranità di Dio. Quest’ultimo è compito degli eletti di Dio, di coloro cioè che sono stati scelti dalla libera volontà divina (predestinazione). Oltre che come dottrina importata, in Inghilterra la Riforma si sviluppò anche come ribellione locale. Un ruolo determinante ebbe, in questa ribellione, il re Enrico VIII il quale, desiderando divorziare dalla moglie Caterina d’Aragona ma non avendone avuto il consenso dal papa Clemente VII, si proclamò capo della Chiesa d’Inghilterra obbligando tutte le autorità religiose a firmare la formula che dichiarava «non avere il vescovo di Roma autorità e giurisdizione in Inghilterra più di qualsiasi altro vescovo straniero». Benché separata dalla sede apostolica, la Chiesa anglicana intendeva conservare intatta la dottrina della fede. Solo in seguito, sotto Edoardo VI, essa aderì a una professione di fede di 42 articoli, estratti quasi interamente dalle confessioni dei riformati di Germania (1553); sotto la regina Elisabetta I i 42 articoli furono ridotti a 39 che, insieme con il Prayer Book per la liturgia, costituiscono tuttora la base dottrinale dell’anglicanesimo. Sotto l’influsso di idee anche calviniste, in Inghilterra sorsero in seguito altre sette protestanti, come i presbiteriani, i quaccheri, i puritani.
00/1 LUTERANESIMO
I testi ufficiali del luteranesimo, che ne raccolgono la dottrina delle origini sono: Il catechismo minore e maggiore, la Confessio Augustana (1530), l’Apologia della Confessione di Augusta, gli Articoli di Smalcalda, la Formula di concordia (1577). Non è facile fare una storia dottrinale del luteranesimo e dei suoi sviluppi, sia perché già al suo inizio risente dell’incontro con il calvinismo e con la cultura umanistica sia perché il luteranesimo non sorge come una nuova religione, una nuova Chiesa, ma vuole essere semplicemente un rinnovamento, una riforma nel dogma, nel culto, e talvolta nel diritto ecclesiastico della Chiesa cattolica. Essendo ancora vivo Lutero, erano cominciate tra i suoi seguaci le dispute intorno al non valore delle opere per la salvezza e alla schiavitù dell’arbitrio umano; e nella seconda metà del Cinquecento cominciarono quelle provocate dallo spostamento compiuto da Melantone, il vero teologo del luteranesimo nella teologia luterana intorno all’importanza reciproca della grazia divina, del libero arbitrio umano e delle opere meritorie. Soltanto un secolo dopo la morte di Lutero, il luteranesimo assunse una sua fisionomia che, salvo alcuni mutamenti dovuti a travagli interni e a influssi esterni per opera dei principi, dei mistici insofferenti dell’ortodossia ufficiale, del pietismo e dell’illuminismo, restò uguale a quella dei nostri giorni. Oggi, il luteranesimo è diffuso nella Germania settentrionale e orientale, nella Scandinavia, negli Stati Uniti, in parte della Polonia e nell’Europa centrale. I principi fondamentali del luteranesimo moderno, che ricalcano fondamentalmente quelli delle origini, sono quelli proclamati nel Sinodo di Barmen (1934) dalle Chiese federate o federazione della Chiesa evangelica tedesca. Essi
sono: 1) la Chiesa non può riconoscere nessun’altra rivelazione accanto alla parola di Dio; 2) la parola di Dio regola tutta la vita, essa sola permette all’uomo di sottomettersi in qualche cosa ad altri uomini; 3) la Chiesa non deve sottostare mai alle correnti filosofiche o politiche di nessuna epoca; 4) non vi è nella Chiesa un capo con diritto di dominio; 5) secondo la volontà di Dio, lo Stato ha il dovere di fare del suo meglio per mantenere il diritto e la pace nel mondo non ancora salvato, con la legge e l’uso della forza; 6) la Chiesa rifiuta ogni falsa dottrina secondo cui lo Stato dovrebbe e potrebbe divenire la sola organizzazione sociale della vita umana. Il sinodo rigetta nettamente ogni sovranità umana della Chiesa. Molto importante nel luteranesimo è il concetto di Chiesa, che è definita come «la congregazione dei santi, nella quale il santo Vangelo è insegnato correttamente e i sacramenti sono amministrati correttamente». I sacramenti sono ridotti a due, il battesimo e la cena. Il battesimo conserva il suo carattere di remissione del peccato originale, nel modo che il luteranesimo concepisce il dono della grazia. La cena, nonostante la presenza reale di Cristo per la fede dei partecipanti, è un puro memoriale della vera cena, non un suo vero e reale compimento nel tempo; attorno alla tavola, che può essere preparata come le tavole delle nostre case, avviene una semplice narrazione storica, ripetizione astratta dell’opera di Gesù alla vigilia della sua passione. Vi è anche la penitenza, ma non essendo praticata per tutti i peccati, è applicata per quelli che si vogliono confessare, dato che i peccati sono rimessi per la fede del peccatore; non può quindi essere definito sacramento.
00/2 MARTIN LUTERO
(1483-1546)
Nato a Eisleben, figlio di un minatore, Martin Luther (Martin Lutero) venne avviato agli studi e frequentò l’Università di Erfurt, dove conseguì il grado di magister artium (1505). Iniziò lo studio del Diritto, che però interruppe subito dopo per entrare tra gli eremitani osservanti di sant’Agostino (1505). Ricevette l’ordine sacerdotale nel 1507 e si dedicò alla predicazione e all’insegnamento universitario. Dal 1508 fu professore a Wittenberg nell’università fondata dal principe elettore Federico di Sassonia e lì rimase, salvo brevi parentesi, fino alla morte. Nell’inverno del 1510-1511, Lutero accompagnò a Roma un suo confratello, allo scopo di evitare la fusione dei conventi della congregazione dell’osservanza, diretta da Johann Staupitz, con i conventuali, riuscendo nella sua missione. Ritornato in Germania, venne promosso dottore in Teologia (1512) e ottenne la cattedra di Esegesi biblica all’Università di Wittenberg. Le sue lezioni di quegli anni sui Salmi (1513), sull’Epistola ai Romani (1515) e su quella Ai Galati (1516) restano fra i documenti più importanti dell’evoluzione del suo pensiero durante il periodo monastico. Nel 1515 venne anche nominato vicario distrettuale del suo ordine. Questo primo periodo di intensa attività esteriore e di brillante carriera universitaria è segnato da una lunga crisi interiore, importantissima per comprendere l’evoluzione del suo pensiero e l’impostazione della sua attività dopo il 1517, che coincide di fatto con le prime fasi della Riforma. Non è facile tuttavia analizzare le cause di questa lunga crisi personale, anche perché, direttamente, la conosciamo solo in forma tarda e retrospettiva da Lutero stesso, il quale tende a presentarla come il paradigma del passaggio dalla servitù della legge alla libertà dell’evangelo, e quindi a dipingere a tinte fosche
le esperienze della sua vita monastica. Dalla sua prima entrata fra gli eremitani di sant’Agostino Lutero si era impegnato energicamente nelle pratiche di ascesi monastica (digiuni, penitenze, umiliazioni ecc.), convinto che esse rappresentassero la vera via della perfezione, ma non ne aveva ricavato quella tranquillità di spirito e certezza nella salvezza finale che sperava. Nella lettura della Bibbia sentiva come un incubo la parola della giustizia di Dio, che riteneva esigesse la perfezione. Si radicò così in Lutero l’opinione che l’uomo, a causa del peccato originale, avesse perduto definitivamente la libertà morale e quindi fosse incapace di fare il bene e di tendere alla propria perfezione e santificazione. Anzi, l’intrinseca remissione dei peccati sarebbe impossibile per se stessa e la giustificazione consisterebbe unicamente nel dichiarare giusto esternamente il peccatore a motivo dei meriti di Cristo a lui imputati. Con la mente piena di questi dubbi, Lutero studiò a fondo le lettere di san Paolo e credette di trovarvi la conferma delle sue idee, la pace dell’anima, la lieta novella. Secondo la dottrina di Lutero, soltanto Dio può rendere giusto il peccatore elargendo la sua grazia, mentre a nulla valgono le nostre opere, poiché provengono da una natura radicalmente corrotta; conviene abbandonarsi totalmente alla misericordia di Dio senza farsi illusioni sul valore meritorio di tutto il complesso tradizionale di pratiche di pietà. La puntualizzazione della crisi di Lutero la troviamo nella sua Theologia crucis che ne riassume il pensiero degli anni 1515-1518. Essa è l’espressione di una coscienza scrupolosa, più propensa a tormentarsi per colpe inesistenti che ad assolversi di peccati inconfessabili, e che trova la sua pace nel pensiero che l’amara convinzione di essere in ogni senso inadeguata alle sue esigenze divine
è un severo dono di Dio, che castiga colui che ama e rivela il suo amore, paradossalmente, sotto le apparenze della sua ira: allo stesso modo che la sua gloria si manifesta nella croce di Cristo e dei suoi fedeli. Non rimane perciò altra via, a chi dispera per sé, che abbandonare a Dio il giudizio, far propria la sua condanna e affidarsi alla sua misericordia. In questa abdicazione, il peccatore «giustifica Dio» (cioè lo riconosce giusto), ed è «giustificato», cioè perdonato da Dio. A questo punto dell’evoluzione intellettuale e spirituale di Lutero, nella vicina Torgau, il domenicano Johann Tetzel bandì la vendita delle indulgenze per finanziare la costruzione della nuova basilica di San Pietro. Lutero affisse sul portale della chiesa di Ognissanti a Wittenberg (31 ottobre 1517) 95 tesi in cui manifestava platealmente tutte le sue idee e, basandosi sulla dottrina della giustificazione, impugnava a fondo la vergognosa degenerazione dell’amministrazione delle indulgenze, quale veniva praticata dal papato. Le 95 tesi di Lutero si diffusero rapidamente ed ebbero una risonanza tale da catalizzare attorno a esse tutta l’insofferenza della Germania verso la Roma papale, accusata di intollerabile sfruttamento finanziario e di indesiderata ingerenza politica ai danni della Germania. Il Tetzel, il Wimpina, l’Hoogstraten e Johannes Eck pubblicarono delle controtesi. Nell’estate del 1518, Lutero venne accusato di eresia all’uditore della Camera apostolica dell’arcivescovo Alberto di Magonza, ma il processo fu aggiornato per dargli occasione di giustificarsi davanti al cardinale legato Tommaso de Vio (Gaetano), inviato alla Dieta di Augusta. Ma ad Augusta Lutero rifiutò di ritrattare e il 20 ottobre 1518 fuggì dalla città, appellandosi al papa. Dopo un tentativo di conciliazione e dopo la disputa di Lipsia con Eck, Leone X, con la bolla Exsurge Domine (15 giugno 1520), minacciò Lutero di scomunica, nel caso non avesse ritrattato entro 60 giorni, e condannò 41 proposizioni dichiarate in parte eretiche, in parte «false, scandalose, seduttrici e contrarie alla verità cattolica». Esse riguardavano l’incapacità dell’uomo, la fede, la giustificazione, la grazia, i sacramenti, la gerarchia e il purgatorio. Inoltre, la bolla condannava alla distruzione i libri che conte-
nevano tali errori. Per risposta, Lutero dichiarava invalida la scomunica e, alla presenza di tutti gli studenti, ne bruciava in piazza la bolla con il Corpus Iuris Canonici (10 dicembre 1520). Nell’estate del 1520, mentre la notizia della bolla precedeva il suo arrivo, Lutero scrisse tre trattati considerati come l’espressione del suo pensiero riformatore: l’appello Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca sul miglioramento della condizione cristiana, in cui invitava le autorità civili a prendere in mano la causa della riforma della Chiesa in virtù della loro qualità di membri eminenti del corpo di Cristo (dottrina del «sacerdozio universale»); il De captivitate babylonica Ecclesiae, in cui attaccava l’edificio sacramentale cattolico romano, considerandolo come uno strumento di dominio della Chiesa; il De libertate christiana con un’epistola a Leone X, in cui esprimeva la sua concezione morale, secondo la quale il cristiano è libero da ogni legge esteriore, ma è interiormente vincolato dalla fede e dall’amore fraterno. Poiché l’eccitazione degli animi in Germania rendeva delicata l’esecuzione della bolla, Lutero venne invitato a comparire e a ritrattare alla Dieta di Worms. Egli vi andò, ma nella seduta del 18 aprile, appellandosi alla sua coscienza, rifiutò di ritrattare alcune delle sue idee a meno che venissero confutate sulla base della Sacra Scrittura o della ragione. Il 26 aprile, prima che scadesse il salvacondotto, lasciava Worms. Ma, durante il viaggio, veniva prelevato per ordine del principe elettore di Sassonia Federico il Saggio e nascosto nella rocca della Wartburg, dove attese alla traduzione della Bibbia, che rimane il primo vero capolavoro della letteratura germanica. Risalgono a questo periodo gli scritti De votis monasticis iudicium e De abroganda missa privata, in cui i voti monastici, il sacrificio della messa, il diritto canonico, i precetti della Chiesa, l’interpretazione della Bibbia sono messi in discussione. Lutero uscì dalla rocca di Wartburg nel marzo del 1522, quando le prime avvisaglie dell’insurrezione di contadini e le prime violenze suscitate dalla Riforma richiedevano la sua presenza moderatrice. Il resto della sua vita lo trascorse indisturbato a Wittenberg, insegnando Esegesi biblica al-
l’Università e guidando con la parola, con l’esempio e con gli scritti la lotta della Riforma su due fronti: contro la Chiesa papale da una parte e contro gli estremisti dall’altra. Particolarmente importante a questo riguardo è l’anno 1525, in cui Lutero prese posizione contro la rivolta armata dei contadini (che gli alienò per sempre le masse popolari), contro Erasmo da Rotterdam e l’umanesimo, opponendo al De libero arbitrio di Erasmo il suo De servo arbitrio, e contro Ulrich Zwingli a pro-
posito della santa cena. Nello stesso anno sposò Caterina von Bora, ex monaca cistercense, dalla quale ebbe sei figli. Morì alla vigilia del Concilio di Trento e della guerra della Lega di Smalcalda. Come uomo, Lutero fu un temperamento forte e di grandi qualità ed energie, ma non riuscì forse a comporle in un giusto equilibrio per cui la sua personalità restò imbevuta di contraddizioni, che rimasero in lui una accanto all’altra, senza mediazione, come per esempio la tendenza alla tristezza e il gu-
stoso umorismo, la scrupolosità estrema e la rude spontaneità, la timorosa umiltà e la superba coscienza di sé, lo spirito di conciliazione e la ferrea intransigenza. Non fu propriamente un pedagogista, benché l’influsso pedagogico della sua Riforma religiosa sia stato grandissimo. Tradotta in tedesco la Bibbia, la introdusse nelle scuole, compilò il piccolo Catechismo, educò il popolo con il canto sacro. L’educazione, secondo Lutero, spetta in primo luogo ai genitori, mentre la
Chiesa deve curare l’educazione religiosa e morale e la scuola completare l’opera della famiglia. Il programma scolastico comprende la lettura in tedesco, la scrittura e il calcolo, le arti liberali, la storia; l’insegnamento delle lingue classiche è utile per meglio comprendere le Sacre Scritture. I fanciulli devono inoltre imparare un lavoro manuale.
00/3 FILIPPO MELANTONE Nato a Bretten, nella regione di Baden, Philipp Schwarzerd (Filippo Melantone secondo il nome umanistico) ricevette da bambino una solida formazione tra Heidelberg e Tubinga, grazie soprattutto allo sforzo profuso dal prozio materno Johann Reuchlin (che lo spinse anche ad adottare il nome con cui passò alla storia). A soli 12 anni s’iscrisse all’Università di Heidelberg, dove due anni dopo ottenne il baccalaureato ed era già pronto al’insegnamento di Arti liberali (fu però respinto per la giovane età); a 14 anni, finalmente, divenne maestro presso l’Università di Tubinga, mentre appena a 20 – dietro raccomandazione dello zio Reuchlin – ottenne la cattedra di Greco all’Università di Wittenberg. Qui entrò in contatto con Lutero, condividendone subito le teorie riformatrici e restandogli fedele fino alla morte. All’Università di Wittenberg, nel 1519, ottenne il baccalaureato anche in Teologia, ottenendo subito dopo il permesso di poter insegnare tale materia. Risale al 1521 la sua opera principale, Loci communes rerum theologicarum, dedicata al re d’Inghilterra Enrico VIII, in cui Melantone sistematizza il primo pensiero riformato. Partecipe dei principali avvenimenti del protestantesimo, egli re-
dasse, sia pure in collaborazione, la Confessio Augustana, nella quale rivela una moderazione in netto contrasto con gli estremisti protestanti. I protestanti considerano Melantone come il loro primo teologo. In lui si deve ammirare anche l’umanista: il merito della traduzione della Bibbia in lingua sassone si attribuisce interamente a Lutero, ignorando la parte che vi ebbe Melantone. Fu soprannominato anche praeceptor Germaniae per la grande cura che ebbe nel riordinare le scuole germaniche e specialmente le università, luoghi dove si tornò a onorare Aristotele e Platone insieme con Cicerone e Quintiliano. Dal punto di vista propriamente dottrinale, egli differisce da Lutero soprattutto su due posizioni: 1) non rinnegò del tutto, come invece fece Lutero, il valore meritorio delle opere; 2) non combatté con severità alcune delle pratiche cerimoniali della Chiesa di Roma, considerandole del tutto «indifferenti» (da qui nasce il termine «polemica adiaforista», dal greco adiaphora, ossia «questioni indifferenti»).
01 CALVINISMO In gran parte conforme alla dottrina che fu propria della Riforma protestante, il calvinismo se ne differenzia, tuttavia, per una particolare interpretazione della predestinazione divina, della concezione della vita morale, sociale e politica, delle forme del culto. Non si avvertono, invece, grandi differenze tra il calvinismo e il luteranesimo circa la dottrina della gratuità della giustificazione e circa la fede fiduciale; le due dottrine, inoltre, concordano nel negare la transustanziazione, il sacrificio eucaristico e i sette sacramenti che, pur con qualche variante, riducono a due. Anche per il calvinismo l’unica norma di fede è la Sacra Scrittura, ispirata da Dio, la cui verità deve essere scoperta attraverso la lettura: solo i predestinati, però, giungono a capirne il senso profondo, che è loro suggerito dalla coscienza, illuminata dallo Spirito Santo. Calvino non volle mai ammettere il libero esame, ma poi, con Lutero e Zwingli, rigettò il magistero vivo della Chiesa, la supremazia del papa, il valore della tradizione e dei concili.
La fonte d’informazione, per conoscere gli aspetti della dottrina che sono propri del calvinismo, è l’Insttutio Christianae Religionis (1536). Quest’opera, infatti, costituì la base della credenza religiosa di Ginevra prima e di tutto il calvinismo poi. Gli argomenti in essa trattati riguardano tutti gli aspetti della dottrina cristiana: dalla fede alla giustificazione, ai sacramenti, ai libri della Sacra Scrittura, alle norme di vita cristiana, agli ordinamenti della vita civile e politica. I punti più salienti e caratteristici del calvinismo sono la sovranità di Dio e la predestinazione dell’uomo. La vera sapienza ha inizio dalla conoscenza di Dio e di noi stessi. Dio si può conoscere per due vie: anzitutto dalla realtà del creato e dall’ordine provvidenziale che lo governa, in secondo luogo dalla Sacra Scrittura, cui si deve aggiungere l’interiore illuminazione dello Spirito Santo che lo rivela alla nostra coscienza. Tale conoscenza suscita nell’uomo un senso di timore e di reverenza, che lo induce a voler servire Dio e a onorarlo con l’innocenza della vita
e la sincerità dei sentimenti e a riporre nella sua bontà tutta la fiducia. Dio ama l’uomo ed è clemente verso di lui, ma è anche severo con chi l’offende con il peccato. Dalla conoscenza di Dio l’uomo è indotto all’umiltà, poiché la natura umana, per il peccato originale, è totalmente corrotta e viziata. Il peccato originale, che da Adamo si trasmette a ognuno di padre in figlio, non comporta infatti solo la privazione di tutti i beni, ma anche la contaminazione completa della natura umana; lo stesso libero arbitrio è compromesso e, se non si è rigenerati da Dio, ogni scelta avviene soltanto nella sfera del male. All’uomo, in questa condizione, Dio porge aiuto con la grazia. La salvezza è opera di Dio, il quale, con assoluta libertà, predestina gli uomini o alla fede e alla grazia e così alla beatitudine oppure all’infedeltà e alla dannazione. La salvezza viene da Dio e si ha per mezzo della fede, con l’applicazione della redenzione operata da Cristo. La fede, poi, consiste in un’incondizionata fiducia in Dio e nella sua misericordia. Dalla fede il
peccatore passa alla penitenza, originata dal timore di Dio, che consiste nella mortificazione della carne e nella vivificazione dello spirito. La sola fede dunque salva e non le opere; tale fede non ha però origine nell’uomo; è opera dello Spirito ed è un dono gratuito dato da Dio ai suoi eletti. L’elezione alla fede che salva deriva solo da Dio, il quale la concede indipendentemente da ogni prescienza dei meriti dell’uomo. Dio predetermina con divino decreto tutto ciò che vuole sia fatto con ogni uomo, sicché accanto a chi è predestinato alla vita eterna c’è chi, invece, è predestinato alla dannazione. Come la vita umana, così anche la storia segue un piano divino, nel quale l’uomo si muove e agisce per manifestare la gloria di Dio. La teoria della predestinazione è uno degli aspetti più caratteristici del calvinismo e anche uno dei più sconcertanti. Calvino stesso ne avvertì lo stridore ma, ciononostante, continuò nelle sue affermazioni, senza dare altra ragione per la misericordia che Dio usa verso gli eletti, che l’imperscrutabilità della sua vo-
lontà. In merito alla riprovazione non addusse altra spiegazione se non che Dio anche in questo modo manifesta la sua gloria. Riguardo ai sacramenti, Calvino dice che sono segni esteriori istituiti da Gesù per confortare la nostra fede, e con i quali i fedeli possono testimoniare davanti agli altri la loro pietà verso Dio. Sono cioè dei simboli con i quali il Signore conferma le promesse della sua benevolenza. Quanto più si ricevono con fede tanto più entriamo nella conoscenza di Cristo e ne possediamo le ricchezze. Calvino ammette soltanto due sacramenti: il battesimo e la cena. Il battesimo accresce la fede, è un distintivo dei cristiani, una specie di diploma che assicura che i peccati sono cancellati, non sono più ricordati e imputati al cospetto di Dio. Si conferisce una volta sola e testimonia che è stata applicata la redenzione di Cristo. La cena è invece il banchetto spirituale nel quale Cristo si è detto pane vivifico e con il quale pasce le anime per la beata immortalità. I segni sono il pane e il vino, che sono santificati nel sangue e nel corpo di Cristo, onde ne rappresentano l’invisibile comunione. Il calvinismo nega la transustanziazione e la presenza reale, parla solo di una presenza spirituale e dinamica. Anche la cena è un simbolo che accresce la fede e l’unione fra i fedeli, che nella comunione ricevono, per la fede, i benefici del sacrificio della croce. La società dei predestinati costituisce la Chiesa invisibile e la comunione dei santi. Vi appartengono quelli che hanno la fede nel senso calvinista. La Chiesa visibile, invece, è quella che risulta dalle singole chiese locali, in cui si predica la parola di Dio e dove si amministrano i sacramenti. Dove la parola di Dio è adulterata e l’amministrazione dei sacramenti è corrotta, anche la Chiesa cessa di esistere. Naturalmente, il calvinismo non riconosce la Chiesa romana, la gerarchia e il papato. Il pontefice non è vescovo, né vicario di Cristo, né successore di san Pietro, né capo della Chiesa. Si parla di una gerarchia con ministri d’istituzione divina, ma non nel senso cattolico, dal momento che il sacerdozio antico è trasferito solo in Cristo. Si riconosce invece un universale sacerdozio dei fedeli, il cui sacrificio è la lode di Dio. Assai vicino all’insegnamento tra-
dizionale della Chiesa cattolica rimane il calvinismo per quanto riguarda la dottrina morale. Distingue anzitutto fra una morale umana, quella che emerge da una dottrina filosofica, e una morale cristiana, che ha come suo supremo ideale quello di guidare l’uomo a Dio. Esempio mai del tutto imitabile e tuttavia sempre ricercato nella condotta morale di un cristiano è Gesù. Gli uomini, chiamati a essere figli di Dio e purificati dal battesimo, devono tendere a una purezza di vita, quale si esige dalla loro vocazione a essere eternamente beati con Dio. La legge è stata data all’uomo per guidarlo sulla via della virtù, per invitarlo a una carità verso il prossimo, a una fedeltà continua ai suggerimenti del Signore, che comporta rinunce e mortificazioni. Ma più ancora esige una docile accettazione di quanto il Signore vuol disporre nella vita di ognuno, una serena sopportazione delle croci e fortezza per lottare in difesa della giustizia. Singolare è invece la dottrina del calvinismo circa la società civile e i suoi rapporti con la Chiesa. Lo Stato è, di diritto, divino e suo compito è procurare la prosperità; ciò, tuttavia, in stretta subordinazione al bene spirituale e quindi in dipendenza dalla Chiesa. Oltre a mantenere il culto esterno di Dio, lo Stato è tenuto anche a difendere la religione e la costituzione della Chiesa. Ogni idolatria deve essere rimossa e combattuto tutto ciò che si oppone all’instaurazione del regno di Cristo. Per questa via si favorì il sorgere di Chiese nazionali e di Chiese-Stato. Il calvinismo si diffuse specialmente in Svizzera, in Francia dove dette origine agli ugonotti, nei Paesi Bassi e nel Palatinato in Germania.
01/1 GIOVANNI CALVINO
(1509-1564)
Di famiglia cattolica, Jean Cauvin (Giovanni Calvino è il nome umanistico) fu avviato molto presto agli studi ecclesiastici, tanto che già nel 1524 iniziava a seguire Parigi il corso di Filosofia e di Teologia al collegio di Montaigu. Interrotti per breve tempo gli studi teologici, sotto la pressione del padre che voleva farne un giurista, Calvino li riprese qualche anno dopo all’Università di Bourges (1529), dove conobbe l’umanista tedesco Melchior Wolmar, seguace di Lutero, che lo avviò allo studio dell’ebraico e gli fece conoscere il Nuovo Testamento in greco edito da Erasmo. Negli anni 1532-1534 dovette maturare la sua crisi religiosa e la sua conversione alla Riforma. Se, come molti ritengono, fu lui l’autore del discorso che Nicolas Cop, rettore dell’Università, aveva pronunciato nella chiesa dei Maurini a Parigi per l’inaugurazione dell’anno accademico, la sua adesione al luteranesimo può essere datata al 1° novembre del 1533: nel discorso, infatti, si trova affermato il principio della giustificazione gratuita. Costretto a fuggire dalla Francia, Calvino si diresse verso le città renane, dove la Riforma protestante era ormai diffusa: attraverso Metz raggiunse Strasburgo e, dopo una breve sosta, Basilea. Qui egli poté portare a termine e pubblicò l’opera che doveva porlo in primo piano fra i protagonisti della Riforma: la Institutio Christianae Religionis. Pubblicata in latino nel 1535, fu successivamente ampliata nell’edizione francese del 1536, espressamente dedicata al re di Francia Francesco I. L’opera è un’esposizione completa di ciò che si è convenuto poi chiamare «calvinismo»: il suo pensiero sulla fede, la legge, la spiegazione del Vangelo e i sacramenti vi si trovano già chiaramente formulati. A Basilea Calvino non rimase per molto tempo: dopo un viaggio a Ferrara alla corte di
Ercole II, la cui moglie Renata d’Este (figlia di Luigi XII di Francia) era sua sostenitrice, andò a Ginevra, dove il predicatore riformato Guillaume Farel lo convinse a rimanere, poiché il Consiglio della città aveva adottato la Riforma. Farel e Calvino proposero gli Articuli de regimine Ecclesiae per sostituire il culto cattolico con il culto riformato, formulare una dottrina che si potesse imporre a tutti i cittadini e stabilire un controllo sulla vita e sui costumi della città. Il Consiglio cittadino approvò all’inizio la loro azione e nelle chiese, divenute «templi», spoglie di ogni ornamento e immagine, il culto divino fu ridotto ad alcune preghiere, a un sermone e al canto dei salmi; anche la cena eucaristica fu celebrata in forma protestante. La Confession de foi, una specie di catechismo estratto dall’Institutio, fu – sempre in seguito a un decreto del Consigio – imposta a tutti i cittadini. Decisa opposizione incontrò invece Calvino in molti ginevrini sul terzo punto del suo programma: la riforma dei costumi. Un partito degli amici della libertà (libertini), con l’appoggio della grande borghesia, ottenuta la maggioranza nel nuovo Consiglio, nelle elezioni del 1538 proibì a Calvino e a Farel di predicare. Avendo essi trasgredito l’ordine, furono espulsi. Calvino riparò prima a Berna, di lì a Basilea e infine a Strasburgo, dove lo avevano invitato Martin Butzer (Bucero) e Wolfgang Capito. Fu questo (1538-1541) un periodo calmo nella sua vita: si dedicò all’insegnamento della Teologia e della Sacra Scrittura, curando la seconda edizione dell’Institutio e rispondendo alla lettera del cardinale Iacopo Sadoleto ai ginevrini. Nell’autunno del 1540 si unì in matrimonio con Idelette de Bure, vedova di un anabattista da lui convertito. Nel 1541 accompagnò Butzer, come suo segretario, ai colloqui di Hagenau e di Worms. A Ratisbona,
dove fu fatto un ultimo tentativo di pacificazione tra cattolici e protestanti, Calvino fu ufficialmente uno dei tre delegati di Strasburgo insieme con Jakob Sturm e il Butzer. Intanto a Ginevra la situazione si era di nuovo volta in suo favore e il Gran Consiglio lo aveva invitato a ritornare. I registri della città conservano ancora tracce della deliberazione nella quale il Gran Consiglio aveva deciso «di pregarlo di prendere dimora qui, e di andarlo a prendere con la moglie e la famiglia». Dopo qualche esitazione Calvino acconsentì alle pressanti insistenze, non senza tuttavia porre delle condizioni che, praticamente, lo rendevano arbitro assoluto della situazione. Con il ritorno a Ginevra si apre il periodo fondamentale della sua vita. Calvino aveva trentadue anni e poteva finalmente attuare il programma che aveva esposto nell’Institutio. All’indomani del suo arrivo chiese ai Consigli della città di far preparare da una commissione una serie di ordinanze, per formulare lo statuto della città. In pratica redasse poi da solo le Ordonnances ecclésiastiques de l’Église de Genéve, con le quali organizzava l’intera vita domestica e sociale dei cittadini a norma della sua dottrina. Il 20 novembre l’assemblea del popolo, convocata nella pianura di Molard, votò all’unanimità un decreto che stabiliva «un governo concesso al Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo». Un governo teocratico, quello che Calvino aveva voluto, in cui lo Stato era sottomesso alla Chiesa, con il compito di far osservare la legge divina ai sudditi. Il governo effettivo era esercitato dalla classe dei predicatori, riuniti in assemblea generale o congregazione. I compiti erano così distribuiti: i ministri della parola costituivano l’elemento essenziale della comunità, predicavano il Vangelo, amministravano i sacramenti, insegnavano, riprendevano in privato e in pubblico i cittadini e preparavano i futuri pastori. I primi furono scelti da Calvino stesso, il quale teneva per loro istruzioni ogni venerdì. Vi erano poi i dottori con il compito di fare scuola e di educare la gioventù. Gli anziani, invece, 12 come gli apostoli, avevano cura della disciplina. Erano scelti fra uomini «di vita proba, onesti e senza macchia, superiori a ogni sospetto, e soprattutto
pieni di timor di Dio», e in modo che rappresentassero tutti i quartieri della città. I diaconi, infine, dovevano visitare i malati e soccorrere i poveri. Calvino istituì anche un concistoro, una specie di tribunale, composto dai 6 ministri e dai 12 anziani, che si riuniva ogni settimana, vigilava sulla disciplina e aveva il potere anche d’infliggere, in caso di mancanze, delle pene, che l’autorità civile doveva far eseguire. Non bisogna tuttavia ritenere che i ginevrini accogliessero troppo di buon grado questo ordinamento: oltre alle difficili controversie dottrinali, quali quella con Jérome Bolsec e quella ancor più grave con il medico riformato Michele Serveto, Calvino incontrò spesso l’opposizione dei libertini. L’episodio più grave rimane, tuttavia, la lotta con il riformatore Serveto. In polemica con Calvino e in evidente opposizione alla sua Institutio, egli fu l’autore del trattato Christianismi restitutio, in cui profetizzava la fine del regno dell’anticristo, ossia il papa, e negava il dogma della trinità, scandalizzando cattolici e protestanti. Fuggito da Vienne, dove era stato già condannato, il Serveto era passato da Ginevra, con il desiderio di vedere Calvino. Riconosciuto, fu arrestato e accusato di eresia e di bestemmia. Calvino stesso portò avanti l’accusa con molta durezza. Il processo, se condotto su controversie teologiche, minacciava di protrarsi troppo a lungo: Calvino, allora, non esitò ad accusare Serveto di dottrine sovversive tanto della religione quanto dell’ordine pubblico. Il Serveto fu condannato al rogo, insieme con le sue opere, nel 1553. Non tutti furono d’accordo con Calvino e non mancò chi considerò la sentenza illegale. Calvino scrisse in quest’occasione un’apologia del proprio atto, la Defensio orthodoxae fidei. Ormai era il padrone assoluto di Ginevra e tale rimase fino alla morte. Si deve a lui la fondazione a Ginevra dell’Accademia, una vera università a carattere internazionale che nel 1564 contava circa 1200 allievi nei collegi secondari e oltre 300 di grado superiore.
01/2 GUILLAUME FAREL (1489-1565)
Nato da una famiglia nobile del Delfinato (Francia), compì i suoi studi a Parigi con il noto umanista Jacques Le Fèvre d’Etaples, con cui ebbe modo di approfondire Teologia, Filosofia e Lingue orientali. Con Le Fèvre d’Etaples si trasferì nel 1520 a Meaux, dove risiedeva il vescovo riformato Guillaume Briçonnet, e iniziò una brillante carriera di predicatore. In questa veste fu prima a Basilea, dove entrò in contatto con i riformatori Johannes Ecolampadio e Berthold Haller (ma da cui venne poi espulso sotto la forte pressione di Erasmo da Rotterdam), quindi a Strasburgo, dove conobbe Martin Butzer (Bucero), e poi ad Aigle nel cantone di Berna, da dove avviò nel 1528 un’intensa predicazione in tutta la Svizzera. Nel 1531-1532 partecipò al Sinodo di Chanforan dei valdesi, contribuendo in maniera significativa alla loro conversione alla Riforma protestante. Nel 1532 si recò per la prima volta a Ginevra. Qui, nel luglio del 1536, conobbe Calvino e lo convinse a restare per tenervi l’insegnamento di Teologia. I due instaurarono un rigido governo teocratico che regolava severamente i costumi della popolazione e del clero, tanto austero da costringere nel 1538 il Consiglio ginevrino a cacciare entrambi dalla città. Quando Calvino, nel 1541, fu richiamato a Ginevra, volle con sé Farel; ma questi, già nel 1542, risultava presente a Metz per predicare, rimanendovi almeno fino al 1544, quando si trasferì a Neuchâtel. Da questa città mantenne buoni rapporti con Calvino ed ebbe un ruolo decisivo nella vicenda relativa alla condanna al rogo di Michele Serveto (1553).
02 ANABATTISMO Il nome «anabattismo» riguarda quei protestanti che, non riconoscendo il battesimo dei bambini, sostenevano doversi conferire il battesimo ai soli adulti, e non già come sacramento, ma solo come comandamento. In senso storico, invece, gli anabattisti sono quei protestanti, chiamati anche «profeti di Zwickau», il cui capo riconosciuto fu Thomas Müntzer. Questi, considerando Lutero come «esempio e luce degli amici di Dio», entrò in rapporto con lui già nel 1520. In quest’anno, Lutero lo inviò a Zwickau: qui, dove fu aspramente combattuto dal clero cattolico, egli riuscì a far lega con i tessitori del luogo che erano la maggioranza della popolazione, e tra i quali spiccava Nicholas Storch, che poi in Boemia ebbe contatti con i cosiddetti «fratelli boemi», e infine divenne un comunardo spiritualista. Tale accordo, stipulato a Zwickau, da una parte influì per far fiorire molte novità religiose e dall’altra indusse Müntzer a rompere le relazioni con Lutero, proclamando che per mezzo dello Spirito Santo, la cui luce interiore è indispensabile all’uomo, e prescindendo dalla Bibbia, Dio comunica ai veri credenti la verità. Fu allora che Storch, presentandosi come inviato celeste con la missione di fondare in terra il regno di Dio, si autoproclamò capo di una nuova fazione di protestanti dissidenti e, in compagnia dei tessitori Markus Stübner e Thomas Drechsel, si recò nel centro universitario di Wittenberg, dove lo Stübner era stato studente, per farvi adepti, attirando a sé addirittura il rettore dell’Università, Andreas Bodenstein (Carlostadio). Altre eminenti personalità aderirono a
quella fazione dissidente: sotto l’influsso del millenarismo e delle idee socialistiche di Müntzer e di Storch, costoro (approfittando anche dell’insurrezione dei contadini tedeschi che essi stessi incoraggiarono) parteciparono alla guerra da questi intrapresa nel 1525 per ottenere alcune rivendicazioni. Aspra fu la lotta e violenta la reazione da entrambe le parti, tanto che dei contadini postisi agli ordini di Müntzer ben 25.000 ne rimasero sul campo nella battaglia di Frankenhausen (lo stesso Müntzer fu fatto prigioniero e il 27 maggio 1525 decapitato). La setta, però, non si dissolse per la morte del suo capo. Un pellicciaio svevo, Melchior Hofmann, spacciandosi per visionario, a Emden impose come vescovo un panettiere di Haarlem, di nome Jan Matthys, il quale si diede a diffondere le teorie anabattistiche. Proprio quando due dei suoi missionari si impadronirono della città di Münster, qui Matthys perdette la vita in una sortita dalla città, assediata dal principe vescovo, il conte Waldeck. Immense furono le distruzioni e le vendette che seguirono e dalla cosiddetta «Nuova Sion» fu eletto re il sarto Jan Bockelson, che prese il nome di Giovanni di Leida (1534). L’anno seguente la città (vera parodia biblica, come fu definita), divenuta preda dell’immoralità, fu riconquistata da alcuni principi protestanti. Gli anabattisti di Bockelson si spostarono allora in Olanda, dove predicarono il nuovo regno dei puri cristiani. Si diffusero pure nella Moravia. Da loro discendono gli attuali battisti, sostenitori della completa libertà di coscienza e di una più netta separazione tra Chiesa e Stato.
02/1 THOMAS MÜNTZER
Nato da una famiglia benestante a Stolberg, nella regione dei monti Harz, Müntzer studiò a Lipsia e a Francoforte, entrando da giovane tra i canonici lateranensi agostiniani. Sin dal 1519 si pose seriamente la questione della riforma della Chiesa. Divenuto sacerdote a Zwickau, dietro raccomandazione di Lutero, nella ricca cittadina sassone ai confini con la Boemia predicò duramente contro il clero locale, soprattutto i potenti francescani, costituendo insieme con i tessitori Nicholas Storch, Markus Stübner e Thomas Drechsel il cosiddetto gruppo dei «profeti di Zwickau», molto influenzati dalle dottrine dei fratelli boemi e degli ussiti. Intollerante, propugnò innovazioni sociali a tendenza estremistica, distaccandosi così dal luteranesimo. Le sue prediche si rivol-
(1490-1525)
sero ai contadini e agli operai, in particolare del settore tessile, i quali fondarono la «setta degli ispirati» a carattere mistico, con proprie leggi liturgiche ed economiche. Inviso alle autorità religiose e civili, fu cacciato da Zwickau e si rifugiò tra gli ussiti di Boemia. Müntzer propugnava una sorta di comunismo mistico che, oltre alla riforma religiosa, mirava a instaurare un nuovo assetto sociale, libertà assoluta e comunanza di beni. Reclutato un considerevole numero di seguaci tra i contadini e gli indigenti, scatenò nel 1525 la cosiddetta «rivolta dei contadini». Luterani e principi tedeschi mossero contro di lui e lo sconfissero a Frankenhausen nel 1525: Müntzer, fatto alla fine prigioniero, fu decapitato.
02/2 NICHOLAS STORCH
(M. 1525)
Tra i leader indiscussi dei cosiddetti «profeti di Zwickau» (insieme con Markus Stübner e Thomas Drechsel), fu un fanatico sostenitore delle tesi estremistiche di Thomas Müntzer. Convinti che Dio li avrebbe illuminati nella loro lotta contro i soprusi del clero e della nobiltà, fautori di un’assoluta ignoranza per meglio comprendere la semplicità delle Sacre Scritture (furono detti per questo – dal momento che sostenevano di non dover conoscere nemmeno le prime tre lettere dell’alfabeto – «abecedariani»), i profeti di Zwickau furono espulsi dalla cittadina sassone nel 1521, quando l’intransigente Müntzer venne sostituito dal più moderato pastore Ni-
colaus Hausmann. Tra il 1521 e il 1522 Storch attraversò la Turingia e la Slesia per diffondere la dottrina di Müntzer, provocando un certo timore anche in Lutero, che fu costretto a redigere il duro opuscolo Contro i profeti celesti. Nel 1525 Storch raggiunse Müntzer per aiutarlo nella guerra dei contadini: questa, però, fu repressa nel sangue dal langravio Filippo di Hesse, i cui cavalieri e fanti uccisero 25.000 contadini, 5.000 immediatamente sul campo di battaglia e gli altri 20.000, nonostante si fossero ormai arresi, sgozzandoli senza pietà. Müntzer e Pfeiffer, i due capi riconosciuti della rivolta, furono arrestati e decapitati in pubblico.