aspei dicembre 2012

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BOLLETTINO ASSOCIAZIONE PEDAGOGICA ITALIANA

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Luglio – Dicembre 2012 nn. 3 - 4 TRIMESTRALE

Educare è crescere insieme arti. 1 comma1 –DCB – Roma – Aut. Trib. Bologna n. 4253 del 20-12-1972 DIREZIONE E REDAZIONE: Facoltà di Scienze della Formazione, Via Concezione 8, 98121 Messina tel. e Fax 090361349, e-mail: presidente@aspei.org Stampa: Armando Armando s.r.l., viale Trastevere, 236 – 00153 Roma presso la C.S.R. srl Via di Pietralata 157 – 00158 Roma SOMMARIO 1. Editoriale 2. L’Onestà incarnata nella persona 3. 2012: una metafora semplessa per l’anno dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni 4. Le politiche dell’EU in materia di mobilità e migrazione 5. Vita delle sezioni 6. Segnalazioni

COMITATO DI DIREZIONE Prof. Concetta Sirna Presidente Nazionale As.Pe.I. Prof. Sira Serenella Macchietti Direttore Responsabile Antonio Michelin Salomon Redattore capo REDAZIONE N. Bellugi, B. Grasselli, A. Carapella, F. Galli della Loggia, A. La Marca, G. G. Serio, S. Villani

EDITORIALE Difficile sintetizzare con efficacia la complessa problematicità dell’attuale panorama culturale e politico italiano ed ancor più complesso identificare con linearità gli aspetti cruciali e le tante fila che si intrecciano nella storia del nostro paese. Ma è quanto mai importante cercare di penetrare nel cuore dei problemi se si vuole recuperare quella passione civile che può consentire di fermare il declino e di riprendere un cammino di speranza e di rinnovamento. Tra i tanti nodi che oggi siamo chiamati a sciogliere, come dice Savagnone, non ultimo è quello relativo alla confusione tra “politica” e “Stato”. Lo Stato, infatti, non coincide con il corpo politico ma rappresenta la parte istituzionale di esso, necessaria per conseguire i fini funzionali al progresso di tutti, cioè alla realizzazione di quel “bene comune” che comprende e supera gli interessi dei singoli. Quando lo Stato coincideva con la comunità (Grecia, Roma, Medioevo), dice l’A., era più chiara la visione di un bene comune come bene naturale necessario. Con l’età moderna, l’affermarsi del contrattualismo ha separato la sovranità dal corpo politico e lo Stato, che non ha più un suo contenuto etico da difendere, si limita ormai a garantire e bilanciare gli interessi individuali per evitare guerre. La politica è diventata quindi una tecnica di gestione del potere, in sé amorale, esposta ai rischi dello statalismo, da un lato, e dell’individualismo dall’altro. Maritain, che aveva denunciato queste pericolose derive presenti nella politica del ’900, aveva individuato la soluzione nella ricostruzione di quel tessuto culturale, etico e spirituale che rappresenta il fondamento di una reale convivenza democratica. Oggi i processi di globalizzazione e la legge del mercato hanno di fatto accelerato i processi di secolarizzazione e di materializzazione: dietro la presunta “neutralità” nei confronti delle religioni positive da parte dello Stato liberale secolarizzato si nasconde, di fatto, l’ideologia dell’indifferenza reciproca e la religione unica del consumismo. Manca ormai una comunità etica e civile in cui riconoscersi ed ognuno cerca di difendere e legittimare le proprie pretese. Pertanto, all’azione politica rivolta al conseguimento del bene comune si è sostituita la mediazione degli interessi per la conservazione del consenso e, in assenza di carica ideale e di spessore culturale, è prevalsa una prassi disonesta del potere seguita dal declino intellettuale e morale della classe politica e della società nel suo complesso. Per uscire dalla palude occorre un progetto culturale, sociale, spirituale e politico nuovo, capace di responsabilizzare tutti i cittadini: occorre cioè riuscire a farli uscire dall’indifferenza verso la politica ma anche aiutarli a non soggiacere alle tante forme di coinvolgimento emozionale di tipo demagogico che circolano nei contesti attuali. Un protagonismo senza scorciatoie è fatto di costruzione di intese, per un impegno sociale orientato al bene comune, di sperimentazione di esperienze comunitarie e di pratiche cooperative. Premessa necessaria perché questo sia possibile è il superamento di una visione puramente formale della democrazia, che oggi si impegna in spericolate negoziazioni tra le tante culture di lobby, ciascuna accettata come monocratica ed assoluta, e produce offerte politiche contraddittorie senza poter mantenere le grandi aspettative democratiche (libertà, uguaglianza e fraternità). Una democrazia che voglia recuperare il senso più profondo della propria essenza non può rinunciare al riconoscimento del va1


lore fondante del dialogo come procedura di convincimento razionale. Il confronto deve entrare nel merito delle singole diverse prospettive, che sono in campo se si vuole definire, al di là del conflitto, quali elementi costituiscano il “bene comune”, cioè quali fini e proposte siano più importanti da raggiungere e cosa sia più opportuno fare per realizzarli prima possibile, o almeno in parte, con accordi condivisi bilanciati. Si tratta, cioè, di superare l’ottica della legalità che, limitandosi a negoziare interessi, può produrre anche leggi ingiuste che legittimano privilegi. È importante integrare la legalità con la ricerca etica di ciò che va oltre la somma degli interessi individuali, perché è legato ad un patrimonio ideale avvertito come comune destino, direzione e senso. Il bene comune, infatti, esige un impegno comune e cooperativo per la sua realizzazione, un gioco di squadra capace di valorizzare tutti i componenti nella loro diversità nell’ottica del raggiungimento del fine scelto, evitando frammentazione ed individualismi per camminare assieme guadagnando di più. C. Sirna

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L’ONESTÀ INCARNATA NELLA PERSONA di Giuseppe Serio 1. L’onestà incarnata nella persona non appartiene alle parole, che pure sono necessarie, ma ai fatti concreti di chi agisce conformemente alla legge dello Stato e, mi piace aggiungerlo, della coscienza in cui è riflesso il volto di Dio. La legge, dice Simone Weil, è propaganda pre-politica, non politica (se guarda apparentemente al soprannaturale). Chi è fermo alla politica è senza spirito e grazia, “è obnubilato dalla propaganda”1, un’opzione che non si alimenta di Giustizia; chi crede di essere qualcuno in virtù dell’essenza che incarna, se non l’incarna nei fatti della vita sociale, non appartiene ai luoghi della coscienza sana. Il cittadino onesto obbedisce alla legge dello Stato (anche se non la condivide, ma s’impegna a modificarla); non evade le tasse e rispetta anche il codice etico della sua coscienza. La legge dello Stato si apre al Diritto pre-esistente e “alla verità della giustizia nel senso platonico del termine”2. Il compito dello Stato è – dovrebbe essere – la realizzazione della giustizia soprannaturale nel sociale. Infatti, Hanna Barbara Gerl-Falkovitz dice che “la legge diventa efficacia storica di un obbligo soprannaturale”3 e, mi piace aggiungere, se e quando ne ha la forza morale. 2. L’onestà è come l’onore: se lo perdi, diventa difficile riprenderlo e, anche se lo si riprende, resta pur sempre ferito, cicatrizzato. Il decoro dell’uomo non è comunque la bellezza fisica della persona. Il disonesto è senza dignità, dunque, senza valore. Oggi, il valore per l’uomo è diverso e diversa è la bellezza della persona che sta nei luoghi materiali, e non in quelli dell’onore. La bellezza appartiene solo al corpo, non alla realtà psico-fisica della persona, quella migliore, l’interiorità. L’obbedienza all’interiorità, la coscienza, si identifica con la legge morale che è quella che dà decoro a chi sta al di qua della corruzione. Onesto, per esempio, è chi accoglie l’altro di cui non ha paura perché sul suo “volto” scorge riflesso quello di Dio. “Chi cammina nella Giustizia/ ed è leale nel parlare,/ chi rigetta un guadagno frutto di angherie,/ scuote le mani per non accettare regali,/ si tura gli orecchi per non udire fatti di sangue,/ chiude gli occhi per non vedere il male”4, costui abiterà in alto, vicino al Signore dell’universo. Abiteranno in basso i malfattori, quelli che non lavorano onestamente, quelli che non corrispondono il giusto salario al lavoratore e imbrogliano la gente per arricchirsi, che si servono della Politica per i loro interessi, non per realizzare il bene comune. Abiteranno in basso anche quelli che usano l’Economia per dominare le persone o per emarginarle e quelli che non capiscono che dichiararsi virtuosi non vale niente, come non vale niente l’agire politico che non è illuminato dalla coscienza, che non s’ispira alla cultura morale, che non sogna l’utopia, cioè il non ancora ma non l’impossibile. Corrado Alvaro, che volentieri continuo a citare affrontando questo tema, ci ha spiegato che “la disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile”. In Italia c’è una massa di malfattori che, purtroppo, non la pensa così. L’agire politico dovrebbe assomigliare all’aurora (che preannuncia la luce e rende trasparenti le persone).

3. Questi ultimi anni manifestano traumaticamente che la Politica è sprofondata nel malaffare. Dopo tangentopoli, calciopoli e le cricche, sono arrivati gli scandali della corruzione con le mafie, sempre in prima fila, per cui la gente è confusa, disorientata, incapace di spiegarsi ciò che accade nel palazzo. Il mondo sembra navigare a vista, senza bussola, senza meta; rubano anche quelli che dovrebbero dare il buon esempio, quelli che dovrebbero orientare la vita della gente che, sbalordita, ascolta i telegiornali che celebrano gli scandali quotidianamente. Per fortuna, tanti politici scelgono la cultura della proposta, sostenuta dal movimento di pensiero che re-interpreta il valore della vita e considera il lavoro uno strumento decoroso per costruire il bene comune. Spetta a costoro d’impegnarsi politicamente per essere più vicini all’utopia della società costituita da persone oneste o ad una Politica come laboratorio dov’è possibile avviare sia le opere di misericordia che quelle strutturali che promuovono i beni negoziabili. Si tratta di beni necessari per fortificare l’onestà della persona ma non bastano per farla crescere nella dignità. È importante promuovere i beni dell’intelligenza che eclissano l’indifferenza e la solitudine, contrastano l’illegalità, oscurano la Politica come esercizio del potere, non del servizio alle persone, qualunque sia il colore della pelle, il reddito, qualunque sia la fede o la cultura d’appartenenza. 4. Senza dubbio, gli effetti della globalizzazione sono stati dirompenti in tutte le sfere della vita sociale. Hanno azzerato il valore dell’onestà preferendo i beni negoziabili, mandando in soffitta quelli della persona (solidarietà, sussidiarietà, nonviolenza, ecc.), mettendo al primo posto il denaro che si cerca con qualsiasi mezzo. Le scelte fondate soltanto sull’economia hanno illuso gli sprovveduti che identificano ricchezza e felicità. Scelta irresponsabile è quella che ne consegue, ispirata alla convinzione che si può diventare ricchi anche a costo di corrompersi! Alla morale sono subentrate le morali modulate secondo gli interessi personali o, peggio, non è subentrata nessuna morale se non quella ispirata al massimo profitto e al massimo piacere ottenuti col minimo sforzo. Si tratta di un progetto impazzito che emargina i poveri, indebolisce i rapporti internazionali e non svolge un’azione incisiva negli scenari del mondo dove le potenze industriali alimentano focolai di guerra, incrementano le differenze tra paesi ricchi e poveri e ridisegnano la geografia politico-finanziaria del mondo. In Italia non c’è certezza di futuro, sicurezza di lavoro, di salario dignitoso e adeguato ai crescenti bisogni della vita; non c’è garanzia dei diritti né certezza della giusta applicazione della legge, dell’equa imposizione fiscale, di responsabilità proporzionata alla funzione di ciascuno; non c’è equilibrato rapporto tra istituzioni e cittadini, tra sfera pubblica e privata. La corruzione è diffusa nelle istituzioni pubbliche e private, inquina persone e istituzioni periferiche e centrali. Per alcuni, farisaicamente dichiarati insospettabili, la corruzione è una via segreta attraverso la quale legittimano il ruolo e la funzione che ricoprono e per altri, palesemente etichettati come faccendieri, è addirittura una sorta di inevitabile mercimonio per servire e ingraziarsi i potenti. Il malaffare è diventato uno stile che ha spazio e tacito consenso per operare indisturbati come imbroglioni nel campo degli appalti, degli affari, delle attività imprenditoriali (almeno 3


fino a quando non vengono scoperti dai magistrati che faticano duramente per cercare le prove della loro disonestà). Il nostro, come altri, è un paese da rifondare, da ricostruire. Non basta più una buona politica ispirata ai valori. Occorre una rivoluzione culturale, operata dalla società civile che potrebbe far ri-fiorire il rispetto per l’uomo. Il riconoscimento della sua dignità, la volontà di cooperazione, il senso civico della solidarietà hanno il fondamento nella rivoluzione culturale, auspicata da Antonio Pieretti e programmata nella scuola di ogni ordine e grado, come propone Luciano Corradini, studiando la nostra Costituzione ed esercitandola mediante una autentica cittadinanza attiva. In questa rivoluzione culturale sono riposte le virtù morali e civili che fanno di un aggregato di persone un popolo, di un territorio una nazione, di una società uno Stato di diritto.

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Concludo dicendo ai giovani che la rivoluzione culturale debbono farla loro che sono diversi da noi. Potrebbero riuscirci ad una condizione: studiando per acquisire gli strumenti idonei per operare l’autentica rivoluzione culturale che pone l’uomo al primo posto nella storia, non le cose effimere, soprattutto quelle prive di valore. Note 1 Hanna

Barbara Gerl-Falkpvitz, L’utopia di Simone Weil fra politica e mistica, in Vita e Pensiero n. 1/2009 p. 100. 2 Id, p. 103. 3 Ivi. 4 Isaia, 33, 13-16.


2012: UNA METAFORA SEMPLESSA PER L’ANNO DELL’INVECCHIAMENTO ATTIVO E DELLA SOLIDARIETÀ TRA LE GENERAZIONI di Francesca Pulvirenti1

proprio mondo con eleganza, con intelligenza e con diplomazia nel proprio spazio semplesso, quale spazio narrativo per una formazione per la vita.

1. Invecchiamento attivo e solidarietà tra le generazioni: obiettivi “semplessi” della Decisione del 14 settembre 2011 La Decisione N. 940/2011/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 settembre 2011 sull’Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni è relativa al nostro anno in corso, il 2012. Obiettivo particolare della “Decisione” è agevolare la creazione di una cultura dell’invecchiamento attivo in Europa, basata su una società per tutte le età. Una società che, mettendo a fuoco la necessità di una solidarietà e di una cooperazione tra le generazioni, tenendo anche conto della diversità e della parità di genere, mira a superare gli stereotipi legati all’età, rimuovendo, in particolare, le barriere per quanto riguarda l’occupabilità e promuovendo attività che aiutino a lottare contro la discriminazione in base all’età. L’Anno europeo incoraggia e sostiene l’impegno degli Stati membri, delle loro autorità regionali e locali, delle parti sociali, della società civile e del mondo imprenditoriale, comprese le piccole e medie imprese, a promuovere l’invecchiamento attivo e ad adoperarsi maggiormente per mobilitare il potenziale degli ultracinquantenni, che costituiscono una parte della popolazione in continuo e rapido aumento. La promozione dell’invecchiamento attivo implica la creazione di migliori opportunità, affinché donne e uomini anziani possano svolgere un ruolo sul mercato del lavoro; implica, altresì, l’adeguamento delle condizioni di lavoro, l’adattamento dei sistemi di apprendimento permanente alle esigenze di una manodopera anziana e la garanzia che i sistemi di protezione sociale siano adeguati e offrano gli opportuni incentivi. Gli obiettivi dell’Anno europeo sono, parafrasando Berthoz, obiettivi semplessi fondati su una ricca combinazione di regole semplici, quali: 1) sensibilizzare l’opinione pubblica in merito all’importanza dell’ invecchiamento attivo e delle sue varie dimensioni; 2) promuovere il dibattito, lo scambio d’informazioni e identificare e diffondere le buone prassi e sostenere la cooperazione e le sinergie; 3) agire concretamente affinché l’Unione, gli Stati membri e le parti in causa a tutti i livelli, con la partecipazione della società civile, delle parti sociali e delle imprese, possano elaborare soluzioni innovative; 4) promuovere attività che aiutino a lottare contro la discriminazione in base all’età, a superare gli stereotipi legati all’età e a rimuovere le barriere, in particolare per quanto riguarda l’occupabilità. Non è nostro intento addentrarci ancora oltre nei contenuti specifici della “Decisione”, quanto evidenziare che il 29 aprile, Giornata europea della solidarietà intergenerazionale, offre annualmente all’Unione una buona occasione per rinnovare il proprio impegno, inteso a rafforzare la solidarietà e la cooperazione tra le generazioni, al fine di promuovere una società equa e sostenibile, una società per tutte le età, una società in cui ci si forma per la vita. Una società semplessa, direbbe Berthoz, è una società che trova nell’invecchiamento attivo e nella solidarietà generazionale due suoi obiettivi semplessi; una società in cui ogni soggetto è in grado non solo di cogliere il reale ma di vivere con il

2. Lo spazio semplesso, quale spazio narrativo per una formazione per la vita Scrive Berthoz2, fisiologo della percezione e dell’azione, che una delle rivoluzioni dell’evoluzione è quella di aver trasformato l’organizzazione spaziale estremamente rigida del sistema nervoso, così com’è determinata dai geni, in uno strumento eccezionale che permette di manipolare mentalmente lo spazio e, soprattutto, di creare “concetti”. La formula “si pensa con il proprio corpo” non è sufficiente. Il cervello “crea mondi” a partire dal corpo che agisce nel mondo, grazie alla flessibilità e alla molteplicità dei meccanismi di manipolazione nello spazio. L’estrema specializzazione delle rappresentazioni dello spazio fornisce griglie di analisi rigorose, che contribuiscono a quella che il nostro spazio chiama semplessità. Il nostro cervello scompone i problemi secondo moduli specializzati. Non ci sono, dunque, uno spazio assoluto e uno relativo; esistono diversi “spazi di azioni” proprie di ogni specie, che utilizzano processi diversi, in quanto lo spazio è “decodificabile” in funzione delle azioni, è incarnato nel corpo agente, nel suo aspetto enattivo. Spazio, dunque, percepito, vissuto e concepito, spazio semplesso, che richiede al soggetto la capacità di esserci, di pensarsi come attore, organizzatore e narratore della propria esistenza, di riflettere sulle proprie azioni, di valutare le traiettorie di significato intraprese, di fissare nuove direzioni di senso, di aprire nuovi spazi di pensieri, nuovi spazi di dialogo, di prestiti, di scambi, di incontro, di inclusione, di vitalità, di dignità, di narrazioni; nuovi spazi in cui tutti i soggetti, uomini, donne, abili, disabili, bambini, giovani, adulti, vecchi, poveri, ricchi, bianchi, neri, possono incontrarsi e trovare una serie di semplificazioni anche in funzione del proprio Umwelt, cioè in funzione dei propri rapporti personali con l’ambiente, del proprio posto nel corso dell’evoluzione. Suddetto spazio semplesso si configura, oggi, come spazio per una formazione per la vita, come orizzonte di senso che permette di pensare l’attuale configurazione sociale, che apre al dialogo e al confronto intra ed intergenerazionali, che rende operativi i “principi semplessi” ben evidenziati dalla già citata “Decisione” del 14 settembre 2011. Certamente non ignoriamo che, oggi, lo spazio, precluso nel passato a determinate categorie sociali, tende, purtroppo a dilatarsi sempre più; il nostro cervello, come evidenzia ancora Berthoz, deve simulare mondi incredibilmente diversi, compresi i mondi virtuali con il web e Second life. Il rischio è che alle vecchie forme di marginalizzazione se ne aggiungano altre in direzione di quel sé digitale che rappresenta la nuova frontiera dell’esclusione sociale. Un rischio, quest’ultimo, ben evidenziato nella comunicazione relativa all’agenda digitale per l’Europa, la prima iniziativa faro Europa 2020 adottata il 19 maggio 2010, in cui si sottolinea l’importanza delle applicazioni e dei servizi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) per un invecchiamento positivo e si raccomanda, inoltre, di avviare un intervento concertato per migliorare le competenze digitali di tutti gli europei, anche degli anziani, un gruppo sovrarappresentato nell’ambito dei 150 milioni di cit5


tadini, ovvero approssimativamente il 30 % del numero totale di cittadini, che non hanno mai usato internet. La promozione della formazione in materia di nuove tecnologie e dell’accesso alle stesse accrescerebbero ulteriormente le opportunità per gli anziani, aprendo spazi di cittadinanza narrativa per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva di solidarietà e di prestiti e scambi fra tutti i soggetti di ogni età. Sta a noi pedagogisti promuovere azioni formative per aiutare i soggetti a ripensare la propria identità e il rapporto tra le generazioni nello spazio della semplessità, ed aprire così spazi semplessi per una società che, come la bella storia della cammella che piange ci ricorda, può trovare solo nell’amore la forma suprema di solidarietà sociale. 3. Storia della cammella che piange3 Nel Deserto dei Gobi, nella Mongolia del sud, vive una famiglia di pastori nomadi, in regime di autarchia, dedicandosi alla nascita e all’allevamento dei cammelli del loro branco. Una delle cammelle ha un parto terribilmente difficoltoso e doloroso ma, con l’aiuto della famiglia, viene alla luce un bellissimo cucciolo bianco. Nonostante gli sforzi dei pastori, la madre rifiuta il nuovo nato, negandogli brutalmente il suo latte e l’amore materno. Quando tutte le speranze per il piccolo sembrano essere svanite, i nomadi inviano due dei loro bambini nel deserto, in cerca di un musicista. Secondo la tradizione, infatti, la musica di un violinista può spingere la cammella a riconciliarsi con il piccolo. Il musicista arriva al villaggio e si mette a suonare vicino alla cammella, che ha il proprio cucciolo davanti a sé. Il suono arcaico del violino e i canti melodici di una delle donne arrivano al cuore della madre del piccolo cammello: quando le viene portato nuovamente il cucciolo, scoppia in lacrime e lascia finalmente che il piccolo si avvicini alle sue mammelle e beva il suo latte di cui ha bisogno per sopravvivere. La storia della cammella che piange è la metafora di una società che può trovare solo nell’amore la forma suprema di solidarietà sociale, perché l’amore è la forma suprema della semplessità. Evidenzia Berthoz che una delle invenzioni più straordinarie messe a punto dall’evoluzione per semplificare il funzionamento del cervello sono senza ombra di dubbio i periodi critici, che sono momenti precisi nello sviluppo. Tra questi, l’esempio più celebre è il periodo preciso di identificazione della madre che l’etologo Lorenz4 ha individuato nell’imprinting, un meccanismo innato che assicura l’attaccamento. I piccoli di anatroccolo, privati della figura materna naturale, seguivano un essere umano o qualsiasi altro oggetto, nei confronti del quale sviluppavano un forte legame che andava oltre la semplice richiesta di nutrizione, dato che questo tipo di animale si nutre autonomamente di insetti. Su tale scia, Bowlby5 sostiene che «l’attaccamento è parte integrante del comportamento umano dalla culla alla tomba». All’inizio della vita l’essere nutriti equivale all’essere amati, il bisogno biologico legato all’alimentazione è presente insieme a un altro bisogno, anch’esso fondamentale, quello di essere amati, nutriti d’amore, di essere desiderati, voluti, accettati per quel che si è. Riprendendo la storia della cammella che piange, la musica ristabilisce quel legame, quell’ imprinting tra madre e cucciolo che, a causa del parto travagliato, non si era potuto stabilire, in quel momento critico che permette alla madre di identificare il proprio piccolo. Per questo si rifiuta di dargli il latte. Tuttavia pare che nelle tonalità e nel ritmo ci sia una serie di segni o una 6

forma musicale che consente una nuova possibilità di associazione. Così, vedendo il piccolo cammello vicino a sé mentre ascolta la musica, la cammella gli attribuisce i suoni del violino e lo accetta, commossa da ciò che sente. Certo, nel loro insieme, evidenzia Berthoz, le basi neurali del periodo critico rimangono misteriose, i processi sottesi al periodo critico sono complessi, localizzati anche a livello molecolare, ma fanno parte della semplessità. L’imprinting che assicura stabilità nelle relazioni tra individui, pur essendo un meccanismo innato, comporta una serie di rischi; ma, nello stesso tempo, l’imprinting, l’amore è una forma suprema di semplessità, è una delle invenzioni più stupefacenti degli organismi viventi, è l’invenzione più elegante per assicurare quella solidarietà di scambi e prestiti intra e intergenerazionale, quella formazione per la vita, che nessuna norma sociale può essere in grado di garantire. Una breve riflessione finale La nostra lettura del rapporto di solidarietà tra le generazioni in chiave semplessa ha una ben precisa opzione ontologica: l’uomo è un essere relazionale e intersoggettivo, dialettico e protensivo; nella sua struttura antropologica emergono prioritari il desiderio del vincolo e del legame, la pulsione alla relazione e all’intesa, all’alleanza e alla solidarietà. Certo, non possiamo non riconoscere che l’umanità sarà più o meno sempre consensuale e conflittuale, è possibile però ipotizzare che le norme elaborate dall’uomo nel corso della sua storia sfruttino “naturalmente” l’inibizione della violenza e la simpatia nel contesto di un’evoluzione culturale permanente. La semplessità – una delle invenzioni più stupefacenti degli organismi viventi, applicabile a diversi livelli dell’attività umana, dalla molecola al pensiero, dall’individuo all’intersoggettività, fino ad arrivare alla coscienza e all’amore – ci aiuta a riflettere in modo attraente e interessante sulla questione degli scambi intergenerazionali, della vecchiaia attiva e della formazione per la vita. È, forse, ancora un’utopia, un’ideale di convivenza umana, alla quale dobbiamo educarci per vivere felicemente anche questa età della vita? È possibile ipotizzare che quest’utopia possa essere praticata all’interno degli scambi intergenerazionali e di una formazione per la vita come progetto attuabile, sana immaginazione che ci orienta a costruire la nostra esistenza nello spazio, nuovo e diverso, della semplessità? Note 1

Università degli studi di Catania. Berthoz, La semplessità, trad. it., Codice edizioni, Torino, 2011. 3 La storia del cammello che piange è un film del 2003 diretto da Luigi Falorni e Byambasuren Davaa. Erroneamente definito da qualcuno film-documentario, è in realtà un film narrativo. I due registi hanno seguito la vita reale di una famiglia nomade realizzando un suggestivo quadro realistico di uno stile di vita lontano nel tempo e nello spazio. Il film è caratterizzato dalla musica d’arpa. 4 K. Lorenz, Io sono qui, tu dove sei? Etologia dell’oca selvatica, Mondadori, Milano, 2007. 5 J. Bowlby, Attaccamento e perdita. L’attaccamento alla madre, vol. 1, Boringhieri, Torino, 2003. 2 A.


LE POLITICHE DELL’EU IN MATERIA DI MOBILITÀ E MIGRAZIONE Le esperienze degli studenti Erasmus ed Erasmus mun- la quale si crea un intervallo e si verificano delle incongruenze con le realtà tali da provocare dei cambiamenti nelle popoladus nelle tesi socio-politiche contemporanee

di Rossella Paino 1. Mobilità e sviluppo di una nuova teoria Questo articolo pone importanti domande su come vengono teorizzati i fenomeni della mobilità studentesca cogliendo la complessità e la peculiarità di questa esperienza internazionale. Come vengono interpretate le pratiche ed i comportamenti associati alla mobilità globale? Come vengono sviluppati i modelli teorici necessari per rispondere alle sfide della globalizzazione ed al localismo regressivo? La maggior parte dei dati che descrivono la mobilità studentesca analizzano materiali di tipo statistico diffondendo così un modo convenzionale di vedere la mobilità degli studenti Erasmus ed Erasmus Mundus. Questo approccio tende ad essere un processo totalizzante ma non riesce a cogliere gli aspetti più significativi dell’esperienza individualizzata e collettiva di molti studenti. Vi è quindi la necessità di sviluppare modelli teorici che vadano oltre le tendenze globali, che non si preoccupino dei racconti di storie personali individuali, e riescano a sviluppare i mezzi intellettuali capaci di offrire soluzioni e proposte (o azioni) più ampie e universalizzate. Esiste molto materiale statistico sviluppato dai governi nazionali, centri di ricerca e organizzazioni economiche e commerciali proprio per cercare di dare delle prime risposte alle domande che anche qui vengono poste. Molti studiosi sostengono che il materiale statistico avvalori un approccio strumentale e positivista che spersonalizza e mercifica il comportamento umano. Il positivismo ha la tendenza a disumanizzare l’esperienza umana attraverso processi che promuovono un’oggettivazione della stessa e la caratterizzazione delle relazioni sociali con “regole calcolabili”, peculiari della burocrazia e dell’industria. Un sociologo dei primi anni del XX secolo, Max Weber, ha descritto questi processi interconnessi affermando che l’esercizio “oggettivo” del business indica soprattutto un esercizio secondo regole calcolabili che sono senza riguardo per le persone. Senza riguardo per le persone è anche lo slogan del mercato e, in generale, di tutte le occupazioni dai puri interessi economici che si sviluppano quando la burocrazia è “disumanizzata” (Weber citato in Gerth & Mills 1946: 215-216). Come Weber anche Habermas (1990) ha sostenuto che il riduzionismo e l’oggettivazione sono promossi dall’applicazione dei principi scientifici all’attività umana, nel tentativo di prevedere e controllare i comportamenti umani attraverso l’applicazione di categorie standardizzate. In questo modo al comportamento umano sono assegnate categorie e descrizioni rigide che contemporaneamente standardizzano e funzionalizzano il comportamento umano. Queste categorie sono creazioni artificiali che tendono ad avere con la realtà legami superficiali, ma il cui effetto è quello di impedire la comprensione della complessità e della diversità. Questo è evidente, ad esempio, nel mutamento della categorizzazione usata per differenziare gli studenti (Erasmus, Erasmus Mundus e stranieri), adottando

zioni. Le descrizioni relative alla mobilità degli studenti Erasmus ed Erasmus Mundus, infatti, dispongono di molte delle principali caratteristiche del pensiero riduzionista e positivista. Una di queste è l’applicazione di metafore derivate dalle scienze naturali, evidente in molte delle analisi sulla mobilità che è comunemente descritta con la metafora del “flusso” nel contesto di un mercato dell’istruzione transnazionale. Altbach descrive l’ambiente dell’istruzione superiore collegato alla globalizzazione in questi termini: «Grandi quantità di studiosi e scienziati viaggiano all’estero occasionalmente per ricerca o insegnamento. C’è anche una considerevole migrazione all’estero per lavoro accademico. La globalizzazione incoraggia questi flussi e garantisce una continua crescita. Se i sistemi accademici diventano più simili e i gradi accademici più ampiamente accettati a livello internazionale, quando le norme sull’immigrazione vengono adattate a persone con elevati livelli di competenza, e le stesse università sono più aperte ad accogliere i migliori talenti da tutto il mondo, allora il mercato si espanderà» (Altbach 2004:8)

La promessa della modernità e le immaginarie relazioni sociali della globalizzazione espresse nella nozione di “flusso globale” sono state analizzate da Marginson e Sawir (2005). Questi studiosi si chiedono come mai la metafora liquida del “flusso” diventi fondamentale per la comprensione degli effetti e delle relazioni transfrontaliere ed evidenziano come il flusso e le reti, termini comunemente usati, evocano l’acqua e l’elettricità. Nell’introdurre la discussione sulla globalizzazione, suggeriscono che le nozioni di connessione trasmettono sentimenti di spostamento e unione, di immersione e inondazione di rapporti, circuiti e sistemi che portano potere, che parlano del nostro senso della vita nel globale. Tuttavia essi si chiedono anche cosa possa fare la metafora del flusso per «dirci ciò che è peculiare del globale nel campo dell’istruzione superiore e dove l’istruzione superiore potrebbe condurre» (Marginson & Sawir 2005: 282). Argomentano, inoltre, a favore di alcuni interrogativi sul concetto di flussi per considerare cosa dicano sulla soggettività, i comportamenti e la trasformazione organizzativa. Nella sua interpretazione della globalizzazione Appadurai usa un modello di “cinque dimensioni di flussi culturali” denominati scapes. Forse la nozione più importante per l’analisi degli studenti Erasmus ed Erasmus Mundus è quella di etnoscapes, che descrive la mobilità di persone come lavoratori, turisti, migranti, rifugiati e studenti. Altri scapes sono interconnessi e includono scapes finanziari, termine che si riferisce al movimento globale del capitale; tecnoscapes, che descrive le tecnologie in rapido cambiamento e la loro influenza sulla produzione e la conoscenza; mediascapes, che si riferisce alla capacità della tecnologia elettronica di produrre e divulgare informazioni; ideoscapes, che sono visti come “concatenazioni di immagini” (Appadurai 2001). Il fatto che questi scapes siano “asincroni, irregolari e sovrapposti” rende possibile quella “flessibilità analitica” che consente di sviluppare una comprensione dei complessi aspetti multidimensionali della globalizzazione. Appadurai sostiene 7


infatti che la globalizzazione, sebbene sia una forza potente, non è omogeneizzante e immutabile e suggerisce che esistono significative opportunità di adattamento, ibridazione e mediazione laddove il locale riesce ad influenzare il globale. Anche Altbach (2004) sostiene l’idea che esiste un’interazione e un adattamento tra le forze globali e locali collegate alla globalizzazione ed afferma che «mentre le forze della globalizzazione non possono essere tenute a bada, non è inevitabile che i paesi o le istituzioni siano necessariamente sopraffatti da queste o che i termini dell’incontro debbano essere dettati da lontano» (Altbach 2004: 3). Questa analisi è ripresa anche dall’interpretazione di Castells (2000) che guarda allo “spazio del flusso” come configurato e pianificato da “reti”. Queste reti sono descritte come nodi interconnessi in cui la società, lo spazio e il tempo sono compressi. I nodi sono visti anche come collegati fondamentalmente all’accumulazione di capitale e come replica di relazioni sociali che sono alla base del capitalismo globale. Secondo Castells lo “spazio del flusso” è vettorato da circuiti a base elettronica, nodi principali e fulcri situati in aree geografiche come le città globali e i gruppi sociali dominanti caratterizzati dalla mobilità. Queste condizioni sono considerate come promotrici di interconnettività e mobilità e vedono le opportunità all’interno delle dimensioni globali come organiche e sempre presenti. Le congetture circa la connettività e le reti sostengono che i sistemi organici in realtà esistono nei sistemi sociali e descrivono la mobilità in quanto flusso, dove la fluidità e i modelli ciclici sono rappresentativi della realtà. 2. La società del rischio: globalizzazione ed identità Ulrick Beck ha descritto la nozione di società del rischio proponendo un nuovo concetto di società post-industriale. Beck suggerisce che esiste un paradosso centrale nella società che vede il rischio interno di una società generato da “processi di modernizzazione che cercano di controllarli” (Beck 1998: 11). La società del rischio è vista come l’inizio in cui la società tradizionale termina e dove la certezza non può essere garantita perchè la natura è inevitabilmente contaminata dall’attività umana e da un’interrelazione che vede la scienza e la cultura intrecciate. Ciò significa che c’è una qualità universale che intacca i tradizionali confini tra la classe, la nazione e il resto della natura ma, questo, non significa che Beck condivida la visione postmoderna secondo cui la politica è terminata, sostituita da una forma nuova. A suo avviso la società del rischio ha rimodellato la sfera politica dal momento che le questioni non riguardano più le nozioni di distribuzione dei beni. Affermare che la società del rischio è riflessiva significa che l’affidamento sulla scienza e la tecnologia garantisce che le proposte percepite diventino un problema e generino di per sé problemi, poiché le innovazioni o il progresso creano dilemmi e nuovi livelli di incertezza che vanno spesso al di là del controllo dei governi. La natura della società del rischio non è un conflitto culturale, poiché la natura del rischio trascende i confini culturali. Le persone vengono collocate in posizioni caratterizzate da contraddizioni e incertezze e questo comporta che gli esperti e le nazioni lavorino in collaborazione per superare i rischi intensificati. Questo approccio collaborativo è comunque ostacolato dalle condizioni fondamentali della globalizzazione neo-liberale, che valorizza la competizione e con la deregola8

mentazione intacca l’azione collettiva, indebolendo l’agenzia di collaborazione. Beck e Gernsheim (2001) sostengono che l’economia neoliberale si basa sulla finzione dell’essere umano “autarchico”, che assume solo individui di cui può controllare interamente la vita. Sostengono che l’individuo auto-sufficiente indebolisce l’azione collettiva e alla fine comporta la scomparsa di ogni senso di obbligo reciproco. Qualsiasi analisi della condizione sociale e i tentativi di collettivismo hanno bisogno di una spiegazione per il fatto che l’individualismo, la diversità e lo scetticismo sono scritti nella cultura occidentale (Beck & BeckGernsheim 2001: 23). Essi propongono quindici osservazioni sulla nozione di “una delle proprie vite” che è rappresentativa dell’individualizzazione nel contesto del capitalismo. Questa include la natura frammentaria e discorsiva della vita sperimentata nel neo-liberalismo e le tensioni contraddittorie tra la tradizione e l’individualizzazione. Inoltre, le condizioni della società del rischio favoriscono un’individualizzazione che intacca le condizioni sociali strutturali per il consenso politico e depoliticizza la sfera pubblica, con la ricaduta di problemi in questioni di scelta personale. L’affinità e l’associazione d’individui nella società del rischio rimangono una questione chiave. In che modo le persone si associano e diventano “amiche” in un ordine sociale e strutturale che promuove la competizione e la frammentazione sociale? Tale questione va iscritta in un contesto in cui la vita è vista come un’impresa rischiosa e la storia di una vita normale appare come una “biografia del rischio”. Nel tentativo di rispondere alle domande sulle possibilità ed il modo di associarsi nella società del rischio, Pahl (1998) studia la nozione di amicizia e descrive il bisogno di “amicizia di carattere”. Questo concetto rende conto del bisogno di associazioni più aperte e mutevoli in una società che è sempre più frammentata ma anche del modo in cui famiglia e parenti sono stati rimpiazzati in quanto figure centrali nella vita delle persone. Pahl (1998) sostiene anche che occorre superare le barriere all’amicizia che includono squilibri di potere sia a causa della classe che del “sé ansioso”. La soluzione suggerita è lo sviluppo di società che condividono un’identità, che si emancipano personalmente e che hanno una qualità de-istituzionalizzata. «L’amicizia è quasi speranza: tra amici parliamo del nostro futuro, dei nostri ideali e di significati esagerati. C’è una idealità di forte amicizia perché è staccata dai dispositivi di ruolo, stato e abitudine» (Pahl 1998: 133). L’idea di amicizia non è depoliticizzata ma collegata al concetto di philia politike, dove la conversazione e il discorso costante hanno unito i cittadini della polis dell’antica Grecia. L’idea di amicizia è importante per gli studenti Erasmus ed Erasmus Mundus che cercano di stabilirsi in una destinazione ospite stipulando nuove forme di amicizia avendo «riguardo per la persona tenendo conto della distanza che lo spazio del mondo mette tra di noi» (Pahl, 1998: 113). Sebbene l’idea della società del rischio enfatizzi la catastrofe e le terribili conseguenze per la sopravvivenza globale, Beck non ha una visione pessimistica del futuro. L’incapacità delle strutture politiche formali convenzionali di affrontare le dimensioni della minaccia a livello globale crea il potenziale per dei cambiamenti nelle strutture politiche che sono dipendenti dal nazionalismo e dalla gerarchia. Effettivamente Beck sostiene che c’è la possibilità di un’alternativa storica per l’azione politica che tiene conto della fondamentale trasformazione della politica nazionale/internazionale, statale e non statale. Egli sostiene che l’incapacità delle attuali organizzazioni statali di affrontare la crisi crea un


gioco in «cui i limiti, le regole fondamentali e le distinzioni di base sono rinegoziati» (Beck 2006: 342). La nuova politica sarà facilitata da un accordo di “cosmopolitismo forzato” in cui il rischio e la portata della catastrofe costringono ad una reazione più congeniale e collaborativa, mentre le persone sono costrette a rispondere alla minaccia della catastrofe globale. Questo adattamento reciproco tra interessi spesso divergenti e svariati è descritto da Beck come Realpolitik cosmopolita e come delle “manette dorate” che costringono la costituzione di reti, l’interdipendenza transnazionale e la reazione collaborativa alle questioni globali che non possono essere risolte dalla vecchia politica del nazionalismo (Beck 2006: 343). Dell’importanza di questa interdipendenza reciproca e dell’erosione delle tradizionali strutture di potere risentono anche le corporazioni globali. Le dimensioni della catastrofe globale, comprese quelle sociali, ecologiche ed economiche, come conseguenza delle loro azioni indicano che anch’esse non possono sfuggire al controllo e rimanere immuni dall’azione politica e comunitaria, spesso su scala globale. C’è una qualità riflessiva nella società del rischio che considera ciò che è chiamato chiarimento involontario, perché la sostenibilità futura e la produttività del capitale sono dipendenti da un ambiente sociale e politico in cui i rischi sono ridotti al minimo. Beck sostiene che la politica del rischio agisce come una sveglia per lo Stato e la politica nazionale connessa agli Stati nazione ma mette in guardia sul fatto che un falso cosmopolitismo ricostituirà semplicemente la legittimità del cosmopolitismo per la vecchia politica degli scopi nazional-imperiali (Beck 2006: 343). Ricorda, infatti, che gli Stati nazione solitamente cercano di risolvere le questioni globali come un ubriaco che cerca di trovare il suo portafoglio sulla strada di casa nel cono di luce di un lampione, ed afferma che gli Stati occidentali si stanno comportando come Stati falliti. La ricerca del futuro che Beck suggerisce è una sfida metodologica per vedere questioni che verteranno sul come trovare i modi «per decifrare le connessioni tra rischio e razza e immagine del nemico, rischio ed esclusione» (Beck 2006: 345). Parte di questa sfida secondo Beck consiste nel superare le tensioni tra la sovradrammatizzazione del rischio da parte dei mass media nello stesso momento in cui essi dichiarano che questi diversi rischi, come l’HIV, il riscaldamento globale e il terrorismo, non possono essere mai posti sotto controllo e mediati dalla vecchia politica dello Stato, dal momento che questa è davvero una cosa impossibile. 3. Studenti e società del rischio Queste posizioni teoriche hanno importanti implicazioni pratiche per l’analisi dell’esperienza Erasmus ed Erasmus Mundus dello studente, essendo essa accompagnata da un’assenza di analisi critica del contesto globale che caratterizza l’ambiente degli studenti. Questa mancanza ha fatto sì che le metodologie di ricerca utilizzate per analizzare l’esperienza degli studenti non siano adeguate per cogliere le loro autentiche “vite proprie” (Beck e Beck-Gernsheim, 2001). È esistito un approccio strumentale agli studenti internazionali che li vede come partecipanti all’interno di un contesto di mercato caratterizzato da un ambiente salubre e neutrale. La loro partecipazione è stata vista anche come passiva e compiacente, conforme alle tendenze del mercato: questo è servito ad indebolire la loro identità in quanto individui e in quanto

persone in grado di manifestare intervento e azione. I modi in cui gran parte dei dati e la ricerca sono rappresentati e descritti hanno la tendenza a presentare una teorizzazione di stampo positivista, che vede i fenomeni dell’istruzione e della mobilità internazionale letti esclusivamente all’interno di misure quantificate. Coerenti con questo tipo di epistemologia, i partecipanti sono visti come passivi e conformi alle immutabili leggi del mercato. Come menzionato da Beck e da altri (Habermas, 1990), con queste ipotesi teoriche s’intende affermare che gli studenti Erasmus ed Erasmus Mundus condividano nel mercato le decisioni limitate a fare uso di giudizi di valore circa il consumo. Questo orientamento sui consumi tende a depoliticizzare e a mascherare le tensioni e i dilemmi che derivano dall’istruzione transnazionale nella società del rischio. La natura riflessiva della società del rischio crea opportunità per lo Stato nazione e inoltre minaccia di provocare una continua crisi politica e amministrativa. Mentre l’afflusso degli studenti internazionali crea infinite opportunità per le università, questo stesso afflusso potrebbe causare resistenza in altri siti e scenari. La presenza di studenti mobili, la loro diversità e le loro ambizioni di diventare cittadini nei paesi ospiti, causa reazioni xenofobe e razziste che caratterizzano l’emergenza del localismo regressivo, facendo concentrare gli sforzi sul nazionalismo monoculturale. Per tenere conto di queste controtendenze, Habermas (1990) ha suggerito che lo Stato deve agire e ricorrere alla giuridificazione del mercato che ha visto crescenti livelli di misure legali e legislative per regolare le attività del mercato e la mobilità degli studenti internazionali. Di questa giuridificazione si è avuta testimonianza in Australia e negli Stati Uniti con l’introduzione di nuove dure restrizioni dei visti nei confronti degli studenti. In Scandinavia si è manifestata anche con la minaccia di introdurre tasse per gli studenti stranieri in luoghi come la Svezia, dove non c’è mai stata nessuna spesa. Il concetto di rischio è comunque meglio indirizzato all’analisi delle esperienze individuali degli studenti internazionali dal momento che sono più vulnerabili a qualcuna delle qualità riflessive della società del rischio. Gli studenti, come tutte le persone, per superare le conseguenze della società del rischio devono «sopravvivere alla corsa per il successo, bisogna diventare attivi, inventivi e intraprendenti, per sviluppare le proprie idee, per essere più veloci, più svegli e più creativi – non solo in un’occasione ma costantemente giorno dopo giorno. Le persone diventano attori, costruttori giocolieri, direttori di scena delle proprie biografie e anche dei legami e delle reti sociali» (Beck & Beck-Gernsheim 2001: 23). Questo non è facile per gli studenti che, avendo limitate risorse finanziarie, linguistiche, sociali e culturali, si trovano a vivere all’interno di un contesto in cui ci può essere ostilità, o almeno ambiguità di esperienza, circa la loro presenza nella nazione ospite e nell’università. Rimangono aperte le domande su come gli studenti contrastino e superino la società del rischio e si concentrino sul modo in cui stabilire relazioni e interazioni che, non solo accrescano le loro energie produttive e creative, ma permettano loro di avere relazioni che promuovono le connessioni globali. Le sfide più importanti riguardano, cioè, il come superare i dilemmi della società del rischio e i processi isolanti di ciò che Beck definisce individualizzazione e come si possano sviluppare amicizie significative. È come assicurare che i rischi siano sostituiti da reciprocità, collaborazione e interconnessione piuttosto che da isolamento frammentato. Sfidando gli approcci positivisti riduzionisti che perpetua9


no la dipendenza dai modelli di mercato e reificano la mercificazione dell’esperienza di vita, abbiamo tentato di sviluppare paradigmi alternativi che ci hanno aiutato ad operare una diversa analisi dell’esperienza degli studenti Erasmus ed Erasmus Mundus e dell’istruzione transnazionale. È evidente come la rappresentazione e le descrizioni degli aspetti discorsivi e complessi dell’esperienza Erasmus ed Erasmus Mundus che finora hanno caratterizzato il discorso strumentale e meccanicistico non riescano a cogliere la natura organica di questi movimenti globali. Abbiamo constatato, invece, come la mobilità studentesca sia caratterizzata anche da una qualità dinamica che vede cambiamenti nei movimenti degli studenti da e verso varie destinazioni, istituzioni, nazioni, città e discipline di studio che subiscono variazioni di popolarità. Le nuove posizioni teoriche espresse in questo articolo forniscono, a nostro avviso, delle alternative utili per analizzare in modo più approfondito le esperienze degli studenti che intraprendono un’esperienza di mobilità dentro e fuori l’Unione Europea, per rendere conto delle conseguenze della loro mobilità in una società del rischio e per ipotizzare nuovi strumenti operativi più efficaci per sostenere lo sforzo di rielaborazione culturale di cui essi costituiscono alcuni tra i principali attori.

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Bibliografia ALBACH P. (2004), Globalisation and the university: Myths and realities in an inequal world, Tertiary Management 1, pp. 1-20. APPADURAI A., Modernità in polvere, Meltemi Editore, 2001 BECK U. (1998), Politics of risk society, in FRANKLIN J. (Ed.), The politics of risk society, Polity Press, Cambridge, pp. 1-9. BECK U. (2006), Living in the world risk society, Economy and Society 35(3), pp. 329-345. BECK U., BECK-GERNSHEIM E. (2001), Individualization, Sage, London. CASTELLS M. (2000), The rise of the network society, Vol. I della serie The information age: Economy, society and culture, Blackwell Publishers, London. GERTH H., MILLS G. (1946), From Max Weber: Essays in sociology, Oxford University Press, London. HABERMAS J. (1990), TheTheory of Communicative Action: Lifeworld and the System: The critique of functionalist reason, Vol. 2, Polity Press, Cambridge. MARGINSON S., SAWIR E. (2005), Interrogating International Flows in higher Education, Globalisation, Societies and Education 3(3), pp. 281-309. OCSE (2006), Education at a glance, Paris. PAHL R. (1998), Friendship: The glue of contemporary society?, in FRANKLIN J. (Ed.), The politics of risk society, Polity Press, Cambridge, pp. 99-120.


INIZIATIVE DELL’ASSOCIAZIONE CENTRO CULTURALE PER LA RICERCA E LA PROMOZIONE DELLA PEDAGOGIA In collaborazione con I.P.S.S.A.R. – Liceo Classico – di Praia a Mare Con il patrocinio di

Seminario nazionale –Praia a Mare, 13 dicembre 2012 -ore 15

CITTADINANZA ETICA E PROMOZIONE DELLA LEGALITÀ Aula Polifunzionale dell’I.P.S.S.A.R. – via M. Polo – Praia a Mare Partecipano: Istituto Comprensivo e Liceo Linguistico “P. Lanza” di Praia a Mare; Ist. Comprensivo, Ist. Tec. per il Turismo e Ist. Prof. per i Serv. Socio-Sanitari di Tortora. PROGRAMMA Ore 15.00 Saluti Patrizia D’Amico Dirigente scolastica I.P.S.S.A.R. – Liceo classico Praia a Mare Antonella PalladinoVice-Presidente Sez. di Praia della A.S.Pe.I. Ore 15,15 Angelo Serio Resp. C.A.G. per Libera e Save the Children nel progetto “Fuoriclasse”. CRC e Pedagogia dei Diritti. Ore 16.00 Sira Serenella Macchietti Università di Siena – Presidente onorario As Pe I. Etica, Cittadinanza. Educazione. Ore 16,45 Rinfresco Ore 17.00 Interventi dei Dirigenti scolastici e dei partecipanti Ore 17.45 Conclusioni dei relatori e del coordinatore Ore 18.00 Rilascio degli attestati Coordina:Giuseppe Serio Direttore del Centro nazionale per la promozione della Pedagogia

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VITA DELLE SEZIONI Si ricorda alle sezioni che, dopo il Congresso nazionale, a norma di Statuto, entro tre mesi le sezioni sono tenute a rinnovare il Direttivo e a comunicare i nomi degli eletti alla presidenza nazionale. Si comunica altresì che i nuovi indirizzi ai quali spedire il programma delle attività della sezione, i verbali del rinnovo delle cariche per il triennio 2011-2013 e tutti gli altri documenti del tesseramento, cioè la copia del versamento o del bonifico, gli elenchi dei soci completi di indirizzi, mail e qualifiche (docenti, studenti, formatori, ecc.) sono : presidente@aspei.org e profdonadio@yahoo.it (mail del nuovo segretario, prof. Arturo Carapella). Il conto corrente su cui fare il bonifico delle quote è il seguente: UBI BANCO DI BRESCIA filiale di PADERNO FRANCIACORTA cc.n. 10169 intestato a ASSOCIAZIONE PEDAGOGICA ITALIANA - IBAN IT27O0350054890000000010169 NUOVE SEZIONI È con estremo piacere che, dopo alcuni anni di impasse, a seguito di un lavoro promozionale plurimo e concordato, finalmente sembra essersi prodotta una inversione di tendenza per la nostra Associazione con l’attivazione di nuove sezioni. La prima ad essere attivata, subito dopo l’ultimo Congresso Nazionale, è stata la sezione di ARNESANO, diretta dal prof. Marco Piccino, solerte promotore di un gruppo di dirigenti e docenti salentini sensibili educatori e sperimentatori sul campo. Sono state promosse, invece, dal sempre attivo e vivace prof. Serio sia la fondazione della nuova sezione di RIVIERA DEI CEDRI, diretta dalla dott.ssa Giuseppina D’Auria, sia la riattivazione della storica sezione di PADOVA, diretta dalla prof. Donatella Lombello e da un gruppo di studiosi e ricercatori dell’università di Padova. Altra storica sezione che riprende la sua attività è quella di NAPOLI, promossa dal prof. Nicodemo e diretta dalla dott.ssa Mag. Micaela Desiderio Vigorito. A tutti i nuovi soci diamo il benvenuto nell’Associazione, sicuri che contribuiranno a vivacizzare ed arricchire il dibattito educativo sia all’interno dell’Associazione che nella realtà scolastica e territoriale. In un momento particolarmente critico del nostro paese fa piacere constatare questa rinnovata crescente attenzione e sensibilità verso i problemi educativi, che testimonia il bisogno di sempre più persone di impegnarsi e di creare rete per alimentare e rendere più efficace il lavoro sociale. Confidiamo, quindi, che questo anno che sta per iniziare sia per tutti ancor più denso di riflessioni e di azioni proficue che il nostro Bollettino non mancherà di divulgare e valorizzare.

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Dipartimento di Filosofia Sociologia Pedagogia Psicologia Applicata FISPPA PROGRAMMA SEZIONE DI PADOVA Presidente: Donatella Lombello; Segretaria: Marnie Campagnaro a.s. 2013 – 1° semestre

18 febbraio 2013, h.15,30-17,30 Sala Riunioni DIPARTIMENTO FISPPA-V. BEATO PELLEGRINO, 28, 2° piano

Incontro con Autrici di Letteratura per l’infanzia: Alessandra Jesi Soligoni, Gigliola Alvisi, Laura Walter

Coordina Donatella Lombello

13 marzo 2013- Sala Riunioni DIPARTIMENTO FISPPA-V. BEATO PELLEGRINO, 28, 2° piano

Bambole, automi e burattini : alcuni esempi nella Letteratura per l’infanzia

Donatella Lombello

Convegno Children’s Literature, technology and imagination: Research, Problems and Perspectives, 21- 23/03/2013 BOLOGNA: FIERA DEL LIBRO PER RAGAZZI : 25-28 MARZO 5 aprile - Sala Riunioni, h.15,30-17,30 DIPARTIMENTO FISPPA-V. BEATO PELLEGRINO, 28, 2° piano

Divulgare raccontando: incontro con Vichi De Marchi

Coordina Donatella Lombello

19 aprile h.15,30-17,30 – Museo dell’Educazione DIPARTIMENTO FISPPA-

Visita al Museo dell’educazione: imparare a leggere e scrivere tra Ottocento e Novecento

Patrizia Zamperlin

8 maggio Sala Riunioni, h.15,30-17,30 DIPARTIMENTO FISPPA-V. BEATO PELLEGRINO, 28, 2° piano

La Società italiana delle storiche: le metodologie, le ricerche

Liviana Gazzetta

XXVI SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO - TORINO 16 - 20 MAGGIO 2013

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RICORDANDO GIUSEPPINA GAROFALO VETRI Ricordare Giuseppina Garofalo Vetri, recentemente scomparsa, significa ricordare un’esistenza permeata di passione civile, saggiamente spesa ed equamente distribuita nei contesti degli affetti familiari, dell’impegno professionale e sociale e degli studi pedagogici, ove espresse sentimenti, azioni e consuetudini che rappresentano altrettante stelle polari, verso cui seppe indirizzare la propria vita e che ne ispirarono la condotta, senza che vi attribuisse alcuna priorità e, al contrario, dedicandovisi con assoluto equilibrio. Nata a Sommatino, piccolo borgo siciliano del Nisseno, il 14 febbraio 1931 – è certo singolare coincidenza il fatto che il suo giorno natale sia quello consacrato al Santo dell’amore, sentimento che seppe profondamente avvertire e suscitare in quanti ebbero il privilegio di conoscerla e frequentarla –, dalla madre – donna profondamente religiosa, in possesso di valori e virtù semplici e ben radicati – derivò i fondamenti della sua formazione religiosa – che costituirà negli anni della maturità, la base per conciliare fede e cultura –, l’adesione a valori autentici, l’amabilità del carattere; del padre – militare della Benemerita – acquisì il senso del dovere, l’osservanza e il rispetto dei ruoli, un profondo senso della giustizia. Da entrambi, ereditò l’amore per la famiglia, l’impegno, quotidiano e continuo, nelle azioni intraprese, la dedizione totale alle cause riconosciute come eticamente giuste. Terza di sei figli, seguì con la famiglia le peregrinazioni del padre, divenendovi fin da piccola avvezza. Infatti, anche in seguito le peregrinazioni caratterizzeranno ampiamente la sua esperienza di vita. Ebbe, altresì, nel fratello Diego, sindacalista – l’unico familiare che, insieme a lei, si stabilirà permanentemente a Catania, diversamente dagli altri fratelli e sorelle, che le circostanze della vita spingeranno in luoghi lontani e remoti del nostro Paese –, scomparso da una decina d’anni, un fulgido esempio d’impegno sociale e civico. Di lui, infatti, avvertì costantemente un’influenza, che la spronerà sulla strada dell’impegno sociale. Trovata una certa stabilità di vita nel capoluogo etneo, ove i familiari si erano finalmente allocati, consegue, negli anni difficili del dopoguerra, l’abilitazione magistrale all’Istituto Statale Lombardo Radice – retto da un maestro di vita, vocato alla formazione e particolarmente attento alla crescita intellettuale dei giovani di talento, quale era il Prof. Ernesto Di Franco –, mostrandosi subito particolarmente versata per l’insegnamento e interessata ai metodi indirizzati a soggetti speciali o portatori di particolari problematiche. In quest’ottica consegue, sotto la guida dell’ispettrice Elena Rubagotti, la specializzazione all’insegnamento secondo il metodo montessoriano e dalla stessa viene chiamata a far parte del collegio dei docenti della Scuola Magistrale Ortofrenica di Catania. Divenuta insegnante elementare di ruolo, inizia in Calabria, a Cinquefrondi (1958), la carriera, che proseguirà per oltre un quindicennio al Circolo Didattico Filippo Corridoni di Catania. Sposa Francesco Paolo, più anziano di quattordici anni – anch’egli dotato di una solida fede religiosa, che non verrà mai meno –, con cui condivide l’interesse per l’educazione speciale e per l’assistenza agli infanti con particolari necessità, per gli studi di pedagogia e psicologia – in particolare, l’uso di strumenti di rilevazione scientifica per l’osservazione e la conoscenza di minori in difficoltà – e la militanza nell’associazionismo degli insegnanti cattolici, e da cui avrà due figli: Mario, medico, e Daniela, dirigente scolastico. Insieme al marito consegue il Diploma in Vigilanza Scolastica, presso l’Istituto Universitario di Magistero di Catania, e con lui 14

realizza un proficuo sodalizio intellettuale, da cui matureranno importanti scelte che, in seguito, avrà modo di compiere. La prematura e improvvisa scomparsa del coniuge (1971) la costringerà ad addossarsi l’intero carico della famiglia e, al contempo, le farà abbracciare interessi che permarranno in lei per tutta la vita. Comincia, così, la sua collaborazione con l’Istituto psico-pedagogico Villa Angela, di San Giovanni La Punta, fondato da don Caprini – già ideatore del Clan dei ragazzi, iniziativa che, con sede presso l’antica cattedrale etnea di Sant’Agata La Vetere, aveva spronato, con momenti di animazione ludica, adolescenti di ambo i sessi, desiderosi di incontrarsi e di sperimentare forme efficaci di comunicazione interpersonale –, che accoglie e cura disabili non scolarizzabili, attività che, senza interruzioni, durerà quarantun’anni e la occuperà intensamente, sotto il profilo emotivo e professionale. Riprende, quindi, gli studi universitari, laureandosi in Pedagogia. Consegue master e specializzazioni in psicologia dell’età evolutiva e ottiene l’iscrizione all’albo degli psicologi. Vincitrice di un concorso direttivo, viene destinata per un anno al Circolo Didattico Vittorino da Feltre (1979) e, poi, per diciotto anni al Circolo Didattico Armando Diaz – il primo ubicato in un quartiere popolare e il secondo in una zona centrale di Catania. In quest’ultima sede ha modo di coordinare innumerevoli iniziative di formazione e aggiornamento degli insegnanti e di promuovere significative attività di compartecipazione dei genitori alla gestione della scuola. Non verrà mai meno il suo impegno militante nelle file dell’AIMC, della cui Sezione catanese sarà a lungo vicepresidente. Per un decennio farà parte della Giunta dell’IRRSAE Sicilia (1979-1989) – che conterà un’agguerrita pattuglia di esponenti residenti nel capoluogo etneo – il Presidente, Prof. Francesco Capodanno, il Prof. Santo Gagliano e lo Psichiatra, Prof. Vincenzo Rapisarda. Riprenderanno, così, le sue peregrinazioni – che ora avranno cadenza settimanale e quale meta Palermo. In tale veste sarà particolarmente attiva nella lotta alla dispersione scolastica, nell’impegno per la formazione iniziale degli insegnanti e per la formazione dei formatori e, soprattutto, per la formazione degli insegnanti di sostegno e l’aggiornamento degli operatori educativi in materia di disabilità, nonchè si prodigherà per la diffusione e la piena attuazione dei Programmi scolastici del’79 e dell’85 e, precorrendo lo spirito degli Orientamenti del’91, collaborerà ad una ricerca nazionale sulla condizione delle Scuole dell’Infanzia, promossa da Mario Mencarelli. Sarà questa per lei la stagione più fertile, sia per le iniziative intraprese, sia per le riflessioni sull’azione educativa, le une e le altre mai disgiunte. Tra le iniziative più significative che seppe promuovere, a testimonianza della sensibilità per le problematiche dell’infanzia e della sua attenzione per le esigenze sociali, a cui le istituzioni educative sono chiamate a dare risposte precise, va ricordata la “Scuola in Ospedale”, da lei avviata nel capoluogo etneo, ove è attualmente presente in tre ospedali cittadini, per la quale organizzò diversi convegni e curò la pubblicazione di importanti atti. Non trascurò, altresì, mai l’interesse e l’impegno verso l’integrazione scolastica degli alunni disabili. Infatti, negli anni ’80 è stata docente nei Corsi di Specializzazione per insegnanti di sostegno della Scuola Magistrale Ortofrenica, diretta dal Prof. Majorana, e negli anni ’90 è stata docente nella Scuola di Specializzazione per insegnanti di sostegno del Prov-


veditorato agli Studi di Catania, diretta dal rettore del Convitto Nazionale Cutelli, Prof. Calogero Sinardi. Docente, inoltre, insieme alla figlia Daniela, nella sede etnea della SISSIS, ha curato per quasi due decenni la formazione degli studenti tirocinanti della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Catania. Particolare, ancora, il suo impegno per la diffusione della scuola dell’infanzia e la fruizione della stessa da parte delle famiglie d’ogni ceto sociale. A tal fine si fece carico di promuovere l’istituzione di sezioni comunali di scuola dell’infanzia, in collegamento con il Circolo Didattico Diaz. Personalità straordinariamente eclettica, intellettualmente assai vivace, dai molteplici interessi, coltivò la passione per il teatro, l’arte, i viaggi. Gelosa custode della sua privacy, non si sottrasse, altresì, mai all’impegno nel pubblico e nel sociale, mettendo generosamente a disposizione di tutti la propria competenza professionale, sostenuta dalla capacità di attrarre l’uditorio, con l’efficacia delle argomentazioni, la disponibilità al dialogo e la fluidità del conversare. Generosissima la sua militanza nell’As.Pe.I, che durerà oltre un trentennio – dal 1981, anno della fondazione della Sezione Catanese, fino all’ultimo. Membro, fin dalle origini, del Consiglio Direttivo della stessa – ove affiancò, tra gli altri, i Provveditori Ottaviano Nicita e Vito Cardella, l’ispettore Luigi Filippi, i Direttori Didattici Francesco D’Agata e Gaetano Nicolosi e i Professori Lucia Bruno e Leonardo Patanè –, che nel 1983, nel momento della fusione delle due Sezioni originarie, contava più di 1300 soci e nel 1987 ebbe ad organizzare un Congresso Nazionale, svoltosi a Catania e ad Acireale, tra i più partecipati della storia dell’As.Pe.I. Vicepresidente della stessa Sezione dal 1988 al 2006. Dal 1991 fece parte del Consiglio Nazionale dell’As.Pe.I., quale rappresentante dell’ordine materno ed elementare e dal 1996 al 2002, fu anche componente della Giunta dell’Associazione. Dal 2002 al 2008 fece parte del Comitato di Coordinamento Nazionale – che secondo quanto stabilito dal Congresso di Maratea – accorpava in un unico organo di sette persone le funzioni sino ad allora esercitate dal Consiglio Direttivo (composto da ventisette membri

in rappresentanza di ogni ordine e grado scolastico, dell’extra scuola e dell’università) e dalla Giunta esecutiva, eletta in seno allo stesso. Dal 2006 al 2011 fu Presidente, assai attiva, della Sezione catanese, immettendo sempre in ogni ruolo ricoperto una costante e sincera passione, grande energia, e un impegno che, fino all’ultimo, non verranno mai meno. Di lei i soci della Sezione ricordano le tante affettuose sollecitazioni offerte – indirizzate, in particolare, all’aggiornamento degli insegnanti e degli operatori educativi – le numerose iniziative promosse per assicurare all’Associazione l’accreditamento presso il MIUR, quale Agenzia per la formazione e l’aggiornamento, l’impegno per garantire alla Sezione stessa la fruizione di una sede stabile, quale luogo d’incontro e di confronto tra i soci sulle problematiche educative. Con tali intenti volle trasferire la sede sezionale dal luogo primitivo, l’Istituto di Pedagogia dell’Università, al Circolo Didattico Diaz, prima, e alla Scuola Media Dante Alighieri, poi, ove risiede attualmente. Lodevoli la meticolosità e l’abnegazione con le quali – dopo la scomparsa di Luigi Filippi, che a lungo ricoprì l’incarico di segretario tesoriere della Sezione – seppe amministrare, con assoluta parsimonia, i pochi fondi a disposizione e ricostituire, in parte, l’archivio sezionale – andato in buona parte disperso dopo la scomparsa di Leonardo Patanè –, che lo custodiva presso l’Istituto di Pedagogia della Facoltà di Lettere. Ancora si ricordano i tratti signorili della sua personalità e i comportamenti delicati, affettuosi e garbati, evincibili anche da piccoli particolari e da circostanze solo apparentemente poco significative e, dote non da poco, una naturale amabilità, legata alla sua vocazione per l’ospitalità. Affinché la testimonianza dell’attività e dell’impegno di Giuseppina Garofalo Vetri sia presente nelle nuove generazioni e continui anche in coloro che con lei si sono formati all’insegnamento e alle professioni educative, la Sezione di Catania curerà la realizzazione di una bibliografia delle sue opere. Francesca Pulvirenti e Simon Villani

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QUESTIONI STRUTTURALI E PSICOSOCIALI NEGLI ISTITUTI COMPRENSIVI Seminario Provinciale As.Pe.I. Reggio Calabria 26 e 27 ottobre 2012 Nei giorni 26 e 27 ottobre c.a., nella Sala Conferenze di Palazzo Foti, sede dell’Amministrazione provinciale di Reggio Calabria, ha avuto luogo il Seminario di formazione e aggiornamento in servizio per insegnanti degli Istituti Comprensivi della provincia reggina sulla tematica, quanto mai attuale e necessaria di funzionali approfondimenti, “Questioni strutturali e psicosociali degli Istituti Comprensivi: problematiche educative nell’età della preadolescenza”. Il Seminario, progettato dalla sezione As.Pe.I. di Reggio Calabria, ha goduto del convinto sostegno dell’Assessore alla Cultura e Legalità della Provincia di Reggio Calabria, dr. Eduardo Lamberti Castronovo. Il quale, nel porgere i saluti ai docenti intervenuti, ha testimoniato il suo interesse personale per l’area della cultura integrata, specialmente, con il territorio e con le istituzioni. Sottolineando come l’attività svolta dagli insegnanti sia un “valore sociale”, ha espresso la sua ferma convinzione che “insegnare è un’arte”, ma anche che “il docente ha bisogno di formazione continua e non può sottrarvisi”. Il lavori sono stati introdotti dal prof. Angelo Vecchio Ruggeri, presidente della sezione As.Pe.I. di Reggio Calabria, che ha illustrato le ragioni dell’attività di formazione, richiamando alcuni concetti su democrazia e scuola, espressi nel lontano 1952 da Piero Calamandrei secondo cui “…la creazione della coscienza dei cittadini si forma a scuola” e pertanto questa dovrebbe essere considerata “più importante del Parlamento e della stessa Corte Costituzionale”. Inoltre, ha voluto precisare che la metodologia seminariale con cui è stato strutturato il Seminario consentirà ai docenti partecipanti, avvalendosi delle relazioni degli esperti, di approfondire ed elaborare ipotesi di lavoro, in un confronto costruttivo di gruppo. Le relazioni formative hanno sviluppato preziose argomentazioni sui due temi centrali del Seminario: il primo su “Le scuole secondarie di primo grado tra identità e prospettive future: costruzione del curricolo verticale e le nuove Indicazioni Nazionali”, affidato all’ispettore del MIUR, nonché riconosciuto esperto delle problematiche strutturali degli Istituti Comprensivi, dott. Giancarlo Cerini; il secondo: “I preadolescenti nella dinamica affettiva relazionale”, affidato alla dott.ssa Magda Di Renzo, responsabile del Servizio di Psicoterapia presso l’Istituto di Ortofonologia di Roma. È seguita, quindi, da parte del dr. Guido De Caro, direttore del centro di psicoterapia di Reggio Calabria, una puntuale disamina di un questionario proposto alle scuole sul tema dell’identità docente nel contesto attuale scuola-società. Le relazioni del dott. Cerini e della dott.ssa Di Renzo, ricche di spunti teorici, di stimoli e di esemplificazioni concrete, hanno avuto il loro sbocco nei lavori di gruppo che si sono articolati e sviluppati su tre distinti settori: “Gli aspetti psicorelazionali nell’età dell’adolescenza”; “La dimensione didattica negli Istituti Comprensivi”; “La progettualità integrata: raccordo con il territorio”. Dopo che i coordinatori hanno illustrato le relazioni dei lavori di gruppo, le conclusioni sono state tratte dalla prof.ssa Angela Ambrosoli, già Presidente As.Pe.I. di Reggio Calabria che, nel richiamare le finalità statutarie dell’Associazione, ha evidenziato la meritoria iniziativa della sezione ed ha auspicato un prosieguo di attività sulla medesima modalità progettuale.

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SEGNALAZIONI C. PALAZZINI, Oltre l’emergenza, educare ancora. Il significato autentico, i problemi attuali e le risorse dell’educazione, Cittadella editrice, Assisi, 2011. Educare, educazione, persona: termini al centro del dibattito pedagogico e più in generale, culturale, dell’oggi. In un’epoca in cui si percepisce, in tutta la sua profondità, un male di vivere che attanaglia le coscienze, conducendole verso l’ambiguità del senso, verso una non cercata solitudine esistenziale: la nostra civiltà corre sui binari del tempo senza “speranza”, ma sente l’esigenza di avere una possibilità di “redenzione”. Una opportunità che può giungere dall’educazione, che pur soggiogata dalle problematicità presenti, tenta di rinascere a nuova vita, per accompagnare l’uomo a ritrovare se stesso. Ed è su questi temi che l’autrice ci guida, in un itinerario di riflessione aperto a chiunque “vuole” essere educatore (specialisti e non). Nella prima parte, il breve approfondimento sul concetto di educare apre ad una constatazione importante: l’educazione è connaturale all’essere umano, quindi non possiamo fare a meno di educare, di aiutare l’uomo a diventare più uomo, a proiettarsi in un futuro che oltrepassa la concretezza del vivere terreno, in un quadro di ricerca della “verità” e del “bene”. Ma il mondo è cambiato, avverte l’autrice nella seconda parte. È d’obbligo tenerne conto riflettendo sulle complessità (in primis la deresponsabilizzazione adulta) che tormentano anche l’ambito educativo e da cui sembra poterne uscire soprattutto attraverso la costruzione di una relazione educativa (innanzitutto genitoriale), basata sulla dimensione dell’essere con l’altro e per l’altro, espressione di gratuità. Una gratuità che è l’anticamera dell’amore effusivo, autentico, donante, e da cui si pongono le basi per la costruzione della civiltà dell’amore, intesa proprio come percorso di “educazione all’amore” (come evidenzia l’autrice nella terza parte, dove si individuano le risorse dell’educazione). Il testo insomma è un invito, supportato in particolar modo da una “speranza affidabile”, a cogliere l’essenzialità dell’educativo, e quindi l’importanza di una rinnovata attenzione all’educazione, scommettendo ed investendo sulle giovani generazioni.

Lo studio, a partire dalle ontologie pedagogiche che contraddistinguono la formazione umana, intende porre in continuità i percorsi educativi della persona in una linea di ricerca protesa a restituire senso a modelli, spesso, empiricamente molto sofisticati ma di scarsa penetrazione educativa. In particolare, il primo e il secondo capitolo del volume analizzano le caratterizzazioni epistemiche della pedagogia dell’infanzia, non disgiungendole da quei bisogni sociali – oggi sempre più avvertiti – che l’hanno originata. Il terzo capitolo, invece, scandaglia l’aspetto metodologico, incrociandolo con il tema delle professioni educative. Categorie centrali della formazione umana – la cura, l’intenzionalità, il gioco, l’autoriflessività sono declinate nella loro componente professionalizzante, quindi di piena validazione dei saperi che qualificano l’azione educativa dell’educatore e dell’insegnante rendendola effettivamente pedagogica, quindi scientificamente validata e congruente con le disposizioni e gli interessi del bambino. L’ultimo capitolo, infine, incrocia il tema dell’innovazione istituzionale con quelli della supervisione, dell’autoformazione e della valutazione evidenziando come asili nido e scuole dell’infanzia, intrinsecamente, siano istituzioni a rischio, quindi sempre esposte alle derive della dequalificazione professionale, del deragliamento assistenziale e dell’assenza di senso e d’intenzionalità. Proprio per questo, quindi, assumono particolare valore i temi dell’innovazione istituzionale, della conduzione del gruppo docenti o del collettivo, delle pratiche autoriflessive poiché una scuola e un nido che ricreano costantemente la loro identità sono la migliore garanzia per i bambini di crescere in un ambiente sereno a loro dimensione. Il volume è indirizzato tanto a quanti richiedano un testo propedeutico e introduttivo alla pedagogia dell’infanzia, siano essi aspiranti educatori dei nidi, educatori professionali o insegnanti di scuola dell’infanzia o primaria; quanto a coloro che ricerchino una trattazione specifica degli aspetti teorici ed epistemologici connessi all’educazione del bambino nella prima e nella seconda infanzia. Sira Serenella Macchietti

Patrizia Moretti D. CIUFEGNI, La pecorina Svampita e i misteri della vita, Tipolitografia Toscanagrafica, Foiano della Chiana (AR), 2013. A. BOBBIO, Pedagogia dell’infanzia e cultura dell’educazione, Carocci, Roma, 2011. Il volume di Andrea Bobbio, Pedagogia dell’infanzia e cultura dell’educazione (Carocci 2011) affronta in una prospettiva epistemologica e fondativa i principali snodi teorici che innervano la pedagogia dell’infanzia oggi, tanto nelle sue componenti inter-trans disciplinari – quindi di connessione con le altre scienze dell’educazione – quanto nelle implicazioni di ordine etico e deontologico, connesse all’esercizio della funzione educativa. Lo studio, dal respiro prospettico e multifocale, mira a una sistematizzazione di alcune categorie cardine del discorso pedagogico (la persona, il gioco, lo sviluppo, la crescita, la cura, l’intenzionalità …) ricollocandole in un contesto culturale, il nostro, contrassegnato dall’intersezione, dall’ibridazione e dal costante superamento dei tradizionali paradigmi di riferimento cui ha attinto la pedagogia del Novecento: attivismo, costruttivismo, etologia, psicoanalisi.

Gli otto brevi racconti, raccolti in questo volumetto, sono una testimonianza dell’amore dell’Autrice (la nonna Dina) per i suoi nipotini Gaia e Mattia, del suo sentimento dell’infanzia e del suo amore per la vita. La protagonista di questi racconti è la pecorina Svampita, la quale è curiosa e generosa ed «affascinata dalla vita e da tutto ciò che la circonda…». È infatti attratta da tutto ciò che vede, dai rumori che sente e dalle voci che ascolta, dalla bellezza della natura, dagli animali, dai fiori, dalle piante ed è capace di meraviglia e di stupore. Ascoltando o leggendo il racconto di ciò che Svampita pensa, dice e fa, i bambini la seguono nel suo cammino e nei suoi incontri. Con lei conoscono prati ed aiuole, condividono l’ammirazione della bellezza dei paesaggi, degli stagni e degli animali, si avvicinano ai misteri della vita e godono della gioia che può donare. 17


Come Svampita possono aprirsi agli altri… familiarizzare con gli animali, gioire… con “tutti gli abitanti del villaggio” ed “abbandonarsi alla gioia della danza…”. Le illustrazioni del volumetto, che sono “fresche”, vivaci e suggestive, si pongono in un rapporto di coerenza con il testo scritto, ne favoriscono la comprensione, lo rendono più simpatico e stimolano i bambini a confrontare le parole con le immagini, ad esprimersi, a fare considerazioni e confronti e favoriscono la comprensione del messaggio educativo che l’Autrice implicitamente e serenamente propone. La semplicità della narrazione, l’amore per la “natura…”, per il mondo degli animali e per la vita che caratterizzano i racconti, le rapidissime considerazioni sui comportamenti di Svampita, che “apprende” a vivere attraverso le sue esperienze, consentono di apprezzare le potenzialità educative di questo dono che l’Autrice ha fatto ai suoi nipotini ed anche ai bambini che avranno l’opportunità di leggere e di conoscere… e di gustare questo “agile” e vivace volumetto. Sira Serenella Macchietti AA.VV., Volti e cuori della Divina Provvidenza - Don Orione e alcuni benefattori tra Milano e Genova, Gruppo Studi Orionini, Brescia, 2010. Questo volume inizia con una lettera scritta da don Orione nel dicembre del 1934 ai suoi cari Benefattori e Amici ai quali il Santo si rivolge con queste parole: «Vengo a darVi le Buone Feste: gloria a Dio nell’alto de’ cieli, e in terra pace agli uomini di buona volontà: grazia, dunque, e pace a noi tutti! Buon Natale! Buona Fine e buon Capo d’Anno!». «… Vi mando tutti i fiori del mio cuore…» che «sono fiori di preghiera e di gratitudine che non appassiranno mai…». «Io Vi voglio molto bene; e il mio grande amore per Voi ha la sua sorgente viva dalla Fede e dal santo amore di Dio e del prossimo, particolarmente del prossimo più bisognoso e abbandonato, al quale Voi m’avete dato modo di fare del bene. Il mio amore è semplice, ma ardentissimo; è puro e fin luminoso, poiché vuol essere e sento che è, per divina grazia, carità del Signore». Nelle Note introduttive Gabriele Archetti ricorda una conferenza tenuta da don Orione all’Università Cattolica intitolata La c’è la Provvidenza, in cui mise in rilievo «l’amore infinito e provvido di Dio per tutte le creature» affermando che «tutto riceviamo da Dio, tutti abbiamo ricevuto da Dio e tutti dobbiamo dare a chi ha meno di noi, a chi non ha niente». Questa «conferenza fu un inno alla Divina Provvidenza e il canto della carità». Infatti secondo don Orione esiste «un disegno positivo» che guida verso il Bene. A questo proposito il Santo nel “Diario della casa” scrisse «le opere che erroneamente si chiamano di Don Orione… non sono mie: sono opera della Divina Provvidenza. Di mio non ci sono che gli errori. Le ispirazioni, gli aiuti, quel che è bello e buono è opera di Dio». I contributi presentati nel volume mostrano i vari volti della Provvidenza che ricordano «alcuni “grandi” benefattori di don Orione e delle sue opere» e portano «alla luce gli strumenti con cui la Divina Provvidenza ha fatto sentire la sua mano», consentendo di conoscere la storia attraverso «la prospettiva inedita della carità sociale, del volontariato attivo e dei movimenti promossi dal cattolicesimo italiano». Tra i benefattori di don Orione Paolo Clerici ricorda la 18

famiglia milanese dei Bassetti, attiva sostenitrice del Piccolo Cottolengo, le vicende economiche e familiari dei protagonisti la loro volontà di costruire «l’umile casa di carità» effettivamente inaugurata nel 1903 dal Cardinal Schuster e destinata ad essere «come il chicco evangelico di senapa: piccolo ma forte». Secondo lo spirito del fondatore «La porta del Piccolo Cottolengo è sempre aperta; a chi entra non domanda se abbia un nome, una religione, ma soltanto se abbia un dolore, perché la nostra carità non serra le porte». Nell’Appendice di questo contributo lo scultore ebreo Arrigo Minerbi che, quando durante la seconda guerra mondiale nel “suo lungo esilio romano” fu vittima delle persecuzioni antiariane, trovò rifugio presso l’“Opera don Orione”, presenta con commozione il cammino percorso per conoscere don Orione per poterlo portare “entro di sé” e quindi per poter realizzare la sua statua. A questa testimonianza fanno seguito la presentazione scritta da Franco Gualdoni del senatore Stefano Cavazzoni, amico e benefattore del Santo, e il testo di un’intervista fatta a Giovanna Cavazzoni. L’ampio e documentatissimo saggio di Michele Busi intitolato Il senatore Antonio Boggiano Pico presenta alcuni amici di don Orione impegnati in politica e, pur indirettamente, la storia dell’azione socio-politico dei cattolici e le loro iniziative, rivolgendo una specifica attenzione alle opere oroniane realizzate a Genova e all’azione svolta da Angela Solari Queirolo, per sostenere e far crescere il Piccolo Cottolengo genovese (cfr. il contributo di G. Biemmi). Pertanto il volume offre l’opportunità di conoscere da una prospettiva particolare la storia della prima metà del secolo scorso del nostro Paese e il contributo offerto da don Orione con la sua testimonianza di fede e di amore per i poveri… per far crescere la cultura dell’umiltà, della carità e del dono… Elena Valli AA.VV., Barbara Micarelli, attualità del carisma, Grafiche VD, Città di Castello, 2011. Gli scritti che compongono questo volume sono frutto del paziente ed abile lavoro di ricerca di studiosi che si sono lasciati progressivamente interessare ed appassionare dall’intuizione e dalla vocazione educativa di Madre Barbara Micarelli. Si tratta di contributi legati alle iniziative culturali realizzate tra il 19 aprile 2008 ed il 19 aprile 2010 (le quali sono state interrotte a causa della drammatica esperienza del sisma del 6 aprile 2009 e poi riprese) e che si pongono “a cavallo” del primo centenario della morte di Barbara Micarelli e dell’inizio del secondo. Tutti i testi degli autori sono scaturiti dal comune intento di ricostruire in maniera fedele ed esaustiva le strategie poste in essere dalla Madre con lo scopo precipuo di testimoniare l’Amore di Cristo ed i valori della fede in uno specifico contesto al cui interno in pochi avevano osato addentrarsi. I contenuti degli interventi della Prima Parte, intitolata Centotrent’anni di attività educativa nella città di L’Aquila (1878-2008), sono preceduti dal saluto di Sr Maria Felicita Decio e si propongono di fare conoscere Barbara Micarelli (Gianfranco Giustizieri), i tempi in cui visse ed operò (Elpidio Valeri), i caratteri distintivi e comunque più significativi della sua carità educativa e del suo amore pedagogico (Sira Serenella Macchietti) e il suo “coraggio di educare” (Arrigo Novelli). Nella Seconda Parte (Primo Centenario del transito di


Suor Maria Giuseppa di Gesù Bambino) vengono presentati il rapporto tra Barbara Micarelli e la Chiesa aquilana, la genesi della fondazione del Suo Istituto, la “potente ispirazione incisa nel suo cuore dallo Spirito Santo” (Sr Maria Felicita Decio), il suo ideale di diakonía (Padre Gianfranco Berbenni) ed alcune significative riflessioni sulla sua “volontà di bene” (cfr. gli interventi di W. Capezzali, A. Novelli), sulla sua pedagogia della carità… (E. Fainella) e le Conclusioni di A. Cesareo. Ad impreziosire il volume contribuisce anche l’Appendice, composta dalla cronaca del riconoscimento, da parte del Comune di L’Aquila, dell’impegno profuso da Barbara Micarelli per l’affermazione della figura femminile nella società e dall’Attribuzione, da parte dell’Istituto di Abruzzesistica e di Dialettologia, del premio Angelo Narducci. In Appendice è collocato inoltre il saggio Barbara Micarelli: tutta una vita per la carità e l’educazione di Maria Pia Cavalieri, il quale ha il merito di sottolineare il valore, il significato, la sensibilità educativa e l’efficacia del contributo offerto dalla Fondatrice aquilana all’educazione della donna. Complessivamente tutti i saggi hanno evidenziato il coraggio della scelta operata da Barbara, a proposito del quale giova ricordare che, come scrisse, una decina d’anni fa, Matilde Parente: Il coraggio non è una qualità innata, una dotazione genetica riservata a pochi, un privilegio; è una conquista dinamica, paziente, una dimensione educabile della personalità, un potenziale da far emergere e valorizzare a livello umano, spirituale, morale. Avere coraggio è la forza stessa di vivere, di dare un senso alla propria vita. Per quanto riguarda l’impegno educativo il pensiero dei vari autori può essere rapidamente riassunto con le parole di Elda Fainella la quale sostiene che quella di Barbara «è una pedagogia che è stata calata nelle Costituzioni dell’ordine e si fonda sulla centralità del rapporto e della collaborazione tra religiose e laici, tema portante del Carisma, riproposto in occasione del Capitolo generale del 2006, con particolare riferimento alle istanze poste dalla forte richiesta sociale di educazione. E sul rapporto religiose-laici, sulla necessità di dare ampio spazio all’accoglienza dell’altro che si fonda il suo progetto educativo, ispirato alla “casa di Nazareth”, casa di pace, di preghiera, di semplicità, di fede, di carità, di unione con Dio, di vera povertà» (Assisi, 27 dicembre 2009). Infine per concludere si può affermare che Barbara Micarelli, è una «donna che ha saputo guardare lontano con gli occhi dell’umano e del divino», che «ha una parola da dire, oggi; può essere, ancora oggi, un punto di riferimento per la sua fedeltà a Dio e alla persona; per la sua lungimiranza e intraprendenza, per la sua laboriosità e fermezza, per la sua generosità nel prendersi cura dei bisognosi, per la sua volontà di amare e di donare in umiltà, di operare e di confidare nella collaborazione per il rinnovamento della famiglia e della società» (Sr Maria Felicita Decio, L’Aquila, 19 aprile 2008). Alessandro Cesareo R. SANI, D. SIMEONE, a cura di, Don Lorenzo Milani e la Scuola della Parola. Analisi storica e prospettive pedagogiche, Eum-Edizioni Università di Macerata, Macerata, 2011. Il volume, a cura di Roberto Sani e Domenico Simeone, raccoglie gli atti del convegno internazionale che si è tenuto a Macerata (promosso dalla locale Facoltà di Scienze della Formazione) il 6 e 7 novembre 2007 sul tema Don Lorenzo Milani

e la Scuola della Parola. Analisi storica e prospettive pedagogiche. Gli interventi che compongono il volume intendono offrire un contributo di riflessione interdisciplinare sulla fruttuosa esperienza pastorale ed educativa di Don Lorenzo Milani. Per evitare di alimentare ulteriori controversie sulla figura del sacerdote fiorentino, intorno alla quale sia durante il suo ministero che posteriormente alla sua morte si sono registrate prese di posizione contrastanti, Roberto Sani e Domenico Simeone nella Introduzione al testo propongono di contestualizzare storicamente il pensiero e le opere del priore di Barbina, così da comprendere fino in fondo la portata del suo messaggio educativo. In particolare, Sani analizza in maniera dettagliata il periodo storico nel quale si colloca l’opera di Don Milani (ovvero l’Italia del secondo dopoguerra, l’Italia da ricostruire sotto il profilo non solo materiale ma anche umano, sociale, educativo) e il ruolo della Chiesa in quegli anni. A motivo di una personalità spiccata, fuori dagli schemi e sicuramente originalissima (che si ripercuoteva nel suo agire), Don Milani appare una figura non inquadrabile in una delle tante correnti politiche ed ecclesiali del tempo. Sebbene agli inizi del suo ministero sacerdotale egli sia stato propenso ad appoggiare l’“ordine nuovo” proposto da Papa Pio XII, ben presto si rende conto, assieme ad altri uomini di Chiesa, della inadeguatezza della cultura e dei modelli cattolici del momento per affrontare le problematiche della società di massa dell’Italia postbellica. Domenico Simeone, nel suo contributo, ripercorre le tappe della vita di Don Milani, a partire da quando, nel 1947, questi diventa cappellano nella parrocchia di San Donato (a Calenzano) e proprio l’impatto con un mondo contraddistinto, sia sotto il profilo umano che sotto il profilo religioso, da grandi miserie e difficoltà sarà all’origine di Esperienze Pastorali (1958) che Don Milani inizierà a scrivere nel 1954. Fin da subito il sacerdote fiorentino decide di schierarsi dalla parte degli “ultimi”, dei poveri (intendendo con questo termine non solo i poveri in senso materiale, ma anche i poveri di cultura). L’idea di fondo che lo anima è che la mancanza di istruzione costituisce la causa primaria della impossibilità di un esercizio consapevole e autentico della cittadinanza. Di conseguenza, anche la fede viene spesso praticata solo per conformismo, rendendo vano qualsiasi sforzo di evangelizzazione e facendo apparire la società contemporanea, di fatto, scristianizzata. Urge quindi unire la promozione culturale alla fede, in modo da stimolare la capacità critica di ciascuno e incentivare così, in ciascuno, la capacità di prendere posizione di fronte ai fatti. Dunque, al posto di semplici attività di animazione, in Esperienze pastorali Don Milani suggerisce di promuovere una esplicita istruzione civile, e quindi religiosa, avente il compito di ricostruire ex novo le coscienze individuali e in grado di accogliere consapevolmente il messaggio del Vangelo. Il testo analizza, inoltre, il “segreto pedagogico” di Don Milani, che è da ricercare nello spirito della Scuola di Barbina: una scuola aconfessionale che assurge a spazio di confronto e di ricerca della verità, una scuola che come obiettivo ha quello di “dare la parola ai poveri” (p. 192). E, perciò – come viene spesso richiamato nel volume – «una Scuola della Parola, che vede nel linguaggio lo strumento essenziale per l’emancipazione culturale e quindi civile» (p. 280) e che aiuta le persone marginali a sconfiggere la loro inadeguatezza. Simeone, come altri Autori, insiste dunque sulla premura che Don Milani manifesta nei confronti degli “ultimi”, tanto da definire l’opera del sacerdote fiorentino come un “itinerario educativo al servizio degli ultimi” (p. 197); sottolinea, inoltre, che è lo stesso Don Milani, in prima persona, che “si fa povero 19


tra i poveri” abbracciando totalmente “le condizioni di vita del suo popolo” (p. 200). In questo contesto, la scuola si connota come indispensabile e «offre all’educatore la possibilità di condivisione della condizione del povero che mira ad instaurare processi di cambiamento e di emancipazione». Simeone rileva poi che, per Don Milani, il fine di «ogni intervento educativo è far sì che l’altro cresca, si apra e diventi più grande del proprio maestro» (p. 202). Ma la scuola italiana di quegli anni, a suo avviso, non persegue affatto questo fine. Con Lettera a una professoressa Don Milani e i suoi ragazzi, prendendo come pretesto la bocciatura di uno di loro agli esami sostenuti presso l’Istituto Magistrale di Firenze, accusano la scuola italiana di essere selettiva e ingiusta (pretende di “fare parti uguali tra diseguali”), anziché svolgere il suo compito primario che è quello di “promuovere un bene particolare che è l’amore al sapere” (p. 210) rinunciando ad essere, soprattutto, un bene per tutti, un diritto inalienabile della persona. La scuola – si legge ancora nel testo che stiamo recensendo – deve prestare attenzione alle differenze individuali ed educare i ragazzi “all’attenzione all’altro e alla responsabilità comune”. I contributi raccolti nel volume, oltre ad una approfondita rilettura dell’attività educativa del Priore di Barbiana, presentano una puntuale analisi del contesto storico nel quale essa si colloca consegnandoci l’immagine di «un ecclesiastico – per dirla con Sani – completamente assorbito dai suoi impegni religiosi e pastorali» (p. 21), di un “pastore d’anime” (p. 49), ma anche di un educatore che ha educato attraverso la “parola” e che ha contribuito non poco a dare la parola agli “ultimi” stimolandoli ad emanciparsi culturalmente e quindi civilmente. Il volume si conclude con una ricca bibliografia ragionata relativa agli scritti di e su Don Dilani, curata da Domenico Simeone.

Senza avere la velleità di trovare risposte assolute, l’Autrice analizza le caratteristiche della ludicità in questa società postmoderna che ha modificato, se non addirittura rivoluzionato, molte delle forme di vita e quindi anche di gioco e di loisir. Pone poi il focus del suo sguardo pedagogico sul nuovo fenomeno della ludopatia, che sta invadendo spazi e tempi di vita fino a questo momento impensati e che ancora sono stati studiati solo dalla psichiatria (di diritto, nei suoi aspetti psicopatologici e compulsivi) e dalla sociologia. Rivisita sotto il profilo psicopedagogico il gioco ed il giocare, sia sano che patologico, evidenziando come stiano rischiando di diventare “intrattenimenti” che interessano tutte le età della vita e che di educativo non hanno nulla, essendo esposti alla sottile manipolazione di forze interessate a sfruttarli, attraverso la martellante e pervicace massmedialità digitale e l’ancor più subdolamente inoculata pubblicità di Stato. L’Autrice collega poi la tematica della ludicità alla tecnologia e alla virtualità, che stanno trasformando la nostra vita, il nostro modo di pensare, di lavorare, di relazionarci con noi stessi, con gli altri, col mondo. Si sta affermando una cybercultura che, anche in questo caso, porta con sé grandi ambivalenze: infatti, tanti sono i risvolti positivi di un uso equilibrato della rete, finalizzato alla risoluzione di problemi nei diversi campi, ma altrettanti, e forse maggiori, sono i rischi che persino attività piacevoli (internet, cybersocialità, gioco, shopping, ecc.) ormai si trasformino in disturbi e disagi personali e sociali, “deturpando” il volto umano dei negotia, delle relazioni e dell’educazione. Lo dimostra l’aumento delle nuove forme di dipendenza (new addiction) collegate all’abuso di Internet, dipendenze non meno pericolose di quelle da sostanze (droghe, alcool, tabacco, ecc.), e che spesso degenerano in vere e proprie patologie, quali il sesso virtuale, lo shopping compulsivo online, le ludopatie, il gioco d’azzardo patologico.

Erika Nocentini R.G. ROMANO, Virtualità e relazionalità nella cybercultura. Percorsi pedagogici tra ludos e patìa, Pensa MultiMedia, Lecce, 2012. Perché parlare ancora di virtualità e ludicità dopo tutto quello che è stato scritto? Può sembrare ripetitivo vista la saturazione bibliografica in questi ambiti. Ma gli argomenti fino ad ora trattati, sotto il profilo pedagogico, hanno evidenziato solo alcuni aspetti della virtualità e della ludicità, delegandone altri a discipline vicine ed affini alla pedagogia, quali la psicologia, la sociologia, la filosofia, l’etno-antropologia, la psichiatria. Il testo di Rosa Grazia Romano – docente di Pedagogia generale presso il “Dipartimento di Scienze cognitive, della Formazione e degli Studi Culturali” dell’Università di Messina e Counselor – affronta alcune tematiche di grande attualità e di pressante urgenza per la sfera sociale ed il mondo educativo (sia esso scolastico, extrascolastico, familiare, gruppale, ecc.). Il fil rouge del volume è l’ambivalenza – vista sia nelle sue potenzialità, sia nei suoi rischi/limiti – che accompagna le dimensioni della ludicità e della relazionalità, sempre fondamentali nella crescita della persona umana ma sempre più esposte a pericolose derive in un mondo in continua e rapida trasformazione, lo dimostra l’allarmante crescita di nuove forme di ludopatia che alimenta atteggiamenti e comportamenti disadattati e devianti. Ma di quale ludicità si parla? Quale tipo di gioco si può dire educativo? E quando e quale gioco non lo è, o non lo è più? 20

Questi disagi, indotti dall’uso disordinato del medium virtuale, vengono riletti dall’Autrice come “disturbi della competenza relazionale”, che si configurano quindi come un “appello” ad una sana e positiva relazione con sé stessi e con l’altro. Per questo motivo il comportamento dipendente prende la forma di sintomo, che è un instead of, cioè un comportamento che sta “al posto di” qualcos’altro che il soggetto si illude di trovare nell’oggetto dei suoi desideri. La Romano sottolinea con forza come le Istituzioni e la pedagogia non possono più ignorare queste new addiction, che sono grida di sofferenza di soggetti dipendenti e di contesti familiari e sociali che chiedono con forza risposte tempestive ed efficaci. Non è un caso che l’attività di gioco venga ormai diffusamente supportata, massmediologicamente incentivata ed abilmente pilotata, facendo perno su dinamismi psichici capaci di produrre condizionamento e perfino dipendenza. Ci sono ormai intere fasce di popolazione particolarmente fragili (adolescenti, anziani, disoccupati, ecc.) che, attratte dal fascino perverso dei meccanismi dell’azzardo, pubblicizzati in modo accattivante dappertutto, rischiano ormai di cadere nelle tante trappole di giochi all’apparenza innocenti, anticamera di abitudini e di coazioni a ripetere che confinano con la patologia. L’Autrice esplora con attenzione questo pianeta sommerso, non soltanto rappresentando le tensioni psico-relazionali dei soggetti che ad esso fanno capo ed in esso si muovono, ma anche denunciando con decisione e con riferimenti puntuali le responsabilità istituzionali di normative, a volte ambigue ma più spesso complici. L’analisi socio-antropologica e psico-


pedagogica dei contesti e dei processi costituisce sempre, nel testo, lo sfondo su cui la ricercatrice si preoccupa di indicare domande cariche di intenzionalità educativa a cui accompagna ipotesi di possibili interventi progettuali, sia di prevenzione che di formazione e sostegno. Un discorso ampio e rigoroso, quello che l’Autrice porta avanti, su una tematica sicuramente di grande impatto, attuale e urgente. Particolarmente apprezzabile è l’ottica propositiva e costruttiva adottata, anche perché l’attenzione alla genesi dei

processi ed alla identificazione dei problemi non si trasforma mai in asettica analisi o in medicalizzazione delle questioni, ma si affianca alla cura, sempre puntuale, della varietà degli aspetti connessi e della complessità delle implicazioni (socioantropologiche, economiche, sanitarie, giuridiche, ecc.), contribuendo in tal modo a fornire quadri concettuali articolati e sintesi stimolanti. Simona Bonfiglio

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