LIBORIO DIBATTISTA – FRANCESCA MORGESE_IL RACCONTO DELLA SCIENZA

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Liborio Dibattista – Francesca Morgese

IL RACCONTO DELLA SCIENZA Digital storytelling in classe

ARMANDO EDITORE

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Sommario

Prefazione

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BIANCA SPADOLINI

Saluti dei partner

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RUGGERO FRANCESCANGELI, CARMEN GENCHI

PARTE PRIMA

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Capitolo 1: La storia della scienza nella didattica delle scienze: un quadro teorico

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LIBORIO DIBATTISTA

Capitolo 2: Media Literacy e digital storytelling nel contesto europeo dell’istruzione

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FRANCESCA MORGESE

Capitolo 3: Costruire narrazioni per l’apprendimento della scienza 69 FRANCESCA MORGESE

Capitolo 4: Promuovere le competenze in scienze e matematica con il digital storytelling a contenuto storico-scientifico

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LIBORIO DIBATTISTA

PARTE SECONDA

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Capitolo 1 “Il racconto della scienza – Digital storytelling in classe”: progettazione, realizzazione, diffusione

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LIBORIO DIBATTISTA E FRANCESCA MORGESE

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Capitolo 2: La formazione degli insegnanti per realizzare un digital storytelling: la voce degli esperti

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contributi di: ROSSELLA DE CEGLIE, ALESSANDRO VOLPONE, FRANCESCO P. DE CEGLIA, CARLA PETROCELLI, GIANLUCA SCIANNAMEO

Capitolo 3: L’immagine della scienza degli insegnanti

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LIBORIO DIBATTISTA

Capitolo 4: Raccontare la scienza a scuola: il digital storytelling a con185 tenuto storico-scientifico nella percezione dei ragazzi FRANCESCA MORGESE

Capitolo 5: La realizzazione del digital storytelling in classe: le testimonianze degli insegnanti

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contributi di: ROSA VASTA, LAURA CEGLIE, SERAFINA LA SELVA, SERAFINA BOTTA, ANNA LUISA LOSITO, VALERIA PALMISANO, PINA ANCONA

Capitolo 6: I digital storytelling realizzati. Schede tecniche

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Conclusioni

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LOREDANA PERLA

Bibliografia

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Allegati

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Note sui collaboratori

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Prefazione BIANCA SPADOLINI

«La storia della scienza, come quella di tutte le idee umane, è storia di sogni irresponsabili, di ostinazioni e di errori. Ma la scienza è una delle pochissime attività umane – se non l’unica – in cui gli errori vengono sistematicamente sottoposti a critica e, sovente, corretti con l’andar del tempo». Karl Raimund Popper

Le narrazioni, i racconti hanno sempre affascinato i bambini – ma anche gli adulti – in quanto danno all’immaginazione la sostanza delle origini e alla fantasia la certezza della continuità. Senza entrare nel merito della secolare diatriba delle due culture, si può affermare che la storia della scienza nella scuola italiana, come lamentano Dibattista e Morgese, non è stata introdotta perché si è convinti che le manchi l’autorità e la capacità formativa delle discipline umanistiche. Eppure sperimentalisti quali la Montessori e Piaget, scienziati e filosofi della scienza quali Einstein, Popper ed Eccles hanno dimostrato che fin dalla prima infanzia è presente nell’uomo una specificità mentale legata all’esplorazione, alla manipolazione, alla ricerca: egli è dotato di mentalità scientifica. Nella scuola si insegnano le scienze attraverso le leggi delle sue scoperte, dimenticando che esse sono il risultato di grandi fatiche, sofferenze e caparbie ostinazioni di uomini dotati di intuito e creatività, capaci di osservare e procedere, come sostiene Popper, attraverso congetture e confutazioni. Lo scienziato è come l’artista che, attraverso la realizzazione della sua opera, ci dice del suo rapporto con il mondo e della sua perenne ricerca di spiegarsi e di spiegarlo. 7


Platone cerca di organizzare la formazione dei giovani ateniesi sulle discipline quali la matematica e la musica perché hanno come fondamento il vero. Leonardo da Vinci, l’uomo che riassume in sé il Rinascimento (secolo d’oro della scienza), era contemporaneamente uno scienziato e un artista. Emblema quindi della sintesi che vede realizzata in forma d’arte l’ideazione, la riflessione e l’applicazione: scienza e arte. La storia racconta il processo conoscitivo fondato di volta in volta sugli strumenti e le conoscenze che l’uomo aveva a disposizione. Weber dimostra che il processo di razionalizzazione occidentale attraverso la tecnica affonda le sue radici nel mito. I Greci amavano la matematica e l’astronomia, ma si spiegavano il mondo attraverso i propri dei. La riflessione filosofica oggi ha fatto della filosofia della scienza il settore privilegiato per spiegare i comportamenti umani nella propria visione del mondo. Quindi la scienza è prodotto dell’uomo, della sua capacità immaginativa e razionale, così come lo sono la filosofia, la storia, la letteratura, l’arte. La storia della scienza, nel mostrare la provvisorietà dei modelli scientifici che l’uomo si è costruito nel tempo, ci dicono Dibattista e Morgese, fa capire i legami fra lo sviluppo della scienza e i contesti storici in cui essa si è espressa. Eppure, così come la scienza nella scuola ha trovato spazi ridotti, la storia della scienza – insistono gli Autori – non ha trovato i narratori capaci di affascinare i giovani. Gran parte dei nostri giovani non ama la scienza o, perlomeno, non ottiene grandi risultati nell’apprendimento delle materie scientifiche. Le ragioni a dimostrazione di ciò sono molteplici, ma la più gettonata è quella di “non essere portato”. Ma come è possibile dal momento che l’esplorazione e la ricerca delle spiegazioni sono connaturate all’uomo? Piaget ci dimostra che il più delle volte proprio la scuola e una formazione inadeguata degli insegnanti spengono questa attitudine. Ed è sempre Piaget che sollecita ad attivare e intensificare l’insegnamento matematico/scientifico soprattutto nella scuola elementare servendosi di “dispositivi manipolati dal bambino stesso” affinché certi fenomeni fisici semplici vengano spiegati attraverso la spontaneità e l’attività di ricerca. Non solo: «…il principio fondamentale dei metodi attivi non può che ispirarsi alla storia delle scienze e… capire vuol dire inventare, o ricostruire inventando, e dovremo ben piegarci a tali necessità se vorremo formare, in 8


avvenire, degli individui capaci di produzione o di creazione e non soltanto di ripetizione» (Piaget, Dove va l’educazione, Armando, 1974). Hanno ragione Dibattista e Morgese ad esprimere la propria delusione nel non aver trovato ancora, da parte dei pedagogisti responsabili dei programmi nazionali, risposte adeguate affinché la storia della scienza trovi la giusta collocazione tra le altre discipline e, tra coloro che si occupano della formazione degli insegnanti, una attenzione a chi la andrà ad insegnare con la promozione di didattiche innovative di cui comunque, sul piano teorico, è presente un’ ampia letteratura tra i cui autori fa spicco Dario Antiseri. Dibattista e Morgese non solo ci danno conto di come sia possibile spingere i giovani verso la scienza attraverso le narrazioni, le storie di coloro che l’hanno percorsa e vissuta, narrazioni che ne umanizzano il significato e la rendono opera vera e sofferta dell’uomo, ma, attraverso il progetto “Il racconto della scienza – Digital storytelling in classe”, dimostrano l’efficacia dell’approccio storico narrativo e della costruzione di ambienti di apprendimento audiovisivi e multimediali nella promozione di competenze scientifiche degli studenti.

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Saluti dei partner

Ruggero Francescangeli* La diffusione della cultura, perché si realizzi nel modo migliore, ha necessità di un linguaggio appropriato e di opportuni strumenti di comunicazione. Non vi è alcun dubbio che oggi siamo di fronte ad una forte trasformazione che ha modificato il rapporto tra chi opera per la diffusione della cultura ed il fruitore della cultura, fra lo stesso fruitore ed i contenuti, tra il fruitore e l’ambiente in cui si realizza il processo di comunicazione. Sono proprio queste circostanze che rendono di notevole interesse l’iniziativa del Seminario di Storia della Scienza dell’Università di Bari, che offre anche un’occasione di confronto con il linguaggio dei più giovani e con il loro modo di interpretare le nuove tecnologie disponibili per la comunicazione. Il cosiddetto anno web degli informatici è di 3 mesi, quindi i processi di trasformazione legati alla tecnologia sono oramai molto veloci e, per chi svolge una attività di divulgazione scientifica, è importante essere aggiornati, saper cogliere gli orientamenti o quantomeno affinare i tempi di risposta alle trasformazioni. I lavori presentati dalle diverse scuole, nel rispetto del titolo del progetto, sono stati per lo più delle sequenze che combinavano fra loro immagini e filmati più o meno originali, il più delle volte con voce narrante e/o commento musicale. Lo scopo dei lavori era, da un lato, raccontare un frammento dell’evoluzione del pensiero scientifico dell’uomo ma, dall’altro, essi avevano una forte finalità didattica, in particolare nei confronti degli stessi ragazzi che hanno preso parte all’elaborazione dei lavori. * Direttore del CISMus – Centro interdipartimentale di servizi per la museologia scientifica – Università degli Studi di Bari.

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È proprio quest’ultimo l’aspetto più interessante di tutta l’operazione e che merita considerazione, l’uso del digital storytelling quale sequenza partecipata, quale esperienza mediale finalizzata all’apprendimento. Assolutamente un prodotto dei tempi. È proprio dal connubio delle nuove tecnologie con la partecipazione, la vivacità, la freschezza e l’originalità degli stessi ragazzi che, in questo processo comunicativo, svolgono tutti i ruoli: sono loro i realizzatori dei filmati, gli animatori delle immagini, talvolta con la sola voce, talvolta con la propria persona, e ne deriva una esperienza mediale di notevole valore didattico. Essa è l’elemento nuovo. È certamente un campo tutto da esplorare, ma è anche il banco di prova per tutti coloro che producono materiali per la diffusione della conoscenza destinati ai ragazzi, materiali che devono esser proposti tenendo ben presente l’ingresso prepotente delle nuove tecnologie nella vita di tutti i giorni, le modificazioni del linguaggio e il modo di comunicare che, mai come oggi, prendono forma e vengono introdotti dai giovani. Vorrei chiudere con un plauso agli insegnanti delle scuole partecipanti che, per entrare in un mondo talvolta a loro non familiare, hanno dovuto essi stessi “studiare” per poter aiutare e guidare i ragazzi nelle loro ricerche e per dare ordine alle loro idee; merito agli insegnanti che, il più delle volte, si impegnano in queste avventure per pura passione verso il proprio lavoro.

Carmen Genchi* Se ogni conoscenza razionale è o pratica o poietica o teoretica, la fisica dovrà essere conoscenza teoretica ma conoscenza teoretica di quel genere di essere che ha la potenza di muoversi e della sostanza intesa secondo la forma, ma prevalentemente considerata come non separabile dalla materia.

L’Enciclopedia di Aristotele rappresenta la prima classificazione orizzontale delle scienze, un sistema di conoscenze tra loro connesse dallo * Vicepresidente dell’Associazione Nazionale dei Formatori Insegnanti Supervisori (ANFIS).

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strumento valido per tutti i ragionamenti: la logica. Il rapporto tra scienza e filosofia è stato a lungo dibattuto e, per certi versi, lo è ancora soprattutto in relazione al metodo d’indagine. Nel 1985 Ludovico Geymonat nei Lineamenti di filosofia della scienza, delineava le tesi fondamentali della sua epistemologia, secondo la prospettiva dello “storicismo scientifico”: «Dobbiamo capire che la storia della scienza non è più soltanto storia degli scienziati, delle loro ricerche, dei rapporti che avevano con la società del loro tempo, ecc., ma è soprattutto e in primo luogo storia della scienza stessa. È la scienza che viene storicizzata. Non soltanto sono “storiche” le scoperte scientifiche, le vite (spesso travagliate) degli scienziati, i dibattiti, le polemiche scientifiche, ecc., ma la scienza stessa si mostra intrinsecamente storica»1. Se non c’è più la visione di un mondo finalizzato, organizzato ed armonico che dava certezze, c’è oggi la visione di un mondo partecipato in cui l’uomo/ricercatore scopre l’arte della ricerca: «il sapere scientifico sbarazzato dalle fantasticherie di una rivelazione ispirata, soprannaturale, può scoprirsi essere ascolto poetico della natura e contemporaneamente processo naturale nella natura, processo aperto di produzione e invenzione, in un mondo aperto, produttivo e inventivo. È ormai tempo di nuove alleanze, alleanze da sempre annodate, per tanto tempo misconosciute, tra la storia degli uomini, delle loro società, dei loro saperi e l’avventura esploratrice della natura»2. I riferimenti teorici sostengono l’impianto progettuale de “Il Racconto della Scienza – Digital storytelling in classe” nel solco della diffusione della cultura scientifica avviata con la C.M. 270/99 come progetto speciale per l’educazione scientifico-tecnologica. Le idee innovative si riferivano alla visione unitaria di scienza e tecnologia estesa al concetto di laboratorio e di sperimentazione, all’uso delle tecnologie informatiche, telematiche e multimediali. Si sottolineava come la storia della scienza e della tecnologia fosse una storia di interazioni continue tra scoperte scientifiche e applicazioni tecniche. La continuità tra il momento cognitivo/teorico e il momento pratico/sperimentale poneva la formazione dei giovani al centro del processo di apprendimento finalizzato alla crescita complessiva della cultura scientifico-tecnologica. Il digital storytelling è un’evoluzione metodologica nella dimensione della narratività, intesa come genere specifico di espressione e di comunicazione. «Il racconto ha sempre avuto e ha una 1 Si veda L. Geymonat, Scienza e filosofia nella cultura del Novecento, a cura di M. Quaranta, Treviso, Pagus, 1993, p. XVI. 2 I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1981, p. 288.

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posizione di primissimo piano nell’ambito dell’espressione e della comunicazione umane… trasmette un sapere, ma lo fa intrecciando la propria linea enunciativa con dimensioni di emotività e di compartecipazione molto forti…»3. Dalla narrazione al fare attraverso la tecnologia digitale. Marc Prensky sostiene che «la tecnologia digitale possa essere usata per renderci non solo più intelligenti, ma anche più saggi»4, e tale convinzione lo spinge a considerare la saggezza digitale come elemento fondamentale per navigare in un mondo complesso e tecnologicamente avanzato. I giovani vivono l’era dell’homo zappiens5 per cui apprendono in modo significativo, i dati digitali e l’informazione diventano strumenti per costruire una conoscenza autonoma. L’approccio didattico si configura come discorso e confronto su temi a cui dare un significato, attribuire un senso, dare delle spiegazioni. Innovare la didattica, della scienza in particolare, per promuovere e rafforzare l’apprendimento in area tecnico-scientifica, concorre ad affermare la cultura della sperimentazione. Nella Strategia Europa 2020, la Commissione Europea ha inserito, tra le sette iniziative faro: Un’agenda europea per il digitale. Trarre vantaggi socioeconomici sostenibili da un mercato unico del digitale basato sull’Internet veloce, che propone una serie di azioni: dai collegamenti a banda larga per le scuole alla riqualificazione della società della conoscenza. “Il racconto della scienza” ha dato un contributo notevole ai docenti, agli studenti e alla scuola perché ha correlato l’innovazione alla creatività e le tecnologie hanno svolto la funzione di partner nel processo cognitivo. Il laboratorio scientifico, informatico, musicale non è stato soltanto un luogo fisico in cui si è realizzata una comunità, è stato anche un non luogo, un modus operandi che ha modificato spazio e tempo cambiando il rapporto con l’ambiente esterno. Esplorando gli elementi di una teoria, ciò che prima appariva lontano si è avvicinato ed è rientrato nello spazio dell’esperienza, nello spazio sensibile. I legami virtuali sono diventati culturali: i contenuti sono stati visualizzati, descritti e valutati, si è creato un immenso iper-documento che ha assunto l’immagine di un continuum di documenti. La comunità di apprendimento è divenuta comunità di pratica che ha creato una conoscenza organizzata e 3

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G. Bettetini, L’Ulisse semiotico e le sirene informatiche, Milano, Bompiani, 2006, p.

4 M. Prensky, H. Sapiens digitale: dagli immigrati digitali e nativi digitali alla saggezza

digitale, «TD-Tecnologie didattiche», 50, 2010, pp. 17-24. 5 Cfr. M. Gaggi, L’era dell’homo zappiens, in “Corriere della sera”, 7 febbraio 2010, p. 27.

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di qualità in cui ognuno ha avuto libero accesso. Ecco che il discorso fin qui condotto, in chiave prevalentemente scientifica, diventa umanistico. L’aspetto peculiare della scienza, sia nella forma della tecnica sia in quella della sperimentazione, ha messo in luce la forma socialmente organizzata ed innovativa delle conoscenze prodotte. L’incremento del benessere, sostenuto dall’innovazione tecnologica, è stato accompagnato da una crescente diffusione dell’istruzione scientifica. Per evitare il controllo sulla scienza da parte di forze conservatrici è necessario «valorizzare la scienza a livello di insegnamento superiore, in primo luogo come insegnamento del metodo scientifico e quindi sulla base di un indirizzamento del percorso educativo che sottolinei l’utilità di comprendere il valore euristico del ragionamento»6.

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G. Corbellini, Scienza, quindi democrazia, Torino, Einaudi, 2011, pp. 157-159.

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PARTE PRIMA

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Capitolo 1

La storia della scienza nella didattica delle scienze: un quadro teorico LIBORIO DIBATTISTA

“Il problema è la base della motivazione dell’insegnamento delle scienze. E una scuola elettrizzata dai problemi è una scuola in cui si può apprendere senza annoiarsi e nella quale non si devono sentire risposte non sollecitate a domande non poste; una scuola dove non si deve studiare al fine di superare gli esami”. Dario Antiseri

Introduzione Un pericoloso errore di prospettiva commesso da chi si occupa professionalmente di un dato argomento può essere quello di dare per scontato che il grande pubblico o, comunque, il gruppo degli addetti ai lavori, sia accorto, aggiornato e sensibile al tema che ci impegna. Nel caso, mi illudo che un coro plaudente e concorde di epistemologi, storici e filosofi della scienza, pedagogisti, didatti e insegnanti sia convinto della efficacia della storia della scienza nell’insegnamento delle scienze e che, quindi, si unisca entusiasticamente alla proposta di inserirla come tale nei curricula della Scuola Secondaria italiana e non veda l’ora di dedicarsi con passione a raccontare la disputa tra Luigi Galvani e Alessandro Volta oppure le gesta dei ragazzi di Via Panisperna. La realtà è un’altra. Siamo ancora fermi a magniloquenti auspici e a ministeriali dichiarazioni di principio: nei licei italiani NON si insegnano né la storia della scienza né le scienze con un approccio storico-critico. Allora abbiamo sbagliato qualcosa. Dico, noi storici della scienza da un lato e i pedagogisti responsabili delle indicazioni nazionali e delle programmazio17

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ni curricolari dall’altro. Continuiamo a scontrarci contro questa evidente aporia: le dichiarazioni che confermano l’opportunità della comprensione storica delle conquiste scientifiche e tecnologiche nell’insegnamento della Scuola Secondaria e la produzione teorica che spiega diffusamente i perché di questa opportunità da un canto e, dall’altro, la realtà concreta delle nostre classi, impegnate a prepararsi per calcolare quanti alberi piantare al meglio nell’orticello trapezoidale proposto dagli ineffabili compilatori del prossimo test OCSE-PISA. Il quadro teorico che sostiene questa proposta nasce, si può dire, con la nascita stessa della disciplina “Storia della scienza”. Noi l’abbiamo riassunto in maniera abbastanza particolareggiata alcuni anni fa (Dibattista 2004) e ne abbiamo anche offerto una declinazione, per così dire, pratica (Dibattista 2008). Nel frattempo, nuove sperimentazioni sono state condotte e nuove esigenze di literacy sono state avanzate nell’ambito della policy europea per la pedagogia dei cittadini. Per questi motivi è opportuno riprendere a grandi linee lo schema dell’approccio storico-critico alle discipline scientifiche e aggiornarlo alle mutate condizioni storiche. Inoltre è evidente che bisognerà chiarire di quale “storia della scienza” si parla, perché è la disciplina in se stessa che ancora – per usare un’espressione di Pietro Corsi – se è una stella nella ricerca, è una Cenerentola nell’istruzione (Corsi 2000). 1. Quale storia della scienza? Se Auguste Comte (1798-1857) preconizzava il metodo storico limitandolo all’insegnamento di discipline “giovani” come era nella prima metà dell’Ottocento la biologia – la fisica e l’astronomia necessitando del metodo dogmatico, data la vastità delle conoscenze da trasmettere – mezzo secolo dopo Ernst Mach (1838-1916) non aveva dubbi sull’opportunità di studiare la storia della propria disciplina. Anche se per Mach l’approccio storico-critico aveva un valore particolarmente significativo per coloro che avessero in animo di diventare scienziati, in generale sosteneva che concepire i concetti scientifici come semplici strumenti per la comprensione efficace della realtà materiale, ne consentiva la piena intelligenza in quanto si trattava di una intelligenza “genetica”. Il sintagma va inteso nel senso di comprensione ottenuta ri-attivando la genesi storica e teorica degli assiomi 18

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e dei postulati, quindi non più appresi perché “dati”, ma com-presi perché ripercorsi nel loro storico formarsi. E la sua opera più famosa, La Meccanica nel suo sviluppo storico-critico (1883), costituisce ancora oggi un lucido esempio di questo approccio. Ancor più di Mach, il suo contemporaneo Pierre Duhem (1861-1916), ricordato oggi – con suo dispetto – più come storico della fisica che come fisico, ha esposto in più occasioni un vero e proprio plaidoyer per una didattica delle scienze condotta mediante la loro storia. Ricordando solo alcuni passi centrali della Théorie physique (1906) si rimane stupiti dalla modernità delle questioni sollevate dal fisico parigino sul problema della didattica della fisica. Questa, la fisica, può risultare indigesta allo studente non solo per la vastità delle conoscenze da apprendere, ma anche per il contrasto fra l’apoditticità delle conoscenze contemporanee che prospettano una conoscenza definita e definitiva, della quale non rimane ormai da scoprire nulla, e la precarietà delle teorie in contrasto fra loro che invece denuncerebbero la provvisorietà e la mancanza di affidabilità di risultati e metodi della disciplina. Di conseguenza: […] come si regolerà il maestro incaricato di esporre la fisica? […] come potrà far abbracciare ai suoi allievi con un unico sguardo la distesa immensa che separa il campo dell’esperienza da quello teorico? […] Non abbiamo forse sotto gli occhi il caso di uno studente il quale, nell’infanzia, ignorava del tutto le teorie fisiche e, da adulto, arrivò alla piena conoscenza di tutte le ipotesi sulle quali si fondano le teorie? Lo studente, la cui educazione dura da millenni, è l’umanità. Perché non potremmo imitare nella formazione intellettuale di ogni uomo il progresso attraverso il quale si è formata la scienza umana? Perché non potremmo far precedere l’ingresso di ogni ipotesi nell’insegnamento con una esposizione sommaria, ma fedele, delle vicissitudini che hanno preceduto il suo ingresso nella scienza? Il metodo legittimo, sicuro, fecondo, atto a preparare una mente ad accogliere una ipotesi fisica è quello storico […] Descrivendo la lunga serie degli errori ed esitazioni che hanno preceduto la scoperta di ogni principio lo mette in guardia contro le false evidenze; ricordandogli le vicissitudini delle scuole cosmologiche, facendo riemergere dall’oblio dove giacciono le dottrine che un tempo trionfarono, lo costringe a ricordare che i sistemi più seducenti altro non sono che rappresentazioni provvisorie e non già spiegazioni definitive. Illustrandogli la tradizione continua, secondo cui la scienza di ogni epoca si è nutrita con i sistemi dei secoli passati e di cui è piena della fisica dell’avvenire, citandogli le profezie formulate dalla teoria e realiz19

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zate dall’esperienza, essa crea e rafforza in lui la convinzione che la teoria fisica non è un sistema puramente artificiale, oggi utile e domani non più, ch’essa è vieppiù una classificazione naturale, un riflesso sempre più chiaro delle realtà con cui il metodo sperimentale non saprebbe confrontarsi. Ogni qualvolta lo spirito del fisico è sul punto di cadere in qualche eccesso, lo studio della storia lo raddrizza con appropriate correzioni (Duhem 1978: 301-303).

Da noi in Italia, chi indicò con chiarezza il valore pedagogico della storia della scienza fu Federigo Enriques (1871-1946): Quale modo più largo di comprensione, quale più vasta esperienza didattica, che l’annodarsi dei problemi e l’urtarsi delle difficoltà entro lo spirito di tutti gli studenti che hanno faticato prima di noi nella scuola del mondo? (Enriques 1921). Se la verità è soltanto un passo verso la verità, il valore della scienza consisterà piuttosto nel camminare che nel fermarsi ad un termine provvisoriamente raggiunto. I fatti, le leggi, le teoria, riceveranno il loro senso, non tanto come sistema compiuto e statico, quanto nella loro reciproca concatenazione e nel loro sviluppo (Enriquez 1936).

Enriques, matematico, fu fondatore e presidente della Società Filosofia Italiana e propugnò uno studio filosofico della storia della scienza ponendo le basi, insieme a George Sarton, Hélène Metzger, Alexandre Koyré, «di quel sapere particolare che è appunto l’epistemologia» (Castellana, Rossi 2004). E tuttavia, anche per le incomprensioni ed i contrasti tra Enriques da una parte e Giovanni Gentile e Benedetto Croce dall’altra (Nastasi 2010), la storia e la filosofia della scienza rimasero ai margini della scuola italiana. Venendo ai giorni nostri, chi in Italia ha spezzato una lancia in favore della storia e dell’epistemologia come antidoto ad uno studio dogmatico e inutilmente noioso è stato Dario Antiseri che nel suo Epistemologia e didattica delle scienze (2005) ha magistralmente articolato il circolo virtuoso del “problema” come primum movens della ricerca scientifica, della storiografia della scienza e della didattica delle scienze. 20

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La ricerca scientifica parte dai problemi; ebbene anche l’insegnamento della scienza deve partire dai problemi: problemi pratici e problemi teorici; da controversie; da teorie in difficoltà; da teorie falsificate ad opera di fatti “brutali”; da osservazioni “problematiche”. Questa partenza che si effettua dai problemi motiva l’apprendimento e l’insegnamento delle teorie scientifiche. Suscita, cioè, l’interesse dei ragazzi. È il fondamento della motivazione. Qualsiasi altra partenza, sia che si prenda l’avvio dalle formule o dalle osservazioni, è una falsa partenza. La partenza dai problemi è il primo antidoto contro quel tipo di nozionismo costituito da teorie che si offrono come risposte a nessuna domanda (Antiseri 2005: 242).

Si pensi che queste parole sono state scritte nel 1977, parecchio prima di tanto chiasso europeo sull’Inquiry Based Learning. Per inciso, questa questione è appunto ancora poco chiara: chi fa le domande? Quali domande? Come si fa ad articolare la complessità delle domande scientifiche senza ricorrere alla loro genesi storica? Anche Salvo D’Agostino ha avuto parole forti di dissenso nei confronti di una didattica scientifica che ignori la dimensione storica: Ciò che accomuna (nel loro aspetto didatticamente negativo) i due ipotetici docenti [il razionalista e l’empirista] è l’assenza di dubbi sulla efficacia del presupposto che si possano connettere direttamente concetti e osservabili: non li sfiora nessun sospetto che per la connessione sia richiesto qualcosa d’altro, che occorra un “catalizzatore” del processo… quello che ho chiamato catalizzatore è rappresentato dalla dimensione storica del pensiero scientifico (D’Agostino 2009: 100-101).

In campo internazionale, lo studioso di maggior spicco che si occupa di questo tema da oltre venti anni è Michael R. Matthews che ha riunito intorno a sé un gruppo di ricercatori nell’International History, Philosophy, and Science Teaching Group (IHPST) che ha come organo la rivista «Science & Education». In un voluminoso saggio del 1994, Matthews ha declinato i molteplici aspetti e le problematiche ancora irrisolte che articolano il rapporto tra la storia e la filosofia della scienza nell’ambito dell’istruzione scientifica. Le idee della gente e i loro modi di pensare derivano da, e possono essere testati in, tre ambiti distinti ma che si intersecano: in primo luogo, l’esperienza 21

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immediata sensoriale del mondo, in secondo luogo, la partecipazione alla vita quotidiana con le conversazioni, i giornali, ecc., e in terzo luogo, la loro istruzione formale che dipende in massima parte dalla scuola. Un problema costante per l’istruzione scientifica è stato quello di mantenere questi ambiti in una sorta di consenso reciproco. Il pensiero scientifico non è il pensiero naturale. I bambini selvaggi non sviluppano il pensiero scientifico anche se magari hanno successo nel far fronte al loro ambiente. Né la mera partecipazione alla vita quotidiana conduce alla scienza. Molte culture avanzate – vengono in mente India e Cina – sono esistite per secoli, o millenni, senza sviluppare la scienza… La scienza è una forma peculiare di pensare e studiare il mondo, culturalmente e storicamente determinata; le procedure della scienza hanno bisogno di essere apprese come la maggior parte dei suoi risultati. Il pensiero e la conoscenza scientifica dipendono esclusivamente dal terzo ambito; dipendono da un insegnamento formale e da una iniziazione in un modo di pensare che è “innaturale” e caratterizzato da “senso non comune”. La storia e la filosofia della scienza aiutano docenti e studenti a comprendere come questi tre ambiti interagiscono (Matthews 1994: 28).

2. Perché la storia e la filosofia della scienza nella didattica delle scienze? Da qualche anno in Europa è in corso un dibattito che insiste sulla necessità di rivedere il concetto di scientific literacy, perché questa non coincida con la “retorica della conclusioni” (della scienza) (Schwab, 1964) ma sia intesa come “descrizione densa” (Elkana, 1989), consapevole dei legami con gli ambienti culturali in cui scienza e tecnologia si producono, dei cambiamenti nel tempo, delle dimensioni affettiva, creativa, etica, valoriale ad esse connesse (Bybee, 1991; Miller, 1983). Va da sé che tali riflessioni sull’arricchimento della literacy scientifica risentono della ricca riflessione novecentesca in epistemologia, filosofia e storia della scienza. A questo discorso è strettamente connesso il dibattito sulla natura e l’efficacia dell’apprendimento scolastico, delle scienze in particolare. Le numerose indagini sulle conoscenze e le abilità degli studenti, condotte sia in itinere che al termine degli studi, portano a risultati che testimonierebbero l’incombente “crisi delle istituzioni educative”, che falliscono anche l’obiettivo più importante, quello di promuovere negli studenti una “comprensione adeguata” dei contenuti durante i numerosi anni di scuola, anche 22

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quando gli studenti ottengono ottimi voti nei test formali: spesso studenti che nei corsi seguiti nei college avevano ottenuto voti molto elevati, se “posti di fronte a questioni e problemi elementari” formulati in modo anche solo leggermente diverso da quello con cui li avevano incontrati al momento della spiegazione formale e della verifica, sono incapaci di affrontarli (Gardner 1991) (Morgese 2010: 28-29).

A questo si aggiunga l’orientamento sempre più deciso nella pedagogia europea verso una didattica per le competenze che, a maggior ragione, richiede un ripensamento dei modi e dei contenuti della didattica delle discipline scientifiche. Riassumendo in modo estremamente sintetico – ma senza omettere nulla di rilevante – i risultati di una serie di studi e ricerche sperimentali sull’introduzione della storia e delle filosofia della scienza nella didattica delle discipline scientifiche, si possono così enumerare i vantaggi rilevati: La Storia e la filosofia della scienza: 1. Promuovono una migliore comprensione dei concetti scientifici e del metodo scientifico (Conant 1947; Holton 1978; Klopfer 1969; Kragh 1992) D’altra parte è difficile capire perché le istituzioni sociali, il costume, la letteratura e l’arte, la filosofia si comprendono meglio se se ne studia la loro evoluzione storica mentre questo non dovrebbe avvenire per la produzione scientifica. Questa potrebbe fare eccezione solo se non è considerata, al pari delle altre discipline, il prodotto del pensiero umano nel suo rapportarsi al mondo ma una sorta di disvelamento di un ordine assoluto. Oltre ai citati Mach e Duhem, si potrebbero enumerare una lunga serie di scienziati che concordano con questa idea, ad esempio Einstein, che a più riprese ha dichiarato il suo debito verso la Meccanica di Mach o Ernst Mayr che nelle pagine di apertura della sua Storia del pensiero biologico afferma: «penso che lo studio della storia di un campo disciplinare sia la maniera migliore di acquistare comprensione dei suoi concetti» (Mayr 1982: 20). 2. Rendono le materie scientifiche meno astratte, più “appassionanti” Nei capitoli successivi di questo saggio verrà argomentato ampiamente quale guadagno possa condurre nella didattica delle scienze la possibilità, offerta dalla storia della scienza, di un approccio narrativo, e quindi rimandiamo a quelle pagine per l’illustrazione di questo concetto. Qui vogliamo 23

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solo rilevare alcuni punti relativi all’uso delle storie delle vite degli scienziati. Per quanto, come vedremo fra poco, l’uso delle biografie scientifiche sia controverso nelle sue ricadute didattiche, è evidente che dare carne e sangue ad astratte leggi e principi, raccontare quanto umani fossero nelle loro virtù e vizi gli scopritori delle aride formule e gli inventori di complicati strumenti, contribuisce a rendere più viva la trasmissione del sapere scientifico, più vicina al comune sentire dei discenti (Wandersee 1990). E non si tratta, naturalmente, solo di narrare storielle edificanti agiografiche, quanto di ricostruire come pensavano e cosa desideravano in rapporto al mondo nel quale vivevano; quindi la temperie spirituale, il momento storico, il mondo economico e sociale nel quale vivevano, le idee filosofiche e le fedi religiose che intessevano i loro pensieri e il loro modo di stare al mondo e via di seguito. Inoltre, la consapevolezza di quali siano state le pietre miliari nella costruzione di un campo disciplinare, gli episodi fondamentali, i tornanti cruciali, quali ne siano state le Istituzioni fondanti, quali i padri nobili, quali i percorsi normativi che hanno condotto allo stabilirsi della disciplina serve a creare quella sensazione di appartenenza, quella idea di noocenosi, di comunità intellettuale che è di fondamentale importanza per fare sentire i discenti membri di una collettività. Per quanto questa qui descritta sia una delle visioni più tipicamente sartoniane delle funzioni della storia della scienza, essa non per questo è da considerarsi obsoleta. Questo è anche uno dei motivi per cui la storia e la filosofia della scienza nella didattica… 3. Aiutano a prendere in considerazione le carriere scientifiche (Wilson, Barsky 1998) 4. Promuovono la formazione di un pensiero critico Scientismo e dogmatismo sono mali sotterranei del mondo scientifico, vissuti più che argomentati e, certamente, questo è un fatto paradossale se si pensa che la scienza è diventata tale, adulta, proprio quando si è scrollata di dosso il principium auctoritatis, fosse quello aristotelico o papale. Ma, convinta della propria certezza e giustezza, ha trasformato una ricerca problematica in una fede assoluta. Sia nel proprio campo, quello scientifico propriamente detto, imponendo “un” metodo e leggi ferree, sia invadendo campi che non le sono propri, come appunto quello della fede. Basti vedere il furore iconoclasta di certuni scienziati-divulgatori contemporanei che attaccano il cristianesimo con argomenti vetero-positivisti ottocenteschi, di24

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menticando la saggia distinzione che faceva il loro pur venerato padre fondatore Galileo, quando dichiarava necessario tener distinta la scienza, che spiega “come vada il cielo”, dalla fede che dispone “come si vada al cielo”. Manca a costoro l’umiltà di riconoscere quello che la storia della scienza insegna: la provvisorietà di ogni sapere scientifico. È il caso appena qui di ricordare brevemente l’analisi critica dei manuali scientifici fatta da Thomas Kuhn, che in essi ravvisava l’esposizione apodittica del sapere della scienza normale, adattato e ricostruito cancellando le tracce delle controversie e della rivoluzione che aveva spodestato le convinzioni scientifiche precedenti. I manuali scolastici tendono a coltivare un’immagine statica della scienza, nella preoccupazione di essere completi ed esaustivi, realizzando una ipersemplificazione, risultato dell’esigenza pedagogica di riordinare la presentazione della scienza per venire incontro alle necessità ed alle capacità dello studente. Lo scienziato “normale”, il discente delle nostre classi, deve apprendere quantità incredibili di nozioni che costituiscono la “verità scientifica” e che lo metteranno in condizione di risolvere i rompicapo che la scienza (e l’industria scientifica) gli proporrà. Nel frattempo, il manuale è il Corano, nulla da discutere, nulla da criticare, impara e taci. La storia della scienza svela quanto nudo sia questo re. Riattivando i percorsi che hanno condotto alla scienza contemporanea evidenzia le domande e le risposte differenti e spesso contraddittorie che a queste domande gli scienziati hanno dato e quali sono stati i criteri che hanno condotto all’accettazione di certe risposte piuttosto che altre. Criteri non solo e non sempre “oggettivi”, spesso orientati da valenze formali, estetiche, a volte inquinati da necessità economiche o politiche, sempre informati dalla cultura e dal comune sentire di fondo di un popolo, di un’epoca. Allora, lo studente consapevole di questa ricchezza dell’impresa scientifica, guadagnerà in capacità di analisi e confronto, spirito critico ed equilibrio, capacità di ascolto e valutazione. Prendendo contezza della successione delle idee scientifiche, della loro noncontinuità, delle fratture epistemologiche, delle rivoluzioni paradigmatiche, sarà in grado di comprendere e gestire la complessità del cambiamento. Inoltre, è possibile dimostrare come questo approccio sia tutt’altro che una scorciatoia per non affrontare questioni difficili, di “scienza dura”: Una corretta presentazione storico-filosofica del caso del movimento del pendolo mette lo studente in condizione di apprezzare il passaggio dal senso comune e dalle descrizioni empiriche della scienza aristotelica alle astratte, idealizzate e matematiche descrizioni caratteristiche della rivolu25

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zione scientifica. Deve essere chiaro che la scienza “contestuale” qui suggerita non è un tentativo di evitare la scienza seria o dura, anzi, il contrario. Capire quello che è successo richiede sforzo e, in più, è accattivante per gli studenti. Un ritornello frequente di studenti intelligenti che non si impegnano nello studio delle scienze è che “la scienza è troppo noiosa, si fanno solo esercizi”. La storia degli sforzi umani per capire il moto del pendolo è lontanissima dall’essere noiosa: è popolata da grandi menti i cui dibattiti sono coinvolgenti e la storia fornisce una trama sulla quale si può agganciare il complesso sviluppo teoretico della scienza. Lo studente edotto in questo modo contestuale può comprendere meglio la natura della scienza e ha qualcosa da ricordare molto tempo dopo aver dimenticato l’equazione per trovare il periodo del pendolo (Matthews 1994: 135).

5. Consentono di comprendere Che Cosa è la Scienza – The Nature of Science (NoS) Nel 2008 la Nuffield Foundation ha presentato un rapporto (Osborne, Dillon 2008) il cui obiettivo era rispondere ad alcune questioni divenute scottanti sull’argomento dell’insegnamento delle scienze. In particolare, il rapporto ha cercato di individuare cause e rimedi alla diminuzione dell’interesse dei giovani nei riguardi delle carriere scientifiche e delle scienze in generale, interrogandosi se questo fosse dovuto al più ampio cambiamento socio-culturale della società europea, e quindi al mutato modo di vivere e progettare le nostre vite, o se fosse più specificamente legato ad una mancanza strutturale dell’istruzione scientifica in se stessa. La risposta ha puntato il dito su quest’ultimo aspetto e ha suggerito che l’istruzione scientifica in Europa deve mutare totalmente impostazione. In dettaglio, la prima raccomandazione del Rapporto Nuffield recita: «L’obiettivo primario dell’istruzione scientifica in EU dovrebbe essere istruire gli studenti sulle spiegazioni principali che la scienza fornisce in relazione al mondo materiale e sul modo di funzionare della scienza. I corsi di scienze il cui scopo principale è fornire una istruzione di base per i futuri scienziati e tecnici dovrebbero essere facoltativi». In altre parole è senza senso che l’insegnamento delle discipline scientifiche rivolto a tutti gli studenti sia modellato sulle esigenze di quei pochi che intraprenderanno carriere scientifiche. Lo scopo dell’istruzione scientifica dovrebbe essere la spiegazione di che cosa è la scienza e di come funziona (NoS) e non una forma di training pre-professionale. Questo perché una comprensione della NoS è essenziale per affrontare i problemi della società contemporanea ed essere 26

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cittadini consapevoli (Clough, Olson, 2008). Ovviamente questo curriculum sarebbe molto diverso da quelli attualmente in uso in Europa; avrebbe significato in se stesso e non come preparazione a studi futuri e dovrebbe essere obbligatorio. Uno dei motivi per cui così non è dipende dal fatto che i curricula scientifici per la scuola sono disegnati da scientifici che, quindi, orientano l’istruzione scientifica in base ai loro interessi ed alla loro visione del mondo; ma i risultati di questa impostazione sono purtroppo deplorevoli. Senza entrare nel dettaglio delle valutazioni degli estensori del rapporto, assumiamo per i nostri scopi questa necessità di rinforzare la conoscenza della NoS. Anche se non c’è un accordo completo fra gli studiosi sulla definizione di Nos (è una “essenza”?; è una tassonomia di categorie che riguardano attività, scopi, valori, regole metodologiche, conoscenze, norme istituzionali?; è una costellazione di discipline che si somigliano per alcune di queste categorie?), c’è accordo su due punti: 1) una conoscenza della Nos è essenziale per far fronte alle questioni poste dai processi e dagli oggetti tecnologici nella vita quotidiana, per prendere decisioni informate sui problemi scientifici in una società democratica, per apprezzare il valore della scienza come parte essenziale della cultura contemporanea (Irzik, Nola 2011), e 2) una via maestra per comprendere la Nos è lo studio della storia e della filosofia della scienza (McComas 2008; Bybee 2006). Infatti non è possibile afferrare la natura dell’impresa scientifica, i suoi modi di funzionare, l’impatto delle tecnologie sulla società e il reciproco rapporto tra scienza e tecnologia mediante un approccio teoretico: si tratterebbe di epistemologia disincarnata. La comprensione della Nos senza esempi concreti non è possibile. Detto più elegantemente, parafrasando Imre Lakatos, solo la storia della scienza consente di riempire di contenuti le affermazioni che si possono fare intorno a “che cosa è la scienza” (Lakatos 1976). 6. Consentono il recupero dell’unità del sapere, promuovendo una didattica interdisciplinare Se la frammentazione della didattica in materie sempre meno comunicanti fra loro, se la pur trita questione delle “due culture” sono problemi rilevanti nella pedagogia contemporanea, ed effettivamente lo sono, l’approccio storico critico è certamente di aiuto nel ricomporre queste fratture. Per molto tempo, l’unità del sapere è stata garantita dal suo oggetto e dal programma pedagogico che ad esso si adeguava. Il savant, prima di divenire l’ottocentesco scienziato, non aveva difficoltà a riunire nelle sue competenze tutti i rami del sapere prodotto dall’umanità. Solo il nostro 27

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presentismo ci fa commettere l’errore prospettico di proiettare all’indietro la divisione dei saperi come è stata tassonomizzata alla fine del XIX secolo: Galilei non era più scienziato di quanto non fosse letterato e Aristotele era certamente più biologo di quanto non fosse metafisico. L’unità dal sapere, si dice, è andata poi persa per il progressivo accumulo di nozioni che ha reso impossibile allo stesso soggetto di possedere contemporaneamente tutti gli oggetti della conoscenza. Questa interpretazione della nascita degli specialismi della conoscenza, della frammentazione del sapere, della consacrazione delle discipline come portato indispensabile dell’amplificazione progressiva ed inarrestabile dei contenuti della conoscenza è spiegazione corretta, ovvia e tuttavia banale. Non si è trattato, infatti, solo di cruda espansione del sapere, ma di una sua frammentazione epistemologica, di una babele di linguaggi locali, di istituzioni e padri fondatori, di paradigmi differenti e concorrenti, che ha condotto prima il positivismo a tentare una riunificazione gerarchizzante sotto la bandiera della biologia (Robin) e della sociologia (Comte) e poi la fenomenologia (Husserl) a gettare la spugna certificando la crisi delle scienze europee. Oggi, la specializzazione disciplinare è un fatto, innegabile e positivo, nella misura in cui consente rapidi avanzamenti della conoscenza in settori sempre più specifici. L’epistemologia della complessità contemporanea apre nuovi scenari nella prospettiva della unità del sapere. Multidisciplinarità, interdisciplinarità e transdisciplinarità hanno come presupposto l’accettazione della sfida della complessità e il proposito di comprenderla in una prospettiva sistemica. L’approccio interdisciplinare prevede l’individuazione di quadri concettuali comuni, l’integrazione di concetti fondamentali e metodologie di base che realizzino un inquadramento culturale unitario dell’argomento studiato in particolare e del sapere in generale. Si deve aggiungere alle caratteristiche della interdisciplinarità un aspetto non sempre ricordato ma, a nostro modo di vedere, fondamentale: la dimensione storica di tutti i saperi. Nel riconoscimento che tutti i “fatti” della conoscenza sono tali, mai “dati” da qualcuno, ma “prodotti” dalle sintesi operate dal Soggetto conoscente, nella consapevolezza che «ogni scienza è da parte sua un aspetto dell’intelligenza umana che si afferma in un momento preciso del tempo e in un luogo dato dello spazio» e che questa storicità filogenetica dei saperi è ripercorribile nell’ontogenesi pedagogica dell’allievo-Uomo (Duhem), è riposto il nucleo più saldo dell’unità del sapere. Di conseguenza è ovvio che la storia e la filosofia della scienza conservano un posto privilegiato nello strumentario didattico volto alla funzione integrativa del sapere. Esse, in28

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fatti, sono in grado di mostrare la strada che ha portato alla dispersione tecnica ed utilitaristica di quel sapere. Esse sono in grado di riconnettere – raccontando i modi con i quali nelle avventure di ogni singolo scienziato, negli accadimenti di ogni specifica disciplina scientifica si sono intrecciate matematica e teologia, filosofia ed economia, tecnologia e religione – i capi della trama culturale di cui è intessuta la storia integrale dell’umanità. Numerosi sono i sostenitori di questo valore integrativo dell’approccio storico alle discipline scientifiche: James Conant (1947), Isaac Rabi (Rutherford 1972), Gerald Holton (1996), per citare solo i più importanti. 7. Possiedono un efficace valore meta-cognitivo Lo studio di come la scienza progredisce conduce a soffermarsi su quali meccanismi cognitivi vengono messi in opera, i procedimenti ipoteticodeduttivi, l’induzione, l’analogia e la metafora, la logica del modus tollens, la “immaginazione creatrice”, il fasificazionismo popperiano, l’inferenza bayesiana, i metodi di Mill e via di questo passo. La riattivazione di questi processi conoscitivi messi in atto dagli scienziati nel corso dei secoli, ottenuta mediante l’approccio storico-critico allo studio delle discipline scientifiche, produce due risultati didattici estremamente significativi interconnessi fra loro: mentre illustra i “modi di funzionare” del pensiero scientifico sollecita la riflessione sui processi mentali di chi apprende. Si può sostenere, cioè, che esiste un parallelismo tra i meccanismi mentali del discente e le procedure che l’umanità ha sviluppato per ampliare le proprie conoscenze sul mondo. Questa affermazione non è nuova. Essa è stata sostenuta, oltre che da Ernst Mach, da Herbert Spencer e da Hegel, ma ha conosciuto la sua più fortunata formulazione con l’“epistemologia genetica” di Jean Piaget. Lo psicologo elvetico, come è noto, ha sviluppato una teoria sullo sviluppo cognitivo del fanciullo che, da un certo punto di vista, può essere considerata una sorta di Teoria della Ricapitolazione haeckeliana trasferita nell’area della conoscenza, per cui agli stadi dell’ontogenesi delle modalità di pensiero del singolo essere umano possono essere fatti corrispondere i momenti “filogenetici” della successione delle teorie e delle modalità di rapporto soggetto-oggetto percorse dal pensiero scientifico in generale. Naturalmente, questo parallelismo va condotto con molta cautela e sapienza: esso è stato oggetto di riprese e modifiche da varie correnti di pensiero, fra le quali qui citiamo solo il costruttivismo, ad esempio nella versione “radicale” di Ernst von Glasersfeld. Senza voler pretendere che questo parallelismo sia “vero”, quel che importa qui sottolineare è il valore 29

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pedagogico e didattico che lo studio della storia della scienza può svolgere nella dinamica tra docente e discente nello stimolare la riflessione sulle modalità con le quali le difficoltà cognitive personali vengono affrontate in rapporto alle strade percorse dallo sviluppo del pensiero scientifico: dall’animismo alla metafisica, dalla credenza ingenua nella verità ostensiva dei sensi all’astrazione ideale galileiana, dall’approccio tassonomico a quello delle idee pre-concette care a Claude Bernard, è possibile per il docente accorto condurre i propri discepoli all’acquisizione progressiva di una matura consapevolezza dei processi di pensiero applicati ed applicabili nell’apprendimento scolastico e nelle problematiche quotidiane che la vita presenta. Quindi, ad una riflessione critica sul proprio modo di ragionare. Molti studi sulle dinamiche di cambiamento concettuale negli studenti hanno affrontato questo problema, evidenziando l’importanza delle vedute costruttiviste e della storia della scienza (Duit 1994; Gonen 2008; Limon 2002; Niaz, Aguilera, Maza, Liendo 2002; Posner, Strike, Hewson, Gertzog 1982; Wandersee 1985). 8. Conducono all’acquisizione di competenze chiave Senza voler riempire artificiosamente le caselle della griglia delle competenze così come attualmente declinata dai documenti europei e ministeriali, vogliamo sottolineare quali guadagni didattici nell’uso dell’approccio storico e filosofico alla scienza possono essere declinati nel linguaggio della didattica per competenze. a) L’uso delle fonti primarie. Abituare gli studenti alla lettura ed alla comprensione critica – vorrei dire filologica – delle fonti primarie della storia della scienza, dal Dialogo galileiano ai Principia di Newton, dai Versuche di Mendel all’Origin di Darwin significa rinforzare la abilità di leggere, comprendere ed interpretare testi, a sua volta fondamentale per le competenze del comunicare e del risolvere problemi. L’attenzione critica che, di conseguenza, si sviluppa nei confronti della letteratura secondaria, compresa la manualistica scolastica, si trasfonde nella competenza della acquisizione e della interpretazione di informazioni. b) La capacità di formulare e difendere un argomento. Attraverso la ricostruzione storica dei dibattiti e delle dispute scientifiche si realizza nei discenti la capacità di argomentare e quello che abbiamo chiamato pensiero critico, quindi si contribuisce alla costruzione delle competenze dall’individuare collegamenti e relazioni e del comunicare. c) La conoscenza critica dei paradigmi scientifici che si sono succeduti 30

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nel corso dei secoli e delle dinamiche che hanno prodotto e guidato tali mutamenti, abitua i discenti ad anticipare e rispondere alle sfide poste dai rapidi cambiamenti proposti dalla globalizzazione, che sono aspetti delle competenza della risoluzione dei problemi e dell’agire in modo autonomo e responsabile. d) Numerosi studi e ricerche (Ratcliffe, Grace 2003; Coulò 2011) richiamano la necessità che l’insegnamento delle discipline scientifiche non trascuri riflessioni sulle ricadute sociali ed etiche della ricerca scientifica. Oltre agli aspetti epistemologici sottolineati nei punti precedenti, anche gli aspetti di diretto coinvolgimento valoriale sono stati sottolineati come costitutivi dell’istruzione scientifica. Questo punto, oggetto della riflessione filosofica negli ultimi decenni (Laudan 1984; Lacey 1999; Longino 2006), costituisce uno dei tre pilastri su cui è stato costruito un corso di introduzione all’istruzione scientifica in Gran Bretagna (Taylor, Swinbank 2011): oltre a quello scientifico ed epistemologico, l’aspetto etico ha ricevuto pari dignità nella strutturazione del master (Taylor et al. 2007). Bybee et al. (1991) hanno insistito sul goal of citizenship conseguibile mediante lo studio della storia della scienza e della Nos, riproponendo un documento ormai datato della National Science Teachers Association nel quale si ricordava come una literacy scientifica efficace, per esercitare appieno la propria funzione di cittadini consapevoli, passa attraverso la matura comprensione delle reciproche influenze tra scienza e società, la consapevolezza che la conoscenza scientifica è il prodotto sia del processo della ricerca con i suoi condizionamenti socio-economici sia della dialettica concettuale delle teorie e la nozione che la Scienza è incerta e provvisoria, soggetta a cambiamento in relazione al progresso delle evidenze e delle tecnologie. 3. E se la storia e la filosofia della scienza invece nuocessero alla didattica delle scienze? Ci sono obiezioni a quello che noi proponiamo. E sono critiche importanti; per questo vanno prese in considerazione e contro-argomentate. Fondamentalmente, le possiamo dividere in due categorie: ci sono le obiezioni che vengono sollevate dagli storici e ci sono quelle proposte dagli insegnanti di scienze e dagli scientifici in genere. I rilievi osservati dagli storici criticano la qualità della storia che viene usata per la didattica della scienza. Un primo appunto è che si tratti di pseu31

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do-storia, con ciò intendendo la proposizione di vicende storiche scorrette, inesatte, avulse dal flusso degli avvenimenti e riprodotte a mo’ di calco da un manuale all’altro (Klein 1972). Da un certo punto di vista è quella storia in corpo otto e fondino giallo che siamo abituati a veder comparire nei nostri manuali scientifici. È quella storia obbligata – “non si può cominciare a parlare di un argomento se non se ne abbozza la storia” – eppure facoltativa – “c’è, ma se non la leggiamo non perdiamo nulla”. In quanto pseudo-storia è poi inutile per gli scopi che abbiamo elencato nel paragrafo precedente: nulla o quasi dice di importante ai fini della comprensione di come hanno lavorato gli scienziati, della comprensione della Nos: è quella storia cimiteriale, fatta di date e buoni epitaffi, nella quale tutti sono stati geni senza macchia e non avrebbero potuto fare altro che scoprire le cose che hanno scoperto. È quella che Bruno Latour chiama histoire-découverte (Latour 1997), dove tutto era scritto fin dall’inizio e il lavoro dello storico consiste nello spostare avanti o indietro nella timeline le pietre miliari della scienza. Ma noi non possiamo che concordare con Klein e gli altri che negano a questa storia alcun valore nella didattica delle scienze. Oltre al rischio della pseudo-storia altri Autori segnalano quello detto della quasi-storia (Allchin 2004; Whitaker 1979). Quest’ultima sarebbe una ricostruzione storica non semplicemente “errata” per ipersemplificazione o mancanza di posizione critica, ma sarebbe coscientemente “corretta” in vista della tesi che si desidera sostenere o dell’argomento scientifico che si vuole illustrare. Una storia ricostruita ad hoc, quindi scegliendo fonti e materiali e combinandoli in maniera consapevolmente colpevole. E il nostro nume Mach sarebbe la dimostrazione di quanto questa storia può nuocere alla scienza, visto che egli – guidato dalle sue convinzioni epistemologiche – fu uno strenuo oppositore dell’esistenza dell’atomo e dell’elettrone. Brush (1974) ha sostenuto che la storia della scienza finisce in questo modo con il disinteressarsi sempre di più ai contenuti scientifici privilegiando quelli umanistici ed epistemologici, producendo così un doppio danno nei discenti: invece di studiare oggetti scientifici sarebbero sviati verso concetti filosofici e insistendo sulla relatività delle teorie e delle leggi scientifiche si finirebbe con l’instillare scetticismo e sfiducia nei confronti della scienza da parte degli studenti. La risposta a questa obiezione va articolata. In primo luogo, la maggior parte di queste critiche è stata formulata negli anni Settanta, passando in rassegna la storia della scienza positivista, le posizioni di Sarton, Gillespie, Koyré per arrivare a Kuhn. Il costruttivismo e la storia sociologica della scienza dei decenni successivi hanno tolto 32

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molto del valore a questo tipo di argomentazioni: la storia della scienza che si scrive oggi è molto più sofisticata ed attenta ad una molteplicità di fattori determinanti di quanto non fosse la storia della scienza usata per produrre la quasistoria incriminata. In modo molto più generale, poi, noi riteniamo questa obiezione abbastanza naïf. Ogni storia è una quasistoria, nel senso che ogni ricostruzione storica è – appunto – tale. La pretesa dell’oggettività o della verità delle ricostruzioni storiche fa parte di una visione storiografica ingenua e sorpassata. Lo storico della scienza, al pari di qualsiasi altro storico, sceglie coscientemente tra i materiali storiografici a sua disposizione quelli più adatti alla ricostruzione storica che è sempre guidata da un’idea e li dispone in guisa che quella idea ne venga illuminata al meglio. L’onestà dello storico sta nel dichiarare quale tesi informa il suo lavoro, non nel credere che non ci sia nessuna tesi. Si tratta del passaggio dall’histoire-conditionnement, attraverso l’histoire-formation, alla histoire-construction nell’ottica latouriana. Questa versione articolata e densa della ricostruzione storica, una volta esplicitata la tesi che la governa, è appunto il genere di storia della scienza che fa bene all’insegnamento scientifico, ma di questo si dirà fra qualche riga. Qui voglio solo rincarare la dose: se si potesse – e si può – scrivere una storia della scienza ad hoc per l’insegnamento delle materie scientifiche, non mi scandalizzerei affatto: salvata l’onestà declaratoria, una ricostruzione storica guidata da un obiettivo didattico sarebbe buonastoria come altre. Un’argomentazione ulteriore mossa da questi critici è molto più dura. Si tratta dell’atteggiamento diverso che hanno gli storici e gli scientifici (scienziati e insegnanti di scienze) nei confronti dell’oggetto “scienza”: un modo di guardare ai concetti scientifici che è stato paragonato al principio di complementarità in fisica quantistica (Stuewer 1998). «Molti insegnanti di fisica di tutti i livelli di istruzione riconoscono l’opportunità di includere la storia della fisica nel loro insegnamento, ma quando sono sul campo, ad insegnare, mostrano un profondo pregiudizio anti-storico cosicché il loro comportamento contraddice apertamente le loro affermazioni» (Jammer 1972). Questo accade perché il punto di vista dello scienziato, e dell’insegnante di scienze, è antitetico rispetto a quello dello storico della scienza: i primi sono preoccupati di espugnare la fortezza di un problema scientifico con le armi dirette della logica e della matematica, con lo scopo di comprendere la natura, riconducendone le leggi al minimo numero possibile e alle formulazioni più semplici ed eleganti concepibili. Il loro scopo è velocità e sintesi, precisione e chiarezza. La ricerca dello storico è invece 33

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verso la complessità: più che espugnare la fortezza gli interessa interrogare i caduti, verificare le strategie perdenti oltre quelle vincenti, compulsare le lettere e i diari della guerra allo scopo di squadernare la ricchezza stupenda dei fenomeni connessi nell’avventura umana, combattendo la tendenza all’ipersemplificazione ed all’ignoranza filosofica. Ergo, sta in questo il principio di complementarità: un paradigma scientifico può essere studiato, aggredito ed appreso con il metodo logico-deduttivo, ma questo punto di vista deve farsi da parte se dello stesso paradigma ci interessa la comprensione in termini storico-antropologici. Una specie di dualismo onda-particella che coinvolge metodi, fonti, obiettivi dei due punti di vista complementari. Su questa seconda questione bisogna essere più cauti: qui, ad essere un problema è, in verità, l’obiettivo che si vuole raggiungere con la didattica delle scienze. Se ci accingiamo a formare tecnici aggiornati, buoni compilatori di test OCSE- PISA, vincitori di astrusi quanto elefantiaci test per l’ammissione alla Facoltà di Medicina, piccoli chimici, piccoli ingegneri, la pretesa di costruire contestualmente cittadini consapevoli e competenti è decisamente schizoide, almeno per quel che riguarda l’approccio storico-critico. Il modo di vedere le cose che si ottiene insegnando una scienza con un profilo umanistico richiede tempo, dedizione e non produce come risultato tecnici pronti ad entrare nelle catene di produzione industriale il giorno dopo l’esame di maturità. Con Giorgio Israel e Paola Mastrocola qui dobbiamo spezzare una lancia in favore della chiarezza: non si può insegnare nei licei la scienza allo stesso modo che negli istituti professionali e le parole “conoscenze, abilità, attitudini, competenze”, se non devono essere vuoti slogan per burosauri ministeriali in vena di documentalese, devono accendersi di significati complessi e differenti a seconda dei luoghi dove vengono declinate. Le obiezioni mosse dagli scientifici alla nostra proposta sono in parte già state accennate nelle righe precedenti: troppo tempo – perso!? – in questioni storico-filosofiche e sottratto al poco tempo disponibile per scorrere i programmi curricolari. (Anche qui altra aporia degli ineffabili compilatori di Linee Guida ed Indicazioni Nazionali: incrementano obiettivi e decrementano orari, da questo punto di vista non sono molto scientifici). La ricerca della complessità dell’approccio storico-filosofico muove poi in direzione opposta della richiesta di chiarezza e distinzione dello spirito geometrico: tutta questa congerie di controversie, paradigmi in contraddizione, distinguo e ubbie alla Duhem-Quine nuocerebbe alla salute mentale dei giovani studenti che nelle discipline scientifiche chiedono risposte 34

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semplici e definitive. Il relativismo culturale, lo strumentalismo e il convenzionalismo à la Poincaré, l’antropologia della conoscenza elkaniana, la falsificabilità popperiana sono tutti fattori di un pirronismo che, se va bene per un filosofo, comprometterebbero gravemente un giovane che vuole scegliere una carriera scientifica. Come afferma Matthews (1994: 80) questa è un’affermazione empirica il cui onere della prova spetta a chi la produce. Dal canto nostro, ogni volta che abbiamo proposto, a qualsiasi grado scolastico, dalla Scuola Secondaria di primo grado ai corsi universitari, un arricchimento storico filosofico agli argomenti di fisica, matematica, chimica, biologia, abbiamo visto solo accrescere l’interesse degli studenti verso la materia e mai il contrario. Per rispondere ad alcune questioni sollevate in questo paragrafo dobbiamo chiarire alcuni dettagli relativi a… 4. Quale storia e filosofia della scienza nella didattica delle scienze? A chi ha avuto la pazienza di seguirci fin qui dovrebbe essere chiaro che una vera difficoltà insita nel quadro teorico che noi proponiamo è la definizione di quale tipo di approccio storico-filosofico sia auspicabile e quali strumenti didattici siano disponibili per questo lavoro. Molto brevemente, e in maniera sperabilmente comprensibile per i non addetti ai lavori, cercheremo di illustrare le varie declinazioni della storia della scienza e le possibilità offerte. Le storie delle scienze possono essere raccontate con un’attenzione particolare rivolta allo sviluppo interno delle proposizioni teoriche, alle idee in competizione, alla dinamica dei concetti, raccontando una sorta di “storia del pensiero scientifico” che corre il rischio di restare un po’ troppo nel “mondo 3” popperiano, per cui alcuni storici della scienza italiani finiscono per negarne addirittura l’esistenza come tale. La storia della scienza è senz’altro una storia di idee che tuttavia si è incarnata in testi scritti, immagini, grafici, strumenti, laboratori, edifici, istituzioni, uomini, bombe e provette, assumendo una materialità che non può assolutamente essere trascurata. Essa, inoltre, può essere tranquillamente raccontata in relazione alle condizioni esterne che ne hanno permesso o impedito, comunque condizionato, lo sviluppo. Tali condizioni appartengono anche esse alla storia del pensiero ma non soltanto: sono descritte nella storia economica, sociale, politica, bellica delle Nazioni; fanno cioè parte della Storia tout court. 35

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Inoltre, la storia della scienza può essere scritta con scopi differenti. H. Butterfield (1949) molti anni fa mise in guardia da un certo tipo di storia, la storia scritta dai vincitori di un conflitto – bellico o scientifico che sia – che è una storia progressiva e trionfante, che nega conflitti del passato e il valore del nemico e assegna la Verità tutta al vincitore che – di solito – è lo scrittore stesso di questa storia o il principale committente. Questa storia whiggish è stata per molto tempo la storia della scienza comunemente prodotta. Da un certo punti di vista, l’insegnante di scienze è – deve esserlo – uno storico whiggish. Ma: se la storia della scienza deve essere usata come disciplina per l’istruzione scientifica, per educare una mente critica ed illuminata, allora l’approccio whigh non è adatto. Esso, con il suo enfatizzare le continuità, i facili e continui sviluppi di scoperta in scoperta assegna automaticamente allo stato attuale delle conoscenze scientifiche l’autorità immensa che la storia conferisce… La storia della scienza potrebbe aiutare lo studio della scienza mostrando che quegli sconcertanti concetti di forza, energia, ecc., sono stati fatti dall’uomo e sono evoluti in una sequenza comprensibile in risposta a problemi acutamente sentiti e assolutamente concreti. Non sono piovuti giù da chissà quale libro celeste in una forma immediatamente auto-evidente (Cardwell, in Brush, 1974: 1171).

Quindi, una storia non ciecamente progressiva, non limitata ad aspetti interni o dinamiche esterne, una storia della scienza concepita all’interno dalla più vasta storia della civiltà (occidentale), con un piglio consapevolmente costruttivista e convenzionalista, mitigato dal realismo à la Holton contro gli eccessi di taluni filosofemi sulla “scomparsa del mondo”, sul “principio di indeterminazione” o sul tout va bien. Si tratta di una concezione della storia della scienza quasi scontata per gli storici della scienza di professione ma, purtroppo e per colpa di noi stessi, ancora troppo lontana dal grande pubblico ed anche dal mondo della scuola. Da questo punto di vista bisogna veramente che la comunità degli storici della scienza si interroghi sulle sue mancanze. Come ha fatto rilevare John Heilbron (2001), fin qui abbiamo fallito nell’incontrare la domanda di rinnovamento che viene dal campo dell’istruzione scientifica. Non abbiamo convinto gli estensori di manuali di scienze per la scuola ad incorporare la storia della scienza “perché non gli offriamo ciò di cui hanno bisogno”. La storia della scienza a scuola, infatti, non può essere somministrata con un approccio additivo, aggiungendosi come carico ulteriore 36

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al curricolo in vigore. D’altro canto, esperienze come l’Harvard Project Physics, che hanno provato a strutturare un corso di scienze interamente su base storica, hanno mostrato luci ed ombre e, in pratica, sono state abbandonate. Una strada differente, percorribile, è la costruzione di una trama storica narrativa (Clough 2011; Egan 1986; Frisch 2010; Klassen 2009; Tao 2002) ricca come abbiamo cercato di descrivere, “densa” nelle sue componenti interdisciplinari sulla quale innestare i contenuti scientifici curricolari. In concreto, seguendo il suggerimento di Heilbron, quello che gli storici della scienza dovrebbero fare per “offrire ciò di cui gli insegnanti di scienze hanno bisogno” è la realizzazione di compendi di studi di caso storico, che siano modulari e caratterizzati da: • un contenuto cognitivo scientifico utile a rinforzare i concetti che gli studenti studiano nei loro manuali scolastici; • una ricca trama epistemologica e storica (del tipo costruttivista soft che ho cercato di descrivere) con consistenti richiami alle materie umanistiche e agli aspetti etico-sociali degli argomenti trattati; • un approccio narrativo; • infine, come suggeriamo in questo saggio, tutto questo si coniuga molto bene all’uso delle tecnologie digitali. Questi moduli dovrebbero essere realizzati da team di professionalità differenti: storici, filosofi, scienziati e, soprattutto, insegnanti di scienze. Questi sono gli unici, infatti, a poter decidere della usabilità di tali moduli nelle classi. 5. Chi dovrà insegnare questa storia della scienza a scuola? Mi piacerebbe che fossero i filosofi, ma solo per spirito di categoria. Invece, tocca agli insegnanti di scienze i quali, naturalmente, possono impostare unità di apprendimento interdisciplinari con i colleghi delle materie umanistiche, in primis appunto i filosofi. Ma, se non si vuole perpetuare l’equivoco perniciosissimo della separatezza delle “due culture”, è ovvio che sono gli insegnanti di scienze i protagonisti di questa impresa. Questo significa due cose: 1. I docenti di scienze devono essere convinti della validità di questo approccio, devono rivedere quello che è il loro abituale modo di pensare all’insegnamento della propria disciplina, considerando i moduli narrativi storico-epistemologici come un’accattivante opportunità di arricchimento del loro modo di interagire con gli studenti. Nelle sperimentazioni che ab37

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biamo condotto in questa direzione, questo è avvenuto regolarmente. Ma è evidente che i docenti che ci hanno seguito erano già motivati ad introdurre significativi cambiamenti nel loro modo di insegnare. 2. I docenti di scienze devono avere la possibilità di una formazione ad hoc, iniziale e permanente, su questi temi. Essi non possono, nella situazione attuale della scuola, farsi carico da soli di conseguire queste ulteriori conoscenze ed abilità. Quindi, andando in direzione contraria a quello che è stato fatto (il D.M 249/2010 ha praticamente eliminato la storia della scienza dalla formazione degli insegnanti), bisogna re-introdurre la storia della scienza nei curricola delle lauree magistrali abilitanti all’insegnamento in tutte le classi di abilitazione scientifica. E per storia della scienza va intesa non la storia della singola disciplina scientifica di quella particolare classe di abilitazione, ma la storia della scienza generale. Inoltre, vanno istituiti corsi di aggiornamento specifici per la formazione in questo tipo di didattica, con le caratteristiche epistemologiche, narrative, didattiche che abbiamo descritto. Lo scopo non sarà trasformare i docenti di scienze in storici e filosofi della scienza, ma dare ad essi la capacità di individuare le principali problematiche storico-epistemologiche presenti nei loro curricola, nei loro manuali e nella loro progettazione didattica, fornendo gli strumenti di base per consentire di insegnare le scienze in a humanistic way. Naturalmente, su questi ultimi punti sta o cade l’efficacia della proposta presentata in queste pagine. Tutti i recenti documenti della EU sull’insegnamento concordano sul ruolo chiave degli insegnanti: questi oggi sono poco motivati, mal riconosciuti nella loro straordinaria funzione sociale, mal pagati, poco aggiornati, sottoposti a un carico di impegni professionale ed etico mai così intenso, visto l’arretramento delle altre agenzie formative. Senza un corpo docente preparato, ricollocato al centro della funzione formativa e adeguatamente retribuito, le proposte che vengono dalla ricerca accademica in campo didattico e pedagogico sono destinate a restare lettera morta: I docenti sono la chiave per un insegnamento storico delle scienze coronato da successo. È necessario che vengano interessati e formati in storia. Se saranno preparati e sostenuti in modi formali e informali, la storia contribuirà al raggiungimento degli obiettivi culturali e professionali nel campo dell’istruzione scientifica; se questo non avverrà, il semplice legiferare per l’introduzione della storia nei curricola scientifici, avrà un effetto modesto. Come è stato detto sovente, buoni insegnanti possono salvare il peggior curriculum, e cattivi insegnanti possono distruggere il migliore (Matthews, 1994: 82). 38

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