Maurizio Gianotti
LA Tv AL TEMPO DEL Web 2.0 Introduzione di Gianpiero Gamaleri
Sommario
Introduzione 7 Verso il citizen journalism. Il bello della diretta attraverso il Web di Gianpiero Gamaleri Capitolo 1. Le età della Tv L’età dell’innocenza
Programma-simbolo: “Una risposta per voi”, con il prof. Cutolo
13 13
L’età dell’esperienza
15
L’età della scelta
17
L’età della gente comune
19
L’età della realtà
24
L’età del Web
31
Programma-simbolo: “Il Rischiatutto” Programma-simbolo: “Quelli della notte” Programma-simbolo: “Forum” e “Maurizio Costanzo Show” Programma-simbolo: “Grande Fratello” Capitolo basato sulle ricerche di Nicole Mottolese
Capitolo 2. Cosa guarda in Tv la gente... che guarda la Tv 49 Gli ascolti della Tv 49 “Il più grande spettacolo dopo il weekend” 50
La Tv “intelligente” – “Vieni via con me” Crimini e misfatti “Che fai, mi cacci?” Talk versus talent Non si vive di solo Santoro: “L’ultima parola” di Gianluigi Paragone Il sesso tira ancora? Sesso, sesso e ancora sesso: “Kalispera” con Ruby Dalla realtà alla finzione: fiction e telefilm Montalbano sugnu! È proprio il caso di dirlo: “Mannaggia alla miseria” Informazione superstar: Tg Chicco L’importanza di chiamarsi... format Lavorare stanca ...lascia stare i santi... Tv evergreen “Forum” e “Verdetto finale”: i teletribunali
51 54 55 58 60 62 64 65 68 70 72 74 76 78 80 82
Capitolo 3. Alla ricerca della nuova Tv La Tv senza la Tv: la piazza globale Da “Reality Run” a “I fuggitivi”: alla ricerca della piazza globale Il bar globale Streetcam Il VoiP arriva in Rai Esperimenti all’Università Un modello di nuova Tv… senza la Tv
85 85 91 120 122 125 127 134
Link utili
141
Introduzione Verso il citizen journalism
Il bello della diretta attraverso il Web
Questo libro di Maurizio Gianotti è una miniera tutta da scoprire. Le pietre preziose che se ne possono ricavare sono costituite dalle notizie più avanzate nel campo dei programmi televisivi ormai indissolubilmente legati al mondo del Web. Questo intarsio di Tv e internet è una strada avviata da cui non si può tornare indietro. Ricordo che per decenni, gli ingegneri e i tecnici della Rai, ma non solo della Rai, avevano difeso strenuamente la qualità tecnica delle trasmissioni, escludendo ogni servizio che non si attenesse agli standard previsti. E ciò aveva consentito di mantenere un “segnale” di grande livello, che ha giovato al prestigio dell’azienda anche sulla scena internazionale. Ma progressivamente, con la disseminazione di tecnologie innovative sia di produzione che di diffusione, questo bastione ha cominciato a sgretolarsi. Un’analoga evoluzione era avvenuta, negli anni ’70, con la generazione dei Piero Angela, Bruno Vespa, Paolo Frajese, a seguito della sostituzione degli annunciatori dei telegiornali con i giornalisti, abilitati questi ultimi non solo a scrivere i pezzi, ma anche ad adattarli al momento della loro presentazione in video, facendoci assaporare, accanto a qualche pronuncia discutibile, anche “il bello della diretta”, un modello di informazione viva, raccontata durante lo stesso svolgersi dei fatti. 7
Il rogo di Viareggio Ora, tornando all’evoluzione tecnologica, ci sono stati alcuni momenti emblematici che hanno segnato l’ingresso del Web nella Tv. Ricordo ad esempio la catastrofe di Viareggio. Era il 29 giugno 2009. Tra i primi ad avvicinarsi al disastro sono stati due ragazzi in motorino che hanno fatto la ripresa delle fiamme che si sprigionavano dal terribile rogo mentre percorrevano una strada d’accesso. Le troupe della Rai e di altre emittenti erano ancora ben lontane dall’arrivare. E fu possibile così avere una telecronaca spontanea, data dalle parole che il giovane sul sellino posteriore pronunciava all’orecchio dell’altro che stava alla guida. Parole, da toscani veraci, infarcite anche di espressioni molto colorite che non erano altro che i punti esclamativi che accompagnavano l’emozione di essere testimoni, sempre più da vicino, di un disastro dai tratti infernali, come le lingue di fuoco prodotte dal gas liquido che si insinuava in ogni anfratto, tramutando tante persone in torce umane. Come rinunciare a una “testimonianza” così diretta per attenersi ai protocolli tecnici previsti dai manuali? Da allora sempre più frequentemente si è verificato il caso che immagini e suoni portatori di informazioni esclusive avessero accesso alla diffusione televisiva anche dei grandi broadcaster. Si è affermato così il citizen journalism, che ha coniato anche il brand “YouReporter” come branca specializzata di “YouTube”. E i casi si sono moltiplicati con l’avvento di cellulari multimediali di nuova generazione e con iPood e tablet idonei a registrare e a trasmettere anche in tempo reale eventi di cui semplici cittadini si trovavano ad essere protagonisti.
Dalla Siria a Gheddafi solo immagini via Web Così, sotto i nostri occhi, nell’arco di pochi anni, il giornalismo televisivo, ma anche l’intrattenimento, si sono profondamente trasformati. A tal punto che vi sono eventi di portata internazionale che sono documentati pressoché unicamente dagli obiettivi dei cellulari. 8
Nell’ambito della “primavera araba”, la cui scintilla ha preso fuoco attraverso i social network, i tragici avvenimenti della Siria passano pressoché esclusivamente attraverso le riprese dei telefonini. E i giornalisti che si sono avventurati a Oms hanno purtroppo pagato con la vita la loro presenza. E sempre al Web erano state affidate alcune agghiaccianti immagini di operazioni militari in Irak, con uccisioni anche là di civili e reporter, carpite ai servizi segreti da Wikileaks. Tornando alla Siria, una delle prime immagini da cellulare rappresentava due giovani sposi, falciati da una raffica di mitra mentre erano su uno scooter, riversi sull’asfalto e con altri giovani che cercavano di avvicinarne i corpi trascinandoli con rampini per non esporsi a loro volta al fuoco dei cecchini. Una scena atroce che fece dire a Hilary Clinton: “Non possiamo non fare qualcosa”. Per non parlare, in Libia, dell’uccisione in diretta di Gheddafi in un video che ci colpì profondamente non solo per il viso stralunato e insanguinato del dittatore, ma ancor più per le sue urla come da animale destinato alla morte. Sul fronte interno, poi, i momenti più significativi del naufragio della Costa Concordia sono stati ripresi dai cellulari, con immagini non solo estremamente significative per gli organi d’informazione, ma anche come fonte di prova per le future aule di giustizia. Questa è la potenza di una tecnologia ormai pervasiva che affianca minuto per minuto la vita di ciascuno di noi e con cui anche i telegiornali e i programmi di infotainement devono fare i conti, per evitare di lasciare inaccettabili buchi informativi. E la conseguenza di tutto ciò è che il contenuto di una notizia prevale sulla qualità tecnica della sua produzione e del suo trasferimento.
Il Web 3.0: verso il coprotagonismo digitale Avviene così che, pur nella sua breve vita, pure il Web abbia già le sue ere, anche se i tempi di passaggio da una all’altra sono sempre più accelerati. Il Web 1.0 ha rappresentato e rappresenta l’universo 9
della multimedialità in rete. Il Web 2.0 esprime l’evoluzione costituita dalle forme più avanzate di interattività rispetto a una fonte. Ma bisogna parlare ormai di un Web 3.0, che porta a compimento il processo rendendoci coprotagonisti della rete. Non c’è più soltanto interattività, ma compresenza costante di reale e virtuale nello svolgimento della vita individuale ed associata del singolo e dei gruppi. La celebre frase di Andy Warhol “ciascuno di noi sarà famoso per quindici minuti” viene sostituta da quella “ciascuno di noi è protagonista della rete e nella rete in ogni istante della sua vita”. E tutto questo sconvolge i canoni di ogni forma pregressa di comunicazione. Maurizio Gianotti, in questo suo lavoro, non solo fa il punto sul presente, vedendo ad esempio come Skype possa diventare canale quotidiano di produzione televisiva, ma ci documenta quali siano stati già nel passato i tentativi di sovrapposizione di reale e virtuale a fini informativi e di spettacolo. È il caso del format “I fuggitivi” da lui elaborato insieme a un’équipe di autori e mai decollato proprio per il suo profilo troppo avveniristico, teso a delineare un modello antropologico che forse esisterà o forse no, dati i rischi che esso comporta. E così ci si introduce nel grande interrogativo del futuro: il domani, quale etica praticare? Perché questo è il nocciolo della questione: sapremo conciliare la nostra “personalità digitale” con una crescita umana e con una convivenza pacifica e costruttiva? Siamo giunti a una fase molto delicata del nostro sviluppo individuale e collettivo, in cui i nostri processi cognitivi e i nostri legami sociali sono affidati a una rete complessa ricca di possibilità ma non priva di rischi? Come valorizzare le prime e contenere i secondi? Questo è l’interrogativo che aspetta non solo noi ma soprattutto le generazioni che verranno dopo. Gianotti fa il punto ed esprime l’ottimismo di chi sente il fascino del cambiamento e vi si coinvolge. Ma più che mai torna attuale il dubbio di Umberto Eco espresso fin dagli anni ’60 se saremo destinati ad essere “apocalittici o integrati”. Non possiamo dimenticare però anche la profezia di McLuhan, ispirata a un senso di ottimismo riguardo il futuro che ci aspetta: “Nei prossimi decenni spero di vedere il nostro pianeta trasformarsi in un’opera 10
d’arte; l’uomo nuovo, integrato nell’armonia cosmica che trascende il tempo e lo spazio, accarezzerà, forgerà e modellerà ogni aspetto dell’artefatto terrestre come se fosse un’opera d’arte e l’uomo stesso diventerà un’organica forma d’arte. C’è un lungo cammino da percorrere e le stelle sono soltanto stazioni di cambio, ma abbiamo cominciato il viaggio. Nascere in questo tempo è un dono prezioso e rimpiango la prospettiva della mia morte soltanto perché non potrò leggere così tante pagine del destino dell’uomo, se mi è permessa l’immagine alla Gutenberg. Ma forse, come ho cercato di dimostrare nella mia analisi della cultura postalfabetica, la storia comincia soltanto quando il libro si chiude”. Gianpiero Gamaleri1
1
Professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università degli Studi Roma Tre e direttore del Master in Global Journalism all’Università telematica UniNettuno.
11
Le età della Tv
L’età dell’innocenza
Programma-simbolo: “Una risposta per voi”, con il prof. Cutolo Dal 3 gennaio 1954, giorno del suo battesimo ufficiale, la Tv italiana di cambiamenti ne ha visti tanti. Quell’anno vanno in onda tra l’altro “Il commesso di libreria”, rubrica letteraria di Franco Antonicelli, “Arrivi e partenze” con Mike Bongiorno, “Una risposta per voi” con il professor Cutolo, “Le avventure dell’arte” e “Le avventure della scienza” (con il fisico Enrico Medi), “Musei d’Italia”... e poi “Candida” di George Bernard Shaw, “Così è se vi pare” di Luigi Pirandello, “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare con Giorgio Albertazzi (58 anni dopo è più attivo che mai, tra teatro, cinema e festival), l’adattamento televisivo di “Delitto e castigo” di Dostoevskij, sempre con Albertazzi per la regia di Franco Enriquez, “Il barbiere di Siviglia” diretto da Carlo Maria Giulini, “Passaporto”, corso di inglese in 800 lezioni. Vanno anche in onda “Un, due, tre”, il fortunato programma di satira che verrà reso famoso da Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, “In quattro si viaggia meglio”, con il Quartetto Cetra e la diretta della partita Italia-Egitto, con Nicolò Carosio e Vittorio Veltroni, padre 13
di Walter. Ma la parte del leone la fa la cultura: teatro, letteratura, arti figurative, scienza, melodramma... il pubblico televisivo della prima ora viene sommerso da uno tsunami di linguaggi alti. L’esatto contrario di quello che accade oggi. Ripercorrendo la storia della Tv appare chiaro come l’elettrodomestico più influente della storia abbia attraversato più età. Per la precisione, cinque, almeno fino a ora. La prima, per dirla con Edith Wharton, è “l’età dell’innocenza”. Totalmente priva di malizia, la televisione cerca di acculturare un Paese dove l’analfabetismo è ancora una realtà drammatica. E allora, prima di affidare la soluzione del problema al maestro Alberto Manzi e al suo “Non è mai troppo tardi”, i dirigenti della Rai, forti della mancanza di concorrenza (c’è un solo canale) e della giovinezza del mezzo cercano un linguaggio adatto al pubblico italiano. E lo trovano nella cultura “alta”. Lo “specifico televisivo”, in questa fase, non esiste ancora: la Tv attinge ad altri linguaggi. Anche le trasmissioni leggere (poche, almeno i primi anni) seguono i cliché del teatro di rivista e, a volte, dell’avanspettacolo. Il primo esempio di “specifico televisivo” è “Domenica di un fidanzato”, un testo scritto ad hoc per il nuovo medium dal giornalista de “La Stampa” Ugo Buzzolan. Nel 1955 la Tv è ancora alla ricerca di se stessa: entra l’operetta (“No, no, Nanette” e “La vedova allegra”), debutta “Appuntamento con la novella”, inizia il suo inesauribile cammino “La Tv degli agricoltori”, molti anni dopo sostituita da “Linea verde”. Sul fronte del varietà è l’anno di “Casa Cugat”, con la bellissima Abbe Lane, una sorta di Belén Rodríguez sposata non con Corona ma con un direttore d’orchestra molto più grande di lei, il “re del mambo” Xavier Cugat. Arrivano “Lascia o raddoppia?”, versione italiana del programma francese “Quitte ou double?” a sua volta mutuato da “The $ 64,000 Question”, derivato dal programma radiofonico “Take it or leave it?” e “Il musichiere”, nato in America come “Name That Tune”. E poi Padre Mariano con le sue prediche, Alberto Manzi con “Non è 14
mai troppo tardi” che combatte efficacemente la piaga dell’analfabetismo, i primi “teleromanzi” o sceneggiati... SINTESI L’italiano che vive nell’età dell’innocenza (televisivamente parlando) è intimidito dal mezzo e nel contempo curioso e disposto a imparare e migliorarsi.
L’età dell’esperienza
Programma-simbolo: “Il Rischiatutto” Da un’età all’altra si passa gradualmente. Lo specifico televisivo si fa strada e la televisione italiana assume un carattere preciso e peculiare. La Tv cresce e supera la fase infantile, mantenendo in parte la propria vocazione pedagogica e didattica rappresentata dai teleromanzi, grazie ai quali chi non ha mai avuto l’occasione di leggerli conosce finalmente i grandi capolavori della storia della letteratura. E parallelamente si impadronisce della Storia. La televisione unisce l’Italia, almeno sotto il profilo della lingua, più di quanto abbiano fatto Garibaldi e Cavour. L’Italia divisa dai tanti dialetti che sono quasi delle diverse lingue impara a conoscere l’italiano. È la grande stagione della televisione, quella rimpianta da chi l’ha vissuta: la Tv di Ettore Bernabei, di “Carosello” (altro specifico televisivo tutto italiano, fenomeno unico di una ineguagliabile forma d’arte e spettacolo finalizzata alla promozione dei prodotti), di “Studio Uno”, “Canzonissima”, “Scala reale”. La Tv di Pappagone/Peppino De Filippo, di Mina e Walter Chiari, delle gemelle Kessler, delle annunciatrici Nicoletta Orsomando, Gabriella Farinon, Aba Cercato, Rosanna Vaudetti, Paola Perissi. Una stagione che inizia con un solo canale privo di qualsiasi forma di concorrenza e che nel 1961 si arricchisce di un secondo canale, che poi diventerà Rai Due. È la stagione in cui “L’ha detto la Tv!” è un’esclamazione carica di significati solenni. 15
Il 1965 è l’anno di “Belfagor ovvero Il fantasma del Louvre”, una produzione francese venduta in tutta Europa con Juliette Greco, e “Le avventure di Laura Storm” con Lauretta Masiero, “La donna di fiori”, regia di Anton Giulio Majano con Ubaldo Lay nei panni del tenente Sheridan, figura creata da Casacci e Ciambricco per “Giallo club”. Il 1970, invece, è quello della prima edizione del “Rischiatutto”, il secondo telequiz più visto della storia della televisione italiana dopo “Lascia o raddoppia?”. “Fiato alle trombe, Turchetti” più che un’esortazione è un autentico mantra rivolto dal guru Mike Bongiorno al suo direttore d’orchestra. Altri emblemi dell’era classica della Tv sono “Il segno del comando” (1971), di Daniele D’Anza con Ugo Pagliai e Carla Gravina e “Le inchieste del commissario Maigret” (1964-1972) con Gino Cervi. Ma già nel 1965 il germe di una nuova era della Tv si insinua nelle case degli italiani: si tratta di “Specchio segreto” di Nanni Loy, seguito dodici anni dopo, nel 1977, da “Viaggio in seconda classe”. Lo specchio segreto è l’italico sinonimo di un concetto assai noto oltreoceano: la “candid camera”. Uno degli stratagemmi narrativi più usati (e abusati) all’epoca negli Stati Uniti viene utilizzato sotto mentite spoglie, o meglio, con un altro nome a causa della scarsa confidenza degli italiani con la lingua inglese, per uno straordinario viaggio nel nostro paese. “Specchio segreto” descrive la psicologia degli italiani in quel particolare momento storico almeno quanto capolavori documentaristici quali “Viaggio nella valle del Po alla ricerca dei cibi genuini” di Mario Soldati (1957), “Viaggio nel Sud” di Virgilio Sabel (1958), “Viaggio nell’Italia che cambia” di Ugo Zatterin (1963) e “Comizi d’amore” di Pier Paolo Pasolini (1965). In età più matura lo specchio segreto perderà il suo alone mitologico e la sua aura antropologica e tornerà ad essere quello che era nel Paese d’origine: un genere goliardico, basato sugli scherzi. Non a caso troverà il suo habitat nelle reti Fininvest, che in quanto a spirito goliardico, specialmente all’inizio, non sono seconde a nessuno. 16
SINTESI Il telespettatore italiano che vive in pieno l’età dell’esperienza ha con la Tv un rapporto simbiotico, un po’ come con un coniuge con il quale c’è affiatamento e affetto, magari non una passione travolgente ma un legame inscindibile. Insomma, un matrimonio felice. La Tv è la compagna della sera, un commensale in più per il quale, a pranzo e a cena, c’è sempre un posto a tavola.
L’età della scelta
Programma-simbolo: “Quelli della notte” Le cose cambiano. Già con l’avvento del secondo canale Rai, nel 1961, la Tv offre un germe di interattività. Nel senso che il telespettatore può scegliere. Le alternative non sono molte, ma è pur sempre meglio di niente. Ma la vera novità è il debutto, nel 1979, di Rai Tre, che inizialmente è la Cenerentola della Tv ma dopo qualche anno rivela tutte le proprie potenzialità. Specialmente quando, nel 1987, la sua direzione viene affidata a un intellettuale prestigioso, Angelo Guglielmi, membro a suo tempo del “Gruppo ’63”, fucina dell’avanguardia letteraria e poetica italiana. Alla tripartizione dei canali corrisponde una divisione politica: Rai Uno è espressione della Democrazia Cristiana, il partito di governo; Rai Due è legata al Partito Socialista; Rai Tre invece è pertinenza del Partito Comunista. Ma la nascita di Rai Tre non è l’unico grande cambiamento subito dalla Tv in questo periodo: nel 1972 Peppo Sacchi fonda Telebiella, approfittando di un vuoto legislativo (la legge vigente è del 1936 e non esclude la possibilità di trasmettere via cavo) aprendo di fatto la strada alle Tv private. Nel 1974 nascono le prime emittenti private via etere e nel 1976 vengono legittimate. Da questo momento i teleschermi vengono invasi da curiosi personaggi, cui anni dopo la Gialappa’s Band dedicherà la meritata attenzione nel programma “Mai dire Tv”. Maghi, teleimbonitori, improbabili conduttrici dalle forme procaci ma dall’inequivocabile accento regionale, mezzobusti 17
dalla sintassi ermetica ma soprattutto strepitose casalinghe che, con una mascherina sul volto, fanno per un pubblico maschile e attento quello che oggi si chiama “burlesque” mentre all’epoca è semplice spogliarello. Gli spot pubblicitari sono degni delle trasmissioni che li ospitano: pizzerie, boutique ma soprattutto mobilifici (il mitico Aiazzone con il suo testimonial Guido Angeli è il più noto) in un tripudio che rappresenta il più puro esempio di “trash”, categoria che storicizzerà qualche anno dopo l’orrore e il cattivo gusto quotidiano. L’età della maturità in fondo è la più pura espressione di teledemocrazia: ce n’è per tutti, per il volgo e per l’inclita. Si può scegliere tra un varietà di Rai Uno, un Arbore per palati raffinati su Rai Due, una trasmissione ammiccante con doppia lettura e infiniti rimandi dalla Rai Tre di Guglielmi. Ma non è tutto: quando alla direzione di Rai Due arriva il situazionista Freccero, il tasso neuronale si alza, mentre Rai Tre progressivamente alza le barriere e il ponte levatoio e diventa una fortezza (o un fortino) che custodisce i migliori intelletti della sinistra italiana. Intanto le emittenti locali onuste di casalinghe nude, mobilifici (“Son contento d’esserci andato, ma da chi, da Granato...”) cominciano a cedere le frequenze a un costruttore milanese con la passione per la televisione. E così, con la nascita di Canale 5, seguito da Italia 1 e Retequattro, ecco il monopolio traformarsi in duopolio. Tutto il resto è noia, direbbe Califano. Ed è noia perché è una storia infinite volte raccontata. Libertà di scegliere tra un canale e l’altro, dunque. Ma anche l’avvento del modello Fininvest: le serie “Dallas” e “Dynasty” introducono un moderno sogno americano che influenza profondamente il gusto del pubblico. Per il momento siamo sempre in un ambito tradizionale: la Tv la fanno i professionisti (o gli aspiranti tali). Arrivano anche le soap opera (“Beautiful”, “Sentieri”, “Aspettando il domani”) e le telenovelas argentine, precedute da quelle brasiliane interpretate da Sonia Braga (fortunatamente passata ad altro) e Veronica Castro. SINTESI Il telespettatore italiano che vive questa fase è consapevole di avere 18
in mano un’arma potentissima: il telecomando. è l’era dello zapping. L’attenzione del telespettatore non va data per scontata: va conquistata.
L’età della gente comune
Programmi-simbolo: “Forum” e “Maurizio Costanzo Show” Doveva succedere: l’abusatissima citazione di Andy Warhol (“Nel futuro, ognuno sarà famoso per quindici minuti”) ha fatto da detonatore a una micidiale miscela esplosiva fatta di vanità personale, voglia di apparire e, in ultimo, bisogno di denaro: è l’era del “people show”, della gente comune che da spettatrice si fa protagonista. “La Tv la facciamo noi!”, potrebbe essere lo slogan dei protagonisti. Potrebbe, se effettivamente fossero loro a farla e non, come succede nella maggior parte dei casi, gli autori. Ma procediamo per gradi. Non che la gente comune in Tv non ci fosse anche prima; i concorrenti di “Lascia o raddoppia?” e del “Rischiatutto” erano persone comuni (o quasi: nel primo telequiz della Tv italiana tra i concorrenti, lo ricordiamo, c’è anche John Cage nell’insolito ruolo dell’esperto di funghi e comunque ogni partecipante è a modo suo un “mostro di conoscenza”). Ma il concorrente del telequiz è indispensabile alla realizzazione del programma. Se non ci fosse lui, a chi verrebbero rivolte le domande? Il concorrente è funzionale alla domanda e all’impianto del telequiz e fornisce anche stimoli allo svolgimento di ogni puntata con la propria personalità. Ma appare in Tv con un compito preciso che non è essere se stesso e raccontare la propria storia ma rispondere alle domande, fornendo materia prima al gioco. A un certo punto l’uomo della strada si trasforma da fruitore della Tv in suo protagonista. Come? Attraverso l’epopea del “people show”, dove persone comuni si spettacolarizzano diventando loro stesse la materia prima del programma. Il primo people show di grande successo è “Tra moglie e marito”, condotto da Marco Columbro per quattro edizioni dal 1987 al 1991 19
su Canale 5 nella fascia preserale. Il programma è l’adattamento italiano di un format americano, “The Newlywed Game”, trasmesso per la prima volta dalla ABC nel 1966. È un people show in cui i protagonisti, tre coppie di coniugi, devono rispondere ad alcune domande che hanno lo scopo di rilevare il tasso di conoscenza del partner. Non è un quiz ma un game show; le domande, moderatamente pepate, vertono sulla quotidianità di ogni singola coppia. I due coniugi che dimostrano di conoscersi meglio vincono un premio in denaro. In “C’eravamo tanto amati”, condotto da Luca Barbareschi dal 1989 al 1994 su Retequattro, le coppie litigano davanti alle telecamere con la attiva partecipazione di suoceri, parenti e amici vari. Questo è un vero “people show”: lo spettacolo è costituito esclusivamente dalle testimonianze di vita vissuta e dalle liti delle coppie. Ma le liti più accese e più (almeno apparentemente) autentiche sono quelle di “Forum”, che nasce nel 1985, cambia conduttrice (Catherine Spaak, Rita Dalla Chiesa, Paola Perego e di nuovo Rita Dalla Chiesa) e rete (Canale 5, poi Retequattro, infine di nuovo Canale 5) ma continua ad andare in onda tutti i giorni ancora oggi. Il merito della longevità e del successo del programma è il suo meccanismo: a “Forum” si affrontano due contendenti che hanno un contenzioso legale ed economico (solitamente una richiesta di risarcimento danni, ma anche l’affidamento di un figlio, un assegno di mantenimento, la revoca di un licenziamento senza giusta causa). La lite, che segue lo schema del dibattimento in tribunale, si svolge davanti a un giudice arbitro (tutti ricordano Santi Licheri, il giudice televisivo per antonomasia, scomparso qualche anno fa, così come l’avvocato Tina Lagostena Bassi, anche lei non più tra noi). Nei pochi minuti a disposizione per ogni “causa”, i contendenti si dicono di tutto, tirando spesso in ballo questioni private, delicate dinamiche familiari o matrimoniali. Alla fine il giudice emette la sua sentenza dando ragione a uno dei due. Un altro people show è il mitico “Al posto tuo” di Rai Due (prima con Alda D’Eusanio, poi con Paola Perego, infine con Lorena Bian20
chetti). Anche questo è un people show come “Forum”, da cui si differenzia per la mancanza di un tribunale, di un contenzioso legale e della sentenza conclusiva. Ogni puntata di “Al posto tuo” affronta una delicata e spesso scabrosa situazione familiare o di coppia. Al centro di ogni puntata, una persona qualunque desiderosa di condividere il proprio problema con i circa tre milioni di fedeli telespettatori che seguono il programma. In studio, parenti e amici che dicono la loro. E naturalmente un pubblico parlante e attivo che trasforma la discussione in telerissa. Inevitabilmente le questioni più gettonate sono quelle legate alla coppia, che si dipanano attraverso un insieme di storie “evergreen” ripetute all’infinito: lei mette la minigonna, lui non vuole; lui vuole fare le vacanze estive con gli amici, lei lo vorrebbe tutto per sé; lui (o lei) ha un amico/a del cuore, naturalmente di sesso opposto e il partner si ingelosisce. Lo schema è ripetitivo, la sua declinazione di volta in volta diversa. Ciò che è sempre uguale è la carica di rabbia che rende i protagonisti simili ai contendenti di “Forum”. E poi, come da copione, le segnalazioni malevole di “Striscia la Notizia” che scopre che un marito che litiga nel programma della D’Eusanio precedentemente aveva litigato a “Forum” nei panni del padre o del collega o altro. Insomma, la solita maledizione del “taroccamento”. Nel caso di “Al posto tuo” è un po’ difficile dire, come si fa da anni a Forum, che uno dei due contendenti è vero mentre l’altro non lo è ma “rappresenta” la persona citata per dare un contributo alla conoscenza del funzionamento del diritto civile in Italia. E infatti, quando la D’Eusanio viene sostituita da Paola Perego che già aveva sostituito per ben sette anni Rita Dalla Chiesa a “Forum”, un crawl rivela ai telespettatori che i protagonisti del programma sono attori. Una precauzione necessaria. O una excusatio non petita. Ma il diretto competitor di “Al posto tuo”, che va in onda ogni giorno subito dopo le 14, non è “Forum” ma “Uomini e Donne”, la fortunata trasmissione di Maria De Filippi che in quella fascia è leader indiscussa. “Uomini e Donne” nasce nel 1996 come “people show” che mette in scena i problemi di una coppia. Praticamente è 21
la versione adulta di “Amici”, people (talk) show tipicamente giovanile sempre dell’eclettica De Filippi. Successivamente “Uomini e Donne”, come spesso accade ai programmi della “zarina” (così la chiamano molti addetti ai lavori a causa della sua determinazione e del carattere deciso), cambia formula e mette in scena un complesso rito di seduzione, che ha come protagonisti “tronisti” e “corteggiatrici” nel tentativo di dare vita a una coppia. La formula piace e dimostra che cambiare in corsa si può. Lo stesso avverrà, con risultati clamorosi, ad “Amici”, di cui parleremo nel prossimo paragrafo. Insomma, fino a ora abbiamo parlato di “people show” dove la cosiddetta gente comune non è comune per niente; o meglio, finge di esserlo, ma in realtà, recitando una parte, cessa di essere comune e si trasforma in gente di spettacolo senza però esserlo ma nutrendo in cuore il desiderio di diventarlo. Triste destino foriero di frustrazioni e nevrosi. Le cose cambieranno nell’“età della realtà”. È doveroso dire che esistono “people show” dove “the people” è veramente people: la gente è gente o meglio, “gggente”. Si tratta di “Carràmba! Che sorpresa” con Raffaella Carrà, programma nato nel 1995 e di “C’è posta per te”, ancora una volta con Maria De Filippi. A dire il vero, c’è anche “Stranamore”, con il povero Alberto Castagna, che nasce all’inizio degli anni ‘90 e, a dire il vero, a volte viene sfiorato dal sospetto di taroccamento (sospetto ingiusto, almeno nella maggior parte dei casi). In tutti e tre i programmi c’è un elemento ricorrente: la ricerca di qualcuno che si è perso di vista. La Carrà privilegia genitori, figli, fratelli, amici che non si vedono da anni per via della lontananza fisica (è un programma in cui si parla molto di emigranti) e li fa incontrare con esiti molto commoventi. Le lacrime sono autentiche, la sorpresa anche (certo, chi partecipa a “Carràmba! Che sorpresa” dopo un po’ potrebbe intuire cosa lo aspetta)... la gente anche. Maria De Filippi predilige le scuse o i messaggi d’amore. Anche in “C’è posta per te” ci sono momenti di grande commozione: vedere un padre cercare davanti a milioni di telespettatori di recu22
perare il rapporto con i figli abbandonati da anni è uno spettacolo straziante. “Stranamore” (preceduto da un dimenticato “Perdonami” condotto su Retequattro da Davide Mengacci), riservato essenzialmente alle questioni d’amore, mette in scena la richiesta di perdono o la dichiarazione d’amore. Il momento topico della trasmissione è in studio davanti a una porta: l’amata/o accetterà di perdonare il fedifrago/a o dirà di sì alla dichiarazione d’amore? La porta si apre e... a) l’amato/a scende le scale e si getta tra le braccia del protagonista; b) la porta si apre e l’amato/a scende per gelare il sangue del protagonista respingendo le sue proposte con motivazioni spesso molto dure; c) la porta si apre e dietro non c’è nessuno: l’amato/a piuttosto che incontrare il protagonista preferirebbe tagliarsi un braccio. C’è anche un’ipotesi d: quando il messaggero (il corrispondente del postino di “C’è posta per te”) si presenta a casa dell’amato/a e quest’ultimo capisce chi è il mittente del videomessaggio, a volte scatta una reazione molto sgradevole: l’amato/a prega il “go between” di togliersi dai piedi e soprattutto di portare via ogni traccia del malcapitato mittente, che evidentemente deve avere la coscienza sporca. Insomma, malgrado la tendenza tutta italiana al taroccamento, il “people show” esiste davvero e diventa fenomeno sociologico. Da un lato, ci sono programmi che veramente esercitano la funzione di terapia di coppia o di mediazione familiare; altri invece generano mostri, cioè persone comuni che rimanendo persone comuni sono costrette a fingere di essere diverse da quel che sono e fingi oggi fingi domani ci prendono gusto e desiderano continuare a fingere. E così o vengono promossi a “tronisti”, “corteggiatrici” o perlomeno “opinionisti”, oppure si preparano all’età successiva, quella della realtà. 23
SINTESI Il telespettatore italiano che vive questa fase realizza la profezia di Andy Warhol. Ma presto capisce che un quarto d’ora di celebrità è poca cosa rispetto a una vita di anonimato: dieci minuti non bastano più, come minimo ci vogliono dieci anni.
L’età della realtà
Programma-simbolo: “Grande Fratello” I primi segni si erano visti nell’età dela gente comune, con la nascita di associazioni di concorrenti di quiz e game show, veri organismi di tutela, quasi dei sindacati per chi, avendo mangiato la foglia, recitando l’italico mantra “Cà nisciuno è fesso”, si organizza per trasformare le apparizioni televisive in reddito, possibilmente fisso o quanto meno occasionale ma non troppo. Ce n’eravamo accorti, ma non pensavamo che la Tv avrebbe creato dei mostri. O meglio, che la Tv potesse creare de mostri era sotto gli occhi di tutti, ma che questa potesse trasformarsi da eccezione in regola, era tutt’altro che scontato. Ci hanno pensato i reality show a fare compiere all’umanità il fatidico salto. è proprio il caso di dirlo: in principio fu il “Grande Fratello”. La madre (o il padre, come preferite) di tutti i reality ha sconvolto ogni Paese in cui è stato trasmesso. Si tratta di un fenomeno planetario: in ogni nazione minimamente moderna (a eccezione quindi di alcune repubbliche islamiche o di arcaiche dittature) “Big Brother”, realizzato secondo i canoni, le abitudini e le modalità locali, pone uno striminzito gruppetto di persone al centro dell’attenzione. I telespettatori, trasformati improvvisamente in voyeur, iniziano a interessarsi delle banali vicende quotidiane dei concorrenti che abitano la cosiddetta “casa”. Un tempo perché un interesse simile venisse rivolto a una persona comune occorreva che questa fosse protagonista di una tragedia: 24
come il povero Alfredino Rampi protagonista a Vermicino della più lugubre e tragica diretta della storia del servizio pubblico, e come gli aviatori Cocciolone e Bellini, abbattuti dalla contraerea irachena durante la prima guerra del Golfo. O come accade oggi allo sventato comandante Schettino, al centro della tragica vicenda del naufragio della Costa Concordia. Ma i concorrenti del “Grande Fratello” non hanno bisogno di lanciarsi con il paracadute da un caccia in fiamme né di affondare una nave: a loro basta dire un mare di banalità e luoghi comuni, discutere, corteggiarsi, al limite baciarsi oppure scambiarsi effusioni in modo evidente ma non visibile. Insomma, fare quello che normalmente facciamo tutti e che si identifica con il vivere quotidiano. Vivere quotidiano che di solito non ci interessa, a meno che non riguardi i VIP (ma in questo caso si tratta di gossip, non di reality). L’idea di poter spiare, non visti, quel che accade nella casa accanto, con particolare ma non esclusiva attenzione alla camera da letto, è uno dei sogni proibiti più diffusi. Scoprire origliando ciò che mormorano nell’intimità della loro casa i nostri vicini è quanto di più eccitante ci possa essere. L’interesse dei telespettatori e la motivazione principale del successo di questo e altri reality sono dunque nel voyeurismo che affligge la maggior parte degli esseri umani. C’è naturalmente chi rifiuta l’idea di essere affetto da voyeurismo o da curiosità morbosa e motiva l’interesse per “Grande Fratello” (da notare l’effetto irritante provocato dall’eliminazione dell’articolo determinativo scelta forse per cercare una consonanza con il titolo originale inglese lasciando però nel telespettatore che ama la lingua italiana un senso di frustrazione) con l’effetto “gatto spiaccicato sull’autostrada”: vedo uno spettacolo raccapricciante e malgrado il disgusto che questo mi provoca non riesco a distoglierne gli occhi, ipnotizzato dall’orrore. Si tratta chiaramente di una menzogna determinata dalla cattiva coscienza di chi si sente intellettualmente superiore a ciò che vede in Tv. C’è poi chi fa appello alla ricerca scientifica. Sono gli epigoni, a volte consapevoli, più spesso inconsapevoli, del prof. Henry Labo25
rit, l’etologo che anticipò con i suoi interventi nel film “Mon oncle d’Amerique” di Alain Resnais i meccanismi messi in pratica (e in scena) dal “Grande Fratello” (chi scrive non riesce proprio a fare a meno dell’articolo determinativo). Se avete visto il film lo ricorderete. Due topolini venivano messi insieme nello stesso scomparto di una gabbia. Tra loro non c’era ostilità, ma una tranquilla convivenza. Il diabolico professor Laborit introduceva una variante: la gabbietta era collegata alla corrente elettrica e il professore dava la scossa ai due topi. Immediatamente i roditori, invece di cercare una via di fuga (peraltro inesistente) si scagliavano all’unisono l’uno contro l’altro, mordendosi e graffiandosi. Il perfido Laborit toglieva la corrente e i due topi tornavano a sedersi, tranquilli e pacifici. Spiegazione dell’esperimento: lo stress (la scossa elettrica) provoca aggressività che deve essere scaricata. Perché? Ce lo fa capire la seconda parte dell’esperimento. Laborit separa i topi, mettendoli ciascuno nel suo scomparto, poi rimette la corrente. Il topo sottoposto a scossa elettrica stavolta non ha nessuno da mordere e graffiare. Cosa fa? Si rifugia in un angolo con aria triste e cade preda di una terribile depressione. Se il professore non toglie la corrente, il topo muore. Questo accade anche agli uomini, ai quali lo stress può provocare gastrite, ulcera ma anche cancro. Ebbene, patologie a parte, ecco il principio del reality: persone comuni come sono comuni i topi vengono messe nella stessa “gabbietta”. Al posto della scossa elettrica, scarsità di spazio e di cibo ma soprattutto il fastidio della convivenza (dieci persone che non si conoscono costrette a convivere notte e giorno). Il risultato non può essere che il corrispondente umano della guerra dei topi. In più (di questo il prof. Laborit non parla, almeno nel film di Resnais) la convivenza forzata provoca altri effetti psicologici: il primo è l’attrazione sessuale. Stare insieme giorno e notte fa sì che a un certo punto la presenza costante delle telecamere perda la sua funzione inibitoria e cessi di essere un deterrente. Dopo qualche giorno di vita nella cosiddetta “casa” solitudine, stress e una sensazione di diffusa infelicità, oltre all’astinenza sessuale, fanno dimenticare i partner 26
che sono rimasti nel mondo esterno e che appaiono ogni giorno più lontani e trasformano i compagni di prigionia in oggetti di desiderio. Ricordate il film di Lina Wertmüller “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto”? Gli straordinari protagonisti, Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, l’uno nei panni del marinaio primitivo e semianalfabeta, l’altra in quelli della padrona milanese e snob, naufragati su un’isola deserta, cadevano preda di una passione travolgente che annullava le distanze culturali, politiche ed economiche. Tutto questo si trasforma in uno spettacolo televisivo di enorme successo che, oltretutto, costa pochissimo e ottiene grandi ascolti. Cos’altro possono desiderare la società che produce e distribuisce in tutto il mondo il fortunato e geniale format e l’emittente che lo manda in onda? Solo di replicare il successo il più a lungo possibile (oggi siamo alla dodicesima edizione). E naturalmente di produrre altri programmi che declinino lo stesso schema in maniera differente. Il “Grande Fratello” è un’idea originale di John De Mol, deus ex machina della olandese Endemol, società leader nella commercializzazone internazionale dei format. È un’idea originale, ma come tutte le idee assomiglia a qualcosa. Lo nota Aldo Grasso in un articolo apparso sul “Corriere della Sera” l’8 dicembre 2011. Il critico ricorda un programma del 1971, “An american family”, ideato e prodotto da Craig Gilbert. Per la prima volta le telecamere entrano in pianta stabile nella casa di una famiglia normale, i Loud di Santa Barbara, e mostrano i loro difetti, le loro contraddizioni e la loro normalità. È il primo reality show della storia. Ha successo ma non determina una rivoluzione epocale come avverrà invece al format Endemol. Il “Grande Fratello” apre l’età della realtà, che segna il tramonto o quanto meno l’emarginazione del vecchio autore – per intenderci, quello che scrive i dialoghi e le battute, l’epigono dei Metz e dei Marchesi, dei Vaime e dei Terzoli, degli Amurri e Jurgens... L’autore da reality show può conoscere bene la lingua italiana e saper scrivere ma può anche ignorare tutto ciò che riguarda la scrit27
tura: l’importante è che sappia fare bene il “casting” (cioè, scegliere bene i concorrenti creando le condizioni per attrazioni e contrasti; i topi di Laborit sono tutti uguali e gli esperimenti riescono; i concorrenti del G.F. devono necessariamente essere diversi per creare interesse) e che sia in grado di suggerire comportamenti che suscitino nel pubblico interesse. Insomma, i concorrenti del “Grande Fratello” non studiano una parte come i protagonisti di “Forum” o “Al posto tuo”, perciò non hanno bisogno di autori che scrivano i loro dialoghi, ma di “suggeritori” che li spingano in direzioni utili all’ascolto. Tutto ciò è poco letterario ma molto televisivo, almeno finché la Tv sarà prigioniera degli stereotipi dell’età della realtà. Età che vede una vera e propria invasione di reality e quindi di persone comuni che, come il popolo francese che dava l’assalto alla Bastiglia, prendono possesso del Palazzo (il palazzo della Tv). Il “Grande Fratello” diventa la matrice, il modello di ogni successivo reality e gli autori dei format si sbizzarriscono nella ricerca di varianti alla casa e ai suoi protagonisti. Ed ecco così nascere “Survivor”: gente comune che deve vivere in una situazione estrema, degna dei protagonisti della serie cult “Lost” (che arriveranno sui teleschermi molti anni dopo). I naufraghi devono imparare a sopravvivere procurandosi il cibo, accendendo il fuoco, proteggendosi dal freddo, il tutto con telecamere ben visibili (vengono seguiti da una troupe che si muove in mezzo a loro: non ci sono telecamere nascoste). Negli Stati Uniti “Survivor” è un grande successo; in Italia, dove viene realizzato nel 2000, subito dopo il “Grande Fratello”, è un flop: evidentemente i telespettatori non vogliono vedere la gente comune lottare per la sopravvivenza, ma sono più interessati alle dinamiche di gruppo. Il disagio, la povertà, la fame e il freddo sono invece irresistibili quando a provarli è un vip. Ed ecco la nuova frontiera del reality: il celebrity show. “L’isola dei famosi”, prodotto da Magnolia di Giorgio Gori, diventa uno dei punti di forza di Rai Due, mentre il “Grande Fratello” monopolizza il palinsesto di Canale 5. E così i primi dodici anni del ventunesimo secolo verranno ricor28
dati per l’estremizzazione dei comportamenti e per le scelte estreme dei concorrenti. Nel cast del “Grande Fratello” arrivano gay, lesbiche, transgender, gente di borgata, intere famiglie... in quello de “L’isola dei famosi” appare (e vince un’edizione) il transessuale ex parlamentare di Rifondazione Comunista Vladimir Luxuria. Risponde Canale 5 con “La talpa” (“The mole”), celebrity show che si differenzia da “L’isola dei famosi” per una variante (la presenza di un “traditore” che lavora in segreto contro la propria squadra) e per l’estremizzazione del disagio (i concorrenti devono mangiare vermi e insetti e sottoporsi a prove particolarmente disgustose). L’età della realtà vive così di persone comuni costrette in situazioni non comuni (la convivenza forzata in una sorta di prigione non dorata) e di persone non comuni (vip o semi-vip) costrette a vivere in situazioni estreme, soddisfacendo in questo modo il desiderio di vendetta e di rivalsa di quei milioni di non-vip che li hanno sempre ammirati e invidiati e adesso possono godere vedendoli umiliati, affamati, sofferenti, in lacrime. Poi il concetto di realtà si espande ancora: la gente comune viene attirata dall’infernale macchina televisiva con mille stratagemmi. I telespettatori trasformati in protagonisti cambiano aspetto sottoponendosi a cambio di look (“Il brutto anatroccolo”) o a operazioni di chirurgia estetica (“Extreme makeover”, “Bisturi”). Ben presto si crea un doppio bacino: quello delle persone comuni che considerano i reality show, in particolare il “Grande Fratello”, come un ufficio di collocamento per diventare famose ed entrare in televisione, e quello dei VIP momentaneamente disoccupati o dimenticati in cerca della fama di un tempo. Alla fine accade che i due bacini si fondano: ex concorrenti del “Grande Fratello”, trasformati in vip dall’esperienza del reality, partecipano a “L’isola dei famosi” in virtù della promozione mediatica. L’età della realtà amalgama tutto e tutti e annulla le differenze: i non famosi possono diventare famosi e competere con i famosi, che non essendo più veramente famosi per tornare a esserlo hanno bisogno di partecipare a un reality. 29
Ma non finisce qui. Perché le fervide menti della Tv ben presto scoprono un immenso bacino di persone comuni che non desiderano che diventare persone non comuni: i cantanti e i gruppi musicali. Nasce l’era del talent show. Ed ecco arrivare “Operazione trionfo”, condotta in Italia da Miguel Bosé, seguito dal ben più efficace “X factor”, con Simona Ventura transfuga da “L’isola dei famosi”, Mara Maionchi, Morgan, e poi con Claudia Mori, Elio, Arisa... Fino a “X factor” la gente comune si era esibita in programmi riservati ai dilettanti: “La corrida” (Canale 5), “I raccomandati” (Rai Uno). Oppure c’erano state sporadiche competizioni tra giovani artisti, la più importante delle quali si era svolta all’interno di “Fantastico 1990”, sotto la guida di Pippo Baudo. Un autentico fenomeno è il programma “Amici di Maria De Filippi”, che nasce con il titolo “Saranno famosi” (“Fame”, la serie americana degli anni ’80) ma a causa della diffida da parte della produzione della serie deve cambiare rapidamente nome. La De Filippi usa il suo “Amici” e crea un’accademia nella quale artisti acerbi affinano la propria tecnica trasfomandosi in cantanti e showmen completi. I talent, più ancora dei reality, diventano fabbriche di VIP. La prova? Le ultime edizioni del Festival di Sanremo sono state vinte da cantanti provenienti da “X factor” e “Amici”. Il cerchio si chiude: la Tv non sfrutta più artisti provenienti da altri generi, come il cinema, il teatro o la musica, ma genera lei stessa i suoi protagonisti. L’età della realtà è oggi efficacemente rappresentata dal palinsesto di Real Time (presente su satellite e su digitale terrestre): competizioni tra aspiranti chef, lezioni di stile a chi stile non ha, descrizioni impietose di malattie raccapriccianti, adolescenti in crisi di peso che vengono sottoposti a drastiche diete. Lo stesso avviene su altre emittenti, come Mtv. Ma la lista è infinita: intere famiglie di obesi affidati alle cure di un dietologo, bambini difficili affidate a un terapeuta, l’irresistibile psicologo dei cani “caratteriali”... e poi famiglie affidate a tate autoritarie, scambio di mogli e madri tra famiglie... non c’è aspetto della realtà che venga risparmiato al telespettatore. 30
Naturalmente L’età della Realtà, come le ere che l’hanno preceduta, non rappresenta l’intera offerta televisiva: specialmente sulla Tv generalista, convivono generi diversi. SINTESI Andy Warhol è stato abbondantemente superato: oggi nessuno cerca più un quarto d’ora di celebrità, ma un’intera vita da VIP.
L’età del Web
Capitolo basato sulle ricerche di Nicole Mottolese2 L’età di cui si parla in questo paragrafo non è ancora arrivata in televisione: da tempo si preconizza la morte della Tv, sostituita dalle infinite possibilità offerte dalla rete, ma il decesso non è ancora avvenuto e la sostituzione nemmeno. È solo questione di tempo: presto il Web sostituirà o cannibalizzerà il mezzo televisivo, che per ora resiste. Quando questo avverrà, è bene farsi trovare preparati. “La carta presto morirà e i quotidiani scompariranno, cannibalizzati dalla concorrenza delle news in rete”. Questo è stato predetto alla fine del secolo scorso dai cosiddetti “visionari” che insieme agli “scettici” auspicavano, secondo attente previsioni, la fine della carta stampata a favore di internet. Sono passati venti anni e ancora la carta stampata resiste, seppur con notevoli problemi rispetto al suo periodo d’oro. Internet è stata la seconda grande rivoluzione nel mondo del giornalismo, rivoluzione paragonata per dimensione e mutamento all’invenzione della stampa. L’evoluzione più recente di internet può essere evidenziata in nove caratteristiche: 2
B.A. alla Link Campus University - M.A. allo IULM.
31
1) il Web è diventato una piattaforma dove i programmi installati sui PC interagiscono sempre più con i software e i servizi accessibili solo online; 2) il Web è sempre più funzionale, in quanto i siti Web diventano fonti di contenuto e servizi personalizzati; 3) l’uso del Web si sta semplificando, in quanto vengono utilizzate delle interfacce sempre più interattive e facili da usare anche dagli utenti meno pratici dei computer; 4) il Web è leggero, in quanto i contenuti e i servizi offerti sono sempre più condivisi e modulati in programmi intuitivi e di facile utilizzo; 5) il Web è sociale, in quanto sempre più persone trasferiscono parte della loro vita fisica online; 6) il Web è un flusso di informazioni che si plasma e si trasforma senza sosta; 7) il Web è flessibile e mixabile, perché la diffusione dei codici open source per modificare le applicazioni Web permette di sviluppare servizi e di mixare un programma con un altro per ottenerne un terzo completamente nuovo; 8) il Web è partecipativo, in quanto implementa una serie di servizi e di applicazioni che stimolano gli utenti ad aggiungere valore ai contenuti dei quali essi fruiscono; 9) il Web è facilmente raggiungibile, i costi necessari per connettersi a internet sono notevolmente diminuiti, mentre aumenta sempre di più la disponibilità dei punti di accesso alla rete (wi-fi) e il numero di dispositivi che abilitano l’utente alla navigazione (netbook, palmari, smartphone). Inoltre oggi in Italia circa il 70% della popolazione tra i 6 e i 45 anni e circa il 44% della popolazione tra i 45 e i 64 anni usa Internet. Ultimamente anche gli italiani over 65 si stanno avvicinando 32
gradualmente a questa tecnologia. Per quanto riguarda i profili professionali, imprenditori, liberi professionisti, dirigenti e universitari sono le categorie con più ampia penetrazione, oltre il 95%. L’introduzione della banda larga (ADSL) a costi più ragionevoli, ha visto fiorire centinaia di applicazioni diverse svolte dagli internauti: Il peer to peer che consente lo scambio di file tra gli utenti di internet. In Italia tende ad occupare circa il 54% della banda a disposizione degli utenti. Lo streaming dei contenuti audio e video, invece di essere scaricati e memorizzati nei PC, vengono visualizzati in diretta sui computer e condivisi tra gli utenti della rete. Il fenomeno più conosciuto è quello di YouTube, dove ogni giorno vengono caricate 13 ore di nuovi contenuti video da parte degli utenti. L’IPTv ossia la televisione on demand trasmessa attraverso l’ADSL, anche se in Italia stenta a decollare a causa della concorrenza della Tv satellitare e del digitale terrestre. I social network, che consentono a chiunque abbia una connessione internet di entrare in contatto con altre persone nel mondo, condividere foto, video, divertirsi, fondare gruppi, ecc. Le identità condivise, quelle pratiche che consentono di utilizzare la propria identità personale su internet con maggiori strumenti di sicurezza e privacy. Il capostipite è l’e-mail, ma negli ultimi anni sono apparsi sul Web nuovi strumenti, che consentono di costruire blog, pagine Web, creare e condividere video o album fotografici. Il cloud computing, ovvero l’immediato futuro delle applicazioni basate sul Web. Internet diventa una sorta di gigantesco hard disk che consente di condividere, trasferire e immagazzinare dati.
Come è cambiato l’utente con l’avvento di internet È ormai risaputo che internet ha cambiato la vita di ognuno di noi e soprattutto ha cambiato l’attitudine dell’utente stesso. La società 33
della rete sta imparando a comunicare, informarsi, commerciare e svagarsi in un modo totalmente nuovo. L’utente diventa il vero protagonista di questo cambiamento, grazie alla rete che offre quelle modalità di partecipazione e di attivo coinvolgimento che fino al suo arrivo non erano nemmeno lontanamente immaginabili. È una metamorfosi totale, l’utente adesso è una persona attiva, informata e sapiente riguardo i propri gusti e le proprie preferenze. Non viene più incentivato dall’azienda ad agire in un determinato modo o in un determinato contesto; il surplus delle informazioni che è stato generato con internet, da una parte ha portato a un overload di notizie, tra le quali è facile trovare falsità mescolate a notizie vere o addirittura è difficile risalire alla fonte stessa, dall’altra ha reso l’utente capace di informarsi personalmente in ogni momento e come preferisce. Tutto ciò ha reso il navigatore più esigente e critico. Recentemente alcune aziende, avendo visto questo cambiamento, hanno pensato bene di sfruttare queste conoscenze a proprio favore, mettendole al servizio dell’azienda stessa. Chi più dell’utente è in grado di conoscere il prodotto che usa ed è in grado di informare l’azienda sugli aspetti negativi o positivi e su quelli da migliorare? Le competenze dell’utente aumentano in maniera tale da potersi destreggiare e muovere in un ambiente così complesso come quello di internet. Possiamo riassumere alcune delle caratteristiche che contraddistinguono l’utente in rete: Nomade: l’utente in rete è nomade, è raro che si abbiano delle preferenze così forti da impiegare il proprio tempo solo ed esclusivamente verso un solo sito o pagina Web. Oramai ci si destreggia bene su internet e l’utente è libero di scegliere dove vagare. Selettivo: l’utente sa bene cosa vuole e quale siano i propri desideri. È più informato, quindi sa dove dirigersi e scegliere le proprie informazioni in una fitta rete come quella di internet. Competente: come già detto in precedenza, l’utente, avendo la possibilità di informarsi molto di più rispetto a qualche anno fa, può essere estremamente competente spesso anche più di alcune persone specializzate. 34
Critico: è una conseguenza del fatto di essere diventato più esperto e più informato rispetto a prima. Adesso può valutare tra tutte le scelte che ha a disposizione e scegliere quale sia più idonea per se stesso. Relazione personalizzata: con internet siamo passati da una società verticale e quindi basata sulle gerarchie a una orizzontale, peer to peer. Tutti i processi di massa sono stati ripensati un po’ alla volta a misura d’uomo. L’utente è alla ricerca di un qualcosa di individuale e soggettivo, vuole distinguersi dagli altri e non accetta più di essere soggetto a contenuti standardizzati. Esigente: l’utente pretende di avere sempre più servizi, non gli basta più leggere il giornale sul Web, vuole che sia corredato da blog, video, immagini, tutto per avere un servizio migliore che dia qualcosa in più rispetto all’offline. È al centro di un reticolo di nuovi rapporti interpersonali: attraverso i blog, i forum e le comunità virtuali, è in grado di confrontarsi e di parlare con gli altri fruitori della rete. Questo permette di socializzare e creare nuove forme di aggregazione. L’influenza di internet è diventata fortissima nel suo consolidarsi come fonte di informazione, socializzazione e apprendimento per il consumatore. Oggi, che si voglia o no, la prima fonte informativa per l’utente è la rete. Per contrappasso più la rete si svilupperà con il tempo, più il consumatore/utente in rete diventerà esigente, si destreggerà sempre meglio, diverrà sempre più informato e sempre di più si creeranno joint venture tra aziende e utenti. Il protagonista nel futuro sarà sempre di più lui, l’utente, che negli ultimi anni ha già fatto passi da gigante, servendosi e sfruttando la rete come meglio poteva.
Sviluppo dell’informazione dal basso Notoriamente oggi la maggior parte della popolazione possiede un televisore, può ascoltare programmi alla radio, comprare ogni mattina un giornale o una rivista. Grazie ai mezzi di comunicazione 35
di massa oggi tutti sono potenzialmente raggiunti da qualsiasi tipo di contenuto. Da sempre la capacità di diffondere le informazioni al pubblico è stato un privilegio di pochi, i quali, attraverso l’impiego di risorse e capitali necessari, riuscivano ad attivare un canale di comunicazione e a ingaggiare un ristretto numero di professionisti per attivarlo. Tutti hanno sempre ricevuto le notizie e sono sempre stati pochi ad emetterle. Bisogna quindi evidenziare l’aspetto che caratterizza i diversi mezzi di comunicazione, cioè il rapporto tra emittente e destinatario a partire dal quale si possono individuare due modelli di comunicazione: il modello verticale o unidirezionale e quello orizzontale o bidirezionale. Nel primo modello la comunicazione parte esclusivamente dall’emittente verso uno o tanti destinatari e non c’è possibilità di invertire i ruoli. Il medium verticale per eccellenza è la televisione, ma in genere anche tutti gli altri mezzi di comunicazione di massa, come la radio, i quotidiani e i libri. Nella comunicazione orizzontale, cioè quella bidirezionale, ci sono più emittenti e più destinatari che possono tranquillamente scambiarsi di ruolo. Il medium che incarna alla perfezione queste caratteristiche è internet. Con questa nuova tecnologia, infatti la situazione cambia totalmente, tutti gli utenti possono essere recettori di notizie ma allo stesso tempo anche emittenti. La semplice disponibilità di una connessione a internet implica per chi la utilizza il ricevere ma anche lo sviluppare contenuti e il trasmetterli. Chiunque può improvvisarsi autore o lettore, a tal punto che spesso queste due funzioni si confondono o convergono. Inoltre tutto ciò che viene pubblicato su internet è possibile che venga modificato innumerevoli volte sia dall’autore stesso che da altre persone, cosa che invece non può avvenire per una trasmissione televisiva o per un quotidiano. Con i tradizionali strumenti di comunicazione di massa ci sono sempre stati numerosi vincoli legati allo spazio, alla qualità e al tempo, con una diretta interdipendenza tra tutti e tre. Per attivare un qualsiasi canale di comunicazione è necessario impiegare enormi quantità di capitali; per 36
questo motivo con la televisione, con la radio o con i quotidiani c’è sempre stato qualcuno all’origine, cioè un’organizzazione, una redazione, che selezionasse le notizie e le informazioni più adeguate e qualitativamente migliori, per evitare di fare un buco nell’acqua e spendere soldi inutilmente. Inoltre, più investimenti vengono fatti e più c’è possibilità, da parte delle emittenti televisive, di distribuire i propri programmi in diverse parti del mondo; così anche per una testata di un giornale è difficile, senza investimenti, creare una forte rete distributiva anche all’estero o in differenti parti del pianeta. Con poco spazio a disposizione e il tempo limitato, la qualità percepita spesso non era delle migliori. Le emittenti televisive o radiofoniche dovevano lavorare entro limiti ben precisi, il palinsesto non poteva superare le 24 ore giornaliere e i 7 giorni settimanali. Anche i giornali hanno sempre avuto restrizioni sia di tempo che di spazio, infatti raramente si superavano le 100 pagine. Con internet tutti questi vincoli vengono superati, il tempo diventa soggettivo, in funzione della disponibilità della persona, lo spazio fisico diventa illimitato. Lo spazio adesso è sufficientemente grande da consentire a chiunque di pubblicare contenuti. Bisogna inoltre ricordare che all’inizio le pubblicazioni sul Web erano un’opportunità per pochi eletti, come gli editori o le aziende, che conoscevano bene i linguaggi di programmazione di internet e le gestioni dei server e delle connessioni. Era impensabile che chiunque potesse accedere al Web non solo come semplice utente, ma anche come generatore di contenuto, soprattutto nell’ambito del giornalismo. Pian piano però, verso la metà degli anni Novanta, le cose iniziano a cambiare; attraverso una conoscenza di internet sempre più approfondita per la maggior parte degli utenti e la loro crescente abilità a utilizzare il Web non solo passivamente, inizia pian piano a diffondersi un nuovo tipo di informazione, detto “dal basso” perché creato, per l’appunto, non da professionisti ma da gente comune. Riportiamo a tal proposito un esempio eclatante, di questo nuovo giornalismo. Bluffton è una cittadina del Nord della Carolina, poco conosciuta ma che chiunque faccia questo mestiere o sia interessato a sape37
re quale sia il futuro del giornalismo, dovrebbe conoscere. Qui ha sede il “Bluffton Today”, il giornale gratuito della cittadina. Si tratta di un giornale completamente diverso da quelli tradizionali, infatti non è scritto da giornalisti. Ogni immagine, video, testo, commento che appare sul quotidiano è frutto della collaborazione degli utenti e quindi dei lettori che inviano questi contenuti sul sito Web del giornale e poi i migliori vengono scelti da una redazione e pubblicati sul giornale cartaceo. Il giornalista ha abdicato a favore di coloro che hanno una passione per questa professione e che spesso e volentieri tendono a rendere molto più di un professionista vero e proprio. Inoltre il giornale online ha un grandissimo potere rispetto a quello cartaceo, perché svolge la funzione di aggregatore di tutto il materiale che gli utenti inviano, senza il quale non si potrebbe realizzare il giornale offline composto da tutti questi contenuti. Attraverso la democratizzazione dei mezzi di comunicazione, oggi l’utente ha a disposizione potenti sistemi di registrazione e trasmissione a un costo accessibile. Può scattare foto attraverso il cellulare e inviarle in tempo reale a un sito Web, a un giornale o ovunque preferisca, testimoniando in diretta ciò che ha visto o sentito. Questo nuovo tipo di giornalismo è stato soprannominato citizen journalism, il giornalismo fatto dai cittadini, che è sempre di più in forte espansione. Solo quando siamo di fronte ad eventi, come un incidente stradale, furti, delitti, rapine o situazioni di più elevato interesse nazionale, come l’attacco alle Torri Gemelle del 2001, ci rendiamo conto che giornalista e troupe non hanno più il ruolo centrale di una volta, sono stati sostituiti dai cittadini, che diffondono contenuti in tempo reale. L’11 settembre 2001, di fronte ad uno scenario così agghiacciante, ci furono cittadini, turisti o le stesse persone colpite dall’attentato, che in quel momento stesso riprendevano attraverso webcam, cellulari e altri mezzi, tutto quello che stava accadendo. Purtroppo è in queste situazioni che ci si rende conto dell’enorme potenziale degli utenti, che è destinato a crescere sempre di più. Altro esempio importante del crescente potere degli utilizzatori del Web contro quello dei giornalisti è stato durante un altro grave 38
fatto che ha sconvolto l’Italia intera, il terremoto in Umbria del 1997. Marcello Sorgi, allora direttore del TG1, all’epoca aveva inviato una troupe televisiva efficientissima che però venne superata da un turista che con una telecamera amatoriale, trovandosi all’interno della basilica di Assisi, riprese le drammatiche immagini del crollo. Anche lo Tsunami che nel 2004 colpì l’Indonesia fu ripreso dai turisti e anche dai locali, che iniziarono a filmare e fotografare, inviando le drammatiche scene che si paravano davanti ai loro occhi. E così fu anche per l’attentato di Londra alla metro nel 2005, oppure quando deragliò un treno a Valencia nel 2006. L’utente è il protagonista di questi episodi drammatici e a sua volta diventa il primo divulgatore di informazioni e notizie. I giornalisti stanno iniziando a capire che la collaborazione con la gente comune diventa sempre più importante per i propri giornali. Proprio durante l’incidente a Valencia, il quotidiano “El Pais” chiese ai lettori non solo di inviare le foto che avevano a disposizione ma anche di scrivere dei brevi articoli su ciò che avevano vissuto; così, quando nel 2006 Israele decise di bombardare Beirut, la CNN chiese ai cittadini di inviare non solo foto, immagini e video ma anche articoli che testimoniassero ciò che stavano vivendo. Il giornale tedesco “Bild” aveva invitato i lettori a mandare foto di qualsiasi genere e quelle pubblicate sul giornale cartaceo sarebbero state poi pagate con 500 euro per l’edizione nazionale e 100 per quelle locali. Lo stesso “New York Times”, all’inizio scettico su quest’utilizzo, ha capito l’importanza di queste collaborazioni, concedendo uno spazio agli utenti da veri e propri critici professionisti, nel quale potessero esprimersi su temi più disparati. Anche la BBC ha portato avanti numerose iniziative, tra le quali quella di permettere agli utenti di realizzare interviste, inviare informazioni, soprattutto avendo la possibilità di documentarsi su come farlo al meglio, il tutto attraverso il loro sito. In Corea del Sud il sito Web Ohmy News, nato nel 2000, è diventato popolarissimo attraverso il suo motto “Ogni cittadino è un reporter”. Il 20% dei contenuti è gestito da professionisti mentre il restante 80% da gente comune. Sono loro gli artefici della vittoria di molte battaglie, una 39
delle più importanti è stata quella riguardante l’elezione del nuovo Presidente; denunciando il precedente governo sul Web, gli utenti sono riusciti a mandarlo a casa eleggendone un altro. Fin qui per denominare questo nuovo tipo di giornalismo dal basso ho usato un unico termine, citizen journalism. Se parliamo di giornalismo open source, o di public journalism o ancora di giornalismo partecipativo, collaborativo, amatoriale, wiki journalism e così via, esprimiamo sempre lo stesso concetto. Nel 2005 un giornalista, di nome Steve Outing, ha tentato di classificare in undici livelli il processo di adozione del citizen journalism all’interno delle organizzazioni giornlistiche: 1. L’apertura degli articoli ai commenti del pubblico: i commenti con l’evolversi dei blog sono diventati scontati, non sono di grande rilievo ma consentono agli utenti di criticare, reagire e dire la propria opinione. 2. La richiesta di aiuto al lettore: molte delle storie che leggiamo su internet sono state arricchite dal supporto del lettore, attraverso materiale fornito da lui stesso che può contribuire con particolari o episodi aggiuntivi. 3. Open source reporting: sono tutti quei casi in cui il giornalista confronta le sue idee prima con il lettore, oppure discute con lui la bozza dell’articolo prima ancora che questo venga pubblicato. 4. La piattaforma di blogging: dare la possibilità al lettore di aprire un blog serve per avviarlo alla pubblicazione del suo pensiero. Molti giornali hanno aperto una piattaforma di blogging sul proprio sito (Kataweb, La Stampa, ecc.). 5. Condivisione trasparente delle scelte redazionali: molte testate hanno preso l’abitudine di rispondere alle curiosità e alle perplessità del lettore, così da coinvolgerlo nelle scelte interne dell’azienda. Spesso si mette a disposizione del lettore una rubrica dedicata alle domande alle quali l’intero staff spesso deve rispondere. 40
6. Il sito indipendente di citizen journalism (con editing): alcune testate promuovono degli spazi che sono aperti alla creatività del lettore. La redazione effettua dei controlli per garantire il rispetto di alcuni codici etici basilari ed ha l’ultima parola sulla pubblicazione. 7. Il sito indipendente di citizen journalism (senza editing): Stessa situazione del punto precedente, ma in questo caso gli utenti possono pubblicare liberamente senza approvazione dalla redazione. Vi sono soltanto dei filtri per arginare i contenuti fastidiosi e inappropriati. 8. La pubblicazione su carta dei contenuti prodotti dai lettori: spesso i contenuti divulgati su internet dagli utenti risultano talmente interessanti che qualche giornalista può decidere di pubblicarli su carta stampata diffondendoli o come free press o in allegato a un giornale. 9. L’ibrido: professionisti e citizen journalism lavorano insieme. Una piccola redazione giornalistica seleziona e gestisce i contenuti proposti da un’ampia comunità spontanea di collaboratori che fornisce notizie e approfondimenti. 10. Giornalisti e citizen journalist lavorano insieme: la partecipazione delle persone diventa parte integrante del progetto editoriale. 11. Wiki journalism: tutti fanno tutto. Il modello collaborativo di wikipedia viene applicato alle notizie; chiunque può prendere l’iniziativa, creando, espandendo e correggendo le pagine del giornale in modo collaborativo. Riportiamo casi di questi tipi di collaborazione, per mettere in evidenza come sempre di più si stiano creando delle relazioni tra giornalisti e citizen journalist. Sono progetti quasi sempre senza scopo di lucro e non senza difficoltà riescono a portare avanti un ottimo lavoro. Il primo caso è quello relativo all’agenzia d’informazione nota con il nome di Breaking news online, nata non per mano di giornali41
sti o professionisti del settore ma fondata nel 2007 da sette diciottenni, sparsi tra Europa, Stati Uniti e Messico. Questo sito è cresciuto così tanto che dal 2010 è diventato un servizio di distribuzione delle notizie a pagamento rivolto alle grandi testate giornalistiche. Si è guadagnato tutto questo successo, perché in più di un’occasione ha bruciato sul tempo i più grandi quotidiani del mondo, attingendo alle informazioni che trovava sui social network e da fonti non convenzionali. In Italia invece parliamo del Post, quotidiano che aggrega il meglio di quello che si riesce a trovare su internet, generando commenti, idee e notizie. L’impresa è finanziata da un gruppo di imprenditori italiani senza precedenti nel mondo dell’editoria o della rete. Un altro sito molto importante nato in Italia, è YouReporter.it, piattaforma di video-giornalismo partecipativo nata nel 2007 da due giovani milanesi. È una raccolta di immagini che testimoniano eventi ai quali hanno assistito persone comuni. C’è un minimo comune denominatore tra tutti questi siti: nessuno viene retribuito e il compenso è simbolico. Proprio per sopperire a questo problema AOL, un sito statunitense con una travagliata storia alle spalle, che inizia nel 1983 come network commerciale, decide nel 2009, dopo vari progetti finiti male, di diventare leader nel settore dei contenuti giornalistici. AOL gestisce un network di testate specializzate e blog professionali: l’obiettivo è quello di rendere queste testate remunerative sfruttando il canale pubblicitario. AOL gestisce anche una piattaforma, Seed, attraverso la quale chiunque navighi in rete può fornire materiale, immagini, notizie, video, ecc. Tutto il contenuto che si riesce ad ottenere viene pagato a prezzi concorrenziali, 15 dollari per 100 righe originali, il pagamento cresce se si dá la possibilità al sito di riutilizzare il materiale, inoltre non si possono usare pseudonimi e ovviamente tutti i contenuti proposti devono essere inediti. Anche un altro sito americano ricerca collaborazioni tramite la rete e poi le remunera il giusto prezzo. Questo sito è Demand Media, che seleziona giorno per giorno i temi da trattare 42
in base ai termini più ricercati in internet durante la giornata; queste tracce vengono poi affidate a dei freelance. La partecipazione spontanea non si limita solo alla creazione di contenuti, ma si estende alla fase di editing, titolazione e quant’altro. Quando poi il contenuto è stato definitivamente approvato, viene pubblicato nella comunità di Demand Media. Quest’ultima retribuisce le collaborazioni: 20 dollari per la fornitura di un video, 15 per un articolo, 2,5 per l’editing di un articolo. Ultimamente in rete si è sempre più soliti usare il cosiddetto fact checker, il verificatore dei fatti: ciò che viene pubblicato passa sotto una verifica puntigliosa di ogni nome, riferimento o fatto citato.
User-Generated Content: le nuove tecnologie che permettono l’autorealizzazione dell’informazione (blog, Current Tv) Analizziamo gli strumenti che hanno permesso ad un semplice utente di potersi improvvisare giornalista, reporter, regista e così via. Oggi si è soliti parlare sempre di più di User-Generated Content, termine coniato nel 2005 negli ambienti del Web publishing per indicare il materiale disponibile sul Web prodotto dagli utenti invece che da società specializzate. Questo è un sintomo della democratizzazione della produzione di contenuti multimediali reso possibile dalla diffusione di soluzioni hardware e software semplici e a basso costo. L’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) ha definito tre caratteristiche principali per gli User-Generated Content: 1. Requisiti di pubblicazione: sebbene gli UGC possano essere elaborati da un utente e mai pubblicati in rete o altrove, prenderemo in considerazione quegli UCG che vengono pubblicati in un qualche contesto, che sia su un sito internet accessibile a tutti o su una pagina di un social network ristretto a un gruppo selezionato di persone (per 43
esempio: studenti universitari). Sono quindi esclusi contenuti diffusi tramite e-mail, chat e simili. 2. Sforzo creativo: gli utenti devono aggiungere un proprio valore al lavoro. Lo sforzo creativo dietro agli UGC spesso ha un elemento collaborativo, come nel caso di siti Web che gli utenti possono cambiare utilizzando le proprie conoscenze. Per esempio, copiare semplicemente un pezzo di uno show televisivo e “postarlo” in un sito Web che pubblica materiale video (attività frequente nei siti UGC) non può essere considerato UGC. Se un utente carica le sue fotografie, oppure esprime i suoi pensieri in un blog o crea un nuovo video musicale, questo può essere considerato UGC. 3. Creazione al di fuori delle pratiche e delle routine professionali: il contenuto generato dagli utenti spesso non ha un contesto di mercato istituzionale o commerciale. In casi estremi, l’UGC può essere prodotto da non professionisti senza l’attesa di un profitto o di una remunerazione. Fattori motivazionali includono: la connessione con altri utenti, ottenere un certo livello di notorietà, prestigio e il desiderio di esprimersi.
Il webcasting Un altro esempio di User-Generated Content è il webcasting. Con questa parola si intende l’opportunità di trasmettere file audio e video in diretta su internet. Sono sufficienti una videocamera digitale, un buon microfono e un collegamento a internet, così chiunque può realizzare video e mandarli in “onda” su internet. Un esempio del webcasting è YouTube; nel 2008 il sito fu uno dei primi a tentare questa strada, realizzando il primo show dal vivo via internet, che prevedeva le esibizioni di cantanti divenuti famosi tramite il sito e cantanti di fama mondiale. In Italia Michele Santoro ha tentato nel marzo del 2010 di fare una trasmissione in internet nel periodo delle elezioni, denominata 44
“Raiperunanotte”, coinvolgendo alcune emittenti digitali ed analogiche. Era il periodo delle elezioni e tutti i talk show politici vennero sospesi, da “Ballarò”, a “Porta a Porta” fino ad “Annozero”. Il conduttore andò in onda, sfruttando la rete e grazie al contributo di 50.000 mila persone che versarono 2,50€. È stato possibile vedere “Raiperunanotte” non solo su internet ma anche su alcune emittenti nazionali come, Skytg24, Current Tv, Rainews 24 e su alcune emittenti locali come Telenova, Antennasud, e altre. Il risultato è stato clamoroso: hanno visto la trasmissione 125 mila persone in contemporanea sul Web, facendo registrare uno share del 13% sulle emittenti televisive satellitari e locali e facendo perdere contemporaneamente il 10% di share sia a Mediaset che alla Rai. Altro tentativo sempre da parte di Santoro, con la trasmissione “Tutti in piedi”, sempre trasmessa in streaming sul Web. Una serata organizzata nei pressi di Bologna, coadiuvata dall’aiuto dello staff di “Annozero” e in collaborazione con la Fiom, per i 110 anni di attività del sindacato. Almeno in 25 mila hanno seguito l’evento dal vivo, su SKY l’evento è stato riportato da Current Tv che quella sera è stato il canale più visto con 204 mila spettatori, su internet ci sono stati 62mila iscritti alla pagina facebook, in Tv su Rai News hanno seguito l’evento 176 mila spettatori, e così anche le emittenti locali hanno aumentato lo share.
Current Tv Current Tv è un network televisivo internazionale di informazione indipendente, fondato nel 2005 da Al Gore, ex vicepresidente degli Stati Uniti e Premio Nobel per la Pace 2007, e da Joel Hyatt, membro del Partito Democratico e consigliere d’amministrazione di Hewlett-Packard. Premiata nel 2007 con un Emmy Award per il servizio Tv interattivo, Current è una piattaforma cross-mediale attiva 24 ore su 24 che integra televisione e internet, si fonda per l’appunto sul concetto di User-Generated Content, tanto che nel 2007 si stima45
va che questa costituisse il 30% della programmazione. Anche per quanto riguarda le inserzioni pubblicitarie, il network ha sviluppato il modello V-CAMs (Viewer Created Advertising Messages), messaggi pubblicitari creati dallo spettatore. Il target a cui si rivolge Current Tv sono i giovani tra i 18 e i 34 anni. È una televisione che nasce per dar voce agli utenti, per dar loro la libera facoltà di esprimersi e di dare spazio alla propria creatività. Current mostra al suo pubblico cosa succede nel mondo, attraverso la voce dei protagonisti delle storie, proponendo contenuti alternativi a quelli dei tradizionali siti di informazione o canali televisivi. Si possono trovare contenuti prodotti interamente dall’utente, infatti il 30% della programmazione è costituito dai servizi realizzati da loro che vengono votati di più sul Web. L’interazione, in questo caso, tra Web e Tv è totale. Alla base dell’offerta ci sono i POD, brevi filmati in genere di 7 minuti; ogni POD viene comprato da Current Tv e viene mandato in onda sull’emittente televisiva. Una delle produzioni interne più di successo è basata sulla totale originalità della corrente giornalistica conosciuta come Vanguard Journalism. È una serie che incarna questo nuovo modo di fare giornalismo che stravolge con successo la metodologia classica dell’inchiesta, tanto da aver ricevuto numerosi riconoscimenti tra i quali un Emmy Awards nel 2007. Il team dei Vanguard è composto da giovani giornalisti di ogni nazionalità che, partendo dall’headquarter di Los Angeles, indagano sulle più importanti questioni del nostro tempo. I Vanguard Journalist non si limitano a raccontare le storie, le vivono. Current Tv incarna la filosofia degli UGC e mette alla prova in tutto e per tutto l’abilità degli utenti: chi dimostra di essere in grado di attrarre l’attenzione del pubblico, viene retribuito come un professionista. Purtroppo però il 19 maggio 2011 Sky Italia annuncia la decisione di interrompere le trasmissioni di Current Italia. Sky Italia rimarcava che a Current era stata offerta la possibilità di essere inclusa nel bouquet Sky per altri tre anni e che l’accordo non era stato raggiunto 46
perché Joel Hyatt, socio fondatore di Current, aveva ritenuto insufficiente la cifra di 10 milioni di dollari offerta da Sky all’emittente. Inoltre, Tom Mockridge ha asserito che i dati d’ascolto di Current sono diversi da quelli riportati da Al Gore, e ben al di sotto delle aspettative di Sky: “I dati Auditel dicono che solo un abbonato di Sky su 25 ha guardato Current almeno per 10 minuti in una settimana nel corso del 2011”, “Si tratta di dati in calo del 20% sulla media giornaliera e addirittura del 40% in prima serata, se comparati al 2010”. Le trasmissioni di Current Italia sono definitivamente cessate il 31 luglio 2011. Per congedarsi dal pubblico, dal 27 luglio fino alla chiusura, l’emittente ha proposto in loop, all’inizio e al termine di ogni blocco pubblicitario e come promo unico di canale, il seguente messaggio su sfondo nero: Grazie ai nostri spettatori a chi ci ha seguito in Tv a chi ha partecipato e condiviso in rete a chi ha scritto e parlato di noi a chi ha voluto premiarci per il nostro lavoro a chi ha deciso di collaborare con noi a chi ci ha guardato e poi criticato Grazie insomma a tutti quelli che Montanelli chiamerebbe i nostri “lettori” perché sono stati i nostri veri padroni. Il team di Current Italia 8 Maggio 2008 – 31 Luglio 2011
47
Cosa guarda in Tv la gente... che guarda la Tv
Gli ascolti della Tv A questo punto qualcuno potrebbe pensare che la situazione sia completamente cambiata, rispetto a quella che abbiamo definito “età dell’innocenza” e la Tv sia entrata definitivamente e a pieno titolo nell’età del Web. Ebbene, non è esattamente così. Le età infatti non sono compartimenti stagni: elementi delle prime convivono, almeno nella Tv generalista, con elementi dell’ultima. Oggi in Tv va in onda di tutto: i reality più estremi convivono con i varietà più tradizionali, mentre programmi che hanno trent’anni di età continuano a essere trasmessi. Ma chi li guarda? Com’è il pubblico dei diversi programmi? Un modo per scoprirlo c’è ed è ben noto agli addetti ai lavori: l’Auditel. Ogni mattina, intorno alle 10:00, direttori di rete, capistrutura, autori e conduttori attendono impazienti i dati di ascolto: il loro programma è andato bene, ha avuto un calo o è stato un flop? Da questa risposta dipendono l’umore della giornata e spesso anche il destino professionale di molti. Ma al di là del risultato in termini di audience e di share, c’è un dato molto importante che l’Auditel rivela: la composizione sociale, culturale ed economica del pubblico che ha seguito una certa trasmissione. Insomma, il target. È opinione comune che le grandi reti 49