COSTITUZIONE
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L’inserimento nell’ar ticolo 9 della materia ambientale non è un caso, se si considera che stanno nascendo, anche nel mondo dell'arte contemporanea... PAGG. 10-11
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L’inserimento nell’ar ticolo 9 della materia ambientale non è un caso, se si considera che stanno nascendo, anche nel mondo dell'arte contemporanea... PAGG. 10-11
Novembre è il mese dedicato ai negoziati della ventisettesima conferenza delle parti sul clima dell’ONU. Precisamente il sette e l’otto novembre si è tenuto lo “Sharm El-Sheikh Climate Implementation Summit” con la presenza di molti leader politici, fra cui il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il Presidente egiziano, nonché presidente della conferenza annuale dell’Onu sul clima, Abdel Fattah El-Sisi. Il Summit è stato articolato in
2030 su quello che riguarda cibo e agricoltura, acqua e natura, oceani e coste, insediamenti umani e sistemi di infrastrutture, pianificazione e finanza. Nella splendida cornice di Sharm è stato anche diffuso l'Annuario dell'azione globale sul clima 2022, che riferisce ogni anno sui progressi fatti dai soggetti non statali nel raggiungimento dei loro obiettivi legati al clima. Inoltre, l'Annuario mostra che, nonostante gli ostacoli che persistono, il mondo degli affari, gli investitori, le città, gli stati e le regioni stanno costruendo la propria
sei tavole rotonde seguite da specifici documenti sui temi di giusta transizione, sicurezza alimentare, finanza innovativa per il clima e lo sviluppo, idrogeno verde, sicurezza idrica, cambiamenti climatici e sostenibilità delle comunità vulnerabili. Il Presidente egiziano ha, poi, annunciato l'Agenda di Sharm el-Sheikh per l'adattamento al cambiamento climatico, per migliorare, entro il 2030, la resilienza di ben quattro miliardi di persone che vivono nelle comunità più vulnerabili a causa della crescente crisi climatica. L'Agenda per l'adattamento è il primo piano globale per raccogliere attori statali e non statali intorno a un pacchetto condiviso che vede trenta risultati di adattamento al
resilienza e stanno realizzando rapidi cambiamenti nell'economia reale. C’è da dire, poi, che l’operato dei soggetti non statali continua ad aumentare: ben trentaquattro partner provenienti da centotrentanove paesi hanno intrapreso azioni per costruire la resilienza di circa tre miliardi di persone, mentre altri ventisei partner hanno mobilitato più di undicimila attori non statali provenienti da centosedici paesi affinché si adottassero misure per dimezzare le emissioni globali al 2030 e poter, così, arrivare a zero emissioni nette a metà secolo. Dovendo quantificare, l’azione climatica sta diventando più uniforme coinvolgendo varie aree del globo: infatti, l'Annuario registra un aumento del settantotto per cento di attori dell'Asia-Pacifico e del 67% dell'Africa. Un risultato da non sottovalutare in relazione alla lotta ai continui e drastici cambiamenti climatici che sta vivendo la Terra. L’importante è non perdere di vista l’obiettivo, quello di salvaguardare il nostro pianeta che sta vivendo un momento particolarmente difficile. A quanto pare si stanno raggiungendo buoni risultati e queste percentuali evidenziate in Egitto lasciano ben sperare.
Si è conclusa lo scorso 20 novembre l’annuale conferenza sul clima organizzata dall’ONU e cui prendono parte i paesi che hanno sottoscritto la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Riunitasi quest’anno a Sharm el Sheikh, in Egitto, la COP27 ha visto 196 paesi del mondo confrontarsi con l'obiettivo di individuare strategie comuni volte a contrastare gli effetti del cambiamento climatico, e scongiurarne le più gravi conseguenze sull'intero pianeta e la sua popolazione. A differenza di quanto avvenuto a Parigi con la COP 21 del 2015, anno nel quale venne sottoscritto lo storico accordo con cui tutti i paesi partecipanti si impegnavano a ridurre le emissioni inquinanti e a mantenere l'aumento di temperatura inferiore ai 2 gradi, la COP27 di Sharm el Sheikh non si è conclusa con un successo diplomatico. E in verità, le aspettative degli esperti, ancora prima che la conferenza iniziasse, erano piuttosto basse. Già lo scorso anno a Glasgow, durante la Cop26, erano emerse differenze sostanziali tra le posizioni dei paesi occidentali, Stati Uniti ed Unione Europea, e i paesi in via di sviluppo. Distanze che avevano fatto saltare l'accordo sul fondo per le perdite e i danni subiti dai paesi vulnerabili per i cambiamenti climatici (a causa, soprattutto, della paura dei paesi industrializzati di dover pagare un conto troppo salato). Un nodo che la conferenza di quest'anno è riuscita, in extremis, a risolvere, grazie ad uno sforzo che
ha portato all’istituzione del Fondo “Loss and Damage”. Tuttavia, sul fronte della riduzione delle emissioni inquinanti, non si è andati oltre la conferma di impegni assunti in precedenza. Viene infatti ribadito il raddoppio a 40 miliardi di dollari entro il 2025 di finanziamenti da dedicare all'adattamento, l'adozione cioè di misure volte a contrastare gli effetti e le vulnerabilità del cambiamento climatico, mentre per le politiche di riduzione dell'impatto dei cambiamenti climatici – la cosiddetta "mitigazione" – resta l'impegno a perseguire l'obiettivo di contenere l'aumento della temperatura globale al di sotto di 2°C, e di tenere “a portata di mano” il target di 1,5, attraverso programmi di riduzione delle emissioni di gas serra. Un punto sul quale è anche emerso, nel documento finale, un severo rimprovero rivolto ai paesi sviluppati i quali, nonostante l’evidente maggiore disponibilità di risorse finanziarie e tecnologiche, continuano a fallire nell’obiettivo di ridurre le proprie emissioni. E l’Italia?
Rappresentata in Egitto dal Presidente Giorgia Meloni e dal Ministro Gilberto Pichetto Fratin, ha annunciato un investimento di 1,4 miliardi di euro in cinque anni, con un finanziamento di 840 milioni per il nuovo Fondo Italiano per il Clima. Gestito da Cassa Depositi e Prestiti, rappresenterà un'evoluzione della strategia italiana sulla sostenibilità ambientale, con lo scopo di accelerare i tempi verso il pieno raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione, sia pure al netto delle conseguenze della crisi legata all’approvvigionamento energetico.
"La responsabilità ambientale verso le generazioni presenti e future" è il titolo dell'incontro che si è svolto lo scorso 25 novembre, a Pianura, nella periferia ovest di Napoli. La manifestazione, patrocinata dal Ministero della Difesa, è stata l'occasione per discutere di ambiente, ecoreati, sostenibilità e prospettive di risanamento, con i ragazzi dell'Istituto Comprensivo "Ferdinando Palasciano". Ad aprire i lavori la Dirigente Scolastica Maria Luisa Salvia. Al tavolo dei relatori – tra gli altri – il moderatore e organizzatore dell’iniziativa l’avv. Giuseppe De Vita, il vicepresidente della Camera dei deputati Sergio Costa , l'assessore all'Istruzione del Comune di Napoli Maura Striano e il direttore generale Arpac Stefano Sorvino che ha, ancora una volta, sottolineato l’importanza di iniziative del genere ai fini della sostenibilità ambientale: “La cultura, la consapevolezza, i comportamenti individuali e collettivi sono tasselli fondamentali per portare avanti politiche di tutela ambientale efficaci. E’ necessario quindi da parte degli addetti ai lavori informare e formare soprattutto le giovani generazioni circa le giuste azioni da mettere in atto per la protezione del territorio e dell’ambiente. Quale luogo più appropriato se non la scuola per andare avanti in questa direzione con attività e iniziative in grado di concorrere al raggiungimento di tali obiettivi e diffondere sempre più stili di vita sostenibili?”
Venerdì 25 novembre presso la Sala De Sanctis di Palazzo Santa Lucia (NA), è stato presentato il Masterplan per la rifunzionalizzazione idraulica ed il recupero ambientale, agricolo e paesaggistico del bacino dei “Regi Lagni”, redatto all’interno del Contratto istituzionale di sviluppo (Cis): “Da Terra dei fuochi a Giardino d’Europa”.
Il Programma, che può contare su un primo finanziamento regionale di 40 milioni di euro, è stato sottoscritto dal Governo, dalla Regione, dai Comuni interessati e dal Consorzio di Bonifica del Volturno al fine di favorire la rapida realizzazione di progetti e investimenti volti a rilanciare i territori interessati con risorse del Fondo sviluppo e coesione (Fsc).
E’ la prima volta, nella storia infinita dei Regi Lagni, che una progettazione riguarda non singole parti del bacino ma bensì l’intero bacino idraulico costituito da 57 km del canale principale e da diverse centinaia di km dei canali affluenti.
Alla conferenza stampa sono intervenuti il presidente Vincenzo De Luca, il Commissario straordinario del Consorzio di Bonifica del Volturno Francesco Todisco, l’Assessore al Governo del Territorio Bruno Discepolo, l’architetto Andreas Kipar dello Studio Land di Milano, redattore del Masterplan ed alcuni dei Sindaci che hanno aderito all’iniziativa.
L’intento del progetto è quello di restituire massima funzionalità al corpo idrico e al tempo stesso farne un bosco lungo gli argini di grande impatto paesaggistico e naturalistica. Gli argini saranno rinaturalizzati con opere di ingegneria naturalistica e corredati da una via ciclopedonale adatta alla fruizione turistica.
Il Consorzio affiderà i primi lavori il prossimo anno che dovranno essere ultimati entro il 2027.
Pagina a cura della Redazione
Affrontare la crisi energetica, integrando la necessità urgente di rispondere all’emergenza senza perdere di vista l’orizzonte della transizione ecologica di lungo periodo. Questi i temi affrontati nel corso di un evento del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente che si è tenuto lo scorso 9 novembre nell’ambito della rassegna Ecomondo a Rimini, primo appuntamento preparatorio alla seconda Conferenza nazionale Snpa che si terrà nel 2023. Partendo dalle domande che la situazione internazionale pone su disponibilità e costi delle fonti energetiche (in particolare il gas naturale), il Snpa ha voluto avviare il confronto con il mondo imprenditoriale per favorire soluzioni condivise. Un tema in primo piano riguarda le richieste delle imprese di sostituire il metano con altre fonti energetiche per abbattere i costi. Questo comporta una discussione sui provvedimenti e le possibili deroghe da applicare sulle autorizzazioni ambientali. Come ha sottolineato nel corso dell’incontro il presidente di Ispra e Snpa, Stefano Laporta, la situazione attuale evidenzia rischi per la tutela ambientale, ma allo stesso tempo deve tradursi anche in opportunità per un futuro più sostenibile. L’urgenza di rispondere allo shock che le imprese stanno affrontando è stata evidenziata da Marco Ravazzolo (responsabile Area Ambiente Confindustria), che ha voluto comunque ribadire che gli obiettivi di decarbonizzazione non sono in discussione, sollecitando pertanto l’autorizzazione di impianti rinnovabili e sistemi di accumulo da tempo fermi. I provvedimenti messi in campo da Arera sono stati illustrati dal suo presidente Stefano Besseghini. Stefano Ciafani (presidente di Legambiente) ha invitato a non perdere la bussola individuata dall’Ue con i percorsi di Green deal, Next generation EU e Repower EU. Per Laura D’Aprile (Ministero dell’Ambiente), le deroghe alle imprese devono essere temporanee e prevedere controlli intermedi per verificare se sussistono le condizioni per mantenerle. La risposta alla crisi richiede quindi un rafforzamento delle strutture che devono effettuare tali valutazioni. Alla necessità di accelerare la transizione ha richiamato anche Gilberto Dialuce (presidente Enea): un percorso che deve coniugare gli aspetti tecnologici innovativi a nuovi modelli economici. La situazione attuale, ha sottolineato Daniel Martin-Montalvo (Agenzia europea per l’ambiente), va inquadrata nell’ambito più ampio delle sfide ambientali e climatiche che il sistema deve fronteggiare. Gli interventi di Giuseppe Bortone (dg Arpae Emilia-Romagna) e Marco Lupo (dg Arpa Lazio e vicepresidente Snpa) hanno
infine sollevato la necessità di definire un quadro chiaro che contemperi tutti gli interessi in gioco, dalla sicurezza delle produzioni alla tutela dell’ambiente e della salute. Il sistema dei controlli sarà fondamentale: il rafforzamento del sistema delle agenzie ambientali è quindi imprescindibile
sia per l’immediato, sia per garantire la sostenibilità in una prospettiva di lungo periodo: rafforzare le agenzie ambientali significa rendere più efficienti i procedimenti autorizzatori e accelerare le soluzioni per la transizione ecologica e la crisi energetica. Per questo è importante che si superi lo stallo relativo all’approvazione dei decreti relativi ai livelli essenziali di prestazioni tecniche ambientali e agli ispettori ambientali. Gli interventi sono stati introdotti e moderati da Romina Maurizi, direttrice di Quotidiano Energia. Il secondo evento preparatorio alla Conferenza nazionale Snpa si terrà a Roma il 16 marzo 2023, dedicato al mondo dell’informazione. Anche la Regione Campania ha partecipato a Ecomondo con uno stand istituzionale,
per presentare gli interventi realizzati e programmati per favorire la diffusione della green economy nei processi di sviluppo economico e sociale, con la partecipazione, tra gli altri, del vicepresidente della Regione e assessore all’Ambiente Fulvio Bonavitacola. (da snpambiente.it)
Dal 1 al 3 dicembre prossimi, in occasione dei 50 anni della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Salerno, si terrà a il Convegno internazionale di studi sul tema “Ambiente, sostenibilità e principi costituzionali” presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi di Salerno “Vincenzo Buonocore”. Tra gli argomenti in programma: la tutela dell’ambiente
e principi costituzionali: la legge cost. 1/2022, la tutela della salute, sostenibilità e responsabilità intergenerazionale ai tempi della transizione ecologica e digitale, Pnrr, energia, ciclo integrato delle acque e dei rifiuti, grandi rischi, cambiamento climatico, infrastrutture e mobilità sostenibili, zes: economia e semplificazione amministrativa. Parteciperà alla sessione di venerdì 2 dicembre il Direttore Generale di Arpac Stefano Sorvino con un intervento sui profili istituzionali e tecnico-operativi dell'attività dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente in Campania.
La direttrice della National Environmental Agency della Georgia, Tamar Pitskhelauri, accompagnata da una delegazione di dirigenti dell’Agenzia per l’ambiente della repubblica caucasica, ha visitato lo scorso 14 novembre la sede centrale dell’Arpa Campania. Accolta dal direttore generale Stefano Sorvino e dal dirigente della UO Monitoraggio qualità dell’aria Piero Cau, la delegazione georgiana ha posto una serie di domande al management Arpac sulle modalità di monitoraggio dell’inquinamento atmosferico e in generale sulle caratteristiche e la storia dell’Ente campana. I rappresentanti delle due agenzie preposte ai controlli ambientali hanno auspicato l’avvio di forme di collaborazione e confronto continuo in materia. In particolare, anche ai fini dell’armonizzazione del quadro di controlli georgiani con la normativa dell’Unione europea, la National Environmental Agency sta sviluppando la propria rete di monitoraggio dell’inquinamento atmosferico che, al momento, è in fase di avvio, per cui l’agenzia è impegnata nel raffronto con le realtà agenziali dell’Unione europea al fine dell’acquisizione del relativo know how.
Un nuovo laboratorio mobile per il monitoraggio della qualità dell’aria nella flotta ARPAC. Il laboratorio è stato acquisito nell’ambito del Progetto "Servizi Smart informativi al cittadino, alle imprese ed agli Enti sulla qualità dell'aria, sulle acque sotterranee e sulle emissioni odorigene" a valere sui fondi POR FESR CAMPANIA 2014/2020. Tra i molteplici obiettivi del progetto, per un finanziamento complessivo di circa 2,5 milioni di euro, è previsto il potenziamento delle attività di monitoraggio della qualità dell’aria, con l’acquisizione di strumentazione da campo e da laboratorio di ultima generazione, ad alta tecnologia e caratterizzata da una gestione più sostenibile. Inoltre, la realizzazione del laboratorio di olfattometria dinamica presso il dipartimento provinciale di Caserta e la messa a regime della rete di monitoraggio dei parametri quali-quantitativi delle acque sotterranee regionali. Infine, l’acquisizione di servizi informatici per la diffusione delle informazioni ambientali a enti e cittadini attraverso il coordinamento con la piattaforma I.Ter. della Regione Campania e lo sviluppo di una app per la consultazione dei dati e la segnalazione delle molestie olfattive. Il Laboratorio mobile monitora NO-NO2-NOX, CO, O3, PM1, PM2.5,PM4,PM10 e PTS. In più è dotato di campionatore PM10+PM2.5 per la raccolta di campioni di polveri sottili per le successive analisi in laboratorio (determinazione di metalli pesanti, IPA e speciazione del particolato).Inoltre, a bordo è presente di strumentazione meteo di supporto.
tocchi il fondo, puoi solo risalire”. Echeggiano nell’aria queste parole da quando, lo scorso 12 novembre, alcuni ragazzi minorenni dell’Area Penale di Napoli, hanno avuto la possibilità di sentire di nuovo sulla pelle l’acqua di mare. Sì perché a Nisida il mare si intravede solo da dietro le sbarre. E se sei fortunato, il vento è forte e riesci a sentirne l’odore. Ma facciamo un passo indietro. Alcuni mesi fa viene presentato il Progetto “Bust Busters” per il recupero ambientale del Borgo Marinari di Napoli. L’iniziativa, che vede insieme: Archeoclub D’Italia, MareNostrum, Marina Militare, Corpo Militare dell’Ordine di Malta, Asia, Dipartimento di Giustizia Minorile, Arpa Campania e Comune di Napoli, punta a mettere in atto operazioni di pulizia e recupero riguardanti spiagge, mare e fondali.
Il Progetto, però, nasce anche come progetto sociale, in quanto vengono coinvolti, ai fini della realizzazione, alcuni ragazzi dell’Area Penale di Napoli che, attraverso un corso di formazione di immersione subacquea, teorico e pratico, acquisiscono le necessarie conoscenze per dare il loro contributo.
Il 12 novembre, nel cuore di un contesto geologico unico, quale quello dell'area flegrea di Nisida, accompagnati dai palombari della Marina Militare, la loro prima immersione con il recupero dei primi rifiuti depositati sui fondali. Nella giornata, grazie alla partecipazione di altri ragazzi del penitenziario e dei volontari dell’associazione “Mare Nostrum”, è stata effettuata anche la pulizia della spiaggia Molo Cappellini di Nisida.
I giovanissimi sub hanno ricevuto il brevetto di primo livello, ma l'obiettivo è quello di arrivare alla qualifica OTS (Operatore Tecnico Subacqueo) che potrà offrire loro delle opportunità lavorative.
Sentite e auspicanti le parole di Francesca Esposito, referente attività sociali di Marenostrum: «Molti di questi ragazzi provengono da situazioni di degrado ed emarginazione, grazie a progetti come questi possiamo dimostrare loro che un altro modo di vivere e di autodeterminarsi è possibile. Migliorare le condizioni di
vita dei minori sottoposti alla pena detentiva con attività socio educative legate al mare, può essere non solo motivo di socializzazione, di interrelazione, ma anche una grande opportunità per il loro graduale reinserimento all’interno del tessuto sociale”. La difficoltà di ogni progetto non è mai la stesura o l’avvio. Ma il prosieguo, la resistenza, la perseveranza, davanti agli impegni, ai ruoli e alle responsabilità dei diversi promotori e interlocutori. L’auspicio è che, questa volta, le cose vadano diversamente. La "risalita" di questi ragazzi è appena cominciata: si prega di non mollare la presa. (di F.L.)
Il concetto di mobilità di servizio nasce per essere applicato soprattutto nelle grandi città, dove la congestione del traffico e i livelli di inquinamento atmosferico e ambientale sono elevati. Il percorso verso la decarbonizzazione del trasporto stradale e l’affermazione di modi sostenibili di muoversi nelle nostre città, è strettamente collegato all’esigenza di ridurre il numero dei veicoli che circolano. Non è sufficiente elettrificare il parco auto, processo che porterà a ridurre drasticamente le emissioni di gas serra e di inquinanti atmosferici, ma è indispensabile anche ripensare il modo di vivere nelle realtà urbane, in cui gli spazi disponibili sono limitati e occupati dai veicoli, siano essi in circolazione o in sosta. Il “Decreto Rilancio” DL 34/2020, convertito in Legge 77/2020, ha introdotto l'obbligo di nominare un Mobility Manager per tutte le aziende o gli Enti pubblici con più di 100 dipendenti. Le aziende e le Pubbliche Amministrazioni che hanno più di 100 dipendenti e sono ubicate in un capoluogo di regione, in una città metropolitana, in un capoluogo di provincia o in un comune con più di 50 mila abitanti sono tenute a nominare per legge un Mobility Manager. Le modalità attuative del provvedimento sono state definite con il decreto n. 179 del 12 maggio 2021. E proprio al fine di favorire il decongestionamento del traffico nelle aree urbane che il Direttore Generale ARPAC avv. Stefano Sorvino ha individuato tra il proprio personale il Mobility Manager. Tale incarico ha la durata di diciotto mesi dalla data di eseguibilità della delibera n. 92 del 21/10/2022 e non prevede alcun compenso o rimborso spese. Il compito principale del Mobility Manager Aziendale è quello di svolgere funzioni di supporto alle attività di decisione, pianificazione, programmazione e gestione nell’adozione del piano di mobilità sostenibile redigendo entro il 31 dicembre di ogni anno il piano di spostamento casa- lavoro del personale dipendente. I PSCL (Piani Spostamento Casa-Lavoro) hanno, quindi, come dichiarata finalità quella di contribuire alla riduzione permanente dei livelli di congestione del traffico urbano e dell'inquinamento atmosferico, con vantaggi a livello ambientale, economico e sociale. Per il perseguimento degli obiettivi ambientali e sociali e per l’attuazione dei PSCL (piani spostamento casalavoro) si pensa a modalità di trasporto collettivo condiviso a ridotto impatto ambientale da affiancare ai modelli della new mobility (monopattini elettrici e automobili elettriche).
Il 25 novembre si celebra nel mondo la Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, una ricorrenza istituita dall' Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che in questa data invita i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica su una delle più devastanti violazioni dei diritti umani.
La data del 25 novembre ricorda le sorelle Mirabal. Erano tre sorelle attiviste nella Repubblica Dominicana massacrate per ordine del dittatore Rafael Leónidas Trujillo. Stiamo parlando di un crimine inaccettabile, che ancora oggi suscita terrore e indignazione in tutti le parti del mondo. Alcuni giorni fa per la ricorrenza in Piazza Pietra a Roma è stata installata una statua di ghiaccio che rappresenta tutte le donne in uscita dalla violenza: testa alta, sguardo coraggioso, passo in avanti verso il futuro a simboleggiare la volontà di riprendere in mano la propria vita, volontà che però non si realizza, che resta, appunto, congelata. Per scongelare la statua allestita sono bastate poche ore. Per scongelare il percorso di libertà delle donne serve invece molto di più.
A confermare l’urgenza anche i dati: nel mondo la violenza sulle donne interessa 1 donna su tre.
In Italia i dati Istat mostrano che il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner.
Laddove le famiglie sono più a stretto contatto e trascorrono più tempo assieme, come avvenuto durante l’attuale pandemia, aumenta il rischio che le donne e i figli siano esposti alla violenza soprattutto se in famiglia vi sono gravi perdite economiche o di lavoro. Man mano che le risorse economiche diventano più scarse possono aumentare anche forme di abuso, di potere e di controllo da parte del partner. Negli anni la situazione non sta migliorando e gli attacchi con l'acido e le ustioni sono sempre più frequenti. Le
armi utilizzate, acidi e kerosene, sono facili da reperire e a buon mercato per la maggior parte delle famiglie e non esistono norme legali che ne regolino la vendita e la distribuzione. L’impunità diffusa e le risposte inadeguate degli Stati nell’affrontare questa violenza, spesso basate su stereotipi patriarcali del rapporto uomo/ donna, lascia molte donne vittime di violenza senza protezione e senza possibilità di ricorrere alla giustizia.
L'ONU, la Comunità Europea, il Governo Nazionale, il Governo Regionale ed Associazioni stanno intervenendo a livello locale e nazionale per sensibilizzare la comunità e i membri della magistratura: migliorare la capacità di risposta dei servizi sanitari e l'accesso ai servizi legali; migliorare i tempi della giustizia; ridare alle sopravvissute un’autonomia economica. Questi alcuni degli obiettivi istituzionali per scoraggiare fenomeni del genere e prevenirli.
L’ ONU si è posta come obiettivo di sensibilizzare a livello internazionale su questo argomento.
La lotta contro questa forma di violenza è stata disciplinata da vari strumenti normativi internazionali (convenzioni, raccomandazioni, dichiarazioni etc.) che hanno condotto non solo a una definizione del fenomeno che potesse includere le varie forme di violenza di cui una donna può essere vittima (fisica, psicologica, verbale), ma anche all’adozione di standard normativi comuni agli Stati contraenti.
Tra i molti si possono citare la «Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica» (Convenzione di Istanbul, 2011), la raccomandazione Rec (2002) del Comitato dei ministri (“Comitato”) agli Stati membri sulla protezione delle donne contro la violenza, la «Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna» (CEDAW, 1981), la «Dichiarazione sull’eliminazione di ogni violenza contro le donne» (DEVAW, 1993), nonché la «Convenzione interamericana per la prevenzione, la punizione e lo sradicamento della violenza contro le donne» (Convenzione di Belém do Pará, 1994). (Prima parte)
L’articolo 9 della Costituzione, con la legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, cambia fisionomia e si arricchisce di un’anima ambientalista. Oltre alla tutela del patrimonio artistico e del paesaggio, prevede la salvaguardia dell’ambiente, della diversità e degli ecosistemi. In materia di ambiente la letteratura scientifica è ormai corposa, nella logica del nuovo principio della sostenibilità, guardando ad un pianeta sul quale le risorse divengono sempre meno disponibili e assumono un valore economico sempre più elevato. L’inserimento nell’articolo 9 della materia ambientale non è un caso, se si considera che stanno nascendo, anche nel mondo dell’arte contemporanea, progetti che muovono nella medesima direzione. Basti pensare a “Arte, sostenibilità, ambiente, un rapporto circolare: la mostra da Spazio Taverna”, promossa dal CONAI o alla sensibilità verde raccontata nella presentazione della Biennale di Venezia di Cecilia Alemani.
Sempre a favore dell’ambiente è stata apportata una modifica all’articolo 41 Cost., dedicato all’iniziativa economica, con l’introduzione del principio della sostenibilità e che stabilisce: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, (…).
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”. Un passo avanti nella tutela ambientale. In fondo già la giurisprudenza sia di legittimità che costituzionale era giunta alla conclusione che esiste un “diritto fondamentale all’ambiente salubre”. L’inserimento della nozione di ambiente nell’articolo 9 tra i
principi fondamentali appare, quindi, come la conferma necessaria da parte del legislatore costituzionale di un principio già individuato dalla giurisprudenza. Nell’articolo 9 Cost. è stato specificato che la Repubblica tutela non solo la cultura, lo sviluppo e la ricerca scientifica, ma, altresì, l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Aggiungendo, dappoi, che la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali. Una riserva di legge, dunque, che impedisce di delegare tale materia a decreti ministeriali o alle Regioni. E infine c’è l’articolo 41
della Costituzione, quello sulla libertà dell’iniziativa economica privata. Da oggi tale iniziativa non potrà più porsi in contrasto con l’ambiente. Divenuto l’ambiente oggetto di tutela ne deriva che viene protetta la biosfera nel significato coniato dalla Convenzione UNESCO sull’ambiente del 1972 e ripreso in tre sentenze della Corte costituzionale: la n. 378 del 2007, la n. 104 del 2008 e la n. 1 del 2010. Si dice, infatti, che diventa oggetto di tutela non solo la “Comunità politica”, ma anche la “Comunità biotica”. Il mondo e gli esseri viventi intorno a noi sono tutelati in quanto tali, e non solo come strumenti o risorse dell’umanità.
L’inserimento nell’articolo 9 della materia ambientale non è un caso, se si considera che stanno nascendo, anche nel mondo dell’arte contemporanea, progetti che muovono nella medesima direzione.
Qualcuno parla di passaggio da una visione “culturale” antropocentrica ad una prospettiva “biocentrica”. La formula costituzionale finirebbe per dar corpo all’antispecismo, nella misura in cui l’uomo non è ritenuto superiore alle altre specie viventi. Forse così si supera la prospettiva giudaicocristiana, del mondo donato all’uomo, fatto “a immagine e somiglianza” di Dio (Gn 1,26-27) “perché lo lavorasse e lo custodisse” (Gn 2,15), non per trasformarlo in museo. Nel nuovo dettato costituzionale, la necessità e urgenza è “salvare il pianeta”. L’ecologicamente corretto potrebbe allora tradursi in leggi che vincolano le generazioni presenti a restrizioni nel nome di un futuro utopico?
Del resto grazie all’articolo 9 si è potuta costruire, in tutti questi anni, la tutela giuridica congiunta dei beni culturali ed ambientali, sulla base di interventi interpretativi della Corte Costituzionale e dell’emanazione del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. Oggetto di tutela non è solo il paesaggio, ma anche l’ambiente (aria, terra, acqua etc.), la biodiversità (tutte le forme di vita) e gli ecosistemi (ambiti di territorio in relazioni dinamiche fra le varie forme di vita che li popolano e fra esse e l’ambiente). L’ambiente (che già la Corte Costituzionale aveva ricompreso nel termine “paesaggio”), la biodiversità e gli ecosistemi divengono soggetti di tutela costituzionale e non semplici “oggetti”.
Papa Benedetto XVI, nel 2011, ha fornito la prospettiva corretta per inquadrare le tematiche ambientali: “L’importanza dell’ecologia è ormai indiscussa. Dobbiamo ascoltare il linguaggio della natura e rispondervi coerentemente. Vorrei però affrontare con forza un punto che – mi pare –venga trascurato oggi come ieri: esiste anche un’ecologia dell’uomo. Anche
l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere”.
È sulla riforma dell’articolo 41 Cost. che occorre porsi qualche domanda in più, nel senso che la svolta ambientalista non può significare preferenza per forme di produzione, che si tratti di energia o altro, dichiaratamente non lesive della salute e dell’ambiente. Occorre considerare, con rigore, gli aspetti legati alla produzione, soprattutto in ragione delle esternalità generate.
L’ “ambiente” entra tra i “soggetti di diritto”, ed è quindi meritevole di tutela come tale, giustificando future limitazioni alla proprietà privata e alla libera iniziativa, potenzialmente anche incisive vista la genericità del richiamo. Le modifiche si pongono in linea con la normativa europea: la Carta di Nizza stabilisce, nell’articolo 37, che “un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione (…). Ed ancora nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, all’articolo 191. Per non parlare dell’Agenda ONU 2030 sul cosiddetto “sviluppo sostenibile”. Sul piano contenutistico, in materia di iniziativa economica, si è formato un complesso meccanismo di vincoli, che le modifiche green, lette come “alte” e seppur vaghe, accentuerebbero, con la possibilità di sempre nuove regole, restrizioni o forme di incentivazioni. Oltre alla libertà di iniziativa economica, la minaccia si potrebbe estendere anche alla proprietà privata con forti limitazioni nei più disparati settori. Al di là di possibili bias cognitivi ciò cui certamente assisteremo, nel tempo, è l’evoluzione interpretativa del principio ormai incardinato nella tavola dei valori costituzionali. (di A. Loreto, A. Coraggio, E. Luce)
Il prefetto Franco Gabrielli è una figura di primo piano dell’amministrazione italiana, dalla forte personalità e con curriculum brillantissimo, da ultimo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ed Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica nel governo Draghi. Funzionario di Polizia, già dirigente della Digos e poi giovane Direttore del Sisde, Gabrielli, sobrio ma di spessore professionale, veniva nominato sul campo Prefetto dell’Aquila nel giorno del terremoto del 6 aprile 2009, assumendo nella qualità anche l’incarico di vicecommissario vicario per l’emergenza Abruzzo (al fianco di Guido Bertolaso). Quell’esperienza, in cui assumeva la titolarità di una Prefettura il cui palazzo crollato era divenuto simbolo del rovinoso sisma (con sede vacante per il pensionamento del predecessore), ricorda per qualche verso il lontano precedente di Carmelo Caruso, nominato prefetto di Avellino subito dopo il tragico terremoto del 23 novembre 1980, a seguito della clamorosa esternazione del Presidente Pertini e la (frettolosa) rimozione del suo predecessore. Proprio per l’esperienza acquisita sul campo Gabrielli, dotato di carismatica autorevolezza e rapida capacità decisionale, veniva nominato prima Vicecapo in affiancamento (maggio 2010) e poi, qualche mese dopo, Capo (novembre 2010) del Dipartimento della protezione civile, avvicendando Bertolaso nel ruolo che avrebbe retto fino alla nomina a prefetto di Roma (2015), per poi divenire capo della Polizia ed assumere successivamente il coordinamento dei servizi di informazione e sicurezza. Il quinquennio di Gabrielli è stato particolarmente duro ed impegnativo in una difficile fase di transizione segnata dalla dirompente crisi della
finanza pubblica e, nello specifico della protezione civile nazionale, dalla reazione agli “eccessi” ed alle ridondanze, vere o presunte, del precedente decennio, con una sorta di “controriforma” introdotta per spezzoni normativi. Da un lato, dopo le vicende giudiziarie degli appalti per i “grandi eventi” e, soprattutto per effetto della spending review, la Protezione Civile – marcata in modo stretto dal Ministero dell’economia e finanze – ha subito in quegli anni un forte processo di ridimensionamento normativo e dimagrimento finanziario, quasi come contrappasso rispetto alle superfetazioni del periodo 2001-2010. Tuttavia, nello stesso quinquennio, la depotenziata protezione civile di Gabrielli ha dovuto fronteggiare – con strumenti gestionali limitati – alcune gravi emergenze, tra cui la grande ondata migratoria proveniente dal Nord Africa (2011-12), il terremoto dell’Emilia del maggio 2012 e, soprattutto, l’emergenza conseguente al naufragio della nave da crociera Costa Concordia, avvenuto in Toscana nei pressi dell’isola del Giglio la notte del 13 gennaio 2012. Alle ore 21.45 di quel venerdì la motonave Concordia della società armatrice Costa Crociere urtava il più piccolo degli scogli delle
Scole, situato a circa 500 metri dal porto dell’isola del Giglio, incagliandosi ed inclinandosi paurosamente.
Il grave incidente provocava uno squarcio di circa 700 metri nello scafo, causando la morte di 32 persone e 193 feriti ed il parziale affondamento della nave, aprendo la delicatissima problematica della sua rimozione e delle possibili conseguenze ambientali in un’area ad altissima sensibilità (Parco dell’Arcipelago Toscano). In quella drammatica circostanza, una settimana dopo la verificazione dell’evento, il Capo Dipartimento della protezione civile Gabrielli veniva nominato Commissario delegato per la gestione dell’emergenza dichiarata dal Governo, consistente soprattutto nel laborioso e delicato coordinamento delle attività pubbliche volte alla rimozione della motonave affidata alla società armatrice. La complicata e rischiosa operazione di recupero, senza precedenti specifici, si concludeva con successo con il traino della nave nel porto di Genova nel luglio 2014, dopo alcuni giorni di navigazione. A questa esperienza, straordinaria ed originale nel pur variegato catalogo degli eventi di protezione civile, è essenzialmente dedicato il libro “Naufragi e nuovi
approdi” di Franco Gabrielli, edito da qualche mese (per i tipi della BaldiniCastoldi), significativamente sottotitolato “Dal disastro della nave Concordia al futuro della protezione civile”. La parte centrale del volume, articolata in cinque atti, ricostruisce in modo analitico e dettagliato la drammatica vicenda nei suoi vari aspetti, dalla prima fase del naufragio e dei soccorsi al rischio sventato di disastro ambientale, il “parbuckling” (cioè la rotazione della nave), l’ultimo viaggio verso il porto di Prà e l’illustrazione delle “carte vincenti” giocate da Gabrielli nella difficile partita. La narrazione risulta puntuale ed incisiva nei suoi diversi momenti, dall’arrivo della protezione civile al Giglio – in attesa della ritardata dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Governo Monti – alla rischiosa ricerca dei dispersi, dalla valutazione dei possibili scenari all’operazione di “debunkering” (svuotamento del carburante dai serbatoi), dalle difficoltà della struttura commissariale nei rapporti con il Ministero dell’Ambiente nella tormentata procedura al progetto di rimozione dello scafo sino alle operazioni di rotazione della nave semiaffondata. La complessa vicenda, con significativi risvolti ambientali, viene finalmente avviata a conclusione dal Commissario con l’individuazione dell’approdo a Genova per la nave recuperata e rimorchiata, e si narrano ulteriori aspetti significativi tra cui il rapporto con gli isolani gigliesi, la necessaria cooperazione pubblicoprivato, i supporti e le collaborazioni ricevute nel corso dell’impresa. Oltre al nucleo centrale del volume, risultano altresì molto interessanti il capitolo introduttivo e quello conclusivo, dedicati rispettivamente all’analisi preliminare della dura fase di depotenziamento della protezione civile del dopo-2010 ed alle prospettive dello stesso sistema nel prossimo futuro
dopo la prolungata e drammatica emergenza sanitaria del COVID. In particolare, tra fine 2010 e inizio 2011 (con il decreto legge “Milleproroghe” n. 225/10 e la successiva conversione con legge 10/11), da un lato si introduceva la discutibilissima “tassa sulle disgrazie” in capo al potere impositivo delle Regioni – abrogata l’anno dopo per illegittimità costituzionale con sentenza della Consulta – e, dall’altro, si restringevano drasticamente i poteri di azione della protezione civile sottoponendosi l’emanazione delle ordinanze di emergenza al preventivo concerto del MEF, con il conseguente “commissariamento” di fatto della Presidenza del Consiglio. In altri termini la protezione civile nazionale, fortemente rafforzata nel decennio precedente ma anche oltre modo dilatata per la gestione (giuridicamente impropria) dei c.d. “grandi eventi”, – oltre ad essere investita da una campagna mediaticogiudiziaria – veniva di fatto messa “sotto tutela” dal Ministero dell’Economia di Giulio Tremonti, additata come fonte di spesa incontrollata e di insostenibile sforamento dei conti pubblici. Successivamente l’assetto normativo della protezione civile ha conosciuto un’ulteriore evoluzione con il decreto-legge n. 59/2012 e la legge di conversione n. 100/2012 –attraverso soluzioni compromissorie e in qualche modo migliorative rispetto a varie incongruenze della normativa precedente, pur parzialmente perduranti. Tra esse l’estremo restringimento della durata dell’emergenza, l’obbligo di preventiva quantificazione ed autorizzazione della spesa occorrente (rispetto a gestioni per loro natura imprevedibili), di previsione dell’amministrazione subentrante in ordinario alla cessazione dell’“extra ordinem”, l’attribuzione della firma delle ordinanze al Capo Dipartimento
della protezione civile (e non più al Presidente del Consiglio) con il paradossale passaggio ad un funzionario di una responsabilità tipica del massimo livello apicale. L’assetto organizzativo e normativo del servizio di protezione civile si è poi ulteriormente integrato e consolidato nell’attuale codice, approvato con D.Lgs. n. 1/2018, ancora in parte privo dei previsti provvedimenti attuativi e già messo alla prova dalla dura esperienza della pandemia, che ha evidenziato deficit di coordinamento e direzione unitaria tra le varie componenti. Il libro brilla per la capacità di analisi critica dell’autore, la lucidità della sua visione di sistema, l’acume valutativo, la asciutta e cruda puntualità dei riferimenti e, soprattutto, il linguaggio diretto e sincero – senza ipocrisie, perifrasi e sforzi diplomatici –di un personaggio di valore noto per il suo piglio caratteriale, non privo di riferimenti caustici a fatti, situazioni e personaggi del panorama politico e di governo. Un lavoro che suscita vivo interesse e stimola opportune riflessioni, secondo lo stesso obiettivo dell’autore, offrendo attraverso le esperienze vissute una lettura critica e ricostruttiva dell’ultimo decennio di protezione civile italiana – nella sofferta evoluzione del suo assetto istituzionale, normativo ed organizzativo – fino alle impegnative considerazioni sulla recentissima emergenza sanitaria e sulle problematiche prospettive future. Come conclude lo stesso Gabrielli, “la storia della protezione civile continuerà ad essere costellata di tragedie, cui seguiranno necessarie faticose ripartenze. L’augurio è che ad ogni naufragio segua la forza e la capacità di reagire, facendo tesoro degli errori commessi e delle sconfitte patite, di riannodare i fili di un tessuto valoriale mai perduto, di ricercare un nuovo approdo verso nuove sfide”.
*DG Arpa Campania
L’ARPAC, nell’ambito delle attività di tirocinio ha dato avvio a percorsi di comunicazione, educazione ed informazione sulla sostenibilità ambientale e l’ economia circolare; tale formazione costituisce la base per la comprensione degli obiettivi e gli indicatori dell’ Agenda 2030 dell’ ONU e, pertanto, risulta utile e necessaria per gli studenti di qualsiasi Ateneo universitario. L’ Unità Operativa Comunicazione ed URP dell’ Agenzia ha infatti avviato il progetto di tirocinio “La comunicazione per la sostenibilità”, che ha coinvolto due studentesse del corso di studi in “ Green economy” dell’ Università Suor Orsola Benincasa: Rossana D’ Alterio e Ilaria Cirillo. Il percorso, partito con diverse lezioni sui principi legislativi nazionali ed internazionali in materia ambientale, è proseguito con l’analisi del concetto di sviluppo sostenibile e delle sue applicazioni fino a giungere al collegamento con la green economy e l’economia circolare e si concluderà con un laboratorio di comunicazione giornalistica ambientale grazie al supporto del personale dell’ U.O. Comu-Urp. Proprio per sperimentare sul campo quanto finora appreso, i Tutor del tirocinio: Ester Andreotti (Dirigente del Servizio Comunicazione-Urp di Arpac) e Alberto Grosso (Responsabile sez regionale catasto rifiuti) hanno organizzato una visita presso l’inceneritore di Acerra per approfondire gli aspetti legati ai principi di: “differenziare, riciclare e riutilizzare”.
Nel corso della presentazione introduttiva alla visita sono stati illustrati alcuni dei numeri dell’ impianto. In un anno, secondo i dati A2 sono stati prodotti 645 gigawattora di energia grazie al recupero dei rifiuti (pari al fabbisogno di 239mila famiglie). Sempre in un anno, (dati anno 2021) sono state circa 730mila le tonnellate di rifiuti trattati. Il termovalorizzatore si compone di tre linee di combustione indipendenti, ciascuna in grado di trattare ogni ora 27 tonnellate di rifiuti trasformandoli in circa 100Mwh di energia.
Nel corso della presentazione è stato evidenziato, inoltre, che il termovalorizzatore di Acerra è un sistema sicuro, controllato e protetto, grazie al sistema di monitoraggio delle emissioni attivo 24h su 24, infatti, queste ultime risultano, infatti, altamente al di sotto dei limiti imposti dalla normativa europea e di quelli ancora più restrittivi imposti dall’ A.I.A. (Autorizzazione Integrata Ambientale). Differenziare, riciclare e riutilizzare i rifiuti è oggi una
necessità, solo così è possibile contribuire a recuperare materie prime evitando di sprecare risorse, ma non tutti i rifiuti sono però riciclabili; come si può fare allora?! Un sistema c’è e non è così complicato! Quello che non tutti sanno è che i rifiuti non riciclabili possono diventare una fonte di energia importante, pulita e sicura che grazie ai termovalorizzatori viene recuperata e trasformata in energia elettrica che permette di illuminare le nostre case. Da tale visita si è compreso che la gestione e lo sviluppo del termovalorizzatore di Acerra rappresentano un’importante opportunità economica e ambientale per il nostro paese, ma un impianto funzionale non basta, per intraprendere la strada della sostenibilità è necessario che tutti adottino comportamenti virtuosi, la sensibilizzazione del cittadino alla raccolta differenziata è alla base del processo. (E. A.)
Nella capitale, intorno al 1830, si concentra tra il Ponte della Maddalena e il mare il maggior numero di concerie; tra le tante emergevano la Gamen, la De Rosa, quella dei fratelli Buongiorno al Mercato, quella di Gaetano Ingegno "a San Giacomo delle Capre sull'Arenella" ("con la vernice di sua invenzione che non si crepola affatto per le piegature"), di Eugenio Salabelle a Posillipo (con la "sua notevole fabbrica, le incerate per fodera di cappelli militari ed i cappelli impenetrabili"). Si segnalavano anche le produzioni di Grassi a Solofra (zona che successivamente diventerà un vero e proprio polo conciario) e di altre fabbriche del salernitano. Ma oltre alla produzione di suole, tomaie e scarpe in genere, era rilevante la produzione di guanti. Anche in questo
caso si trattava di una tradizione antica legata alla corporazione che aveva sede nella capitale nel quartiere San Giuseppe ai cosiddetti Guantai Vecchi e presso i Guantai Nuovi, dove si trovavano ancora numerose botteghe di piccoli imprenditori. La lavorazione si svolgeva quasi esclusivamente a domicilio attraverso una foltissima manodopera femminile residente nei quartieri più popolari e popolosi della città. Il lavoro era estremamente frazionato: dopo la concia, le pelli di agnello o di capretto, provenienti quasi tutte dalle Puglie o dagli Abruzzi, passavano alle tintorie e alle sei fasi successive della lavorazione che prevedeva la raffinazione (omogeneizzazione dello spessore), il primo taglio (suddivisione in grosso), secondo taglio (rifilatura secondo la forma
della mano), cucitura (a mano o a macchina, spesso "subappaltata" a ragazze più giovani, quasi sempre a domicilio), rifinitura (con ricami, occhielli, bottoni o contrafforti immessi dalle "finimentiste"), apparecchio finale (in fabbrica). Il numero degli addetti era enorme, la qualità gareggiava con quella dei guanti francesi e furono conquistati i mercati degli altri Stati italiani, della Germania, dell'Inghilterra e dell'America; non erano infrequenti i casi di guanti acquistati in Inghilterra e di lì esportati con il marchio “made in England”. In tutto il Regno si producevano fino a 700.000 dozzine di paia di guanti annualmente (100.000 le dozzine prodotte da tutti gli altri Stati italiani). (Pagina a cura di S. Lanza - G. De Crescenzo)
La tradizione delle concerie napoletane risale all'epoca medievale quando, durante il regno degli Angioini, furono concentrate nella zona del Mercato più vicina al mare (tra le strade della Conceria Vecchia e delle Vacche alla Conceria), trasferendole dal centro storico. Il trasloco si era reso necessario per la disponibilità di acqua corrente utile per sciacquare le pelli, della spiaggia per asciugarle e del mare per scaricare le velenose sostanze di risulta che avevano creato problemi agli artigiani nelle sedi precedenti. Nel corso dei secoli altre concerie artigianali si diffusero in Campania presso Solofra, Sapri, Vibonati e Santa Maria Capua Vetere.
Solo nella prima metà dell'Ottocento, però, nacquero a Castellammare le prime concerie con lavorazioni di tipo industriale: alcuni imprenditori francesi, avviarono una produzione con nuove tecniche ed una nuova organizzazione del lavoro anche se sempre grazie al sostegno dello stato e con l'impegno di capitali non elevati (un inconveniente finanziario non di poco conto era che all'acquisto delle pelli potevano seguire anche due anni per i lunghi tempi della macerazione). Le innovazioni principali riguardavano la grandezza degli spazi utilizzati, l'aumento del numero delle fosse per la macerazione delle pelli e degli “spanditoi” per asciugarle, la meccanizzazione con mulini ad acqua della macinazione delle cortecce di querce, castagni o pioppi per ricavare il tannino essenziale per la concia . Nel corso del secolo si formarono così operai specializzati che diffusero tecniche e innovazioni in tutto il Regno di Napoli e anche il governo cominciò a rifornirsi presso queste aziende di selle, gambali, borse, cinture e finimenti vari. Nel 1833 si arrivò a dichiarare che "i nostri fabbricanti erano occupati, affollati, pressati da continue ordinazioni" e la sola marina esportava annualmente merci per un valore di circa 115.000 Ducati. (pagina a cura di S. Lanza - G. De Crescenzo)
Il 5 dicembre si festeggia in tutto il mondo la Giornata del Suolo, un ecosistema complesso, ricco di biodiversità e fondamentale per la nostra economia; ma quanto suolo viene “consumato” ogni anno in Italia ed in quali zone maggiormente? A questa ed a tante altre domande sugli eventi di natura ambientale che ogni giorno preoccupano cittadini ed amministrazioni, dà risposta l’EcoAtl@nte, lo strumento interattivo (funziona da pc, tablet e smatphone) realizzato da ISPRA con i dati del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente - SNPA. L’EcoAtl@nte è consultabile sul sito ecoatlante.isprambiente.it attraverso tre punti di accesso: il “Viaggio”, i “Dati” e le “Storie”: tre modalità differenti che rappresentano e raccontano, ognuna a modo loro, le più importanti informazioni ambientali. Il Viaggio si snoda attraverso un’infografica molto simile a una “tabula”, la carta disegnata secoli fa per illustrare le vie stradali costruite dall’ Impero Romano e presenta una serie di tappe come ad esempio: sostenibilità, geologia e fragilità del territorio, mare e coste, cambiamenti climatici, rumore ed ambiente…che corrispondono ad una serie di storymaps che combinano notizie, dati, mappe e video contenenti informazioni ambientali veicolate in modo semplice e diretto. Se il Viaggio guida il visitatore attraverso un percorso di conoscenza organizzato, la sezione Dati conduce alla consultazione della parte cartografica vera e propria. Questa sezione è costituita da mappe tematiche e interattive dove si può scegliere di visualizzare un tema piuttosto che un altro, l’intera penisola italiana o solo una regione, una provincia, un comune. Indicatori, dati, grafici e diagrammi sono rappresentati sulle mappe attraverso etichette e colori personalizzati. È proprio in questa sezione che, ad esempio, è possibile consultare la mappa del consumo di suolo in Italia confrontando le percentuali di suolo perso regione per regione e per ogni rappresentazione grafica/tabellare è possibile effettuare il download nei formati CSV e JPG o copiare l'URL del grafico e integrarlo in altre applicazioni. Non solo: una novità assoluta è la possibilità di realizzare, nella sezione “Mappe”, cartine
nazionali e locali personalizzate e uniche nel loro genere con dati, trend e percentuali provenienti dai diversi temi. Il cuore pulsante dell’Eco@tlante è sicuramente la sezione Storie: qui sono presenti tutte le storymap che racchiudono le tante informazioni scientifiche secondo un nuovo tipo di narrazione in grado di rendere comprensibile e facilmente memorizzabile l’esperienza umana e in questo caso scientifica. Conoscere da vicino l’ambiente e le problematiche che lo affliggono è ora possibile, dunque, attraverso questo prezioso strumento informatico accessibile sia nella forma che nel linguaggio a tutti e non solo agli addetti ai lavori.
Pubblicate lo scorso settembre, le recenti linee guida necessitano di un glossario iniziale. S’intende con l’acronimo SME: Sistemi di Monitoraggio in Continuo delle Emissioni in atmosfera. S’intende con l’acronimo AIA: Autorizzazione Integrata Ambientale. Citando l’abstract: “La presente Linea Guida intende proporre alle Autorità competenti indirizzi omogenei e condivisi in ambito nazionale dal SNPA al fine di permettere di impartire PRESCRIZIONI nei provvedimenti autorizzativi delle installazioni AIA (e non AIA) dotate di SME, per i quali è prevista (o prescritta) la conformità alla norma tecnica UNI EN 14181, al fine di garantire un approccio univoco e trasparente sul territorio nazionale; parimenti la proposta è rivolta alle Autorità Competenti al Controllo in ambito del sistema a rete del SNPA in riferimento alle principali esplicitazioni delle CONDIZIONI di monitoraggio da prevedere nei Piani di Monitoraggio e Controllo (PMC), in coerenza con quanto prescritto dall'Autorità Competente”. Per ARPA Campania ha contribuito la dott.ssa Margherita Arpaia. Il capitolo terzo è quello che prevede la “proposta di prescrizioni alle aa.cc. e condizioni da prevedere nei piani di monitoraggio e controllo (PMC)” che è possibile sintetizzare come di seguito. Per il controllo dei dati SME e la conformità dei valori limite emissivi: “Considerata l’importanza degli SME e il suo crescente impiego nel controllo delle emissioni in atmosfera si ritiene che lo SME debba essere esercito ai fini del rispetto e della verifica di conformità dei Valori Limite Emissivi (VLE)”. Per il manuale di gestione SME, le
proposte consentono: “ai Gestori, di verificare il rispetto delle emissioni in atmosfera, assicurare la disponibilità e la qualità dei dati e gestire correttamente il sistema di monitoraggio; alle Autorità Competenti al Controllo di verificare
e delle anomalie: “Si suggeriscono le seguenti prescrizioni/condizioni: prescrivere al Gestore di comunicare tempestivamente … i malfunzionamenti e le anomalie riscontrate sugli impianti legati allo SME …; prescrivere al
la corretta gestione dello SME nel rispetto della normativa vigente, dei provvedimenti autorizzativi, delle norme tecniche di settore”.
In conformità alla normativa, “si suggeriscono le seguenti prescrizioni/ condizioni: richiamare in tutti i provvedimenti autorizzativi delle aziende AIA dotate di SME il punto 9 “Obblighi vari per gli impianti dotati di AIA” della Circolare MATTM n.27569 del 14/11/2016…; esplicitare, nei provvedimenti autorizzativi delle aziende dotate di SME, la gestione dettagliata di tali Sistemi nel rispetto della normativa vigente e delle norme tecniche di riferimento…”.
Per la gestione dei malfunzionamenti
Gestore di informare … delle attività di manutenzione (ordinarie e/o straordinarie) degli impianti legati allo SME; prescrivere al Gestore di gestire i malfunzionamenti e le anomalie secondo le modalità e le procedure previste dall’autorizzazione, dalla norma e riportate nel M.G.SME; prescrivere al Gestore di comunicare … l'indisponibilità dei dati SME superiori alle 48 ore fornendo le evidenze e le cause di tale indisponibilità. In allegato al documento è altresì riportato un elenco delle possibili verifiche sugli SME da condurre durante le Visite Ispettive AIA presso gli stabilimenti di competenza Statali e Locali.
18 ARPA CAMPANIA AMBIENTE nr. 11 edizione novembre 2022
La storia industriale. ambientale e giudiziaria di Bagnoli è assai lunga e complessa. Nel 1853 nella zona si insediarono i primi opifici finché, nel 1904, con la Legge Gianturco, si decise il rilancio industriale della città di Napoli localizzando l’acciaieria ILVA che fu inaugurata nel 1910. Il 24 ottobre 1922 Aurelio Padovani organizzò la visita di Benito Mussolini a Napoli: nei famosi discorsi di Piazza Plebiscito e del San Carlo, Mussolini si schierò a favore degli operai dell’ILVA e contro i gruppi finanziari che avevano in mano l’industria promettendo la nazionalizzazione dell’industria e la creazione dell’IRI, lo Stato imprenditore. Nel 1936 fu realizzato anche l’impianto Eternit. Durante la seconda guerra mondiale gli americani, fallendo nel tentativo di bombardare l’area industriale distrussero i quartieri nelle vicinanze di Bagnoli ma gli stabilimenti furono comunque distrutti successivamente dai Nazisti dopo l’armistizio. Furono poi ricostruiti dagli operai e nel 1954 fu inaugurato anche lo stabilimento Cementir che utilizzava le scorie dell’altoforno come materia prima per la produzione del cemento. Tra il 1985 e il 1990 Eternit chiuse per le gravi conseguenze provocate dalla lavorazione dell’amianto, seguì la riduzione delle dimensioni dello stabilimento Italsider (acciaieria e altoforno furono chiusi), la Cementir modificò gli impianti per utilizzare la pozzolana al posto delle scorie per poi chiudere. Dopo l’approvazione del Piano regolatore nel 1998, il Ministero dell’Ambiente e il Commissario di Governo per la Regione Campania affidarono ad ICRAM l’incarico per le indagini di caratterizzazione del sito. Nel 2000 Bagnoli è stato classificato come Sito di Interesse Nazionale e sono cominciate le bonifiche attraverso Bagnolifutura. Dal 2013 al 2015 si sono verificati un sequestro parziale degli spazi, il fallimento di Bagnolifutura e il commissariamento delle aree. Una volta completata la bonifica si stima che l’area avrà circa 13.2 milioni di visitatori all’anno. Le zone verdi avranno un’estensione di 130 ettari, il porto turistico avrà un’estensione di 20 ettari (900 posti barca). Nella zona degli arenili saranno ospitati 30 esercizi commerciali; sulla vecchia sabbia è stato posto un telo in HDPE e della nuova sabbia sopra. Saranno costruiti 2 hotel 4 stelle con 700 camere ognuno, 1 student hotel con 800 camere, 500 appartamenti, 200 uffici/ laboratori per la ricerca ambientale e la biologia marina con 2000 addetti, 50 negozi fino a 150 mq, 10 negozi fino a 1500 mq, 25 esercizi di ristorazione fino a 400 mq, 1 centro commerciale da 40.000 mq dove oggi si trova l’acciaieria ed è previsto il rafforzamento dei mezzi di trasporto.
Il 26 novembre 2011, dalla Cape Canaveral Space Force Station (CCSFS), è partito alla volta di Marte il vettore Atlas V 541 con a bordo il rover Curiosity, componente principale della missione scientifica esplorativa Mars Science Laboratory. La missione, inizialmente programmata per durare 669 sol, è ancora in corso ed è attiva da 3655 sol. Le motivazioni di questo prolungamento sono dovute agli ottimi risultati riportati dal rover nei primi 669 sol. Esso ha, infatti, appurato l’assenza di metano su Marte ma sono state trovate tracce importanti di Ossigeno, Idrogeno, Azoto, Ozono, Fosforo e Carbonio o minerali dovuti all’erosione del terreno come il solfato di magnesio, il solfato di calcio e il cloruro di sodio. Gli scienziati cercavano tracce di questi elementi vista la loro importanza per la vita e le analisi hanno portato alla scoperta della presenza di vita microbica sul “Pianeta rosso”. Nella sua esplorazione su Marte, il rover si è imbattuto anche in alcuni letti di antichi fiumi, confermando la presenza di acqua sulla sua superficie. Tramite l’analisi del suolo è emersa anche la variegata diversità geologica che caratterizza il suolo marziano, vari tipi di rocce vulcaniche, dune di sabbia, una ricca varietà di filoni minerali. Questa ricca varietà geologica conferma un passato turbolento ricco di eruzioni vulcaniche. Un’altra importantissima missione del rover marziano ha riguardato la misurazione delle radiazioni al suolo come fase preparatoria per una missione umana. I rilevamenti hanno trovato livelli di radiazioni oltre il limite consentito durante tutta la carriera di un astronauta della NASA. Questi sono solo alcuni dei risultati prodotti da Curiosity. Il rover non ha infatti ancora concluso il suo lungo
cammino sul suolo marziano e lsua a recente maratona lo ha portato attraverso ostacoli rocciosi, terreni sabbiosi e clima avverso passando attraverso il Passo Paraitepuy dove, a causa della sabbia fine, ha rischiato di impantanarsi e terminare definitivamente il suo viaggio. Per fortuna è andato tutto bene ed il rover è giunto in una vallata ricca di minerali. La vallata scelta come tappa del lungo viaggio di Curiosity è caratterizzata da evidenti segni di erosione delle rocce causata dalla presenza in passato di acqua. Uno dei campioni scelti per l’analisi è stata una vera
sfida per il team del rover. Il campione risultava particolarmente fragile ed è stata richiesta la scrittura di un nuovo algoritmo per effettuare lo scavo. Riuscendo a non sollecitare troppo il braccio robotico, Curiosity è riuscito a prelevare il campione che ora sarà esaminato dagli strumenti CheMin (Chemical and Minerology instrument) e Sam (Sample Analysis at Mars instrument). Il team di ricercatori è in attesa dei risultati di queste analisi sperando nell’ennesima scoperta di uno strumento che ha saputo regalare forti emozioni.
Il compartimento spaziale sta vivendo un momento di grande crescita, l’entrata in scena dei privati ha rivoluzionato il panorama che era sempre stato dominato dalla presenza delle agenzie spaziali. Sempre più imprenditori, infatti, hanno capito che investire nello spazio ha grandi potenzialità di rendimento e questo ha moltiplicato i servizi offerti che si estendono ben oltre lo spazio, sempre più richiesti sono, ad esempio, anche i servizi dei satelliti di osservazione del territorio e le telecomunicazioni, che oltre ad avere valenza economica e sociale sono balzati agli onori della cronaca per il loro valore militare strategico legato al controllo dall’alto a scopi di intelligence. L’interesse per la meteorologia ha inoltre spinto le grandi agenzie a sviluppare i primi programmi civili di osservazione della Terra, seguiti dalle missioni scientifiche per studiare lo stato dell’ecosistema, delle coltivazioni, delle acque e dei ghiacci, insomma, le potenzialità offerte dalle osservazioni satellitari sono infinite ed oltre all’occhio protettore del sistema, potrebbero esserci preoccupazioni in merito, infatti le immagini dallo spazio ci permettono di avere un quadro completo e veritiero verificando le notizie, niente si può nascondere ai satelliti come ad esempio quando ci sono i danni della siccità, inondazioni, eruzioni vulcaniche, ma si evince anche quando si comanda militarmente cambiando movimenti delle truppe, portando infine poi devastazioni, guerra e morte come in questi mesi con la guerra incessante. Inoltre, le osservazioni dall’alto sono preziosissime in caso di complicazioni, come quando ci sono stati problemi con i metanodotti sotto il Mar Baltico, sono stati infatti i dati satellitari a chiarire quello che era successo, mostrando la macchia creata dalle bolle del gas che gorgogliava dalle falle delle tubature. Di fatto, i satelliti europei del sistema, hanno misurato l’entità della perdita monitorando le emissioni di metano, un gas serra molto più efficiente dell’anidride carbonica per intrappolare il calore e contribuire al riscaldamento globale, il risultato è stato una perdita enorme, la più grande mai registrata, che va a sommarsi alle molte drammatiche conseguenze ecologiche di questa terribile guerra che ha fatto schizzare le quotazioni delle compagnie alle stelle, purtroppo le guerre non portano mai a niente di buono spingono l’economia a potenziare e favorire le grandi lobby. Lo spazio intorno al nostro amato pianeta non è infinito e la crescita rapidissima del numero di satelliti rischia di non essere sostenibile, per questo bisogna muoversi subito sperando in prospettive future migliori così da prevenire un pericoloso effetto domino dovuto all’affollamento orbitale.
Notte di Halloween, a Nocera Inferiore è stata realizzata una giornata simbolica in forma satirica in pieno centro storico. Una bara che simboleggia la morte del fiume Sarno, una veglia funebre per smuovere e sensibilizzare la cittadinanza. È così che l’associazione Controcorrente, identificata come volontaria e ambientalista, dà sfogo alla sua protesta e attraverso un impegno costante porta avanti una battaglia che è di tutti, senza mai perdere la speranza: spingere l’opinione pubblica e far diventare il caso Sarno come “la terra dei fuochi”. Un’occasione per parlare di ambiente e inquinamento. Il tentativo di attirare l’attenzione mediatica, smuovere le acque burocratiche, le azioni politiche e stimolare la sensibilità della gente comune. Questo quanto riferito dall’ex presidente dell’associazione Gaetano Mario Iannone, presente anche il nuovo presidente Nicola Granato. Sulle condizioni del fiume Iannone dice: “contiene livelli di Cromo molto alti, purtroppo le concerie continuano a sversare nel fiume e ancora non hanno messo a norma la loro attività per cui il Sarno risulta una discarica a cielo aperto. A monte l’acqua è limpida ma dove confluiscono il Sarno, la Solofrana e la Cavaiola il corso d’acqua raggiunge un livello di inquinamento insostenibile”. Precisa inoltre che: “durante il lockdown il fiume si era ripulito,perché le attività lavorative erano ferme. Con la ripresa delle attività e con i continui riversamenti di rifiuti il fiume non ha i tempi naturali per auto-ripulirsi. Laddove la mano dell’uomo riversa elementi nocivi in continuazione la natura non riesce a fare il suo lavoro e quindi tutto ritorna brutto, sporco inquinato. Dai dati del registro tumorale, nell’agro vi è una mortalità superiore al resto della Campania”. L’associazione Controcorrente si adopera in tutti i modi per far conoscere a 360 gradi il problema dell’inquinamento del fiume a tutta l’opinione pubblica e intende coinvolgere le istituzioni regionali e nazionali, in modo particolare la regione Campania. Lo fa attraverso varie campagne di comunicazione, “lo scorso anno, ad esempio, si è svolta la campagna Sarnella in cui sono state imbottigliate le acque del fiume accompagnate da frasi e spot satirici che sono stati ripresi dal Fatto Quotidiano e da Repubblica”. L’Associazione si è rivolta anche al parlamento europeo. Si sono svolti incontri
nazionali in cui è stato sottolineato che il problema non interessa solo la Campania ma tutta l’Italia. Nella piazza è stato allestito un funerale provocatorio, questa manifestazione segue quella della marcia sul fiume Sarno. Oggi simbolicamente per il fiume Sarno sporco maltrattato e inquinato, si veglia ad oltranza nella speranza di scuotere la mente, il cuore e l’anima di tutti.
Vandana Shiva nasce nel 1952 a Dehradun, una città dell’ Uttar Pradesh, stato federale dell’India. Il padre è una guardia forestale e la madre una maestra di scuola diventata contadina dopo la sanguinosa guerra di Partizione tra India e Pakistan nel 1947-1948. Vandana vive in una casa frequentata da intellettuali e discepoli del Mahatma Gandhi. Ed è proprio tra quelle mura che comincia a disprezzare le disuguaglianze sociali e di genere. La ragazza trascorre molto tempo tra le foreste del Rajahstan e la fattoria gestita dalla madre “subendo” subito il fascino della natura. Va alla scuola e al collegio cattolico di Dehra Dun e, dopo il diploma in fisica, l’Università di Guelph, in Canada, dove si laurea in filosofia della scienza. All’Università del Western Ontario consegue poi il dottorato sui concetti filosofici della meccanica quantistica (1979). Dopo gli studi torna in patria, a Bangalore, come ricercatrice in politiche agricole ed ambientali all’Indian Institute of Sciences e all’Indian Institute of Management. A Dehradun crea la “Fondazione per la scienza, la tecnologia e l’ecologia”, un istituto indipendente di ricerca, mentre nella valle poco distante prende forma il Movimento Chipko, una protesta non violenta delle donne finalizzata alla conservazione delle foreste in India, prima fonte di sostentamento per le famiglie autoctone. La parola Chipko significa “abbraccio”. Ed è proprio attraverso un gesto, un abbraccio agli alberi simbolico, che il Movimento cresce e si diffonde a macchia d’olio. Nel 1980 la vittoria più importante: il divieto di abbattere gli alberi delle foreste dell’Himalaya per 15 anni. Un divieto che oggi, grazie all’impegno delle donne Chipko, ancora vive. Più di 2500 gli alberi salvati. Nel 1991 l’ambientalista indiana fonda il Movimento Navdanya (in hindi “nove semi”). Il neo gruppo partecipa con altre organizzazioni al vertice di Rio de Janeiro nel 1992: nascono i primi accordi internazionali per la protezione della biodiversità e per la repressione della biopirateria. Da quel momento, la difesa dei semi autoctoni contro le multinazionali che cercano di rivendicare come loro “proprietà intellettuale” varietà agricole selezionate nei secoli da comunità locali, diventa il maggior impegno di Vandana. Numerose le sue partecipazioni a conferenze e dibattiti in Africa, Europa, America Latina e altri paesi asiatici. E’ consulente per le politiche agricole di numerosi Governi (in Asia e in Europa) ed è membro di decine di direttivi in altrettanti organismi internazionali. Partecipa, in ogni parte del mondo, alle lotte contro gli organismi geneticamente modificati (OGM), la crescita ad ogni costo, l’ingiusta ripartizione delle risorse e altri mali della globalizzazione. Le battaglie più grandi vinte da Vandana sono state proprio contro le Multinazionali. Una su tutte la revoca del brevetto al ministero dell'Agricoltura statunitense e alla società WR Grace and Company per le proprietà fungicide di estratti di semi dell'albero Neem (originario dell'India). Per questo suo enorme impegno a favore della popolazione indiana
e per la sua lotta a difesa dell’ambiente, è premiata con il “Right Livehood Award”, detto il Nobel per la pace alternativo (1993). Due anni dopo pubblica il best-seller Monocolture della mente (1995), una riflessione sulla protezione della biodiversità, sulle implicazioni della biotecnologia e sulle conseguenze per l'agricoltura. Negli anni successivi redige diverse pubblicazioni: “Monoculture della mente: biodiversità, biotecnologia e agricoltura scientifica” (1995); “Biopirateria: il saccheggio della natura e dei saperi indigeni” (1999); “Terra madre: sopravvivere allo Sviluppo”pubblicata (2002); “Fare pace con la terra” (2012), “Cibo e salute: manuale di resistenza alimentare”(2018) e il recentissimo “Dall'avidità alla cura, La rivoluzione necessaria per un'economia sostenibile (2022), sono solo alcuni dei suoi più importanti contributi. Oggi il Movimento Navdanya è una rete di detentori di semi e produttori biologici sparsi in 22 stati del Paese, ha supportato la creazione di 122 banche di semi in tutta l’India, ha formato oltre 900.000 agricoltori in materia di agricoltura sostenibile e ha contribuito a creare la più grande rete di commercio equo e solidale del Paese. La banca dei semi della fattoria di Navdanya ha salvato 4.000 varietà di riso autoctone, 2.200 varietà di miglio, pseudo-cereali, legumi, semi oleosi e ortaggi, 205 varietà di grano e 151 specie di alberi. La Leader ambientalista continua imperterrita a portare avanti le sue battaglie con la fierezza e la convinzione di chi sa che la giustizia sociale e il diritto alla vita sono fondamenti imprescindibili di una sana comunità civile.
Negli ultimi 5 anni in Campania si è registrato un boom di nascite di startup innovative tale da proiettare la nostra regione al terzo posto, dopo Lombardia e Lazio, nella geografia dell'innovazione del nostro Paese.
Una crescita esponenziale certificata anche dall’interesse sempre più evidente dei grandi players nazionali e internazionali intorno a quella che qualcuno già chiama la Silicon Valley d’Oltreoceano o addirittura Vesuvius Valley. E’ il caso, ad esempio, di due famose multinazionali dell'ICT che hanno scelto proprio Napoli, e non una città del Nord, per i loro investimenti tecnologici e imprenditoriali. Si tratta della Apple, che sta portando avanti nel capoluogo
campano, un progetto, in collaborazione con istituzioni locali, che ha il compito di formare giovani programmatori su dispositivi mobili; e della Cisco che, nella città partenopea, ha dato vita ad nuovo Lab (Cisco Academy) che, oltre a formare professionisti in grado di programmare applicazioni, punta anche alla creazione di infrastrutture digitali innovative da abilitare nelle imprese e nelle amministrazioni.
Questa vitalità del settore è stata anche confermata dal successo dell’ultima edizione dell’ “Innovation Village”, ospitata, proprio di recente, dal capoluogo partenopeo. Tutto questo è merito di un sistema che ha mostrato di sapersi distinguere per produzione di conoscenza (con le eccellenti realtà accademiche e di ricerca sparse sul territorio), per numero di diplomati e laureati di talento, per il fermento nella collaborazione tra centri di ricerca universitari e aziende. Con 7 distretti high-tech diffusi sul territorio, 21 laboratori pubblico-privati che abbracciano dall’areospazio all’agroalimentare, dall’energia rinnovabile all’edilizia sostenibile, dal turismo ai beni culturali etc. e ben 6 incubatori certificati che hanno il compito di accelerare la creazione d’impresa, la Campania si è mostrata ingegnosa, a tratti geniale, certamente resiliente. Soprattutto: proiettata al futuro. Al punto da anticiparlo. E impegnarsi perché sia il più possibile sostenibile. L'esercito delle startup campane (circa 1400 all’attivo) lancia, infatti, un messaggio forte e chiaro: l'ambiente prima di tutto. I temi della sostenibilità, dell'efficienza energetica, dell'economia circolare e delle fonti rinnovabili risultano oggi prioritari nella nostra regione, anche nei processi di creazione di impresa. La Campania punta dunque a diventare una importante piattaforma di innovazione aperta di livello internazionale, con particolare attenzione alla transizione sostenibile.
L’inglese Dan Pearson (nato nel 1964) è uno dei più importanti e dotati paesaggisti contemporanei: a 25 anni inizia la sua carriera lavorativa come garden designer e, dopo poco, apre lo studio che porta ancora oggi il suo nome. Il principio progettuale da cui Pearson parte è quello che egli stesso definisce “sense of place”, dandone la seguente definizione: «Prima ancora che nasca l’idea di un nuovo giardino è importante che il paesaggista sia capace di guardare e sentire il luogo e il suo spirito selvaggio e naturalistico. Questo momento di ascolto e osservazione permetterà poi di lavorare su elementi appropriati al contesto: le piante adatte e che vivono felici in vicinanza una dell’altra, i materiali (spesso sono proprio quelli tipici del luogo), i tempi, la luce, i modi in cui le persone hanno fatto e faranno uso di quegli spazi. Riguardo, ad esempio, al progetto per il mio giardino nel Somerset quando sono giunto sul posto per la prima volta ho riconosciuto la vastità del paesaggio come una delle caratteristiche più importanti: il giardino è stato quindi creato a partire da questa vastità, per valorizzarla, integrandosi con essa». Specialmente dall’inizio del nuovo secolo sono tanti i progetti firmati da Dan Pearson, anche per clienti famosi come Jonathan Ive, Paul Smith, il mercante d’arte Ivor Braka, l’imprenditore immobiliare Vladislav Doronin, Carlo Caracciolo (il defunto proprietario del quotidiano italiano “L’Espresso”, per cui ha realizzato il paesaggismo di Torrecchia Vecchia) e Nigel Slater
(proprietario del “The Guardian”, per il quale ha collaborato con Monty Don). Degne di nota, poi, le sue ben 6 partecipazioni al prestigioso “Chelsea Flower Show” e le collaborazioni con ‘archistar’ del calibro di Zaha Hadid, Rogers Stirk Harbour + Partners, Feilden Clegg Bradley Studios, David Chipperfield Architects e 6a architects. I suoi giardini sono sparsi in tutti i continenti: si trovano anche in Italia e, soprattutto, in Giappone. Proprio nel Paese del Sol Levante, per la Tokachi Millennium Forest, progettata insieme a Fumiaki Takano, Dan Pearson ha immaginato una serie di giardini che fungessero da attrazioni e destinazioni per i visitatori all’interno del parco. La Tokachi Millennium Forest - con i suoi 5 giardini (Earth Garden, Forest Garden, Meadow Garden, Farm Garden e HGS Designer’s Garden), dei quali l’Earth Garden e il Meadow Garden hanno ricevuto il Grand Award e l’International Award dagli SGD Awards nel 2012 - è un raffinato esercizio di stile dell’architettura del paesaggio oltre che un mirabile esempio di commistione tra shintoismo e natura. I giardini che sono stati realizzati sono fondamentali per creare un luogo sicuro e un legame con il contesto, per far sentire il visitatore parte del posto in cui si trova. Il giardino chiamato Earth Garden, costituito da un campo vuoto che separa il visitatore dalle montagne, è stato il primo dei progetti ad essere realizzato: una serie di onde, costruite con basse dune coperte di erba, che riecheggiano le ondulazioni dei monti sullo sfondo, offre una
vera e propria “via” nel paesaggio ai visitatori. Tali forme si estendono per altri cinque ettari di giardino coltivato e raggiungono l’area denominata Meadow Garden, la quale è stata piantumata per celebrare l’apertura ufficiale del parco. Continuando si trova il Farm Garden, dove le persone possono visitare uno spazio produttivo con frutta, verdura e fiori recisi; un allevamento di capre che producono formaggio fa da sfondo a tale spazio; in seguito, sono stati aggiunti un roseto e altre specie vegetali adatti al clima freddo della regione ed un frutteto, per testare la coltivazione di mele nell’estremo nord.
A chiusura del presente articolo, ricordiamo qualche altro progetto emblematico di Pearson.
Il giardino per Torrecchia Vecchia, realizzato nel cuore dei Castelli Romani, dove il garden designer inglese riesce a creare un’atmosfera intrisa di segreto e magia, viene raggiunto attraverso un percorso tra le rovine del borgo medievale: man mano che ci si addentra il giardino va trasformandosi, diventando piú selvaggio, e la vegetazione si fa piú naturale.
Per “Hillside - Somerset”, la sua casa di campagna, Pearson realizza un meraviglioso giardino perfettamente immerso nel paesaggio: la straordinaria integrazione naturalistica rende quasi indistinguibile quel che è stato creato dal progettista da ciò che era già esistente, soprattutto per quanto ha riguardato la scelta delle piante, selezionate tra le specie autoctone e con totale attenzione alla biodiversità. Infine, menzioniamo: il progetto per Kings Cross Central a Londra, uno tra i piú importanti interventi di rigenerazione mai realizzati nella capitale inglese (con uffici, abitazioni, negozi, musei, gallerie, spazi pubblici e un polo universitario che hanno preso il posto dei terreni ferroviari in disuso), caratterizzato dal-la presenza di giardini informali e accoglienti, che sembrano quasi spazi verdi privati; il Chatsworth Laurent Perrier Garden, giardino vincitore, nel 2015, della medaglia d’oro del “Chelsea Flower Show” della Royal Horticultural Society.
La giurisprudenza amministrativa con una recente sentenza riconosce il diritto di accedere agli atti autorizzatori delle attività commerciali insediate nella zona di confine con il proprio habitat (TAR Toscana, sez. II, sentenza n. 1192 del 24 ottobre 2022). Il requisito della vicinitas, dunque, consente di riconoscere l’interesse diretto, concreto e attuale del confinante, soggetto legittimato all’accesso. Il caso concreto riguarda il proprietario di un immobile adiacente a un locale, attrezzato per la somministrazione di alimenti e bevande, che formula al Comune istanza di accesso agli atti alla pratica autorizzatoria dell’attività commerciale, qualificandosi come vicino e lamentando le immissioni di fumi e odori molesti, associati, nel corso di serate musicali, ad immissioni acustiche, oltre il limite consentito, come da accertamento tecnico. Il Comune risponde con provvedimento di diniego, invitando il richiedente a rivolgersi agli organi di controllo, ritenendo i fatti di doglianza (le immissioni) non dimostrati (insufficienza degli elementi di prova del danno patito). A fronte del diniego, il richiedente propone ricorso al tribunale amministrativo, che lo accoglie con condanna alle spese dell’amministrazione comunale. Il giudice utilizza, a fondamento della propria decisione, i principi cardine condivisi in modo unanime dalla giurisprudenza: il ricorrente risiede nelle immediate vicinanze del locale oggetto di lamentele; il criterio della vicinitas, in materia edilizia, è riconosciuto quale elemento fondante un interesse diretto, concreto e attuale a conoscere gli atti e i documenti del procedimento abilitativo delle attività edilizie svolte del confinante, per verificare la legittimità del titolo e la conformità delle opere realizzate; tale criterio di “contiguità” può essere esteso alla fattispecie per identità di ratio: sussiste una situazione di stabile collegamento con l’immobile ove viene esercitata l’attività commerciale. Fatte queste considerazioni di premessa sulla piena legittimazione e titolarità all’accesso, osserva, altresì, che l’atto di diniego non risulta ben motivato. Difatti per l’accoglimento dell’istanza di accesso non è necessario che una lesione alla posizione giuridica del richiedente si sia già verificata, essendo invece sufficiente il collegamento tra una situazione giuridica del medesimo al documento di cui è chiesta l’ostensione. L’accesso deve essere consentito, anche quando il richiedente intenda valutare l’azione da intraprendere, non essendo solo funzionale alla tutela giurisdizionale, ma a consentire al privato di orientare i comportamenti sul piano sostanziale per curare o difendere i propri interessi giuridici. In presenza dell’interesse giuridicamente rilevante la PA non ha ragione di negare l’accesso anche se non è ancora stato attivato un giudizio nel corso del quale potranno essere utilizzati gli atti acquisiti, proprio al fine di valutare l’opportunità di una
sua instaurazione. Inoltre, atteso che gli atti posti in essere nell’ambito dell’attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti in materia edilizia, rimangono tali pur dopo l’inoltro di una denunzia all’Autorità giudiziaria in caso di abusi. Tali atti, dunque, restano nella disponibilità all’Amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell’AG, cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l’accesso garantito all’interessato dall’art. 22 della legge n.241 del 1990.
A lla rivoluzionaria idea di Zeronetto, piattaforma di educazione che tratta temi di sostenibilità ambientale e sociale, ed al suo ideatore, Andrea Speranza, che quotidianamente si impegna per la tutela dell’ambiente, dobbiamo il primo libro che non esaurisce mai i propri contenuti: “Gigi e la forza di volontà”. Si tratta di un volume molto particolare, dedicato ad un pubblico di bambini di età compresa tra i 5 ed i 10 anni, che non segue una struttura tradizionale ma amplia le consuete funzionalità di un testo grazie ad un approccio metodologico di “design thinking” che apre lo scenario a molteplici occasioni di riuso. Il protagonista, un piccolo granchio fellone di nome Gigi, pone il lettore a contatto con il concetto di rifiuto, inteso sia nel senso di oggetto di cui gli esseri umani possano disfarsi, che sotto l’aspetto dell’isolamento che aleggia intorno a coloro che si battono per le proprie idee, restando estranei alla massa. In breve, come esprimere meglio il concetto di approccio sostenibile se non attraverso un libro concreto dalle mille sfaccettature e senza fine, che narra una storia coinvolgente e che offre la possibilità al piccolo lettore di sprigionare la fantasia attraverso l’uso del colore e la possibilità del disegno, fornendo un testo di accompagnamento che funga da diario dell’esperienza e che, attraverso l’estensione multimediale, si rinnovi sempre, partendo da un brillante trucco di magia? Chapeau!
E’ stato presentato lo scorso 18 novembre presso il Circolo della Stampa diAvellino ‘’L’inverno che divampa’’,una raccolta di poesie pubblicata da Carta e Penna - ISBN a cura di Vittorio Di Ruocco, direttore del Dipartimento diAvellino diArpa Campania.All’evento, moderato dal giornalista de ‘’Il Mattino’’ Giovanni Colucci, oltre all’autore, sono intervenuti Gianluca Festa, sindaco di Avellino, Stefano Sorvino, direttore generale dell’Arpa Campania, Raffaele Messina,romanziere e saggista e la docente di Letteratura Italiana e la prof.ssa Annamaria Petolicchio. Durante la manifestazione sono stati letti alcuni versi presenti nel volume da Luigi Frasca e Angela Caterina del Teatro d’Europa. Questa raccolta è stata preceduta da 4 volumi di liriche: Le mie mani sul cielo (ed. Il calamaio 1996), I colori del cuore (ed. Pandemos 2003), Il nulla e l’infinito (ed. Graus Napoli 2007) ed Il destino di un poeta (ed. Giovane Holden 2021). Vittorio Di Ruocco ha inoltre pubblicato due romanzi: L’albero dei miracoli (Ed. Homo Scrivens 2014) e L’amante di Dioniso (Ed. Homo Scrivens 2015). Ha partecipato a numerosi concorsi letterari e nazionali (classificandosi sempre nelle prime posizioni) e ha ricevuto numerosi premi oltre che tre riconoscimenti alla carriera da altrettante associazioni culturali e un quarto riconoscimento dal comune di Pontecagnano Faiano dove è nato e risiede attualmente.“Le opere contenute in questo volume nascono – spiega Di Ruocco - dalla contemplazione del mondo reale, ri-creato alla luce della mia struttura emotiva e culturale. Le liriche sono,pertanto,frutto dell'incontro di immagini provenienti dalla realtà (sperimentata o immaginata) con la mia capacità, che è quella di cui ogni uomo - in diverso grado - è dotato, di tradurre le stesse in linguaggio poetico.’’ Il direttore generale dell’Arpa Campania, Stefano Sorvino, intervenendo all’evento ha definito il lavoro letterario di Di Ruocco ‘’una produzione notevole che è indicativa oltre che di una capacità culturale di un animo sensibile’’. ‘’Poesie - ha concluso Sorvino - che hanno un’ispirazione rispetto ai temi drammatici dell’attualità, scenari di guerra, di carestie e ambientazioni mediorientali e che mi hanno molto colpito anche per la capacità di rappresentazione’’